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:: takaya miou::
takaya miou è un’altra autrice di cui purtroppo nel nostro paese non si conosce nulla o quasi, ma che secondo noi merita invece di essere apprezzata per la sua bravura ed originalità; anche lei può essere accomunata allo stesso tipo di inquietante sensibilità artistica di maki kusumoto, anzi, per molti versi, raggiunge risultati ancora più estremi.
non si può parlare di shoujo o di shounen-ai, per le sue opere è sempre in atto una sorta di ibridazione tra questi ed altri generi, ed il risultato è più che affascinante. sicuramente non si resta indifferenti alla potenza delle sue immagini, o si amano o si odiano, non esistono vie di mezzo nel mondo surreale e fantastico di takaya miou.
a parte il tratto, immediatamente riconoscibile per l’accuratezza dei dettagli, la raffigurazione di enormi occhi allucinati, figure maschili e femminili al limite dell’anoressia ed uso di colori carnali, ci sono alcune tematiche ricorrenti in tutte le sue opere.
l’elemento mortifero, ad esempio, è presente ovunque nei suoi lavori, costantemente pervasi da un senso di morte imminente; potremmo dire che l’autrice abbia costruito nel corso degli anni una personale “iconografia mortifera”, fatta di ambigui esserini antropomorfi, scheletri alati, bambole animate e angeli bellissimi, la cui presenza ci ricorda come la bellezza sia portatrice di morte.
la figura dell’angelo è infatti un altro dei suoi punti fermi, la riprende palesemente dalla tradizione cattolica più classica, che sembra incuriosirla molto, rivisitandola e presentandoci la raffigurazione sia di angeli bellissimi, ma anche di esseri deformi, o scheletri; spesso il mondo dell’angelico si fonde con il mostruoso e il surreale per dare vita e forma ai nostri incubi, raggiungendo un risultato di rara bellezza e inquietudine.
accanto agli elementi presi dall'iconografia cattolica troviamo anche derivazioni della tradizione favolistica occidentale, entrambi rivisti in un'ottica e in un'estetica tipicamente giapponese.
altra tematica caratteristica è il doppio, l’identificazione e la comprensione del proprio essere nel riconoscimento del nostro doppio, raffigurato tramite immagini specchiate o l’inserimento di gemelli nelle storie.
propriamente giapponesi sono invece la rappresentazione di corpi feriti, mutilati e deformi, che poco o nulla hanno di umano, la presenza di molti elementi dello stile gothic lolita più cupo e la bellezza maschile, fatta di corpi giovanissimi, delicati e fragili, tesi verso l’androginia più pura.

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