VARIAZIONI SU UN TEMA DI MASAMI KURUMADA

(SAINT SEIYA)

di Hanabi, estate 1994

I personaggi di Saint Seiya sono proprietà di M. Kurumada/Shueisha.

 


CAPITOLO 7: "Traditori e traditi" - parte prima

"Non ci credo neanche per un momento!"

La veemenza di Seiya coglie tutti di sorpresa. E' già straordinaria la rapidità con cui si è ripreso dallo shock ricevuto, non ci si aspetterebbe tanta energia da parte di qualcuno appena uscito dal coma. Alzo la testa e noto che sta guardando proprio me, con quei suoi occhi a mandorla dalle sclere giallastre, evidenziate dalla cuffia verde che nasconde la consueta massa di capelli bruni.

"Ehi, Andromeda: non starai pensando che quel cretino di Mylock abbia ragione!"

Abbasso lo sguardo e non rispondo.

"Questo sì che è un silenzio significativo," dice Hyoga, con spietata durezza. "Proprio da chi ha sempre difeso Ikki a spada tratta!... Ma forse stavolta hai le tue buone ragioni per non farlo, non è vero, Shun?"

Mi sento impallidire, faccio per ribattere ma Seiya mi precede, indignato.

"Ragazzi, ma dove avete la testa? Queste scemenze me le aspetto da Mylock, non da voi. Sapete bene che Crapa Pelata ce l'ha sempre avuta a morte con Ikki, no? Gli darebbe la colpa anche di un foruncolo sul sedere..." Una pausa, durante la quale Lady Isabel tossicchia lievemente, ma Seiya non ci fa caso, prosegue imperterrito. "Certo, il vecchio ha le sue attenuanti. Bisogna ammettere che in tutto questo tempo il nostro Phoenix non ha fatto molto per farsi amare e benvolere. Anzi, per dirla senza tanti peli sulla lingua, si è comportato da vero stronzo presuntuoso..."

"Pegasus, ti prego!" protesta Lady Isabel, inorridita.

"Mi prega di cosa? Di non dire la verità? Ho definito Ikki esattamente come merita. Ci ha piantati in asso e se n'è andato? Ha fatto bene, tanto non potevamo più andare avanti così. Ha avuto la faccia tosta di dirci che si era addirittura sforzato di stare con noi... mi chiedo se ha una vaga idea di quanto ci siamo sforzati noi per sopportarlo. Chissà poi perché crede di aver diritto di trattare tutti con indisponenza..."

"Forse perché ha sofferto più di tutti," mormoro io.

"Ah si?" ribatte Seiya, con amarezza. "E cosa lo rende tanto sicuro di questo?... Dì quel che ti pare, Shun, ma nonostante il colpo in testa mi ricordo perfettamente dei giorni di scuola, ed anche allora tuo fratello aveva lo stesso vizio. L'Isola Nera, e quel dannato suo maestro devono aver elevato questo grazioso lato del suo carattere al cubo, col risultato di renderlo assolutamente insopportabile." Sospira. "No, non posso dire che il nostro caro Phoenix mi piaccia. Però, anche se sono pronto a dire peste e corna di lui, gli riconosco le sue doti! Dietro la sua stronzaggine Ikki è sempre stato un tipo generoso, con un profondo senso dell'onore che non riuscirà mai a staccarsi di dosso. Quando mai ha mancato ad una promessa, buona o cattiva che fosse? Eh?" Punta l'indice intorno a sé, aspettando una risposta che naturalmente non può arrivare. "Davanti a tutti noi aveva dichiarato che non si sarebbe ripreso ciò che ci aveva dato. Ebbene, io qui lo dico chiaro e tondo: sono pronto a darmi fuoco piuttosto di credere che si sia rimangiato la parola data!"

Sinceramente non mi aspettavo da Seiya una tale, appassionata difesa di mio fratello.

"Molto convincente," interviene Hyoga, col solito tono glaciale che non suona per niente convinto. "Hai ragione, il senso dell'onore di Ikki è ciò che lo scagiona dal furto dell'elmo di Aiolos. Però faccio notare che è l'unico indizio a suo favore. Non ha mai mancato alla parola data, è vero; ma è anche vero che non ha mai proclamato apertamente la sua fedeltà ad Athena, in nessuna occasione..."

"Però mi ha ugualmente salvato dal pericolo," interviene Lady Isabel.

"E Mylock ha una buona spiegazione del perché," ribatte Hyoga. "Se i cavalieri d'argento l'avessero catturata, milady, noi avremmo dovuto cedere a tutte le loro condizioni pur di riaverla indietro; e sapevamo tutti cosa avrebbero chiesto in cambio della sua vita... proprio l'elmo di Aiolos! Phoenix non poteva permetter loro di riuscire nell'impresa, gli avrebbero sottratto il bottino a cui mirava da un pezzo." Lady Isabel china la testa, pensierosamente, ma lui la incalza: "Certo questa è solo una supposizione, ma proviamo ad agganciarla ad altro... per esempio, alle sue parole quando ha visto me e Shun in salvo. Se le ricorda, vero? Ho altro da fare che star qui a fare la crocerossina, o la dama di compagnia di milady," recita, imitando alla perfezione il tono sarcastico di mio fratello. Si volta verso Seiya. "Hai ragione, Ikki si compiace di non mentire mai, e forse non ha saputo resistere alla tentazione di dirci la verità. A quel punto sapeva che in un modo o nell'altro avremmo sconfitto Kratos, e che saremmo stati poi occupati nei soccorsi. Certamente i cavalieri d'argento ignoravano il nascondiglio dell'elmo di Aiolos, altrimenti non avrebbero tentato di rapire Lady Isabel; ma lui sapeva benissimo dove e come prenderlo... era questo che intendeva, con quell'altro da fare?"

"Stai dicendo che... sei davvero convinto che sia stato Phoenix a rubarlo?!" esclama Seiya, guardandolo ad occhi spalancati.

"Sto dicendo che sono costretto a sperarlo, con tutto il cuore!... Quali alternative abbiamo? Se non è stato lui, chi altro potrebbe aver portato via l'elmo?"

Segue un certo silenzio.

"Uhm. Già, chi?" Seiya si gratta il mento. "La gente del Santuario no di certo. Il Sacerdote Supremo non avrebbe mandato al macello i cavalieri d'argento, ma li avrebbe spediti direttamente allo stadio della Fondazione..."

"E se quel demonio avesse tradito i suoi stessi sottoposti?" ribatte Hyoga. "Non sarebbe certo la prima volta! Potrebbe aver sacrificato i cavalieri d'argento solo per creare una buona diversione, così come Babel forse è servito solo ad escludere che l'elmo fosse nella tenuta dei Thule." Stringe i pugni, con gelida furia. "Abbiamo a che fare con un uomo tortuoso e privo di scrupoli, che usa la gente come marionette in un gioco perverso. Può stare tranquillo, perché nessuno dei cavalieri che si scontrano con noi torna mai indietro a dire quanto è stato ingannato... ed Ikki stesso ci ha detto che fine fanno quei pochi che sopravvivono."

"Ma questo significherebbe che il Sacerdote Supremo era a conoscenza del nostro rifugio segreto!" interviene Lady Isabel, agitata. "Questo lo escluderei, con tutte le precauzioni che sono state prese. Inoltre trovo incomprensibile questo... furto con destrezza, anziché un attacco rapido e violento..."

"Col rischio che facessimo in tempo a spostare l'elmo in un altro nascondiglio? O che combattessimo alla disperazione? Perché, per quel che ne sanno al Santuario, è l'elmo la cosa a cui ci siamo consacrati, e non Athena, di cui ignorano l'esistenza. Altrimenti non l'avrebbero rapita, milady: l'avrebbero semplicemente uccisa."

"Non ci sarebbero riusciti," sbotta Seiya.

"Non ci hanno neppure provato," ritorce lui. "Comunque capite tutti perché prego ardentemente che le cose non stiano così: se l'elmo è nelle mani del Santuario, nulla può più impedire la distruzione dell'armatura del Sagittario. Inoltre questo significherebbe che c'è un traditore tra noi. Sarebbe la più logica delle deduzioni."

"E scommetto che avresti qualche idea al proposito, eh?" mugugna Seiya.

"Nient'affatto," ribatte Hyoga, seccato. "Non è come pensi tu. Nemmeno io ho motivi per amare particolarmente Ikki, ma lo reputo troppo vendicativo e furbo per fare di nuovo il gioco del Sacerdote Supremo." Scuote la testa. "Comunque è inutile perder tempo a fare congetture su di lui, mentre l'unico di noi che dovrebbe conoscerlo bene sta zitto!"

Si sta rivolgendo naturalmente a me.

"Sto zitto perché non ho niente da dire," rispondo, con uno sforzo. Segue un denso silenzio, carico d'attesa: i miei amici non si accontentano di quella risposta, vogliono qualcosa di più. "E va bene," sospiro, "Mi spiego meglio. Non posso dirvi nulla a proposito di Ikki perché non lo conosco affatto. In tutti questi anni in cui mi è mancato, mi ero costruito una sua immagine che mi tenesse compagnia. Quando poi è tornato in carne ed ossa, ho fatto di tutto per ritrovare in lui lo stesso fratello che mi ero sentito accanto per tutta la vita. E non ho avuto il coraggio di guardare oltre." Chino la testa. "E' inutile chiedermi chi sia questo nuovo Phoenix, cosa pensi, cosa faccia, quali siano i suoi piani. In questi giorni ho vissuto con lui, ma senza ragionare... ho solo continuato a sognare." Non riesco a nascondere il dolore nella mia voce. "E quando i sogni finiscono... ci si sente tanto, tanto stupidi."

Per un istante tutti tacciono. Poi Seiya mormora:

"Beh, questo è vero. Ho provato anch'io di recente una sensazione simile, anche se per altri motivi." Si schiarisce la gola. "Comunque fatti coraggio, Shun: anche se Phoenix è uno sconosciuto per te, questo non fa automaticamente di lui un traditore!" Si volta verso gli altri. "Perché mai avrebbe dovuto rubare l'elmo di Aiolos? Sa già che in ogni caso non potrebbe indossare l'armatura del Sagittario: non è lui il predestinato e ne ha già avuto la prova. Possedere quell'elmo non gli servirebbe a niente..."

"Non è vero," replica Hyoga, gelidamente.

"Che vuoi dire?"

"Voglio dire che Phoenix ha sempre cercato di restare indipendente, di fare squadra per se stesso. Con l'elmo di Aiolos in mano, avrebbe il potere di inserirsi come terzo incomodo tra noi ed il Santuario. Diventerebbe l'ago della bilancia in questa guerra. Nessuno potrebbe scavalcarlo, né noi né il Santuario. Ci costringerebbe entrambi allo stallo, a meno che..."

"... una delle parti lo vinca, o venga a patti con lui," completa Seiya, pensierosamente.

"Ma cosa potrebbe volere ancora?" si chiede Lady Isabel. "A cosa mira?"

Nessuno di noi ha una risposta.

 

 

 

 

 

Esco dalla clinica sotto un cielo plumbeo, coperto. Mi fermo sul vialetto, mi volto a guardare la finestra al terzo piano, quella della stanza di Seiya. La posso riconoscere dal grosso mazzo di anemoni che Lamia ha disposto davanti al vetro. Quei due si sono lasciati, ma evidentemente si considerano ancora amici. Ma è proprio vero? Allora un sogno, anche un sogno d'amore, può finire senza distruggere tutto al suo passaggio?

Come vorrei che fosse vero anche per me...

Infilo le mani in tasca e mi volto, andandomene a testa bassa. Penso a Pegasus. Vorrei avere la sua tranquillità di spirito, che a volte sembra solo superficialità. Ma non lo è. Una persona superficiale non avrebbe sacrificato l'amore di una ragazza solo per non farla soffrire. E non avrebbe riconosciuto i meriti di un rivale antipatico. Ammiro tanto il suo coraggio, e mi sembra strano vederlo abbinato ad una spiritosaggine sull'orlo della spacconeria, così fuori posto in un cavaliere... ma chissà se questo lato del suo carattere non gli serva ad accettare il mondo, visto che poi non c'è nulla che riesca veramente a demoralizzarlo, ad abbattere la sua incrollabile fiducia in se stesso e nei suoi ideali.

"Guardate quanti tubi mi hanno messo addosso per non farmi muovere," ci ha detto allegramente quando Lady Isabel se n'è andata, cercando di tirarci su il morale (lui, che stava su un letto di ospedale!) "Santo cielo, mi è venuto un colpo quando ho visto fin dove me ne hanno infilato uno!" Ha gettato uno sguardo sotto il lenzuolo ed ha fatto una buffa smorfia. "Questi medici sono senza cuore. Dicono che vogliono tenermi almeno una settimana bloccato in osservazione, ma se lo sognano! Domani sparisco, ve lo garantisco."

"Non fare imprudenze," l'ha ammonito Hyoga.

Il sorriso di Seiya si è affievolito. "Imprudenze un accidente, so bene cosa mi è successo alla testa, se solo alzo il mento di scatto mi viene da vomitare. Domani non sarò certo guarito, ma non ho scelta, devo andarmene." E' diventato serio. "Tisifone è ancora in circolazione, e mi starà dando la caccia disperatamente. Se resto qui rischio di attirarla in questo ospedale pieno di gente, e quella pazza non starebbe tanto a sottilizzare: potrebbe fare una strage al solo scopo di farmi fuori. Per cui finirò di guarire al Saint George, così se quell'arpia vorrà uccidermi... bene, là potrà farlo senza che ci vadano di mezzo degli innocenti."

"Ci sarò io a difenderti..."

"No, russo." Ha alzato una mano. "Per favore, stai fuori da questa faccenda. Hai la tua bella bionda da portare a spasso, occupati di lei e non di me. Vedi, ormai la questione tra me e Tisifone non riguarda più Athena o il Santuario: è una cosa assolutamente personale. Voglio sistemarla una volta per tutte, faccia a faccia, e che vada come vada. Sono stufo marcio di fare da bersaglio mobile per quella fanatica."

"La ucciderai?"

Seiya ha esitato. Poi ha risposto: "No. Ammesso che riesca a batterla, poi! E' più forte di un sacco di maschi, anche di quelli della sua stessa gerarchia, e di sicuro più resistente. Ma non importa, non mi va di ammazzarla comunque." Ha scrollato le spalle. "Al diavolo le regole del Mondo Segreto: le donne sono donne, anche quando portano la maschera e sono Sante di Athena."

"Pensa ciò che vuoi," ha detto Hyoga, in tono severissimo. "Ricorda però che non puoi assolutamente permetterti di morire."

"Perché, ho l'aria di qualcuno che ha voglia di schiattare?" è stata l'allegra risposta, del tutto in carattere con il personaggio.

Poi è arrivato il neurologo, che doveva visitare il nostro compagno. Non si aspettava di trovarci ancora lì, ci ha rimproverato per aver stancato il suo paziente e ci ha mandato via senza tanti complimenti.

Hyoga ed io siamo usciti, in silenzio. Sull'ascensore lui mi ha guardato negli occhi, con deliberata intensità. La luce fredda del neon metteva in risalto i piani regolari, aristocratici del suo volto, e dava una luminosità particolare ai suoi capelli biondi, perennemente scomposti. Era bellissimo.

E crudele nella mancanza di ogni calore nello sguardo.

Ho sentito il cuore battermi forte, ho nascosto il mio turbamento voltandomi verso le porte dell'ascensore, che di lì a poco si sono aperte. Nell'ingresso semideserto lui si è fermato di colpo e mi ha detto, con voce priva di emozione:

"Hai recitato bene, Shun. Forse gli altri ti hanno creduto, ma io no."

Ho sentito un brivido nella schiena.

"Prima che rapissero Lady Isabel, mi avevi telefonato dicendo che avresti lasciato la casa in cui abitavi. Ma poi sei tornato a viverci come se niente fosse, invece di rientrare al Saint George: una decisione stupefacente da parte tua... a meno che non ti si conosca bene come ti conosco io."

"Che vuoi dire?"

"Che non sono uno sciocco. So perché hai voluto restare solo e lontano da tutti, specialmente da me. Allora, hai trovato Phoenix?"

Mi sono sentito impallidire. Sono rimasto in silenzio per qualche istante, poi ho chiesto:

"E' questo che credi che abbia fatto in questi giorni? Cercare mio fratello?"

"Esattamente. E non lo credo: ne sono assolutamente sicuro! Non puoi vivere senza di lui, il tuo attaccamento nei suoi confronti è troppo morboso."

"Hyoga," ho mormorato, guardandolo ad occhi spalancati.

Ma lui non ha mostrato la minima pietà. "Sono certo che hai fatto un buon uso privato dei tuoi poteri. Guai a metterli a nostra disposizione per stanare Phoenix, e costringerlo a render conto del suo operato! Il primo comandamento della tua vita è proteggerlo sempre, non è vero?"

"Perché mi accusi così?!" ho esclamato. "Non ho fatto niente del genere! Non ho mentito a te ed agli altri, non ho cercato Ikki..."

"Allora dovresti farlo. E con lo spirito giusto, stavolta! Condividendo la tua ricerca con noi, e smettendola di propinarci i tuoi assurdi silenzi. Perché di una cosa devi essere ben consapevole: se Ikki ha davvero rubato l'elmo di Aiolos, il vero colpevole sei tu." Mi ha puntato l'indice addosso. "Abbiamo riaccolto un nostro ex nemico contando su di te. Pegasus può dirti in faccia ogni sorta di romanticherie, ma la verità è che nessuno di noi si fidava veramente di tuo fratello. Non ci restava che contare sul suo affetto per te... e sulla tua fedeltà ad Athena." Una pausa. "Credo che qui stia l'errore che abbiamo commesso. Tu sei troppo debole ed egoista per essere davvero fedele a qualcosa."

Mi sono sentito morire. "E' questo che pensi di me?" ho mormorato, con voce rotta.

Hyoga è rimasto in silenzio.

"E' questo che pensi di me?!" ho ripetuto, con un tono così disperato che qualcuno si è girato a guardarci.

"Si," ha risposto, glaciale.

"Credevo che tu fossi mio amico!..."

Lui ha sospirato, mi si è avvicinato fino a parlarmi quasi sulla faccia.

"Certo che sono tuo amico, sciocco. Come potrei fare a meno di considerarmi tale?" Un sorriso sardonico. "E specialmente dopo quel che sei riuscito a farmi fare, quella sera... solo un buon amico come te avrebbe potuto approfittare tanto della mia debolezza, vero?" La sua mano è salita a spostare uno dei riccioli che mi cadeva sul viso, con illusoria dolcezza. "Per questo ti parlo con franchezza, invece di dire a tutti che cosa si nasconde dietro a quest'aria tanto candida che hai in faccia. Ascoltami bene, perché non te lo dirò una seconda volta: non aggiungere anche il tradimento alla lista dei tuoi peccati. Questo sarebbe troppo da perdonare... persino per me!"

E mi ha voltato le spalle, andandosene senza nemmeno salutarmi.

Rabbrividisco ancora, ricordando quel dialogo. Ma cos'ha Hyoga contro di me, per trattarmi con tanta cattiveria? Mi ha sbattuto in faccia tutte le cose più terribili, senza risparmiarmi niente, quasi volesse deliberatamente vedermi scoppiare a piangere come un bambino! Solo per un pelo sono riuscito a trattenermi... sono stato bravo a resistere, sono stato forte e dignitoso, come mio fratello avrebbe voluto. Ma avrei dovuto esserlo un poco di più per reagire, per ribattere in faccia a Hyoga le mie ragioni, con la sua stessa, brutale franchezza: ricordargli ad esempio che nell'ultima battaglia dopotutto gli avevo salvato la vita, e meritavo almeno un poco di riconoscenza... e che quella sera fatidica era stato lui a baciarmi per primo...

Ed invece non ho detto niente. Non ho fatto altro che subire, come sempre!

Sento il dolore opprimermi il petto, devo fermarmi, respirare profondamente. Divento così consapevole di un odore strano nell'aria, come di polvere. Qualcosa mi solletica la testa, tra i capelli. Intorno a me sono sbocciati tanti ombrelli, come fiori multicolori sotto la luce dei lampioni. Li guardo stranito.

Da quanto tempo sta piovendo? Non me ne ero neanche accorto...

Mi metto a correre. Non per sfuggire alla pioggia, ma per sentirla in faccia, per sentirmi ancora vivo. In questo momento posso non pensare, liberare la mia tristezza in mezzo a tutta l'indifferenza che mi circonda. Mi sento come se fuggissi da qualcosa senza volto... e corro, corro, con i vestiti appiccicati al corpo, le scarpe che sguazzano nelle pozzanghere, il mio stesso respiro nelle orecchie, la gloria di un temporale primaverile negli occhi.

Tanto mi godo quel pietoso oblio che quasi non mi rendo conto di essere arrivato. All'improvviso mi ritrovo davanti al cancello della bella casa, quella che ho abitato insieme a mio fratello tanti sogni fa. Mi fermo, ansimando: non ho nemmeno usato le mie energie nascoste, qualcosa mi ha impedito di chiamarle... in qualche modo volevo arrivare qui esausto. E ci sono riuscito.

Guarda, Hyoga!, vorrei gridare, colmo di amarezza. Eccola, la mia casa fredda, vuota e silenziosa, che con tuo sommo stupore ho preferito alla comodità del Saint George, alla tua confortante presenza. E' per questo che ce l'hai con me? Perché ho preferito stare per conto mio? Ma la ragione è così semplice! Tu hai Daisy, hai un amore da vivere, io non ho niente! Questa casa è la mia scuola, dove imparare a convivere con la mia nuova compagna...

La solitudine.

E' una situazione nuova per me. Non mi ero mai sentito veramente solo prima: per male che mi andasse, avevo sempre mio fratello con me... anche quando era fisicamente lontanissimo, o addirittura morto; incombeva sempre nei miei pensieri, era la mia speranza, il mio esempio da seguire, il mio spirito custode capace di darmi la forza di andare avanti.

Ma adesso è tutto finito! E non per colpa dei Thule, o dei nemici, o del destino: solo perché lui ha deciso così, punto e basta. Un saluto frettoloso, nessuna spiegazione, e mi ha lasciato in questo modo così poco romantico. Ha distrutto in pochi istanti qualcosa che apparteneva anche a me, l'unica ricchezza della mia intera vita...

Perché dovrei cercarlo, dunque? Perché dovrei rivederlo, quando mi ha dimostrato che per lui valgo così poco?!

"Ci vuole tanto a capirmi, Hyoga?" gemo, come se lui fosse lì.

Ma mi risponde solo lo scroscio della pioggia.

Estraggo di tasca la mia chiave elettronica tutta bagnata, la infilo nella fessura del cancello. Devo fare diversi tentativi prima che il lettore funzioni e mi apra le porte. Entro sbattendo il cancello alle mie spalle, mi tolgo le scarpe con un calcio all'ingresso, mi spoglio quasi rabbiosamente dei vestiti fradici nell'anticamera ed entro in casa, nudo e infreddolito. Attraverso la sala troppo silenziosa, vado in quella che era la camera di mio fratello, mi butto sul suo letto, abbraccio il suo cuscino.

E chiudo gli occhi.

Ikki, ti prego. Dimmi che non mi hai tradito fino a questo punto.

Dimmi che non sei stato tu!

***

"Che bello, essere visitati da una signora," dico, inclinando appena la testa per guardare meglio la mia ospite. "Specie quando giunge inaspettata."

I miei uomini sono tesi allo spasimo, ma non si muovono. Guai a loro se ci provano. La signora che è entrata è in grado di ammazzarli tutti in pochi secondi, ed io non posso permettermi perdite inutili.

Che sia una lei lo si capisce dalla voce, e da qualche curva muliebre: per il resto, il suo abbigliamento stravagante sembra gettato a caso su un corpo degno di un lottatore. E' alta, quasi come me, senza un grammo di grasso addosso, tutta muscoli nervosi; se ha delle tette, queste spariscono tra gli ampi pettorali e le spalle squadrate da ginnasta. Le sue mani bianche, dalle vene rilevate, hanno l'aria di saper stritolare l'acciaio; su una di esse appare la parte terminale di un tatuaggio nascosto dalla manica nera... la testa di un'aquila.

La sua figura cosmica. Sorrido appena. Siamo entrambi uccelli rapaci, dunque.

Questa figura androgina poggia con sicurezza su scarpe lucide dal tacco a spillo, e porta in testa un civettuolo cappello nero con veletta, che avvolge completamente il viso. La veletta è talmente fitta da chiedersi come faccia la donna al suo interno a vederci.

"Spero che le tue intenzioni siano in armonia con il tuo look, bella signora," dico, ostentando una tranquillità che non possiedo affatto.

Lei alza le mani con il palmo in alto, l'antico gesto di pace. Mi rilasso di un millimetro.

"Voialtri, fuori," ordino, con un cenno ai miei uomini.

Non ne sono contenti, ma obbediscono e se ne vanno, chiudendo la porta di metallo.

La donna non aspetta il mio invito, va a prendersi una sedia pieghevole e la piazza davanti a me. Noto il magnifico controllo dei suoi movimenti, misteriosamente sensuali (mi ricordano parecchio quelli di Shun, tutti grazia e fluidità). Quando mi volta le spalle vedo una grossa treccia di capelli lanosi, ramati penzolare sulla sua schiena. Mi chiedo quanti anni abbia, e di che nazionalità sia.

"Complimenti per la scelta dell'abbigliamento," esordisco, quando la vedo seduta di fronte a me. "Più che una sacerdotessa, sembri una puttana."

Lei risponde senza animosità: "Una puttana è l'unica donna che tutti si aspettano di veder entrare in questo posto."

Sorrido. "Desolante, non è vero?"

"Hai scelto tu questo territorio, Phoenix."

"E tu mi hai trovato." Annuisco. "Sei davvero in gamba, Castalia."

E non lo dico con ironia: questa donna ha avuto il coraggio di sfidare il Mondo Segreto stando lontano dal potere della Fondazione Thule. Ha battuto Asterion che non era certo l'ultimo arrivato, mettendo nel sacco i suoi stessi cacciatori. Infine, è la maestra di Seiya, e chiunque abbia fatto di quell'imbecille un cavaliere è degno di stima.

La studio, in silenzio. La conoscenza del linguaggio del corpo, che mi rende trasparenti pensieri ed intenzioni di buona parte dell'umanità, mi è del tutto inutile con lei. Non ho mai percepito prima un tale nulla di fronte a me: qualcosa di chiaramente deliberato. Quasi mi metto a ridere rendendomi conto che, mentre sto qui a pensare, Castalia mi sta restituendo la pariglia, studiandomi a sua volta. Ed è favorita perché può vedermi in faccia.

"Si, davvero in gamba," ripeto, tetramente divertito. "Molto più in gamba di tanti Santi d'Argento che ho conosciuto in Grecia. Mi sembra strano non aver mai sentito parlare di te."

"L'addestramento di Seiya mi ha tenuta lontana dagli occhi del Tempio."

"Il barbaro ti sporcava agli occhi dei tuoi compagni, vero?"

Non ho bisogno di una risposta, in verità: conosco bene il razzismo latente tra la gente del Santuario. Non ero arrivato laggiù da due giorni, che un cavalierucolo volle subito sfidarmi chiamandomi sporco selvaggio. L'ammazzai senza tante storie, e con tanta rapidità da chiudere il becco a tutti gli altri. E' una delle morti che ho inflitto di cui non mi pentirò mai.

Castalia annuisce. "Comunque era quel che volevo: ho sempre preferito stare nell'ombra, ignorata il più possibile. L'ostracismo verso Seiya me ne ha dato l'opportunità."

"Ti piacciono i reietti, eh?"

"Ho semplicemente intuito il grande potenziale di quel ragazzo," risponde, senza raccogliere la mia allusione a Ioria, o anche a me stesso. "Non potevo permettermi di sprecarlo, qualunque fosse il prezzo per me."

"Direi che hai fatto miracoli con lui."

"Nessun miracolo. Seiya ha tutte le caratteristiche dell'eroe."

"Stupidità compresa."

Mi aspetto che si arrabbi o si metta a ridere. Ma non fa nessuna delle due cose.

"I veri eroi non pensano mai molto alle conseguenze di ciò che fanno," dice, con ammirevole tono professionale. "Non devono farlo, perché sarebbe loro d'impaccio. All'eroe si richiede la capacità di perseguire un singolo scopo, con disinteresse di tutto il resto. All'eroe si richiede determinazione, non intelligenza... a parte naturalmente quella necessaria all'adempimento del suo compito. Pegasus è perfettamente adatto al ruolo che gli spetta. Se il Grande Torneo fosse stato concluso, avrebbe vinto lui l'armatura d'oro."

Questa, poi... Un angolo della mia bocca si alza appena in una smorfia ironica. "Ti sbagli, bella signora. Il tuo eroe non è al mio livello. Se avessi partecipato anch'io..."

"... non saresti quel che sei."

Resto un istante in silenzio.

"E cosa sarei, di grazia?"

"Non certo un eroe, men che meno il secondo Aiolos. Sei Phoenix, l'incognita, forza pura senza redini, sempre a cavallo tra santità e megalomania... qualcuno da guardare con sospetto anche se salvasse l'intero universo."

Però, che bella descrizione! Mi chiedo se per caso Castalia non abbia conosciuto Cuauhtlehuànitl, la precedente Fenice. Non è impossibile, se è abbastanza vecchia. La sua maturità parlerebbe in tal senso... ma quel fisico scolpito non dà indicazioni di sorta.

"Vista la bella fama che mi porto dietro, cosa vuoi da me?"

"Credi che sia qui per sfidarti?"

Faccio un sorriso tagliente. "Oh, no. Sarebbe un errore da parte tua: perderesti un bel vantaggio non attaccandomi di sorpresa. Certo, so bene che non è nel tuo stile, Seiya ce l'ha detto... del resto è ovvio che molte delle sciocchezze a cui crede gliele hai inculcate proprio tu, a dispetto della tua scaltrezza."

Sento una bassa, quieta risata.

"Non dire questo, Phoenix. L'unica sciocchezza di Seiya che non condividi è il suo inutile paternalismo verso le femmine... cosa di cui peraltro ti sono grata. Per il resto, vi comportate entrambi allo stesso modo." Alza una mano. "Con motivazioni diverse, certo; ma il risultato finale è lo stesso."

Stringo i braccioli della mia sgangherata sedia da ufficio. Chi è questa donna, che mi sta mettendo in scacco proprio nel gioco che mi si addice di più? Non riesco a provocare in lei le reazioni emotive che me la rivelerebbero. Sento il desiderio impellente di espandere il mio cosmo, concentrare i miei poteri mentali; ma non sarebbe saggio in questo frangente.

E lei deve saperlo bene.

Sospiro. "Non sono maschilista come Seiya, ma non mi andrebbe comunque di battermi contro di te. Sei un'avversaria molto pericolosa, ed io evito i rischi quando posso farlo."

"La stessa cosa vale per me, Phoenix. Quindi non ho intenzione di affrontarti..." Fa una pausa molto significativa, e aggiunge: "Per ora."

"Ti sei imbarcata nell'impresa di trovarmi solo per recapitarmi questa cortese minaccia?"

"No. Sono qui per offrirti informazioni."

La guardo sospettosamente. "In cambio di che?"

"Di nulla."

"Di nulla, eh?" Sorrido, ironicamente. "Solo per i miei begli occhi a mandorla."

"Molto esotici," ribatte lei con improvviso, devastante buonumore. "Al Santuario avranno di sicuro stregato qualche ierodula, spingendola a regalarti dei piaceri speciali. Ma per quanto riguarda me, stai certo che non regalerei nulla in cambio di essi... né di tutto il resto, prima che tu me lo chieda."

Resto un istante in silenzio.

Poi ridacchio, concedendole questa piccola vittoria. "Peccato, Castalia! Mi hai davvero smontato. Eppure saremmo stati una bella coppia, io e te. Sembriamo fatti della stessa pasta velenosa."

"In effetti abbiamo parecchio in comune," annuisce lei. "Agiamo allo stesso modo. Ed abbiamo la stessa utilità."

"Utilità per chi?"

"Per Athena, naturalmente."

Smetto di colpo di sorridere. "E chi ti dice che lavori per lei? Per quanto mi riguarda, può andare all'inferno!"

Lei si irrigidisce visibilmente. "Bada a come parli, cavaliere. Sono venuta in pace, ma non posso tollerare un sacerdote che bestemmia."

"Stai sicura che non lo faccio volentieri." Sospiro. "Stavo molto meglio quando non avevo nessuno da bestemmiare... quando credevo che gli dèi fossero idiozie del passato. Ora so che non è così, e questo mi fa solo più rabbia. Ti sei guardata intorno mentre venivi qui, sacerdotessa? Hai visto lo squallore, la povertà, la violenza che ci circonda?... E' in posti come questo che ti chiedi cos'abbia mai fatto Athena per l'umanità."

Lei tace, a lungo. Poi alza la testa velata e risponde, quasi con tristezza:

"Sai cos'ha fatto, Phoenix? Ha sempre protetto l'umanità dalle ingerenze dei suoi simili, gli altri dèi, ai quali ha sempre fatto gola la massa di individui inferiori che siamo. Senza di lei non avremmo avuto una storia, saremmo ridotti ad un mucchio di adoratori, di animali da allevamento... forse felici e ben nutriti, ma incapaci di decidere il nostro destino. Non avremmo potuto fare le nostre scelte, giuste o sbagliate. E non avremmo potuto prenderci la responsabilità dei nostri errori, quelli che hanno creato inferni come questo. Athena ci salva dagli immortali... ma proprio perché ci ama, deve lasciare che l'umanità si salvi da se stessa."

Reprimo l'impulso automatico di irridere tutto quel che mi si dice quando si parla di religione. E taccio, riflettendo che Castalia ha tagliato la risposta su misura per me, mettendoci tutta la sua sincerità, spogliandola di tutti i vani misticismi che ho sentito ripetere fino alla nausea. C'è qualcosa di molto convincente in quel che ha detto...

Anche troppo.

E' una donna intelligente, penso torvamente. Ecco perché è così pericolosa.

Cambio bruscamente argomento.

"Parlavi di informazioni."

Lei emette un lievissimo sospiro.

"L'armatura del Sagittario sta diventando un problema capitale per il Santuario. Nessuno probabilmente immaginava che sarebbe stato così difficile recuperare tutti i pezzi e distruggerli. La tensione sta salendo oltre ogni limite, ed il Sacerdote Supremo è sul punto di avvalersi delle risorse che fin qui aveva esitato anche solo a considerare." Una pausa. "So che presto arriverà qui un cacciatore speciale, col compito di recuperare l'axia."

"Speciale in che senso?"

"Qualcuno che io non posso fermare."

"Ed io si?"

Esita, a lungo. Poi scuote la testa. "Non credo."

"Alleluia," mormoro appena, "Chi è questo fenomeno?"

"Non posso essere sicura della sua identità."

"Non devono essere molti coloro che possono farti paura."

"Mi sopravvaluti. Ci sono molti guerrieri che mi sono superiori... Tisifone di Ofiuco, ad esempio. Una dura avversaria, e la sua costellazione è così prossima al passaggio del sole da renderla singolarmente potente: credo che sia la più dotata tra tutti i cavalieri d'argento di Grecia." Una pausa. "Però recentemente è stata dichiarata decaduta, dopo che ha anteposto il suo onore personale agli ordini del Santuario."

"Quindi è esclusa. Chi resta?"

"Qualcuno più forte anche di lei."

Mi appoggio allo schienale, colpito da quel che potrebbe implicare quella frase.

"Questo... è impossibile!"

Lei replica seccamente: "Ti sto facendo un favore, Phoenix. Se ti va, prendilo così com'è, e non chiedermi anche di discutere le mie informazioni."

Mi costringo a restare calmo. "D'accordo. C'è dell'altro?"

"Si. Non esistono più scuole segrete. Il Santuario ha mandato ovunque gente di fiducia a fare pulizia." Alza la testa. "C'è qualcosa a cui tieni sulla tua Isola Nera?"

Un mucchietto di bianche ossa in un buco nella lava... "No," rispondo, con un filo di voce. "Non ho nulla laggiù. Perché?"

"Perché tra sette giorni quell'isola cesserà di esistere. Esploderà e sprofonderà nel mare, lasciando al suo posto solo una laguna." La sua voce si fa amara. "Sarà un'interessante spettacolo naturale per i vulcanologi di tutto il mondo."

Io resto senza parole, fissando il vuoto. Lei si alza senza fretta, aggiustandosi la gonna sulle gambe muscolose. E sulla porta si volta a guardarmi.

"Come vedi, Phoenix, a volte anche l'impossibile può accadere."

***

La suoneria del telefono trilla, interrompendo gli esercizi che svolgo nell'autorimessa (io la uso come palestra, non avendo ovviamente una macchina!). Mi getto l'asciugamano intorno al collo, balzo sulle scale e in pochi istanti sono in sala. Guardo quell'apparecchietto nero, che solitamente giace dimenticato su un mobile: chi può essere a chiamarmi? Il mio numero non appare certo sulla guida telefonica.

Schiaccio il pulsante con l'ideogramma della voce, e l'altoparlante entra in funzione.

"Pronto?" dico, un po' imbarazzato. Non sono a mio agio con le telefonate.

"Shun, sei tu?"

Esito un istante. "Si. Chi parla?"

"Ma come, chi parla?" La voce emette un sospiro. "Sono io, Seiya. Accidenti, non sembravi nemmeno tu... credevo di aver sbagliato numero."

"Non ti avevo riconosciuto, scusa," dico, rilassandomi. "Come stai?"

"Sto meglio." Uno sbadiglio. "Sono qui al Saint George, a letto, marcendo di noia. Mi sono detto che la Fondazione è abbastanza ricca da pagarmi qualche telefonata. Così ho fatto i capricci finché Mylock mi ha dato un portatile, ed il tuo numero."

"Perché hai voluto telefonare proprio a me?"

"Che c'è, ti sto rompendo l'anima?"

Mi sento subito contrito. "No di certo. Scusami."

"Siamo amici, no?" Una pausa. "Oppure ce l'hai ancora con me per avertele cantate sul muso quella sera? Guarda che se hai qualcosa da dirmi, gradirei che me la dicessi in faccia e buonanotte. Dimmi pure che sono stato un bastardo, un imbecille, ma non tenermi il muso." Un sospiro. "Non ce le possiamo permettere queste scemenze tra di noi. D'accordo?"

"Si," rispondo, tristemente. "Hai ragione, Seiya, ma guarda che non ce l'ho affatto con te. Quando mai ho tenuto il muso a qualcuno in vita mia?"

"C'è sempre una prima volta. Sei sparito dalla circolazione, era ovvio che pensassi male, specie dopo la nostra litigata. Comunque a qualcosa è servita, Lady Isabel mi ha detto come ti sei comportato dopo..." Una risatina. "Quindi adesso mi sento un po' carogna."

"Non devi, avevi ragione a dirmi quelle cose." Mi tolgo i capelli appiccicati al volto, con un profondo sospiro. "Mi spiace averti fatto credere che ce l'avessi con te. So che mi faccio vedere poco, che mi sto comportando male non venendo a trovarti..."

"Non sentirti in colpa, posso sopravvivere anche senza vedere il tuo bel faccino tutti i giorni!" Il suo tono scherzoso si smorza un po'. "Non ti ho telefonato per lagnarmi, volevo solo essere sicuro che tutto fosse chiaro tra noi due. E poi so che stai passando un brutto momento. Anche per questo ti ho chiamato, ho pensato... che ti servisse un amico."

Quella frase mi fa inspiegabilmente salire un nodo alla gola.

"Ehi, Shun." Una pausa. "Ci sei?"

"Si, ci sono."

"Non starai mica piangendo, eh?...." Una risatina. "Ehi, sei un Santo d'Argento ormai! Hai battuto Kratos di Antlia, eguagliando il suo cosmo in battaglia. Chissà che festa sulla tua isola... in tremila anni sei il primo cavaliere con l'armatura di Andromeda a salire di gerarchia, non è vero? Dovresti essere orgoglioso di te stesso. Pensa! Un ragazzino della tua età che fa quello che omoni grandi e grossi non riescono a fare..."

"Seiya." Si interrompe. "Stai cercando di tirarmi su il morale?"

Segue un certo silenzio.

"E sto fallendo di brutto, vedo." Un sospiro. "Senti, hai voglia di parlare?"

"Parlare di cosa?"

"Di te, per esempio."

"Non ho niente da raccontarti..."

"Come vanno le cose con Crystal?"

Mi viene un tuffo al cuore. Che significa quella domanda?

Lui interpreta correttamente il mio silenzio. "Non vanno molto bene, come pensavo."

Il nodo alla gola è ancora lì.

"Seiya, per favore... non mi va molto di parlare di Hyoga, e dei miei rapporti con lui."

"Capisco." Una lunga pausa. "Se non posso ascoltare i tuoi sfoghi, in che altro modo posso aiutarti? Beninteso, senza essere sleale verso un altro amico."

"In nessun modo, temo." Sorrido appena. "Ma credimi, è già tanto avermi dimostrato che ti preoccupi per me..."

"Beh, a dir la verità non sono preoccupato solo per te. Lo sono per tutti noi. Credi che con tutti i guai che abbiamo ci faccia bene questa continua atmosfera da guerra civile?"

"No, ma non è certo colpa mia!"

"Vuoi dire che la colpa è di qualcun altro?"

"Mi conosci da anni, sai che non ho mai voluto far male a nessuno, che sono il primo a soffrire in certe situazioni." La voce mi trema. "E ti assicuro, non sono felice all'idea che qualcuno mi detesti... quando io non ho fatto niente per meritarlo!"

"Come no," mormora lui.

Trasalisco. "Che vuoi dire?"

"Lasciamo perdere," borbotta.

"No, adesso non puoi più tirarti indietro," dico con veemenza. "Mi hai appena detto di essere franco con te, e lo sono stato. Se siamo amici, devi parlare chiaramente anche tu!"

"Davvero lo vuoi? Non può farti molto piacere, ti avverto..."

"Se ho sbagliato in qualcosa, è tuo dovere di amico dirmelo!"

"Non sarebbe questo il momento adatto per te, visto che sei già così depresso."

Mi sento il sangue salire alla faccia. "Non sono più un bambino, Seiya."

Segue un certo silenzio.

"Come vuoi. Forse ti farà bene, ti servirà a vedere le cose in un'altra ottica." Respira a fondo. "Guarda che hai la tua bella parte di colpa in questo casino. Sei tu il vertice di questo dannato Triangolo delle Bermuda."

"Eh?"

Seiya esplode: "Ma si, mi hai capito benissimo! Ikki, Crystal e te! Con tutti i problemi che abbiamo, guerra segreta e tutto il resto, ci mancava solo il vostro tempestoso imbroglio di fratellanze vere e presunte, con relative scenate di gelosia..."

"Gelosia?!" faccio eco, incredulo.

"Certo," afferma lui, cupamente. "Gelosia. Soprattutto da parte del russo, anche se Ikki sotto sotto non scherza. Sono due gattoni sulla stessa trippa, mio caro Shun. E la trippa sei tu!"

Resto esterrefatto.

"No, ti sbagli," dico, con voce incerta. "Ikki e Hyoga hanno le loro questioni personali, nelle quali io non c'entro. Che importanza posso avere per loro? Mi hanno chiamato fratello, ma lo sanno anche i sassi che non lo sono..."

"E allora?" ribatte lui, seccato. "La fratellanza non è una mera questione di sangue. Ho sempre considerato te ed Ikki i fratelli per antonomasia, anche se siete diversi come il giorno e la notte." Un sospiro. "Davvero un bel sentimento il vostro... tale da fare invidia ad un povero lupo solitario come Crystal. Che infatti vi orbitava intorno come un affamato al panino."

Sorrido amaramente a quella metafora. "Si, però poi ha morso me, non Ikki. Se era solo il nostro sentimento che voleva condividere, perché mai non ha cercato di fare amicizia anche con mio fratello?"

"Sicuro che non l'abbia fatto?" insinua lui. "Io credo di si. A modo suo, certo. Facendo lo spietato e gareggiando con Ikki per il trofeo della stronzaggine. Sarà, ma quando nelle nostre riunioni li vedevo fianco a fianco mi sembrava di rivivere i tempi del Saint George, quando quei due andavano d'amore e d'accordo: la coppia di musoni che guardava tutti dall'alto al basso!" Ridacchia. "Ed infatti sotto sotto erano sempre dalla stessa parte, con le stesse idee, e la stessa fissa di martellare il sottoscritto."

Sono sbalordito.

"Questa non è amicizia, Seiya!"

"E tu che ne sai? Non sei nella testa di tutti, l'amicizia cambia con le persone. Può darsi che il tuo concetto di amicizia sia altrettanto sgradevole per qualcun altro, ci hai pensato?"

Quelle parole mi fulminano.

"Tu... la troveresti sgradevole?" chiedo, con un filo di voce.

"Beh, se ti definisci amico di Crystal, avrei qualcosa da ridire sul tuo comportamento."

Mi sento all'improvviso come se fossi nudo e vulnerabile.

"Seiya," mormoro. "Dì la verità... cosa ti ha detto Hyoga di me?"

"Cosa vuoi che mi abbia detto?" risponde lui, acidamente. "Niente! Quell'orso kodjak è troppo riservato, non posso neanche iniziare una domanda personale che mi guarda come se volesse gelarmi il culo!" Sospira. "Ma guardate che io non ho mica i vostri alati sentimenti a tapparmi gli occhi. Credete che i fatti vostri siano tanto misteriosi? Credete che i comuni mortali non vedano i casini che combinate?"

"Di che stai parlando?"

"Del motivo per cui Crystal è incazzato a morte con te, e per estensione con Ikki. Non è un mistero per nessuno, mio caro Shun."

Mi manca il fiato. "Che gli ho fatto di male?..."

"Devo proprio farti il disegnino?... Beh, allora torna un po' indietro nel tempo, al brutto momento dopo la battaglia del Suizhan. Ricordi? Eri solo e depresso, così il russo aveva deciso di entrare nel suo ruolo di fratello maggiore. E, porca miseria, faceva sul serio: si sbatteva per te, faceva di tutto per starti vicino, per aiutarti... sinceramente, non so cosa si potesse pretendere di più." La sua voce si fa severa. "E tu? Cosa gli davi in cambio? Solo le briciole del tuo affetto per Ikki! Si vedeva lontano un miglio che non ti faceva schifo la sua attenzione, ma non facevi che pensare sempre ad Ikki con nostalgia. Che goduria sbattersi per qualcuno che piange sempre per qualcun altro... Crystal ha sopportato in silenzio, ha continuato a volerti bene da bravo fratello, anche se un po' scocciato; finché un bel giorno la nostra cara Fenice è rinata dalle sue ceneri, e allora fine del suo sogno!... Non ci hai messo neppure dieci secondi a scaricarlo, dopo che si era sbattuto tanto per te. Hai preso le tue cose e sei corso dietro al redivivo, agitando la manina, ciao tovarish, hai finito di essermi utile, grazie tante per la collaborazione e distinti saluti!"

Rimango di sasso. Seiya ha descritto la situazione dal suo spassionato punto di vista... ed il mio ritratto che ne viene fuori non è per niente lusinghiero!

Possibile che sia stato davvero così cieco? Così stupido? Così crudele?!

"No!" esclamo, inorridito. "Le cose non stanno così, te l'assicuro..."

"Me lo auguro, però è così che sembrano. Ed è giusto che tu lo sappia."

"E se invece di far congetture, avessi chiesto a Hyoga le sue ragioni?" Sento una furia interiore salire, come mai ne ho provata. "Ma è più difficile fare questo tipo di domande a lui, non è vero? E perché poi avrebbe dovuto risponderti, quando lui fa una così bella figura davanti agli altri, e lascia proprio a me la parte del cattivo senza scrupoli? E' molto più comodo mettermi sotto accusa e dirmi che la colpa di tutto è soltanto mia!"

"Ehi, un momento, non ti inalberare così..."

"E pensare che mi conosci da quand'ero bambino!"

"Certo che ti conosco, e ti assicuro, in tutti questi anni non sei cambiato di un filo. Sei ancora un bambino, per quanto tu dica il contrario... e non è colpa tua se fai anche le stesse cazzate di un bambino."

Sento il sangue salirmi alla faccia. Un bambino! Dopo tutto quel che ho fatto... dopo tutto quel che ho passato...

"Shun?" La voce di Seiya suona interrogativa. "Che ti succede?"

"Vai al diavolo!!!" urlo, fuori di me.

E assesto una manata sul tasto dell'altoparlante, staccando la comunicazione.

Per un lunghissimo istante resto lì, ansimante, fissando il telefono.

Oh Dio, che ho fatto?! Seiya ha ragione, sono proprio un bambino! Ecco come ho trattato un amico, ferito, con un sacco di problemi suoi da affrontare... e che tuttavia mi aveva telefonato per primo, proprio per aiutarmi! Sono stato io a chiedergli di essere franco, ad insistere persino... e poi gli ho sbattuto il telefono in faccia solo perché non mi ha detto quel che volevo che mi dicesse!

Ma dopotutto, cosa volevo che mi dicesse?

Non lo so nemmeno io...

Mi prendo la testa tra le mani, pieno di vergogna. Non so più cosa fare. Forse dovrei telefonare a Seiya, scusarmi con lui... ma non so nemmeno il suo numero...

Non ce n'è bisogno, perché il telefono suona ancora, ed il suo trillo mi colpisce come una frustata. Balzo da dove sto, fissando spaventato l'apparecchio.

E' lui che mi richiama, ne sono sicuro.

Se non sono un bambino, devo dimostrarlo prendendomi la responsabilità di quel che ho fatto. Cerco di calmarmi, e premo di nuovo il tasto dell'altoparlante. Ma quando cerco di dire il classico "pronto" mi manca il fiato.

Non riesco a far altro che stare miseramente in silenzio.

La voce di Seiya esce dall'apparecchio, per niente arrabbiata.

"Ehi, Shun, ci sei?... Beh, non rispondere, non mi serve. Ma sappi che sono contento. Almeno so che ti sei sfogato un po', è anche a questo che servono gli amici." Una risata di cuore, come solo lui può farne. "Cavoli, però, sono emozionato! E' la prima volta in vita mia che ti sento mandare al diavolo qualcuno... cominciavo a temere che non ci saresti mai riuscito!"

E riaggancia.

Per chissà quanto tempo resto lì, seduto per terra, con la testa sulle ginocchia, a sentire il segnale di linea libera, il ronzio che riempie il silenzio intorno a me.

***

Quella sera mi sento diverso. Invece di restare come al solito a fissare il soffitto, mi butto addosso il meglio dei pochi vestiti che abbia, metto dei cerotti sulle ferite delle mani che non sono ancora del tutto guarite, e finalmente mi decido ad uscire da solo.

Vado al solito ristorante giapponese: ho molta fame e in questi giorni ho mangiato troppo poco, il mio corpo protesta (povero corpo mio, che fa sempre le spese dei miei umori!). Come al solito avventori e cameriere mi guardano stranamente, forse sembro un po' giovane per andare a cena da solo in un posto tanto raffinato. Che pensino quel che vogliono! Tanto la mia gioventù è solo un'impressione: non ho più il diritto di essere immaturo con le esperienze che ho fatto, questo è stato il messaggio di Seiya.

Mi accomodo al mio solito tavolino, ed ordino orgogliosamente una lauta cena. Mentre l'attendo getto uno sguardo intorno, notando che sono l'unico avventore solitario nel locale: gli altri sono tutti in compagnia. Qualcuno si accorge di me e ricambia le mie occhiate, arrossisco un po' rammentando che non sta bene fissare le persone mentre mangiano. Così sposto lo sguardo sul posto vuoto davanti a me, destinato a restare tale per tutti i giorni a venire.

E non posso fare a meno di ricordare mio fratello, quando sedeva dall'altra parte del tavolino. Sospiro profondamente, mentre tutta la mia euforia se ne va: oh, quanto mi manca... che importava se ci parlavamo poco? Mi bastava essergli vicino! Non mi stancavo mai di spiarlo, felice della sua compagnia, commosso dalla remota tristezza dei suoi occhi bruni che non si cancellava mai del tutto, neanche quando sorrideva. Non so se era l'affetto che provavo per lui, o la mia sensitività interiore, ma mi sembrava che da lui emanasse un alone di calore, un fuoco al quale mi scaldavo con piacere...

Ora tutto ciò che può scaldarmi è la zuppa di cetrioli alla moda di Kyoto.

Finisco la mia cena, con molto meno gusto di quanto mi aspettassi, e pago il conto uscendo nella notte. Mi sento irrequieto: pensando a mio fratello, non posso fare a meno di chiedermi dove sia andato a finire. La prontezza con la quale è intervenuto farebbe pensare che non ha lasciato Nuova Luxor. E se è così, probabilmente si è nascosto nella zona del porto, la sua favorita: una vera e propria città nella città, una ragnatela di docks, cantieri, magazzini, case fatiscenti, abitata per lo più dalla parte povera della popolazione e da un flusso incessante di stranieri: qualcosa di quasi impossibile da controllare, anche per la polizia.

Ed Ikki deve pensare che è meglio evitarla, ora che ha infranto il patto con Lady Isabel. Ha sempre saputo che dietro la facilità con cui la duchessa aveva sistemato la sua posizione legale si celava un potenziale ricatto: così come la Fondazione l'aveva riabilitato con le autorità, poteva anche comprometterlo. E forse per questo non aveva mai messo tutte le sue carte in tavola: per esempio, non aveva rivelato a nessuno dove e come si fosse nascosto nel periodo tra il furto dell'armatura d'oro e lo scontro sul Suizhan...

La cosa che mi fa più male è sapere che non si è fidato neppure di me. Mi ha tagliato fuori dalla sua vita. Certo, non ignora la mia più grande, se non unica virtù: quella della sensitività. E non si fa illusioni a proposito del fatto che, con un po' di fortuna, potrei trovarlo non appena avesse la necessità di convogliare energia. Mi ha persino lasciato quella piuma di Fenice, che è in risonanza con il resto della sua armatura, per cui posso sempre sapere se sta combattendo o meno... ma è un modo molto sottile per dirmi che devo accontentarmi di questo, e non usare il mio potere per dargli la caccia.

Ho il diritto di abusare della sua fiducia, ora che lo sospetto di aver tradito la mia?

Non so che fare...

Cammino in lungo e in largo per il centro della città, cercando sempre il contatto con la gente, facendomi quasi soffocare da essa. Ogni tanto ho come l'impressione di essere sorvegliato, di essere seguito. Mi fermo allora sul marciapiede, voltandomi intorno alla ricerca della persona misteriosa che mi sta osservando; ma dopo un po' non mi resta che riprendere la mia strada, a testa bassa, pensando che sto solo illudendomi: nessuno mi sta seguendo, è solo che molti vanno nella mia stessa direzione. C'è chi mi guarda, ma poi tira dritto, e nessuno si disturba a rivolgermi la parola.

Alla fine mi siedo sconsolatamente su una panchina, all'ingresso di un luminoso centro commerciale pieno di echi. Resto lì con i gomiti sulle ginocchia, a spiare con invidia tutte le coppie che passano, gli amici, le compagnie di ragazzi che si divertono. Le risate di una bella famiglia che va al cinema mi feriscono come coltellate.

Poi percepisco di nuovo la sensazione di essere osservato. E stavolta è fortissima. Mi chiedo chi possa essere interessato ad una persona misera e sola come me...

La risposta mi lascia perplesso. Sono due poliziotti in divisa, che avanzano dritti nella mia direzione! Resto immobile ad attenderli: non mi sembra di star facendo niente di male. I due si fermano davanti alla panchina, uno di loro si sfiora la visiera in una sorta di saluto.

"Documenti, prego."

Infilo la mano in tasca e glieli consegno. "Scusate, forse non posso sedermi qui?"

"Oh, puoi sederti quanto vuoi. E' solo un controllo."

"Programma di Prevenzione Criminalità Giovanile," aggiunge l'altro, come se fosse una spiegazione. "Non ne hai mai sentito parlare, ragazzo?"

Scuoto appena la testa.

"Strano," mormora lui, sospettosamente. "E' un'operazione di polizia nota in tutte le scuole di Nuova Luxor. Qual'è la tua scuola?"

"La mia scuola?" Lo guardo, smarrito. "Io... non vado a scuola..."

"Come sarebbe a dire, non vai a scuola?" Una punta di gelo entra nella sua voce. "Tutti vanno a scuola, a Nuova Luxor. La legge prevede l'istruzione obbligatoria fino alla maggior età. Quanti anni hai, ragazzo?"

Oddio, mi sto mettendo nei guai...

"Diciassette, signore," rispondo, con un filo di voce. Del resto sarebbe inutile mentire, con i miei documenti in mano loro.

"Forse è il caso che ti riaccompagniamo dai tuoi genitori. Ci daranno loro qualche chiarimento in proposito. Dove abitano?"

"Io... non ho genitori," balbetto.

"D'accordo. Dicci allora dove sta la tua famiglia."

Abbasso la testa, miseramente. "Non ho nemmeno una famiglia..."

Segue una pausa nervosa.

"Niente genitori, niente famiglia... allora sei in orfanotrofio? E che ci fai in giro di notte? Non mi risulta che gli istituti per i minori mandino a spasso i loro ragazzi sotto la luna."

Non so cosa rispondere, in preda al panico. Qualcosa in me cerca l'appoggio di un fratello grande che non c'è più: lui saprebbe di certo cosa dire, risolverebbe tutto...

"Perdiamo tempo," dice l'altro poliziotto. "Questo è un altro che è scappato di casa."

"Se va bene. Guarda questo passaporto. Nuovo di zecca."

"Accidenti, è giapponese!" Il poliziotto mi fissa, tetramente divertito. "Ma non te ne sei accorto, ragazzo? Avresti dovuto scegliere un'altra nazione, quando ti sei procurato questo documento rubato. E magari farti correggere la data di nascita."

"Forse non sa nemmeno leggere, visto che dice di non andare a scuola," replica l'altro. "Può darsi che sia un clandestino arrivato con qualche nave europea, visto come parla bene l'inglese."

"Ma io sono veramente giapponese," tento di dire, e ripeto la frase nella mia lingua. "I miei documenti sono autentici. Vi prego, non ho fatto niente di male..."

"Neanche noi facciamo niente di male. Vogliamo solo identificarti. E trovare la risposta a qualche domanda. Per esempio: se non hai famiglia, come fai a vivere?"

"Io... lavoro per la Fondazione Thule," cerco di spiegare.

"La Fondazione Thule!..." ride lui. "Vuoi dire che quella specie di pio istituto viola le leggi di Nuova Luxor, e fa lavorare dei poveri orfani negando loro il diritto allo studio?" Si china su di me. "E che genere di lavoro faresti? Sentiamo."

Stavolta sto zitto. Che cosa posso rispondere? Che Lady Isabel Saori di Thule è una dea incarnata, ed io sono uno dei suoi guerrieri?

"Avanti, ragazzo," dice il poliziotto, prendendomi per un braccio. "Alzati."

Non reagisco, allibito all'idea di quel che sta per succedermi. Il suo collega mi perquisisce rapidamente, mentre i passanti ci guardano con un misto di pietà e disprezzo.

"Niente armi." Mi vuota le tasche. "Pochi contanti... una carta di credito intestata alla Fondazione Thule... una chiave... E queste cosa sono?"

"Caramelle," mormoro. Erano quelle che mi erano avanzate dal giorno del torneo.

"Caramelle, eh?" Le annusa, sospettosamente. "Lo vedremo al distretto. Oh-oh... complimenti ragazzo, hai anche dietro il tuo bravo preservativo." E mi mette sotto al naso la bustina che mi aveva comprato Hyoga, quel giorno che eravamo andati in discoteca. "Cos'è, lo strumento del mestiere?"

"Guarda che è un po' che ti teniamo d'occhio," dice l'altro. "Sembri proprio il tipo che si cerca clienti per sbarcare il lunario. Non ti vergogni, alla tua età?"

"Beh, almeno è pulito," borbotta l'altro, " Sapessi cosa devo annusare quando perquisisco i ragazzi di strada come lui." Il poliziotto mi prende per un gomito, con un sorriso che vorrebbe essere rassicurante; ma le sue parole escono perentorie. "Avanti, ora fai il bravo e vieni con noi. Se stai buono sarà solo una passeggiata. Se fai il furbo ti portiamo via con le cattive."

E l'altro suo collega aggiunge, prendendomi per l'altro braccio: "Non aver paura, può darsi che un giorno ci ringrazierai per averti pizzicato. Non è certo vita quella che hai fatto fino ad adesso, povero ragazzo."

Ha proprio ragione!, penso. E mi verrebbe da ridere, se avessi la forza di farlo.

***

Mi lascio dunque portare al distretto di polizia, sezione minorile, con la docilità di chi ha preso un gran colpo in testa. E' come se tutto questo stesse accadendo a qualcun altro, non riesco a trovare una via d'uscita, a reagire. Penso solo che sono il Gran Maestro dell'isola di Antrâmatha, un cavaliere del Mondo Segreto con grandi poteri, inconcepibili per una persona comune... ma in questo mondo sono meno di niente, qualcosa da compatire, un bambino alla deriva, arrestato perché non fa la vita obbligatoria per i suoi coetanei! Ma lo sa, questa gente, quanto mi piacerebbe essere come gli altri? Mi accusano di essere scappato di casa... quando scapperei per tornare a casa, se ce l'avessi! Quanto vorrei davvero avere un papà ed una mamma, un luogo a cui appartenere, tutte cose che per gli altri sono scontate e normali...

Mi sbattono in una stretta anticamera con delle panche in plastica avvitate al muro, e mi lasciano lì. Un manifesto appeso alla parete spiega, in due lingue, in che cosa consiste questo Programma di Prevenzione Criminalità Giovanile. Un sacco di belle parole e concetti umanitari, per ridurre la piaga dilagante del disagio sociale. In pratica, una ronda di polizia che spazza la città alla ricerca di tutti i minorenni fuori controllo.

Come me.

La porta dell'anticamera si apre, vengo spinto in un ufficio saturo di fumo e odore di chiuso. Mi scattano delle foto contro un'asta graduata, poi mi fanno sedere a forza davanti alla scrivania di un signore evidentemente giapponese, in maniche di camicia ed un badge attaccato al taschino, con grandi occhiali di metallo ed una sigaretta in bocca.

"E' un tuo conterraneo, Ishimaru," dice uno dei poliziotti che mi ha preso, ridendo. "Prova a fare quattro chiacchiere con lui."

Il signore emette una sorta di grugnito, mi squadra per nulla divertito, scosta le carte sulla scrivania e schiaccia dei tasti sul computer. Quindi comincia a interrogarmi, in modo brusco e intimidatorio, costringendomi a ripetere cento volte le stesse cose.

"Che fai per vivere? Rubi, batti o spacci? Guarda che lo scopriamo lo stesso, sai? Quelle caramelle, chi te le ha date? Il laboratorio le sta già esaminando, basterà scoprire la schifezza che sono per capire chi è il tuo capo. Risparmiaci del tempo. Che roba è? Strike, polianfetamina, don-don, polvere cinese? Chi ti ha venduto questo passaporto? Chi l'ha falsificato? L'hai rubato tu? Guarda che stiamo controllando, non la farai franca. Se collabori te la cavi bene, se no sono guai peggiori di questo. Pensa se salta fuori che questo passaporto è di un morto ammazzato. E questa carta di credito? Dobbiamo proprio chiamare la Fondazione Thule e chiedere come fai ad averla?"

"Si, chiamatela!" esclamo, esasperato. "Chiedete di me. Shun Kieunemo, se vuole glielo scrivo anche in katakana..."

"Non fare il furbo ragazzo! Chi ci dice che sei tu Shun Kieunemo? Questa olofoto falsa come Giuda? A parte il fatto che Kieunemo non è un cognome giapponese. Da dove vieni veramente? Come si chiamava la tua nave?"

"Non sono venuto con nessuna nave! Io abito a Nuova Luxor..."

"Dove? All'indirizzo che ci hai detto? Ma non farci ridere, nemmeno il mio capo potrebbe permettersi un monolocale in quel quartiere, e poi spiegami come potresti vivere lì tutto solo alla tua età. O non sei solo? C'è qualcun altro che abita con te?"

"Ci abitavo con mio fratello..."

"Il quale è maggiorenne, spero."

"Oh si, ha ventitré anni..."

"Bene, allora può rispondere per te. E spiegarci perché non risulti iscritto a nessuna scuola di questa città! Avanti, come si chiama?"

Faccio per rispondere, ma mi blocco di colpo. Non ho già procurato abbastanza guai ad Ikki? Devo anche farlo ricercare dalla polizia per colpa mia?

Il signor Ishimaru si accorge di quella mia esitazione, alza lo sguardo e mi fa un sorriso ironico. Io abbasso la testa, avvilito.

"L'hai finita di dire balle, eh?" E scrive sul suo computer: Senza fissa dimora. Guardo tristemente quella scritta, scoprendo che è la pura verità. "Beh, per adesso basta," dice, stiracchiandosi. "Aspetterò il risultato delle verifiche alle banche dati. Intanto tu vai dal dottore che ti farà una bella visita, secondo la prassi." Schiaccia un pulsante, ed un agente mi viene a prendere. "Così sapremo anche in che gabbia metterti... se con i maschi o con le femmine."

Non faccio neanche in tempo a replicare, l'agente mi trascina via. Mi porta lungo un corridoio illuminato da fredde luci al neon, dove incrocio altri agenti con dei ragazzi, alcuni sporchi e con abiti stracciati, altri poco più che bambini con un'aria sardonica in faccia. Vedo anche una donna-poliziotto che sostiene una ragazzina in lacrime.

Mi angoscia quel posto. Mi ricorda troppo l'orfanotrofio, con tutto quel dolore, quella rabbia di bambini e ragazzi come me; vedo la pietà negli occhi degli adulti, ma anche tanta indifferenza, se non insofferenza... triste abitudine a tanti drammi vissuti sotto i loro occhi. Scorgo delle macchie sul muro, dei graffiti con nomi stravaganti di bande, insulti e minacce di morte all'indirizzo dei poliziotti. L'agente mi ferma alla fine del corridoio, dove ci sono due porte. Su una c'è il cartello "Colposcopia", e sotto qualcuno ha inciso in giapponese una frase terribile e sarcastica: "Per vedere se ti è piaciuto."

Ma l'agente apre l'altra porta, e mi fa entrare.

C'è un dottore, nel suo camice bianco, che legge il giornale. Sbadiglia, mi sorride amabilmente, prende un questionario e mi fa sedere davanti a lui. Gli dico subito e con decisione che mi sento benissimo, che sono già stato visitato da medici competenti e che non ho bisogno di niente. Lui annuisce, benevolo, mette la polvere di una bustina in un bicchiere di carta, aggiunge dell'acqua e mi dice di bere: un reintegratore salino, tanto per rimettermi in sesto. Io vuoto il bicchiere, nauseato da quel sapore salato mescolato all'essenza di arancia. E mentre faccio le smorfie parte un secondo interrogatorio.

Cognome. Nome. Luogo e data di nascita (se ho la fortuna di ricordarlo). Orfanotrofio in cui sono stato accolto (se la società mi ha dato questa misericordiosa possibilità). Malattie infantili (le ho fatte tutte, comprese quelle che i bambini più fortunati non fanno mai). Incidenti o traumi importanti (e non rispondo: da dove dovrei cominciare?) Gruppo sanguigno, se lo so. Notizie sui miei genitori, se me li ricordo. Notizie sui miei fratelli, se ne ho (e rispondo onestamente di no).

Man mano che il tempo passa mi sento sempre più leggero, meno angosciato, quasi indifferente. Mi chiedo se stia abituandomi a quella stanza asettica e senza finestre, se stia considerando tutto questo normale...

Poi mi accorgo di quel che mi sta succedendo, e trasalisco con un brivido nella schiena.

"Santo cielo!... Che cosa mi avete fatto bere, prima?!"

"Niente, una roba leggera, giusto per tenerti buono." Il dottore sorride. "Se dovessimo perder tempo a convincere i tutti ragazzi che vengono qui a visitarsi, non la finiremmo più. Così, quando ci arriva un soggetto ostinato come te, è prassi calmarlo un po'."

"Non avevate il diritto..." comincio, ma la mia voce non ha più forza.

"Ce l'abbiamo, figliolo. Facciamo tutto questo solo per il tuo bene. Qualcuno deve pur pensarci, visto che sei ancora minorenne."

Minorenne... e pensare che sono abbastanza grande da essere un assassino!

Trovo improvvisamente molto comico quel che sta succedendo. Che gran cavaliere sono, mi sono fatto mettere nel sacco così facilmente... accidenti alla mia buona fede! Mi viene da ridacchiare, pensando che se mi concentrassi e richiamassi energia potrei forse combattere l'intossicazione.

Ma il fatto è che non ne ho voglia...

L'agente mi aiuta a spogliarmi, mentre il medico mette dei guanti, stende sul lettino un nuovo foglio di carta da un grosso rotolo attaccato allo stesso e tira fuori degli strumenti dallo sterilizzatore. Vengo condotto davanti a lui in preda ad un attacco di buonumore, l'agente che cerca di calmarmi borbottando: "Bravo ragazzo, bravo ragazzo." Il dottore inforca una minuscola cuffia con microfono, il sensore vocale del computer. Se lo sistema davanti alla bocca e proclama in maniera buffissima: "Tra-scri-zioo-nee..."

Ed io rido a crepapelle. Ma che gente simpatica! Ed io che avevo quasi paura di loro!

Il dottore mi toglie i cerotti dalle mani, si accorge delle mie ferite, mi chiede come me le sia procurate. Io non so cosa rispondere, farfuglio qualcosa a proposito di un incidente. Lui non insiste e detta una sfilza di parole al suo sensore, quindi prosegue a visitarmi. Mi controlla cuore, polmoni, mi guarda in bocca, mi studia gli occhi con una strana luce viola, chiedendomi se ho mai fatto uso di droghe. Io ammetto ghignando di essermi solo ubriacato di recente. Lui continua a dettare frasi portentose a quel microfonino. Poi mi guarda tra i capelli, mi palpa la pancia. Mi controlla le parti intime, chiedendomi quando ho avuto il primo rapporto sessuale, quante volte lo faccio, se lo faccio anche con gli uomini, se uso il preservativo... ed io rispondo che l'ho fatto la prima volta a quasi sedici anni, che lo farei tutti i giorni se potessi, che l'ho fatto anche con i maschi, che il preservativo non sapevo neanche cosa fosse, me l'hanno messo delle ragazze una volta ma con gli uomini non saprei che farmene, o forse rischio anch'io di restare incinto?... Sghignazzo divertito dalle mie impertinenze, il medico annuisce con pazienza, quindi mi dice di "stare buono che questo è il peggio" e preleva da un dispenser una specie di crema. L'agente mi volta e mi tiene prudentemente fermo con quelle sue mani grandi e forti. Ma io non mi sogno certo di reagire: mi piace troppo quella situazione, la trovo molto eccitante. Il medico fa qualcosa che mi fa mancare il fiato, mi metto a guaire sommessamente come un cucciolo, e ridacchio.

Sento l'agente su di me borbottare: "Ma guarda questo, come si diverte!"

"Meglio per lui," risponde il medico, finendo di visitarmi. Si toglie i guanti e detta al suo microfono: "Nessun segno di violenza o lesione recente, nessun sintomo di malattie veneree." Quindi lo spegne e sospira. "Non male come pensavo all'inizio, con quelle ferite. Chi sfrutta questo bel ragazzino sta molto attento a non rovinarlo."

"Porci bastardi schifosi," sibila l'agente, indignato.

Però, che persone oneste... mi sembra strano che non abbiano nemmeno provato ad approfittare della situazione! Sono quasi commosso, e dico loro che sono delle brave persone, che sono felice di averli incontrati. Non capisco perché mi guardino con tanta compassione.

Conclusa la visita, vengo rivestito e condotto, mezzo intontito, in una saletta con un televisore, che trasmette in continuazione documentari sugli animali. All'inizio mi accomodo lì tutto soddisfatto, contento di quella diversione nella mia vita che mi ha consentito di esplorare qualcosa di nuovo, conoscere gente nuova, fare nuove esperienze... ma pian piano riemergo dal mio allegro torpore, e mi rendo conto della gravità della mia situazione. Non sono al cinema, sono in una stazione di polizia, e sono nei guai fino al collo!

Dopo un'ora l'agente viene a riprendermi e mi conduce di nuovo davanti al torvo signor Ishimaru, il quale ha sul computer il risultato della visita medica. Per quanto il dottore sia stato gentile, sembra che le sue conclusioni abbiano ulteriormente peggiorato la mia posizione. Infatti l'interrogatorio riprende, più martellante che mai: chi mi ha ferito? Chi mi ha medicato? Come mi sono procurato quei tagli sulle mani? E le escoriazioni sul corpo? Ho pagato uno sgarbo? Oppure ho trovato un cliente con strani vizietti? Mi ubriaco spesso? Come posso permettermi di pagare le mie sbronze? Ho un protettore? Qual'è la mia tariffa? Qual'è la zona dove lavoro? Sembro roba raffinata, batto forse la zona dove ho detto di abitare, controllata da un clan Yakuza? Sono stati loro a procurarmi il passaporto giapponese? E come ho fatto ad avere quella dannata carta di credito della Fondazione?...

Io protesto la mia innocenza, ma quando vedo che è inutile mi barrico dietro un cupo silenzio, lasciandolo sbraitare. Lui minaccia di farmi finire in un istituto di correzione, poi cerca di convincermi dicendo che non ho motivo di difendere degli sporchi sfruttatori, che devo parlare senza aver paura, non c'è nessuno abbastanza in alto a Nuova Luxor per farla franca quando soddisfa i suoi vizi con bambini e minorenni...

E proprio in quel momento la porta dell'ufficio si apre, ed un poliziotto mette dentro la testa. "Indovina un po', Ishi-san."

"Che c'è?" sbotta lui, seccato.

"E' arrivato qualcuno a riprendere il tuo gomi-no-kiku."

Faccio una smorfia a quel giochetto di parole in giapponese. Si potrebbe tradurre con Crisantemo venuto su dalla Spazzatura, e sarebbe il meno insultante dei significati... visto che la parola kiku indica anche una certa parte del corpo umano.

Il signor Ishimaru tace, finalmente. Poi respira profondamente, si accende un'ennesima sigaretta e dice, con voce minacciosa:

"Ah si, eh? Bene, fallo entrare. Ho giusto qualche centinaio di domande da fargli!"

Una breve pausa, e quindi un uomo robusto ed elegantissimo irrompe nella stanza con arroganza, quasi scostando di peso il poliziotto di guardia.

"Mylock!..." esclamo, ad occhi sgranati.

Lui mi rivolge un'occhiataccia spaventosa.

"Io e te facciamo i conti dopo, scricciolo!"

***

Non invidio il povero intendente di Lady Isabel, il quale per almeno un'ora è costretto a dare spiegazioni di ogni genere: sulla mia identità, sulla mia posizione legale, sulla mia istruzione e tutela, sulle attività della misteriosa Scuola Speciale Saint George. Finisce che lo sento urlare a squarciagola nell'ufficio del capo della polizia, il quale non lo fa arrestare probabilmente solo perché è un pezzo grosso della potentissima Fondazione Thule.

Ottiene così il mio rilascio sotto sua custodia, con un'infinità di ammonizioni; ed il signor Ishimaru firma il provvedimento sospirando pesantemente, il gomito appoggiato sul mio referto medico, senza avere il coraggio di guardarmi in faccia. Probabilmente è un uomo onesto e sta pensando di avermi mentito, quando diceva che nessuno a Nuova Luxor era tanto in alto da potersela spassare con i minorenni.

Mylock gli strappa quasi il foglio dalle mani, mi prende per un braccio come se fossi una cosa sua e se ne va senza salutare nessuno.

La sua arroganza mi infastidisce, così in mezzo al corridoio mi impunto.

"Non mi trascini così, so camminare da solo."

"Non fare tante storie!"

"Se non mi lascia mi metto a gridare."

"Come una ragazzina isterica? Provaci."

Stringo i denti. Antipatico, manesco scimmione... ora l'aggiusto io, per adesso e per tutte le volte che mi ha tormentato davanti ai miei compagni!

"Mi lasci!" grido, con voce sufficientemente disperata. "Non le voglio più fare, quelle brutte cose!..."

Tutte le persone nel raggio di dieci metri si voltano a guardarci.

Mylock non si aspettava di certo un attacco di questo genere. Diventa paonazzo, rendendosi conto della figura che sta facendo. Mi lascia immediatamente, come se si fosse scottato. Poi si volta all'intorno, cogliendo le occhiate indignate dei presenti. Estrae di tasca un fazzolettone bianco, si asciuga il sudore dal cranio e tenta un sorriso di circostanza. Che gli viene malissimo, visto che la sua faccia rincagnata sembra fatta su misura per un pervertito sadico.

"Piccola peste," mi sibila, tra i denti. "Questa me la paghi!..."

Io gli rispondo con uno sguardo provocatorio. E lui capisce che è meglio non farmi continuare quel gioco, o rischia seriamente che i poliziotti ci ripensino.

Mi conduce al garage sotterraneo, senza più mettermi le mani addosso. Va ad una macchina grigia dalla linea slanciata, apre la portiera e mi fa salire sul sedile davanti. La cintura di sicurezza scende automaticamente ad avvolgermi, mentre sul cruscotto luci multicolori si accendono, e partono i condizionatori. Noto gli interni in radica, i sedili in pelle soffice, la perfetta insonorizzazione: questa è un'automobile europea, di quelle che solo i ricchi si possono permettere. Ed è chiaramente l'auto personale di Mylock: ci sono delle foto nel cassettino del cruscotto, un gagliardetto dei Bulls, un pacchetto dei suoi detestabili mentini, e l'odore di muschio che aleggia nell'abitacolo è lo stesso del suo dopobarba.

Lui entra dall'altra parte, sedendosi al posto di guida, e chiude la portiera. Anche le sue cinture scendono a legarlo, mentre lui sistema la giacca in modo che non venga sgualcita. Il bagliore del cruscotto si riflette sulla sua pelle lucida, sui suoi lineamenti contratti. Senza neanche guardarmi accende il motore elettrico ed accelera, uscendo dal garage e portando la macchina sulle strade trafficate di Nuova Luxor.

Le luci dei lampioni si snodano davanti ai miei occhi come perle di una collana, mi scorrono addosso in uno spettacolo ipnotico. Il silenzio è appena rotto da qualche ronzio e da occasionali vibrazioni. Io mi rilasso sul sedile così esageratamente comodo, aspettando pazientemente il torrente di parolacce. Poi, visto che non succede niente, chiedo:

"Dove ha intenzione di portarmi? A casa mia?"

"Tu non hai più una casa," risponde lui, seccamente. "E' escluso! Torni a stare al Saint George come tutti gli altri. Domani per prima cosa disdirrò il contratto di affitto. Non si può lasciare una villa da settecentomila yen al mese ad un ragazzino irresponsabile come te."

"Cos'è, una punizione?"

Ferma l'auto ad un semaforo rosso, si volta a guardarmi. "Ti rendi conto della posizione in cui hai messo la Fondazione Thule, con la tua bravata di stanotte?"

"Quale bravata?" ribatto, "Non stavo facendo niente di male, e mi hanno arrestato! E' la stessa polizia che sponsorizzate voi a fare queste belle cose, lamentatevi con voi stessi."

"Già, hai ragione! Sponsorizziamo noi la polizia. Ed è grazie a questo che ti ho tirato fuori dai guai. Ho dovuto tirare in ballo tutto il potere della Fondazione per non farti schedare tra le vittime della prostituzione giovanile... ti lascio immaginare la figura che ho fatto!" Il semaforo diventa verde, e lui riparte. "Si, perché tutte le spiegazioni che ho dato sono state accettate, ma non certo credute! Ora i pezzi grossi della polizia immaginano di avermi fatto un favore personale. Uno strappo alle regole in onore dell'assistente di Lady Isabel Saori." Si passa un dito nel colletto della camicia, e quasi geme: "Penseranno che persino la Fondazione Thule predica bene e razzola male... e che io ho i miei vizietti segreti!"

"Cosa vuol dire con questo?" chiedo, con un triste sorriso canzonatorio. "Che ormai sono ufficialmente il suo giocattolino?" Metto un po' di malizia nella voce. "E che magari, visto che ha compromesso pubblicamente la sua posizione, le è venuta voglia di comprometterla anche... privatamente?"

Lui avvampa e si mette a urlare: "Adesso basta, scricciolo!... Piantala con questa specie di gioco, d'accordo?! Non mi piace affatto, e c'è un limite alle provocazioni che sono disposto a mandar giù. Stanotte ne avrei abbastanza per staccarti la pelle a sculaccioni, ma devo trattenermi... mi fa già abbastanza schifo l'idea di contribuire alla tua masturbazione!"

"Il mio non era affatto un invito," ribatto io, alzando le spalle. Ci mancherebbe altro!

"Allora morditi la lingua prima di parlare." Stringe spasmodicamente il volante. "Dovresti avere almeno un poco di rispetto per me. Ti ho tirato fuori dai guai a prezzo di un sacco di difficoltà... e del mio orgoglio virile presso della gente che conoscevo da anni. Non sono proprio in vena di sentire le tue spiritosaggini."

"Perché, io lo sono quando fa le sue allusioni ironiche su di me, davanti a tutti?"

Emette una sorta di grugnito, e borbotta: "Questa sì che è una novità... sei diventato permaloso." Svolta su un cavalcavia. "E va bene, scricciolo, siamo pari. Ma non pensare di approfittare di questo vantaggio. Io non ho fatto niente di cui vergognarmi. La mia coscienza è a posto. La tua non credo."

"Questo lo dice lei."

"Questo lo dice la polizia," ritorce lui. "Dicono che avevi tutta l'aria di uno che batte la strada, e conoscendoti posso anche crederlo."

Mi sento arrossire di sdegno. "Perché? Cosa crede che abbia fatto di tanto equivoco o strano? Me ne andavo in giro tranquillamente..."

"...in piena notte, con la tua faccia fin troppo carina ed i tuoi riccioli biondi al vento, camminando con quel tuo passo da modella di Vogue, adocchiando continuamente la gente che passava, e magari sorridendo amabilmente, come sei abituato a fare." Mylock sogghigna, tetramente divertito. "Scricciolo, dammi retta: è meglio che torni al Saint George di corsa, e che non esci più senza un adulto che ti accompagni!... Stasera ti è andata bene soltanto perché avevi un angelo custode."

Trasalisco. "Quale angelo custode?"

Mylock fa un sorriso amaro. "Come credi che abbia saputo che la polizia ti aveva arrestato?"

Quella domanda mi getta nella confusione.

"Non saprei... nel modo più semplice, dalla polizia stessa. Ho pensato che le avessero telefonato... o che comunque avessero avvertito qualcuno della Fondazione, visto che avevo una delle sue carte di credito!"

Lui scuote la testa. "Ben pochi alla Fondazione sanno finanche il nome di voi cavalieri. La polizia non avrebbe ottenuto nulla telefonando alla sede... ammesso che trovassero qualcuno a quest'ora; ed in quanto a chiamare me, non avrebbero mai osato disturbarmi in piena notte solo per un delinquentello che mi aveva tirato in ballo!"

"Ma allora..."

"Allora ho ricevuto una strana telefonata sul mio numero personale. Qualcuno ha pensato bene di informarmi di quel che ti stava succedendo, sapendo che sarebbe stato mio dovere correre in tuo soccorso, per il bene della Fondazione."

"Qualcuno chi?" chiedo, con il cuore in gola. Mi sporgo verso Mylock. "Chi?!..."

Lui alza appena un angolo della bocca.

"Ikki."


parte seconda
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