(SAINT SEIYA) di Hanabi, estate 1994 I personaggi di Saint Seiya sono proprietà di M. Kurumada/Shueisha.
CAPITOLO 6: "I Santi d'Argento" - parte prima Vi darò tutto quel che desiderate, aveva detto Lady Isabel. La cosa più preziosa che ci ha lasciato è il tempo. Qualche giorno di respiro per noi, mentre lei sbriga i suoi affari mondani, tira il fiato e impara a convivere con la sua incredibile parte divina. Seiya ha deciso di approfittare di questi giorni per tornare a casa sua, in quella ridicola mansardina nel porto. Dragone ha ritrovato l'apprendista di Mur, quel bambino misterioso che avevo incontrato sul Suizhan, ed insieme a Crystal ha deciso di rimanere nella vecchia scuola. A me al solo pensiero di vivere lì viene voglia di vomitare. Non voglio più respirare l'aria del Saint George, non voglio nemmeno vederlo! Lo dico chiaro e tondo a Lady Isabel, che mi accontenta al volo. Mi sistema in una casa privata, una villa ammobiliata nel quartiere più ricco e discreto di Nuova Luxor, con una carta di credito e la sola preghiera di non attirare troppo l'attenzione. Mi consegna inoltre un pacchetto di documenti in cui vedo che ha sistemato a dovere la mia posizione legale: Ikki Hanekawa non è più un sospetto ladro di sacre armature, ma un meritevole giovane della Fondazione appena tornato da un'unità di rimboschimento in Brasile. Il tutto con tanto di visti sul mio passaporto! Sogghigno pensando che il denaro è davvero un magnifico potere... quasi più forte di ogni energia cosmica. Quando esco da quel colloquio mi trovo davanti Shun, che tutto timido mi chiede se può venire ad abitare con me. Che domanda idiota! Non ho nemmeno finito di annuire che si mette a saltare di gioia, ringraziandomi pieno di sollievo. Quindi torna di corsa al Saint George, a prendere il suo scrigno e una borsa di tela semivuota, tutto quel che possiede a questo mondo. All'uscita della vecchia scuola quasi si scontra con Crystal: il russo sembra rimanerci molto male a vederlo andar via con armi e bagagli. Mi guarda con qualcosa che assomiglia molto alla gelosia, io rispondo con un sorriso che può voler dire molte cose. Allora evita il mio sguardo, si affretta a salutarci e se ne va, portandosi comunque via un bel po' dell'entusiasmo di mio fratello. Saliamo su una macchina della Fondazione. Durante il viaggio non ci scambiamo una parola: vedo benissimo l'espressione introversa di Shun, il suo sguardo perso nel vuoto. Ma tutti i suoi cattivi pensieri si dileguano quando arriviamo davanti alla casa che Lady Isabel ci ha destinato: davvero un bel posto, silenzioso e tranquillo, sulla collina artificiale che guarda verso il mare aperto. Ha persino un piccolo giardino, circondato da un'alta siepe ben curata. "Oh, Ikki... che meraviglia!" mormora, trasognato. "E' come la nostra casa natale!" "Non dirmi che la ricordi ancora. Eri troppo piccolo quando ce ne siamo andati." Mi guarda, stupito dalla mia indifferenza. "Non è vero, la ricordo benissimo!" E la ricordo anch'io, solo che non mi va di farlo, non ho nessuna voglia di essere malinconico. Preferisco godermi l'entusiasmo infantile di Shun mentre corre a spalancare le finestre, ficca il naso in tutte le stanze, accende tutti gli interruttori, apre tutti gli armadi. E alla fine mi viene davanti ed esclama, ad occhi sgranati: "E' la casa più bella che abbia mai visto!... Ci sono tre stanze da letto, una cucina enorme, un bagno favoloso, c'è anche il camino, la TV più fornita del mondo, una cantina sterminata, un'amaca nel giardino, dei bellissimi quadri..." Resta senza fiato, mi guarda dal sotto in su, improvvisamente commosso. "Ma la cosa più importante è che tu sei con me. E sei tu la mia casa, Ikki. Dopo tanti anni... e tanti dolori... siamo di nuovo insieme." Guardo i suoi occhi lucidi, e mi sento commosso anch'io. Già, insieme! Proprio come nella bella conclusione di una favola: E vissero felici e contenti... Voglio crederci. Lo voglio disperatamente. La creatura scontrosa e amara dentro di me si agita e ride sarcasticamente, ma stavolta le chiudo il becco. Al diavolo, è ora che anch'io abbia un po' di pietà per me stesso! Anche se tutto questo è solo un'illusione, perché non godersela in santa pace? Non è poi così difficile essere davvero felici e contenti. In fin dei conti, anche se per pochi giorni, abbiamo entrambi tra le mani tutto quel che abbiamo desiderato per anni. Nessun nemico da sconfiggere, nessun problema di soldi, una bella casa, la compagnia di tutto quel che resta al mondo della nostra famiglia, dei nostri affetti... E' il nostro sogno che diventa realtà. Ma viverlo davvero si rivela più difficile di quanto credevamo: finito l'entusiasmo, riposte le nostre quattro cose negli enormi armadi di questa casa, ci accorgiamo che tutto è cambiato, che quasi non ci ricordiamo più di come eravamo prima che ci separassero. Siamo impacciati, ci comportiamo cautamente, mascherando la nostra tensione, sentendoci degli estranei. Restiamo spesso in silenzio, a studiarci finalmente in pace, cercando di riscoprire nell'altro i piccoli gesti di tutti i giorni, le parole, le espressioni di un tempo. Non mi ci vuole molto per ritrovare tutto questo in mio fratello, nonostante sia assai diverso da come me lo immaginavo durante la nostra lontananza. Speravo di rivederlo forte e bello, come il San Giorgio teutonico il cui ritratto campeggiava nella nostra scuola. Ebbene, bello lo è senz'altro, anche troppo per un ragazzo; ma in quanto al suo essere cavaliere... è duro da crederlo quando lo si vede girare per casa nei suoi vestiti stazzonati, un gaio adolescente dall'aria agile e guizzante, che dimostra esattamente gli anni che ha. La sua voce è maturata in un tono quasi adulto, sbalorditivamente virile, ma ha mantenuto intatta tutta la gentilezza del passato. La sua pelle assurdamente chiara è rimasta la stessa, a dispetto del sole che avrebbe dovuto cuocerla in questi anni, e le sue numerose cicatrici quasi non si vedono. Potrei credere che quel po' di statura in più, quei muscoli affusolati e quei capelli lunghi siano tutto quel che è cambiato in lui, se non avesse anche quello scrigno, un amuleto arcaico che porta appeso al collo... e soprattutto una misteriosa profondità dello sguardo, che in alcuni momenti mi fa sentire un brivido interiore, un inenarrabile senso di sgomento. In tutti gli altri momenti quegli occhi verdi mi squadrano con una calda, umanissima emozione, un'ammirazione sconfinata che quasi mi imbarazzerebbe, se non fosse accompagnata da un sottofondo di timore. Lo capisco, per Shun è molto più difficile ritrovare in me qualcosa del ragazzo che ero: un rissoso idealista, sempre pronto a sostituire le speranze perdute con delle nuove, con il fuoco negli occhi... quel fuoco ora è diventato una fiamma aliena, quegli occhi sono diventati duri come pietre, quell'anima non ha più speranze per nessuno. Non sono più un ragazzo, ma un uomo: la faccia severa di mio padre in un corpo alto e muscoloso, color terracotta, solcato di segni di antiche ferite. Dimostro più dei miei anni, tutta la mia sconfinata solitudine, l'amarezza di chi ha acquisito il potere di guardare nelle anime altrui... e nella propria. Mi sento all'improvviso un cretino. Che Shun viva in un sogno, questo è giusto, visto che è quasi un bambino; ma io, che sono adulto, che sono smaliziato, come posso essermi illuso di riportare indietro il tempo? Non siamo più Ikki e Shun, ma Phoenix e Andromeda. Abbiamo in comune solo il fatto di essere dei Santi di Athena: io potrei radere al suolo questa casa con un battito di energia, e lui potrebbe tenerla insieme con delle misteriose catene sprigionate dal nulla. Eravamo fratelli, ma questo è accaduto in un altro tempo, un'altra vita... Shun, creatura elementare ed istintiva, intuisce i miei pensieri, capisce che non deve usare le parole per risolvere questa situazione, e allora mi prende una mano: lascia che sia la nostra pelle a parlare, quella misteriosa intimità che ci legava da piccoli. Quel contatto trepido crea il miracolo, il tempo si cancella e finalmente ci riconosciamo davvero a vicenda. Stringo quella mano affusolata e calda, stupito che basti a farmi ritornare il ragazzo che ero, con tutti i ricordi, le sensazioni intatte; rivedo casa mia, l'orfanotrofio, il Saint George, e noi due siamo sempre insieme, necessari l'uno all'altro per sopravvivere: perché Shun è tutta la mia umanità, ed io sono il suo rifugio in questo mondo troppo crudele. Passati gli slanci affettuosi, resta però uno strano silenzio tra noi due. Dovevamo raccontarci chissà che cosa, parlarci per giorni e giorni... e invece ci scambiamo rade battute, accenni di una conversazione che si interrompe sempre. Siamo solo capaci di rispondere alle nostre reciproche domande, e siamo riluttanti a farcele. Io non sono mai stato loquace, ma mio fratello non è mai stato riservato con me. Ne scopro la ragione quando incrocio il suo sguardo: vedo sempre dell'imbarazzo, seguito da un senso di rassegnazione. Mio malgrado capisco il perché, e mi sento amareggiato: Shun non capisce che in questo momento non voglio essere Phoenix, non almeno con lui? Vorrei tanto che si confidasse con me, come se fossi un normale essere umano; ma non voglio costringerlo a farlo controvoglia. D'altra parte lui non osa chiedermi nulla, non ha ancora smaltito il suo inutile senso di colpa verso di me... così finisce che stiamo zitti entrambi. E allora andiamo spesso a passeggio per le strade di questa città di vetro e cemento, in mezzo ad un sacco di gente che non ci degna di un'occhiata, sotto un bel sole limpido che accende di riflessi infinite vetrine. Shun mi fa da guida, quasi non conoscessi questo agglomerato moderno di strade tutte uguali. Ma forse ha ragione: mi sento tanto un piccolo, ridicolo turista che gira per un mondo a lui straniero e incomprensibile. La verità è che non sono più capace di vivere nella realtà in cui sono nato: sto solo recitando una parte, come un attore. Mi sono persino comprato dell'abbigliamento americano, da cow-boy metropolitano, spinto dal capriccio di dare un'immagine al personaggio che impersono: il signor Hanekawa Ikki, nato a Nagoya ventitré anni fa, celibe, ecologo alle dipendenze della Fondazione Thule. E mi viene da ridere. Mica male, la mia vitanormale. Potrei anche crederci... Poiché nessuno di noi sa cucinare, mangiamo fuori ogni qualvolta ci viene fame. La meta preferita di mio fratello è un ristorante giapponese molto elegante, dove lui attira sempre l'attenzione sbalordita delle cameriere: per forza, non devono essere molti i ragazzi col suo aspetto che sanno parlare giapponese così bene! Andiamo a metterci sempre allo stesso tavolino appartato, ignoriamo ogni prezzo sul menù, scegliamo quel che ci pare e poi mangiamo avidamente, mentre musica antica e luci basse filtrate dagli shoji ci riportano all'atmosfera del nostro paese natale. Guardando Shun in quell'ambiente che sembra proprio non appartenergli, rammento quella dannata analisi genetica... com'è possibile che sia davvero giapponese? Come possiamo avere lo stesso sangue, io e lui? "E' tutto così buono, vero?" mi dice allegramente, mettendo le bacchette dappertutto. "E' cibo," rispondo alzando le spalle. "Energia." Ne ho tratta da fonti peggiori... ed ho imparato a non vomitare al ricordo. "Non essere così cinico," mi sorride, "Si vede dalla tua faccia che ti piace." "Fai la Fenice con me?" sbotto, e lui mi guarda con aria di scusa. Ma devo ammettere che ha perfettamente ragione: erano anni che non mangiavo quelle cose. Mi ero persino dimenticato del loro sapore. O forse no... "Comunque l'uyro che faceva la nonna era più buono," mi sorprendo a dire. E lui sorride, felice della sua piccola vittoria. A casa poi, nella grande stanza da bagno, riscopriamo entrambi quanto sia lussuoso ed edonista questo mondo rispetto a quello che abbiamo conosciuto. Anche se il potente Sacerdote Supremo piscia in un pitale d'oro, stiamo molto meglio noi che possiamo farlo in un moderno water! Ero stato educato alla pulizia e credevo che sarei morto senza un bagno, ma pochi giorni sull'Isola Nera erano bastati a insegnarmi che la sporcizia non uccide; anzi, quando diventa abbastanza spessa finisce per far parte del corpo, non si sente nemmeno più, ed a quel punto l'idea di lavarsi diventa persino sgradevole. Ma adesso sono un uomo civile e moderno , per cui mi abbandono volentieri alla liturgia del bagno. Ogni volta guardo affascinato mio fratello che ripete automaticamente gli stessi gesti di quando era bambino: spogliarsi, lavarsi le mani, prendere la spugna e il sapone e mettersi alle mie spalle per strigliarmi la schiena... poi sedersi al mio posto, per ricevere lo stesso servizio da me: il rito affettuoso e pratico che segnava sempre la fine delle nostre giornate. Non sempre poi, nella nostra esistenza tormentata, abbiamo avuto il piacere di sciacquarci con l'acqua di una grande vasca in muratura, né di poterci entrare a goderci il caldo; ma questa casa integra oriente ed occidente anche fino a questo punto. Pur con i piedi dell'altro addosso, ci rilassiamo nel vapore e restiamo in silenzio a goderci il presente, il magicosatori di un momento di pace ed unione. "Questo è il paradiso," mormora una volta Shun, ad occhi chiusi. "Non sono mai stato tanto felice in vita mia. Forse è valsa la pena di soffrire tanto per arrivare a questo..." "Non dire stupidaggini." Mi guarda quasi con pietà. "Non ti accontenti mai, Ikki?" Scuoto la testa in silenzio. No, non mi accontento mai. Sono così di carattere, e poi questo è sempre stato il mio ruolo, fin da piccolo: dovevo essere aggressivo ed ambizioso, perché ero l'erede di papà, lanciato verso il futuro, destinato a conquistare nuovi successi per la famiglia. Mio fratello invece... lui è sempre esistito e basta. Per lui niente progetti, né ambizioni: tutte cose destinate soltanto a me. Parcheggiato in un infinito presente da gente che non vedeva l'ora di sbarazzarsi di lui, ha finito per perdere persino il concetto di futuro... E quindi di crescita . Non mi sorprende che sia rimasto congelato per sempre nella semplicità dell'infanzia. Se mi vede pensieroso, reagisce mettendosi a giocare ed a farmi i dispetti: schizzi a tradimento, il gioco dello squalo ed altre amenità del genere. Mi coglie sempre di sorpresa: in fin dei conti ho davanti un guerriero sacro, niente di meno del Gran Maestro della sua isola - come io lo sono della mia! L'idea che noi due, tra i più potenti esseri del pianeta, stiamo a sguazzare nell'acqua come marmocchi mi fa ridere a crepapelle. Ma solo per poco: poi mi secco di tanta puerilità, rammento quanto sangue abbiamo sulle mani, quel che ci è costato il potere. Penso ad Esmeralda, e mi incupisco come un temporale... Povero Shun, sono una pessima compagnia per lui. Il mio umore cambia di colpo da un estremo all'altro. Ormai ho un carattere impossibile da sopportare, non me n'è mai fregato nulla dei sentimenti di chi mi stava vicino, ma adesso mi dispiace. Mio fratello subisce con pazienza tutti questi miei scatti, li accetta come parte di me, come i segni delle mie ferite interiori. Quando sorprendo la dolce comprensione nel suo sguardo, il mio orgoglio insorge e mi infurio come una belva; vorrei prenderlo a schiaffi, ma non posso... perché quello sguardo è lo stesso che mi aveva rivolto Esmeralda, la prima volta che mi portò da bere. Provo sempre dolore a scontrarmi con queste similitudini. E disagio, perché mi rendo conto dell'errore di fondo che sto commettendo. Avevo trasferito su Esmeralda il mio affetto per Shun, perché gli somigliava... ma lei mi aveva fatto provare un sentimento nuovo, mai sperimentato prima: l'amore per una donna. Quindi ora non posso più fare il contrario, e trasferire su mio fratello quel che provavo per lei! Per questo lo manderei volentieri al diavolo, specialmente quando cerca in tutti i modi il contatto fisico con me. Lo fa con assoluta innocenza, come se fosse la cosa più naturale del mondo; ma proprio durante i miei momenti peggiori esagera di brutto: mi si avvinghia addosso peggio di un amante, per farmi sentire che mi è vicino, convinto di potermi consolare in questo modo. E non sa il male che mi fa. Del resto non è solo nei suoi abbracci che si lascia andare: tutta la sua esistenza è vissuta con un abbandono sconcertante. Forse perché è così inchiodato nel presente, se lo gode come un pazzo. Passeggiare con lui è uno strazio, si ferma ad ogni passo a guardare un graffito, annusare un fiore, toccare un oggetto, ascoltare una canzonetta come se fossero le ultime esperienze della sua vita. Un bagno non è un bagno, ma un susseguirsi di sensazioni piacevoli, da cercare e ripetere all'infinito. Non è capace di mangiare un gelato e basta, deve lodarlo, assaporarne i gusti, leccarselo ad occhi chiusi da cima a fondo. Forse è solo un bambino ansioso di sperimentare il mondo, ma la sua sensualità innocente diventa estremamente maliziosa nel suo viso troppo bello. Lui non si rende conto di quel che fa al prossimo, vive il suo sogno svagato, da brava creatura che non ha ancora imparato cosa sia il pudore: ed io mi chiedo cosa ne sarà di lui quando arriverà all'età in cui si sperimentano ben altri piaceri che un gelato da leccare... Quel che mi angoscia è che tutto in lui sembra indicare una propensione per il suo stesso sesso. La disinvoltura del Mondo Segreto non ha intaccato i miei vecchi pregiudizi morali, mi vanto ancora di essere un uomonormale . L'idea di avere un fratello che potrebbe non esserlo mi disturba parecchio. Mi renderebbe davvero impossibile sopportare le sue invasioni del mio letto, le sue carezze nel bagno, i suoi adoranti sguardi in pubblico e in privato: avrei sempre il dubbio che ci sia dell'altro, oltre la nostra solita carnalità fraterna. Forse proprio a causa del mio disagio non ho mai voluto affrontare questo argomento con lui, non ho mai guardato direttamente in quella direzione. Ma mi basta vedere quel non so che di femminile in lui per farmi star male. Rammento che porta persino il nome celeste di una donna... Povero ragazzo, può darsi davvero che abbia le idee confuse. Ma con la vita che ha fatto, non posso certo pretendere che abbia una sessualità normale. Tutto ha contribuito a stravolgere la sua maturazione, a cominciare da quelle violenze che ha subìto da bambino, all'orfanotrofio. Spero solo che non me l'abbiano rovinato per sempre. La sua salvezza sta nel fatto che è ancora così giovane, non ha ancora finito di crescere: ha tutto il tempo di guarire dalle sue ferite, dimenticare tutte queste follie, e diventare ugualmente un uomo... Ma tutte le mie convinzioni vengono messe in discussione una sera, in cui decidiamo di andare insieme in quella discoteca in cui ci eravamo incontrati da nemici. Shun è euforico ed un po' ubriaco di sakè. Lo perdo ben presto tra la folla danzante, per ritrovarlo in un angolo buio del parcheggio, appoggiato al muro con i calzoni slacciati, nessun dubbio su cosa stia facendo con una ragazza più grande di lui, mentre un'altra gli tiene il moccolo! Resto di sasso a quello spettacolo. Omosessuale, eh? Quella piccola canaglia! "C'è un guardone," lo avvisa la sua compagna di vedetta. "No..." ansima lui, "E' mio fratello." Mi ha sentito benissimo! Ma la cosa non lo disturba minimamente, anzi. Non avrei mai immaginato che un giorno avrei dovuto assistere a quello spettacolo, sono paralizzato dal mio stesso imbarazzo, stupito che qualcuno possa essere riuscito a farmi ancora arrossire... Lui esplode in un orgasmo che lascia la compagna a metà strada. Troppo eccitato dalla mia presenza? Le chiede scusa, prende fiato e rimedia alzando la minigonna striminzita della ragazza, infilando svergognatamente la testa sotto di essa. Il mio innocente, candido fratellino, penso esterrefatto. Quando finisce si fa ripulire dalle sue compagne, che lo baciano divertite. Si riveste tutto contento, le ringrazia gentilmente, le prende ambedue sottobraccio e viene da me, ansioso di presentarmi le sue conquiste. Le ragazze mi squadrano, prima con sorpresa, e poi con uno scoppio di maliziosa ilarità. Una di loro tira appena un orecchio a mio fratello e dice: "Me lo immaginavo, birichino... dunque questo fusto sarebbe il tuo fratello grande? " Non ci vogliono i poteri della Fenice per capire quel che passa loro per la testa... "Molla queste due troie e andiamo a casa!" esplodo, afferrandolo per un braccio. "Ehi, ma che geloso!" mi gridano le due di rimando, ridendo a crepapelle. Lui fa appena in tempo a salutarle col braccio libero, mentre lo trascino via. Le loro risate si perdono nell'oscurità. Poi si gira verso di me, faticando a mantenere il mio passo mentre io divoro la strada a grandi falcate. "Ma perché sei così infuriato, Ikki?... Ero soltanto così felice, e allora..." "E allora quando sei felice ti metti a scopare con la prima che capita. Naturale." "Non potevo certo farlo con te..." Mi volto di scatto, lo sbatto contro il muro e mi pianto davanti a lui. "Passi che mi hai costretto a far prima la parte del guardone, e poi della checca gelosa, ma non ti azzardare a farmi passare per finocchio anche quando siamo da soli, o ti spacco quella faccetta angelica!..." "Ma io non volevo far niente del genere!" protesta lui, spaventato. "So bene che ti piacciono le ragazze, per questo te le volevo presentare... sono sicuro che avrebbero fatto l'amore anche con te, e ti avrebbe fatto bene!" Lo guardo esterrefatto, passandomi una mano tra i capelli. Povero il mio orgoglio virile! Io, l'uomo adulto, il macho, mi son fatto bagnare il naso da un ragazzino effeminato, che si è fatto due ragazze alla volta solo col gentile proposito di fare a mezzo con me... La comicità della scena comincia a mordere la mia rabbia. Sono invidioso, eh? O forse solo furibondo perché il grande Phoenix ha sbagliato a giudicare un essere umano. Scoprire che mio fratello è di gran lunga più intraprendente di me con l'altro sesso non dovrebbe proprio turbarmi... anzi, dovrei esserne contento! "Non m'importa se mi avrebbe fatto bene o meno. Sono grande abbastanza per decidere da solo se ho voglia di scopare o no. E non ho certo bisogno di te per procurarmi qualche divertimento passeggero, se ne ho voglia!" "Di questo ne sono sicuro," mormora lui, con un sorriso sfacciato, "Sei così bello." Se non l'avessi visto con la testa tra le gambe di una ragazza... Finalmente mi decido a sorridere anch'io. "E va bene. Ma la prossima volta che mi dici di andare a ballare, specifica che tipo di ballo intendi fare." Gli mollo uno scappellotto. "E adesso fila a casa! Per stasera ne hai combinate abbastanza, non credi?" Lui annuisce, si stira voluttuosamente con l'espressione più appagata del mondo.. "Già, e non credo che potrei fare di più... Sai, Ikki? Penso che stanotte dormirò come un ghiro. Riposo sempre benissimo dopo aver fatto l'amore." Ne parla come se fosse un'esperienza assodata. E deve proprio esserlo, visto che nessun principiante avrebbe potuto esibirsi nei giochi erotici che gli ho visto fare. Lo guardo incamminarsi sul marciapiede, un allegro ragazzino che canticchia pieno di gioia di vivere, e mi do dello stupido per essermi preoccupato della sua sessualità... Ma poi rammento quanti anni ha, e dove ha trascorso gli ultimi della sua breve vita. A questo punto è il come che mi angoscia. *** Accade più presto di quanto mi illudessi. Una mattina mi sveglio di colpo, con un brivido interiore che mi serpeggia nella schiena. Sondo automaticamente le energie, ma mi è difficile distogliere lo sguardo interiore dall'emanazione naturale di mio fratello, così forte da perturbare il cosmo anche solo con la sua presenza. Non sembrano esserci nemici nei paraggi, ma mi sento ugualmente molto strano. Esco dalla mia stanza e faccio un giro per la casa. Ikki deve avermi sentito, perché appare scarmigliato alla sua porta. "Che succede?" "Io... credo che Athena ci stia chiamando," dico d'impulso. "Athena," sogghigna lui, e sbadiglia. "Lasciala perdere. Io torno a letto." Ma un'ora dopo una grossa auto della Fondazione Thule si ferma davanti alla nostra villetta, e l'autista viene a comunicarci: "I signori sono pregati di salire a bordo. Lady Isabel Saori desidera incontrarvi." Avevo ragione io. Ikki sbuffa, si veste con indolenza mentre io sono già pronto da un pezzo. Saliamo in macchina. L'automobile parte silenziosamente, infilandosi nelle strade della periferia. Non ho mai visto quella parte della città, così guardo tutto dal finestrino. Mentre siamo in coda ad un semaforo, vedo un cancello con una familiare iscrizione kanji. "Un tempio Shinto!" esclamo. Ikki non alza nemmeno la testa. "Ci sono templi di tutti i tipi in questa dannata città. Buoni per tutte le religioni, anche se nessuno qui crede ad altro che al profitto." Mi volto ancora a guardare fuori dal finestrino. "Mi piacerebbe rivedere casa nostra," mormoro, quasi a me stesso. "Svegliati, Shun. Sono anni che non è più casa nostra. Se non l'hanno abbattuta nel frattempo, l'avranno venduta a qualcun altro. Che senso avrebbe rivedere la casa di un estraneo?" Alza le spalle. "Una casa è solo un posto. Te ne vai, ed è come se tu non fossi mai esistito." La sua voce si abbassa. "Come in questa vita di merda." E' di umore nero, mio fratello. Meglio lasciarlo stare quando è così cupo. Guardo di nuovo fuori, e noto i cartelli stradali. "Non stiamo andando verso la tenuta dei Thule," dico all'autista. "No, infatti," risponde lui, impassibile. "Stiamo andando allo Stadio della Fondazione, o meglio a ciò che è rimasto di esso." E infatti arriviamo nel duplice viale alberato, sbarrato da un giro di transenne e cartelli che vietano l'accesso ai non autorizzati. L'autista ci fa scendere e ci dice: "Da qui in avanti dovete andare a piedi. Entrate pure nello stadio dall'ingresso principale. Troverete chi vi attende." Se ne va, e noi due restiamo immobili, nel silenzio pesante appena rotto dall'onnipresente rumore del traffico fuori da quella zona, e dal vento che fa volare le cartacce intorno a noi. Avevo visto questa scena alla televisione, ma dal vivo è tutta un'altra cosa... "E pensare che era tutto così bello, qui," mormoro con tristezza, ricordando la scintillante piazza, il grande stadio in cui ho combattuto sotto i riflettori, l'atmosfera di festa e di splendore. Non è rimasto niente di tutto questo. Quel che resta è il risultato di quella memorabile notte di follia, uno spettacolo desolante: tracce di fuoco, vetri a pezzi, macchine bruciate, pezzi di macerie scagliati dalle esplosioni. Persino i pini sono stati bruciati, molti sono seccati e restano lì, come degli scheletri, ad aspettare che qualcuno li porti via. Non c'è nessuno, se non qualche barbone furtivo, qualche sbandato ubriaco sulle panchine, circondato dai rifiuti. Ikki infila le mani in tasca. "Sì, era bellissimo. Un bel tempio alla potenza della Fondazione Thule. Piccola gente idiota che pagava il biglietto per vedere dei ragazzi sputare sangue, seduta sul velluto a mangiare patatine." Sputa per terra. "Risparmiami i sentimentalismi, Shun!" "D'accordo, lo stadio è stato un teatro di ingiustizie... ma questa desolazione non le ripaga affatto!" Lo guardo. "Non c'è niente di bello in questa distruzione, Ikki." "E' opera mia, e ti assicuro che della bellezza non me ne sono mai curato." Scuoto la testa. "Non è stata opera tua. Quando è avvenuto questo tu eri... eri..." "Morto? Non importa, questo disastro l'ho comunque provocato io." Mi gira le spalle, si incammina prendendo a calci un pezzo di lamiera contorta. "Sono pur sempre Phoenix... il cavaliere che piombò qui a interrompere il torneo." "Non è vero," gli dico, correndogli dietro. "Non sei più lo stesso cavaliere di allora. Eri sotto l'influsso malefico del tuo maestro..." "Adriaen?" Ikki alza le spalle. "Chissà, forse non ha fatto altro che liberare la mia vera natura, quella del distruttore." Varchiamo il portone sfondato, scavalchiamo mucchi di macerie annerite. Il soffitto è scomparso, le tribune sono crollate. La luce del giorno illumina grottescamente qualcosa di vagamente ottagonale, il resto del ring. "E adesso che siamo qui?" si chiede Ikki guardandosi intorno. "Venite da questa parte," ci dice una voce alle nostre spalle. Ci voltiamo, vediamo un uomo con una divisa da vigilante, che ci indica un passaggio tra le macerie, verso una delle molteplici uscite di sicurezza. Lo seguiamo. Lui apre una porta a battente, ci fa entrare, la richiude alle nostre spalle. Automaticamente, una parte della parete annerita si apre in due, rivelando una porta nascosta da cui si diparte un corridoio illuminato "Di qui," ci indica il guardiano, invitandoci ad oltrepassare la soglia. La porta si chiude con un sussurro alle nostre spalle. Siamo in un ascensore magnetico dall'aspetto nuovissimo. Il nostro accompagnatore schiaccia un bottone, e iniziamo una lunga discesa. Quando le porte si riaprono, ci troviamo alla sommità di un'altra rampa di scale, che domina una grande sala circolare dall'aspetto fantascientifico: schermi giganti, computer, apparecchi di tutti i tipi che non so nemmeno riconoscere. Ai piedi delle scale ci sono già i nostri amici, Seiya, Hyoga e Shiryu. Lady Isabel ci aspetta in piedi, a fianco di una specie di banco al centro della sala, su cui sono posati i suoi due mistici attributi: la lancia e la statuetta di Nike. Su un piedistallo l'elmo e la maschera del Sagittario scintillano riflettendo la luce degli schermi. Scendiamo le scale, evidentemente stupiti. "Che ne dite, ragazzi?" esordisce Seiya, mostrandoci tutto con un gesto della mano. "Questa è la nostra nuova base segreta. Carina, eh?" "Pretenziosa," è l'asciutta risposta di Ikki, che si siede sugli ultimi gradini. Saluto subito Lady Isabel, che risponde con un sorriso. Poi mi volto verso i miei amici. "Ciao, Shiryu." Mi volto verso Hyoga. "Ciao, Crystal," dico, usando il suo soprannome; non oso chiamarlo con la familiarità di un tempo. "Mi sembra un'eternità che non vi vedo!" "Io direi invece che il tempo è passato troppo in fretta, come accade quando ce la si gode," dice Seiya allegramente. "Ti sei divertito, eh?" "Moltissimo," rispondo con un sorriso. Divertimentoè una parola troppo povera per questi giorni lussuosi, nella bella casa, senza nient'altro da fare che godermi la vita, in compagnia del mio amatissimo fratello. Sono riuscito persino a fare del sesso, scoprendo che le donne non sono tutte uguali... "Le ferie sono finite," dice Hyoga, il suo tono serissimo in stridente contrasto con l'allegria del mio connazionale. "E' tempo di un po' d'azione." "E' proprio così," dice Lady Isabel. "Per favore, volete avvicinarvi?" Facciamo come vuole, tutti tranne Ikki, che guarda gli schermi come se non avesse sentito. Lady Isabel lo guarda, emette un lievissimo sospiro, ma non insiste. Sfiora una tastiera incorporata nel banco, e gli schermi mostrano il disegno di un progetto. "Come vedete, non ho certo perso tempo dal mio ritorno a Nuova Luxor. Poiché il palazzo dei Thule è troppo vulnerabile, ho fatto costruire un nuovo quartier generale che sia al riparo di ogni interferenza da parte del Mondo Segreto." Sorride appena. "Naturalmente tutto questo era in gran parte già pronto. Era una sala elaboratori troppo profonda per essere intaccata dalla distruzione dello stadio sovrastante. Dubito che i nostri nemici possano trovarci nel mezzo di un luogo che credono di aver già devastato. Visto che il Sacerdote Supremo usa le tattiche della guerriglia, lo faremo anche noi. Questo sarà il nostro rifugio ed il nascondiglio dei nostri tesori, e da qui potremo organizzare i nostri spostamenti." "E magari un bell'attacco," dice Seiya. "Sono stufo di scappare." "Non essere superficiale," lo ammonisce Hyoga, "Prima di qualsiasi attacco, dobbiamo rimettere le mani sul resto dell'armatura di Aiolos." "La quale è senz'altro al Santuario," mormora Shiryu. "A quanto pare no," dice Lady Isabel, prendendoci di sorpresa. "Per questo siete stati convocati qui. Pegasus ha ricevuto un messaggio segreto." "Esatto," dice lui, eccitato. "Non starò a dirvi come, ma Castalia - la mia maestra - ed io avevamo stabilito alcuni modi per metterci in contatto una volta che fossi uscito dal Mondo Segreto. Il messaggio mi è giunto attraverso uno di questi sistemi, e dice che l'armatura decapitata del Sagittario non è ancora arrivata in Grecia, ma è rimasta da queste parti, in una certa isola disabitata del Pacifico, nell'attesa che qualcuno la porti al sicuro." "Vuoi dire che i nostri nemici non hanno a disposizione adeguati mezzi di trasporto?" chiede Hyoga con un po' di ironia. "La gente del Mondo Segreto può muoversi, entro certi limiti, con navi ed aerei," rispondo io, rammentando Albyon travestito da marinaio. Ah, il mio amato maestro... "Ma deve farlo clandestinamente, e forse non è così facile contrabbandare un'armatura d'oro." "Che bisogno hanno di navi ed aerei, Shun?" ribatte Hyoga. "Ricorda di cosa è stato capace il grande Mur. Ci ha portato Dragone direttamente dal Pamir!" "Poteri come quelli di Mur devono essere eccezionali anche al Santuario," replica Shiryu, pensosamente. "Forse solo un cavaliere della massima gerarchia potrebbe fare qualcosa del genere... ma forse è anche interesse del Sacerdote Supremo che nessuno di costoro entri in contatto con l'armatura di Aiolos." "Quindi come vedete l'ipotesi è verosimile," dice Seiya, con irruenza. "E in ogni caso dobbiamo andare a verificare la notizia, non possiamo permetterci il lusso di perdere quest'occasione." "Potrebbe essere una trappola," dice Hyoga, gelidamente. "Ci hai pensato?" Il sangue sale alla faccia di Seiya. "Il tuo caro maestro ti ha chiuso la porta in faccia, Cygnus, ma la mia maestra è di tutt'altra pasta. Il giorno che deciderà di ammazzarmi me lo farà sapere e mi inviterà ad un regolare duello. E' una dei Santi di Athena, anche se non mi ha mai mostrato la sua gerarchia... mi ha insegnato lei cosa sia la lealtà. Non mi colpirà mai a tradimento." "D'accordo," dice Hyoga, per nulla scosso. "Ma sei sicuro della provenienza del messaggio che hai ricevuto? Sei sicuro che sia proprio della tua maestra?" Seiya agita le mani, nervosamente. "No. E' già abbastanza difficile contattarci per mandarci anche prove calligrafiche. Ma se un metodo è segreto..." "I segreti non contano al Santuario," interrompe Ikki, con voce sardonica. "Quel che conta è tenere segreto il fatto di avere dei segreti." Tutti ci voltiamo verso di lui. Lo vediamo indicare la cicatrice che ha tra le sopracciglia. "Adriaen," mormoro, comprendendo. "Questo Adriaen comincia ad essere una vera seccatura," brontola Seiya, "D'accordo, ha poteri mentali, ma non può essere nella testa di tutti..." "Potrebbe anche essere superfluo," ribatte Ikki, "Si sa già che Castalia è la maestra di Pegasus. Non è difficile immaginare che abbia grosse esitazioni ad abbandonare il suo allievo, e questo è già molto. Per scoprire le sue intenzioni... basta un buon osservatore." "Parla il grande maestro di questa nobile arte," bofonchia Seiya, irritato, "Beh, voglio vedere chi riesce a osservare qualcosa in una donna che porta costantemente la maschera! In cinque anni non l'ho mai vista in faccia..." "Ma il suo amante sì," dico io, senza riflettere. Segue un breve silenzio. "E bravo, fratellino," mormora Ikki all'improvviso. "Sono proprio fiero di te." Sento chiaramente il suo tono canzonatorio, e mi viene da arrossire. Mi rendo conto che ha saputo perfettamente interpretare le mie poche parole... una prova squisita di quel che diceva: che a volte basta poco per rivelare i segreti del prossimo! Ma grazie al cielo i miei amici si sono fermati alla superficie della mia affermazione. "Sai se Castalia avesse un compagno?" chiede Shiryu. "Si," annuisce Seiya, "Ma è sempre stato un mio amico; un cavaliere anche lui, un bel tipo franco e leale." Sorride. "Era uno dei pochi al Santuario che non mi chiamava muso giallo. Si chiamava Ioria." "Ioria il Disonorato?" chiede Ikki. Seiya si volta di scatto verso di lui. "Io lo conosco come Ioria e basta. Vuoi dire che lo conosci anche tu?" "Se è quello che dico io, di sicuro non l'ho mai visto, perché non varcava mai la soglia del Tempio. Ne ho sentito parlare solo con pietà per il disonore che doveva portare." "Quale disonore?" chiede Seiya ad occhi spalancati. "Quello di essere fratello del Grande Traditore... Aiolos!" *** La notizia che ci ha dato Ikki ha creato un certo stupore. C'è da chiedersi a questo punto se Aiolos non abbia istruito il fratello ad occuparsi di uno dei futuri cavalieri della sua riscossa... se il destino di Seiya sia stato tracciato ben prima che arrivasse in Grecia a reclamare l'armatura di Pegasus. Il mio connazionale è esultante. "Grandioso!" dice, "Ma una come la mia maestra non poteva mettersi con un tipo migliore. Ioria è troppo in gamba... ci credo, con la parentela che si ritrova! Gente che ha nel sangue la fedeltà ad Athena merita tutta la nostra fiducia, possiamo essere doppiamente tranquilli." La voce ironica di mio fratello lo colpisce come una frustata: "Non direi proprio, razza di sempliciotto." Il sorriso di Seiya diventa una smorfia. "Che diavolo intendi dire?" "Che è chiaro che il tuo caro amico Ioria si vergogna dell'operato di Aiolos. Il che significa che segue supinamente il giudizio del Sacerdote Supremo. E tu sei pronto a fidarti di qualcuno che dà ragione a quel bastardo, al punto di rinnegare suo fratello..." "Come hai fatto tu, Phoenix," mormora appena Hyoga, ma lo sentiamo tutti. Ikki lo brucia con un'occhiata, sorride enigmaticamente. "Si, Crystal. Come ho fatto io." Segue un silenzio alquanto spiacevole. "Diamo ascolto all'esperienza di Ikki," dice Shiryu, con tono pacificatore. "Ha ragione ad esprimere dei dubbi per quanto riguarda quell'uomo..." "Col cavolo!" esplode Seiya, "Parla male di chi ha ammesso di non conoscere nemmeno." Ci guarda tutti. "Ma guai se qua dentro qualcuno mette in dubbio la lealtà di Castalia. Ed anche se Ioria ha visto la sua faccia, e forse è un nevrotico, che cavolo facciamo? Mandiamo al diavolo questo messaggio, e così magari ci facciamo soffiare l'armatura da sotto il naso?!" Il suo sguardo si posa su Shiryu, che sospira e scuote la testa. "No, naturalmente. Per quanto sia rischioso, non possiamo permetterci di ignorarlo. Ed anche se fosse una trappola, almeno avremmo la conferma della lealtà di questi presunti alleati. Dobbiamo andare su quell'isola, anche se con gli occhi ben aperti." "Crystal?" chiede Lady Isabel. "Sono d'accordo con Dragone." Si volta verso di me. "Andromeda?" Emetto un lievissimo sospiro. E' già finito il mio sogno di pace... ma sono un cavaliere, nel bene e nel male. Non posso sottrarmi al mio dovere. Annuisco in silenzio. "Phoenix?" "Fate come vi pare," risponde lui, con assoluta noncuranza. "Benissimo!" esclama Seiya. "Allora siamo tutti d'accordo che bisogna andare. Castalia dice che dobbiamo essere in tre ad andare su quell'isolotto; quindi, se il Mondo Segreto non ha cambiato le regole, non ci sono più di tre cavalieri da affrontare. La cosa ci va bene, perché anche se fosse una trappola - e sono sicuro che non lo è - almeno due di noi resterebbero con l'elmo dell'armatura e con Athena, nell'attesa di Asher e compagni. Naturalmente io vado." Si volta verso Shiryu, lo guarda con affetto. "Mi piacerebbe avere la tua compagnia, Dragone." Lui sorride ed annuisce. "Due spiriti, due armature." "Bene. E il terzo..." Si interrompe, in un bizzarro istante di silenzio. Perché nessun altro si fa avanti. Noi tre ci guardiamo. Mi rendo conto che Ikki non vorrebbe andare per rimanere con me... o forse, cogliendo una sua occhiata tagliente a Hyoga, non vuole che io resti solo con lui. La cosa che mi lascia esterrefatto è che Hyoga ricambia alla perfezione lo stesso sguardo, e nessuno dei due muove un muscolo... Non sopporto quella tensione. Faccio un passo avanti e dico, con voce incerta: "Il terzo sono io, Pegasus." Tutti mi guardano, sorpresi. "Ho sentito bene?" chiede Seiya, "Non dirmi che proprio tu ti offri volontario..." "Perché dici così?" Lo guardo negli occhi. "Mi sono già offerto volontario una volta, sul Suizhan... e non avevo nemmeno il mio cosmo allora." Seiya ricambia il mio sguardo, smette la sua aria scanzonata, diventa molto serio, formale come solo un giapponese può esserlo. La sua voce esce sinceramente contrita. "Hai ragione, Shun. Ho detto una sciocchezza. Ti prego di scusarmi." Gli sorrido appena. "Allora posso venire con te?" "No!" esclama Hyoga facendo un passo avanti. "E' più giusto che venga io con te, Pegasus. Shun ha tanto desiderato il ritorno di suo fratello che non è giusto separarlo da lui così presto." "Falla finita con queste lagne sentimentali!" ribatte Ikki alzandosi, "Stai pure qui a fargli compagnia, visto che ti piace considerarlo tuo fratello... quando ti fa comodo." Hyoga si irrigidisce visibilmente a quella battuta, ma Ikki non lo degna di uno sguardo. Avanza nella sala con aria arrogante, e gli passa davanti. "Dragone, Pegasus... sarà meglio che sia io il terzo della vostra compagnia, specie se si tratterà di una trappola. Sono il più forte, e sono abituato da un pezzo a battermi contro più di un avversario." Seiya ci guarda tutti e tre, imbarazzato. "Ehm, ragazzi, basta uno solo di voi, non possiamo partire tutti..." "Decido io chi parte," dice la voce perentoria di Lady Isabel alle sue spalle. "L'onore spetta ad Andromeda. Phoenix e Cygnus resteranno con me." Ci voltiamo tutti verso di lei, stupiti. "Al diavolo, milady!" esclama Ikki, velenosamente. "Nessuno ha chiesto il suo parere." "Non è un parere," ribatte lei, impassibile, mentre una vibrazione di energia sale, un barlume della sua immensa aura divina. "E' un ordine." Hyoga, che stava per ribattere, tace di colpo. Ma Ikki fissa Lady Isabel con la sfida negli occhi. E lei ricambia il suo sguardo. Per un lungo istante un silenzioso, incomprensibile duello si svolge tra i due. Sento le energie che li legano, ma non riesco a interpretarle. Vedo però delle gocce di sudore formarsi sulla fronte di Ikki, che lotta per resistere... ma alla fine è lui ad abbassare la testa. Si gira a guardarmi. "Ora comprendi, Phoenix," mormora lei. Vedo una rabbia infinita nello sguardo di mio fratello. Volta le spalle alla sala e sale le scale con irruenza, andandosene di lì. Cerco di fermarlo, di richiamarlo indietro, ma sento la voce di Lady Isabel alle mie spalle. "Lascialo stare, Andromeda." Mi volto a guardarla, vedo uno strano sorriso sulle sue labbra, quasi affettuoso. "Gli passerà," dice, a voce bassa. *** E' sera. Un tranquillo tramonto accende di rosso la tenda della finestra. Shun richiude il suo scrigno, dopo aver controllato lo stato della sua armatura, ripiegato la tuta di seta bianca. Raccoglie i suoi infantili fumetti sparpagliati per la stanza, li impila per bene sul tavolino. Prepara i vestiti per l'indomani. Poi viene da me, si toglie dal collo la cordicella con quell'amuleto d'argento che porta sempre, e la passa intorno al mio. "Me lo tieni finché non ritorno?" mi chiede, con un lieve sorriso triste. "Sai, se non tornassi... non avrei altro da lasciarti in ricordo di me." "Piantala con queste lagne!" sbotto, "Riprenditi quest'affare..." Lui mi afferra le mani, non alza la voce, non incrina il suo bellissimo sorriso. "Ikki, ti prego." Mi guarda negli occhi, fin dentro l'anima. "Ti prego." Mi fermo. Mi sento tremare dentro. Erano anni che non provavo quella sensazione, ed è amara come la morte. Una furia impotente mi divora le viscere. "E' tutto sbagliato," mormoro, distogliendo lo sguardo da lui. "Siete tutti degli idioti. A cominciare da Seiya: se ha tanta voglia di cacciarsi all'inferno, ci vada da solo... perché deve mettere di mezzo gli altri? E lasciare la decisione di chi mandare allo sbaraglio a quella... maledetta smorfiosa! Mi vuole qui a fare il suo cavalier servente?" Lo lascio di colpo, "Ma se ti succede qualcosa, giuro che l'ammazzo! Ne ho abbastanza di tutti i Thule... " "Ssst," sibila appena Shun, abbracciandomi con tenerezza. "Non essere così arrabbiato, Ikki. Athena è stata saggia, ha preso la decisione giusta." Faccio per parlare, ma lui mi chiude la bocca con un dito. "E' il mio turno di combattere, e non è giusto che tu o Hyoga me lo impediate. I sentimenti non devono impedirci di fare il nostro dovere, questo me l'hai insegnato tu." Respiro profondamente, cercando di calmarmi. Guardo la fermezza di quello sguardo su di me, racchiusa in quell'assurda figuretta da elfo. Shun è un cavaliere, me l'ha dimostrato tante volte, ma mai come in questo momento... "Che ne è stato del bambino spaventato che conoscevo?" sorrido, tristemente, "E' arrivato il tempo in cui devi essere tu a darmi lezioni di coraggio." Ridivento serio, gli poso le mani sulle spalle. "Mi prometti di essere prudente?" Annuisce. "Hai dei buoni compagni, ma con dei grossi difetti, tienilo a mente. Seiya è molto forte, ma anche dannatamente impulsivo. Shiryu deciderà sempre la cosa più giusta da fare: è la sua grande qualità. Ma rammenta sempre quel che è accaduto al torneo: è tutt'altro che invincibile, perché ha un solo, formidabile colpo, ed esaurito quello è spacciato." Scuoto la testa. "Dannazione, tutto sarebbe più facile se ci fossi io al tuo posto..." Ma non ci sono. Perché Athena, in un bruciante istante di unione cosmica, mi ha reso consapevole di quel che intende fare separandomi da mio fratello. Ho bisogno di eroi, ma Shun non può diventarlo se tu gli sbarri la strada. Allora quella maledettadivinità mi toglie di mezzo. Prende Shun e lo sbatte di fronte al pericolo e a nuove esperienze, anche a rischio che ci rimetta la pelle. Ed umilia così la mia presunzione: sa benissimo che non ho un accidente di devozione per lei, combatto al suo fianco solo a causa di mio fratello. Quindi mi costringe a stare lontano da lui, un'amara lezione per insegnarmi che sono un suo cavaliere esattamente come tutti gli altri... Sospiro nervosamente. "Che sia o no una trappola, fratello, dovrai comunque batterti." Gli stringo le spalle. "Mi raccomando, colpisci per uccidere e non perder tempo. Un nemico morto è un nemico di meno..." Lo vedo abbassare gli occhi, e scuoto la testa. "Già, tu non sei d'accordo. E farai comunque a modo tuo, come sempre. Predicherai i tuoi buoni sentimenti a gente che non lo merita affatto. Ti difenderai ad oltranza, facendoti riempire di disprezzo dai tuoi avversari!" "E vincerò lo stesso," mormora con quel suo lieve sorriso. Ha ragione. E' stato lui a vincere sul Suizhan. E sono stato io ad essere sconfitto. "Che stupido che sono a darti miei consigli," dico con voce sorda. "Non ne hai affatto bisogno, perché non sei più un bambino... sei un cavaliere anche tu." "Ho dovuto per forza diventarlo, per ritornare da te." "E allora ritorna anche stavolta," lo imploro. Gli tiro su il mento con due dita, in modo che mi guardi nuovamente in faccia. "Ti prego." Annuisce appena, come per dirmi che ci proverà. Quella notte se ne resta tranquillo nella sua camera, senza venirmi a trovare come mi aspetto. Nessun segno di nervosismo, si prepara meditando quietamente, riesce anche a dormire. Ammiro la sua serenità, mi chiedo se Athena non mi abbia posto di fronte alla mia debolezza... quella di volermi credere a tutti i costi migliore di lui. All'alba lo intravedo muoversi silenziosamente, per non disturbarmi. Si veste, si carica il suo scrigno sulle spalle, esita solo un istante alla porta. Poi la apre, esce, la richiude piano, per andare verso l'automobile della Fondazione che lo sta aspettando. E che me lo porta via un'altra volta. *** Il rombo dell'elicottero su cui sono è una monotona canzone che picchia contro i miei sensi. Una strana luce rossastra riempie l'abitacolo. Una mano entra nel mio campo visivo, schiaccia un interruttore e un fascio di luce bianca mi investe. Vedo due occhi squadrarmi, mentre qualcuno mi passa uno strumento su e giù per il corpo. Mi prende un braccio, sento ancora un dolore acuto, un formicolio raccapricciante che mi strappa un gemito. Sento un sospiro sconsolato, mi lasciano stare. "Mi attacco la laurea al cesso," dice una voce, "Qui non serve un accidente la medicina normale. Ma ci dobbiamo provare lo stesso. Quanto plasma al cinese?" "Ho attaccato la seconda." "Cosciente?" "No." "Meglio per lui." Un altro sospiro. "Poveraccio." La voce si alza un poco. "E tu, ragazzo? Tutto bene?" Ripete la domanda in giapponese. "No." E' la voce di Seiya, che si leva appena sul rumore del motore. Cupa, sull'orlo delle lacrime. "Lasciatemi in pace..." Sì, lasciateci tutti in pace. A contemplare il disastro di questa missione. Siamo arrivati su di un isolotto di pietra sterile, un ammasso di scogli battuti dalle onde. E l'elicottero della Fondazione non ha nemmeno fatto in tempo ad abbassarsi che qualcosa l'ha colpito, mandandolo a rovesciarsi sulle rocce. Grazie al cielo i due piloti se la sono cavata con pochi graffi, ma questo attacco contro gente del mondo esterno ci ha fatto capire subito che qualcosa non andava... E infatti tre figure in armatura ci sono venute incontro, due uomini e una donna. "Chi sono quei due intrusi?" ha detto uno, in greco antico. "Ah. Estranei da eliminare." "Prima di eliminarli, dovrete eliminare noi!" ha intimato Shiryu. E si è rivolto ai due piloti, spaventatissimi. "Mettetevi al sicuro, presto." I due hanno obbedito, rifugiandosi accanto al relitto dell'elicottero. "Parlano nella lingua sacra," ha detto il cavaliere, indicandoci. "Sembrano tre adepti del nostro ordine. Eppure vestono un'armatura senza le maschere prescritte. Ci conoscono forse, per osare quest'insulto?" "No, amici miei," ha risposto la donna. "Ma così osano presentarsi gli schiavi della Fondazione Thule, fin da quell'osceno torneo." "Di che vi sorprendete?" ha detto l'ultimo. "Non sono più Santi di Athena, solo bestie senza regole. Del resto, questo è il premio per aver dato le armature ai barbari." La donna è avanzata verso Seiya, lasciando indietro i due compagni. Mi ricordava Nemesis, solo che era di statura più bassa, ed aveva i capelli neri. La sua grazia muscolare le dava un aspetto ancor più pericoloso. Era naturalmente mascherata, e decorazioni a forma di serpente ornavano la sua armatura. "Ti ricordi di me, Pegasus?" Seiya l'ha guardata cupamente. "Tisifone di Ofiuco," ha mormorato. "Che diavolo ci fai qui?" "Ti porto i saluti di Ioria. E' stato lui a mandarti il messaggio per convocarti qui. Naturalmente non aspettarti di trovare un'armatura d'oro tra queste pietre... troverai solo un eterno riposo." Seiya ha stretto i pugni. "E Castalia?" Un'agghiacciante risata. "E' fuggita dal Santuario. Aveva ricevuto l'ordine di eliminarti, ha preferito diventare un cavaliere decaduto come te. Ioria non ha gradito il fatto di essere stato abbandonato da lei, solo a causa di un muso giallo che insozza le vestigia di Pegasus... per cui si è prestato volentieri a organizzare quest'imboscata." "Imboscata!" Seiya ha sorriso, a denti stretti. "Ioria poteva fare di meglio. Siete in tre, come noi. E spero che tu non abbia seriamente intenzione di fare a pugni, Tisifone..." Uno sguardo provocatorio, "Mi spiacerebbe rovinare la tua bella faccina." "Non c'è bisogno che mi ricordi il mio disonore, Pegasus! Hai visto il mio volto, e sai che non avrò pace per questo, finché non avrò rimediato mandandoti nell'Ade con le mie mani." La donna si è concentrata, ha espanso un cosmo che ha raggelato il sorriso del mio compagno in una smorfia di sconcerto. "Non si offende impunemente un cavaliere d'argento... avresti dovuto essere sicuro della mia gerarchia, prima di metterti contro di me!" "Ehi, ma quanto sei permalosa," ha detto lui, lottando disperatamente per non perdere la sua baldanza. "Quindi, signorina-cavaliere d'argento, ce l'hai con me solo perché ho scoperto che sei carina... non perché ho sconfitto il tuo miserabile allievo Cassios per il possesso di questa armatura!" "Basterebbe questo a farmi desiderare la tua morte," ha ruggito Tisifone. "Quattro anni della mia vita buttati via per addestrare l'uomo più forte di Grecia! E dovevi arrivare tu, dall'altra parte del mondo, a sfidarlo per reclamare la corazza che indossi... tu, barbaro mandato dai nemici del Santuario!" Si è messa in guardia. "Argos! Lumen! Avete un atto di giustizia da compiere, le teste di quei due vi appartengono. Ma la testa di Pegasus... è mia!" "Datti una calmata, Tisifone!" Seiya non si è mosso. "Cavaliere o meno, non posso battermi contro di te. Sei una donna!" "La tua ridicola galanteria!..." ha riso lei, aspramente. "Questo è il Mondo Segreto, sciocco, e tu hai dimenticato le lezioni della tua maestra. Ora che stai per morire posso rivelarti che anche la tua Castalia è un cavaliere d'argento, ed è migliore combattente di te!" E' partita all'attacco, senza esitare, ed ho visto Seiya piombare sanguinante tra le rocce, dopo un volo spaventoso. "Non nasconderti dietro quel pezzetto di carne che porti tra le gambe, Pegasus," lo ha apostrofato lei, irridendolo. "Combatti da guerriero, visto che pretendi di esserlo!" Lui si è rialzato, si è asciugato il sangue con la mano. "Non mi lasci molta scelta, vero?" Ha guardato la sua avversaria, torvamente. "Del resto potrei avere anch'io motivi a sufficienza per prenderti a pugni, visto che in Grecia hai fatto di tutto per darmi fastidio!" "Sporco insetto, non riuscirai neanche a toccarla," ha esclamato l'uomo chiamato Lumen. "Tisifone è maestra di guerrieri, venerata e temuta come una dea." Si è voltato verso Shiryu. "Intanto che lei si diverte, io mi prenderò quest'altro muso giallo." "Ed io con cosa rimango?" ha protestato l'altro. "Ti lascio l'unico bianco, Argos. Che vuoi di più?" "Ma è un bambino! Non è nemmeno degno di pulirmi i piedi..." A quel punto è finito a gambe levate. Perché io, che francamente ne avevo abbastanza di essere trattato con sufficienza, ho generato una catena di difesa e l'ho usata fulmineamente come una frusta, falciandogli le caviglie. "Attento a questo bambino, cavaliere," gli ho detto, "Sa fare ben altro che pulire i piedi di gente come te." "Come osi?!" ha esclamato, "Dannato..." Si è interrotto, guardando le mie catene. Ed uno strano sorriso divertito è salito alle sue labbra. "Ahhh... quale incontro interessante! Vedo la mano degli dèi in questo." Si è rialzato, declamando un brano di una tragedia antica: O dèi, a quale barbara terra mi hanno portato gli alati calzari? Solcando le vie del cielo mi dirigo alla mia città Recando la testa della venefica Gorgone... Ho riconosciuto quei versi. Quante volte me li avevano fatti sentire in tono di scherno, mentre il sole e le catene mi torturavano alla roccia delle punizioni, nei lontani giorni di Anthrâmatha... "Sei il cavaliere di Perseo," ho detto, cupamente. Lui ha riso. "E tu di Andromeda," ha risposto. "Colei che Perseo salvò dalle fauci del mostro, facendone la sua sposa.." Si è messo in guardia. "Non vorrai essere così ingrato da batterti contro di me, con le catene dalle quali io stesso ti liberai! " Mi sono messo in guardia a mia volta. "Non ti aspetterai che sia pronto a buttarmi tra le tue braccia, mio liberatore." "Sarebbe la cosa più saggia che potresti fare," ha ribattuto lui, ironico. "Almeno ti risparmieresti inutili sofferenze prima di morire." Ha espanso il suo cosmo e mi ha attaccato. Io ho opposto le mie catene, senza troppe difficoltà; ma ho capito che stava solo giocando con me nel momento in cui uno dei suoi colpi è riuscito a passare le mie difese. Doveva essere stato scagliato ad una velocità maggiore di quella del suono! Sono finito a terra, boccheggiante, salvo solo grazie alla mia armatura. Argos mi ha lasciato tutto il tempo di riprendere fiato. "Battiti, dolce Andromeda. Non rendere così insipida la mia vittoria." Ho pensato ad Ikki, inarrivabile cavaliere. Non ero niente per lui, ma mi aveva sempre chiamato fratello. Dovevo a tutti i costi meritare questo bellissimo nome... Mi sono rialzato, con una nuova energia dentro. Ed ho dato soddisfazione ad Argos. Mi sono battuto come voleva lui, usando tutti i trucchi che mi erano stati insegnati, resistendo ai suoi colpi, in un crescendo di sforzo nell'eternità dell'iperconcentrazione. "Bravo!" ha esclamato lui a denti stretti, vedendo che gli resistevo quasi alla pari. "Continua così, e darai un po' di lustro alla mia gloria." "Tanto lustro che ti abbaglierai!" ho gridato, rabbiosamente. Una spinta infantile e incontrollata... ma ha portato la mia iperconcentrazione ad un livello che fino a quel momento avevo solo sfiorato. Le mie catene hanno cominciato a brillare con un riflesso diverso dal solito, e mi sono reso conto, col cuore in gola, che stavo portando il mio cosmo oltre la mia gerarchia... Ma Seiya ci è riuscito prima di me. Ho sentito attonito l'esplosione della sua energia alle mie spalle, qualcosa di così sorprendente da costringerci tutti, amici e nemici, a fermarci ed a voltarci verso di lui. E quando ha colpito, ho percepito il cosmo tremendo di Tisifone andare in frantumi contro il suo, e dileguarsi nel nulla. La guerriera ha mandato un urlo agghiacciante. E poi è crollata inerte a terra, il pettorale ed i coprispalla della sua armatura fatti a pezzi. Seiya è rimasto immobile su di lei, ansimante, i pugni tutti sanguinanti. Quando ha ripreso fiato ha detto, nel silenzio irreale che lo circondava: "Ti è andata male anche stavolta, Tisifone. Dovrei ammazzarti dopo quel che mi hai detto... ma sei una donna, e ti ho pure visto in faccia." Si è raddrizzato, si è allontanato di qualche passo. "Non uccido le belle ragazze come te." Lei si è contorta in uno spasimo di rabbiosa disperazione. "Pe... ga... sus!" ha sillabato, con le sue ultime forze. E poi è svenuta. "Tisifone!... No!" ha urlato Argos, rabbiosamente. "Non è possibile, per tutti gli dèi..." Ha fatto per gettarsi verso di lei, ma io ho lanciato le mie catene, impastoiandolo. "No, Argos!..." Si è voltato verso di me, furibondo. "La tua amica è stata sconfitta, ma è ancora viva. Non le accadrà altro di male." Lui ha fatto per liberarsi dalle mie catene, ma io le ho fatte stringere ancora di più. "Mi spiace, ma le regole sono regole, Se vuoi lasciare il nostro combattimento, devi prima arrenderti!" "Tu, miserabile..." ha ruggito lui, "Adesso basta, mi sono stancato di te!" Ha espanso il suo cosmo, e stavolta superando ogni mia possibile risorsa: per la prima volta ho visto le mie catene mistiche andare in frantumi! Col cuore in gola ho atteso il suo inevitabile attacco, cercando di prepararmi, ma ho visto solo un lampo di luce, una silenziosa esplosione nei miei occhi... l'affascinante immagine di un bel sorriso di donna, in mezzo a serpenti che si contorcevano. Sono rimasto senza fiato, mentre la mia mente incantata riconosceva quel che aveva visto. Era Medusa, la Gorgone che Perseo aveva decapitato. Il suo sguardo aveva il potere di trasformare gli esseri viventi in pietra. Quando l'ho ricordato, ho sentito all'improvviso delle orrende sensazioni, come se dai miei piedi spuntassero delle radici che mi legavano al suolo. Volevo abbassare la testa per guardarle, ma non potevo. Il freddo mi invadeva le membra, gli occhi mi bruciavano. La bella figura sogghignava demoniaca, sciogliendosi in luce rossa sulle mie retine... Ho provato il più spaventoso senso di panico della mia vita. L'ultima cosa che ricordo di aver visto è una delle mie mani, tesa in avanti in un tentativo di proteggermi. Per un attimo ho provato sollievo a vedere che era ancora fatta di carne, ma poi ho cercato invano di muoverla. Non mi apparteneva più. Con orrore ho capito che carne o pietra era la stessa cosa, ero prigioniero del mio corpo paralizzato, con tutto il dolore dei muscoli intatto... e nessuna speranza di poter gridare il mio strazio... Non so quanto è durato. Poi, all'improvviso, è stata notte. Ero sdraiato sulle rocce. Alla luce di alcuni fari ho visto delle facce angosciate, ho udito il ritmico rumore delle pale di un elicottero. Erano gli uomini del servizio personale di Lady Isabel, quelli che serbano il segreto della nostra esistenza. Evidentemente i nostri due piloti, al riparo dalla battaglia, erano riusciti a mandare un messaggio radio per richiedere soccorsi. Uno dei due era al mio fianco, evidentemente scioccato da quel che aveva visto. Qualcuno ha provato a muovermi, ed ho urlato di dolore. Ma questo mi ha confermato che quell'orrenda sensazione di prigionia era finita, che ero ancora vivo, e nonostante la sofferenza ho provato un indicibile sollievo. Ho visto Seiya a poca distanza da me, che si lamentava; la sua armatura era pressoché intatta, non sembrava particolarmente ferito. Qualunque cosa Argos avesse fatto a me, era chiaro che l'aveva inflitta anche a lui... ma l'aveva pagata cara, perché i fari illuminavano il cadavere del cavaliere di Perseo, rovesciato sulle rocce, denudato dell'armatura: una povera cosa dal torace completamente sfondato, con le costole spezzate in fuori, in un lago di sangue. Nessuna traccia di Lumen o Tisifone. Dei versi strazianti mi hanno fatto balzare il cuore nel petto. Ho riconosciuto a stento la voce di quell'essere in agonia. Era Shiryu... lui che non avevo mai sentito gridare in vita mia, se non nel mistico kiai con cui si portano i colpi nella lotta! Cosa gli era successo per farlo urlare così? L'angoscia si è aggiunta ai miei tormenti, mi sarei messo ad urlare anch'io, preso dalla disperazione... avrei voluto fuggire e nascondermi per non essere lì, per non sentire il mio dolore, ed il dolore degli altri! Ed invece non ho fatto altro che piangere in silenzio, mentre qualcuno mi praticava delle iniezioni misteriose. Ed ora sono qui, su questo elicottero che vola nella notte, sapendo solo che sono sopravvissuto, e che non sono servito a niente. *** Quando mi sveglio, mi scopro in una bella e grande stanza bianca e verde. La riconosco, è quella della clinica della Fondazione, a Nuova Luxor. Sono solo, senza armatura, ma con ancora la tuta di seta addosso: mi hanno coperto solo con un lenzuolo verde. Lo scosto con cautela, alzo il braccio: formicola, ma non sento quasi più dolore. Allora mi muovo, lentamente, alzandomi a sedere. Ce la faccio abbastanza bene. Entra un medico, che mi controlla frequenza cardiaca e pressione, mi indirizza una fastidiosissima luce negli occhi. Poi esce, ed al suo posto entrano Ikki, Hyoga e Lady Isabel. La duchessa si accomoda su una poltroncina, evidentemente stanca. Hyoga mi sorride con la sua aria lontana, mettendosi accanto al carrello delle medicine. Mio fratello rimane sulla porta, con un'aria tempestosa nello sguardo. La prima cosa che chiedo è come sta Shiryu. "E' ancora in sala operatoria," è la triste risposta di Hyoga. E mi chiede cos'è successo. Racconto tutto quel che so, fino al momento in cui ho visto lo sguardo di Medusa. "Il favoloso colpo segreto di Argos," mormora mio fratello, "Ne avevo sentito parlare, in Grecia. Non aveva altre risorse, quel bastardo... ma questa gli bastava alla grande." "In cosa consiste?" gli chiede Hyoga. "Si diceva che nell'armatura di Perseo è incastonata una figura magica, solitamente nascosta dai capelli del cavaliere. Chi la guarda diventa pietra." Ikki alza le spalle. "Non ho idea di cosa sia in verità. Ha l'aria di una suggestione ipnotica, accompagnata da qualche tipo di droga o veleno. Paralizzare un avversario a questo modo significa ucciderlo, e non è un bel modo di morire: molto lento e doloroso." "Come faccio ad essere ancora vivo?" chiedo, con voce tremante. Hyoga mi racconta quel che è accaduto dopo che sono stato colpito, secondo le ricostruzioni di Seiya e dei due testimoni. I miei compagni hanno sentito il mio cosmo spegnersi, e mi hanno visto immobile e paralizzato. Shiryu, che conosceva la leggenda di Perseo, ha immediatamente compreso cosa doveva essermi successo, ed ha tentato di mettere in guardia Seiya. Ma Argos era già lanciato contro di lui, ansioso di vendicare la sconfitta di Tisifone. Allora Shiryu ha abbandonato il combattimento con Lumen, e si è gettato a difendere il compagno con il suo scudo del Dragone, riuscendo a parare all'ultimo momento il colpo paralizzante. Seiya non ha capito il perché di quell'intervento. Shiryu gli ha urlato di stare alla larga da Argos, perché solo il potere del suo scudo poteva contrastare la Medusa; ma il mio amico irruente ha rifiutato di scambiare avversari, lo considerava un atto di viltà. Argos l'aveva aggredito e quindi ora spettava a lui rispondere. Lumen ha dunque attaccato Shiryu, costringendolo ad allontanarsi. Ed il secondo tentativo di Argos contro Seiya è andato inevitabilmente a segno. Quando anche il cosmo di Pegasus si è spento, Shiryu ha capito di trovarsi in una situazione disperata: era rimasto solo, e poiché aveva interferito con il combattimento di Argos, ora anche quest'ultimo era di diritto il suo avversario... così si trovava a doversi battere contro due nemici alla volta. Ma nel momento più critico l'imprudenza di Lumen gli ha dato una mano. Nel tentativo di togliere a Shiryu lo scudo, il cavaliere si è fatto colpire per errore da Argos. Rimasto solo contro quest'ultimo, Shiryu ha parato tutti i suoi attacchi con l'ausilio del suo insormontabile scudo. Colto dalla rabbia, il greco l'ha provocato rivelandogli che la sola difesa non gli sarebbe servita a riportarci in vita: soltanto un attacco mortale avrebbe spezzato il suo incantesimo. La sua intenzione era chiaramente quella di spingere l'avversario ad uscire dalla sua posizione difensiva, per coglierlo d'incontro. E Shiryu l'ha capito perfettamente; d'altra parte, era consapevole che solo uccidendo Argos avrebbe salvato Seiya e me... Così ha giocato il tutto per tutto, con la sua solita, sovrumana determinazione. Ha abbandonato finalmente lo scudo, ma prima si è accecato con le sue stesse mani, rendendosi così invulnerabile allo sguardo di Medusa. Poi si è buttato in avanti, sacrificando anche il suo braccio pur di scaricare tutta la violenza del suo Drago Nascente contro l'attonito Argos. Non c'era armatura che potesse tenere ad un impatto del genere. Il cavaliere greco è rimasto ucciso sul colpo, il corpo orribilmente straziato. Come lui stesso aveva predetto, la sua morte ha interrotto gli effetti del colpo segreto. Lumen è stato il primo a riprendersi, poiché era stato l'ultimo ad essere stato colpito. Avrebbe potuto facilmente uccidere Dragone, ormai inerme, ma forse ha visto cos'aveva avuto la forza di farsi, pur di salvarci; forse ha onorato un debito di gratitudine, o forse solo il suo coraggio. Fatto sta che non l'ha toccato. Ha tolto l'armatura dal cadavere di Argos, ha raccolto Tisifone e se n'è andato, scomparendo misteriosamente. Il secondo a riprendersi è stato Seiya. L'ultimo io, perché la mia paralisi era stata la più prolungata. Ma le nostre condizioni erano nulla a paragone di quelle di Shiryu: esaurite le sue energie, morso dal vento dell'oceano, abbandonato sulle rocce in un lago di sangue, con il braccio frantumato, gli occhi straziati, ha finito per urlare folle di sofferenza, schiantato persino nella sua tempra di guerriero. "Ora Dragone è sotto i ferri," conclude Lady Isabel, mentre io fisso il vuoto, inorridito. "E' arrivato qui praticamente in fin di vita. Ho chiamato con urgenza i migliori specialisti del paese. Si spera di salvarlo, riducendo al minimo le conseguenze dei suoi traumi; infatti rischia l'amputazione del braccio destro, e per quanto riguarda i suoi occhi... " Un sospiro, "Almeno sappiamo che non ha usato oggetti appuntiti. Si è colpito con le sue stesse dita." "Ha tenuto lo sguardo fermo mentre si accecava," mormora Hyoga, "Ha avuto il coraggio di guardare la sua mano fino all'ultimo, senza nemmeno battere le ciglia." Chiudo gli occhi, li stringo forte per un istante. Oh, Shiryu!... "Non è certo la forza d'animo che manca a Dragone," dice mio fratello. "E' molto più facile ammazzarsi che mutilarsi e restar vivi. Almeno, nel primo caso, si va incontro all'oblio. Ma nel secondo... ci si porta il ricordo per sempre!" Il suo tono si fa asciutto. "Mi sembra che Shiryu abbia dimostrato a sufficienza il suo valore, senza che gli si debba infliggere quest'altra tortura. Per cui mi auguro che muoia, ed alla svelta." "Ikki!..." esclama Lady Isabel, voltandosi di scatto verso di lui.. Nello stesso tempo la porta della stanza si spalanca e sulla soglia appare un tremante Seiya. Guarda subito mio fratello, con furia omicida. "Stavo per entrare, ed ho sentito la bella cosa che hai detto," sibila tra i denti. "Solo tu puoi essere tanto stronzo, Phoenix!" "Seiya, calmati," dice Hyoga con urgenza, avanzando verso di lui. Lancia un'occhiata tagliente ad Ikki, "E tu stai attento a quel che dici." "Ho detto ciò che penso," ribatte mio fratello, ostentando un'assoluta indifferenza. "Me ne frego se ho urtato la sensibilità di qualcuno che ha la coda di paglia." Seiya non ci pensa due volte, si scaglia contro di lui. Non lo raggiunge perché Hyoga lo blocca appena in tempo, e cerca di spingerlo fuori dalla stanza. Lui resiste, si sbraccia, urla: "Shiryu ce la farà, mi senti, razza di bastardo presuntuoso?! Ce la farà, a dispetto dei tuoi auguri!" Si divincola dalla presa di Hyoga. "Che ci sei venuto a fare tra noi? Perché non te ne sei tornato in Grecia, dal tuo vecchio padrone?!... Non abbiamo bisogno di te, e della tua tanto vantata potenza. Siamo partiti in tre, ed in tre siamo tornati; ci siamo scontrati con tre cavalieri mediani, e li abbiamo sconfitti!" "Ma che bravo!" esclama mio fratello, con un'aspra risata. "Allora vai a festeggiare con il tuo amico Dragone, senza il quale tu e Shun sareste dei cadaveri. E specialmente tu, Pegasus, chiedigli scusa per non averlo ascoltato in battaglia... magari guardandolo negli occhi." Seiya impallidisce mortalmente. Io abbasso la testa con vergogna. "Adesso basta, Ikki," interviene Hyoga, gelidamente. "Non hai il diritto di giudicare gli altri. Non eri laggiù a combattere con loro." "Grazie a quella che dovrebbe essere la dea della saggezza," ribatte lui, indicando Lady Isabel col pollice. "Ha fatto bene a lasciarti indietro!" urla Seiya, fuori di sé. "Tu avresti combattuto solo per te stesso... ci avresti lasciato morire come bestie!" "Taci una buona volta, Seiya!..." Tutti si voltano verso di me, in un istante di irreale silenzio. Già, è così strano sentirmi alzare la voce! Ma non posso stare zitto, non ce la faccio più. Mi alzo in piedi a fatica, avanzo traballando verso Seiya, che mi guarda con aria incerta. "Shun, accidenti..." "Non ti permetto di parlare così a mio fratello. Non ne hai il diritto!" "Senti, ragazzino, vedi di non ricordarmi troppo questa storia della fratellanza, o finisce che le prendi anche tu." "Sfogati," lo sfido. "Almeno io lo meriterei. Perché è anche per colpa mia se Dragone rischia di morire. Per questo non mi sognerei mai di entrare in quella sala operatoria e prenderlo a pugni. Tu invece vuoi fare proprio questo! Dimentichi alla svelta i tuoi debiti di gratitudine verso chi ti ha salvato la vita, vero? Dimentichi cos'è accaduto sul Suizhan, vero? Non ti basta che qualcuno sia morto per te, vero?" Avanzo, a pugni stretti. "Vero, Seiya?!" "Piantala," sibila Ikki, a voce bassa. Ma io non ho intenzione di tacere. "Siete tutti pronti a pensar male di mio fratello! Credete di capirlo da quattro parole, e non vi rendete conto che...." Ikki fa un passo in avanti e mi assesta un ceffone, strozzandomi il resto delle parole in gola. Segue un silenzio agghiacciato. Nessuno si aspettava quella reazione da lui. Lo guardo attonito, con occhi tremanti. Mi risponde uno sguardo di pietra. "Non mi serve un avvocato. Me ne sbatto della solidarietà dei tuoi cari amici. Non ho bisogno di loro... e tantomeno di te!" Si raddrizza, gira sui tacchi, fa il suo solito saluto militare ed esce, sbattendo la porta. *** Se ce n'era bisogno, quell'incidente dimostra il nervosismo che ci divora tutti quanti. Inevitabilmente ne ho fatto le spese io, ma devo ammettere che Ikki è stato più generoso con me che con Seiya: come Hyoga mi fa notare, con poche parole l'ha sprofondato nel più nero dei sensi di colpa. Nessuna sorpresa che da quel momento in poi il querulo Pegasus non pronunci più una sola parola, rimanendo in solitaria attesa davanti alla sala operatoria. "Il destino di Shiryu è l'ago della bilancia," dice Lady Isabel con un sospiro, "La sua vita o la sua morte possono trasformare questa battaglia nella più bella delle vittorie... o nella più disastrosa delle sconfitte." Finalmente le porte della sala operatoria si spalancano. Intravvediamo il nostro amico, o meglio quel poco che appare tra bende, lenzuola, maschere ad ossigeno e fleboclisi. Non un gesto o una parola, evidentemente è ancora incosciente. Gli infermieri lo portano via, mentre noi affrontiamo il medico di fiducia dei Thule: un venerando signore che già conosciamo bene, fin dai giorni del torneo. Lui esce nel corridoio, si toglie la mascherina dalla faccia, ci guarda tutti e sospira, stanchissimo. Ci comunica che Shiryu vivrà. Chiunque altro sarebbe stato stroncato dalla perdita di sangue e dalle complicazioni di simili ferite, ma Shiryu è un cavaliere, ed il medico ormai si è arreso al fatto che in qualche modo noi siamo speciali. E non c'è stato bisogno di amputargli il braccio destro: sono riusciti a salvarglielo grazie ad un paziente lavoro di ricostruzione, con le tecniche più sofisticate. Quel che rimaneva delle sue ossa intere è stato integrato con protesi sintetiche, i nervi sono stati riallacciati, i tendini ricostruiti; tutte le lesioni sono state ridotte. Anche in questo caso un uomo normale si ritroverebbe comunque menomato, ma per qualche motivo che al medico sfugge i tessuti mostrano una velocità di ricostruzione superiore al normale, il che lascia ben sperare per il futuro. Noi ci rilassiamo un poco. Sembra che il peggio sia passato! Shiryu sopravviverà, ed è chiaro che ha comunque mantenuto il suo contatto cosmico. La sua energia naturale è già all'opera per risanarlo. "Ed i suoi occhi?" chiede Seiya, col cuore in gola. "Guariranno, vero?" Sentiamo un rumore, ci voltiamo tutti. Ikki è là, all'estremità del corridoio. Non se n'è mai andato fino ad adesso, è sempre stato lì ad aspettare, e ad ascoltare... Il medico abbassa lo sguardo. "C'è un limite ai miracoli. Abbiamo fatto del nostro meglio, ma la situazione era già molto compromessa." Rialza la testa. "Temo che il vostro amico... resterà cieco per il resto della vita." *** Shiryu si riprende in fretta, con la solita facilità del buon cavaliere che ha il cosmo dalla sua parte. Io vado a trovarlo tutti i giorni, mentre Ikki si rifiuta di farlo: quando gli chiedo se vuole venire con me, alza le spalle e mi risponde con aria assente: "Ci mancherebbe che venissi anch'io a rompere le palle a quel disgraziato." E' meglio così, perché altrimenti incontrerebbe inevitabilmente l'odiato Seiya, che si è praticamente trasferito al capezzale del cinese. Assieme a lui c'è sempre Kiki, angosciato dalla disgrazia occorsa al suo eroe, e la fidanzata di Shiryu, che Lady Isabel ha fatto venire di corsa dalla Cina. Povera Fiore di Luna! Tocca sempre a lei essere ad un passo dal perdere l'uomo che ama. Ma è una ragazza coraggiosa, oltre che bella. Resta in un dignitoso silenzio, contemplando il mucchio di bende a cui è ridotto il suo amato Shi Lou. Non recrimina, non fa nulla per rinfacciare a me ed a Seiya la nostra terribile responsabilità. Il momento in cui Shiryu riprende finalmente i sensi è bellissimo, ma nello stesso tempo drammatico. Ce ne accorgiamo dalla sua mano, che stringe quella di Fiore di Luna. Lui mormora una frase in cinese, a cui risponde lo scoppio liberatorio del pianto di lei. Kiki si mette a saltare di gioia. "Accidenti, Dragone!" esclama Seiya, commosso, "Ci hai fatto morire di paura!" "Dove sono?" chiede lui con un filo di voce. "Vi sento, ma non vi vedo..." Ci manca a tutti il fiato a quelle parole. Shiryu fa per muovere il braccio destro, ma è immobilizzato. Allora alza la mano sinistra e si tocca la faccia. Incontra i grossi cerotti che fissano le bende ai suoi occhi. "Ora... ricordo," dice, con voce roca. Respira forzosamente, come per mantenere la calma. Ma trema. Ciò nonostante riesce non perdere il controllo. "Stai bene, Pegasus?" ha il coraggio di chiedere. "Certo che sto bene, Dragone..." risponde Seiya, in lacrime. "Ed anche Shun, che è qui... stiamo bene, grazie a te che ci hai salvato la vita." Sorride lievemente. "Ne sono felice," risponde semplicemente. Il giorno dopo sta già molto meglio. In poco tempo si riprende al punto di riuscire a stare seduto, ed i medici sbalorditi dicono che di quel passo potrebbero dimetterlo in pochi giorni... naturalmente per concedergli poi un lungo periodo di convalescenza. Il braccio rimarrà inservibile per un bel pezzo, ed in quanto alla vista non concedono molte speranze. "Gli occhi ci sono ancora," dice il dottore, con un sospiro "Li abbiamo sistemati per quel che potevamo. Il problema è il danno ai terminali nervosi. In genere... è irreversibile." Shiryu incassa la sentenza senza un tremito. Ci dice soltanto: "Questo significa che non potrò più esservi d'aiuto, amici miei. Mi dispiace lasciarvi soli, proprio ora che i nemici che ci minacciano sono così terribili..." "Ma vuoi scherzare!" tuona Seiya, con allegria un bel po' sforzata. "Abbiamo già spedito al Santuario dei cavalieri d'argento con la coda tra le gambe. Per quanto riguarda te, non credere di poter perdere tanto tempo facendo il malatino. Oh, lo so che Fiore di Luna ti coccola a più non posso, ma devi tornare a combattere con noi, e con cortese sollecitudine!" Lui sorride semplicemente. "Farò ciò che gli dèi mi permetteranno." La sua serenità sovrumana ci impressiona e ci tranquillizza. Nei giorni successivi sembra esplorare attentamente tutte le possibilità del nuovo mondo a cui la cecità lo costringe. Invece di recriminare su ciò che ha perduto, si concentra su ciò che gli è rimasto. Sorride soddisfatto se capisce dal profumo quali fiori la sua fidanzata ha messo nel vaso accanto a lui, se riconosce il medico che gli pratica le iniezioni dal rumore dei suoi passi. Io mi presento a lui richiamando un poco della mia energia, "arruffando" il mio profilo cosmico in modo che mi senta: dopo di me è sempre stato il più sensitivo del gruppo, ed io cerco di incoraggiarlo in questo sviluppo dei suoi poteri. "Lo sai che è nata una stella nella mia costellazione?" gli confido, tutto contento. "E' così vicina che l'ho sentita accendersi. E' come un piccolo cuore che batte, ed è così bello sentire la sua nuova vita..." Sospiro. "Perché non provi anche tu a sondare il tuo cosmo, staccando i flussi energetici l'uno dall'altro?" "Shun," mormora lui, lievemente turbato. "Questa è un'impresa di cui sono a malapena capaci i cavalieri della massima gerarchia. Così mi ha insegnato il mio maestro." "Beh, allora si è sbagliato, perché io ci riesco benissimo!" Rido. "E dopotutto sono solo un cavaliere di bronzo, dai poteri miserabili." "Non direi. Contro Argos ti ho sentito eguagliare la sua potenza." "Ma mi ha battuto, e senza alcuna fatica. Tu invece hai saputo lottare contro di lui, e superarlo. Sei diventato un cavaliere d'argento a tutti gli effetti!" Lui respira profondamente. "A proposito di sensibilità cosmica... non sento mai la presenza di tuo fratello." Mi sento imbarazzato. "Sai, Shiryu... Ikki è un solitario. Ha il suo modo personale di sentirsi vicino ad un amico. E non tutti... sono capaci di apprezzarlo." "Non vuole assistere alla mia umiliazione?" mormora lui con un lontano sorriso. "Vedere il grande Dragone in un letto di ospedale?" "Forse," rispondo con un filo di voce. "Quel che pensa non lo dice nemmeno a me, però... io sono sicuro che si preoccupa per te. Anche se non viene mai a trovarti." "Non c'è bisogno che lo giustifichi. Conosco anch'io Ikki, so che è molto meno cattivo di quanto non voglia far credere. Vorrei solo che gli dicessi che mi piacerebbe rivederlo..." Si corregge. "Cioè, incontrarlo ancora una volta, prima che io parta." "Come?" chiedo, colpito. "Te ne vai?" "Qui non sono più utile a nessuno." Sospira. "Fiore di Luna mi ha riferito il messaggio del mio maestro: ha saputo ciò che mi è accaduto, e vuole che ritorni in Cina. Dice che i Cinque Picchi sarebbero il luogo migliore dove trascorrere la mia convalescenza: l'arte del Qi Gong, l'aria pura e le erbe mi aiuterebbero a ristabilirmi più di ogni artificio della moderna medicina." Una pausa. "Penso che accetterò il suo invito, ho bisogno di tornare a casa. Partirò non appena riuscirò a stare in piedi... se Athena me ne darà il permesso." Assisto a quella commovente richiesta, insieme ai miei compagni. Lady Isabel risponde con un triste sorriso; va da Shiryu, gli prende le mani, gliele stringe con tenerezza, ed io sento la sua energia vibrare... un caldo torrente di serenità, che scorre da lei al nostro amico, e che contagia tutti noi. "Certamente hai il mio permesso, coraggioso Dragone. E la mia benedizione. Ti affido all'amore ed all'affetto dei tuoi cari. Sii forte e supera anche questa prova... anche se sarà la più dura ed eroica di tutte." Shiryu si china a posare la fronte su quelle manine in segno di grazie. "Vorrei fare di più per te," mormora lei a voce bassissima. "Ma non posso." Poi se ne va. E Seiya brontola: "Accidenti! Come sarebbe a dire, non può fare di più? Che razza di dea è?" "Se fosse onnipotente non avrebbe bisogno di noi," replica Hyoga, asciutto. "Possibile che sia più difficile salvare la vista che la vita? Ha già salvato la pelle a Dragone, una volta..." "Con l'aiuto di Mur, non dimenticarlo." Seiya si illumina tutto. "Mur!...Bravo Crystal, hai detto la parola magica." Si volta verso Kiki. "Senti un po', il tuo Sampadam-e-come-cavolo-si-chiama potrebbe tirar fuori Shiryu dai pasticci?" "Il mio maestro di solito ripara le armature, non i cavalieri," risponde il bambino, con petulanza. Guarda gli occhi incerottati di Shiryu, sospira. "Però è molto saggio e vuole bene a Dragone... chissà, forse potrebbe suggerire qualche rimedio." Seiya la prende col solito entusiasmo. "Okay! Parto subito. Vado a tirarlo fuori dal suo rifugio nel Pamir..." Hyoga gli mette una mano sulla spalla. "Ma sei impazzito? Non puoi lasciarci soli, proprio adesso." "Sono d'accordo," dice Shiryu, la sua voce tranquilla come sempre. "Devi proteggere Athena anche per me." "Dragone..." mormora Seiya, stringendo i pugni. "Io... io mi sento in colpa. Devo fare qualcosa per te, non lo capisci?" "Non devi sentirti in colpa perché tutto questo era scritto nel destino," ribatte Shiryu. "Siamo amici e compagni di lotta. Quel che ho fatto io avresti benissimo potuto farlo tu... o Andromeda. Il nostro scopo è difendere la causa di Athena, non garantirci la miglior vita possibile." Seiya scuote vigorosamente la testa. "Ma io non voglio dire che..." "Pegasus." Shiryu alza un dito. "Se parti e lasci sola Athena, lo considererò un insulto personale. Mi renderai complice della tua defezione, mentre forse mai come adesso la nostra dea ha bisogno di tutti i suoi cavalieri... te compreso." Questo ammutolisce definitivamente il nostro amico. "Ma io non sono un cavaliere," dice la vocetta acuta di Kiki, spezzando il silenzio. "Non ancora, almeno. Quindi Athena non ha bisogno di me." Ci voltiamo tutti a guardarlo. "Vuoi dire... che andresti tu a cercare Mur sul Pamir?" "Certo! Che c'è di strano? Mur è pur sempre il mio fratello spirituale, ed il Pamir è casa mia." Giocherella col suo rosario buddista. "Mi basta che qualcuna di quelle grosse bestie di metallo con le ali mi porti a Katmandu, visto che stavolta non c'è lui a teletrasportarmi... e poi da lì mi arrangerò." "Ma sei solo un bambino," protesta Hyoga. "Come puoi intraprendere questo viaggio da solo?" Kiki lo guarda, offeso. "Non ho bisogno dell'aiuto di nessuno, caro Cigno. Io sono un trülku,un veneratissimo Reincarnato con i poteri del Terzo Occhio." Un sorriso impertinente. "Bambino o no, mi basta trovare un monaco e farmi riconoscere da lui per fargli fare tutto quel che voglio... compreso portarmi dalle parti della Montagna Sacra. Il resto per me è uno scherzo. Conosco tutti i passaggi segreti come i buchi della mia veste!" "Sarà meglio che ne parliamo prima con Lady Isabel," borbotta Seiya. "Lei mi darà il permesso," ribatte Kiki, sicuro del fatto suo. "Del resto, se Dragone se ne va, io non ho più niente da fare qui." "Nemmeno giocare a calcio con i tuoi nuovi amici?" "Mi piacerebbe," ammette lui, "Ma sono un adepto della Via di Mezzo del Buddha. Se un amico ha bisogno di aiuto, il resto non conta. Così mi ha insegnato il mio maestro, Mur." "E ti ha insegnato bene," mormora Hyoga con un lieve sorriso. "Vi ringrazio tutti," dice Shiryu con un po' di commozione. "Siete dei veri amici." "Ce l'hai insegnato tu cosa sia l'amicizia," gli risponde Seiya. "Questo non è vero," protesta lui. "Ma è nelle disgrazie che si riconosce il valore di questo sentimento. Mi avete fatto sentire più sereno. E mi concedete di andare via con l'animo in pace, perché ora so che ce la farete anche senza di me." "Ci mancherà la tua saggezza, Dragone," mormora Hyoga, con tristezza.. "Vi resta pur sempre lo slancio di Pegasus. La sensibilità di Andromeda. La determinazione di Cygnus. La potenza di Phoenix. Vi restano Athena, l'elmo di Aiolos, l'aiuto di una donna-cavaliere d'argento, Castalia, e la benevolenza di Mur, che forse è un cavaliere d'oro, e forse è un dio incarnato." Sorride. "E vi resto io. Anche se lontano e inerme, sarò sempre vostro amico e compagno. Vi penserò in ogni giorno della mia vita." "Possa questo pensiero darti la forza di guarire e tornare presto con noi, Dragone," mormoro con gli occhi lucidi, prendendogli una mano. Hyoga mi viene accanto, posa anche la sua mano sulle nostre. Mi mette l'altra sulla spalla, mi sorride. Vedo la gentilezza nei suoi occhi, ed oso finalmente abbozzare un sorriso. Ed anche Seiya unisce la sua mano alle nostre. "Tutti per uno, e uno per tutti! Accidenti... questa scena l'ho già vista al cinema." Ci mettiamo a ridere. "Ecco," gli dico, "hai rovinato l'atmosfera!" "Beh, vorrà dire che pago penale," esclama lui con gesto espansivo. "Invito tutti al nuovo sushi-bar che hanno aperto dalle mie parti. Pago io! Cioè, ehm, la Fondazione. Per te, Dragone, potrei far preparare un pacchetto..." "Per carità," mormora Hyoga, "Mangerà molto meglio qui in ospedale." "Hai qualcosa da ridire anche sul sushi, russo?" ribatte Seiya, piccato. "Vedrai che forse la troviamo, qualche aringa cruda da metterti nel piatto." Si gira verso di me. "Shun, se sei un vero giapponese, devi venire con me." Fisso il pavimento, imbarazzato. "Lo vorrei, ma..." "Invitiamo anche Ikki," dice Hyoga, tagliando corto. Lo guardiamo tutti, e lui fa un lieve sorriso. "E' giapponese anche lui, mi sembra di ricordare. Apprezzerà senz'altro la cucina che intendi infliggerci." Gli sorrido, con gratitudine. "Va bene, certo," mormora Seiya, con un sospiro. "Allora facciamo così: prendiamo un bel taxi, e passiamo dalla casa dei due inseparabili che tanto è sulla strada. Così carichiamo anche il Bel Tenebroso." Ma quando arriviamo a casa mia, non troviamo nessuno. Invano cerco in tutte le stanze. Ikki non c'è, e non ha lasciato nemmeno un messaggio, niente. "Qualcosa non va, Shun?" mi chiede Hyoga, vedendomi pensieroso. "Percepisci qualche pericolo?" "No," rispondo, abbassando la testa con un sospiro. "Si vede che Ikki ha voluto uscire da solo. Andiamo pure, gli lascerò un messaggio per quando ritorna." Non voglio dire a Hyoga che sento acutamente la sua presenza. E' qui, vicino a noi, ma non vuole farsi vedere, non vuole unirsi alla nostra compagnia. Ma perché fa così? Perché? Sento una punta di malinconia comprendendo l'abisso di solitudine in cui mio fratello si è arroccato, e comprendendo anche che non intende abbandonarlo... nemmeno per me. *** Bravo fratello. Meno male che non si è messo a cercarmi. Guardo il taxi che se ne va, con un sorriso soddisfatto. Poi strappo un rametto dalla siepe, me lo metto tra i denti, infilo le mani nelle tasche e mi incammino di buon passo nella direzione opposta. Ho un amico da vedere. E senza rompiscatole tra i piedi. Alla clinica della Fondazione l'infermiera vorrebbe dirmi che non è orario di visite, ma quando alza la testa dalla scrivania e vede i miei occhi, non ha il coraggio di spiccicare una parola. Non ho bisogno della sue indicazioni, conosco già la strada: me l'ha spiegata Shun con la sua solita accuratezza. Attraverso la grande sala d'ingresso, prendo l'ascensore marcato con la lettera K, salgo al sesto piano. Un grande corridoio mi accoglie, pavimentato di lucide piastrelle verdi, con pareti immacolate, luci diffuse, vago profumo artificioso di pino. Avanzo sul pavimento, i miei passi che risuonano nel silenzio ovattato. Una porta in fondo si apre. Ne esce una ragazza vestita con una linda casacca di seta rosa, pantaloni larghi e minuscole pantofoline. Porta tra le mani un vassoio. Richiude la porta, poi si gira verso di me e mi vede. Trasalisce, le tazze sul vassoio ballano rischiando di cadere. "Buongiorno," balbetta in pessimo giapponese. Molto graziosa, non c'è che dire: una tipica bellezza cinese, lunghe trecce neroblu sul petto, un sano colorito che parla di vita all'aria aperta. Mi fissa incerta se lasciarmi il passo o meno, ma io non ho certo bisogno del suo permesso. Avanzo verso la porta, e quando lei si mette sulla mia strada la sposto con un gesto abbastanza gentile, ma sufficientemente fermo per farle capire che non è il caso di fare l'eroina. Shiryu è seduto a gambe incrociate sul suo letto, in posizione di meditazione. Alza la testa al mio ingresso, ma senza mostrare troppa sorpresa. "Ikki, sei tu?" "Indovinato," gli dico, con uno stanco sorriso. "No," sorride anche lui, rilassandosi. "Non ho indovinato. Da quando ho perso la vista il mio senso cosmico sembra essersi affinato. Ho percepito la tua inconfondibile energia." Fa una domanda in cinese, a cui la ragazza alle mie spalle risponde con voce sottile ed agitata. Lui dice qualcosa, al che lei esita visibilmente, ma poi risponde in tono dimesso e se ne va, richiudendo la porta silenziosamente. Segue un certo silenzio. "Se n'è andata?" mormora Shiryu. "Sì," dico, sedendomi su una sedia accanto a lui. "Sai, riesco a sentire te, ma Fiore di Luna non emana energia sufficiente." Gira la testa verso di me. "Grazie per essere venuto. Come stai? E Shun? Bene, spero..." Adesso capisco perché ha voluto incontrarmi. Tutti i segni sono chiari in lui. "Dragone, piantala di recitare." Si interrompe, respira profondamente. Poi fa un sorriso esitante. "Già... sei l'unico che non posso ingannare. Forse con te potrò smettere di portare la mia maschera, senza sentirmi colpevole per questo." Il suo sorriso si spegne. "Posso farlo, Ikki? Posso considerarti mio amico... fino a questo punto?" "Puoi farlo, Shiryu. Non sono venuto a piangere al tuo capezzale insieme a Seiya e compagni, ma questo non vuol dire che non comprenda ciò che stai passando. Anch'io mi sono sacrificato per salvarli, e anch'io... ho avuto la sventura di sopravvivere." La sua voce trema lievemente. "Allora, almeno davanti a te... posso confessare la verità." China la testa. "Sono disperato, Ikki, molto più disperato di quanto non abbia il coraggio di mostrare." "Lo so," rispondo a voce bassa. "Vorrei strapparmi le vene con le mie stesse mani, picchiare la testa contro il muro, urlare... e piangere..." Si interrompe, cercando di recuperare un controllo che ormai gli sfugge. "Sto cercando con tutte le mie forze di sembrare forte e coraggioso. Orgoglio, senso dell'onore, consapevolezza della dignità di un cavaliere, inutilità di una vergognosa esibizione... puoi apprezzare il mio sforzo, tu che sei sempre stato severissimo con le debolezze degli altri. Ma quando rimango solo, non riesco a pensare ad altro che a poco più di vent'anni sono un invalido. Sento la voce di Fiore di Luna e so che non vedrò mai più il suo volto. In un colpo solo sono passato dall'essere un semidio a meno di un uomo..." E' un'esagerazione, ma gliela lascio dire. Ha bisogno di sfogarsi. "Che futuro mi aspetta? Quella di un mendicante alle soglie di un tempio? Condotto per mano da Fiore di Luna, che sarò incapace di difendere?... Che vita posso offrirle adesso?!" La vita della donna di un Santo di Athena, vorrei ribattergli. Che altro volevi offrirle, con il rischioso, schifoso mestiere che fai? Ma non dico niente, non servirebbe. Guardo quel povero ragazzo, lo statuario simbolo dello spirito cinese, che sta per essere sommerso dalla disperazione.Ah, Dragone, proprio a me dovevi mostrare il tuo crollo interiore... "Dov'è finita tutta la mia potenza? Mi ritrovo a non poter nemmeno attraversare una strada da solo! E tutto perché ho incontrato Argos, ed il suo sguardo di Medusa!... Non ho avuto tempo di pensare, solo di decidere... ed ho deciso questo! E' colpa mia, ma non avevo scelta..." Si copre la faccia con la mano che gli è rimasta, le dita contratte sui cerotti. "Maledizione! Perché non sono morto?! Avrei liberato in un colpo me stesso da queste tenebre... ed i miei cari da questo fardello!" Non per niente ti avevo augurato anch'io di morire. Ma ti è andata male. Si toglie lentamente la mano dal viso e mormora, con voce appena percettibile: "Rispondimi, Phoenix. Sono io che ho perso la speranza, o questo è davvero il mio destino? Potrò anch'io fare come te, e risorgere dalle mie ceneri?..." Segue un lungo silenzio, ed alla fine gli chiedo: "Vuoi una risposta sincera, Dragone? O le solite parole di incoraggiamento che hai già sentito dagli altri?" Le sue spalle tremano, un brivido di timore. "Dimmi... ciò che mi devi dire." "Non risorgerai," dico con una durezza tale da farlo trasalire. "Non se continui a recitare questa ridicola parte dell'eroe, invece di reagire sul serio! Il tuo destino? E' nelle tue mani, come lo è quello di qualsiasi uomo. O sei così ingenuo da appellarti a qualche divinità che ti dia una mano? Scordatelo... persino Athena ti ha sbattuto la porta in faccia. Gli déi hanno altro da fare che asciugarci le lacrime, non contare su di loro!" Faccio un'aspra risata. "Mendicante alle soglie di un tempio!... Ma non essere ridicolo. Col cosmo che ti ritrovi guarirai da tutte le tue ferite. D'accordo, forse resterai cieco, ma ti resteranno sensi sufficienti per vivere più che dignitosamente: ci riesce un uomo comune, figuriamoci tu che sei un cavaliere, corpo e spirito magnificamente addestrati!" Smetto di ridere. "Non raccontarmi storie, la vera ferita è un'altra, dentro di te, e nessuna energia cosmica può risanarla. Hai scoperto finalmente che morire non è la cosa peggiore che ci può capitare. Hai sperimentato lavera paura, quella che avvelena la mente, che sfugge ad ogni controllo, che torna ad ogni pensiero, ad ogni respiro!" Segue un lungo silenzio. Lui stringe i pugni, il suo respiro si fa più rapido. "La paura," continuo, con tono sardonico. "Una brutta bestia, eh, Shiryu? Ti credevi perfetto e inattaccabile nel tuo equilibrio, ma ecco che Argos ti ha buttato giù dal piedistallo. Ora ti senti incerto. Hai una gran voglia di ritirarti come una tartaruga nel tuo dolore. Il tuo ritorno ai Cinque Picchi è la fuga da una realtà che non vuoi affrontare, con la scusa che non sei pronto a farlo. Comprensibile, a patto che duri il meno possibile! Perché non illuderti, il tempo non ti aiuterà, non potrai mai dimenticare. La paura sarà sempre lì in agguato, anche quando il tuo corpo sarà completamente guarito. Davanti al primo avversario te la farai sotto, e scapperai come un coniglio; troverai mille scuse, mille motivi per tirarti indietro, perché non vorrai rischiare di ripetere quest'esperienza... e ti vergognerai della tua codardia per tutta la vita!" "Vuoi dire... che non riuscirò mai più a tornare quello che ero..." mormora, disperato. "Voglio dire che non devi tornare quello che eri , stupido!" esclamo, prendendolo per le spalle. "Devi diventare qualcosa di meglio!" Lui ammutolisce, trema. "Meglio di cosa?" mormora, "Ormai Argos ha ucciso il guerriero dentro di me." China la testa. "Sono cieco, tuttavia continuo a sognare, ed il sogno è un incubo... rivedo sempre il mio ultimo duello, le mie dita, ed il lampo di luce rossa che è stata l'ultima cosa che ho visto prima delle tenebre. Mi svegliano... le mie stesse urla di terrore..." Si aggrappa al mio braccio, volge i suoi occhi bendati su di me. "Come posso ricominciare da capo la mia vita con quest'orrore che mi perseguita?!... Se soltanto tu mi liberassi da quest'incubo..." "Ah, è questo che vuoi da me?" lo interrompo, duramente. "Una facile via per risolvere i tuoi problemi, per darti il coraggio che ti manca?" Strappo il mio braccio dalla sua presa. "Vergognati, Shiryu!" Non si aspettava di certo quella risposta. "Vergognarmi?..." mormora, con voce strozzata. "Perché? Ti ho solo chiesto di aiutarmi, e tu dici di essere mio amico..." "Proprio per questonon posso aiutarti!" Gli poso una mano sulla spalla. "Non capisci? Sei tu che devi venire a capo della tua paura. Devi farlo guardando onestamente dentro a te stesso, raccogliendo tutta la tua volontà. Solo se saprai di essertela cavata con le tue sole forze, senza debiti di riconoscenza verso nessuno, potrai dire di aver davvero vinto la tua battaglia. Se la vinco io per te, non saprai mai quanto vali veramente! Quindi non chiedere aiuto a destra e a manca: tira fuori le palle e basta!..." Mi alzo, bruscamente. "E ricorda: non hai alcun diritto di lasciarti andare alla disperazione. Non hai più la vista? Ebbene, hai tante altre cose che a me mancheranno per sempre: una casa, un maestro che ti vuole bene, degli amici pronti a gettarsi nel fuoco per te, una donna che ti ama e che ti è vicina!" La mia voce si riempie di dolore. "Io...io ho il diritto di essere disperato, non te." Shiryu china la testa, respira profondamente. Segue un lunghissimo silenzio, nel quale si sente solo il ronzio dei macchinari, l'onnipresente mormorio di Nuova Luxor che trapela dalle finestre. Io mi butto sulle spalle la giacca. Quel che dovevo dire l'ho detto. Vado alla porta. "Ikki," mi chiama lui, con un filo di voce. Mi fermo. "Grazie." Il suo tono è esile, ma tranquillo, e sento la nuova forza dietro di esso. "Mi hai fatto vedere le cose in una nuova luce... mi hai dato la chiave per la speranza. Hai ragione, sono un uomo fortunato." Stringe la mano sinistra." E sono ancora il cavaliere del Dragone. Non deluderò tutti coloro che credono in me." "Pensa a non deludere te stesso, invece! E' tempo che ti conceda un po' di sano egoismo, e la pianti di pensare sempre agli altri. Lascia che si arrangino, forse questo sarà salutare anche per loro." Infilo la giacca. "Ti saluto, Dragone." Faccio per uscire, ma la sua voce mi ferma ancora. "Aspetta, Ikki. Prima che te ne vada... ho un'ultima cosa da chiederti." Alza la mano. "No, niente aiuti, ma un semplice favore." "Dimmi." "Tu sei Phoenix... non sono riuscito a nasconderti quel che provo. Ma gli altri non hanno i tuoi poteri, così credo che con loro la mia recita abbia funzionato. Sai che non ho fatto questo solo per illudere me stesso. Non potevo confidarmi con Seiya, o con Shun. Li avrei caricati di un senso di colpa inutile, e mai tanto inopportuno. A cosa sarebbe servito?" "A niente," annuisco. "Promettimi allora di non rivelare a nessuno il mio vero dolore. So che hai la tentazione di usare questo scudiscio sulle schiene dei miei compagni... ma non farlo." "Se lo meriterebbero. " Esito, poi sospiro. "Però ho un debito d'onore con te, Shiryu: hai salvato la vita di mio fratello. Se è questo che vuoi, hai la mia parola."
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