VARIAZIONI SU UN TEMA DI MASAMI KURUMADA

(SAINT SEIYA)

di Hanabi, estate 1994

I personaggi di Saint Seiya sono proprietà di M. Kurumada/Shueisha.

 


CAPITOLO 5: "Rivelazioni" - parte terza

"Un brindisi a Phoenix!..."

Tutti i calici si alzano, nell'aria ancora piena di odore di bruciato, in una grande sala con un lato semidistrutto e pezzi di vetro sparsi sul pavimento.

Vuoto tutto d'un fiato il mio champagne, provando una strana ilarità. Mi sento in gloria, quasi distaccato dalla realtà, come se galleggiassi su un mare di orrore, beandomi della mia stessa esistenza. Superare lo shock di ricordare la propria morte è un'impresa piuttosto difficile, ma penso che se non sono impazzito in tutto questo tempo, non impazzirò mai più. Più malconcio di me, pallidissimo e trasognato, Shun mi sta appiccicato come un cucciolo alla madre. Il suo contatto mi conforta, mi dà stabilità... come sempre, la mia preoccupazione per lui mette in secondo piano i miei problemi personali. E forse è molto meglio così.

"Sapete," mormoro, posando il bicchiere vuoto, "Mi sembra di essere uscito da un sogno, o meglio da un incubo. Sono molto confuso, però mi sembra di ricordare un tempo... in cui avrei voluto staccare la testa a tutti quanti." Sorrido. "Ed ora sono qui, a brindare con voi... e con mio fratello!"

Me lo stringo al fianco. Lui mi guarda con gli occhi lucidi, poi si accorge del mio bicchiere vuoto. Allora mi mette in mano il suo. "Bevi anche il mio champagne, ti prego."

"E tu?"

"Non preoccuparti, Ikki, " dice Seiya, allegramente. "Tuo fratello è già abbastanza ubriaco per conto suo! Non l'ho mai visto così felice: se esce sul balcone e guarda in giro, fa sbocciare tutti i fiori del giardino."

Gli altri ridacchiano.

"Prendetemi pure in giro," mormora Shun, con voce tremante, "Voi non potete immaginare quel che sto provando in questo momento." China la testa. "Avevo perso tutto, anche la speranza, non aspettavo altro che... un buon modo per morire..."

Chiude gli occhi, lasciando scorrere delle lacrime silenziose. Le risatine si spengono, Crystal volta le spalle fissando fermamente la finestra.

Lady Isabel tossicchia delicatamente.

"Su, Andromeda, adesso piantala!" esclama alla fine Seiya, "Ci vuoi mettere tutti in imbarazzo? E poi sai benissimo che tuo fratello non sopporta vederti frignare come una ragazzina!"

"Pegasus ha ragione," faccio eco io.

"Non è colpa mia se sono fatto così!" esclama lui, quasi rabbiosamente, ed alza la testa di scatto. "Per una volta tanto, per favore... lasciatemi in pace!" Mi guarda, sorride tra le lacrime. "Ho ritrovato mio fratello, dopo tanti anni che ero separato da lui, dopo averlo creduto perso per sempre. Sono passato in un istante dal dolore assoluto alla gioia assoluta..."

"E allora hai tutti i motivi per ridere, non per piangere," gli dico, abbracciandolo e battendogli una mano sulla schiena, finché si calma.

"Beh, ora sì che ti riconosciamo, Ikki," dice Seiya con tono intenerito. Poi si scuote. "Io mi faccio un altro giro! Chi vuole?" Riempie i bicchieri, sprofonda nel divano al fianco dell'imperturbabile Shiryu. "Accidenti, ragazzi, ma ci pensate? Sembrava andarci tutto storto. E' cominciato tutto con quel dannato torneo..." Guarda verso Lady Isabel, che ha fatto una smorfia. "Scusi tanto, milady, ma personalmente non lo metto tra le belle esperienze della mia vita! Quasi ci ammazziamo tra di noi, con la conseguenza di rovinare due armature, il morale di tre cavalieri e quel che resta di altri due. Riesco ad avere l'armatura riparata, ma Shiryu quasi ci lascia in cambio la pelle. Shun corre dietro a Phoenix, e ci rimette il suo cosmo. Lo riottiene, e Crystal quasi si fa ammazzare. Lo recuperiamo, e perdiamo quasi tutta l'armatura d'oro. Recuperiamo l'elmo, per perdere Ikki dopo cinque minuti! Era tutto un recuperare per poi perdere qualcos'altro, una vera rogna. Però ecco che all'improvviso arriva Mur, e recuperiamo in un colpo solo Dragone e la sua armatura. E adesso abbiamo recuperato anche te, Phoenix; e senza smenarci l'elmo dell'armatura d'oro!... Sembra proprio che le cose stiano mettendosi finalmente per il verso giusto, eh?"

"Hai ragione," dice Shiryu. "Avere Phoenix al nostro fianco e non più come nemico è davvero una buona notizia. E' senz'altro lui il cavaliere più forte di tutti noi..." Esita. "E probabilmente, quello che Alman di Thule aveva in mente per vestire l'armatura d'oro."

Tutti mi guardano.

"Io?" Abbasso lo sguardo. "Questo non lo credo proprio, Dragone. Non andavo a genio al vecchio."

"Dimmi te allora chi gli andava a genio!" ribatte Seiya. "Comunque questo non c'entra niente. A malincuore devo dare ragione a Shiryu: se tu avessi partecipato al torneo, avresti vinto. Chi ti poteva battere? Shun no di certo, non potrebbe colpirti nemmeno in sogno. Crystal non me ne voglia, ma nemmeno lui è alla tua altezza. Ed in quanto a me, non mi faccio illusioni... se te le ho suonate sul Suizhan, è solo perché avevo addosso il cosmo di tutti quanti." Una pausa. "Naturalmente tu sapevi benissimo di essere il più forte. Avresti potuto tranquillamente battere tutti e portarti a casa l'armatura d'oro. Come mai allora hai scelto di rubare quel che avrebbe potuto comunque essere tuo?"

"Chissà, Pegasus. Forse è stata una ironica mossa del destino. E' vero che sono il più forte di tutti voi, ma la mia presunzione ha dimostrato che non sono affatto il migliore." Alzo la testa. "Di conseguenza, non posso essere io il cavaliere destinato a prendere il posto di Aiolos."

E' un modo grazioso di ammettere la mia sconfitta.

"Allora hai definitivamente rinunciato ai tuoi vecchi progetti?" chiede Shiryu, a voce bassa. "Non desideri più rimettere le mani su quell'armatura... o meglio, sull'unico pezzo che ci è rimasto?"

Tutti guardano l'elmo di Aiolos, posato in grembo a Lady Isabel, che lo stringe con un brivido di improvvisa angoscia.

Sorrido amaramente. "Stai tranquillo, Dragone. Non è mia abitudine riprendermi ciò che ho dato."

Lui impallidisce un poco, imbarazzato. "E' vero. Mi spiace averti fatto questa domanda..."

"Ma qualcuno di voi doveva pur farla," completo io. "Ebbene, avete la mia parola: l'armatura d'oro non mi interessa più." Li vedo tutti rilassarsi, e soggiungo in fretta: "Ma non crediate questo valga anche per il Sacerdote Supremo: non avete idea di quanto possa essere spietato. Quel cavaliere d'argento che se l'è svignata forse non lo sa... ma è un uomo morto. Non si torna mai al Santuario con le mani vuote."

Un denso silenzio segue le mie parole recise.

"Mi spiace, ma questo corrisponde esattamente a ciò che ho saputo io, dalla mia maestra Castalia," dice Seiya, pensieroso. "Ci siamo trovati sul Pireo, in segreto, e lei mi ha detto che la situazione si sta facendo ogni giorno più pesante. D'accordo che il Mondo Segreto amministra la giustizia in maniera molto spiccia, ma adesso più che una teocrazia sembra una tirannia bella e buona. Tra l'altro le armature dei cavalieri morti vengono confiscate dal Tempio, senza essere riportate nelle scuole segrete."

"E' chiaro, il Santuario teme ulteriori defezioni," mormora Shiryu.

Crystal si volta e mi guarda. "Spiegaci meglio i tuoi legami con esso, Ikki. Sembri la persona che più di tutti ha potuto vivere questa situazione dall'interno. Potresti aiutarci a capire cosa sta succedendo laggiù." E soggiunge, con un pizzico di inevitabile malizia: "E spiegarci come hanno fatto a manovrare a piacimento una persona dalla psiche forte come la tua..."

Guardo il mio bicchiere, sospiro.

"La mia psiche!..." Scuoto la testa. "Forte o no, ce l'avevo rimessa tutta per diventare cavaliere. Il dolore aveva devastato la mia mente, non avevo più qualcosa che anche solo assomigliasse... ad una sensibilità umana." Alzo la testa. "Pegasus, mi hai accusato di piangermi addosso; ma se l'armatura della Fenice ha una fama così maledetta, è perché è diversa da tutte le altre. Non ti sforzare ad immaginare cosa costi questa sua diversità."

"Siamo tutti familiari con la logica del paqei maqos," ribatte Crystal, scrollando le spalle. "Apprendimento mediante sofferenza."

"Tu non hai nemmeno il diritto di parlare di sofferenza davanti a me!" esclamo, indignato. "Cosa mai ti hanno fatto i tuoi maestri? Punizioni, calci nel sedere, ed istruttive torture? Quattro graffi sul corpo, ce li ho anch'io, ma almeno ti hanno risparmiato la mente! Oppure hanno costretto anche te a mangiare la carne cruda di un tuo compagno morto?"

Mi guarda inorridito. "Mio Dio... non vorrai dire che..."

"Fate presto voialtri a parlare dell'Isola Nera: non ci siete mai stati!" Li guardo tutti. "Questo è solo un piccolo esempio, per farvi smettere una volta per tutte di giudicarmi secondo il vostro metro. Non avete provato la millesima parte degli orrori che ho vissuto io, ma in compenso avete qualcosa che io non ho: un legame affettivo con i vostri maestri. Sono stati severi con voi, ma benevoli. Siete grati a loro! Li avete nel cuore! Potete sempre contare su di loro!... Mentre io..."

Taccio.

"Mentre tu?" mi sprona Seiya.

"Io... ho dovuto uccidere il mio per diventare cavaliere."

Un silenzio agghiacciato segue le mie parole. "Santo cielo," mormora Hyoga. "Perché?!"

"Mi chiedi perché, Crystal? Perché uccidere qualcuno che ti toglie la tua umanità giorno per giorno, come si toglie la buccia ad una mela? Qualcuno che è il tuo peggior nemico, col quale ogni debolezza, ogni esitazione costa sangue e lacrime? Qualcuno così crudele da poter calpestare tutto, anche massacrare degli innocenti, pur di arrivare al suo scopo?"

"Ma... che razza di maestro avevi?" chiede Seiya, scioccato.

"Phoenix!"

"Vuoi dire... il tuo stesso predecessore?!" domanda Shiryu, tra la costernazione generale.

Annuisco, tetramente.

"Capite adesso la mia maledizione? Non ho mai avuto scelta! Il maestro dell'Isola Nera non addestrava un allievo, preparava il suo assassino. Il postulante era sempre tenuto sul filo della morte, come in un duello quotidiano, sfiancante, ossessivo. La sua unica speranza di sopravvivenza era resistere a questa guerra, diventare forte, più forte del suo maestro, e riuscire a distruggerlo! Questa era la legge spietata della mia scuola: uccidere per vivere... e vivere per uccidere!"

Per un po' nessuno ha il coraggio di parlare.

Poi il silenzio è interrotto dalla voce esile, piena di dolore di mio fratello: "Quanto hai sofferto per colpa mia, Ikki... avevi ragione ad odiarmi!"

Poso una mano sulla sua spalla. "No, Shun, non dire questo." Respiro profondamente. "Non avevo affatto ragione. E poi ad un certo punto sono stato quasi grato al destino. Mi sono ritrovato a poter fare cose impossibili anche per un cavaliere d'oro... a contare su una fonte di energia molto più vasta e più facile da usare dei vostri cosmi stellari. Tutto il mio dolore aveva finalmente un senso per me: erano state le doglie per la nascita... del dio che credevo di essere."

"Beh, ti capisco," mormora Seiya. "Crederei anch'io di essere un dio, se fossi immortale come te..."

Scuoto la testa. "Non lo sono, Pegasus. E' il cosmo della Fenice ad esserlo: io sono soltanto il contenitore umano di questo potere. Se perdo il mio contatto con esso, se la mia energia si disperde, se non riesco ad esercitare la mia volontà... non posso più ricreare me stesso. Ed in ogni caso non posso ricrearmi più giovane di quel che ero al momento della morte. Quindi ogni addio per me potrebbe essere definitivo." Sospiro. "No, non sono immortale. Ed ho paura che il miracolo che mi ha ricondotto qui abbia un prezzo... che ancora non conosco." Alzo la testa, scacciando quel pensiero. "Naturalmente a quel tempo non mi preoccupavo di questo. Volevo solo vivere, godermi il mio potere! Ero rimasto solo, senza alcun controllo, pieno solo di una selvaggia ambizione. Ma proprio quando stavo per andarmene dall'Isola Nera un uomo è giunto misteriosamente a fermarmi. L'ho sfidato subito, e sono stato umiliato come un ragazzino indifeso. Quando mi sono ripreso, quel tipo mi ha detto di essere un maestro speciale, mandato dal Santuario per completare la mia educazione." Lo rammento intensamente. "Era un caucasico, con i capelli di un sacerdote, ma vestiva come un normale guerriero. Si chiamava Adriaen."

"Adriaen," ripete Lady Isabel, pensierosa. E non aggiunge altro.

"Era molto bravo con la mente: mi ha insegnato lui l'arte della manipolazione dei pensieri, l'Illusione Diabolica. Del resto sembravo fatto apposta per quella tecnica, perché i poteri della Fenice si manifestano principalmente come energia. Anzi, ero avvantaggiato rispetto al mio maestro: perché io potevo entrare nei cervelli altrui senza fatica, mentre lui doveva fare un buco nella testa."

"Allora è stato lui a farti quel segno sulla fronte?" mi chiede Shun, all'improvviso.

"Perché fai questa domanda?" chiede Shiryu.

"Perché una delle Ombre di Phoenix era un mio compagno di addestramento." La sua voce trema al ricordo. "Ho potuto vederlo bene in viso. Aveva un segno come un'incisione, alla radice del naso, che non gli avevo mai visto ad Anthrâ. Mi ha detto di essere stato condizionato..." Mi guarda. "Ma non da te, Ikki!"

"Vuoi dire che non era stato Phoenix a condizionare le sue Ombre, ma questo Adriaen?" chiede Seiya, nel silenzio stupito. "E che Ikki stesso... era stato condizionato a sua volta?!"

"E' l'unica risposta," dico, con voce sorda.

"Vuoi dire che ne eri consapevole?" chiede Shiryu nel silenzio che segue.

Fisso il vuoto, mi tocco quel segno così profondo.

"Al contrario. Sono convinto che Shun abbia ragione, proprio perché non ricordo assolutamente come e quando mi è stata fatta questa ferita."

"Sembra più una lacerazione che un'incisione," osserva Crystal.

"Probabilmente perché ho resistito al condizionamento. Devo aver cercato di sfuggire ad Adriaen, quando ho capito quel che stava per farmi. Poi lui ha cancellato il ricordo dalla mia mente, ma qualcosa in me si è salvato comunque." Deglutisco, "Altrimenti avrei ucciso senza esitare mio fratello, e con lui... tutto quel che restava della mia sensibilità umana."

"Che cosa orribile," mormora Lady Isabel.

"Adriaen deve averlo fatto dietro un ordine preciso," interviene Shiryu, altrettanto scioccato. "Non posso credere che un maestro, qualsiasi maestro, abusi volontariamente della fiducia di un allievo!"

"Chissà," dico, amaramente. "Comunque, completato il mio addestramento, mi sono ritrovato chissà come in Grecia, al Santuario. E laggiù ho incontrato il Sacerdote Supremo."

"Hai potuto vederlo da vicino?!" esclama Crystal, stupito.

"Se è per questo, ho vissuto accanto a lui."

"Impossibile!" mormora, "Questo è un privilegio concesso solo ai ministri ed ai cavalieri supremi..."

"Così dice la legge," obietta Seiya, "Però per la mia investitura Sua Santità l'aveva mandata al diavolo, mostrandosi a tutti e scomodandosi a scendere fino all'arena per darmi l'armatura con le sue mani. Si diceva che non si crogiolasse nel prestigio del suo ruolo religioso, che anzi detestasse tutte le formalità a cui aveva diritto. E si sussurrava anche che spesso lasciasse il Santuario per visitare i villaggi del mondo esterno, travestito da prete ortodosso, curando gli ammalati e confortando i moribondi..."

"L'ho sentita anch'io, la storia del Buon Sacerdote," annuisco. "Ma personalmente ricordo solo una figura maestosa e regale, assisa sul suo trono nel tempio dell'Acropoli, servita e riverita da servi tremebondi che pagavano con la vita il minimo errore. In quanto al fatto che mi permettesse di stargli vicino, può darsi che debba l'onore al mio maestro, che sembrava avere un certo prestigio laggiù. Anzi, sospetto che fosse addirittura un cavaliere della gerarchia suprema; ma ovviamente non ne sono sicuro: sapete benissimo che costoro non rivelano mai la loro identità, e quelle rare volte che si mostrano hanno sempre addosso la maschera sacra." Abbasso la testa. "Il Sacerdote Supremo era il potere incarnato: ed io sembravo piacergli perché il potere era l'unica cosa che rispettassi, e perché al pari di lui non mi facevo scrupoli per averlo. Mi blandiva concedendomi privilegi, facendomi vivere nel Tempio, in un lusso antico che non avrei mai immaginato per un sacerdote. Ero diventato talmente megalomane che non sopportavo la minima mancanza nei miei riguardi: sfidavo chiunque mi attraversasse la strada, uccidevo con la facilità con cui mi lavavo le mani. Lui approvava sempre, dicendomi che il terrore è la migliore medicina per i sottoposti. Mi parlava spesso dell'armatura d'oro, dei Thule che la possedevano indegnamente, e che avevano osato metterla in palio tra miserabili cavalieri di bronzo. Quale soddisfazione gli avrei dato se avessi buttato all'aria quel torneo, distrutto i miei vecchi compagni e riportato in Grecia ciò che alla Grecia spettava! Un giorno infine mi ha messo alla prova, ordinandomi di uccidere con i miei poteri due postulanti ribelli, che le sue guardie avevano trascinato al Santuario. Io ho naturalmente acconsentito, ma quando sono entrato nella mente dei condannati, mi sono accorto del perché di quell'ordine." Esito. "Ho visto me stesso ragazzo nei loro ricordi, perché erano i miei vecchi compagni di scuola... Shimoon e Pat."

Seiya scatta in piedi, mi guarda quasi con orrore. Poi, lentamente, si risiede senza una parola. Tutti distolgono lo sguardo da me. Sanno che è inutile chiedermi altro: il solo fatto che sia qui rivela cosa ne è stato di quei due ragazzi.

"Il sant'uomo evidentemente voleva vedere come avrei reagito," continuo, con tono amaro. "Io ormai lo conoscevo abbastanza per sapere cosa mi sarebbe successo se mi fossi rifiutato di andare avanti. E del resto, perché avrei dovuto? Ho passato brillantemente la prova, ricevendo pertanto il mio esercito in miniatura, e la missione di attaccarvi e rubare l'armatura d'oro. Il resto... lo sapete." Rialzo lo sguardo. "Questa è la mia esperienza al Santuario. E questo è il Sacerdote Supremo, il tramite diretto di Athena: la brava persona a cui abbiamo dichiarato guerra."

Segue un denso silenzio.

"No, porca miseria, no!" esclama Seiya, alzandosi nuovamente in piedi con le mani nei capelli, l'aria esasperata. "Ma non ha senso tutto questo!... Vi rendete conto? Sembra che Ikki ed io parliamo proprio di due persone diverse!"

"Perché non potrebbe essere così?" dice Crystal, freddamente. "Nessuno ha mai visto il Sacerdote Supremo in faccia. Ha sempre addosso la maschera sacra, l'acconciatura regale e la grande veste ieratica con la doppia stola."

"Vuoi dire che il gentiluomo di cui lui parla potrebbe essere un usurpatore? Ma sei matto! Anche se potrebbe far fessi tutti coloro che lo guardano a distanza, come potrebbe ingannare i cavalieri della massima gerarchia che gli stanno addosso? Nemmeno un pazzo scatenato tenterebbe quest'impresa, proprio sotto il naso dei più potenti e fanatici guerrieri di questa terra!"

"Il compito dei cavalieri d'oro è proteggere Athena, non il Sacerdote Supremo."

"E allora staranno in pace per un bel pezzo," dico, sardonicamente. "Nessuno toccherà la statua che c'è nel tempio. Perché quella è tutta l'Athena che esista al Santuario, o da qualsiasi altra parte!... Non siate ingenui: i cavalieri d'oro fanno il loro interesse e proteggono il potere, non una dea di tremila anni fa."

"E allora in nome di quale potere è morto Aiolos?" interviene Shiryu.

"Che vuoi dire, Dragone?" chiede Seiya.

"Che uno di questi cavalieri d'oro ha fatto proprio ciò che Crystal diceva. E' fuggito dal Santuario... per aiutare Athena." Una pausa. "E forse non è l'unico ad averlo fatto."

Segue un attimo di stupito silenzio.

"Non dirmi che stai pensando... a Mur!" mormora Seiya.

"Certo!" ribatte Shiryu. "Chi è veramente quell'uomo? Nessuno sa niente di lui, se non che appartiene al Mondo Segreto... e nello stesso tempo è un esule da esso. Da sedici anni vive nel suo rifugio segreto nel Pamir..."

"Ed Aiolos si incontrò con mio nonno proprio sedici anni fa," interviene Lady Isabel.

Restiamo colpiti da quella coincidenza.

"Mur... un cavaliere d'oro?" Seiya scuote la testa. "No! Tanto per incominciare non è un sacerdote, altrimenti avrebbe svolto lui il sacrificio per salvarti, anziché farlo fare ad Andromeda..."

"Che ne sappiamo dei riti che ha usato, Seiya? Forse non tutti i sacerdoti sono uguali per un rito come quello. Forse era necessario che la preghiera ad Athena fosse recitata da una persona speciale..." Guarda mio fratello, sorride. "Un essere dal cuore particolarmente puro."

"Questo lo escludo," dice Crystal con voce secca.

Il suo tono aggressivo si attira le occhiate sconcertate di tutti. Lui si accorge di questo, perché corregge il tiro e soggiunge in modo più calmo: "Voglio dire che esiste una terza possibilità. Che Mur non sia un sacerdote di Athena, ma proprio quell'incarnazione divina di Efesto di cui si sussurra. Un essere potentissimo, che costruisce e ripara le armature..."

"E che zoppica," soggiunge Seiya, ironico. "L'ho notato anch'io. Oddio, mi immaginavo il vecchio fabbro un po' più brutto e laido, non certo un giovane lama tibetano pulito come un ospedale!"

"Ma l'ipotesi di Crystal potrebbe essere giusta," mormora Shun con voce esile, lo sguardo fisso al pavimento. "Mur potrebbe essere davvero l'incarnazione di un dio. Il suo titolo sanscrito vuol dire proprio questo. Sampadam Daivîm Abhijâtasya... persona vittoriosa nata in atmosfera divina."

"Ti ci metti anche tu con le visioni mistiche, Shun?... Ce l'hai già tradotta quella trafila indiana. Però ci hai anche detto di essere stato chiamato allo stesso modo dai preti della tua isola! Davvero una bella atmosfera divina, quella in cui sei nato te..."

"Bada a come parli," sibilo, minacciosamente.

Seiya si accorge solo allora del pallore di mio fratello, tossicchia imbarazzato. "Ehm, scusa. Volevo solo dire che secondo me quel titolo è puramente onorifico." Si gratta la testa. "Cioè, se Mur è davvero un dio o qualcosa del genere, perché si nasconde? Perché ha avuto bisogno di noi per resuscitare Shiryu? Perché poi se l'è svignata senza rimanere ad aiutarci?"

"Perché mai avrebbe dovuto?" ribatte Crystal, "Noi siamo cavalieri di Athena, non suoi."

"Ma l'elmo di Aiolos l'ha fatto lui! Il suo destino lo riguarda, no? Altrimenti perché farci tutte quelle prediche di essere fedeli ad Athena, di salvare l'armatura d'oro dalla distruzione, di non temere troppo il Santuario..." Si interrompe.

"Ci ha mandato lo stesso identico messaggio di Aiolos," mormora Shiryu. "Te ne sei accorto anche tu, finalmente?"

Seiya si lascia di nuovo cadere sul divano.

"Non ci capisco più niente," sbuffa. "Qui tutti, amici e nemici, non fanno altro che tirare in ballo Athena come se ci fosse davvero. D'accordo, le siamo fedeli: e con questo? Non ci serve un granché sapere che non siamo noi i cavalieri decaduti, ma tutti quelli che stanno al Santuario. A dir la verità poi non mi importa un accidente di Mur, qui nei casini ci siamo solo noialtri. Efesto o cavaliere d'oro che sia, ci ha strizzato l'occhio ed è sparito. Aiolos è morto e abbiamo perso quasi tutta la sua armatura. Possiamo batterci alla pari con i cavalieri di bronzo. Con Ikki, abbiamo anche qualche possibilità contro quelli d'argento. Beninteso, se ci attaccano uno alla volta. E quelli d'oro? Che fanno? Uno, forse due sono dalla nostra parte; e gli altri?"

Nel silenzio pesante che segue, si sente il sospiro di Lady Isabel.

"Hai ragione, Pegasus. La nostra rimane una situazione drammatica. E onestamente non sembra che avremo molte possibilità, se non interverrà qualcosa di decisivo."

E tende davanti a sé l'elmo che tiene tra le mani.

 

***

 

Quella sera non riesco a mangiare, qualcosa come una strana nausea me lo impedisce. Forse è un effetto del mio stomaco appena rifatto, chissà. Mi trovo una stanza con una cuccia, sono stanchissimo.

Shun si è fatto medicare tutte le bruciature da Shiryu, mentre Lady Isabel tamponava la faccia gonfia di Mylock con pezze bagnate e Seiya pasticciava in cucina. Crystal è sparito chissà dove. C'è una gran confusione qui, tutto puzza ancora di bruciato. Comunque domani arriverà l'elicottero della Fondazione a sistemare l'emergenza, poi si vedrà.

Mio fratello mi segue nella stanza che mi sono scelto. Aspetta che io chiuda la porta. E solo allora mi piomba tra le braccia e mi stringe con tutte le sue forze, la faccia affondata contro la mia spalla, senza una parola. Non ci vogliono i miei poteri mentali per capire che per lui è un momento di gioia assoluta, tinta appena di un velo di malinconia.

Me lo stringo addosso, anche se quell'abbraccio mi dà una strana sensazione, che non riesco ad interpretare. Forse mi sto solo rendendo conto di quanto tempo sia passato.

"Fatti guardare," gli chiedo.

Lui obbediente fa un passo indietro, con le braccia lungo i fianchi. Mi guarda con occhi brillanti. E poi ride e piroetta. Mi sento un tuffo al cuore: quanto è rimasto bambino, nonostante tutto! Eppure c'è una profondità infinita in quegli strani occhi verde-scuro, una segreta saggezza che disorienta. Non è più soltanto Shun ormai. E' qualcosa di misterioso, inafferrabile.

"Andromeda," mormoro.

Conosco solo il cuore di quella creatura, tutto il resto è nuovo per me.

"Phoenix," risponde lui, smettendo di ridere e fissandomi.

Sì, anch'io sono cambiato. E forse ancor più drammaticamente di lui.

"Abbiamo bisogno di parlarci un po'," dico, a voce bassa e seria. "Siamo stati troppo lontani e per troppo tempo."

"Sì, Ikki," ammette lui, "Nemmeno io so cosa dire... ed è così strano. Perché per anni forse ho sognato questo momento, e adesso che è arrivato..." Di nuovo mi abbraccia. "Non importa, avremo tempo per parlarci, per raccontarci tutto. La cosa più importante è che ci siamo ritrovati!"

"Certo. Shun..."

Mi lascia, colpito dal mio tono. Mi guarda preoccupato.

"Qualcosa non va?"

Mi dà fastidio ammettere la mia debolezza, ma davanti a lui posso farlo.

"Sono stanco, devo assolutamente dormire."

"Scusami!" esclama. Corre subito a scostare la coperta del letto.

"Lascia perdere, non ho bisogno di un cameriere," gli dico, un po' imbarazzato. "Piuttosto, va' a letto anche tu. Si vede che non stai bene."

"Mai stato meglio in vita mia," mi risponde, con un sorriso. Eppure i suoi occhi sono segnati, è evidente che ha addosso la febbre. Mi guarda accomodarmi, mi chiede premuroso: "Hai sete? Vuoi che ti porti qualcosa?"

"No, no." Mi tiro le coperte addosso. "Va' pure. Buonanotte."

Ci resta un po' male a quel brusco commiato. Ma vedo il modo in cui accantona la sua delusione, la tenerezza con cui lo fa. Sospira e mi sfiora timidamente la mano.

"Se hai bisogno di qualcosa, chiamami. Io sono nell'altra stanza, poco fuori da qui."

E se ne va chiudendo silenziosamente la porta.

Spengo la luce. Per un bel po' fisso il soffitto: ho quasi paura ad addormentarmi: è quasi come morire, ed io non voglio rifare quell'esperienza... ma sono troppo esausto, più di quanto immaginassi. Ed alla fine, senza accorgermene, scivolo nel sonno.

All'inizio mi assalgono degli incubi orribili, nei quali rivivo la mia angoscia di essere privo di forma. Ma riesco a navigare attraverso di essi, gridando a me stesso: non c'è orrore che non abbia provato, sono invulnerabile! E allora mi sento di nuovo Fenice, provo la sensazione inebriante, inumana di volare attraverso lo spazio.

Infine sogno Esmeralda.

E finalmente tutto in me si placa. La rivedo, radiosa come il sole, corre insieme a me su un prato infinito di fiori gialli che non è mai esistito all'Isola Nera. Io la tengo per mano, rido insieme a lei. Cadiamo insieme in mezzo ai fiori, abbracciandoci, il cielo azzurro che si incurva su di noi.

Esmeralda, amore mio....

Apro gli occhi, vedo la luce rosata dell'alba che si disegna sul soffitto. E' stato solo un sogno, dopotutto. Ma così bello da lasciarmi dentro una struggente commozione. La vita della mia povera innamorata è stata così orribile, peggiore addirittura della mia... ma almeno ho la consolazione di averle dato un poco di dolcezza. E forse ora è finalmente felice, ovunque sia andata a finire. Forse è con me, e in qualche modo ha voluto dirmelo...

Richiudo gli occhi, faccio per girarmi su un fianco.

E mi accorgo che c'è qualcuno a letto con me.

Trasalisco, mi alzo di scatto a sedere. Oh Dio!... Esmeralda!...

Il cuore mi batte all'impazzata. Con uno sforzo mi riprendo dal mio shock. Non è Esmeralda, naturalmente, non può essere lei... infatti è soltanto mio fratello, che dorme tutto raggomitolato sull'orlo del letto, avvolto in un riquadro di lenzuolo che è riuscito a rubarmi.

Sono improvvisamente furioso. Ecco perché ho fatto quel sogno! Perché in qualche modo ho sentito quest'imbecille infilarsi qua sotto, senza riuscire a svegliarmi... eh già, il suo vecchio vizio di quando era bambino. Ma adesso non lo è più!

Maledizione, Shun!...

Scosto violentemente le coperte, allungo una mano per svegliarlo.

Ma mi fermo.

Non posso farlo, non posso mandarlo via. Alla luce incerta dell'alba, è così simile alla mia Esmeralda... mi sembra proprio di poterla rivedere. Quel corpo flessuoso e liscio potrebbe essere benissimo il suo. Nella penombra i suoi capelli lunghi sembrano scuri, mollemente sparsi sul cuscino, sulle spalle e sul viso, e quel viso...

Non ho mai visto niente di più bello in vita mia.

Riconosco quel pensiero in me, mi sento scosso. La mia ragione sa benissimo che sto guardando mio fratello, non il mio perduto amore; eppure resto lì, immobile, affascinato dalla mia stessa illusione, ascoltando nel profondissimo silenzio il suo respiro lieve, contemplando quella sua espressione così incredibilmente beata, dolce, innocente...

Esmeralda, quando mai hai potuto essere così serena in vita tua?

Batto le palpebre, con uno sforzo di volontà.

Adesso basta. E' tempo di smettere di sognare.

L'alba è avanzata, e la luce è cresciuta un poco. Abbastanza per cancellare la magia, disegnando sotto i miei occhi gli inequivocabili lineamenti caucasici di Shun. Sempre spettacolari, comunque: li fisso in silenzio, provando quasi vergogna nel constatare che la mia povera, arruffata Esmeralda era molto meno bella di lui. Come sta sorridendo, anche nel sonno... chissà cosa sta sognando per essere così felice.

Perché perdo tempo a chiedermelo? Posso saperlo, molto facilmente. Sono già stato nella sua mente: mi basta sfiorargli una tempia, usare solo un soffio della mia energia per rubare i suoi sogni, e conoscere la fonte di questa felicità di cui avrei tanto bisogno anch'io!

Avvicino furtivamente una mano alla sua testa. Esito un istante: mi rendo conto del delitto che sto per commettere... sto per invadere la sua mente senza il suo permesso.

Però anche lui ha invaso la mia intimità. Ed i suoi pensieri sono miei di diritto!

Trasalisce quando lo tocco, si ritrae rischiando di cadere giù dal letto. Perchè tanta paura?

La risposta è amara: teme che io mi svegli, lo scopra e lo cacci via, proprio come stavo per fare... trattandolo come un ladro, quando l'unica cosa che si stava rubando era un po' d'affetto. E, povero ragazzo, quale altro modo gli è mai restato per saziare il suo bisogno di tenerezza? Respinto ed umiliato senza pietà, spesso proprio da coloro a cui più teneva, mamma, papà, gli amici, anche quelli più cari... e persino da me, ha finito per convincersi di essere soltanto una creatura spregevole, indegna di esistere, che non merita e non ha diritto a nulla, neanche a una carezza.

Ma proprio per questo ora sento la sua anima cantare di gioia, così forte da spaccarmi il cuore. Misero come si sente, per lui questo semplice momento di vicinanza con me è un regalo meraviglioso, gli basta per sentirsi l'essere umano più ricco del mondo. A dispetto della paura che prova, è così felice da aver abbandonato ogni difesa: giace tranquillo e fiducioso come un bambino nel mio calore, senza pensare al passato né al futuro: vive solo il presente, con tutto se stesso, godendosi ogni istante come se fosse l'ultimo della sua vita, senza osare chiedere di più, senza sognare di più...

Lascio il mio contatto. Sto tremando.

Perché l'ho fatto, Shun? Perché ho voluto entrare nella tua anima, guardare oltre la pace del tuo volto? Non sapevo già che la tua felicità ha le radici nel più profondo del dolore?

Mi sento le lacrime agli occhi.

Perché è solo il dolore che posso condividere con te, visto che non potrò mai provare la tua gioia. Io non so più che cosa sia l'amore. L'ho perso per sempre... assieme ad Esmeralda.

La pietà quasi travolge le mie difese. Perché nella felicità innocente di mio fratello vedo solo la crudeltà di questo mondo? Mi verrebbe voglia di urlare di rabbia: guarda cosa gli hanno fatto, il prezzo di quest'istante di purissima gioia! E quanto l'ha pagata Esmeralda? E' stata fatta a pezzi, come nemmeno un criminale meritava...

Ed è per questo che non voglio più essere felice? Perché ho paura?

Di nuovo sfioro la testa arruffata di Shun, ma solo per accarezzarlo. La mia rabbia è svanita: dentro di me, per un istante, è solo silenzio, assoluto silenzio.

In fin dei conti ho pagato anch'io il mio prezzo. Più caro di tutti. Ho perso la mia anima. Non ho più altro da offrire...

Lui sente la mia carezza e arretra ancora, finendo oltre l'orlo del letto. Cadrebbe giù, se io non l'afferrassi istintivamente. E sorrido a me stesso.

Forse mi è rimasto ancora qualcosa. Altrimenti non sarei qui!

Lo trascino al centro del letto. Lui mugola, ancora a metà tra il sonno e la veglia: "Ikki..."

"Ssst," sussurro. "Dormi tranquillo. Sono qui con te. Non ti manderò via."

Allora si rilassa e mi si accoccola tutto addosso, quasi facendo le fusa.

"Ti voglio tanto bene," sospira, pieno di gratitudine.

La commozione che provo è tale che devo chiudere gli occhi, stringerli con furia per non fare quello che tanto rimprovero agli altri, cedere alle emozioni: è già tanto per me ammettere di averne. Guardo il soffitto e penso: Esmeralda, faccio a mio fratello quel che vorrei tanto fare a te... tenerti tra le braccia nel calore di un letto, ascoltare il tuo respiro e vegliare sul tuo sonno. In questo momento, tu e Shun siete la stessa persona...

Sento un brivido doloroso dentro mentre ammetto a me stesso:

Forse per me lo siete sempre stati.

Quando sento il respiro del mio fratellino farsi di nuovo lento e regolare, lo lascio al mio posto, lo copro di nuovo, mi butto addosso l'unico vestito che siano riusciti a procurarmi: il completo da judo di Mylock. Mi stringo in vita la cintura nera ed esco, chiudendo piano la porta.

C'è un gran silenzio, tutti dormono ancora. Vado verso il salone, indifferente all'aria fredda che entra dallo squarcio della veranda, al triste spettacolo del parapetto annerito dal fuoco, i cocci dei vasi di fiori sparpagliati ovunque. Li evito con i miei piedi scalzi, mi fermo davanti all'apertura, guardando il panorama.

Qualcosa in me si chiede cosa diavolo ci faccia qui.

Un lieve rumore attira la mia attenzione. Giro la testa e con discreto stupore vedo Lady Isabel Saori sulla porta.

Ci guardiamo a lungo, con una cortese, fredda ostilità: è finita l'emozione, ora siamo faccia a faccia, un ribelle nato, e l'attuale rappresentante dei Thule sulla terra. Che sia una ragazza o meno non ha importanza per me, è soltanto qualcuno che ho odiato ed a cui ho offerto una tregua, nulla più. E lei ne è ben consapevole.

Noto che è ben vestita, i capelli sciolti sulle spalle e perfettamente pettinati, una fissità negli occhi che rivela che è sveglia da parecchio.

"Hai riposato bene, Ikki?" mi chiede, a voce bassa.

"Mi sento a posto," rispondo.

Mi squadra dall'alto in basso.

"Ho già provveduto a farti procurare un abbigliamento più confacente."

"Divisa da liceale giapponese? O blazer nero con San Giorgio ricamato sul taschino?"

Lei torna a fissarmi negli occhi, senza raccogliere la mia provocazione.

"Sono lieta che ti sia alzato prima degli altri." Sposta brevemente lo sguardo. "Ho bisogno urgente di parlarti, e da solo. Per favore, vieni nel mio studio."

Il suo tono estremamente serio mi incuriosisce.

Entriamo in una stanza dominata da una poltrona presidenziale, con una scrivania semicircolare piena di schermi, stampanti e tastiere. La luce è già accesa. Io mi appoggio alla parete, incrociando le braccia. Lei invece si accomoda sulla poltrona, lisciandosi la gonna. Il suo sguardo scatta in varie direzioni, ma non si posa mai su di me.

"Perché così nervosa?" chiedo, spezzando per primo il silenzio.

"Forse mi devo abituare alla presenza di qualcuno che è stato il mio peggior nemico," mi risponde immediatamente.

"Ti stai chiedendo se puoi veramente fidarti di me, non è così?"

La vedo arrossire, come se le avessi dato uno schiaffo. "Sono la duchessa di Thule, e non gradisco che si usi questo tono confidenziale con me."

"Me ne infischio," ribatto, per nulla impressionato. "Ti parlo nello stesso modo in cui tu parli a me. Ed io non sono un ragazzino, come gli altri tuoi cavalieri che ti chiamano milady e ti riempiono di salamelecchi. Sono un uomo, e non ricordo di aver mai detto di doverti qualcosa."

Lei mi guarda, con occhi di fuoco. Ma incassa il colpo e ribatte:

"Potrei dire che qualcosa effettivamente devi ai Thule. E se non altro, almeno delle scuse, visto che tutto il male che è accaduto finora è merito tuo. Sei tu il responsabile dell'interruzione del torneo, di tutti i miliardi che per questo sono sfumati al vento. Pensa al lavoro di tante persone che tu hai distrutto in un istante. Pensa a tutti coloro che sono morti per colpa tua. Ed infine, ricordati che dobbiamo a te la perdita di quasi tutta l'armatura d'oro!"

Scrollo le spalle, fissando il soffitto.

Lei soggiunge, con voce più calma: "Ma tutto questo naturalmente non ha importanza. Del resto non mi intestardisco su queste piccolezze nei confronti di qualcuno che ha combattuto per la mia causa." Mi guarda e aggiunge, prima che possa parlare: "A prescindere dai suoi motivi, ovviamente."

"Ovviamente," annuisco sorridendo duramente.

"Ascolta, Ikki," mi dice con un sospiro di esasperazione. "Accantoniamo per un po' la nostra guerra personale ed arriviamo ad un compromesso. Visto che per te è tanto importante, ti concedo di parlarmi familiarmente in privato; ma pretendo da te il giusto rispetto davanti agli altri." Una pausa. "Io in cambio accantonerò tutti i miei dubbi su di te e non calcherò più la mano su ciò di cui ti sei reso responsabile. Siamo d'accordo?"

Alzo appena un sopracciglio. Sedici anni, la ragazzina? Forse non li ha mai avuti.

"Mi sta bene."

Si appoggia allo schienale della poltrona. "Naturalmente non è per questioni di etichetta che volevo parlarti in privato." Abbassa la testa. "L'argomento di questo colloquio è Shun. O meglio..." alza brevemente lo sguardo, "...la questione delle sue origini."

Mi irrigidisco lievemente. "Sono affari che ti riguardano?"

"Secondo te, direi proprio di sì. Quando sei apparso al torneo, hai accusato Shun di essere figlio di mio nonno, disconoscendolo come fratello. Più tardi, desiderando chiarire la questione, gli ho proposto un'analisi genetica. Ero pronta a garantirgli tutti i suoi diritti se fosse risultato effettivamente uno dei Thule. Ma lui ha rifiutato questa prova, ha detto che preferiva non sapere nulla di sé. Ha detto che aveva già avuto i suoi genitori, i tuoi, e non ne voleva altri." Sorride appena. "Vorrei vedere chi altri avrebbe avuto il coraggio di respingere la possibilità di essere l'uomo più ricco del mondo..."

Sorrido anch'io, tristemente. Tipico di Shun, incosciente com'è. E fedele a se stesso.

"Dunque non si sa se avessi ragione o no," dico, con voce sorda.

"Eri davvero convinto di quel che affermavi?"

"Non l'avrei detto altrimenti." Abbasso le braccia. "Del resto non ci vuole molto per indovinare che Shun non è veramente mio fratello. Basta guardarlo."

"Ma perché proprio figlio di Alman di Thule e non di chiunque altro?"

"Perché questo mi è stato detto dal Sacerdote Supremo, al Santuario." La vedo trasalire, guardarmi sorpresa. "E non solo," aggiungo, "Mi ha anche fornito delle prove."

"Quali?"

"Mia madre era stata ricoverata per pochi giorni per un piccolo intervento chirurgico. La clinica in cui andò era patrocinata dalla Fondazione. Durante quei giorni Alman di Thule era là." Chino la testa. "Nove mesi dopo nasceva il bambino meno giapponese della storia del Giappone. Trai tu le conclusioni..."

"Potrebbe essere una pura coincidenza!" ribatte, scandalizzata. "Mio nonno non era certo il solo occidentale presente in Giappone a quel tempo. Non puoi credere che un uomo come lui fosse capace di approfittare di una donna indifesa in un ospedale, magari mentre era sotto sedativi..."

"La mia opinione di tuo nonno era tale che l'avrei creduto capace di questo ed altro!"

Il suo sguardo trema all'odio nella mia voce.

"Non sei ragionevole, Ikki. Mio nonno non aveva alcun bisogno di commettere una simile violenza." Deglutisce. "E poi Shun non gli assomiglia affatto."

"Questo lo so," ribatto, "Ed il problema è che non assomiglia neanche a mia madre: dov'è la sua pelle scura? Dove sono i capelli neri? La statura, la struttura fisica, la forma degli occhi, del naso? Me lo sono chiesto per un pezzo, comprendendo finalmente il motivo della follia di mio padre. E pensa che al Santuario avevano un paio di spiegazioni per questo miracolo... una più insultante dell'altra!"

Mi guarda angosciata. "Che vuoi dire?"

Avanzo verso di lei e picchio le mani aperte sulle sua scrivania.

"Ingegneria genetica, madamigella. Ecco cosa voglio dire!... Tuo nonno ha usato mia madre per un esperimento, ha fatto impiantare dentro di lei un embrione che aveva fatto congelare chissà quanti anni fa. Chissà, forse era un figlio di scorta, preparato con tua nonna o qualche altra donna che gli era cara. O forse, ipotesi più spaventosa di tutte, era addirittura il clone di sua moglie, o di sua figlia. Che prospettiva eccitante, vederle rivivere! Che importava se la madre ignara non era europea? Era giovane, sana, forte e a portata di mano. Forse però questo esperimento non è andato a buon fine, un incidente genetico ha cambiato il sesso della sua creatura." Sorrido tristemente, "O quasi."

Lady Isabel mi fissa inorridita.

"Sei pazzo, Ikki?!... Queste non sono solo accuse fantasiose, ma anche orribili! Embrioni congelati, clonazioni... sono operazioni al di fuori di ogni etica, bandite dalle leggi di tutto il mondo! E per di più osi affermare che mio nonno le avrebbe fatte... all'insaputa della donna a cui avrebbe affidato i suoi geni!"

"Risparmiami l'indignazione, Lady Isabel Saori." Mi raddrizzo. "Tuo nonno non si è mai fatto degli scrupoli su qualcosa solo perché era illegale ed immorale."

Lei fa per ribattere, ci ripensa, sospira pesantemente.

"Dunque... credi tuttora a quest'accusa, vero?"

"La ritengo plausibile," replico, freddamente. "Alla luce di quel che è successo, però, capisco che il Sacerdote Supremo potrebbe aver montato questa storia al solo scopo di manovrarmi contro la Fondazione."

"Ma basta il solo sospetto per farti odiare mio nonno anche oltre la morte... sì, capisco. Questo delitto farebbe di lui l'essere più inumano e crudele della storia." Mi guarda, quasi implorante. "Ma ti sbagli, Ikki. Alman di Thule non era così. Non era il mostro senza cuore che tu dipingi, capace di seminare dolore e disperazione solo per un capriccio personale."

"Non sprecare fiato a convincermi del contrario. Vuoi che onori la sua memoria? La risposta è no. E resterà tale."

"A prescindere dalla verità sulle origini di Shun?"

Alzo le spalle. "Ormai non saprò più questa verità, perché Shun stesso ha scelto di ignorarla. Non posso costringerlo a tornare indietro sulla sua decisione. E poi che importa? E' mio fratello, a prescindere da tutto, e l'unica cosa di cui mi vergogno è di averlo respinto solo in nome della sua diversità da me. Per tutta la vita l'avevo accettato così com'era. Continuerò a farlo." Sospiro, pensierosamente. "Peccato, però. Avrei proprio voluto sapere se al Santuario hanno osato giocarmi fino a questo punto!"

Lei china la testa, tacendo a lungo. Poi mi guarda in uno strano modo.

"Cosa c'è?" le chiedo, vedendola esitante.

"Devo ammettere..." comincia. Poi si ferma. Si fa coraggio e riprende: "Sì, devo ammettere che la tua accusa al torneo non ha sconvolto soltanto Shun. Anch'io mi sono sentita coinvolta, ed in prima persona. Le implicazioni di ciò che dicevi erano troppo gravi per la memoria del nonno... per cui ho fatto una cosa imperdonabile. Ho fatto eseguire ugualmente quell'analisi genetica."

La guardo, ad occhi spalancati. "Cos'hai fatto?!"

Lei alza in fretta la mano. "Non ti preoccupare! Shun non sa assolutamente niente di tutto questo, ed ho giurato a me stessa di non dirglielo mai, proprio perché devo rispettare la sua volontà." Abbassa lo sguardo. "Ma io dovevo sapere la verità. E per quel che implica anche per te... specialmente dopo quel che mi hai appena detto... vorrei che anche tu la sapessi."

Non ho assolutamente niente in contrario.

Lei mi invita a mettermi al suo fianco, si china al computer, digita qualcosa. Si sporge verso il sensore vocale:

"Aprire file riservato GASK-1."

Matrice vocale accettata, risponde la macchina, iniziando a caricare dati.

"Quella che ti faccio vedere è la copia dell'analisi genetica inviatami dall'Istituto Legale," mi dice voltando lo schermo verso di me. "E' arrivata stanotte."

Appare una scritta in campo azzurro: la data, il simbolo di Nuova Luxor, il logo dell'Istituto Legale, una serie di ammonizioni sull'uso improprio delle informazioni che sarebbero state trasmesse, biografia e dichiarazioni degli analisti, ed altre note del genere.

Lady Isabel preme un pulsante.

Un'altra scritta appare. Test comparativo genetico soggetto Kieunemo Shun contro Kieunemo Naori, Hanekawa Yoshihiro, Hanekawa Ikki, Thorsen Michael Alman.

Un altro pulsante.

Appare una specie di labirinto tridimensionale, una specie di folle videogioco in cui una mano che indica scivola lungo una ragnatela di righe colorate, che si snoda ipnoticamente su e giù.

Non ci capisco niente.

Il computer manda un segnale sonoro, il gioco si interrompe ed appare la scritta in inglese: Gene Match.

Lady Isabel va avanti. Le interruzioni avvengono irregolarmente, ma sono esasperanti: Gene Match, Gene Match...

Ad un certo punto il segnale diventa prolungato, il programma si interrompe, e sul video appare una dichiarazione:

Raggiunto limite legale pattern genetico di riconoscimento, inutile proseguire indagine. Risultato: Kieunemo Naori e Hanekawa Yoshihiro ascendenti soggetto, Hanekawa Ikki affine soggetto, Thorsen Michael Alman estraneo soggetto.

Firme, simboli, date, una piccola domanda in calce: Stampa?

Fisso lo schermo, ad occhi dilatati, senza quasi respirare.

"Non è possibile..." mormoro alla fine.

"Ed invece sì," dice Lady Isabel, con un sorriso amaro. "I tuoi sospetti sono infondati. Tutti! Perché il povero Shun è veramente tuo fratello, figlio di tua madre e di tuo padre!"

Scuoto la testa, agghiacciato.

Tutto questo... dolore... per niente...

"Non ci credo!" esclamo con voce strozzata. "La pelle ed i capelli chiari, gli occhi verdi..."

"Ai fini legali i tratti somatici hanno poca importanza, Ikki. Sono solo parte dell'informazione del DNA, ed in questo caso il resto delle informazioni è più che sufficiente a stabilire la parentela. Sappi che con questo documento Shun potrebbe acquistare in qualsiasi tribunale il diritto incontestabile di chiamarsi Hanekawa, come te." Lady Isabel sospira, spegne il computer e mi guarda. "Sul perché poi abbia questo suo aspetto straordinario... il mistero rimane."

 

***

 

Mi sveglio al rombo dell'elicottero che atterra nel prato vicino alla casa. Non sono nella mia stanza. E' quella di Ikki! Ma lui non c'è... Per un attimo ho il terrore di aver fatto un bellissimo sogno impossibile. Scatto a sedere, pieno di angoscia, guardandomi intorno.

E vedo sul tavolo l'armatura della Fenice, assemblata nella sua plastica figura, priva com'è di scrigno. La conferma che non ho sognato!

Mi lascio cadere in mezzo alle lenzuola, con un sospiro di puro sollievo. Guardo la sveglia sul comodino: ci credo che mio fratello si è già alzato, è tardissimo! Ed il fatto che mi abbia lasciato qui significa che si è accorto della mia intrusione, ma non si è arrabbiato, anzi: è stato così gentile da non svegliarmi.

Sorrido, fissando il soffitto. Dio, come sono felice! Mi alzo quasi con un balzo, mi tolgo di dosso le bende medicate: le ustioni vanno molto meglio, non ho nemmeno una vescica. Sono pieno di voglia di vivere, ho una fame da lupo! Mi vesto ed esco, incontrando per primo Shiryu, che mi saluta.

"Buongiorno, Shun. Sembra che tu stia molto meglio."

"Ci puoi scommettere!" dico, allegramente. "Grazie alle tue cure non mi brucia più dov'ero scottato." Gli mostro le mie braccia. "Hai visto Ikki per caso?"

"Sì, è andato a farsi una passeggiata per il parco."

"Grazie."

Mi volto per uscire, ma lui mi afferra per la spalla. "Aspetta!" Alzo lo sguardo, stupito, lo vedo scuotere lievemente la testa. "Ha detto a tutti di voler stare un po' da solo."

"Ma io..."

"Abbi pazienza, Shun, rispetta i suoi desideri." La sua mano stringe appena. "Non è facile per lui. Bisogna dargli un po' di tempo."

Mi addolora quel consiglio, ma sento che è giusto.

"Va bene," sospiro, "Vorrà dire che mi cercherò invece qualcosa da mangiare."

Shiryu sorride, comprensivo.

"Vai in cucina, Seiya è là a litigare con il cuoco, che è appena arrivato. Credo che tu possa approfittare della situazione."

La situazione è un mucchio di frittelle di riso impilate in un cestino di bambù, che Seiya non vede l'ora di dare in pasto a qualcuno.

"Ciao, Andromeda! Hai fame, vero? Allora mettiti comodo e assaggia le mie frittelle. Qui, un po' di miele. Ti piace la sciacquatura di piatti di Mylock? Eccone qua una bella tazza!"

"Quella era la mia padellina per le Crêpes Suzettes," si lamenta il cuoco, "E non si serve il miele direttamente dal vasetto!... Chi mi ha scongelato le coquilles- Saint-Jacques?!"

"Ehm, sono stato io," confesso.

"Spero che abbia concesso a questi molluschi il trattamento che meritano," mi dice il cuoco, severamente. "Panna, un tocco di sherry, un soffio di pepe bianco, una breve cottura..."

"Beh, io non so cucinare: li ho messi nel forno a microonde e quando sono stati caldi li ho mangiati." Arrossisco alla sua faccia orripilata. "Mi sono sembrati buoni lo stesso."

Seiya si mette a ridere fragorosamente.

"Crystal ha proprio ragione, noi giapponesi siamo capaci di mangiare qualsiasi cosa! Su, avanti, dimostra la tua nazionalità assaggiando la mia opera."

Obbedisco volentieri. Quelle frittelle di riso non sono niente male, anche se sono bruciacchiate ai bordi e piuttosto unte. Ma il loro odore mi ricorda l'atmosfera di una festa della mia infanzia, e mi fa piacere mangiarle.

"Dove hai imparato a cucinare?" gli chiedo, tra una frittella e l'altra.

Lui quasi mi abbraccia.

"Grazie di cuore di avermi detto che so cucinare! Gli altri mi hanno stroncato di critiche, anche se non sanno nemmeno sbucciare un'arancia. Ma tu sei il solito gentiluomo, vero? Ti sacrifichi eroicamente per non avvilirmi... Beh, dove ho imparato a cucinare? Mi sono dovuto arrangiare. E spero che il signore qui non mi cacci via, così posso spiare quel che fa e imparare qualcuno dei suoi trucchi." Mi strizza un occhio. "Sai, le donne trovano irresistibile un uomo che sa far da mangiare."

"Tranne quando lo fa per mestiere," ride il cuoco, che si decide finalmente a perdonarci.

Non avendo di meglio da fare, restiamo lì in cucina finché non arriva la tetra signora Yuriko, a capo di un battaglione di domestici. Mi saluta freddissimamente, guarda male Seiya, quindi ci invita a portarci nell'ala padronale di nostra competenza. Nel corridoio troviamo anche Mylock, che abbaia i suoi ordini. Si è ripreso bene dal pestaggio a cui è stato sottoposto, ma la sua faccia è ancora coperta di lividi. Ci comunica duramente che Lady Isabel si incontrerà con noi dopo pranzo, nella sala che il personale della Fondazione sta velocemente riordinando. Noi mangeremo in una delle stanze dell'altra ala, tutti insieme.

Vado a cercare Ikki, per chiamarlo a tavola. Lo trovo nel parco, seduto sul tronco di un albero caduto, vestito con un assurdo judoji in quel freddo pungente. Ha un'aria molto pensierosa, fissa il vuoto strappando gli aghi da un ramo di abete che tiene in mano. Vorrei chiedergli cos'ha, ma rammento il consiglio di Shiryu e mi trattengo, per non disturbarlo più di tanto. Gli chiedo semplicemente se vuole mangiare qualcosa.

Lui mi guarda stranamente, sorride quasi con tristezza. E mi segue.

Nella sua stanza trova un completo sportivo di gran marca, molto elegante: un bel regalo di Lady Isabel per compensare la sua assoluta mancanza di vestiti (non posso certo prestargli i miei, data la differenza di taglia!) Quando entriamo nella nuova sala da pranzo Seiya manda un fischio d'ammirazione e dice, in tono scherzoso:

"Ehi, Phoenix!... Sembri quasi una persona per bene."

"Seiya!" esclamo, mentre gli altri sogghignano.

Mio fratello reagisce alla battuta con assoluta indifferenza. Si accomoda il più lontano possibile da tutti e si mette a mangiare senza augurare buon appetito a nessuno. Lo faccio io al posto suo, un po' imbarazzato.

Cominciamo tutti a mangiare. Non c'è molta conversazione tra di noi. Parlare poi con mio fratello è impossibile. Ci prova Shiryu che gli dice, cordialmente:

"Sembra che ti sia ripreso bene, oggi hai anche appetito..."

"Già," è l'unica risposta.

Ed il silenzio che segue non lo invoglia affatto a continuare.

"Pensieri profondi, Ikki?" chiede Seiya.

"Penso ai fatti miei," ribatte lui, "Tu fa' altrettanto."

Sento un sospiro piuttosto sonoro, Seiya si schiarisce la voce... poi vede il mio sguardo disperato, e cambia idea. "Okay," borbotta, "Lasciamo perdere."

Mi sento in imbarazzo. Vorrei tanto chiedere ai miei compagni un po' di comprensione. Hyoga incrocia il mio sguardo, accenna un sorriso incoraggiante. Forse dopotutto mi vuole ancora un po' di bene. Per me non è cambiato nulla, naturalmente. E benché me l'abbia chiesto, non riesco proprio a dimenticare quella sera, e quel che abbiamo fatto insieme...

E neanche lui, perché lo vedo arrossire lievemente.

"Crystal," dice Ikki all'improvviso, senza alzare lo sguardo dal piatto.

Lui trasalisce come se gli avessero dato una frustata.

Ikki prende il suo bicchiere e continua, con un tono casuale che non inganna nessuno: "Ricorda che io e te dobbiamo fare una chiacchierata."

Hyoga fissa il proprio piatto, mantenendosi miracolosamente impassibile.

"Quando vuoi."

Segue un silenzio carico di tensione, che mi fa rabbrividire. Cerco di spezzare quella brutta atmosfera sporgendomi in avanti e dicendo:

"Cosa vorrà dirci di nuovo Lady Isabel?"

Seiya mi guarda, sogghigna.

"Ehi, Shun! La presenza di tuo fratello ti ha cambiato fino al punto che cominci tu una conversazione? Non posso crederci!" Smette di sorridere. "Cosa vuole Sua Maestà? A dir la verità non ne ho idea. Solenne com'è, organizzerà una riunione solo per dirci che questo posto le fa schifo e torna a casa sua. Magari si aspetta che noi le andiamo dietro."

"Non abbiamo nessun motivo per farlo," mormora Hyoga.

"E nemmeno per non farlo," dice Shiryu. "A parte il nostro orgoglio, naturalmente. Finché viviamo in questo mondo non siamo cavalieri, ma soltanto dei giovani orfani senza lavoro e senza casa. Se lasciamo Lady Isabel dobbiamo arrangiarci da soli... o tornare nel nostro Mondo Segreto."

"Mi sembra che abbiamo problemi più duri da affrontare che il pagamento dell'affitto o la lista della spesa," annuisce Seiya. "Ma più che altro non credo sia saggio che ognuno di noi vada per la sua strada." Sospira. "E quale strada, poi? Si fa presto a dire di tornare nel Mondo Segreto, quando siamo tutti condannati a morte! Trovare un rifugio nelle nostre scuole segrete? Ed io che faccio, visto che ho avuto la rogna di addestrarmi proprio in Grecia?" Mi guarda. "Shun poi non vuole coinvolgere i suoi maestri, e non credo che tu, Dragone, voglia tornare in Cina solo per rischiare di trovare i sicari ai Cinque Picchi..."

Lui sospira, con tristezza.

"C'è la mia Fiore di Luna laggiù. So che il mio maestro la proteggerebbe, ed ho molta fiducia nella sua forza, ma... è pur sempre un uomo molto, molto vecchio. Potrebbe soccombere. Quindi posso trovare asilo ai Cinque Picchi, ma non certo restarci a vivere."

Povero Shiryu! Pensa alla sua bella fidanzata che l'aspetta... e che rischia di aspettarlo per sempre.

Hyoga si schiarisce la voce.

"Nemmeno io posso tornare. E non per scrupoli di coscienza... ma perché ho ricevuto un messaggio chiarissimo dal mio maestro. Diceva: stammi alla larga, o ti ucciderò." Un sorriso amaro. "Non ho osato sfidarlo ed ho rinunciato a raggiungere il mio luogo di addestramento."

"E dove cavolo sei stato allora?" chiede Seiya.

"Sulla costa. Vicino al punto dove c'è la tomba di mia madre. Sono stato da lei a prendere nuova forza per ciò che mi aspetta."

Ikki alza le spalle, con una risatina ironica. Hyoga si irrigidisce, ma non dice niente.

"Forse potremmo andare tutti quanti nell'unica scuola segreta senza maestri," medita Seiya. "La più isolata e perduta di tutte." Alza la testa. "Senti, Ikki, ci ospiteresti nella tua Isola Nera?"

Mio fratello alza finalmente la testa dal piatto e risponde, con voce sferzante: "No."

Si pulisce la bocca, butta il tovagliolo sul tavolo, si alza.

"Non c'è bisogno di incazzarsi," dice Seiya nel silenzio nervoso. "Ti ho solo fatto una domanda."

"Ed io ti ho dato la risposta," replica lui, voltandosi.

Hyoga gli dice, severamente: "Te ne vai di già? Eppure mi sembra che i nostri problemi riguardino anche te."

Lui alza le spalle, senza voltarsi. "I miei problemi me li sono sempre grattati da solo."

E con quelle parole se ne va, senza fretta, sbattendosi la porta alle spalle.

Seiya sbuffa.

"Certo che invecchiando il suo carattere è davvero migliorato," dice, ironicamente.

"Immagino che non voglia nemmeno sentir parlare dell'Isola Nera," interviene Shiryu.

"Ma quante balle che si fa! Si tratta di salvare la pelle, no? Quell'isola poteva essere un buon rifugio..."

"Non ci serve affatto un rifugio," ribatte Hyoga. "Noi dobbiamo..."

Si mettono a discutere, ma io non ascolto più le loro parole.

"Scusatemi," mormoro, alzandomi da tavola a mia volta. Esco dalla sala sentendo alle mie spalle un paio di imprecazioni.

"Ecco, e quello come al solito ha altro a cui pensare!"

Mi dispiace, Seiya, ma ho davvero altro a cui pensare. Del resto non so che importanza abbia la mia presenza, visto che la mia opinione non viene mai richiesta! Voglio trovare mio fratello, voglio capire cos'ha.

Lo cerco nel corridoio, nella sua stanza, in sala. E finalmente lo scopro in giardino, che cammina distrattamente con le mani in tasca, prendendo a calci i crochi del prato, indifferente alla loro bellezza.

Scuoto la testa, tra me. Dovrei lasciarlo in pace, ma non riesco a stare tranquillo se lo so così turbato.Così lo raggiungo, lo prendo per un braccio e gli chiedo: "Ikki... sei arrabbiato?"

Lui strappa violentemente il braccio dalla mia presa.

"E lasciami perdere anche tu!..."

Resto di sasso a quella reazione.

"Per favore, dimmi cos'è che ti rende tanto nervoso."

"Niente!" sbuffa lui, nervosamente. "Sono soltanto abituato a stare per conto mio. Non ho più voglia di sopportare gli altri."

"Nemmeno me?" chiedo, con un timido sorriso.

"No."

Mi sento impallidire. "Non ti fa più piacere la mia compagnia?"

"No! E piantala con questo interrogatorio!"

Faccio un passo indietro. E' chiaro che gli do fastidio. Non vuole parlare con me. Non vuole nemmeno vedermi!

"Allora è per colpa mia che sei così arrabbiato," mormoro, con un filo di voce.

"Certo che è per colpa tua. E mi farai arrabbiare ancora di più, se non sparisci!"

Mi sento raggelare... forse un altro dei miei sogni è già finito?

Ma che cosa pretendevo di diverso? Ikki non può essersi dimenticato di tutto, anche se è morto e poi risorto...

"Scusami," riesco solo a sussurrare.

Mi volto e me ne vado, cercando disperatamente di non mostrare il dolore che provo dentro.

Non faccio cinque passi che sento la sua voce: "Aspetta!..."

Mi fermo, senza osare voltarmi. Lui mi raggiunge, sospirando pesantemente, mi posa una delle sue mani forti sulla spalla.

"Guarda che non è niente di quel che ti immagini."

"Io... non immagino niente," cerco di dire, con voce tremante.

Mi costringe a voltarmi. Mi vergogno terribilmente. Non ingannerei nemmeno un cieco, figuriamoci Phoenix!

"Mettiamo in chiaro una volta per tutte una cosa, ragazzino. Tu sei mio fratello. Lo sei stato e lo sarai per sempre." Mi alza a forza il mento in modo che debba guardarlo negli occhi. "Mi hai sentito? Avanti, rispondi. Chi sei?"

Oh Dio dammi la forza per non mettermi a piangere...

"Sono... tuo fratello."

Mi sorride.

"Bravo. E adesso cacciati questo in testa: il fatto che sei mio fratello non ti dà il diritto di invadere in ogni momento la mia privacy. Non ho nessuna intenzione di chiederti sempre il permesso di stare da solo. Per cui piantala di metterti in testa strane idee non appena apro la bocca." Scuote la testa. "Non ho intenzione di disconoscerti un'altra volta. Il torneo è finito, la mia guerra contro di te è finita, ed anche la mia vita di allora è finita. E' abbastanza per chiudere anche questa brutta storia tra di noi. Sono stato chiaro?"

Annuisco. Oh grazie, Ikki, grazie, grazie...

"Non voglio vedere lacrime!" tuona lui. "Rispondi e basta."

Sorrido, col cuore mi esplode nel petto.

"Ho... capito, Ikki."

Mi lascia andare, infila di nuovo le mani in tasca, si volta verso le montagne lontane. Resta in silenzio per diversi minuti. Quindi mi lancia un'occhiata tagliente, con un'ombra di sorriso.

"Sei ancora qui?"

Trasalisco, arrossendo un poco.

"Mi dispiace! Vado via subito. " Mi schiarisco la voce. "Ci vediamo tra un'ora da Lady Isabel?"

Lui annuisce, e mi volta le spalle.

 

***

 

Ci ritroviamo tutti all'ora stabilita, nella sala che adesso ha un aspetto migliore, anche se lugubre: lo squarcio che dava sulla veranda è stato chiuso con un pannello tappezzato, sfondo per la solita poltrona regale di Lady Isabel.

Lei ci aspetta con Mylock al fianco. Ha un'aria rassegnata e composta che rivela quanto sia brava nelle pubbliche relazioni. E' chiaro che si è preparata a recitare una tragedia. Tutta rigida sulla sua poltrona, le manine sui braccioli, esordisce:

"Cavalieri, vi ho chiamato per dirvi che gli ultimi avvenimenti mi hanno costretto ad una riflessione. Devo ammettere di aver perso molta della mia baldanza: non mi ero resa conto di quanto fossi vulnerabile. Ma ora ho scoperto di poter sostenere solo un ruolo in questa guerra segreta: quello della vittima. E non dico questo per paura personale... infatti, quale disgrazia può essere peggiore per me che la consapevolezza di aver mancato a un dovere sacro?" Sospira. "Ma non posso essere la causa della morte di innocenti, e ci sono persone che non sono capace di sacrificare. Nonostante tutte le mie promesse, ero pronta a cedere l'elmo dell'armatura d'oro per la vita di Mylock. Ed Ikki è apparso proprio mentre stavo per offrire la stessa, preziosissima cosa per salvare Andromeda..."

"Lei... avrebbe fatto questo per me?!" chiede mio fratello, esterrefatto.

Lei sorride lievemente.

"Sì, Shun. E quel che è peggio, lo rifarei... anche se so benissimo che tu per primo mi biasimeresti per questo." Ci guarda tutti. "E allora pensate a tutti gli ostaggi che ho nei confronti del Mondo Segreto... ai bambini dell'orfanotrofio, che conoscete bene... a tutti coloro che credono nel lavoro che fanno alla Fondazione! Come posso sopportare una minaccia simile sulle loro teste?" Sospira. "Mi vergogno, ma davanti a voi ed alla memoria di chi è morto, ammetto il mio fallimento. E mi faccio da parte."

"Che vuol dire, si fa da parte?!" chiede Seiya, stupito.

"Voi cavalieri avete un patto sacro da mantenere. La difesa dell'elmo e la lotta contro il Santuario vi riguardano da vicino. Per voi è questione di vita o di morte, ma almeno è la vostra morte, non quella di chi amate o chi confida in voi." Alza la testa. "Ho preso pertanto una grave decisione. Lascio per sempre Nuova Luxor."

Patetico.

"E dove andrà?" chiede Shiryu, colpito. "Non crederà di essere sicura altrove!"

"Sul mare lo sarò. Condividerò la vita nomade del mio futuro marito."

Per un attimo, un silenzio sbalordito cade nella sala.

"Marito?!" esplode Mylock, con voce stridula.

"Sì. Avevo ricevuto una proposta di matrimonio da Julian Kedives, l'erede della più potente famiglia di armatori del mondo. Accetterò quella proposta."

"Ma lei... ha solo sedici anni," replica Seiya, con voce strozzata.

"E Julian diciotto," annuisce lei, con un sorriso amaro. "Tuttavia siamo entrambi legalmente autorizzati a prendere decisioni sul nostro futuro. Naturalmente non si tratterebbe di un matrimonio d'amore; ma l'interesse economico di una simile unione è innegabile, sarebbe la fusione delle Cinque Stelle e della Seven Seas in una nuova multinazionale mercantile su scala planetaria. Inoltre, benché l'abbia conosciuto in una sola occasione, Julian è un giovane abbastanza gradevole, e mi offre l'opportunità di vivere con relativa sicurezza." Smette di sorridere. "Come bersaglio fermo, nemmeno voi cavalieri potreste difendermi. Anzi, vi sarei d'impaccio e basta."

"Ma la Fondazione? Continuerebbe ad essere suo ostaggio!"

"L'abbandonerò. Non ho altra scelta. L'affiderò ad una persona che la merita e ne condivide gli scopi, anche quelli... segreti." Si volta verso Crystal, la sua voce si fa solenne "Vuoi prendere possesso della tua eredità di uomo e di cavaliere, Igor Almanovich Maja'djev?"

Colpo di scena!

Nel silenzio sorpreso, si sente la voce di Crystal, quasi scioccata. "Che significa questo patronimico, milady?..."

Lei solleva il mento. "Significa che ci sono eredità che non si può scegliere di accettare o meno. Con questo gesto rendo te, uno dei cavalieri, il tramite per accedere alle fonti finanziarie che inevitabilmente vi servono per la vostra guerra. Non mi sento completamente traditrice dello spirito del nonno, perché il tuo scopo è uguale al suo, salvare l'armatura d'oro per riportare Athena al Santuario. Infine voglio compiere un atto di giustizia. Perché è vero, esiste la possibilità che tu dopotutto non sia un Thule... ma, vedi, sicuramente io non lo sono!"

Restiamo tutti a bocca aperta.

"Milady," mormora Mylock, con voce strozzata.

Lei abbassa lo sguardo. "Tu lo sapevi, vero?"

"Ne dobbiamo parlare proprio adesso, e proprio qui?"

"E perché no? L'ho scoperto proprio grazie alle accuse di Ikki e le allusioni di Igor. Ho fatto esaminare il mio DNA, sospettando di essere la figlia di Alman, non la nipote." Sorride, quasi con distacco. "Ebbene, non sono la figlia, e nemmeno la nipote. Non ho la minima parentela con l'uomo che per tutta la vita ho chiamato nonno!" Sembra quasi sul punto di piangere, ma si trattiene. Si volta verso Mylock. "Sei solo tu a saperlo? O c'è qualcun altro?"

"E'... un'informazione assolutamente riservata," esala lui, "Ma tutto questo non ha importanza dal punto di vista legale. La sua posizione è comunque inattaccabile..."

"Sì, immagino che tutte le precauzioni siano state prese," annuisce lei. "Ma non hanno considerato la mia volontà." Di nuovo si rivolge a Crystal. "Cavaliere del Cigno, tu che ne sei più degno di me... vuoi prendere il mio posto in questa guerra?"

"La smetta con questa pazzia!" grida Mylock, interponendosi di scatto. "Nessuno può prendere il suo posto!"

"Adesso basta!" dice lei, perdendo le staffe. "Non ti concedo più il diritto di interferire con le mie decisioni. Se ne hai bisogno, rammenta che sei stato tu a metterci in questa situazione, scappando di casa nonostante i consigli di Shun, facendoti catturare e rivelando poi dov'ero!... Tu mi hai dimostrato in un colpo solo quanto sono debole e vulnerabile!"

Lui abbassa la testa, umiliato. "Io... dovevo farlo, milady. Proprio per ordine di suo nonno." Respira profondamente. "Dovevo salvare dalla distruzione una cosa importante, costasse quel che costasse." Esita. "Sì, è vero, ho dovuto fare completamente affidamento su Andromeda, ma non avevo scelta. E poi era il suo dovere proteggerla!" Guarda mio fratello con malevolenza. "Se non ci è riuscito..."

"Stava per morire per colpa tua, idiota," dico con voce velenosa.

E se fosse morto, ti avrei cacciato all'inferno con le mie mani!

Diventa paonazzo, mi guarda ed esplode: "Non accetto rimostranze da un delinquente come te..."

"Piantala, nonno!" interviene Seiya, "Ikki ha ragione. Ti sei infilato dritto tra le braccia dei nostri nemici, e non ci hai messo molto a cantare..." Sorride, ironicamente. "Ma non ti vantavi di essere un duro?"

Mylock digrigna i denti, tremando di sdegno.

"Come osate mettermi sotto accusa, voialtri..."

"Ne hanno il diritto," dice Lady Isabel, la voce durissima. "Ed esigo una spiegazione anch'io!"

Segue un silenzio pesantissimo. Mylock si guarda intorno, la sua fronte luccica di un velo di sudore. Si rende conto dell'assoluta mancanza di simpatia nei suoi riguardi.

Ma Shun è sempre lo stesso, così cerca di andare in suo soccorso, dicendo a voce bassa: "Forse hanno usato con lui un condizionamento mentale."

"Non credo," ribatto io. "Su quella vasta fronte non vedo segni." Sorrido. "Chissà, forse ho un concorrente nel Mondo Segreto. Comunque mi basta un attimo per verificarlo... che ne dici, Mylock?"

Alzo appena una mano con l'indice puntato verso di lui. Senza energia. Solo per vedere quel bastardo tremare di paura.

"No!" squittisce. "Milady, gli dica di non farlo..."

"Io?" ribatte lei, con una freddezza che non mi aspettavo. "I cavalieri non sono ai miei ordini."

Ed io men che meno, bellezza.

Mylock mi guarda con occhi sbarrati, quasi in panico. Ha visto cosa succede quando mi vien voglia di entrare nella testa di qualcuno, e specialmente quando non ho molta voglia di essere gentile...

"E va bene!..." grida alla fine. Poi soggiunge, con voce tremante: "Avete vinto, dirò tutto."

"E spero di cuore che questa sia la fine dei tuoi segreti con me," dice Lady Isabel, con voce carica di amarezza.

Lui tira fuori un fazzoletto, si asciuga la fronte. "Non deve pensare male di me, milady. Tutto quel che ho fatto è stato per ordine del duca, e come sa bene, non gli ho mai disobbedito..."

"Tranne quando hai pagato degli uomini per rendere il mio viaggio verso l'Isola Nera un inferno," ribatto io, con ironia.

Lui mi lancia un'occhiata velenosa. "Non ho mai disobbedito sulle cose importanti."

"Dovrebbe vergognarsi di queste parole!" esclama immediatamente Shun, con una veemenza che sembra così fuori posto in lui.

"Hai il coraggio di parlare di vergogna, proprio tu?" ribatte subito Mylock, con una malizia che suona chiarissima alle mie orecchie ben addestrate.

Shun arrossisce violentemente, ma reagisce con ammirevole orgoglio: "Dica pure quel che vuole, ma non le permetto di insultare mio fratello, dopo quel che ha passato anche a causa sua..."

"Adesso piantala," lo interrompo seccamente, e lui mi guarda ad occhi spalancati. "Che figura mi fai fare? Mi credi incapace di difendermi da solo?"

"No di certo, Ikki..." risponde lui, quasi imbarazzato.

"E allora non perder tempo a litigare con quel vigliacco," concludo, alzando le spalle.

Mylock arrossisce. "Non sono affatto un vigliacco. Ho avuto le mie ragioni per comportarmi come ho fatto. Dovevo proteggere a tutti i costi due oggetti molto speciali, che il duca mi aveva segretamente ordinato di tenere sempre accanto a milady, in modo che lei potesse averli..." esita, "... nel momento in cui tutti i suoi cavalieri fossero stati uniti."

"Perché allora non glieli ha consegnati al torneo? chiede Crystal. "C'eravamo tutti, almeno quelli di noi che erano sopravvissuti alle Scuole Segrete."

"Ma non eravamo ancora uniti," obetta Shiryu, pensierosamente. "Secondo me Alman di Thule intendeva un'unione di intenti, non una vicinanza fisica. A quel tempo non eravamo un gruppo, e l'unico motivo che ci ha spinto a diventarlo è stata proprio... la guerra che Phoenix ci aveva dichiarato."

Sorrido ironicamente. Dunque ho avuto anch'io la mia utilità, dopotutto.

Mylock annuisce. "Per questo infatti ho mantenuto il segreto durante tutta la sua ribellione. E dopo la sua... morte, francamente, non sapevo cosa fare... così ho temporeggiato. Quando milady ha deciso di venire qui, ho pensato che quel tesoro sarebbe stato senz'altro più al sicuro nel palazzo di Nuova Luxor, che consideravo inattaccabile. Ma quando ho saputo che anche il palazzo era stato invaso... ho provato un senso di panico. Dovevo assolutamente verificare che gli oggetti fossero in salvo."

"Di che oggetti stai parlando?" chiede Lady Isabel. "Io non so niente di tutto questo!"

"Né doveva saperlo, milady. Comunque ora Phoenix è tornato, e ovunque siano, Asher, N'dare, Markus, Jack e Benan sono al fianco dei loro compagni. Per cui sono sicuro che il momento a cui si riferiva il duca è questo." Va verso il mobile antico, apre un cassetto e ne tira fuori una valigetta nera. "Ho fatto arrivare oggi quegli oggetti con l'elicottero, ed è con enorme piacere che eseguo quell'ordine di tanti anni fa... e glieli consegno."

Posa la valigetta sul tavolino e la apre. Ne trae due involti di velluto rosso, la richiude, e su di essa posa il primo oggetto che estrae dalla sua custodia. E' una lunga lamina d'oro, finemente lavorata.

Tutti ci avviciniamo a guardarla.

"E' una punta di lancia," osserva Shiryu. "E sembra molto antica."

L'altro oggetto è una statuina alata, alta una spanna, una strana forma ibrida tra essere umano e uccello che Mylock posa con garbo accanto alla punta di lancia.

"Sembra un reperto mesopotamico," nota Crystal.

"A me invece ricorda la dea egiziana dell'aria," dice Seiya, "Quella che dipingevano sui sarcofagi per far respirare il morto. Di sicuro è roba di valore..." Ci guarda, "Sì, ma la Fondazione è piena di gioielli antichi! Cosa rende così speciale quest'anticaglia?"

Ci voltiamo tutti verso Mylock, che risponde solennemente:

"Quest'anticaglia, come la chiamate voi, era l'importante eredità nascosta tra le fasce di una piccola bimba... una neonata... che Aiolos affidò ad Alman di Thule, assieme alla sua armatura!"

Un silenzio sbalordito cala tra noi.

Lady Isabel stringe i pugni, pallida come un cadavere.

"Dio mio," sussurra. "Vuoi dire che... ero io quella neonata?"

"Sì, milady." Mylock abbassa la testa. "Quel giorno fatidico di sedici anni fa il duca rientrò da un'esplorazione archeologica con uno scrigno d'oro sulle spalle, e una bambina tra le braccia. Non perse tempo, mi ordinò immediatamente di corrompere mezzo mondo pur di lasciare indisturbato la Grecia con entrambi. Andò in Norvegia dove, con mia grande sorpresa, fece risultare la bimba sua nipote, nata prima che sua figlia Ingrid morisse nell'incidente aereo di cui lei sa... per cui la sua data di nascita e tutto il resto fu falsificato."

Tutti guardiamo la povera milady che fissa il vuoto, sull'orlo delle lacrime.

"Un'adozione alquanto laboriosa, ed anche giuridicamente inutile" commento, a voce bassa. "Se il vecchio voleva fare un favore ad Aiolos salvando la bambina, aveva a disposizione mezzi più spicci... i suoi begli orfanotrofi, per esempio."

"Era quel che pensavo anch'io," ribatte Mylock. "Ma il duca non aveva l'abitudine di dare spiegazioni sul suo comportamento. Un giorno mi annunciò di aver cancellato tutte le tracce del passato della bambina, e mi ordinò categoricamente di dimenticare tutto quel che avevo visto e sentito, comportandomi da quel momento e per sempre come se milady fosse veramente sua nipote. Ed io, per sedici anni, ho obbedito."

"Te ne rendo atto," mormora lei. "Io per prima mi ero convinta di essere veramente sua nipote, non avevo mai avuto modo di sospettare il contrario." Alza la testa. "Ma l'obiezione di Ikki è giusta, avrei avuto gli stessi diritti anche se fossi stata adottata... perché dunque tanta segretezza?"

"Il perché è evidente," dice Shiryu. "Aiolos l'affidò al duca perché sapeva che chi l'aveva ferito a morte avrebbe fatto lo stesso con lei."

Il pallore di Lady Isabel diventa mortale.

"Mi avrebbero... uccisa, è questo che vuoi dire? E che finora mi hanno dato la caccia... senza che nemmeno io sapessi di essere un bersaglio?"

"Il duca è stato molto attento a cancellare le sue tracce. Lei per tutto il mondo è ancora la nipote di Alman. Forse il Mondo Segreto non sa ancora della sua identità."

"Col cavolo," dice Seiya, "Non sono mica scemi al Santuario! Metti insieme un tipo tortuoso come Alman di Thule, un'armatura d'oro e una ragazza dell'età giusta... quanto ci vuole a vedere tutte queste coincidenze messe insieme?"

"Ma perché?" chiede mio fratello. "Cos'ha mai fatto Lady Isabel per meritare una simile ferocia? Persino da neonata stavano per ucciderla... e se penso che Aiolos era un cavaliere d'oro..."

"Il migliore, o almeno così si credeva," dice Seiya.

"E allora chi ha avuto il potere di ucciderlo? Soltanto un altro cavaliere d'oro, come minino! Come immaginare un Santo di Athena, della massima gerarchia per giunta... capace di uccidere una creatura indifesa?"

Piccolo ingenuo sentimentale.

"Io lo immagino benissimo," gli rispondo, seccamente. "Non ci vedo niente di così impossibile, specialmente dopo la mia esperienza al Santuario."

Per favore, Shun, non chiedermi se io l'avrei fatto. La risposta non ti piacerebbe.

"Forse Lady Isabel è la figlia di Aiolos," mormora Crystal. "Ed i suoi nemici la volevano uccidere perché temevano che sarebbe diventata il nuovo cavaliere del Sagittario."

"Questa, poi!" sbuffa Seiya, "Le armature non si trasmettono da padre a figlio!"

"Però Lady Isabel ha sempre dominato quello scrigno," osserva Shun, acutamente. "O almeno così ci ha sempre detto... non è vero, milady?"

E tutti la guardano, sorpresi.

"Sì, è vero," mormora lei, pensierosamente. "In fin dei conti è stato il mio giocattolo preferito, per tutta la mia infanzia ed anche oltre."

"Giocattolo?!" esclama Seiya, con voce stridula. "Ehi, ma sta parlando di un'armatura sacra, e per di più della massima gerarchia!... In Grecia ho visto uomini morire per aver osato sfiorare un'armatura di bronzo, senza essere sacerdoti dotati di cosmo..."

"Però Alman di Thule ha potuto toccare senza pericolo una d'oro," nota Shiryu. "Altrimenti non avrebbe potuto portarla via da solo. E questo non può avere che una sola spiegazione."

Ci guardiamo tutti, in un istante di silenzio.

"E' impossibile," mormora Seiya.

"Invece secondo me Shiryu ha ragione," dice Shun. "E se rivivo il momento in cui incontrai il duca la prima volta, capisco il perché della strana sensazione che provai..."

"Che vuoi dire?"

"Semplice," interviene Crystal. "Evidentemente Alman di Thule non era solo un miliardario con una strana passione per la mitologia. In qualche modo che ignoro, Aiolos riuscì a renderlo un sacerdote di Athena, con qualcosa di simile alla nostra consapevolezza cosmica." Si volta verso Lady Isabel. "Suo nonno era capace di aprire lo scrigno del Sagittario?"

Lei scuote pensosamente la testa.

"Non lo fece mai, che io sappia. Poteva toccarlo, è vero, ma quando aveva bisogno di vedere l'armatura fuori dallo scrigno, lo faceva aprire a me."

"Bel tipo," sibila Seiya, "Non voleva correre rischi e allora lo faceva fare a una bambina! Avrebbe potuto morire..."

"Il duca sapeva quel che faceva!" esplode Mylock, indignato. "Non avrebbe mai rischiato la vita della sua adorata nipote adottiva. L'armatura di Aiolos non avrebbe mai fatto del male a milady... perché le appartiene di diritto!"

"Ah, sta' zitto, nonno!" Seiya si volta verso di lui. "Non sai nemmeno di che stai parlando. Un'armatura appartiene solo al suo cavaliere! O vorresti dirci che milady, incapace anche solo di tirare uno schiaffo, è in realtà il nuovo cavaliere del Sagittario?!" Esplode in una risata sarcastica, che si interrompe di scatto quando Shiryu dice, con voce sorda:

"E perché non potrebbe essere anche cavaliere di Phoenix, visto che nemmeno l'armatura di Ikki ha reagito contro di lei quando gli ha tolto la maschera?"

E' vero... ora ricordo! La sensazione di pace del mio essere. La mia energia che si quietava, quando io stesso ero incapace di controllarla.

Dragone ha ragione. Come fa Lady Isabel ad essere ancora viva?

"Accidenti... me l'ero dimenticato," mormora Seiya. "Ma allora milady deve avere un cosmo. Anzi, deve possederlo dalla nascita, a differenza di noialtri che l'abbiamo acquisito con l'addestramento!" Si volta verso mio fratello. "Shun... possibile che tu, il più sensitivo di tutti noi, non l'abbia mai percepito?"

"Ho sentito a volte delle strane sensazioni," ammette lui, timidamente. Respira a fondo, chiude gli occhi... poi li riapre, scuote la testa. "Ma ora sento solo i vostri cosmi. Niente da Lady Isabel." Esita. "Nemmeno la lieve increspatura che emana un comune sacerdote."

"E allora siamo al punto di partenza..." mormora Seiya.

"Nient'affatto," ribatte Mylock. "Non sono pratico del vostro dannato Mondo Segreto, ma voi non siete da meno. Vi siete dimenticati che le armature non sono vostre?"

"Eh no, nonno!" ribatte Seiya, velenosamente. "Ci risiamo con la vecchia storia dei diritti della Fondazione? Le armature sono nostre, eccome! Ce le siamo guadagnate, e non mi importa un accidente dei soldi che ha sborsato Alman di Thule per mandarci a conquistarcele..."

"Mylock ha ragione, una volta tanto," interviene Crystal. "Siamo stati dichiarati decaduti proprio per la presunzione di considerare nostro ciò che nostro non è." Alza la testa. "In ultima analisi, tutte le armature appartengono soltanto ad Athena."

"Sì, certo," annuisce Seiya con impazienza, "Ma..."

"Tutte le armature," ripete Mylock, con voce solenne. "Quella di Aiolos più di ogni altra." Si volta verso di me. "E persino quella di Phoenix!"

Segue un silenzio vibrante.

"Ma sei impazzito, nonno?" mormora Seiya, con voce quasi stridula. "Stai dicendo che Lady Isabel... sarebbe..."

Non completa la frase, ma guarda milady quasi con orrore.

"Seiya ha ragione," dice lei, pallidissima, quasi raggelata. "Bada a quel che dici, Mylock!"

Lui abbassa la testa. "Mi spiace che lei abbia sottovalutato la mia dedizione, milady. Davvero crede che l'avrei tradita, che avrei messo in pericolo la sua vita a cuor leggero? Mi sarei fatto strappare la pelle di dosso piuttosto di parlare, ma quando i suoi nemici l'hanno capito... li ho sentiti parlare di un cavaliere dai poteri mentali. Ed allora ho preferito fare la parte del vigliacco, fingermi terrorizzato, rivelare quel che volevano, purché non sospettassero che c'erano altri segreti che nascondevo... segreti ben più importanti del suo momentaneo rifugio!"

Esce un istante, tornando subito con un lungo bastone d'ebano finemente inciso, dalla punta foderata d'oro. Lo riconosciamo, è il bastone che lei teneva alla cerimonia d'apertura del torneo, quello che i giornalisti avevano romanticamente chiamato Scettro di Thule. Glielo porge con gesto solenne ed esclama:

"Lo prenda, milady. Lei saprà cosa farne. Perché anche per lei... il momento è arrivato."

Il momento è arrivato...

Rabbrividisco involontariamente. Che sta succedendo? C'è qualcosa di strano nell'aria, come se il tempo si fosse fermato attorno a noi.

Lady Isabel fissa il bastone davanti a lei, a lungo. Poi si alza, lentamente. Noto una strana fissità nel suo sguardo, come se una nuova coscienza si facesse largo dentro di lei. La vedo prendere saldamente il bastone, raccogliere la punta di lancia e applicarla con sicurezza all'estremità dorata. I due pezzi combaciano perfettamente.

Poi allunga la mano sinistra alla statuina alata, quasi esitando.

E la tocca.

L'urlo di Shun spezza il magico silenzio. Lo vediamo cadere in ginocchio per terra, tenendosi la testa tra le mani. Nello stesso tempo sento qualcosa come un'onda invisibile, che mi attraversa echeggiando in ogni cellula: non ho mi provato prima una sensazione simile...

Non è dolorosa. E Shun smette di gridare, fissa il vuoto ansimando. Forse per la sua sensibilità così intensa quell'onda è stata troppo forte. E' una caldo cosmo, non violento, ma così completo, immenso che mi sgomenta. Non c'è veicolazione di energia: è come se Lady Isabel fosse l'energia stessa di tutto l'universo, e la rappresentasse semplicemente in quel piccolo corpo...

Senza che lo voglia, la mia stessa aura di energia fiammeggia intorno a me, quasi accesa dal contatto con quel cosmo inconcepibile.

"Che sta succedendo?!" esclama Crystal, fissando le proprie mani.

Tutti noi siamo avvolti dalle nostre rispettive energie. Siamo compresi in un bozzolo che ci unisce e ci lega insieme. Ci guardiamo, esterrefatti. E su questa sinfonia di cosmi si introduce una potente vibrazione, quasi una canzone di metallo...

E' l'elmo di Aiolos, sul suo piedistallo!

Lady Isabel fissa il vuoto, quasi in trance. Tiene in pugno la sua nuova lancia d'oro, in mano la piccola statua alata. Nessun dubbio ormai su cosa rappresenti quella figura.

Nike!

"Non è possibile!" grida Seiya, la sua energia che pulsa altissima. "Che significa tutto questo?!"

Una voce femminile ci giunge chiarissima attraverso il cosmo stesso, che riempie i nostri sensi...

E' semplice, Pegasus. Io sono Athena.

"...Athena?!" sillaba lui, gli occhi sbarrati.

"Sì... è lei!" esclama Shun, con voce tremante. "E' la nostra dea!"

Faccio un passo indietro, pieno di sgomento. No! Lady Isabel non può essere una dea!... Se trafiggo la sua pelle, sanguina! Se voglio, posso ucciderla! E' solo morbida, tenera carne di ragazza troppo viziata...

Un sorriso appare sulle labbra di quella sconcertante fanciulla, e quella voce misteriosa mi raggiunge, morbida come una carezza.

Non fermare il tuo sguardo al mio guscio mortale, Phoenix... proprio tu che, a dispetto delle tenebre che contaminano il tuo essere cosmico, sei il più vicino di tutti all'essenza della mia gloria.

Perché io sono un'antica, possente coscienza immortale che ha appreso ad attraversare le ere. Ci sono altri come me. Voi umani ci chiamate déi. Non siamo perfetti, ma molto più vicini all'essenza globale di quanto lo siate voi.

Purtroppo per agire su questo piano dell'esistenza dobbiamo incarnarci. E allora la nostra potenza si deve piegare ai compromessi della fisicità, perdiamo la nostra infallibilità, la nostra onniscienza, combattiamo ed amiamo come voi mortali, e possiamo essere sconfitti. Torniamo allora da dove siamo venuti, pronti per rivivere quando la nostra coscienza ha la forza e la ragione per farlo.

Ho avuto entrambi, ed ho accettato di nuovo il dolore e l'ebbrezza di un corpo mortale. Entrata nel ventre di una sacerdotessa, fui abbandonata ai piedi della statua al mio Santuario. Fui ritrovata, portata al Sacerdote Supremo, che secondo le regole iniziò il rito per stabilire se fossi o no un'incarnazione divina. Ma la notte prima della celebrazione entrò segretamente nella mia stanza, e tentò di uccidere il mio fragile guscio di neonata.

In quello stato acerbo ero completamente vulnerabile e impotente. La mia incarnazione stava per essere conclusa prima ancora che mi potessi manifestare. Ma all'improvviso un cavaliere d'oro irruppe nella stanza, fermando quella mano assassina. Era Aiolos del Sagittario, che con la sua purezza aveva percepito la mia essenza divina senza bisogno di alcun rito. Tra un Sacerdote Supremo tramite di Athena, ed una bambina in cui era sicuro di aver sentito la dea stessa, egli aveva fatto la sua scelta. Senza attendere riti o cerimonie, arrogandosi il privilegio di decidere tra bene e male. Il Sacerdote Supremo non era disposto a perdere la sua supremazia ed accettare quella ribellione. L'immane duello sulla mia culla richiamò tutti i cavalieri del Santuario, accorsi a difendere il loro signore.

Costoro scoprirono Aiolos mentre stava per sconfiggere e smascherare la persona più venerata del Santuario, colui che avrebbe dovuto comandare su tutti i Santi con la voce di Athena. Il Sacerdote Supremo gridò all'oltraggio, accusò Aiolos di aver tentato di rapire ed uccidere la bambina. L'accusò di averla generata lui, nella convinzione blasfema di poter incarnare la dea a suo capriccio: ma ora che l'autorità sacra aveva stabilito che la piccola non era che una comune mortale, era evidente che non aveva voluto affrontare la sua vergogna, ed aveva deciso di sbarazzarsi del fardello facendone cadere la colpa sullo stesso Sacerdote Supremo. Rammentò a tutti come fosse noto che il cavaliere del Sagittario era così orgoglioso della propria santità da ritenersi il più degno di tutti a vestire la maschera del Supremo Sacerdozio.

Era vero che Aiolos coltivava la sua purezza sfidando l'impopolarità tra tutti coloro che vivevano nel Santuario. Per cui quasi tutti credettero naturalmente all'accusa del Sacerdote Supremo. Del resto mettere in dubbio la sua parola era come dichiararsi decaduti. Alcuni cavalieri d'oro in verità dubitarono che il fanatismo di Aiolos potesse giungere a tali eccessi, ma preferirono evitare una guerra interna e fratricida proprio nel cuore del Santuario, e si mantennero neutrali. Gli altri, la maggioranza, si schierarono contro di lui.

Egli si rese subito conto della sua situazione disperata. Non volle affrontare un combattimento impari con i suoi pari grado, non con una bambina da salvare. Mi prese con sé, corse via. Ma doveva recuperare lo scrigno della sua armatura, ed i suoi avversari lo sapevano. Lo aspettarono al varco, non si lasciarono convincere dalle sue parole, dalle sue preghiere. Lo colpirono a tradimento.

La sua determinazione sovrumana gli diede comunque la forza di fuggire, nonostante le ferite mortali; stava per essere ripreso, ma qualcuno che al pari di lui era stato colto dal dubbio si decise a venire in suo aiuto, confondendo gli inseguitori, e scomparendo poi nel nulla. Aiolos ebbe così il tempo di trovare un rifugio, in un tempio abbandonato, là dove un archeologo dilettante stava lavorando. La presenza di uomini del mondo esterno avrebbe tenuto lontani gli inseguitori, poiché era un delitto capitale farsi trovare e riconoscere al di fuori del Santuario. Ma tanto Aiolos stava già morendo, e non gli interessava violare questa legge se in cambio avrebbe così assicurato il mio futuro. Quell'archeologo era Alman di Thule.

Con lui crebbi al sicuro, e vissi la mia infanzia con felicità. Ma la mia eredità mi aspettava; e la mia eredità siete voi, cavalieri. Con voi e per voi, si compie finalmente il volere del fedele Aiolos, lo scopo a cui tanto dolore è stato sacrificato. Io sono ragione della vostra esistenza, la dea a cui siete stati consacrati. Voi siete i miei sacerdoti-guerrieri i cui nomi sono destinati a restare nei miti dell'umanità. Nulla è cambiato dal passato.

Eccomi dunque davanti a voi, miei cavalieri. Ho ancora la mia lancia, e Nike è al mio fianco. Il mio scudo mi aspetta al Santuario. Combatterò per riconquistarlo, per riconquistare il mio tempio violato, per purificarlo dalla feccia ambiziosa che vi risiede, e che vuole usare il mio nome per portare la rovina all'umanità.

Chiunque sia, uomo o dio, non permetterò questo scempio senza lottare!

Lentamente, quel cosmo misterioso si estingue, si ritira finché non resta solo un lieve, sordo pulsare di energia. Le nostre aure si acquietano. Il silenzio regna pesantissimo su di noi. Quasi non osiamo respirare.

Lady Isabel chiude gli occhi, esausta. La sua parte umana ha ripreso il sopravvento.

"Milady?..." la chiama Seiya in un sussurro.

Lei si volta lentamente verso di lui.

"Come si sente?"

"Benissimo," risponde, con un cenno della testa. Guarda la sua lancia, la sua voce suona così fioca. "In un certo senso, ho sempre saputo cosa c'era dentro di me... ora ne sono pienamente consapevole, e dovrò imparare a convivere con questo. Non sarà... affatto facile."

Lui la fissa pieno di incertezza.

"Ehm, sta parlando Athena o Lady Isabel Saori?"

"Isabel è solo il nome di questa incarnazione." Fissa il vuoto. "Ma è giusto che io continui ad esserlo. Ho cominciato questa mia presa di coscienza al torneo, e l'ho conclusa adesso, però resto comunque una ragazza mortale. E' meglio per me identificarmi in questo... che in una dea. Potrei perdere altrimenti il mio equilibrio interiore."

"Beh, non che per lei cambi molto," mormora Seiya scrollando le spalle, col suo solito spirito un po' forzato. "Si è sempre sentita una dea, e comportata da tale."

Inaspettatamente, lei sorride.

"Grazie, Pegasus. Mi dimostri che nemmeno adesso riesco a metterti soggezione!"

"E la cosa le dà fastidio?"

"Ho altro a cui pensare." China la testa, la scuote. "No... non è vero. A dir la verità, ho risolto in un colpo solo tutti i miei dubbi e le mie paure. Almeno ora so cosa devo fare della mia vita!" Ci guarda, radiosa. "Non fuggirò più. Non sposerò Julian Kedives. Tornerò a Nuova Luxor e mi preparerò ad andare in Grecia, perché là è il mio destino. Se ci saranno dei pericoli li affronterò a viso aperto."

Il suo sorriso si tinge di tristezza.

"Voi cavalieri siete stati trattati spietatamente per anni, soltanto per essere messi al mio servizio. Athena o meno, so quanto odiate tutto questo, e quanti motivi di astio avete verso la mia famiglia terrena. So di violare i desideri di chi mi ha dedicato la vita, ma la mia parte umana preferisce non pretendere più nulla da voi; anzi, farò il possibile per darvi tutto ciò che desiderate. E' il mio modo per ricambiare le sofferenze che avete sopportato a causa mia e dirvi, se mai può servire a qualcosa... che mi dispiace." Va alla finestra, china la testa. "Non mi importa se questo forse mi sarà fatale. In fin dei conti, questa guerra riguarda solo me ed il Santuario. Voialtri... siete liberi."

Segue un denso silenzio.

"Liberi di far cosa?" chiede Seiya. "Di mancare al nostro principale dovere?"

"Di tradire i nostri voti di cavalieri?" aggiunge Crystal.

"Di essere decaduti, cacciati come bestie, e di vergognarci di questo?" rincara Shiryu.

"Di deludere i nostri maestri?" dice mio fratello, la sua voce che si alza appena nel silenzio.

Tutti mi guardano. Ma io sorrido duramente, incrociando le braccia.

Non vi aspettate professioni di fede da me! Sono Phoenix, e non devo obbedienza a nessuno, nemmeno ad Athena.

Però non ho intenzione di abbandonare Shun un'altra volta. Per cui se lui si batte per Lady Isabel... ebbene, lo farò anch'io. Tanto non ho di meglio da fare a questo mondo.

"Siamo d'accordo, allora," dico a voce bassa. "Torniamo tutti a Nuova Luxor."


capitolo 6
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