(SAINT SEIYA) di Hanabi, estate 1994 I personaggi di Saint Seiya sono proprietà di M. Kurumada/Shueisha.
CAPITOLO 5: "Rivelazioni" - parte prima La prima reazione di Lady Isabel Saori, quando ci vede ritornare con il solo elmo dell'armatura d'oro, è un fiume di lacrime sconsolate. La reazione di Mylock a vedere la miseria del nostro bottino, e la sua padroncina così affranta è un mucchio di male parole e di minacce. Seiya si infuria. Si mette ad urlare che Dragone è morto, che Phoenix è morto, che un sacco di altra gente ci ha lasciato la pelle: le quattro Ombre di Phoenix, Docrates ed i suoi uomini. Non è stata una scampagnata, ma una ferocissima e sanguinosa battaglia, e solo il sacrificio disperato di Ikki ci ha salvato la vita in extremis e ci ha concesso di recuperare almeno quel pezzo. E' per i morti che bisognerebbe piangere, non per un trofeo perduto... Continuerebbe volentieri il suo sfogo, ma si accascia svenuto ai piedi di milady.Allora Lady Isabel cambia di colpo atteggiamento. Si asciuga le lacrime, ordina a Mylock di farci caricare tutti e tre sull'elicottero che ci ha condotto qui, e di portarci di corsa alla clinica della Fondazione. Là, in quel luogo appartato ed al riparo da occhi indiscreti, troviamo ad attenderci i medici che già conosciamo, e che ci guardano rassegnati chiedendosi a quali altri miracoli dovranno assistere stavolta. Scopriamo così che Seiya ha combattuto con una grave emorragia interna ed un polso rotto, Hyoga con un edema polmonare, tre costole rotte ed una sofferenza cerebrale acuta. Io ho otto ferite da taglio, una clavicola incrinata, svariati ematomi e graffi ovunque e una sublussazione della spalla. Sono quello che dovrebbe stare meglio di tutti, ma la mia anima è un cumulo di rovine. Se chiudo gli occhi rivivo sempre la morte di mio fratello. Rivedo il suo ultimo sguardo, il suo ultimo saluto. Ed anche se sorrideva, so che aveva paura, che avrebbe voluto urlare la sua disperazione, il suo dolore, la sua rabbia per quella vita atroce ed insensata... La battaglia del Suizhan mi ha lasciato dei segni indelebili dentro. Non solo ho visto mio fratello morire sotto i miei occhi - quello che per me era il supplizio più spaventoso che potessi concepire - ma ho addirittura provocato la morte di alcune persone. Redha si è suicidato ed io non ho saputo fermarlo. Ho ucciso deliberatamente due dei guerrieri di Docrates, e ne ho ferito o resi incoscienti altri cinque, che poi la frana provocata da Ikki ha travolto. Con tutto il mio amore per la vita, sono diventato un assassino. E adesso per cosa dovrei vivere? Per cosa dovrei combattere? Non ho più nulla che mi possa dare la forza di andare avanti. Ikki aveva ragione da vendere quando faceva le sue considerazioni amare sulla giustizia, sul bene e sul male. Il ritratto del Santuario, dedotto dal suo ultimo dialogo con Docrates, è desolante. Ma essere il paladino dei Thule non è certo meglio: che cos'hanno mai fatto Alman o Lady Isabel per meritarsi la mia devozione? E' a causa loro che sono qui, ora, separato per sempre da mio fratello, guerriero per forza, con le mani sporche di sangue e con una condanna a morte sulla testa. Non esprimo più nemmeno il mio cosmo. La mia armatura è lì, sempre con me nel suo scrigno, ma io la odio. Mi chiedo con distacco se sia possibile per un cavaliere dare le dimissioni dal suo compito divino. Se possa riportare l'armatura ad Anthrâ, congedarmi dai miei maestri dicendo che ne ho fin sopra ai capelli di Andromeda e del Mondo Segreto, e poi andarmene... Si, ma dove? Con la vita stravolta che ho fatto, ho perso tutti i miei punti di riferimento. Era Ikki la mia casa, ma ora sono solo. Tornare in Giappone? Senza mio fratello mi sentirei comunque uno straniero, e poi che farei laggiù? Restare a Nuova Luxor? Non ho nulla che mi leghi a questa città. Andare in Polinesia, a cercare la famiglia di mia mamma? Non so nemmeno su quale delle isole Tuamotu sia nata, né se esistano dei suoi parenti... e quand'anche li trovassi, che cosa avrei da spartire con loro, se non il mio cognome? Forse un pugno di ricordi dolci e tristi di una donna giovane, uccisa dal marito per gelosia a causa di un bambino troppo bianco e troppo biondo che si chiamava Shun... No, non so proprio dove andare. O cosa fare di me stesso, di questa vita che mi ritrovo e che è costata quella di tutta la mia famiglia. Perché se non fossi nato papà, mamma ed anche Ikki sarebbero ancora vivi e felici. Non penso al suicidio solo per non rendere del tutto assurdo questo sacrificio insensato! E poiché non ho alternative, finisce che seguo docilmente i miei compagni quando i medici ci rimandano al Saint George, una volta medicatici e giudicatici fuori pericolo. Ci ritroviamo tutti e tre in quella grande casa vuota, silenziosi, ognuno con i propri cupi pensieri e con le proprie ferite, nel corpo e nell'anima. Persino Seiya ha perduto il suo spirito brioso. Si è addestrato al Santuario, e deve proprio all'intervento del Sacerdote Supremo la sua investitura: infatti era stato quell'uomo santo e giusto a mettere definitivamente a tacere gli assurdi pregiudizi razziali dei suoi avversari, secondo i quali un orientale non avrebbe avuto diritto a diventare cavaliere di Athena. Seiya non riesce proprio a sovrapporre a questa luminosa figura lo scaltro, spietato ed opportunista tiranno dipinto da Ikki prima di morire... "A meno che questo Sacerdote Supremo e quello che ho conosciuto io siano due persone diverse!" "Impossibile," ribatte Hyoga, "Non mi risulta che si possa cambiare una simile autorità in meno di un anno e all'insaputa di tutti!" Povero Hyoga. Si ritrova ingiustamente condannato a morte, lui che aveva la missione di essere il nostro giustiziere. A questo punto mette in dubbio tutto, persino il suo maestro che lo ha allevato alla fedeltà assoluta al Santuario. Si rende conto amaramente che Phoenix gli ha salvato la vita due volte: impedendogli di adempiere alla sua missione e di tornare in Grecia, e fermando Docrates che voleva eseguire la sentenza. Sapere di aver questo debito d'onore con quello che considerava un esecrato nemico non lo aiuta di certo a sentirsi più sereno. L'unico in questa casa che sembra divertirsi è Kiki. Seiya se l'è portato dietro, non sentendosi di abbandonarlo sul Suizhan. Quel bimbo sembra non aver mai visto il mondo esterno, si entusiasma per tutte le modernità, corre per le stanze del Saint George con il suo assurdo saio arancione, e combina dei matti dispetti ai camerieri e a Mylock, grazie ai suoi poteri telecinetici. Si è conquistato il cuoco, con cui parla in greco antico: costui naturalmente non capisce nulla, ma gli mette sempre davanti brioches e dolcetti vari: Mondo Segreto o no, i bambini sono sempre bambini... basta lasciar loro il modo di esserlo. Io non sono mai stato così fortunato. Lady Isabel ci viene spesso a trovare dopo cena, tenendo tra le mani l'elmo dell'armatura d'oro. Passiamo la serata così, sprofondati nelle poltrone, senza guardarci in faccia, in un'atmosfera cupa e silenziosa rotta da qualche accenno di conversazione, e dall'antica pendola alla parete che scandisce le ore che passano. La verità è che ci eravamo pietosamente illusi quando avevamo creduto Phoenix la causa della crisi del Mondo Segreto. Potente com'era, non era altro che l'ultima propaggine di un pericolo molto più grande, quello che tanti anni fa causò la ribellione di Aiolos. E gli eventi sembrano dimostrare che non abbiamo più possibilità di scelta: ormai anche noi siamo considerati dei ribelli. Soltanto il sacrificio di Ikki ci ha impedito di uscire dalla battaglia dei Suizhan completamente sconfitti, ma questo ci ha dato solo una fragile tregua. I nostri nuovi e più tremendi nemici vogliono assolutamente l'armatura d'oro, quasi più di quanto non vogliano le nostre stesse vite, e l'elmo che abbiamo rovina tutti i loro piani... infatti, finché l'armatura non è interamente assemblata, nessuno può disporne in alcun modo. Quindi è inutile farci illusioni: ci attaccheranno presto per riaverlo, e purtroppo la battaglia del Suizhan ci ha dimostrato appieno la nostra pochezza gerarchica: basterebbe un solo cavaliere come Docrates a spazzarci via tutti. Il fatto che Ikki sia riuscito a batterlo significa solo che non ci aveva mentito sulla sua potenza trascendente: ma questo vuol dire anche che abbiamo perduto con lui il nostro guerriero più forte, l'unico che avrebbe potuto darci qualche speranza. Nulla poi può riempire il vuoto lasciato da Shiryu, dalla sua calma energia e saggezza. Ora che siamo rimasti solo in tre avremmo bisogno di Asher, Benan, N'dare e Jack, e Lady Isabel ha cercato di mandare messaggi per richiamarli a Nuova Luxor; ma le tortuose vie del Mondo Segreto sono troppo lente e pericolose perché si possa sperare che ritornino in tempo, e senza che siano intercettati dai sicari del Santuario. Non possiamo poi pretendere che Markus si unisca a noi ora che ha appena ripreso una vita apparentemente normale; inoltre ha saputo che sia Hyoga che io abbiamo subìto il suo stesso shock, e ne siamo usciti egregiamente da soli... il che l'ha completamente demoralizzato. Così siamo soli. Desolatamente soli. E Lady Isabel sa benissimo che la nostra definitiva sconfitta segnerà anche la fine della sua missione, delle sue speranze e della sua vita. Per lei che crede fermamente nelle parole di Aiolos, l'idea del fallimento è più dolorosa di quella della morte; e questo ci stupisce, perché non la facevamo così determinata. Così, nonostante tutto, cerca ancora di infonderci coraggio, ci dice di sperare, affronta a viso aperto le battute velenose di Seiya, il totale gelo di Crystal, la mia cupa, inerte disperazione. Finché una sera, mentre siamo tutti insieme, sentiamo la voce tonante di Mylock che trapela dal corridoio, evidentemente concitata. "E tu chi sei, straccione?!... Cosa ci fai qui? Come hai fatto ad entrare?!... Esci immediatamente o altrimenti..." Nello stesso tempo percepiamo tutti una potenza cosmica dalla profondità immensa, appena trattenuta. "Oh cavolo!" esclama Seiya balzando fuori dalla sua poltrona. Scatto in piedi anch'io, nell'istante esatto in cui le porte della sala da pranzo si spalancano di colpo e Mylock vola letteralmente per la stanza, schiantandosi con un urlo contro la parete opposta. Per un istante lo stupore ci lascia tutti senza fiato. Poi Kiki corre a rifugiarsi da me, spaventatissimo, e Lady Isabel si alza di scatto per rivolgersi al suo lacchè, che geme semistordito sul pavimento. "Che succede, Mylock?!" "Glielo dico io che succede!" risponde Seiya, mettendosi tra lei e la porta. "Un intruso proveniente dal Mondo Segreto si è bevuto tutti i suoi sistemi di sicurezza ed è qui in questa casa. Ha tanta di quell'energia cosmica da ammazzarci con un sospiro. E lei ha in mano qualcosa che potrebbe interessargli parecchio, per cui sparisca, ed alla svelta!" Lei resta immobile. "No, Seiya. Non me ne vado. Se costui è così potente come dici, non avrei comunque scampo." Si erge con tutta la sua maestà. "E poi i Thule non sono abituati ad arretrare davanti al pericolo!" Lui sorride appena, sardonicamente. "Benissimo, Sua Altezza. Io almeno ci ho provato, a fare il cavaliere fino in fondo! Lo dica pure a suo nonno, quando lo incontrerà tra poco..." "Aspetta, Seiya!" lo interrompo, stupito. "Guarda." Avevo generato quasi automaticamente la mia catena di difesa. Alzo una mano tenendone un tratto come un pendolo. Ed è completamente immobile. "Che significa?" "Che chiunque sia là fuori, non è un nemico," mormoro. "La mia catena non sente alcuna volontà di uccidere." "Ne sei sicuro?". "Non c'è che un modo per saperlo," ribatte Hyoga mettendosi in guardia. Ed esclama a voce alta, in greco antico: "Fatti avanti, chiunque tu sia!" Sentiamo dei passi aritmici, soffocati, e poi alla porta appare una figura bizzarra, in veste tibetana, la testa e le spalle avvolte in un mantello rosso scuro, stivali di feltro ai piedi ed un rosario buddista al collo. "Perdonate questa intrusione," dice in greco, con voce morbida, ed alza le mani col il palmo in alto. "Sono venuto in pace. Mi dispiace aver dovuto allontanare con decisione quel servo, ma mi ha aggredito prima ancora che potessi parlare." "Ti capiamo perfettamente!" sorride nervosamente Seiya, gettando un'occhiata al dolorante Mylock. "Quel servo non ha ancora imparato a tenere le mani a posto. Chi sei?" Lo sconosciuto entra nella stanza, si abbassa il cappuccio e si slaccia il mantello. Seiya fa un passo indietro, ad occhi sbarrati. Non c'è bisogno che ce lo dica, abbiamo riconosciuto anche noi il misterioso personaggio dei suoi sogni! "E' il mio maestro," dice Kiki, inchinandosi profondamente. "E' il Sampadam Daivîm Abhijâtasya, il grande Mur!" "Il Riparatore di Armature," mormora Seiya, guardandolo a occhi sgranati. E' senz'altro un tipo molto singolare: a colpo d'occhio non si capisce se sia un uomo o una donna, tanto perfetto e fine è il suo volto. Ha lisci e smisurati capelli rossi legati con un nastro dorato sulla schiena, ma la sua pelle candida non ha nemmeno un'efelide. I suoi occhi sono grandi, ovali, contornati da un cosmetico scuro, e sulla fronte ha un segno rotondo, come una cicatrice impressa a fuoco. La sua espressione è di una serenità ultraterrena. Non è particolarmente alto o prestante, la sua età è assolutamente indefinibile. Seiya aveva ragione: benché diversissimo da me, in qualche modo, mi somiglia... Lo sguardo di quegli occhi straordinari passa su di lui. "Pegasus," dice, riconoscendolo misteriosamente. "Si, ho riparato la tua armatura. E vedo che ti è stata utile." "Ti aspetti che ti ringrazi?" ribatte Seiya, con impeto. "Hai ucciso un mio amico per questo. Hai chiesto un prezzo salato per il tuo disturbo!" "Seiya!" esclama Lady Isabel, indignata. Ma il misterioso ospite non batte ciglio. "Non l'ho chiesto a te ma a colui che ha violato il mio eremo per la prima volta in molti anni. E lui l'ha accettato con molta saggezza. Ha dato la sua vita in cambio della tua; senza questo sacrificio, sareste morti entrambi e un sacrilegio si sarebbe consumato. Pensi dunque che Dragone abbia scelto la strada sbagliata?" Seiya abbassa la testa, respirando affannosamente. "No," risponde, con voce soffocata. "Ma tanto tutto questo non serve a un tubo. Abbiamo vinto contro Phoenix per poi trovarci addosso il Santuario. Un'armatura riparata non farà molta differenza." Rialza lo sguardo. "Però sono contento di vederti, Mur, perché almeno posso chiederti con che coraggio hai ucciso un essere nobile e altruista come Dragone, solo per ficcare la sua vita nella mia armatura. E vorrei proprio sapere se con la tua faccia paradisiaca non ti senti nemmeno un po' in colpa..." "Per favore, adesso smettila," interviene Hyoga, preoccupato. "Vita e morte sono la stessa cosa," ribatte placidamente Mur, del tutto impermeabile all'amarezza del nostro compagno. "Non ho commesso violenza, ho solo ritirato un tributo liberamente offerto. La tua armatura doveva essere temprata nel veicolo della vita, e cioè il sangue. Ho tagliato le vene a Dragone per prenderglielo..." "Maledetto!" grida Seiya, con gli occhi pieni di lacrime, e con un gesto impulsivo si getta contro di lui. Ma non lo raggiunge, si scontra con una strana barriera immateriale che gli impedisce di avanzare. Io scatto a prenderlo, spaventato ed insieme impietosito da quella reazione, lo stringo tra le braccia rischiando di prendermi un pugno, e grido: "Calmati, Seiya!... Ti prego!" Lui mi guarda negli occhi, ansima, stringe i denti, e grazie a Dio ha abbastanza compassione di me per controllarsi e non farmi del male. Lo lascio e mi volto verso il nuovo arrivato. "Perdona il suo dolore, maestro. Abbiamo tutti perso un amico con Dragone, ma Pegasus... si sente responsabile di questo. Non infierire su di lui, per favore." Quegli occhi profondissimi mi fissano, intensamente. "Chi sei tu, che conosci così bene l'anima altrui?" Mi sento un po' in imbarazzo. "Sono... sono il cavaliere di Andromeda, maestro." Mur non batte ciglio, continua a studiarmi. Poi annuisce, come se avesse capito la soluzione di un enigma. "Povero giovane, mi hai dato l'unica risposta che possiedi... visto che ignori chi sei veramente." Rabbrividisco, involontariamente. E' vero, dopotutto! Ma lui come fa a saperlo? "Finite le presentazioni?" esclama Seiya, "Bene, già che ci siamo, il biondo laggiù è il cavaliere di Cygnus, e la signora qua è la duchessa di Thule. E adesso, macellaio, se hai finito di far domande, rispondi alla mia: che cavolo ci sei venuto a fare qui?" "Sii un po' più cortese, Seiya!" lo rimprovera Lady Isabel. "Si," annuisce Kiki, sconvolto, "Non si parla così al mio maestro, e non è un macellaio!" Un lontano, enigmatico sorriso appare sulle labbra pallide di Mur. "La passione fluisce alta nelle tue vene, Pegasus, ma è comprensibile, anche se non proprio adatta a un Santo di Athena. La tua domanda è legittima. Non temere però, non sono venuto a pretendere nulla. Soltanto a riportarvi... quel che vi appartiene." Alza un dito, espande la sua energia esercitando un favoloso potere telecinetico. E praticamente dal nulla appare un lungo fagotto di stoffa nera, che si posa lentamente sul pavimento in mezzo a noi. Quando è a terra Mur rilascia la sua concentrazione, si china sull'involto e lo apre con le sue dita affusolate, dalle unghie lunghe e pulitissime. E sotto i nostri occhi inorriditi appare il volto assolutamente marmoreo di Shiryu, disteso come se dormisse. "Dragone!" urla Seiya, gettandosi immediatamente in ginocchio accanto a lui. Lo prende febbrilmente per le spalle, lo libera dalla stoffa e gli posa ansiosamente una mano sul petto... Impallidisce come uno straccio, china la testa. "Ecco, ho finito di sperare," mormora, sull'orlo delle lacrime. Non posso guardare il dolore di Seiya senza sentirmi soffocare dal mio, e non riesco a vedere un'altra delle persone a cui tengo ridotta a una statua senza vita... devo girare la testa, sentendomi un nodo alla gola. Lady Isabel emette un sospiro tremante, e dice con voce bassa e triste nel silenzio: "Grazie, maestro, per averci riportato il suo corpo." China lo sguardo, si passa una mano sui capelli. "Qualcuno... dovrà dirlo alla sua fidanzata..." "Io no," geme Seiya, a testa bassa, "Perché è come se l'avessi ucciso con le mie mani." Alza la testa di scatto, con le lacrime che gli brillano negli occhi. "E tutto per colpa del suo dannato torneo, milady! Tutto per colpa sua!" Lei impallidisce, fa per parlare... ma preferisce saggiamente tacere, perché Seiya ha detto solo la verità. "Credete ancora ad un concetto debole come quello della colpa?" dice Mur con dolcezza. "Nemmeno gli dèi possono percorrere tutte le strade della cause, e nessuno, nemmeno il più crudele, può dirsi davvero colpevole. Esiste per ognuno di noi il filo del destino, tessuto dalle Moire, e state sicuri che il filo di Dragone non è ancora spezzato." Sorride appena. "Non potevo lasciar morire un uomo generoso come lui, e togliere così ad Athena un degno guerriero." Seiya alza la testa di scatto, con incredulo stupore. "Che cosa?! Vuoi dire forse che è... ancora vivo?!" Lui scuote la testa. "Non proprio. Dragone è in uno stato di animazione sospesa, a cavallo tra i due stati dell'esistenza. Ho provocato io questo sonno per non rovinare il suo corpo, poiché nell'Ade una forza amica sta già lottando per la sua anima." Ci guarda tutti. "E questa forza che lo protegge è qui, in mezzo a voi." "Di che forza parli?" chiede Seiya, con un filo di voce. Mur alza il suo sguardo senza tempo e risponde, fissando il vuoto: "Una divinità, Pegasus." Per un istante nessuno di noi fiata. Poi, nel silenzio si sente appena la voce di Hyoga, tremante. "Vuoi dire... Athena?!" *** Probabilmente è la prima volta nella nostra vita di cavalieri che il nome di quella dea ha un senso diretto per noi, e non è un semplice richiamo mitologico o etico da seguire. La verità è che siamo pur sempre uomini del nostro tempo, incapaci di una vera fede, anche se solo Ikki ha avuto il coraggio di dichiarare il suo ateismo a voce alta. Eppure non possiamo mettere in dubbio le parole tranquille di Mur, questo misterioso ed affascinante stregone benevolo, che ci parla di divinità e spiriti dell'Ade quando sopra di noi passano aerei e satelliti artificiali. E nonostante le sue mirabolanti abilità, non può salvare Shiryu dall'Ade con le sue sole forze. "Ho fatto il possibile, ma non basta," ci spiega con la sua voce sempre tranquilla e pacata, "Ma per fortuna Dragone è un Santo di Athena, e con l'aiuto della dea possiamo richiamare la sua anima nel corpo." "Hai detto niente!" esclama Seiya, che ha ritrovato un po' della sua baldanza. "E cosa dovremmo fare, in concreto?" Mur lo guarda, con un poco di rimprovero "Se siete davvero sacerdoti di Athena, dovreste saperlo meglio di me." Seiya impallidisce. "Non abbiamo tempo per gli indovinelli, Mur!" Ma io tendo una mano davanti a lui, fissando quell'uomo misterioso. "Non è un indovinello, Seiya. E' una prova." Il mio intervento mi fa meritare un lieve sorriso di approvazione. "Tu hai capito cosa devi fare, giovane cavaliere?" Annuisco. Nemesis mi ha dato una preparazione mistica più profonda di quella dei miei compagni: forse perché era sincera nella sua fede in Athena, e forse anche perché sapeva che da essa dipendevano i miei poteri. "Un sacrificio," mormoro. Mur non mi contraddice. Allora mi guardo intorno, e prendo in fretta il vaso di porcellana che troneggia sulla mensola più vicina. "Fermo!" guaisce Mylock, spaventato, "Quello è un preziosissimo vaso dell'epoca Ming, l'abbiamo comprato da Sotheby's neanche un mese fa..." Lady Isabel alza una mano. "Non importa, Mylock." "Meglio ancora, se è un oggetto di valore," mormoro. "Ma non l'abbiamo nemmeno assicurato!..." piagnucola lui. Poso il vaso sul tavolino, che mi farà da altare. Per un attimo lo guardo, penso con distacco al rito arcaico che mi accingo a compiere, nel cuore di una città modernissima, con un vaso cinese ed un mobile da soggiorno, davanti a un personaggio che sembra uscito da un libro di favole indiane... Eppure da questo rito potrebbe dipendere la vita di Shiryu. Mi concentro, mi copro gli occhi con le mani, poi faccio il gesto rituale della proskinesys ed espando il mio cosmo, mormorando l'antica preghiera sanscrita, la dedicazione dei sacrifici, che mi è stata insegnata dai miei maestri: Istan bhogan hi vo deva Mur sembra conoscerla molto bene, perché risponde alla mia invocazione con le formule del corifeo, nella stessa lingua: Devan bhavayatanena Si mette davanti al tavolino, raccoglie il vaso tra le mani e lo alza davanti a me. Annuisco. Convoglio la mia energia nella mano destra, finché non sento tra le dita la punta triangolare della mia catena d'attacco. Respiro profondamente, conto mentalmente fino a tre... poi la conficco nel mio polso sinistro. "Shun!" esclama Hyoga, facendo un passo avanti. Ma Seiya lo ferma, guardandomi col fiato sospeso. Estraggo la lama dalla ferita: è così affilata che quasi non ho sentito dolore. Il sangue schizza fuori, rosso vivo e pulsante, cogliendomi quasi di sorpresa: devo aver tagliato anche l'arteria radiale insieme alle vene, ma non mi importa, se questo può aiutare un amico. Tengo il braccio dritto in modo che il sangue goccioli dentro il vaso che Mur tiene tra le mani. E intanto prego silenziosamente l'entità che ora sembra così reale e vicina: che faccia rivivere almeno Shiryu, visto che ormai non posso fare più niente per mio fratello! Devo lottare contro un puerile senso di orrore che mi coglie guardando il vaso che si riempie, ma mi faccio forza: chissà cos'ha provato Shiryu che si è lasciato consapevolmente dissanguare a morte! Capisco che il problema maggiore per me è impedire alla mia energia naturale di fermare il flusso del sangue: la devo controllare alla perfezione, ed è sempre più difficile man mano che mi indebolisco... "Basta," mormora Mur all'improvviso. Allunga una mano e afferra il mio polso sanguinante. Sento la sua energia penetrare nella mia carne, e trasalisco. E' una sensazione che assomiglia a un bruciore sordo, mentre il mio senso cosmico trema di autentica paura davanti a qualcosa di molto più grande di lui. Il tutto dura forse un minuto, dopodiché lui lascia andare il mio braccio. Me lo guardo. E' ancora tutto sporco di sangue che si sta seccando, ma la ferita... non c'è più! Mentre sono ancora lì esterrefatto a guardarmi il polso, Mur passa ai miei compagni, che ormai hanno capito cosa devono fare. Hyoga forgia una lama di ghiaccio per tagliarsi le vene, offrendo anche il suo sangue; ma Mur non ne pretende quanto ne ha tolto a me. Passa a Seiya, che fa volentieri la sua offerta. Il vaso è quasi interamente pieno. Ma quando il misterioso maestro ha finito di saldare magicamente anche la sua ferita, si volta verso Lady Isabel, e con nostro sommo stupore tende il vaso anche davanti a lei. "Ehi, che significa tutto questo?!" tuona Mylock balzando in avanti. "Non oserai..." Non riesce a finire la frase, una forza irresistibile lo spinge seduto su una poltrona, tenendolo inchiodato lì nonostante tutti i suoi tentativi di liberarsi. Per tutto il tempo lo sguardo di Mur non ha mai lasciato gli occhi di milady. Lei impallidisce, ma non perde la sua solenne maestà e dice, con voce ferma: "Forse lo ignori, maestro, ma io non sono una sacerdotessa di Athena." "E' vero!" esclama Seiya, "Lei che diavolo c'entra?" "Non ti chiedo molto, fanciulla," dice Mur, ignorando quella domanda. "Solo qualche goccia del tuo sangue, per salvare la vita di un uomo che combatte per te." "Dovrei dunque partecipare anch'io al sacrificio?" "Si." Lei respira profondamente, guarda il corpo inerte di Shiryu e risponde: "Se Pegasus ha ragione, sono responsabile di questa situazione... e se tu ritieni che possa porvi rimedio, Mur, lo farò ben volentieri. Prendi pure da me quel che ti serve." Si toglie il guantino di filo e tende a Mur la sua manina delicata. "No!" urla Mylock, dibattendosi, "Milady! E' pazza?!" Mur alza un dito, e sfiora appena il suo polso. Una ferita si apre immediatamente, come se lui avesse adoperato un bisturi. Lei impallidisce spaventosamente, ma lotta ammirevolmente per non perdere la calma. "L'ha tagliata! Ha osato farla sanguinare!" sbraita Mylock, angosciatissimo. "E non si sa nemmeno se quello stregone si è disinfettato le mani... Accidenti!... Crystal, Pegasus, Andromeda! Che diavolo aspettate? Salvate milady da quel pazzo!" Nessuno lo degna di un'occhiata, tantomeno Lady Isabel, che fissa quasi affascinata il sangue che scende pigramente nel vaso. Poi Mur, con molta gentilezza, risana anche la sua ferita. Lei emette un sospiro tremante e si lascia cadere sulla poltrona, evidentemente scossa. Mylock scopre all'improvviso di essere libero, e si precipita verso di lei. "Povera milady! Santo cielo, sta male?!" "Solo un poco di debolezza," spiega Mur a voce bassa, quasi con tenerezza. "E' una fanciulla molto coraggiosa, ma è solo una fanciulla... per adesso." Alza la testa. "Ed ora, per favore, lasciatemi solo con Dragone. Che nessuno mi disturbi. Mi avete dato il prezzo per gli dèi, ed ora... non vi resta che pregare." *** Lente scorrono le ore della notte. Aspettiamo in silenzio nella sala accanto, pregando, sperando, facendoci domande a cui sembra folle anche solo trovare una risposta. A un certo punto io perdo il senso del tempo e cado in una specie di stato di trance, del quale non ricordo assolutamente nulla. Riprendo coscienza di me soltanto all'alba, quando finalmente le porte della stanza si aprono di nuovo ed esce Mur, con il suo mantello tibetano sulle spalle, gli occhi sereni e stanchi. E tiene tra le braccia il corpo di Shiryu! Per un lungo istante nessuno di noi osa fiatare. Ma poi vediamo il torace del nostro amico che si alza e si abbassa ritmicamente... "Ce l'hai fatta!..." mormora Seiya, quasi incredulo. Mur annuisce appena, con un sottile sorriso. "Si. E grazie soprattutto a voi," aggiunge modestamente, e posa gentilmente a terra il suo fardello. Nella stanza esplode un urlo selvaggio. E' quello di Seiya, che accorre dal nostro amico ancora esanime e lo abbraccia festosamente, in lacrime, pieno di sollievo. Hyoga si unisce a lui, permettendosi finalmente di sorridere, mentre Kiki salta di gioia e Mylock si batte la mano sulla coscia, in un controllatissimo gesto di soddisfazione. All'esultanza generale manca solo lady Isabel, che si è già ritirata da un pezzo. Mentre siamo tutti attorno a Shiryu, emozionati, guardando ancora stupefatti i segni della sua ritrovata vitalità, quasi ci dimentichiamo di Mur. Ma lui non sembra prendersela, capisce forse quel che proviamo. E' quasi con riluttanza che si decide a interromperci per dirci, con la sua solita voce tranquilla: "Ascoltate le mie parole, cavalieri." Alziamo tutti lo sguardo su di lui. "Ricordate che il vostro dovere è verso Athena e nessun altro," ci dice, fissandoci con quegli occhi così profondi. "Sappiate che avete con voi una parte dell'armatura più potente del cielo, e che le forze oscure desiderano la sua distruzione. Se questo accadrà sarà un disastro, perché io non potrei costruire un'armatura simile in questa vita... e nella prossima sarà troppo tardi. Difendete dunque quell'armatura con tutte le vostre forze: questa è la mia preghiera ed il prezzo che mi permetto di chiedervi in cambio dei miei servigi." "Lo faremo di certo," dice Hyoga per tutti, rialzandosi. Però aggiunge cupamente: "Ma con quale speranza? Chiedi a quattro cavalieri di bronzo di combattere contro il volere dell'intero Santuario..." Mur scuote lievemente la testa, con un lieve sorriso. "Nessuna armatura ha una gerarchia prestabilita, Cygnus: il vostro potere dipende soltanto dal vostro cosmo, non dimenticatelo. E non abbiate paura di essere soli, perché non è così. In quanto al Santuario..." Una lieve alzata di spalle, "Il suo potere non è infinito. Perciò temetelo pure, ma non troppo." Si allontana appena, china un istante lo sguardo. "Un'ultima cosa desidero che sappiate. E' la prima volta in sedici anni che esco dal mio eremo sulle montagne del Pamir. E c'è voluto un uomo come Dragone per riuscire in quest'impresa. Per questo troverete in quella stanza il mio dono per lui." Rialza la testa. "La lunga notte sta per finire, e lui è stato l'alba. Voi siete suoi degni compagni, e la vostra causa è giusta." Unisce le mani davanti al petto. "Nike sia con voi." "Aspetta!" esclama Seiya, "Non abbiamo ancora..." Ma parla al vuoto, perché incredibilmente Mur è scomparso nel nulla. E nemmeno con i miei sensi raffinati percepisco più la sua presenza. "E'... andato via!" mormoro, stupito. "Ma come ha fatto?!" si chiede Hyoga, altrettanto sorpreso. "Grandissimi dèi!" urla Kiki, che è corso subito nell'altra stanza, "Venite a vedere!..." Lo raggiungiamo immediatamente, e restiamo senza fiato. "Santo cielo, ma è... l'armatura del Dragone!" esclama Seiya, vedendo la bellissima, scintillante panoplia in mezzo allo scrigno aperto di Shiryu. "E sembra... nuova!" mormora Hyoga, sbalordito. "Non capite?!" grida Kiki, "Non sembra nuova... lo è!" La guarda, ad occhi spalancati. "La vecchia armatura di Dragone era morta, non si poteva riparare..." "E questo allora cosa significa?" Kiki sospira profondamente. "Significa che il grande Mur si è deciso a fare ciò che non faceva più da tanti anni... un miracolo. L'ha completamente ricostruita!" *** La convalescenza di Shiryu è rapidissima, quasi esaltante. Il giorno dopo è già in grado di scendere dal letto da solo. E dopo due giorni è già a passeggiare in giardino, ancora un poco debole, ma con un buon colore in viso e un appetito da lupo. E' taciturno, quasi più stupito di noi tutti a ritrovarsi vivo, e per di più con una nuova armatura più bella che mai. Seiya viene a trovarlo spessissimo, ormai si sente unito a lui da un legame che trascende la normale amicizia, qualcosa che Shiryu ha forgiato dando il suo spirito alla sua armatura. Gli racconta quel che è successo al Suizhan, la conclusione drammatica della guerra contro Phoenix, la morte eroica di mio fratello. Shiryu annuisce: aveva avuto delle strane visioni durante il suo sonno sul filo della morte, aveva percepito probabilmente le emozioni di Seiya attraverso il loro legame cosmico. Lady Isabel ci viene a trovare mentre siamo nel giardino del Saint George. E' apparentemente ristabilita e sorridente. Seiya stavolta non la accoglie con le solite battute velenose, ma con un po' più di rispetto. Comunque lei sembra indifferente alla nostra gratitudine, nonostante il suo inaspettato atto di altruismo nei nostri confronti; ma in fin dei conti ha bisogno anche di Shiryu per i suoi scopi, un cavaliere val bene un po' di sangue. Lo saluta e si informa delle sue condizioni, poi se ne va, pressata dai suoi soliti impegni mondani. Io resto in disparte, a dondolarmi sull'altalena in giardino, estraneo a quell'atmosfera di rinnovata speranza. Guardo quel luogo che ho condiviso con mio fratello, alla ricerca di tutti i miei ricordi di lui, tutti i miei desideri che se ne sono andati per sempre. Mai più potrò sentire la sua voce profonda, calda, il suo abbraccio così confortante. Mai più potrò guardare in quegli occhi da falco, orgogliosi, ribelli. Ormai Ikki è per sempre laggiù, sul Suizhan, sepolto nelle viscere della montagna, e non tornerà mai più da me. A un certo punto sento una presenza alle mie spalle. E' Shiryu, che resta in dignitoso silenzio per un lungo istante. Poi mi dice, a voce bassa: "Shun, vorrei che tu sapessi... che mi dispiace molto per tuo fratello." Smetto di dondolarmi. "Ti ringrazio," mormoro senza voltarmi. Non piango nemmeno, non ho più lacrime da versare, sono una scorza vuota e secca. "Immagino quel che provi," continua lui, "E se c'è qualcosa che possa aiutarti..." "Ma non c'è," lo interrompo, amaramente. "A differenza di te, Ikki non avrà un grande Mur che lo salvi. Ikki non ha mai avuto niente dalla vita, solo odio e dolore, nemici e violenza. E nessuno l'ha mai capito, nessuno ha mai avuto pietà di lui." Mi rendo conto all'improvviso di aver detto una cosa cattiva, di aver in pratica accusato Shiryu di essere ancora vivo. So che lui potrebbe farmi vergognare con una parola, ma non lo fa. Capisce il dolore che mi stravolge l'anima, e mi perdona. Mi mette una mano sulla spalla e mi dice, con voce triste: "Ho avuto paura di tuo fratello. Forse non l'ho mai capito, come dici tu. Ma ti assicuro che non l'ho mai odiato." Sospira. "Ricorda comunque che noi tutti siamo tuoi amici. So che è poco per aiutarti, ma è tutto quel che possiamo offrirti." Mi lascia senza aspettare una risposta da me. Resto solo per chissà quanto tempo. Un cameriere mi invita ad andare a tavola, ma non ho fame, preferisco restare lì. Mi stanco dell'altalena e vado a sedermi su una panchina, totalmente indifferente all'aria frizzante, alla spoglia bellezza del giardino, alla danza delle ultime foglie nel vento. Ad un certo punto Hyoga mi si avvicina, si siede sulla panchina assieme a me. "Vuoi farmi compagnia, Shun?" "Mi sembra che sia tu a voler fare compagnia a me," gli rispondo, senza neanche guardarlo, con una freddezza che stupisce persino me. Hyoga annuisce, con un accenno di sorriso. "E vorresti dirmi che non mi hai chiesto niente del genere. Capisco." "So che volete tutti aiutarmi," sospiro. "Sono scortese con voi, ma non lo faccio apposta. E' solo... che desidero essere lasciato in pace..." "Per far cosa, Shun? Per guardare il vuoto come hai fatto finora? Per sedere su questa panchina per sempre, e pensare a come potresti far tornare indietro il tempo?" "Non sono problemi che ti riguardino," dico, seccamente. "Non ho chiesto l'aiuto di nessuno... e men che meno il tuo, Hyoga!" Mi volto verso di lui, con rabbia. "Saresti stato l'assassino di mio fratello, se solo io non te l'avessi impedito!" Lui sostiene il mio sguardo senza battere ciglio. "E' per questo che non merito di essere ascoltato? Oppure non sai a chi dare la colpa della morte di Ikki, e ti sfoghi su di me perché sono a portata di mano?" Mi sento arrossire lievemente, chino lo sguardo. Ha ragione, naturalmente... Lui allunga una mano e me la posa sulla spalla, mi parla con dolcezza. "Non dirmi che i tuoi problemi non mi riguardano, perché sai benissimo che non è vero. Hai dimenticato che forse sono anch'io tuo fratello?" Rialzo lo sguardo di scatto, fisso smarrito i suoi occhi di ghiaccio. E' vero, Hyoga è ben più di un occasionale compagno di lotta ... e quel forse che pesa sulla nostra fratellanza non serve senz'altro a mantenere le distanze. E' vero che non ci somigliamo molto, lui è più alto, più biondo, ha gli occhi azzurri, i suoi capelli sono lisci, il suo corpo è più atletico e virile... ma che importa, non ho chiamato fratello qualcuno che mi assomigliava molto meno di lui? E come spiegare quella nostra strana affinità fin dai giorni della scuola, il fatto che fosse l'unico, assieme a Shiryu e naturalmente Ikki, a non farsi beffe della mia debolezza, a non prendermi mai in giro? Lui mi lascia, si appoggia nuovamente allo schienale della panchina con un sospiro. "E' vero, ho commesso degli sbagli, e non ho certo bisogno di te per saperlo." Sorride, amaramente. "Ero così sicuro del mio ruolo, della mia ragione... per me l'universo era semplice, lineare, bene e male erano tracciati con una riga netta. Ma ci ha pensato Phoenix a sbattermi in faccia le mie illusioni. Quando ci siamo battuti ha sbranato la mia anima, mi ha accusato di essere vigliacco, di non aver il coraggio di guardare dentro a me stesso. L'ho odiato tanto, Shun... ma aveva ragione! E con la sua Illusione Diabolica, probabilmente, mi ha aiutato a diventare un uomo migliore di quel che ero. Sono stato un suo nemico mortale, ma lui stesso non mi aveva lasciato scelta. E sappi che lo rispetto più di quanto tu possa mai immaginare... e che mi dispiace sinceramente che sia morto." "Morto," ripeto con un filo di voce, fissando il vuoto e rivivendo per l'ennesima volta quel ricordo atroce. "Sapevi che intendeva sacrificarsi per noi. Per questo ti aveva parlato in russo: non voleva che io lo capissi troppo presto. E tu... non hai nemmeno tentato di fermarlo..." "Come potevo? Non me ne ha dato il tempo!" ribatte lui, e scuote la testa. "E poi mi dispiace, Shun, ma per quanto sia crudele dirlo, non avrebbe avuto senso fermarlo. Ikki ha fatto l'unica cosa giusta che gli restasse da fare. Come avremmo potuto batterci contro Docrates, nelle nostre condizioni, stanchi e feriti come eravamo? Saremmo stati tutti uccisi, lui compreso, ed avremmo perso totalmente l'armatura! Ikki sapeva di essere comunque condannato, ed allora ha preferito scambiare la sua vita per la sconfitta dei suoi nemici... per la nostra vita... e soprattutto per la tua." Di nuovo sento la sua mano sulla mia spalla. Lo guardo, vedo il suo lontano, triste sorriso. "Ti voleva salvare perché in un certo senso tu sei la sua immortalità. Voleva che tu vivessi quella vita che a lui era stata negata. So che è una miserabile consolazione al tuo dolore, ma credimi, non c'è morte più serena di quella di chi si offre per la vita di una persona amata." China la testa, "Io ne sono convinto, e questo mi consola al pensiero di mia madre, che è morta allo stesso modo." Di nuovo mi guarda. "Non ne sei convinto anche tu, Shun? Non avresti fatto lo stesso per lui, e con gioia?" "Si," ammetto, con voce soffocata. "Ma sapere tutto questo non mi rende meno penoso il suo ricordo, ed il pensiero di quel che avrebbe potuto essere di noi... se avessimo potuto coronare il nostro sogno, per solo qualche istante in più di un abbraccio fugace nel mezzo di una battaglia..." Mi sento un nodo in gola, non riesco più a proseguire. "Lo so, Shun. Il problema non è più Ikki. Sei tu, il sopravvissuto, colui che deve affrontare la parte più dura di tutto questo... come l'ho affrontata io tanto tempo fa, quando non volevo accettare la morte di mia madre, quando avrei dato tutto per restituirle quella vita che mi aveva regalato. Ma ormai per te e per me è troppo tardi. Dobbiamo rispettare il desiderio di chi è morto per noi, dobbiamo reagire e vivere, respirare e combattere anche per loro." Si alza e mi viene davanti, posando anche l'altra mano sulla mia spalla e costringendomi ad alzare la testa. "So di essere la persona meno indicata per poter dare morale al prossimo; ma è a me che Ikki ti ha affidato, prima di morire. Mi ha stupito questa sua fiducia, dopo che per tutta la nostra battaglia mi aveva solo disprezzato, trattato come un perdente, un fallito. Ma sapeva che ti volevo bene, e forse sperava... che avrei potuto davvero essere per te un altro fratello." "Non puoi sostituirlo, Hyoga," mormoro con le lacrime agli occhi. "Questo lo so bene. Ma ti prego, concedimi comunque di starti vicino: se non altro, perché abbiamo tutti e due questa terribile esperienza in comune. Ti chiedo di non respingermi, perché se tu sei solo... non hai idea di quanto sia solo io." China lo sguardo. "Ti ripeto la domanda che ti ho fatto all'inizio. Vuoi farmi compagnia, Shun?" Hyoga mi vuole dare un motivo per uscire dal mio dolore. Sa che non abbandonerò un altro fratello al suo destino. "Si." E così ricomincio a vivere. *** Nei giorni successivi riesco a recuperare un poco del mio equilibrio interiore, grazie anche a Seiya. La pressione degli eventi è notevole su di noi, ci aspettiamo prima o poi un attacco, ma lui trova comunque il modo di trascinarmi all'orfanotrofio della Fondazione, il suo luogo preferito dove dimenticare i problemi del Mondo Segreto. Là i bambini lo amano alla follia, sperano sempre che venga a trovare Lamia, in modo da poterlo sequestrare e giocare con lui. Lo chiamano Pegasus perché sanno che ha partecipato al torneo: anzi, Lamia mi confida che tutto l'orfanotrofio é in pratica un suo fan-club. I bambini non si sono persi un solo incontro alla televisione, li hanno seguiti tutti con passione assoluta, tifando naturalmente per Seiya. Lamia mi racconta delle lacrime di tutti alla vista delle sue ferite dopo il duello contro Shiryu, che pertanto non sarebbe certo il benvenuto qui dentro! Invano Seiya ha poi cercato di consolarli spiegando che quel torneo era solo una specie di recita, e che nessuno si è fatto male sul serio: i bambini naturalmente non gli hanno creduto. Per loro i cavalieri esistono davvero, e le assistenti non si sognano di smentirli non più di quanto smentirebbero l'esistenza di Babbo Natale. Seiya si lascia volentieri martirizzare dai bambini più esuberanti, è molto affettuoso con loro, ha un vero talento per divertirli. Forse è anche il richiamo del suo passato: viene da una famiglia del più basso proletariato di Tokyo, numerosa e poverissima, che si disintegrò alla morte dell'unico genitore rimasto. Egli fu messo con la sorella maggiore in un orfanotrofio più decente del mio, un'istituzione religiosa; poi fu trasferito in un altro istituto patrocinato dalla Fondazione Thule, dove visse un'infanzia abbastanza serena tra bambini della sua stessa estrazione sociale. Infine Alman di Thule lo venne a prendere, separandolo piuttosto duramente dalla sorella, ed infliggendogli così il primo di una lunga lista di dolori. Per Seiya dunque tornare tra i bambini vuol dire tornare al periodo più spensierato della sua vita; può capirli molto bene perché è stato esattamente come loro. Io non ho la sua esuberanza, così non so proprio cosa fare laggiù. Ma scopro che mi sono rimasti dei desideri insoddisfatti dalla mia infanzia: per esempio, disegnare figure su grandi fogli di carta, o divertirmi con l'origami, un'arte in cui ero molto bravo fin da piccolissimo. Lamia mi capisce al volo e mi porta in un luogo che da bambino avrei definito il paradiso: una veranda con tutto il necessario per i piccoli artisti. E mi scopro a passare il tempo così, a fare animaletti di carta e disegnare grandi fiori; e pian piano i bambini mi circondano, mi studiano, mi chiedono le mie creazioni, mi pregano di spiegar loro la mia magia, provano a piegare fogli di carta, scarabocchiano intorno a me. Stranamente non riconoscono in me il cavaliere di Andromeda (sembra proprio che senza armatura io abbia un aspetto davvero miserabile!); i miei capelli lunghi ed i miei lineamenti li disorientano, così mi sento rivolgere da loro la solita, eterna domanda: sono un maschio o una femmina? Le bambine mi chiedono se possono pettinarmi e cominciano a farmi un sacco di trecce, mentre i bambini vogliono che faccia veder loro come si fa a far scattare le gambe della mia rana di carta... La semplice gioia di quei piccoli chiama qualcosa di fondamentale in me, le loro risate e i loro discorsi mi scaldano il cuore. Capisco la saggezza di Seiya che cerca la loro compagnia: il Mondo Segreto è davvero molto lontano da qui, e anche lo spettro della morte... possono anche essere i miei ultimi momenti su questa terra, ma quale maniera migliore di trascorrerli, visto che non posso più viverli assieme a mio fratello? "Accidenti, non ti porto più!" mi dice poi Seiya prima di andarsene, con finta acrimonia. "Fai tutto il timido e il riservato, e poi mi porti via la metà dei miei compagni di giochi, e devo vedere le bambine che piagnucolano e ti baciano implorandoti di tornare!" Da quel giorno cerco di passare almeno un'oretta all'orfanotrofio, cercando di essere felice della felicità altrui, senza per questo dimenticare Ikki. Hyoga non mi lascia solo, e mi viene a prendere con l'assiduità di un giudizioso fratello maggiore, che sorveglia il minore perché non faccia delle sciocchezze: un po' mi secca quell'atteggiamento, un po' mi intenerisce. Lui non ama molto i bambini, è troppo serio e compassato e mette loro soggezione, però probabilmente ha trovato qualcosa di più interessante di loro all'orfanotrofio: infatti noto spesso nei suoi paraggi una delle assistenti, una bella ragazza bionda che si chiama Daisy, la quale sembra proprio essersi presa una cotta fulminante per lui. Questo non mi stupisce affatto, perché Hyoga ha la pallida bellezza del classico tipo slavo, condita con una gelida, fascinosa alterezza che lo fa assomigliare incredibilmente ad Alman di Thule (e per quanto dica il contrario, si vede che lui si sente suo figlio, che sia vero o no). Comunque non lo vedo mai indulgere in atteggiamenti diversi da una compassata cortesia, tantopiù che mi chiedo se sia consapevole di aver infranto il cuore di una povera ragazza. Sembra voler mettere in chiaro a tutti che solo io ho diritto ad un poco della sua attenzione, e che per il resto dell'umanità lui è e rimane il freddissimo Crystal. Mi impone tutti i giorni di andare con lui nella vecchia palestra, per una seduta giornaliera di esercizi: dice che devo aver cura del mio fisico, che non devo lasciarmi andare. Là troviamo sempre Shiryu che si allena, in eterna compagnia di Kiki. Quello strano bambino è rimasto al Saint George, affermando che questa era la volontà del suo maestro, anche se nessuno di noi capisce come faccia a esserne così sicuro; d'altra parte è vero che Mur avrebbe potuto tranquillamente portarsi via il suo discepolo, e non l'ha fatto. La cosa non dispiace assolutamente al nostro piccolo ospite, che si trova molto bene con noi. Per Shiryu poi ha un'ammirazione sconfinata, germogliata probabilmente nel Pamir; per questo cerca di stargli vicino più che può, salvo qualche rara volta in cui si lascia trascinare da Seiya all'orfanotrofio, dove impara a giocare a calcio assieme agli altri bambini. Mylock si infuria quando viene a sapere di questo - per lui Kiki non è un bambino normale, ma una specie di mostro da tenere rinchiuso in gabbia - ma Seiya saggiamente gli ride in faccia, e fa sempre e comunque quel che gli pare. *** Arriva la neve, puntuale come sempre a Nuova Luxor: larghi fiocchi fitti che cadono da un cielo bianco, fin dal mezzogiorno. E quella sera Lady Isabel ci manda a dire che è impegnata e che non può venire a trovarci. Seiya impreca e chiede l'auto di servizio. "Sua Maestà poteva dirlo anche prima, no? Se non viene non starò qui un minuto di più. Finché posso godermi la mia tana ed una vita quasi normale, porca miseria, lo farò!" Indica Kiki con il pollice. "In caso di bisogno mandate questo tipetto a prendermi: con i suoi poteri è più efficiente di tutte le modernità di milady!" "Non sono uno sherpa, io," replica il bambino, alzando il mento. "Suvvia, Kiki," lo rimprovera bonariamente Shiryu, "Hai sentito il grande Mur, no? Noi cavalieri dobbiamo proteggere l'armatura d'oro. E se puoi aiutarci lui sarà senz'altro molto fiero di te." "Se lo dici tu, Dragone..." "Cavolo, come nevica," borbotta Seiya guardando fuori dalla finestra, mentre si infila il giubbotto. "Mi conviene prendere la sotterranea, o non arriverò più a casa. Beh, buonanotte a tutti, ragazzi. Ci vediamo domani." Anche Shiryu decide di ritirarsi, e Kiki gli va dietro. Io e Hyoga restiamo soli, in quella sala così vuota e un po' triste, dove il fuoco nel camino sembra chiamare inutilmente tutti coloro che sono assenti, per non bruciare invano. E quell'atmosfera silenziosa mi spinge nel regno dei miei dolci, malinconici ricordi, quando gli assenti erano lì, quando il fuoco riscaldava tutti gli allievi della Scuola Speciale Saint George, nelle bianche giornate come questa... Mi rivedo bambino, mentre esco su quel prato che si vede ancora dalla finestra, per giocare con la neve appena caduta. Ikki è sempre accanto a me e mi fissa con un mezzo sorriso, le mani ben affondate nelle tasche della sua giacca a vento. Io rido e gli tiro manciate di neve, e lui si limita a voltare la faccia, senza schivarle, come un dignitoso adulto che non si immischia nei giochi di un bimbo. Però quando arriviamo accanto a un albero lui dà un calcio improvviso al tronco e si ritrae, ed una cascata di neve mi arriva addosso quasi seppellendomi. Lui si mette a ridere fragorosamente, mentre io gli giuro vendetta. Cerco di fare la più grossa palla di neve che sia possibile per tirargliela, ma devo smettere perché sento un dolore acuto alle dita nude, come se qualcuno me le avesse martellate. Ikki se ne accorge e mi rimprovera perché ho lasciato i guanti in camera, poi si apre la giacca a vento, mi prende le mani e se le infila sotto la maglia, a contatto con la sua pelle, senza battere ciglio. Alzo gli occhi a lui con tutta la mia gratitudine e ammirazione: nessuno al mondo può avere un fratello così! Vorrei tanto abbracciarlo e stringerlo a me, ma lui mi ha proibito simili effusioni in pubblico. Allora mi trattengo e sorrido soltanto, dicendogli con gli occhi quel che non ho parole per dirgli. E lui sorride a sua volta, mi scompiglia i capelli bagnati e mi dice che è meglio tornare dentro, prima che mi prenda un accidente... "Mi hai sentito, Shun?" Trasalisco. Alzo la testa e vedo Hyoga che mi sta guardando, in piedi davanti a me, a braccia incrociate. "Scusami," mormoro, confuso. "Hai detto qualcosa?" Lui sospira, sorride comprensivo. "Ti avevo chiesto se volevi venire nella mia stanza. Vorrei mostrarti qualcosa." "Volentieri," rispondo, alzandomi. Lo seguo attraverso i corridoi semibui, tappezzati di moquette che soffoca il rumore dei nostri passi. Lui arriva alla sua porta, la apre e mi invita ad entrare, accendendo le luci. Mi rendo conto che è la prima volta in assoluto che vado nella stanza di qualcun altro, al Saint George: era una cosa assolutamente proibita al tempo della scuola, ed ora ho troppo rispetto della privacy altrui per permettermi da solo una simile invadenza. La stanza di Hyoga è più o meno uguale alla mia come spazio e arredamento, ma il suo occupante ha cambiato di posto alcuni mobili ed ha riempito le pareti di disegni, riproduzioni di antichi dipinti e di icone russe tutte dorate. I suoi oggetti personali sono disposti in un ordine perfetto, il che mi fa arrossire al pensiero del disordine della mia stanza. Su un tavolino accanto alla finestra riposa lo scrigno del Cigno, con la sua figura ad ali spiegate, il lungo collo che punta verso l'alto. Hyoga infila immediatamente un minidisco in un piccolo impianto stereo. Sento della musica classica diffondersi a basso volume, riconosco il tema di un balletto. Vedo su una parete una locandina incorniciata, un vetusto pezzo di carta con la sagoma di due danzatori, pieno di caratteri cirillici che mi sono familiari da quando studiavo il greco. Riconosco così la parola Bol'šoji, ma il resto non lo capisco, è scritto in russo. C'è un nome accuratamente evidenziato da una sottolineatura rossa, in mezzo a tanti altri: Natassjia K. Maja'djeva, la madre di Hyoga. Non era una prima ballerina, dunque. Mi chiedo con distacco come abbia fatto Alman di Thule a conoscerla... Volto la testa. Non credo che Hyoga gradirebbe che gli facessi quella domanda. Non mi dispiace l'atmosfera di quella stanza, è più calda di quanto immaginassi. Quella musica sussurrante, e tutti quei quadri appesi alle pareti rendono vivo l'ambiente, ma nello stesso tempo gli danno un'aria adulta, da grandi: non una concessione alla spensieratezza di un ragazzo, anche se dopotutto Hyoga ha solo vent'anni. Guardo i disegni. Sono tutti fatti dalla stessa mano, acquerelli leggerissimi che a prima vista sembrano astratti. Ma poi, studiandoli meglio, scopro che sono dei paesaggi tracciati con linee essenziali, quasi solo impressioni di essi: linee orizzontali, vuote vastità senza particolari, che mi fanno sentire triste e solitario. "Ti piacciono i miei disegni?" mi chiede Hyoga, notando il mio interesse. Mi volto a guardarlo, stupito. "Che cosa? Li hai fatti tu?!" "Si, in un momento di nostalgia," ammette lui con modesta riluttanza. "Non sono un pittore, volevo solo fermare i miei ricordi." Non avrei mai pensato che il gelido Crystal fosse anche un artista! Torno a guardare quei disegni e scopro che è stato bravissimo. Pochi colpi di pennello rivelano così tanto di lui, del posto dov'è nato e vissuto, e della terra in cui si è addestrato. "Non mi avevi mai detto che dipingevi dei quadri," mormoro. "Non abbiamo avuto molto tempo per parlare di noi, da quando ci siamo ritrovati nello stadio." Sorride appena, con la sua solita malinconia. "Penso che ormai dovresti sapere chi sono al di fuori della mia armatura. Per questo ti ho invitato qui. Non devo avere segreti con te." Sospira, "Così come non ne avevo con Ikki, ma per ben altra ragione..." Capisco a cosa allude. Ho sperimentato come lui l'Illusione Diabolica di Phoenix. La sensazione che si prova dopo è quella di essere stati violentati, di non aver più niente di privato, di segreto. "Non voglio che ti confidi controvoglia con me," gli rispondo, "Non hai bisogno di farlo. Ikki è morto, ormai, ed io... molto probabilmente non sono nemmeno tuo fratello." "Forse," annuisce lui, "Ma non mi importa." Mi guarda negli occhi, quasi con una luce disperata. "Ho bisogno di te, Shun, forse molto più di quanto tu abbia bisogno di me." Mi sento arrossire un po' a tanta intensità da parte sua. "Non so come potrei esserti utile," gli dico, "ma se posso fare qualcosa per te, la farò ben volentieri. In fin dei conti ti ho sempre voluto bene... anche se sono stato ad un passo dal battermi con te!" Lui china appena la testa. "Non credo che sarei riuscito a farti davvero del male. Sai, quando Ikki ci ha colpiti tutti con le sue Ali della Fenice, ho pensato soltanto che non dovevi morire... il mio primo pensiero è stato per te, non per me stesso, né per gli altri miei compagni o per l'armatura d'oro." Lo guardo, stupito da quella confessione. "Perché?" Esita a lungo prima di rispondere, ed alla fine ammette con un sospiro: "Non lo so. In fin dei conti non ho mai avuto un fratello. E me ne dispiace." Si siede sul letto, che cede appena sotto il suo peso, e incrocia le gambe fissando il vuoto. "Sapessi quanto ho invidiato Ikki! Almeno lui sapeva sempre che qualcuno al mondo gli avrebbe voluto bene. Persino quando sembrava che tutto in lui fosse diventato solo malvagità... in qualche angolo della sua anima resisteva questa consapevolezza, e questa gli ha dato la forza di riscattarsi." Mi siedo davanti a lui, per terra, e gli chiedo: "Vuoi dire che non ti senti amato anche tu, che ti senti solo?... Ma sei cristiano, e dici sempre di credere alla presenza di tua madre accanto a te..." Lui sospira pesantemente. "Non è poi così facile essere cristiani e cavalieri di Athena nello stesso tempo. E poi il mio è un bisogno molto più banale, qualcosa che lo spirito non può soddisfare. Anche se so che mia madre è morta, vorrei lo stesso poterla abbracciare... rivederla, toccarla di nuovo, essere con lei! E non ho mai provato questo desiderio maledetto come adesso, ora che Ikki mi ha mostrato la... spaventosa distruzione del suo corpo..." La sua voce trema ancora di un orrore che lo fa rabbrividire. "Mi ha accusato di essere innamorato di lei," continua, con tono più basso. "E' vero, ma come avrei potuto evitarlo? Era una donna così ammirevole! Mi ha voluto a tutti i costi, rovinando la sua carriera di danzatrice. Quando è rimasta incinta ha passato tremendi momenti: sai, noi russi dovremmo essere gente ancora segnata dal materialismo sovietico, ma non è così... siamo molto più perbenisti di quanto si creda. Mia madre... beh, diciamo che era bersaglio di pettegolezzi non molto simpatici." Mi guarda, come per vedere se ho capito a cosa allude. Annuisco appena: purtroppo so già abbastanza della vita per capirlo. Lui distoglie lo sguardo e continua: "Alla fine è andata a darmi alla luce nel suo villaggio natale, un povero e desolato agglomerato di case nel nordest della Siberia, uno di quei classici posti da esiliati politici, per intenderci." Il suo sguardo passa ai disegni, la sua voce diventa quasi sognante. "Eppure quello è stato il periodo più bello della mia vita. Laggiù passavo ogni momento con lei. Nel mio universo c'era solo lei. Non avevo coetanei con cui giocare, amici, parenti. Avevo solo lei, la mia bellissima mamma, malinconica, forte e saggia. In quel vuoto dove la vita era così dura, io ero felice perché non mi mancava niente. Avevo Dio fuori dalla porta di casa, e mia madre dentro." Sospira. "Si, io... l'amavo. E tu puoi capirmi benissimo, Shun, perché in un certo senso... anche tu eri innamorato di tuo fratello Ikki." Mi guarda con aria di scusa, come se temesse di avermi scioccato. Ma non vedo il perché: ha detto la pura e semplice verità. Sostengo il suo sguardo e rispondo, con dolcezza: "Certo che ti capisco, Hyoga. E non vedo nulla di male in questo amore. Era naturale che tu amassi tua madre, come io ho amato mio fratello. Chi si aspetterebbe il contrario?" Lui sbuffa, impazientemente. "Possibile che tu non capisca che ci sono diversi tipi di amore al mondo? E' quando i confini si confondono che tutto questo diventa male! Dimmi, hai mai sognato di..." Si interrompe di colpo, mi guarda con imbarazzo. "No, scusami... parlando con te è facile dimenticare che sei ancora così giovane. Non avrai senz'altro pensato all'amore per una donna..." "Veramente, si," rispondo, arrossendo lievemente. Lui mi guarda, stupito. "Sei sicuro di sapere di cosa stai parlando?" Sorrido, senza rispondere. D'accordo, sembro un bambino, ma ho sedici anni, quasi diciassette ormai! Hyoga resta un po' sconcertato dal mio sorriso sicuro, forse non se l'aspettava. Volta la testa, nervosamente, e dice: "Se è così, allora il mio problema è peggiore del tuo. Ho paura che non riuscirò mai a innamorarmi. Ho conosciuto una ragazza all'orfanotrofio, in questi giorni..." "Daisy?" "Come fai a saperlo?" "State sempre assieme..." Lui arrossisce. "E va bene. E' Daisy. Una ragazza molto bella, molto dolce, che ha un bel carattere e sembra trovare la mia compagnia... interessante." Batto le mani. "Perfetto!" esclamo, con un sorriso. "Nient'affatto!" ribatte lui, quasi con rabbia. "Perché quando sono con lei non riesco a comportarmi liberamente! Qualcosa in me la raffronta sempre a mia madre, cerca in lei mia madre, non la trova e allora... mi sento in colpa, mi sento come se tradissi un ricordo sacro. Sento dentro di me la paura irragionevole..." fissa il vuoto, "...di commettere un peccato contro la sua memoria, e perdere così la presenza costante del suo spirito con me." Il mio sorriso si spegne. Povero Hyoga... ecco qual'è il suo problema! "Senti, tua madre ti vuole bene," gli dico, tentando di aiutarlo. "Non può volere che tu rimanga consacrato a lei per tutta la vita. Sarebbe felice di vederti con una ragazza: in fin dei conti sei un essere umano, non una statua di ghiaccio!" "Tutto questo lo so benissimo, meglio di te," replica lui, seccamente. "Ma non sto parlando di quel che vorrebbe lei: il problema è quel che voglio io..." "Ma in fondo è Daisy che vuoi, non è così?" Sorrido, incoraggiante. "Altrimenti non ti porresti nemmeno il problema. Allora perché non ti sforzi e le parli? Se è una ragazza comprensiva come sembra, ti capirà e ti aiuterà. Basta che le dici le stesse cose che stai dicendo a me, che riveli le tue emozioni come stai facendo adesso..." "Credi che sia facile parlare con qualcuno a proposito delle tue peggiori debolezze?" mi chiede, con impeto. "Con me lo stai facendo!" "Certo, ma con te posso farlo! Tu non sei una ragazza, quindi non susciti questo mio senso di colpa nei confronti di mia madre, non costituisci un rischio per i miei sentimenti. Sei un amico sincero e forse addirittura mio fratello, un Santo di Athena, quindi un compagno leale che può promettermi di tacere i miei segreti." Mi guarda, sorride appena. "E soprattutto... mi sento particolarmente bene con te, perché sei la persona al mondo che mi ricorda di più mia madre. Siediti qui accanto a me, voglio farti vedere com'era!" Mi alzo e mi siedo anch'io sul letto. Hyoga prende dal suo comodino un grosso libro, lo posa sulla coperta e lo apre. Vedo delle vecchie fotografie incollate, con delle didascalie incomprensibili. "Guarda, questa era lei all'epoca in cui nacqui." Osservo quella fotografia. Resto un po' interdetto: non mi sembra di somigliare così tanto a quella bella signora. Però c'è qualcosa di familiare nell'espressione dei suoi occhi, così dolci e sereni: forse lei era come me nella visione del mondo, forse anche lei amava la vita e si aspettava sempre il meglio dalla gente, accontentandosi di poco per essere felice. Alzo lo sguardo a Hyoga e lo vedo fissarmi, quasi trasognato. "Ecco, quando sorridi hai la sua stessa espressione... e mi sembra di rivederla viva davanti a me. Ho sempre avuto questa impressione guardandoti, fin da quando giungesti in questa scuola, tanti anni fa. Avevo quasi paura che crescendo avresti perso questa somiglianza, e invece... la noto più di prima." "Allora è questo che sono per te. Un ricordo vivente della persona che amavi!" "Penso di si," confessa lui, "Credo che alla base del mio affetto per te ci sia proprio questo." "E probabilmente solo questo," dico, chinando la testa e temperando un po' di delusione. Speravo di essergli simpatico per qualche motivo più concreto... Lui sorride ed impulsivamente allunga una mano, sfiorandomi il viso. "Non è vero, Shun." La sua mano è calda. Io non mi sottraggo alla carezza, lo guardo negli occhi con espressione un po' interrogativa. Lui arrossisce, ritira la mano, volta una pagina e mi mostra un'altra foto. "Questo ero io, invece, appena nato." "Com'eri buffo! Eri tutto pelato..." "Peggio di Mylock!" sorride lui. E volta un'altra pagina. "Queste sono delle amiche della mamma, altre danzatrici. Ecco, questa è la casa del villaggio..." Le pagine scorrono, immagini un poco scolorite, tutto il patrimonio del cuore di Hyoga, orfano che almeno ha potuto godersi un poco l'amore di un genitore. Io smetto a poco a poco di sorridere, guardando quelle fotografie. Mi viene in mente un album simile, che Ikki era riuscito a portar via da casa prima che ci cacciassero tutti e due all'orfanotrofio. Lo custodiva gelosamente e me lo mostrava di rado, ma io lo guardavo tanto volentieri che potrei descrivere tutte le fotografie che conteneva. C'erano le immagini, per me carissime, dei miei genitori. Poi un bambino bruno ritratto in tutti i momenti della sua vita, nascita, giochi, scuola, sempre circondato da facce raggianti ed orgogliose. Fotografie aziendali, papà premiato da eleganti signori. Tante immagini di parenti mai conosciuti. E ancora foto del bambino bruno, e solo del bambino bruno, per tutte le pagine che rimanevano. Io non esistevo, non apparivo mai, nemmeno per sbaglio. Forse c'erano state delle mie fotografie, ma qualcuno, papà probabilmente, le aveva tolte tutte. Ed era giusto così: piccolo com'ero, mi ero già convinto di non far parte di quella famiglia felice, di non aver diritto ad apparire in quell'album. Così mi stupivo molto dell'imbarazzo di Ikki quando cedeva alle mie insistenze e mi mostrava quelle foto. Solo adesso capisco quanto soffrisse per quella che considerava un'ingiustizia, e quanta pena provasse vedendomi guardare la sua vita catturata su quei fogli, senza mai chiedermi dove fosse finita la mia... Hyoga chiude il suo libro, lo posa di nuovo al suo posto. Si accorge della mia espressione lontana. "Che ti succede, Shun? Sei diventato così serio." Alza le spalle. "So che per te forse queste immagini non significano nulla. Ti hanno deluso, vero?" "No, affatto." Chino la testa e mi sforzo di sorridere di nuovo, non voglio amareggiare il mio amico. "Anzi, erano immagini molto belle. Ti ringrazio per avermele mostrate. Sai, in un certo senso, tu sei più fortunato di me..." "Fortunato?" "Si, perché almeno a te è rimasto qualcosa del tuo passato. A me... non è rimasto niente. Quel pochissimo che avevo l'ho perso per la strada." La mia voce si incrina. "Era solo Ikki a ricordarmi chi sono e come sono venuto in questo mondo, ed ora... ho perso anche lui..." Non riesco più a sorridere. Nemmeno a parlare. E Hyoga capisce, all'improvviso. Impallidisce, mi passa un braccio sulle spalle e mi stringe al suo fianco. "Che razza di stupido sono stato," mormora, con voce contrita. "Scusami." "E di cosa?" rispondo, con voce soffocata, "Se dovessi avercela con tutti quelli che hanno qualcosa più di me, non la finirei più! E' meglio essere contenti per loro, così come sono... contento per te." Sto tremando, alla ricerca disperata di un po' di forza per non mettermi a piangere come al solito... "Adesso basta Shun," mormora lui, impietosito. E si allunga per spegnere la luce, poi mi abbraccia con forza. "Abbiamo tutti preteso troppo da te. Io per primo." "Hyoga... no," gemo, tentando debolmente di respingerlo, perché se mi abbraccia così non ce la faccio a resistere. Ma lui non mi lascia. "Non vergognarti davanti a me... fratello." Quella parola sfonda definitivamente tutte le mie deboli difese. "Oh, Hyoga!..." singhiozzo, e mi arrendo al suo abbraccio, mentre cado finalmente in quel baratro di dolore che da un pezzo mi aspettava. E ne sono quasi contento, perché ormai erano giorni che tutto era compresso dentro di me, che non riuscivo più nemmeno a sfogarmi. Resto così ad occhi chiusi, la faccia affondata nella sua camicia, piangendo in silenzio, torrenzialmente e liberamente; e per la prima volta dalla morte di Ikki, non mi sento più solo. Ascolto quasi senza respirare la musica che lui aveva scelto, un tema sussurrante e dolcemente malinconico, così come mi sento io; o meglio, come ci sentiamo tutti e due. Quella comunione emotiva esalta la mia sensitività interiore, porta la mia anima a cercare la sua, per fuggire con essa lontano dal mio dolore. Posso così sentire i ricordi di Hyoga come miei, vedere il suo amato deserto di ghiaccio dall'austera, mortale bellezza. Posso percepire la calma del suo spirito, e so che in quel momento lui è sul fondo dell'oceano, nel silenzio dei gelidi abissi, abbracciato alla sua mamma eternamente bella, in pace. "Mi sento così bene con te," mormora, con voce lontana. Lo stringo ancora di più, godendo il conforto del suo contatto fisico. Sento il profumo del suo corpo, è così diverso da quello di Ikki, e tuttavia non mi sgomenta... quel profumo mi circonda, mi pervade, mi sembra sempre più familiare ad ogni istante che passa. Forse mai come adesso posso credere, illudermi, sperare che lui sia davvero mio fratello... All'improvviso sento la sua voce stupita, vicinissima al mio orecchio. "Che stai facendo, Shun?!" Apro gli occhi di colpo, come se fossi stato svegliato da un sogno. E mi rendo conto che stavo strusciandomi contro di lui, proprio come facevo da piccolo con Ikki! "Scusami," mormoro, imbarazzato, "Mi... dispiace..." "No, continua... se ti fa piacere." Non sembra offeso; ma io non oso più muovermi, dispiaciuto di essermi preso quella confidenza con lui. "Credo... credo di essermi lasciato andare a sufficienza," sorrido appena, tra le lacrime. Me le asciugo con il dorso della mano, sospiro. "Mi è passata, adesso." "Sul serio?" "Si." Alzo la testa. "Ti ringrazio tanto per la tua pazienza..." "Dovrei essere io a ringraziarti. Hai ascoltato tutti i miei problemi, mentre dovrei essere io ad ascoltare i tuoi! Bell'aiuto che ti sto dando." "Ma tu mi stai aiutando, davvero!" Appoggio le mani sulle sue spalle, "Sai, ora mi sento molto meglio... sei stato proprio come un fratello per me." "E' quel che speravo di sentirti dire." Mi stringe di nuovo, così forte da farmi quasi male, e mi bacia lievemente sulle labbra. Resto sbalordito da quel gesto, ma lui mi sussurra: "Non spaventarti, nella mia patria i fratelli si baciano così quando si salutano." "Davvero? Non lo sapevo!" "Nelle città non si fa più, ma nelle campagne e nei villaggi si usa ancora. Pensa, ai tempi dell'Unione Sovietica lo facevano anche i capi del Partito. Era il modo per dichiararsi fratelli nel socialismo." "Vuoi dire che si baciavano così anche degli estranei?" Mi viene da sorridere. "E pensare che Ikki non mi avrebbe mai permesso un gesto simile!" Respiro profondamente, rendendomi conto che sto parlando di mio fratello, e che riesco a non mettermi a piangere. "E questo nonostante fossimo molto affettuosi l'uno con l'altro." Sospiro. "Sai, Hyoga? La mia gioia più grande era dormire accanto a lui. Mi sentivo protetto e al sicuro, ed avevo molto bisogno di quella sensazione..." Una pausa, "Forse noi tutti ne avremmo bisogno, dopotutto." "Hai ragione, Shun. Possiamo essere anche dei cavalieri di Athena, ma siamo degli esseri umani. Ed anche particolarmente sfortunati, tutti con terribili cicatrici nel cuore. Ma a chi possiamo ammettere queste nostre debolezze? Uno come me, a chi può chiedere l'affetto che gli serve?" Una pausa. "Non so nemmeno quando sia stata l'ultima volta che ho abbracciato qualcuno... o mi sono fatto abbracciare così!" "Avresti senz'altro preferito abbracciare Daisy," scherzo. "Avrei avuto dei seri problemi a farlo." Mi accarezza la schiena. "Con te no." La sua voce si abbassa di tono. "Che strano, non mi sento... nemmeno in imbarazzo." "Perché dovresti? Se mi consideri tuo fratello..." "No, non credo che sia questo." La sua voce è così sottile, lontana. "Il fatto è che mi piace abbracciarti, molto più di quanto immaginassi." Esita. "Sei così caldo, e mi fai sentire tanta... tenerezza." Sospira, "Oh, scusami, Shun! Sto insultando la tua parte guerriera..." "Non abbiamo già sacrificato abbastanza a quella parte, Hyoga? Se ti fa piacere abbracciarmi, fallo pure... io sono contento." Restiamo in silenzio, la musica che racconta di magici laghi dei cigni. Chiudo gli occhi e rivedo la strana danza di Hyoga mentre espande il suo cosmo; lo immagino nel candore della sua armatura e nel paesaggio infinito della sua Siberia. E' un guerriero di ghiaccio, ma la sua anima segreta è passionale, e tutt'altro che gelida. In questo assomiglia molto a Ikki: come lui ha quello strano ritegno, per me inspiegabile, a mostrare la sua umanità al mondo, quasi temesse di rendersi così vulnerabile. Ma anche per questo sento di volergli bene, perché (devo confessarlo a malincuore) sono alla ricerca disperata di un fratello con cui sostituire l'altro. E per me la parola fratello significa tantissimo: un'assoluta e totale affinità, intimità e fiducia, anche fisica. Così, senza pensarci, faccio con lui quel che avrei fatto con Ikki: lo stringo a me, gli sfioro la guancia con la mia, metto la testa sulla sua spalla e mi godo la sensazione di protezione delle sue braccia intorno a me. Per me questo scambio di tenerezze è soltanto un modo naturale, istintivo di confortarci, di dimenticare tutti i nostri dispiaceri. Ma scopro all'improvviso che per Hyoga non è così, sta diventando qualcosa di diverso: me ne rendo conto quando sento le sue carezze sulla mia schiena farsi febbrili, quando sento il suo respiro affannoso sul mio volto... Trasalisco, sentendo il sangue salirmi al viso. Si sta eccitando, non c'è dubbio! Resto sconcertato. Ma non gli piaceva Daisy? Non avrei mai creduto che uno come lui potesse essere in realtà un omosessuale... Un momento, in fin dei conti nemmeno Albyon lo era. Come il mio maestro un tempo, anche Hyoga dev'essersi fatto frastornare da quella certa mia mia aura femminile: lo capisco dal suo desiderio di toccare un seno che io non possiedo. Mi sta accarezzando proprio come se fossi una ragazza: la ragazza così simile a sua madre, che tanto cerca e desidera! Ed io che credevo che il vincolo di fratellanza fosse incompatibile con queste attenzioni... che razza di stupido sono stato! Non mi sono nemmeno posto il problema, ingenuo come un bambino, ed ho messo così alla tortura un ragazzo disperatamente ammalato di solitudine, tormentato dai rimorsi, in cerca di calore umano. Con tutto il mio strusciarmi, lasciarmi baciare e abbracciare... ho finito per confondergli le idee! Ed ora che faccio? Mi rendo conto, spaventato, di essere in una situazione tremenda, sul filo di un rasoio. Se respingessi Hyoga, o se gli dicessi anche una sola parola sbagliata, rischierei di farlo sprofondare in una vergogna tale da fargli desiderare di morire. Questa magica, dolce atmosfera sarebbe rovinata irrimediabilmente, lui soffrirebbe, ed io perderei tutte le speranze di ritrovare l'affetto che tanto mi manca... Quindi non posso respingerlo. Oppure... non voglio respingerlo? Con un senso di shock scopro che la mia sensualità assopita si sta risvegliando, a dispetto di tutti i miei dubbi interiori. Respiro più forte e chiudo gli occhi, sentendo il calore che cresce dentro di me. Non mi ritraggo in alcun modo, mi lascio accarezzare docilmente, lascio che il mio corpo comunichi istintivamente la sua disponibilità. Posso sentire persino il mio odore che cambia, che si fa invitante. E' inutile negarlo, sento che qualcuno mi desidera, e sono troppo triste per dire di no... Con uno sforzo quasi disperato Hyoga si divincola da me, spegne lo stereo e riaccende la luce, cercando di spezzare quell'incantesimo. Posso vedere un rossore evidentissimo sulle sue gote solitamente pallide. "Oh Dio mio..." mormora, con voce tremante, esile nel silenzio. Si passa una mano tra i capelli scomposti e dice, senza osare guardarmi: "Senti, Shun... è meglio che tu te ne vada." La sola idea di rimanere solo dopo quel momento di abbandono mi fa impazzire. "Ti prego, Hyoga, non mandarmi via!" "Lo dico per il tuo bene, non capisci?!" "E il mio bene è lasciarti quando so che vuoi qualcosa da me?" Lui quasi si mette a gridare: "Si!... Ti rendi conto di che cosa volevo da te?!..." "Non mi importa!" Mi avvicino di nuovo a lui, lo sfioro con un gesto di affetto. "Fosse anche la mia vita, te la darei. Ti voglio tanto bene... non ti negherei nulla pur di vederti felice." "Attento a ciò che offri, sciocco!" Mi afferra per le spalle. "In questo momento non sarei in grado di dire di no. Potrei farti vergognare... potrei farti soffrire! E tu saresti pronto ad accettare tutto questo... solo per me?" Sento un lungo brivido sensuale nella schiena, un po' di paura. Mi chiedo cosa voglia farmi di così spaventoso... Mi faccio forza: in fin dei conti ho saputo sopportare i piaceri di qualcuno che aveva molta più fantasia di lui! "Si," rispondo, con un debole sorriso. "Ma perché?" "Te l'ho detto. Perché ti voglio bene." I suoi occhi azzurri tremano. "Non ho fatto niente per meritare un simile affetto. E nonostante questo, muoio dalla voglia di approfittarne. Tuo fratello aveva ragione, sono un essere debole e spregevole..." Scuoto la testa. "No. Sei soltanto un essere umano che ha voglia di amore." "Amore!" Sorride tristemente, mi sfiora il viso con una carezza tremante. "Povero ragazzo, sei davvero così ingenuo da non sapere cosa sia un peccato mortale?" Rispondo al suo sguardo con tutta la mia dolcezza. "Per me il vero peccato mortale... sarebbe abbandonarti adesso." Allora finalmente si arrende. "Ah, Shun..." mormora, riavvicinandosi pericolosamente. "E' quasi peggio adesso, che la luce è accesa! Non so cosa mi succeda, mi fai sentire come... se fossi ubriaco... " "Ti piaccio?" gli sussurro, quasi sulle labbra. Mi afferra e mi bacia di nuovo, quasi con violenza. Io mi avvinghio a lui, con uno spasimo di emozione e cieca felicità. Era da tanto tempo che non sentivo quel desiderio meraviglioso dentro di me, la voglia di dare tutto per qualcuno. Il ricordo del mio amore per Albyon si fonde con il calore che provo per quel ragazzo davanti a me, sono pazzo, fuori di me, pieno di voglia di dimenticarmi in quel modo... "Se ti piaccio, prendimi," ansimo, con le lacrime agli occhi. "Divertiti con me. Sii felice con me. Almeno tu, Hyoga... sii felice!" "Oh, Shun... perdonami!" Comincia a sbottonarmi la camicia, con emozione. Sta respirando affannosamente, il rossore sul suo volto è violento, la sua espressione è bellissima. Mi apre i lembi della camicia, me la fa scivolare sulle spalle in modo da scoprirmi il petto. Mi abbraccia i fianchi, si accoccola contro di me e all'improvviso si mette a succhiare uno dei miei piccoli capezzoli, come un bambino affamato, con una forza tremenda. E' come una scarica elettrica che mi attraversa tutto il corpo. Non resisto, tuffo le mani tra i suoi capelli torcendomi con un gemito di puro piacere. Lui mi tiene stretto, mugola con me, mi morde, succhia, succhia finché mi sembra che mi strappi l'anima, lo sento fremere di cieca, folle soddisfazione, non ho il coraggio di respingerlo... Mi mordo le labbra per non gridare, aggrappato alla sua testa. Mi fa male, ma sento un'infinita tenerezza per lui, un brivido delizioso mi scalda il sangue. Mi metto a cullarlo come se fosse un bambino, e poi gli offro l'altro capezzolo da succhiare. Non mi sono mai sentito tanto donna in vita mia. *** Per tutto il tempo in cui Hyoga sfoga su di me il suo bisogno di contatto fisico e di piacere, una dolce follia sembra possederlo. Ma non si aspettava tanta tenera sottomissione da parte mia. A volte qualcosa nella sua coscienza sembra ribellarsi, annaspa e mi respinge con aria tormentata, ma io continuo quel gioco delizioso con i nostri corpi, ridendo, implorandolo, sussurrandogli che lo voglio, che lo amo. E lui ricade nella sua passione, mostrandosi a me come mai avrei immaginato potesse essere, lui, Crystal, il ghiaccio eterno che non si scioglie mai. Soltanto quando finalmente crolliamo insieme, tremanti ed esausti, lui sembra svegliarsi dal suo sogno e rendersi conto di quel che ha fatto con me. Allora si libera dal mio abbraccio, e guarda quasi esterrefatto i nostri corpi svestiti e appiccicosi. Si alza a fatica dal letto, raccoglie in fretta i suoi vestiti, si infila un accappatoio e corre in bagno senza una parola. Io reprimo un attimo di delusione per quella brusca conclusione. Mi allungo tutto sulle lenzuola stropicciate, stirandomi voluttuosamente. Mi sento così in pace che non mi muoverei da lì per tutto l'oro del mondo! Sono finalmente tranquillo dopo tanto dolore, sereno come un bambino; la mia mente tace, il mio corpo è caldo e rilassato. Mi manca solo la presenza del mio compagno per rendere perfetto questo momento: che peccato che mi abbia lasciato solo, mi sarebbe piaciuto tanto assaporare tra le sue braccia quest'istante di totale beatitudine... Beh, non importa! Mi consolo abbracciando il suo cuscino, che emana ancora il profumo della sua pelle, lo immagino ancora accanto a me, e mi abbandono così dolcemente nel suo calore che finisco per assopirmi. E in quel momento posso sognare di essere al fianco di Ikki, e dormire con lui, nelle viscere della montagna, serenamente, per sempre... Vengo svegliato brutalmente da una mano che mi afferra e mi scaraventa con violenza giù dal letto. Cado sul freddo pavimento, alzo la testa e guardo attonito Hyoga che mi squadra con aria tremenda, completamente rivestito davanti a me. Mi chiede a bruciapelo se quella è stata la mia prima volta. Non avevo fatto niente di particolare per fargli credere il contrario, ma non posso certo mentigli. Gli rispondo sinceramente di no. E mi arriva uno schiaffo così violento da lasciarmi senza fiato. Seguono delle parole terribili. Hyoga non le urla, non sarebbe da lui: ma le sibila tra i denti, quasi tremando in un parossismo d'odio che mi spaventa a morte. La cosa più gentile che mi dice è che gli faccio schifo. Quindi mi afferra di nuovo per un braccio, mi trascina di peso alla porta, la apre e mi scaraventa nel corridoio deserto, buttandomi dietro tutti i miei vestiti. Poi mi sbatte la porta in faccia. Tutto finito. Resto un lungo istante a guardare quella porta chiusa, inebetito, annientato da quel trattamento. Ed io che per un attimo mi ero illuso di poter essere felice, di poter essere amato o almeno tollerato, di poter ancora una volta dormire nel calore di qualcuno che mi volesse bene... Raccolgo tremando i miei vestiti, a testa bassa, e me ne vado in silenzio. Torno nella mia stanza insopportabilmente vuota, mi butto sul letto e mi rannicchio tutto con le braccia strette al corpo, come per abbracciarmi da solo. Però, in fin dei conti è stato bello... sono riuscito a rubare almeno qualche istante di gioia. Devo tenermelo caro, non gettarlo via solo perché è durato così poco, perché è finito tutto così male. Purtroppo non posso permettermi di buttar via queste briciole di felicità, devo saper trovare la dolcezza di un bel momento anche quando è affondato in un mare di dolore: altrimenti non potrei sopportare tutto il male che mi è stato fatto da quando sono al mondo. E forse per questo sono ancora vivo... tutto sommato, riesco a sorridere anche quando sono l'essere più miserabile dell'universo. Sospiro profondamente, con le lacrime agli occhi. Si, sorriderò anche stavolta... anche se sono stato picchiato, insultato e cacciato via nel bel mezzo del mio tenero abbandono. Però non provo risentimento per Hyoga: anzi, mi dispiace per lui, perché evidentemente è più infelice di me: altrimenti non sarebbe stato così crudele e senza cuore. Del resto non ha smentito la sua innata lealtà, mi aveva avvertito chiaramente: mi avrebbe fatto vergognare e soffrire. Ma io ho accettato lo stesso di stare con lui, quindi ora non devo lamentarmi se mi ha trattato così. Era suo diritto farlo... Ma vorrei tanto sapere perché. Qual'è la mia colpa? Io non volevo far nulla di male, volevo soltanto renderlo felice! Gli ho dato tutto quel che voleva, tutto quel che avessi da offrire, senza riserve e senza chiedere nulla in cambio, perché è in questo modo che io sono abituato ad amare. Mi sembrava di avergli fatto così il regalo più naturale, puro e bello che potessi offrirgli: non credevo proprio di dovermene vergognare... E cosa c'entrano le altre mie esperienze con tutto questo? Non lo so... non capisco. L'unica cosa sicura è che ora al mondo c'è qualcun altro che mi odia. L'affettuoso fratello, il tenero compagno all'improvviso se n'è andato, ed al suo posto è arrivato qualcuno che mi ha negato persino la consolazione di un poco di gentilezza.. Non ha più avuto compassione della mia solitudine, non ha avuto esitazioni a spezzare la mia innocente felicità e buttarmi fuori come se fossi una cosa sporca... Chissà, forse io sono davvero una cosa sporca. Chiudo gli occhi e lascio che le lacrime roventi mi scivolino giù. Qua almeno nessuno potrà venirmi a rimproverare per la mia debolezza! Mi sento così smisuratamente solo, sono così stanco di soffrire, vorrei così tanto morire, addormentarmi per sempre là dove nessuno possa venire a buttarmi giù dal letto e farmi ancora del male... Mi abbandono così tanto a quel dolore, a quel desiderio di morte, che finisco per addormentarmi, crollando in un nero sonno senza sogni. La mattina dopo mi sveglia la luce del sole: è una magnifica giornata, il cielo è tornato sereno, fuori dalla finestra si vede un paesaggio fatato, avvolto in un candido e soffice manto di neve. Guardo a lungo quella bellezza, lasciandomi abbracciare da essa: anche se gli esseri umani non mi vogliono, so che in quella serena immensità c'è comunque un posticino per me. Vado a fare la colazione, tutto malinconico e un poco intimidito. Nella sala da pranzo trovo tutti al gran completo: c'è anche Seiya, seduto negligentemente sul suo scrigno, che disdegna la tavola da Grand Hotel per sgranocchiare dei dolcetti provenienti da un cartoccio unto. Vengo così a sapere che Lady Isabel ci vuole tutti presenti per parlarci di lì a poco. Il mio posto a tavola sarebbe proprio di fronte a Hyoga, ma non oso stargli così vicino dopo tutte le cose tremende che mi ha detto la sera prima; immagino di essere l'ultima persona che vorrebbe vedere, ed io non voglio dargli fastidio. Allora mi verso un poco di tè e vado a bermelo lontano da lui, in piedi accanto alla finestra: è il modo più discreto in cui possa permettergli di mangiare tranquillo. Sento gli altri bisbigliare, in qualche modo capisco che parlano di me. Ma nessuno mi dice niente. Dopo un po' i camerieri sparecchiano la tavola, con la consueta, rapida efficienza. E quindi arriva Lady Isabel, elegante e compita in un modo tale che nessuno potrebbe mai darle i suoi sedici anni. Al suo fianco un truce Mylock, in doppiopetto impeccabile, la testa più tonda e lucida che mai. Lei ci saluta e si accomoda a capotavola, raccomandando al suo braccio destro di verificare tutte le misure di sicurezza. Poi, quando è certa che nessuno tranne noi può sentirla, comincia a parlare. Esordisce dicendoci che Alman di Thule si è sempre servito di agenzie investigative per tenere sotto controllo tutte le attività contrarie ai suoi interessi: una normale precauzione per sapere in anticipo le mosse dei suoi avversari, politici ed economici. Lei naturalmente ha continuato questa pratica, ricevendo negli ultimi tempi rapporti sempre più inquietanti. "Prossimamente la Fondazione Thule sarà bersaglio di azioni terroristiche," ci annuncia freddamente, leggendo uno di questi rapporti. "Sembreranno atti di puro teppismo, ma in realtà si tratterà di azioni ben organizzate, che arrecheranno danni ingenti e metteranno a rischio la vita di molte persone. Qualcuno non meglio identificato sta raccogliendo dalla strada tutte le bande giovanili, tutti gli emarginati di questa città per dirigerli contro di me. Inoltre alcuni carichi di esplosivi sono entrati a Nuova Luxor eludendo i controlli della polizia. Sono sfuggiti all'occhio delle autorità, ma non a quello dei miei investigatori." Restiamo scossi da quelle parole. "Il Santuario?" chiede Seiya per tutti. "Questa è la naturale conclusione per noi che ne conosciamo l'esistenza," annuisce lei. "E' evidente che stanno cercando la maniera di attaccare gli interessi dei Thule usando il sistema della guerriglia." "Ha idea di cosa faranno?" chiede Shiryu. "So di sicuro che uno dei loro bersagli sarà lo stadio della Fondazione. Ci sarà un attacco in massa, qualcosa del tipo notte brava, bande di esaltati che cercheranno di spaccare tutto con la scusa di vendicarsi per l'interruzione del torneo." Un sospiro. "Ma se hanno degli esplosivi, i danni saranno ben più gravi di qualche vetro rotto e qualche scritta su un muro." "Se è così ben informata, perché non informa anche la polizia? Schieri un esercito di guardie davanti allo stadio, fermando quei pazzi prima che agiscano!" Lei esita, china lo sguardo. "Innanzitutto, la polizia non è ai miei ordini..." "Ma non diciamo scemenze," la interrompe Seiya. Mylock arrossisce visibilmente, fa per parlare ma lei lo ferma con un gesto. "Capisco a cosa alludi. In un certo senso non hai tutti i torti, però ci sono dei limiti al mio potere, anche come magnate e patronessa di un enorme gruppo economico. Potrei convincere le autorità di Nuova Luxor a mettere sotto assedio la città, ma ne andrebbe del buon nome della mia organizzazione, avrei molte difficoltà con la stampa, dovrei ricambiare questi favori... e infine, tutto sommato, abbiamo punti più molto vitali dello stadio da proteggere ad ogni costo." "Il porto? I depositi?" Lei alza il mento. "L'ospedale della Fondazione. L'orfanotrofio. L'istituto di ricerca. La biblioteca. Devo continuare, Pegasus?" Lui tace, umiliato. "Meglio quindi che la rabbia del Santuario si scateni sullo stadio," continua lei con un lieve tremito nella voce. Raccoglie un foglio di carta e dice, cercando di dominarsi: "Del resto i miei esperti in psicologia di massa affermano che la sua distruzione farebbe aumentare la simpatia dell'opinione pubblica per la Fondazione Thule, recuperando quasi quella che è stata persa a causa dell'interruzione del torneo. Così avremo finalmente un po' di solidarietà e potremo proteggere meglio quel che ci rimarrà." Un sospiro. "Certo, mi dispiace molto per lo stadio... e non avete idea di quanto... ma in questa partita a scacchi bisogna sacrificare la torre." "A che pro il Santuario vuole la sua distruzione?" chiede Hyoga. "Beh, è chiaro," risponde Seiya, "Lo stadio è il luogo dove tutti noi, te escluso, ci siamo meritati la condanna a morte. E' un luogo di profanazione e deve essere purificato col fuoco." "Si, è vero," aggiunge Lady Isabel. "Ed è anche il simbolo pubblico della Fondazione Thule, nonché il più eclatante. Infine è il più vulnerabile. La sua distruzione sarà il primo mezzo con cui il Santuario mi metterà sotto pressione. Colpirà tutti i miei interessi finché non mi deciderò a consegnare l'elmo dell'armatura d'oro." Un lieve, duro sorriso. "Si illudono, naturalmente. Voglio che sappiate tutti che se il Mondo Segreto mi dichiarerà guerra, io non sarò certo una vittima inerte. Combatterò con tutte le mie risorse e non cederò quest'elmo a prezzo di niente, foss'anche la mia completa rovina economica. Quindi state certi che ci vorrà bel altro per spaventarmi!" Non c'è che dire, Lady Isabel ha una straordinaria grinta sotto quel suo aspetto soffice e aristocratico. "Attenteranno alla sua vita," dice Shiryu, pensosamente. "Lo so," annuisce lei. "Già ho aumentato le misure di sicurezza che mi circondano, in modo discreto. Ma l'irruzione di Mur, per quanto benevola, mi ha disilluso grandemente sull'efficacia di queste misure, per cui... ho intenzione di lasciare segretamente Nuova Luxor, assieme all'elmo dell'armatura d'oro, e restare appartata finché questa bufera non sarà passata. Lascerò che le energie del Santuario si disperdano in questa prima, sterile azione: l'essenziale è che, anche nel caso che arrivino fino a qui, non possano mettere le mani sull'elmo. Poi vedrò cosa fare." Restiamo tutti in silenzio, assorbendo quelle parole. "E' una buona soluzione, ma la sua partenza deve essere totalmente segreta, e così il suo nascondiglio," dice Shiryu. "Ho preso ogni precauzione. Soltanto voi e Mylock saprete il mio luogo di ritiro." Prende una mappa su lucido, la stende sul tavolo davanti a noi. "Vedete? E' una casa di montagna, affittata a un prestanome, isolata e circondata da un parco privato, in una zona turistica ma piuttosto fuori mano." "Questa è la catena montuosa di cui fa parte anche il Suizhan," nota Hyoga, "Come mai ha scelto questo luogo?" "Per lo stesso motivo per cui l'aveva scelto Phoenix," risponde lei. "E poi perché credo che i nemici non vadano due volte nello stesso posto." Sospira. "Poiché non posso limitarmi a sparire dalla circolazione, ho fatto installare le debite apparecchiature criptate per collegarmi con le mie aziende. Userò un satellite privato preparato allo scopo." "Rischioso," borbotta Seiya, "Non può proprio esimersi dal fare i suoi affari?" "No, anche perché così i nemici mi crederanno ancora qui," risponde lei. E non possiamo che darle ragione. "E noi cosa facciamo?" chiede Seiya, "Andiamo con lei?" "Attireremmo l'attenzione," obietta Shiryu. "Il nostro potere riunito potrebbe farci individuare molto facilmente dalle spie del Mondo Segreto." "Ah... allora dovremmo restare qui, tutti e quattro, e fare da esca per gli assassini del Santuario. Verranno qui e non troveranno un accidente di niente da rubare..." "Però probabilmente vi uccideranno, e che senso avrebbe il vostro sacrificio?" interviene Lady Isabel, con veemenza. "La mia intenzione non era certo quella di abbandonarvi qui al mio posto! Voi siete i miei alleati, gli unici su cui possa contare. La vostra esistenza mi è preziosa." "Su questo non abbiamo il minimo dubbio," dice Hyoga, gelido. "Lei ha bisogno di noi per sopravvivere. Noi combattiamo per onorare l'impegno d'onore che ci siamo presi con Phoenix e con Mur. L'elmo dell'armatura d'oro è da proteggere ad ogni costo: lei può contribuire a questo con il suo grande potere nel mondo esterno, e noi con il nostro nel Mondo Segreto." Una pausa. "Le dico tutto questo perché non si faccia troppe illusioni sulla natura della nostra alleanza." Lei lo guarda, senza un tremito nello sguardo. "Non mi faccio illusioni da molto tempo, Igor," risponde, altrettanto gelidamente. "Ma anche se sembra che non ci potremo mai comprendere a vicenda, nondimeno siamo schierati dalla stessa parte. Ed il mio ruolo può andare oltre il semplice finanziamento di quest'impresa. Mi concederai di possedere una certa capacità organizzativa..." "Dille di si, Crystal," dice Seiya, allegramente, "Quel che vuol dire milady è che le piace troppo fare il capo." "Ha tutti i diritti di esserlo!" abbaia Mylock Lei emette un lieve sospiro di esasperazione. "Per favore, non è di questo che stiamo discutendo. Volete o no sapere la mia opinione sul problema che dobbiamo risolvere?" Dopo una breve pausa di silenzio, continua: "Dunque, per mettere a punto una strategia che vada oltre la semplice attesa di un attacco, occorrono informazioni. Noi non ne abbiamo a sufficienza. Pertanto voglio che..." Si corregge, "...suggerisco che vi dividiate per tornare alle vostre scuole segrete, alla ricerca di ulteriori notizie sui nostri nemici. Anche se siete condannati, presumo che i vostri maestri vi concederanno un minimo di diritto di asilo. Potrebbero darvi dei particolari preziosi, aiutarvi a interpretare i fatti che sono accaduti. Potremmo quindi ritrovarci tutti tra tre settimane nel luogo dove andrò, per trarre le nostre conclusioni." Ci guardiamo. "Non abbiamo di meglio da fare, dopotutto," mormora Seiya. "Già," annuisce Shiryu. "Così potrò rivedere il mio maestro." "E Fiore di Luna," aggiunge Seiya, salace. "Un momento," dice Hyoga. "L'idea di Lady Isabel è giusta, ma non possiamo lasciarla completamente sola e indifesa per quasi un mese. Se in qualche modo i nemici la trovassero e l'attaccassero?" "Non sarò sola, avrò Mylock con me," dice lei, con un sorriso rassicurante. "Mylock! Potrà difenderla al massimo dai cronisti, o dai delinquenti comuni, non dalla gente addestrata dal Mondo Segreto." Hyoga scuote la testa. "Occorre almeno un cavaliere al suo fianco, per proteggere l'elmo del Sagittario." Esita, abbassa lo sguardo. "Suggerisco che Shun parta con lei." Segue un lungo silenzio. Tutti si voltano verso di me, mentre io resto immobile, con lo sguardo un po' smarrito. "E' una buona idea," dice Seiya. "I suoi maestri non sono cavalieri, quindi sarebbe inutile per lui tornare nella sua isola. E pure pericoloso." "E poi ha bisogno di un attimo di respiro, con quel che gli è successo," aggiunge Shiryu. "Se tutto andrà bene passerà tre settimane in pace. Altrimenti sarà un valido difensore, anzi... da questo punto di vista, il migliore tra tutti noi." Lady Isabel si volta verso di me. "Cosa ne pensi, Andromeda?" Chino la testa, sentendomi stranamente umiliato. "Avete già pensato a tutto voi, mi sembra." "Non sei d'accordo?" "Non sono d'accordo solo su un punto, milady." Alzo la testa, con quel che resta del mio orgoglio. "Non sono un bambino da compatire. Per il resto è vero, io sono a quanto pare l'unico a non aver avuto un cavaliere come maestro, e quello che ha meno voglia di combattere. Se per questo i miei compagni mi vogliono al sicuro e fuori dai piedi, accetto la loro decisione. In fin dei conti sono tutti più grandi e più saggi di me." "Shun!" esclama Seiya, ma Shiryu lo prende per un braccio, gli lancia un'occhiata perentoria. Hyoga non stacca lo sguardo da terra. Mi volto e vado alla porta, in un silenzio raggelato. Poi mi fermo. Mi volto e chiedo, con un po' meno amarezza: "Per che ora devo essere pronto a partire, milady?"
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