(SAINT SEIYA) di Hanabi, estate 1994 I personaggi di Saint Seiya sono proprietà di M. Kurumada/Shueisha.
CAPITOLO 5: "Rivelazioni" - parte seconda L'umile casa di montagna scelta da Lady Isabel Saori per il suo ritiro è una lussuosissima villa in stile baita alpina, qualcosa in cui una ventina di persone starebbero larghe. Ma noi qui siamo solo in cinque: la duchessa, Mylock, il fedele cuoco del Saint George, una signora anziana di nome Yuriko, e naturalmente io. La mia solitudine è quasi perfetta, perché ho la mia stanza, il mio bagno, e devo mangiare da solo: qui non si usa condividere i pasti, una gelida etichetta sembra vietarlo. Così è come se abitassi in un albergo, e i miei contatti col prossimo si limitano a qualche educato saluto e poco di più. La mia giornata comincia all'alba: tengo le tende aperte per farmi svegliare dalla luce del sole. Dalla mia finestra si vede un bellissimo paesaggio, velato di neve e trapuntato dai boschi di abeti: dicono che quest'anno l'inverno è stato singolarmente asciutto, ma del resto su questo altopiano non c'è abbastanza pendenza per sciare; quindi non ci sono alberghi o altre strutture turistiche. Dev'essere per questo che non si vede mai anima viva. Prima ancora di fare colazione mi butto addosso una tuta ed esco a correre, facendo un lungo giro intorno alla casa e nel parco che la circonda, attento a non scivolare. Mi fermo poi in uno spiazzo tra gli alberi, dove nessuno può vedermi; mi concentro con calma e produco le mie catene, sondando l'universo delle energie. Lo faccio senza troppa convinzione, tanto per non sentirmi semplicemente in vacanza; ma non percepisco mai nulla di particolare, e così ritorno in casa, in tempo per vedere un'impeccabile e flemmatica Lady Isabel fare colazione sulla veranda coperta, tenendo con la punta delle dita la sua tazza di porcellana inglese e assaggiando biscottini, mentre scorre il videogiornale posato sul tavolino rotondo. Vado a farmi una doccia e poi mangio quel che la signora Yuriko mi porta. Quindi vado in soggiorno mettendomi a leggere qualcuno degli innumerevoli libri che contiene, oppure dando un'occhiata al televisore. Intanto Lady Isabel è già al lavoro nel suo studio, in mezzo a sofisticate apparecchiature, dando ordini e ricevendo rapporti, quotazioni borsistiche e informazioni da mezzo mondo. A mezzogiorno pranzo, quindi vado anch'io sulla veranda, sedendomi lì a meditare fino a quando il mio corpo non protesta per l'immobilità forzata. Allora vado a fare una lunga passeggiata, torno per ascoltare un po' di musica, ceno e quindi mi ritiro nella mia stanza a finire di leggere e a riposare. E' una vita fin troppo tranquilla per un cavaliere, ma io me la godo. Avevo proprio bisogno di questa pace e di un bel silenzio nel quale ascoltare me stesso. Devo ammettere che i miei compagni avevano ragione a volermi qui: mi vergogno un po' di aver fatto il petulante con loro, quando tutto sommato stavano soltanto cercando di aiutarmi. Hyoga compreso, perché è stata sua l'idea di mandarmi qui. Prima di partire, davanti all'elicottero, ero spaventato all'idea di doverlo salutare. Non osavo guardarlo negli occhi, non volevo più affrontare il suo disprezzo. Ma lui mi ha stretto la mano senza alcuna esitazione, e mi ha mormorato, in modo che solo io potessi sentirlo: "Per favore, non essere così in collera con me." L'ho guardato, stupito e addolorato. "Io, in collera?... Ma se sei tu ad essere arrabbiato con me!" Ha chinato la testa, con un sospiro nervoso. "Senti, prima che tu vada via, vorrei chiederti... pregarti di dimenticare tutto quel che è successo quella sera. Dopotutto non vorrei rinunciare alla tua amicizia soltanto... per l'errore di un momento." Quale errore?, avrei voluto gridare, disperatamente. Il mio di non averlo respinto? O il suo di avermi cacciato via, dopo aver preso tutto quel che gli faceva comodo di me? Lui ha letto quella domanda nei miei occhi, ma non mi ha risposto. "Abbi cura di te," mi ha detto soltanto. E se n'è andato quasi di corsa, senza nemmeno darmi modo di salutarlo. "Addio, Hyoga," ho mormorato lo stesso. Il nostro sogno era già finito ancor prima di cominciare. Ora qui, in questa pace silenziosa, la malinconia è la mia inseparabile compagna. Per sfuggirle non trovo di meglio che rifugiarmi nella contemplazione della bellezza della natura. Ma a volte la mia concentrazione è tale che arrivo ad un passo dalla dissoluzione mentale; un gioco molto pericoloso, che Albyon non si stancava mai di vietarmi. Perché è così facile perdere la propria identità quando si diventa tutt'uno con il cosmo... virtualmente si ottiene la percezione perfetta, ma a quel punto non c'è più una coscienza in cui incanalarla. E quando con un sussulto riprendo il controllo di me, mi rendo conto amaramente che una delle cose che mi avvicinava tanto alla vita ora è un valzer con la morte. Così resisto disperatamente alla tentazione di lasciarmi andare, e cerco di trovare la forza di vivere nella mia solita maniera, a colpi di piccole cose. Mi siedo nel parco a fissare i primi crochi che osano sfidare la crosta di neve, stupendomi dell'iridescenza dei loro piccoli petali. Guardo i riflessi del tramonto sulla neve, ascolto il fruscio degli abeti che fanno canzone della più lieve bava di vento. Spengo la luce della mia camera, mi svesto e mi accarezzo immaginando che sia qualcun altro ad accarezzarmi. Mi accoccolo davanti al fuoco del camino fissando le braci, stuzzicandole con le molle per vederle accendersi di scintille, sognando fuochi artificiali di una festa lontana. E la vita mi scorre davanti in una dimensione senza tempo, nell'attesa di qualcosa che non so e che non m'importa.
Una notte mi sveglio di soprassalto, con un gran senso di angoscia nel petto. Scatto a sedere sulle lenzuola, ansimando: non sento alcuna energia cosmica particolare intorno a me, eppure ho i brividi addosso. Infilo frettolosamente i calzoni della mia tuta e ed esco in corridoio. Sento dei rumori, una porta che si apre di scatto. Mylock esce di corsa dalla sua stanza, in un lussuoso pigiama a strisce e una vestaglia di seta, un velo di sudore sul volto. Mi guarda appena, senza dirmi niente, e poi corre nell'ala ovest della casa, quella riservata a Lady Isabel. Lo seguo, a distanza, lo vedo bussare timidamente alla porta e chiamare: "Milady?... Mi perdoni, milady..." Ascolta, parla a bassa voce, annuisce. Poi corre a chiamare la signora Yuriko, che esce dalla sua camera allacciandosi un kimono da notte dall'aspetto lugubre. Un paio di parole sussurrate, e la signora si affretta a raggiungere le stanze di milady. "Che succede?" chiedo, non appena Mylock mi passa vicino. Lui scuote la testa. "Quei maledetti..." dice, tra i denti, andando nello studio e accendendo tutti gli interruttori su cui può mettere le mani. Lo seguo, prendo ansiosamente il telecomando e accendo il televisore. Passo tutti i canali, ma la voce di Lady Isabel alle mie spalle mi ferma. "E' ancora troppo presto perché la televisione di stato trasmetta la notizia." Mi volto a guardarla. Non sembra affatto qualcuno svegliato nel cuore della notte. I suoi capelli sono perfettamente pettinati, ed ha indosso un'immensa vestaglia rosa che sembra più un abito da sposa. La sua espressione è impietrita. "L'attacco che aspettava," mormoro, nel silenzio. Lei annuisce. Va al suo schermo personale, digita velocemente sulla tastiera, attende qualche secondo. Poi dice, con voce tremante: "Gli scontri sono ancora in corso. Si parla già di nove morti e quaranta feriti. Ci sono state sette esplosioni. Il tetto dello stadio è completamente crollato e le tribune sono in fiamme." Digita ancora, e aggiunge: "Le strutture di sicurezza della piazza sono state sabotate. Non arriva acqua agli idranti. I vigili del fuoco sono sottoposti ad una fitta sassaiola da parte di alcune bande di scalmanati, la polizia sta lottando contro di loro. Ci sono degli spari. L'intero quartiere dello stadio è stato chiuso al traffico." China la testa. "Non riesco ad avere immagini in diretta... anche il centro di trasmissione via satellite deve essere stato danneggiato." "Le altre strutture della Fondazione?" chiedo, col cuore in gola. Sto pensando ai bambini a cui ho insegnato l'origami, ai medici gentili della clinica... "Tutto in ordine, per il momento," sospira lei. "Speriamo che continui così. La notte non è ancora finita." "E noi siamo qui, senza poter far niente!" tuona Mylock, disperato. "Quel che potevamo fare è stato già fatto," ribatte lei, gelidamente. Lui guarda i freddi schermi davanti a lui, che si riempiono di dati, dispacci di agenzia, rapporti riservati. Il sudore luccica sulla sua faccia. Sembra in procinto di mettersi a piangere. "Ce la pagheranno!" mugola, "Qualcuno la pagherà per tutto questo..." "Non c'era modo di evitarlo," mormora Lady Isabel, quasi a se stessa. Per un attimo mi chiedo se stia per assistere a un miracolo, vedere delle lacrime negli occhi della formidabile, algida duchessa... ma resto deluso. Lei si volta, si passa una mano sui capelli, respira profondamente e riprende in pieno il controllo di se stessa. "Yuriko, per favore, faccia preparare il tè," dice, con voce professionale. "La notte per noi finisce qui, c'è molto da lavorare. Mylock, scuotiti dal tuo stato confusionale: comincia a trasmettere i testi già preparati alle agenzie della stampa. Voglio inoltre che consulti via satellite i brokers iniziando subito le pratiche per la chiusura dei contratti. Metti in allerta il nostro ufficio legale e quello delle pubbliche relazioni." Lui china la testa. "Subito, milady," mormora, con voce cupa. "Puoi anche tornare nella tua stanza, Shun," continua lei, voltandosi verso di me, "Non c'è molto che tu possa fare." "Desidero comunque essere utile," le rispondo, con tutta la mia spontaneità. Lei fa un pallido sorriso. "Ti ringrazio. Allora potrai tenerci aggiornati con le notizie, mentre noi lavoriamo." Si volta facendo frusciare la sua immensa vestaglia. "Non è il caso di mantenere dunque questo abbigliamento sconveniente. Vado a cambiarmi, e vi prego di fare altrettanto. L'emergenza è finita, ora dobbiamo solo darci da fare."
A mezzogiorno del giorno dopo la situazione pare essersi definitivamente cristallizzata. E' avvenuto tutto quel che Lady Isabel aveva previsto: un'apparente ondata di violenza che ha scosso Nuova Luxor, lasciandola sotto shock. Le vittime sono state numerosissime, i danni materiali ingenti: macchine distrutte, negozi saccheggiati, mezzi pubblici devastati; ma la cosa più eclatante è che lo stadio della Fondazione è stato praticamente distrutto; solo le pareti esterne sono rimaste intatte, tristi rovine di quello che sembrava un vero tempio moderno. Nel corso della battaglia metropolitana una folla ben più numerosa di qualche banda di motociclisti ha combattuto per le strade; tra i giovani sbandati che urlavano di vendetta per l'interruzione del torneo c'erano anche i disoccupati che invocavano il lavoro, i soliti fanatici che volevano espellere dalla città tutti gli occidentali e viceversa, i diseredati e i violenti in cerca di emozioni forti... La maggior parte di costoro si è poi ritirata nei propri nascondigli, lasciando sul terreno un numero notevole tra morti e feriti, e riempiendo le carceri della città. I notiziari televisivi adesso sono pieni di tavole rotonde, di discussioni di psicologi ed esperti, di proclami della polizia e di messaggi costernati e indignati della Fondazione Thule, la principale vittima della violenza distruttrice. Lady Isabel ha orchestrato alla perfezione la sua reazione ufficiale, in modo che nessuno potrebbe sospettare che si trovi a migliaia di chilometri dalla città. C'è persino una sua intervista, in cui lei appare pallida e sconvolta davanti al suo palazzo a Nuova Luxor, accusando la polizia di non aver saputo evitare questo disastro, e decantando tutte le virtù umanitarie della sua Fondazione così duramente colpita. Se penso che quella registrazione risale a più di quindici giorni fa devo ammettere che milady è una grande attrice! "Lady Isabel Saori di Thule si è quindi chiusa nel suo palazzo rifiutando ogni ulteriore contatto con i giornalisti, in segno di lutto per le vittime di questo disastro, riservandosi di far udire la sua voce nelle sedi e nei tempi più opportuni," conclude l'ultimo speaker. Il televisore si spegne. "Molto bene," sorride lei, alzandosi finalmente in piedi. "Gli appuntamenti sono presi, tutte le comunicazioni contrattuali sono state mandate, nessuno può più avvicinarsi alla tenuta della Fondazione. Direi che il più è fatto." Sospira, evidentemente stanca. Mi guarda. "Vorresti pranzare con me, Shun?" L'invito mi sorprende alquanto, e indigna Mylock. Ma io l'accetto volentieri. Mangiamo insieme sulla veranda, da soli, mentre la signora Yuriko ci serve. Per molto tempo non parliamo, quasi non ci guardiamo. Lei fissa spesso il panorama, io ammiro invece la coreografia dei piatti, le fini decorazioni della porcellana, lo scintillio del calice di cristallo; com'è tutto così raffinato! Posso apprezzare bene tutto questo, io che ho mangiato per quasi cinque anni raccogliendo il riso sulla punta delle dita e bevendo da una tazza di terraglia. E tuttavia non mi sento assolutamente in soggezione davanti a tutto questo lusso: lo assaporo, ma non ne sono schiacciato... Me ne rendo conto sentendo Lady Isabel dirmi, con tono blandamente incuriosito:"Complimenti per la tua naturalezza, Shun. Sembri completamente a tuo agio." La guardo, con un lieve sorriso."Si aspettava che non lo fossi?" Mi studia brevemente, da sotto le sue ciglia lunghissime. "In fin dei conti sei soltanto un ragazzo proveniente dal peggior orfanotrofio del Giappone." Mi sento impallidire un poco. "E' vero, milady," le rispondo, cercando di non far trasparire il mio risentimento. "Però prima di finirci sono cresciuto in una buona famiglia. Mio padre era un uomo ricco e molto legato alle tradizioni..." "Questo non spiega la tua cortesia così naturale. E' qualcosa che non può dipendere dai tuoi cinque anni in famiglia... ammesso che quella poi fosse la tua famiglia." Poso il tovagliolo, abbasso la testa. "Non desidero parlare di questo argomento." "Ma lo desidero io." Mi alzo da tavola, senza fretta. "Allora la saluto, milady. Non sono costretto ad ascoltarla." Lei arrossisce lievemente, alza una mano. "Aspetta, per favore." Poi ammette, a voce bassa: "Mi dispiace. Hai ragione, non è la maniera migliore di ricambiare un ospite gentile come te." Sospira. "Quel che voglio è che tu riconsideri il tuo rifiuto a sottoporti al test del DNA." "Per quale motivo?" chiedo, sedendomi di nuovo. "Forse è per questa vicinanza forzata, Shun; ma io ho la forte impressione... che noi due abbiamo qualcosa di molto importante in comune." China lo sguardo. "E forse lo desidero." La guardo, stupito da quella confessione; vedo per la prima volta nei suoi occhi azzurri qualcosa di strano, un dolore interiore che non credevo possibile. Ho seguito per tutta la notte la sua formidabile performance professionale: nessuna esitazione, nessun gesto scomposto o parola fuori posto, un vero computer vivente, dall'aspetto impeccabile e dai modi elegantissimi. Ma ha meno di diciassette anni, come me. E' terribilmente sola, come me. Ed ha smarrito la sua adolescenza per la strada, chiedendosi forse cosa abbia perduto diventando una bambina prodigio, una creatura metà adulta e metà fanciulla.... proprio come me. "Forse abbiamo in comune il fatto di essere entrambi vittime di chi ha deciso il nostro destino," mormoro. "Abbiamo entrambi grandi poteri... e siamo soltanto dei ragazzi." Lei alza la testa e mi fissa negli occhi. "Credo che tu abbia ragione. Ma vorrei essere sicura che sia solo questo a renderci simili, e non qualcos'altro." C'è un guizzo di tristezza nel suo sguardo. "Ne sarei così felice, dopotutto. Sono stata educata così, nella convinzione della mia superiorità. Se finalmente potessi avere accanto qualcuno del mio stesso livello..." "E sarebbe il test del DNA a stabilire questo livello, milady, non è vero?" le chiedo, amaramente. "Però, se risultasse che non sono figlio di suo nonno, lei che farebbe? Non mi inviterebbe più alla sua tavola? Tornerei ad essere uno dei suoi sottoposti, come Mylock e la signora Yuriko?" Scuoto la testa. "Lasci perdere, ho già avuto abbastanza porte chiuse in faccia nella mia vita. Le posso offrire la mia comprensione, anche se a dir la verità lei non ha fatto molto per meritarla. Se la vuole, è sua... la accetti da parte del cavaliere di Andromeda. E se questo non le è sufficiente, non so che farci." Lei distoglie lo sguardo, impallidisce. "La tua risposta rimane negativa, allora..." "Non voglio rinnegare Ikki, milady. Nemmeno per lei." "Tantomeno per me," corregge lei. Sospira, e alla fine dice: "E va bene. Lasciamo le cose come stanno." Mi sorride. "Mi fa comunque piacere sapere di questa tua disponibilità nei miei confronti: almeno so che non desideri nuocermi, a differenza dei tuoi compagni... per quanto dicano il contrario." "Questo non è vero," protesto. Ma lei fa un gesto misurato con la mano. "Io sono solo la custode dell'armatura di Aiolos. Questa è tutta la considerazione che merito presso di voi. Se poteste vendicarvi di me senza mancare ai vostri impegni, lo fareste ben volentieri." Le sorrido, con dolcezza. "Ci conceda solo un po' più di dignità, milady, e sarà ricambiata. Non ci consideri semplicemente dei soldati ai suoi ordini." Lei sospira, unisce le mani in grembo, guarda verso le montagne. "Si, hai ragione... è così che vi consideravo. Non potevo che essere eccitata all'idea di dominare la vostra potenza, di possedere un esercito come il vostro e di entrare per questo anche nel Mondo Segreto. Era un atteggiamento sbagliato e immaturo, lo so, ne sto pagando il prezzo. Nondimeno continuo a sentirvi come miei cavalieri. Tutti voi..." Torna a guardarmi. "Tranne te, Shun." La guardo, stupito. "Non desidero questo onore speciale. Se basta un sospetto di parentela a farmelo meritare... Crystal lo meriterebbe ben più di me!" Il suo sguardo trema. "Lo so. Ma la mia sensazione non cambia." E per un istante sento una strana sensazione, fuggevole, intensa. Non riesco nemmeno a interpretarla: è come un brivido della mia coscienza cosmica... "E' stato un piacere averti mio ospite," dice, con voce di nuovo tranquilla. La sensazione è già finita. Mi alzo, mi inchino con tutta la formalità di cui è capace un giapponese. Perché è questo che sono, a dispetto dei miei capelli e dei miei occhi. "E' stato un onore per me," rispondo, nella mia lingua. Lei capisce perfettamente cosa voglio dire. E quello è l'ultimo invito a pranzo che mi fa.
L'atmosfera nella casa si carica di tensione, ad ogni giorno che passa. Mylock sembra un cane alla catena, che non vede l'ora di slanciarsi da qualche parte. Sento il cuoco imprecare in cucina perché gli cadono i piatti e le salse non gli vengono bene. La signora Yuriko sferruzza con l'aria di voler conficcare i ferri nella pancia di qualcuno. Lady Isabel distribuisce i suoi ficcanti rimproveri mentre lavora nel suo studio. Per un sensitivo come me quest'atmosfera è una tortura. So di essere un potenziale bersaglio dell'ira di Mylock e cerco di evitarlo; grazie alle mie mansioni di sorveglianza posso almeno stare spesso alla larga dalla casa. Ma ogni volta che torno lui ha sempre qualcosa da ridire: è chiaro, io sono "lo scricciolo" del Saint George, non ha il minimo rispetto per il mio nuovo status di cavaliere. Ora che avrei il potere di ucciderlo in un istante, mi scopro a studiarlo con straordinario distacco: ecco l'uomo che per tanti anni mi ha fatto paura... americano, età indefinita ma fisico da boxeur; persino la sua faccia è muscolosa: archi sopracciliari prominenti, mento rilevato, naso schiacciato ed occhi incassati nelle orbite. Ha un aspetto temibile, ed insieme un po' stupido. Ma non lo è. E me lo dimostra una sera in cui sono talmente teso e disperato da accarezzare morbosamente l'idea di farlo imbestialire. Voglio ritornare un po' bambino, giocare con quello che è stato il mio aguzzino, facendogli fare quel che voglio io; e se la cosa gli piace come credo, sarà ancora meglio... è sempre meglio provare piacere in due, anche se uno è un mostro come lui: sono stanco di accontentarmi da solo! Così lo provoco di proposito, sorridendo sfacciatamente di fronte alla sua violenza verbale, ed arrivando - con un grande sforzo su me stesso - a insultarlo apertamente. Lui perde le staffe, indignato all'inverosimile. Se ne infischia che io non sia più un bambino: mi trascina nella mia stanza, mi butta sul letto, mi cala i calzoni e comincia a darmene di santa ragione. Io lo lascio fare, nascondendo la faccia nel cuscino, mi viene da ridere sull'orlo di un attacco isterico: ah, che dilettante! Nemesis era molto più brava a picchiarmi! Mi struscio sul letto, lamentandomi esageratamente come se lui mi stesse facendo chissà che male; chiudo gli occhi, la pelle mi brucia sempre più, oh Dio cosa farà se raggiungo l'orgasmo davanti ai suoi occhi?! Niente di male... mi picchierà più forte! L'idea mi eccita spaventosamente... Ma all'improvviso lui si ferma di scatto, ansimando. "Santo cielo," mormora, con voce incredula. Si raddrizza. "Che tu non fossi del tutto normale, scricciolo, l'avevo già capito da un pezzo... ma fino a questo punto, accidenti..." Mi manca il fiato. Si è accorto che mi piaceva! Non ho il coraggio di voltarmi, di guardarlo in faccia. Lui esita per un bel pezzo. Poi sbuffa. Si siede sul letto, mi tira su i calzoni e si mette a ridacchiare. "Ah, me lo merito proprio. Mi hai preso in giro!... Dì la verità, l'hai fatto apposta, vero?... Già, non era da te offendermi in quel modo. E bravo, angioletto tutto riccioli!" Mi scompiglia i capelli. "Proprio tu, il santarellino della compagnia, hai degli strani vizietti, eh? Chissà se i tuoi compagni sanno che razza di piccolo depravato sei!" Sto tremando come una foglia. Ho un disperato desiderio di nascondermi, ma non so dove. Sento la manona di Mylock premermi sulla schiena, la sua voce perde la sua ilarità e diventa improvvisamente seria. "Senti, ragazzo: devi proprio essere sconvolto per ridurti in questo stato. Voglio che dimentichi queste bizzarrie e ti dia una calmata, chiaro? E' sleale da parte tua approfittare del mio nervosismo. Tu non hai idea di quel che sto passando e di quanti problemi abbia sulle spalle. Non aggiungercene dei tuoi." Mi sento morire di vergogna. Lui fruga nelle sue tasche, mi prende la mano e ci mette dentro due pastiglie. "Al diavolo, speriamo che per stasera nessuno ci attacchi! Prendi questi tranquillanti e fatti una buona dormita. Mi sa tanto che ne hai un gran bisogno." Si alza e se ne va. Ed io resto inebetito a faccia in giù, sul letto sfatto. Nonostante abbia già fatto quest'esperienza, non ho ancora perso l'abitudine infantile di giudicare il prossimo dalla sua apparenza.
Il giorno dopo la tensione esplode: accade qualcosa che riesce finalmente ad infrangere tutto l'autocontrollo di Lady Isabel. Un dispaccio segreto la informa che un incendio è scoppiato proprio nel suo palazzo a Nuova Luxor. Il fuoco ha avuto un comportamento singolare, ha risparmiato tutte le strutture per bruciare in maniera selettiva il contenuto delle stanze, a dispetto di tutti i sistemi di sicurezza. Nessun dubbio sulla natura dolosa dell'incidente. Lei resta annientata dalla notizia. Scoppia in lacrime, esclamando: "Oh, no!... I ricordi del nonno!..." Mylock e la signora Yuriko sono costernati da quella reazione. Lei si lascia cadere sulla poltrona, la faccia affondata tra le mani, tremando come una foglia. Poi alza il viso congestionato, e singhiozza: "Presto, Mylock, fa' chiamare l'elicottero. Lo voglio qui entro mezz'ora! Yuriko, faccia i bagagli. Torniamo a Nuova Luxor!" Lui scatta sull'attenti. "Mi permetto di suggerirle di rimanere qui, milady..." "Risparmiati i suggerimenti!" esclama lei, fuori di sé come mai l'ho vista. "Sono riusciti a penetrare nella tenuta, vogliono distruggere le cose più care che abbia al mondo!..." "Andrò io a Nuova Luxor, milady." "Andremo tutti! Non ho intenzione di abbandonare la mia casa..." "Ed è proprio quello che si aspettano, non lo capisce?" intervengo io, con decisione. Tutti si voltano verso di me. Lady Isabel mi guarda con gli occhi velati di lacrime. "Che senso ha precipitarsi a Nuova Luxor adesso che il danno è stato già fatto?" continuo, freddamente. "E' chiaro che i nostri nemici sono penetrati nel suo palazzo alla ricerca dell'elmo dell'armatura. Non trovandolo, hanno distrutto quel che hanno potuto, forse per la rabbia, ma più probabilmente per preparare una trappola. Ora sono sicuri che lei non è a Nuova Luxor, e la stanno cercando! E lei vorrebbe gettarsi proprio nelle loro mani?" Lady Isabel respira affannosamente, abbassa lo sguardo. "Il ragazzo ha ragione," dice Mylock respirando profondamente. "E' meglio per lei restare qui. Abbia fiducia in me: andrò io a sistemare tutto, a vedere l'entità dei danni, a mettere in salvo le cose che le sono più preziose..." "Nemmeno lei dovrebbe andare," lo interrompo, seccamente. Mi guarda, indignato. "Che diavolo dici, scricciolo?!" "La trappola potrebbe funzionare anche per lei, signor Mylock. La conoscono. E sanno che sicuramente è a conoscenza del luogo in cui si trova Lady Isabel... assieme all'elmo dell'armatura." La duchessa alza gli occhi a me, ancora scossa. "Hai ragione... ma allora cosa dovremmo fare?" Sospiro."La cosa più difficile di tutte. Aspettare. Mancano solo cinque giorni al ritorno dei miei compagni. Ormai è chiaro che lei ha bisogno di una protezione molto più efficiente di quelle che ha avuto finora. Quando saremo riuniti potremo tornare in relativa sicurezza." "Al diavolo!" esplode Mylock, "Tu non capisci niente, Andromeda! Non possiamo abbandonare così la residenza di Alman di Thule! E' troppo importante per me, per milady... è la nostra casa! Fai presto a parlare di star calmi, tu che non hai niente da perdere a questo mondo..." "Mylock!" esclama Lady Isabel, alzandosi in piedi di scatto. Lo guardo, lasciando trasparire tutta la mia tristezza. Si, è vero, io non ho più niente da perdere. Ma questo non significa che non possa comprendere il dolore di chi ce l'ha e lo sta perdendo. "Nessuno ha mai detto che combattere una guerra sia una cosa facile," gli rispondo, a voce bassa. "E quanto sia vero questo... l'ho imparato proprio grazie a voi." "E allora combatti, guerriero!" sbotta Mylock, raddrizzandosi la giacca. "Sei stato addestrato proprio per questo. Io ho altro da fare. Vado a Nuova Luxor!" "Tu resterai qui," lo rimbecca Lady Isabel, la sua voce tremante e tuttavia decisa. "Milady!" protesta lui. Ma lei si volta verso di me, ricomponendosi. "Ti ringrazio, Shun: avevamo proprio bisogno di vedere le cose da un punto di vista più spassionato del nostro." Sospira. "Hai ragione, è meglio non sottovalutare i nostri nemici, e non farsi prendere dagli isterismi. Buttarsi a testa bassa in una trappola non è certo la cosa più saggia." Si passa una mano tra i capelli, si asciuga le lacrime con un fazzolettino. Le faccio un lieve sorriso, e lei risponde con un cenno affermativo. "Mi dispiace, milady, ma io devo andare comunque, trappola o no," insiste Mylock, con rigida dignità. "Ci sono delle cose che devono essere assolutamente fatte." "Ti proibisco di andar via. La questione è chiusa." "Va bene," mugugna lui. Ma il suo tono non mi convince affatto. Gira sui tacchi e se ne va. Io lo seguo, lo raggiungo nel corridoio deserto. "Signor Mylock..." "Che diavolo vuoi, scricciolo?" risponde lui, senza voltarsi. "Non faccia quello che vuol fare." Lui si gira, mi guarda torreggiando su di me. "Come diavolo fai a sapere quel che voglio fare?" Affronto il suo sguardo. "Lei vuol partire lo stesso. Lady Isabel non lo sa, ma io posso sentirlo." "Ma che bravo!" Si porta i pugni ai fianchi. "E allora senti questo: non posso vedere milady soffrire così. Ho un compito da svolgere, e al diavolo i miei rischi. Se vogliono prendermi, ci provino pure... ho ancora un buon destro. E se mi prenderanno, sta' sicuro che non dirò dove sta milady, nemmeno se mi strappassero le budella." Si irrigidisce. "Tu pensa solo a fare il tuo dovere, invece di godere delle disgrazie altrui, e piantala di mettermi i bastoni tra le ruote!" "Lo farò comunque. Dirò a Lady Isabel che lei intende disobbedirle." "Provaci, e io racconterò a milady e ai tuoi amici cavalieri i tuoi vizietti segreti." Arrossisco."Questo non ha niente a che vedere con la questione della nostra sicurezza!" Lui mi mette una manona sulla spalla, mi guarda da vicino. "Adesso basta, piccolo impiccione. Stammi alla larga, chiaro?" Perché non reagisco? I miei sensi affinati capiscono quel che sta per succedere... Eppure incasso un terrificante pugno nello stomaco, che mi lascia senza fiato. Scivolo in ginocchio, tossendo semisoffocato, sento comunque i passi di Mylock che si allontanano, e mi chiedo perché non l'ho fermato, perché mi sono lasciato abbattere così, come un birillo, io che sono un cavaliere. Forse perché tutto sommato ora rispetto quell'uomo.
La scomparsa di Mylock non migliora certo l'umore della casa. Lady Isabel si dimostra sinceramente affezionata al suo manesco aiutante, smette quasi completamente di lavorare, fissa il vuoto dalla sua poltrona, in preda all'angoscia. "Perché l'ha fatto?" si chiede. "In tutti questi anni non mi ha mai disobbedito!... E' stata tutta colpa mia, non avrei dovuto farmi travolgere dalle emozioni: questo deve averlo scosso duramente. Se n'è andato senza lasciarmi nemmeno un messaggio..." Alza il suo sguardo tormentato. "Non ho il coraggio di farlo cercare quando arriverà a Nuova Luxor, ho paura che così possano individuarlo ancor più facilmente." "L'esistenza di una trappola è una possibilità, milady," cerco di consolarla. "Non è detto che ci sia davvero." "Ma tu hai avuto perfettamente ragione, Shun... questa sarebbe la cosa più logica da fare! Ora i nostri nemici sanno che sono lontana, che l'elmo è con me. Avevo previsto che lo scoprissero, per questo nessuno, nemmeno alla tenuta, sa dove sono... credevo di essere stata abbastanza abile, e invece adesso Mylock ha rovinato tutto!" Taccio. Non le posso dire che la situazione è peggiore di quel che crede. Ci sono molte probabilità che qualcuno informi il Santuario della lontananza degli altri cavalieri: le scuole segrete dove ci siamo addestrati sono probabilmente tenute d'occhio. I nostri avversari sanno già quanto siamo vulnerabili in questo momento. Manca loro soltanto la nostra ubicazione per attaccarci. E mancano ancora quattro giorni all'arrivo dei miei compagni... Il giorno dopo Lady Isabel cede all'angoscia, contatta direttamente la sua tenuta, chiedendo notizie di Mylock. Ci rispondono che il suo elicottero è atterrato regolarmente, ma di lui non c'è alcuna traccia. Lei non si arrende, nonostante io le consigli di non perdere tempo: lo fa cercare per tutta la giornata. Tutto si rivela vano. Mylock è scomparso nel nulla. "Insiste ancora?" le chiedo, febbrilmente. "Devo farlo!" risponde lei. "Non posso abbandonarlo così..." "L'hanno preso, milady! E' inutile che aspetti la conferma." Lei mi guarda, smarrita, con gli occhi lucidi. Per un lungo istante un silenzio di tomba regna nella stanza. E poi la sua voce sale, appena percettibile: "Che cosa ne sarà di lui, Shun?..." Volto la testa. "Non lo so, milady. Forse non lo uccideranno, lo useranno come moneta di scambio per l'elmo dell'armatura... non prima di avergli estorto dove siamo." "Conosco Mylock. Non parlerà mai." "Non ne sarei così sicuro," ribatto io, recisamente. "Nè lui né tantomeno lei avete la più vaga idea di quanto il Mondo Segreto sia brutale." "Lo... tortureranno, vero?" La voce di Lady Isabel è piena di dolore. "Purtroppo credo di si," mormoro. "Mi trovo costretto a sperarlo: almeno così perderebbero tempo... anche se avrebbero a disposizione un metodo molto più rapido." Alzo la testa. "Prima di morire, Ikki ha parlato di un suo maestro al Santuario, che gli ha insegnato l'arte della manipolazione mentale. Quest'uomo potrebbe strappare a Mylock tutti i suoi segreti in un istante, con qualcosa di simile all'Illusione Diabolica." "Cosa consigli, allora?" mi chiede, con voce esausta. "Gliel'ho detto, milady. Dobbiamo prepararci al peggio. Se Mylock parla questo posto non è più sicuro. Almeno lei deve andar via da qui, e alla svelta." "E dove?" mormora, passandosi una mano sui capelli. "Ovunque, ma non qui!" "Bisogna che faccia chiamare un elicottero..." "Non ha un altro mezzo di trasporto un po' meno evidente? Un'auto?" "Qui non abbiamo automobili... né qualcuno che sia in grado di guidarle." Sospiro."Non mi sembra allora che abbiamo molta scelta." Lei annuisce, batte il messaggio sulla sua tastiera. Ma il suo dito esita sull'invio. "Se fuggo, condanno a morte Mylock." Un silenzio di tomba segue le sue parole. Ha perfettamente ragione. Se i guerrieri del Mondo Segreto lo porteranno qui per tentare uno scambio, e non troveranno ciò che cercano, uccideranno il loro ostaggio ormai inutile. Vado alla finestra, scosto la tenda. "Allora le decisioni mortali riguardano solo noi cavalieri, milady?" chiedo, con tristezza. "Non posso uccidere Mylock con le mie stesse mani," mormora lei, a testa bassa. "Potrei risponderle che si è ucciso da solo, facendo quel che non avrebbe dovuto fare. Ha messo a repentaglio tutti noi... e soprattutto l'elmo dell'armatura." Mi volto a guardarla. "Deve prendersene la responsabilità." "Proprio tu stai suggerendo di abbandonarlo al suo destino?" esclama, guardandomi indignata. "Come puoi essere così crudele?" "Crudele, io? Sto ragionando semplicemente come avrebbe fatto suo nonno! Non ha rischiato forse la vita di diciassette ragazzi per onorare la promessa fatta ad Aiolos? Cinque di noi, forse sette sono morti! Voi Thule siete passati sul cadavere di costoro per il vostro santo scopo, e adesso lei si fa degli scrupoli per Mylock?!" "Per lui è diverso! Ho vissuto tutta la vita avendolo al mio fianco..." "E allora adesso proverà lo stesso dolore che avete inflitto a noi! Anch'io ho vissuto sempre con Ikki, ma proprio in nome dei suoi santi scopi suo nonno non si è fatto scrupoli a separarci, ed io ero ancora un bambino!..." Lei ammutolisce, volta la testa. "Mi scusi," mormoro, respirando profondamente. Non serve a niente discutere del passato, è solo una puerile ripicca, tutto quel che posso ottenere così è solo farle del male e basta. "Mi ascolti, milady. Diceva di esistere solo per onorare la memoria di suo nonno. Come può farlo, tener fede alle parole di Mur... se lei e l'elmo del Sagittario restate qui a fare da bersaglio?" Lei tace a lungo, umiliata. E poi mormora: "Non ci sono altre soluzioni, dunque?... Dopo lo stadio, il mio palazzo, ora dovrei anche sacrificare Mylock per salvarmi?" E' sull'orlo delle lacrime. "La decisione è sua, milady." Incrocio le braccia e aggiungo, a voce bassa: "La prego però di considerare anche la vita della signora Yuriko e del cuoco. La loro esistenza non le appartiene." Lei resta a testa bassa, a lungo. Poi la sua mano va alla tastiera. E batte il tasto d'invio. "Grazie per avermeli ricordati, Shun," mormora, con voce appena percettibile. "L'elicottero li porterà in salvo." Mi guarda. "Io resto qui." Si gira e se ne va. "Che sciocca," mormoro appena. Eppure sento dentro di me che avrei fatto la stessa cosa.
Il giorno dopo l'elicottero arriva, e si porta via la recalcitrante servitù. Il cuoco giustamente si chiede come farà milady a mangiare, la signora Yuriko è inorridita all'idea che la sua viziatissima padrona sia costretta a servirsi da sola, e brontola a proposito di sconvenienze: una signorina assieme ad un giovane sconosciuto, è inammissibile! Rimaniamo così completamente soli, Lady Isabel ed io: una situazione per la quale Asher avrebbe fatto carte false. Io non ho il suo interesse sentimentale per quella ragazza (qualcosa in lei mi respinge decisamente, nonostante la trovi bella); però trovo ridicolo continuare a tenere le distanze tra di noi, e tento almeno di sopprimere il milady dai nostri discorsi. Lei non gradisce l'iniziativa e me lo fa prontamente capire. E' nervosa, e ne ha ben donde; ed a peggiorare la cosa intervengono i problemi logistici dovuti alla nostra solitudine. Lady Isabel non ha mai affrontato in vita sua una situazione simile, senza nessuno che scatti ai suoi ordini. All'inizio tenta persino di farmi fare il Mylock della situazione: di fronte al mio garbato ma fermo rifiuto, non trova di meglio che barricarsi nelle sue stanze, smettendo completamente di lavorare. Cessa persino di mangiare, non degnandosi di entrare nemmeno in cucina: è infinitamente schizzinosa, non le piace niente, e detesta che le cose non siano presentate nel giusto modo. Per pietà accantono il mio orgoglio di guerriero e porto sulla scrivania del suo studio del latte, ed un bicchiere di cristallo: che almeno si nutra un po' con quello! Povera ragazza troppo viziata, chissà se quest'esperienza le servirà per il futuro... Per me invece non ci sono problemi: con la vita che ho fatto ad Anthrâ posso sentirmi un re in ogni situazione. Non so cucinare, però saccheggio ugualmente la dispensa del cuoco, trovando delle cose che non ho mai assaggiato in vita mia; leggo le istruzioni del forno a microonde, e riesco così a nutrirmi più che egregiamente. Trovo anche la caffettiera americana tanto cara a Mylock, e tento di replicare la bevanda: tutto sommato adesso comincia a piacermi, e poi gradisco molto qualcosa di caldo che mi accolga quando torno dai miei giri di perlustrazione. Insomma, se proprio dovrò affrontare un combattimento, che almeno lo faccia con lo stomaco pieno! Tanto so benissimo che ormai ogni momento potrebbe essere buono per un attacco. Per questo ho deciso di indossare la mia armatura fino a quando non arriveranno i miei compagni. Giro per casa e nel parco in quella tenuta bizzarra, a testa scoperta e senza maschera, che ora non mi serve. Passo gran parte della giornata seduto in mezzo al prato, a gambe incrociate, in mezzo a una spirale doppia di catene, sondando febbrilmente l'universo delle energie attorno a me. Percepisco un senso cupo di minaccia, una calma illusoria nelle correnti cosmiche che preannuncia una tempesta. Ormai manca veramente poco all'arrivo degli altri, ma anche il pericolo è sempre più vicino. In che forma sarà? Quanti guerrieri arriveranno qui? Ci saranno cavalieri tra di loro? Ci sarà Mylock? Tenteranno lo scambio? E allora cosa farò? In fin dei conti l'elmo non è dei Thule, è di Athena... Non dormo quella notte: mi limito a riposarmi qualche ora sul divano, accanto al fuoco, defatigando la mente e rilassando il corpo come Nemesis mi ha insegnato a fare. Nemmeno Lady Isabel sembra dormire: la sento aggirarsi nervosamente per le sue stanze. Infine lei mi raggiunge nel soggiorno, va dritta al pianoforte verticale, un vero pezzo di antiquariato; si siede sistemando le pieghe della sua lunga gonna, apre il coperchio, si concentra e comincia a suonare, quasi con furia, con un'abilità che mi lascia stupefatto. E' un pezzo di musica barocca, ritmata, in chiave minore, che lei suona a velocità raddoppiata, le sue piccole mani che danzano sui tasti d'avorio, le sopracciglia corrugate, gli occhi chiusi. Poi, all'improvviso, picchia le mani aperte, traendo un accordo dissonante che rimbomba nel silenzio. E si ferma. "Gli altri cavalieri non arriveranno in tempo," mormora, a testa bassa, con una sicurezza che mi lascia stupefatto. "Come può dirlo?" le chiedo. "Manca solo un giorno..." "Siamo soli," insiste lei, "E dovremo affrontare il pericolo in questa condizione." "Ha paura?" le chiedo, con dolcezza. Lei chiude il pianoforte, sospira. "Non temo per la mia vita. Ma sono in una situazione terribile, che mi lacera dentro. Sono divisa tra il mio dovere inumano... e la mia umanità. Immagino che sia parte del fardello che ha portato mio nonno per così tanti anni. Poveretto!" Alza la testa. "Non credevo che sarebbe stato così difficile eseguire il mio compito. Mi ero illusa che bastasse organizzare quel torneo. Non avrei mai immaginato che avrei dovuto pagare un prezzo molto più alto... e che mi sarei trovata un giorno a scegliere tra la vita di un uomo... e la vita di tutti." Mi guarda. "Che cosa mi rispondi, Shun?" "Chiede il parere del Santo di Athena, milady? La risposta è che l'elmo di Aiolos è la cosa più importante, quella che dobbiamo proteggere a tutti i costi: la nostra vita non ha alcun valore rispetto ad esso." Esito. "Devo avvertirla: il mio dovere di cavaliere è impedire che l'elmo finisca nelle mani di chi lo vuole distruggere, e quindi... se lei intendesse consegnarlo in cambio di Mylock... in teoria avrei l'obbligo di ucciderla, prenderlo e tentare di fuggire." Lei diventa spaventosamente pallida. "E' lei che mi ha messo in questa situazione," aggiungo, cupamente. "Spero che ne sia consapevole." Unisce le sue piccole mani in grembo, respira profondamente. "Si, Shun. So benissimo che la mia scelta di restare qui è stata impulsiva, un azzardo. La logica ti dava ragione, avrei dovuto fuggire. Ma a volte la logica non è tutto. Posso avere tutti gli scopi del mondo, ma non abbandonerò mai un amico. In questo ammetto il mio fallimento davanti allo spirito di mio nonno." Mi guarda negli occhi. "Perdonami se ho messo tutto sulle tue spalle... compresa la mia vita." "Quel che è fatto è fatto, e lei aveva il diritto di decidere il suo destino." Mi alzo. "In questi ultimi tempi ho capito molte cose di lei, milady, e devo dire... che il suo coraggio mi ha sorpreso." "Non avrebbe dovuto. Perché io sono una Thule. Ed anche se non vesto armature, e non combatto con le armi in pugno... sono e sarò sempre una guerriera." Per un istante rammento intensamente Nemesis. Lei è una guerriera, non quell'elegante, minuta fanciulla in abito lungo, che in tutta la sua vita non ha mia alzato un dito da sola! Eppure, per una strana ragione, non mi sento di sorridere sulla sua affermazione.
Il giorno successivo trascorre in una calma mortale. Ma io sento intensamente la vicinanza del pericolo. I nemici sono qui, attorno a noi: ci stanno studiando, forse stanno aspettando qualcosa o qualcuno. Potrei andarli a cercare, ma preferisco restare vicino alla casa, in perfetto silenzio fisico e cosmico: il tempo gioca a nostro favore, spero che questa calma impensierisca i nemici, li faccia esitare un po'. Che siano loro a fare la prima mossa. Alla sera prego Lady Isabel di non accendere alcuna luce. Lei si siede sulla sua poltrona preferita, con l'elmo dell'armatura d'oro tra le mani, sospira profondamente e si prepara a passare la notte così. Ammiro la sua pazienza: non posso vedere se dorme o meno, ma resta immobile e tranquilla per tutta la notte. Io intanto bevo il caffè caldo che ho portato sulla veranda, lasciando libera la mente per affidarmi alla mia sensitività. La luce dell'alba, perlacea, si fa strada lentamente da oriente: il cielo è nuvoloso, forse nevicherà di nuovo. Sono stanco, ma tutto sommato ho riposato molto nei giorni precedenti, posso tranquillamente farcela ancora. Stranamente mi sento sereno e distaccato, pronto a tutto. So che ho quasi esaurito il mio compito... "Milady!..." Una voce stridula, da ubriaco, appena percettibile nel fruscio degli abeti. Mi alzo in piedi, di scatto. Sento dei passi affrettati alle mie spalle, la porta della veranda che si apre. "Mylock!" mormora Lady Isabel, correndo al mio fianco. Mi chiedo come abbia fatto a sentirlo da dentro la casa. Vediamo entrambi un uomo dai vestiti stracciati barcollare, uscendo dai cespugli. La sua testa calva è inconfondibile. "Milady, scappi!..." grida lui, "Si metta in salvo..." "Grazie a Dio, è vivo!" mormora lei. "Si dev'essere liberato da solo..." "Non ci speri," le dico, a voce bassa. Ed infatti un laccio scatta da dietro gli alberi del parco, e impastoia immediatamente le caviglie del povero Mylock, che cade a faccia in giù sul prato chiazzato di neve. "Hanno soltanto voluto mostrarci che lo hanno in loro potere, " mormoro. "Ora usciranno da dove si nascondono." Ed infatti, uno alla volta, dieci uomini dalle vesti arcaiche escono dal bosco. Tra di loro ce n'è uno anziano, con un bastone istoriato. "Adesso si chiuda in casa, milady," le dico, indossando la mia fascia frontale con la maschera. "Si barrichi dentro e non apra, qualunque cosa accada. Dobbiamo resistere fino all'arrivo di Seiya e gli altri." Lei mi guarda, stringendosi al seno l'elmo di Aiolos. "Buona fortuna, Shun." Ricambio il suo sguardo. "Ne avrò bisogno." Gli uomini del Mondo Segreto avanzano cautamente verso la costruzione. Si fermano di botto quando mi vedono. Si voltano quindi verso il più anziano, che mi studia freddamente, appoggiato al suo bastone. E' un uomo basso e tarchiato, con i capelli corti sulla nuca e due trecce lunghe sul petto: non è quindi un sacerdote, e tuttavia il suo bastone porta il simbolo della folgore: è un uomo di potere. Mylock alza a fatica la faccia dal prato, e geme, rivolto verso di me: "Salva milady, Andromeda... ti scongiuro!..." "Faresti bene invece a salvare te stesso, giovane cavaliere decaduto," dice l'uomo anziano, in greco. "In nome di Athena, ti ordino di lasciare il passo." "Chi sei tu che parli in nome della dea?" chiedo. "Non sei un sacerdote." Lui stringe le mascelle, batte il suo bastone a terra. "Non riconosci i simboli del mio potere? Io sono il Primo Ministro del Santuario, il tramite del Sacerdote Supremo di Grecia!" "Colui che ha giocato e tradito mio fratello, e che ne ha causato la morte," ribatto, "Non devo obbedienza a un uomo simile!" "Come osi dir questo dell'autorità suprema alla quale la tua vita deve essere dedicata?!" esclama lui, scandalizzato. "Osi accusare il tramite diretto della parola di Athena?" "Si!" grido, "Io l'accuso!... In nome di Phoenix!" Chiamo la mia energia, senza più alcun ritegno. Allargo le braccia e sento le mie catene sorgere, dipanarsi, scivolare tra le mie dita e tintinnare musicalmente attorno a me. "Ahhh... Phoenix." L'anziano sorride. "Qualunque cosa ti leghi a lui, dovresti sapere che un cavaliere non ha amici, né compagni, né famiglia. Ha solo un pensiero, un compito: quello di servire Athena. L'armatura del Sagittario appartiene al Santuario, ed il suo compito è salvaguardare il trono del Sacerdote Supremo. Per cui ti ordino di consegnarci quella ragazza che ha infangato il Mondo Segreto, e l'elmo che lei ha osato dissacrare." "No." Lui smette di sorridere. "Sei stato dichiarato decaduto, cavaliere, ma sappiamo che sei molto giovane... il cavaliere più giovane di tutto il nostro mondo. Sei stato ingannato e traviato, ma sei ancora in tempo a rimediare. Obbedisci, e saremo clementi con te " "Come lo siete stati con Phoenix?" Alzo le braccia, con le catene tra le mani. "Andatevene, finché siete ancora in tempo... prima che mi ricordi di chi è il sangue che vi sporca le mani!" Il Primo Ministro si irrigidisce. "Osi minacciarci, fanciullo?... Bene, come vuoi tu! Hai gettato via la tua ultima opportunità. Hai tradito l'autorità che ti ha fatto cavaliere, usi il tuo potere contro chi sei stato chiamato ad aiutare. Il tuo destino è segnato!" Muove il bastone, e due dei suoi uomini corrono precipitosamente verso la casa. Io muovo a frusta le braccia, abbandonandomi al mio controllo subliminale. Le mie catene intercettano i due colpendoli pressoché simultaneamente, facendoli crollare sanguinanti sul prato. "Finché ci sarò io a difendere questa casa, nessuno di voi potrà avvicinarsi." Nel silenzio, il Primo Ministro alza il bastone. "Tu sei soltanto un disturbo che ci affretteremo ad eliminare. Pyros!..." Un cavaliere esce dai cespugli, avanza tranquillamente verso di me. Mentre cammina, chiama la sua energia, e la sua armatura si accende di luminosi riflessi. Un brivido mi percorre la schiena. Lo immaginavo, era la cosa più logica che potevo aspettarmi... Un Santo della gerarchia mediana! Mi viene in mente l'ammonizione di Albyon... Ricorda che sei solo un bambino ai primi passi nel mondo dei cavalieri. Non affrontare mai un avversario con una consapevolezza cosmica maggiore della tua, o sarai distrutto... che tu abbia o meno l'armatura! E tuttavia è arrivato il momento in cui non mi è rimasta altra scelta che battermi. Per un istante fisso la linea delle montagne lontane. Tra di esse c'è il Suizhan, l'ultima dimora di mio fratello. Sembra proprio che il mio destino sia uguale al suo, e tutto sommato non potrei desiderare di meglio... ho resistito finora alla voglia di suicidarmi proprio in onore suo, perché sapevo che non mi avrebbe approvato, perché lui mi aveva mostrato la via. Combattere fino alla fine! Non ho più paura. Sono esilarato invece! La morte è così vicina adesso, ma non la temo affatto. Mylock aveva ragione, non ho più nulla da perdere a questo mondo. E nessuno certo mi rimpiangerà, salvo forse Albyon e Nemesis: ma loro due si amano, potranno consolarsi a vicenda. In quanto ai miei compagni, tutto sommato non mi hanno mai considerato un buon cavaliere; Hyoga, poi... lui non vede l'ora di sbarazzarsi di me. Non ho quindi più niente o nessuno a cui dire addio. Il cavaliere d'argento si ferma davanti a me. "Dichiara il tuo nome," mi ingiunge, secondo le regole. "Shun, cavaliere di Andromeda," rispondo, senza un tremito nella voce. "Pyros, cavaliere di Fornax," ribatte lui. "Arrenditi, e ti risparmierai inutili sofferenze. Sai benissimo che non puoi vincere." "Forse, ma ci proverò lo stesso." Chissà cosa ne penserebbe Ikki della mia spavalderia... Sento un cupa risata da dietro la maschera del mio avversario. "Provaci pure, dunque!... Ma mi chiedo come potrai riuscire in quest'impresa disperata, e nello stesso tempo difendere la tua infame signora!" Il Primo Ministro muove di scatto il suo bastone, e i guerrieri al suo comando si scagliano contro la casa, con un urlo di guerra. "No!..." grido, colto alla sprovvista. "Uno contro uno, dicono le sacre regole!" "E noi siamo uno contro uno," mi irride il cavaliere. "Gli altri guerrieri non hanno un cosmo, quindi non sono affar tuo." "Maledetti..." ruggisco, "Questo non è leale!" Già, ma che lealtà mi posso aspettare ormai dal Santuario? Ignoro completamente Pyros, per attaccare immediatamente gli assalitori: il mio compito è difendere l'elmo di Aiolos, non intraprendere duelli inutili! Muovendomi con la massima velocità possibile, riesco ad abbatterne un paio; ma il cavaliere d'argento è già sotto la mia guardia, mi ferma con un colpo devastante alla schiena: se non fosse per la mia armatura quell'impatto mi ucciderebbe all'istante, eppure so che è soltanto un attacco di prova, niente più di un colpetto amichevole sulla spalla. Rotolo a terra e mi rialzo, ignorando la reazione della mia armatura. Guardo verso la casa: gli uomini del Santuario stanno cercando di sfondare la porta e le finestre: ma sono blindate, ci metteranno del tempo, voglia Dio che Lady Isabel si sia barricata bene, che non faccia stupidaggini... non posso fare molto per lei, adesso! Prima devo sbarazzarmi di Pyros. Afferro le mie catene, ci metto dentro tutta la mia rabbia, la mia inebriante voglia di morire, mi lascio invadere dalla mia energia fino a sentire le mie cellule quasi esplodere dal dolore. "Ahhh... hai ancora intenzione di combattere!" mi dice lui, ironico. "Coloro che ti hanno istruito non ti hanno insegnato come devi comportarti con qualcuno più forte di te?" Dio, com'è sicuro del suo potere... anche troppo. Vediamo come se la cava con un attacco diretto! Nemesis sarebbe contenta di me, stavolta non ho alcuna esitazione a colpire per uccidere: del resto la mia situazione è già abbastanza disperata perché mi faccia degli scrupoli. Lancio una catena, muovendola a frusta: il suo sibilo mentre taglia l'aria è acuto come il grido di un uccello, il bersaglio è il collo del mio avversario. Un impatto del genere ucciderebbe sul colpo qualsiasi normale essere umano, ma io non spero che in una semplice immobilizzazione, in modo che la mia catena d'attacco abbia il tempo di scattare in avanti per colpire... Pyros alza fulmineamente il braccio sinistro, più o meno come mi aspettavo, fermando sul bracciale l'impatto della catena appesantita; fa questo senza la minima sorpresa o fatica. I miei muscoli partono nella sequenza di attacco, ma nemmeno i miei sensi riescono a vedere il suo colpo d'incontro... un'ondata di fuoco liquido che mi arriva addosso e mi investe in pieno. E' come se avessi ricevuto un'automobile in corsa in mezzo al petto. La mia armatura è al limite, ma resiste; quello che più sconcerta e spaventa è quel fuoco appiccicoso, che chiama paure ataviche: se non fossi così determinato mi spaventerei tanto da perdere il mio contatto cosmico. Salto via dalle fiamme, mi butto sulla neve e mi rotolo, per spegnere il fuoco prima che si attacchi alla mia veste da battaglia. Adesso capisco perché si chiama Pyros! Sento un acuto odore aromatico, evidentemente lancia delle sostanze chimiche, o qualcosa del genere. Lui mi guarda sogghignando, evidentemente divertito. "Sei sveglio, per essere un cavaliere di bronzo." Ora... non se l'aspetta! La mia catena d'attacco parte, come un'immensa falce che rade il prato e fa schizzare in alto la neve. Pyros si fa ingannare da essa e non si accorge che il mio bersaglio sono le sue gambe. Lo prendo alle caviglie, scatto in piedi, tiro la catena usando la mia energia cosmica - la forza fisica non mi basterebbe - e riesco così a farlo cadere. La sua risata si interrompe di colpo, si trasforma in un ruggito di rabbia sorpresa. Non mi illudo più di poterlo colpire mortalmente con la mia catena, l'unica mia risorsa è concentrarmi sull'energia difensiva della mia armatura, che ora è a contatto con la sua... Scarico tutta la mia potenza lungo la catena, che diventa bianca e luminosa come un lampo al magnesio. Ma quell'energia non arriva a destinazione: Pyros immette nella sua armatura un'energia pari alla mia, che la respinge. Non ho mai fatto un'esperienza simile! Capisco che il mio attacco rischia di rivolgersi contro di me: se lascerò andare il controllo quell'energia nemica mi investirà proprio attraverso la mia catena, e mi ucciderà! Mi immobilizzo, concentrato come mai lo sono stato in vita mia: devo vincere quel duello, a tutti i costi... Ma all'improvviso mi rendo conto che, mentre io sto mettendo tutto me stesso in quella mortale gara di tiro alla fune, Pyros ha altre energie in serbo: non gli interessa colpirmi subito, mi sta solo costringendo in una posizione passiva... Ed infatti, alzandosi in ginocchio e senza cedere di un soffio alla mia energia, riesce comunque a lanciare un attacco contro la casa. Il colpo arriva alla veranda, come un'esplosione. Il fuoco si attacca facilmente ai balconi di legno. Nel vedere la casa in fiamme perdo di un filo la mia concentrazione, e troppo tardi mi accorgo di cosa voglia dire quell'errore. L'energia di Pyros mi investe attraverso la catena. E' come se qualcosa divorasse i miei nervi da cima a fondo. Perdo ogni cognizione di spazio, tempo, corporeità, contatto cosmico... urlo la mia agonia, ed una voce dentro di me grida: Albyon aveva ragione, ecco il baratro che separa le gerarchie dei cavalieri! Tutta la mia abilità, tutto il mio addestramento, tutto il mio cosmo... non sono serviti a niente! Sento l'impatto della mia schiena contro qualcosa di duro e concreto... il suolo. Ascolto il suono stentato del mio respiro. Mi rendo a malapena conto di una sensazione lontana, un contatto sul mio viso. Qualcuno mi ha tolto la maschera. Apro a fatica gli occhi, vedo la faccia argentea di Pyros che mi guarda. "Ancora vivo!..." mormora, stupito. "Quale bizzarria della natura sei, per poter respirare ancora dopo che ti ho colpito?" Raccolgo il fiato. "Vigliacco..." riesco appena a sillabare. Con la sua potenza aveva proprio bisogno di quel trucco meschino, attaccare la casa per distrarmi! Lui si alza, getta la mia maschera con noncuranza. "Volevo vedere che faccia avevi, ragazzo. Mi ricorderò a lungo del tuo spirito combattivo e del tuo viso... anche se presto saranno entrambi cenere." Alza il pugno su di me. "Signore, puoi dire alla fanciulla che adesso abbiamo due ostaggi invece di uno." "Quell'impudente è comunque condannato," ribatte la voce dell'uomo anziano. "Però mi hai dato un'idea. Fa' che la sua sia una morte molto spettacolare... questo potrebbe scuotere quella pazza e convincerla ad arrendersi per salvarlo." "Come comandi, signore." Pyros grida degli ordini agli uomini, che smettono di forzare la casa. Li vedo correre, portando tutto quel che può bruciare, raccolto lì intorno: devono aver trovato la legnaia, perché formano in fretta un cerchio di materiale infiammabile intorno a me. Capisco con uno spasimo nel petto cosa vogliono fare. Bruciarmi vivo! Devo reagire, vincere il torpore dei miei nervi, a tutti i costi... Riesco a fatica a rialzarmi in ginocchio. Tutto è dolore in me. Faccio appena in tempo a vedere Pyros che lancia il suo strano colpo segreto sulla catasta che mi circonda, dandole fuoco. Gli uomini del Primo Ministro buttano nelle fiamme sdraio, sedie fatte a pezzi, foglie e rami secchi. Sono chiuso in una prigione di fuoco, un rogo che stringono a poco a poco verso di me. Il terrore mi attanaglia le viscere, sono troppo debole per scappare da quel supplizio: è chiaro, vogliono che io gridi, che attiri fuori Lady Isabel... la rabbia mi dà la forza di alzarmi in piedi: non hanno ancora capito con chi hanno a che fare! Mi va bene così, stanno soltanto perdendo del tempo prezioso. Lotterò contro questo fuoco, resisterò. E non per sopravvivere, ma per dar tempo ai miei compagni di arrivare. Che questi sciocchi si divertano allo spettacolo della mia morte, finché lasciano in pace l'elmo di Aiolos! Mi volto in tutte le direzioni: le fiamme mi circondano, crepitanti. Alzo la testa: mi sembra di essere chiuso in una cupola di fumo giallastro. Con la forza della disperazione genero un doppio giro di catene di difesa e le faccio roteare al massimo della velocità attorno a me, per disperdere quel fumo. Ma questo fa avanzare subito le fiamme verso di me. "Chiama la tua padrona, Andromeda!" grida Pyros. La sua voce quasi si perde nel crepitio delle fiamme. "Fa caldo lì dentro, vero?" mi irride. Gli uomini del Ministro gettano oggetti infuocati all'interno del cerchio in cui sono, ma io li allontano a calci. Respirare è sempre più difficile, mi rendo conto spaventato che l'ossigeno comincia a scarseggiare in quel cerchio mortale. Ed il tempo passa, inesorabile, mentre io lotto per resistere ancora un minuto, ancora un secondo... Il calore tremendo mi fa sudare, a rivoli. Il fuoco aumenta di furore, le fiamme si alzano fino a oltre tre metri, non ho idea di quanto siano spesse, le mie forze già provate mi stanno abbandonando. Nuovi tizzoni infuocati cadono accanto a me, ma io non li respingo più. Scivolo in ginocchio, lottando per non cedere al panico. Sto morendo soffocato, ma devo morire lucidamente, come ha fatto mio fratello. Il suo ricordo ed il suo esempio mi confortano. Come lui, raccolgo tutte le mie energie residue, e incendio il cosmo che è in me: non posso colpire i miei nemici, così uso quella forza della disperazione per mandare un urlo che scuota le percezioni dei miei compagni, un'invocazione cosmica, che facciano presto, che non rendano vano il mio sacrificio... *** Non ho idea di come cominci. Ho l'impressione di essere un corpuscolo informe, un minuscolo pianeta che sta attirando gravitazionalmente quel che lo circonda, ingrandendosi poco a poco. La mia consapevolezza si dispiega lentamente, come i petali di un fiore. Oooh... La meraviglia mi travolge. Il flusso di energia del cosmo! Non l'ho mai percepito così nitidamente. E' qualcosa in cui ci si può perdere, una canzone universale, infinite forme che nascono e muoiono come le bolle di schiuma su una spiaggia. Qualcosa mi disturba. Una domanda. Chi sono? Che cosa sono? E dove sono? Tutta roba che non ha senso in quello stato. Ma allora perché questi concetti mi sono familiari? Perché oso ancora dire io? In quell'universo fatto di un pizzo di energie, riconosco la materia. Anche quella è una forma di energia. Mi attira. Percepisco allora una forma familiare. Una testa due braccia due gambe. Rannicchiata in posizione fetale, avvolta in qualcosa che riconosco intimamente. Un'armatura. Quella forma è schiacciata da tutti i lati da una sostanza solida, irregolare, che alla mia percezione è pressoché trasparente. E' una crisalide inchiodata per sempre nell'ambra... Improvvisa, lancinante come una pugnalata di luce, arriva la rivelazione. Ma... sono io quella forma! Quello è il mio corpo! Vacillo dal terrore. Come faccio a vedermi? Da dove sto guardandomi?... Esiste davvero un aldilà, dunque? Fluttuo, confuso. Poi mi rendo conto di quel che è successo. No, questo non è un aldilà: il mio corpo è morto, ma la mia energia cosmica esiste ancora! Ma come faccio ad esistere in questo stato? La mia energia non è me stesso. Come faccio ad avere ancora un'identità? Qualcosa deve avermi rimesso insieme... Un dardo luminoso mi trafigge, ed io riconosco una sensazione già provata. Ecco cosa mi ha svegliato! Nel mio stato assurdo le energie sono più concrete delle rocce che mi schiacciano. Una di quelle energie mi chiama, pulsante come una ferita aperta: miliardi di stelle che spirano la loro forza perché solo un poco di essa arrivi su un grumo di pianeta. Qualcosa di insignificante sul piano universale. Qualcosa di tremendo sul piano umano. Quella luce mi acceca, è un grido di disperazione, un lamento di dolore ed insieme di gioia selvaggia, un'invocazione a cui non posso resistere. Riconosco quel misterioso, tenero e intensissimo cosmo: è di un essere che sta per morire... E che vuole morire, per ritrovarmi! Tutto il mio essere insorge. No, Shun! Che stupido! Ma dove crede che sia?! In qualche Nirvana, Elisio o inferno da preti?... Io sono qui, prigioniero delle rocce, in uno stato di non morte, non vita, un grumo di energia che lotta per non essere dissolto nell'infinito! Ora so perché mi sono rimesso insieme, perché esisto in questo stato. E qualcosa dentro di me, un istinto vecchio come l'universo, è già pronto; mi chiede soltanto la volontà di cominciare. Devo fare presto! Ritorno in quel corpo di pietra. E' orribile, perché la morte riempie la mia consapevolezza. Percepisco le costole sbriciolate, le viscere infrante, la schiena spezzata. Sono prigioniero di una statua, una mummia di fango, avviata alla decomposizione: un tetro tempio di vermi che una volta era un orgoglioso essere umano. Resisto all'orrore, all'impulso di fuggir via e disperdermi per sempre nel nulla: devo andare avanti! La mia particella cosmica comincia ad incanalare in quel cadavere energia... energia.... E' un'illusione, perché sono morto. Ma sento calore. Fuoco. Dolore. Dolore! L'armatura si illumina e si dissolve in energia bruciante. Il mio corpo rannicchiato si scalda, crepita, si accartoccia in una palla fumosa, rovente e nerastra, che si sbriciola, si sfalda. Contemplo inorridito lo spettacolo, da dentro e fuori di me. Mi sto distruggendo da solo, e tuttavia non riesco a fermarmi. Ecco. Non sono ormai che cenere sul fondo di una piccola cavità tra le rocce. Cenere. E sono libero! Mi alzo lieve e trionfante, un lampo di energia che spacca le pietre e le scioglie, nulla mi può fermare, sono luminosa, gloriosa luce più antica dell'universo... Sono la Fenice! Schizzo guizzando verso la scintilla morente che è Shun. La raggiungo volando attraverso un cielo che non ha senso per occhi mortali. Le mie ali di energia si posano su quel piccolo cosmo per proteggerlo, come un gigantesco uccello di fuoco sul suo nido. E quel cosmo sempre più esile mi sente, si leva esitante verso di me, staccandosi ancor più gioiosamente dalla vita. Oh Ikki, prendimi con te, portami via! Il dolore di quella voce interiore mi strappa la coscienza. Shun! Vorrei disperatamente toccarlo, abbracciarlo, stringerlo, dirgli che deve vivere, che io non sono morto... che qualsiasi cosa sia diventato, esisto ancora! Rimpiango con un urlo cosmico la mia fisicità perduta per sempre... Ed accade il miracolo inaudito di cui una volta Cuauhtlehuànitl mi aveva parlato, sottovoce, pieno di timore: Puoi essere una Fenice, ma solo una prova è definitiva per proclamarti tale. La rinascita! Il mio potere, obbediente, comincia a ricomporre non solo la mia armatura, ma anche il mio corpo, atomo per atomo, molecola per molecola, come se l'avesse memorizzato in un'immensa mappa cosmica nel momento in cui avevo indossato la corazza per l'ultima volta. Sono terrorizzato, sento qualcosa di orribile. E' questo che prova un bambino nell'utero e uscendo da esso? Ma il bambino non è consapevole, io si! Posso sentire il mio essere fatto di energia che si trasforma in ossa, e carne, e sangue, e visceri, e pelle viva... Urlare sarebbe troppo poco per sfogare lo strazio che provo, la follia totale che mi dilania la mente. Questa è la prova definitiva, la mia ultima, più atroce ordalia. Ma Shun ha bisogno di me, devo farcela per lui, devo tornare in questo corpo mortale, in questo mondo schifoso per lui! E finalmente spalanco gli occhi, urlo, sento il suono della mia voce, il grido di un neonato alla nuova vita. Vedo un turbine di energia che mi avvolge, la mia armatura rovente sul mio nuovo corpo, guardo il cielo squarciato su di me, sono stupito del mio stesso respiro... Sono vivo! Abbasso di nuovo lo sguardo. Gli imperativi del momento sovrastano la mia confusione mentale. Vedo del fuoco, un corpo ai miei piedi. Non c'è aria lì dentro, solo fumo vischioso. Reagisco istintivamente, come un animale: allargo le braccia, e scateno senza fatica un vento furioso che appiattisce le fiamme e le disperde. Allora raccolgo per un braccio quel corpo accanto a me e lo trascino fuori da quell'inferno, lasciandolo cadere in mezzo ad una chiazza di neve. Cado in ginocchio al suo fianco, alzo una mano per toccarlo di nuovo, per girarlo a faccia in su. Ma mi fermo: il bracciale della mia armatura sprizza scintille, sono carico di un'energia spaventosa! "Phoenix!" grida una voce di basso alle mie spalle, "Per tutti gli dèi... ma non è possibile!" Mi alzo barcollando, voltandomi verso quella voce. Chi ha parlato? Vedo una faccia conosciuta. Non so perché, ma suscita rabbia in me. Un piccolo uomo untuoso, che mi guarda trasecolato, gli occhi sbarrati. Evidentemente mi conosce. Infatti si ricompone prontamente, tende il suo bastone verso la porta di una grande casa mezzo bruciata. Seguo quell'indicazione e vedo una ragazza in lacrime, con qualcosa di dorato tra le mani, che mi guarda altrettanto sconvolta. "Benvenuto, possente Phoenix, favorito del Sacerdote di Grecia!" esclama l'ometto. "Ci avevano detto che eri morto, ma siamo lieti che sia stato un errore. Giungi in un momento propizio: guarda, l'elmo della Sacra Armatura è ormai nelle nostre mani! Con il tuo aiuto porteremo al Santuario non solo quel trofeo, ma anche le teste dei cavalieri ribelli, e tu compirai finalmente la tua vendetta." Ma di che diavolo parla, questo deficiente?! Grecia? Armatura Sacra? Vendetta? I miei ricordi deliranti si coagulano. Riconosco questo pomposo, intrigante nanerottolo. Non rammento il suo nome, ma ricordo benissimo le sue smancerie. Peccato per lui che ricordi anche cosa le ha seguite. Docrates, una risata di scherno. E la mia morte. Possente Phoenix. Alzo un braccio. "Che fai, cavaliere?" squittisce lui, spaventato. "E' lei che devi uccidere! Avanti, colpisci!" Lo faccio. Una lieve onda d'urto, sufficiente a sollevare quel pallone gonfiato e mandarlo urlando fin nel folto del bosco, un bel volo di una trentina di metri. Chissà se sopravviverà. Ma non me ne frega assolutamente niente. "Tu... hai osato colpire il Primo Ministro del Santuario?!" Mi volto verso il bel tipo in armatura che ha parlato, e che ora mi guarda esterrefatto. Ahhh... un altro cavaliere d'argento. Niente di meno, hanno mandato, per ammazzare mio fratello! Bene, che ci provi con me, adesso. "Sei un altro ribelle schierato contro il Santuario," mi dice, indignato, sentendo tutta la mia ostilità. "Dichiara il tuo nome, tu che osi sfidare un cavaliere mediano!" Glielo direi, se potessi. E gli direi cosa ne penso di un cosiddetto Santo di Athena che stava per uccidere un avversario a lui inferiore, senza pietà... un vigliacco schifoso che stava per bruciare vivo mio fratello! Ma non riesco a parlare, è come se avessi dimenticato come si fa. Sto ansimando, il furore dentro di me che minaccia di travolgere ogni mio controllo. Una luce cangiante si accende sui miei coprispalla, sulla maschera, lungo le code dietro alla mia schiena mentre il mio cosmo brucia minaccioso. Il cavaliere esita, colto alla sprovvista da quell'energia. "Chi sei, cavaliere?!" Non certo un semplice cavaliere di bronzo, per sua sfortuna. La sua armatura richiama energia, a contatto con la mia emanazione: sente il pericolo che incombe su di essa. Lui si scuote dal suo stupore, parte in una rapida e rabbiosa sequenza di attacco, un colpo di prova. Ma io colpisco a mia volta, creando un muro d'aria rovente che lo inchioda lì dov'è, mentre i suoi tirapiedi urlanti si disperdono in ogni dove. Lui si scioglie a fatica dalla sua posizione di difesa, mi guarda ansimando, evidentemente impressionato. Ci fronteggiamo per un lungo, vibrante momento. Finché una voce tonante non ci interrompe: "Shun! Resisti, stiamo arrivando!..." Dal bosco devastato saltano fuori, uno dopo l'altro, tre ragazzi con degli scrigni sacri sulle spalle. Questo sembra finalmente spingere il cavaliere d'argento a prendere una decisione. Mi lancia un'ultima occhiata, poi si volta verso il punto dove il vecchio è volato, e quindi grida ai suoi uomini sopravvissuti: "Presto, ritiriamoci!..." E se la batte, assieme ai suoi, sparendo tra gli alberi. "Ehi!" urla il più basso dei tre ragazzi, "Dove scappate, codardi schifosi?!" Fa per inseguirli, ma il suo compagno biondo gli grida: "Lasciali perdere! Dobbiamo innanzitutto raggiungere Shun! Potrebbe essere..." Mi vede, e si interrompe di colpo. "Ah, ce n'è rimasto uno!" esclama il ragazzo basso, affiancandosi a lui. "Bene, Crystal, tu va' avanti, che questo qui lo sistemo..." Tace anche lui, guardandomi a bocca spalancata. Il terzo ragazzo si avvicina ai compagni, e si ferma raggelato. "Per Athena, ma quello... è Phoenix!" I nomi di quei tre ragazzi balzano alla mia memoria appannata. Seiya. Hyoga, detto Crystal. Shiryu. I miei vecchi compagni di scuola... La mia armatura è quasi luminosa di luce propria. Sento l'energia che mi possiede fluttuare, so istintivamente che è un effetto della rinascita, un eccesso incontrollabile che pulsa assieme al mio cuore. Mi ci vorrebbe del tempo per riabituarmi a quel corpo, a quell'esistenza, ma non me ne hanno dato... ed ora che non c'è più pericolo imminente per Shun, è come se qualcuno mi avesse tagliato i fili. Mi sento vacillare, come se i miei sensi si alterassero secondo la pulsazione di quell'energia. "Non è possibile, non può essere lui," mormora Seiya, scuotendo la testa ad occhi spalancati. "E' morto davanti ai nostri occhi!" esala Crystal, rigido come un bastone. "Ma l'armatura della Fenice è immortale," interviene Shiryu, a voce bassa. "Non dire scemenze!" dice Seiya, mettendosi in guardia. "Questo non è di certo un nuovo cavaliere di Phoenix. Anche se ha la maschera, sembra tutto Ikki... stesso fisico, stessa pelle, stessi capelli! E siccome lui è sicuramente morto, questo dev'essere senz'altro un trucco schifoso come quelli che faceva lui. Avanti, togliamolo di mezzo!" Li guardo, vagamente inorridito. Aspettate, idioti, non attaccatemi adesso, non ce l'ho con voi... "No, Pegasus!... Fermati!" E' la voce della ragazza a salvarmi, acuta ma piena di autorità alle mie spalle. Vorrei girarmi a guardarla, ma non ce la faccio, mi sento come paralizzato. "E lei dove va con quell'affare in mano, ed un nemico davanti alla porta?!" tuona Seiya, paonazzo, "Torni in casa, e lasci noi a far piazza pulita!..." Ma lei va a mettersi coraggiosamente davanti a me, dandomi le spalle con sbalorditiva fiducia. "Non dovete fare del male a questo cavaliere!" esclama. "Chiunque sia, è apparso per aiutarci! Ha fermato i sicari del Santuario che stavano per uccidere Andromeda, li ha respinti e fronteggiati, vi ha dato il tempo di arrivare!... Non è un nemico!" "E allora cos'è, un fantasma?!" Già, cosa sono in verità? E perché all'improvviso c'è tutta questa confusione in me? Cosa sta succedendo al mio povero cervello?... Mi fischiano le orecchie. Mi ritrovo in ginocchio nella neve che si scioglie sfrigolando intorno a me. Che voglia di dormire... e che terrore di addormentarmi e scoprire che tutto questo non è che un incubo del dopo-morte... Un lungo momento di buio. E poi divento consapevole delle voci su di me. "Accidenti, è inavvicinabile!" "Ma le nostre armature sono quiescenti, quindi Lady Isabel ha ragione, non ci è ostile." "Che diavolo gli ha preso?" "Non lo so. Di sicuro non è del tutto incosciente, sviluppa troppa energia per esserlo. E' come se avesse perso il controllo su di essa." "E Shun? Come sta?" "E' vivo, e si sta riprendendo in fretta. Grazie a Dio, è molto più resistente di quanto sembra." "Diciamo piuttosto grazie a questo qui! Solo in punto di morte Shun poteva sviluppare tutta quella potenza per chiamarci. Saremmo arrivati troppo tardi." "Ed io non me lo sarei mai perdonato." "Tutto per colpa di Mylock!... Beh, almeno mi sembra che l'abbiano conciato per le feste, così impara a fare il cretino con il Mondo Segreto. Sta venendo qui, con Lady Isabel che lo tiene per mano." Una risatina nervosa. "Chissà cosa dirà vedendo la sua antica bestia nera ancora in circolazione...." "Seiya, smettila! Non c'è niente da ridere. Torno da Shun, e voglia Dio che si trovi una spiegazione a questo... fenomeno, prima che si riprenda. Non voglio vederlo turbato inutilmente." Passi che si allontanano, altri che si avvicinano. "Ehi... permalosetto, il russo, quando si tratta di Andromeda!" "Stavolta ha ragione, Seiya." "Non sono scemo, so benissimo che ha ragione!..." Quella voce trema. "Se faccio dello spirito, è perché sono spaventato più di tutti. Sono stato io l'ultimo a fare a botte con Phoenix, ogni istante di quel combattimento è nella mia memoria. Ho sfondato il suo torace con le mie mani, l'ho visto quasi spezzarsi in due per scagliare il suo ultimo colpo contro Docrates, l'ho visto finire sotto tonnellate di sassi. Dovrebbe essere tritato..." "Ma questo cavaliere sembra perfettamente integro." "E' Ikki, dunque?" La voce della ragazza, sottile. "Lei cosa si augura, milady?" "Che sciocchezza!... Piuttosto, perché non gli togliete la maschera?" "Ci provi lei, a toccare questa massa di energia instabile!" "Va bene." "Ma che fa?! E' matta?!... Dicevo per scherzare! Nessuno può toccare l'armatura di un cavaliere quando è attiva!" "Lo so, ma io posso toccare l'armatura del Sagittario, e anche aprirne lo scrigno. Quindi è evidente che per me questa legge non vale." "Non faccia la stupida... accidenti, no!" Sento un tocco di dita tremanti sulla mia maschera. La mia energia svanisce di colpo, acquietata come d'incanto. Provo un immediato, delizioso senso di pace. E poi la maschera si stacca, lasciando il mio viso. "Non ci posso credere," mormora Seiya con un filo di voce. "Ikki," annuisce Shiryu, nell'improvviso, denso silenzio. "E' proprio lui!" I miei occhi sono fissi, istupiditi: ma ora sembra che i miei sensi si siano stabilizzati, sono solo tremendamente stanco. "Gran Dio, ma com'è possibile?" si chiede Seiya, scosso fino alle lacrime. "Come può essere ancora vivo?!" Shiryu mi prende per le spalle, mi alza seduto, facendomi appoggiare al suo ginocchio. Mi sostiene e dice, con voce bassa ed emozionata insieme: "Non lo so, ma riconosco in lui quel che ho provato io, quando per ben due volte sono tornato dalle porte dell'Ade. Un grande... stupore, la fatica di vivere che assale i sensi. E' stato straordinario che si sia potuto battere in queste condizioni, ma questo da solo avrebbe dovuto dirci che era lui." Sorride. "Si è battuto per la vita di suo fratello." Mi avvicina un dito agli occhi, finché li chiudo. Allora mi chiede: "Ikki, sei cosciente?" Il mio sguardo si focalizza su di lui. Annuisco debolmente. "Ti ricordi di noi?" Ci metto un po' a controllare i muscoli della mia faccia, ma ci riesco. E sorrido, lievemente. Muovo lo sguardo. Incontro gli occhi lustri di Seiya, che mi fissano increduli e commossi. Poi quelli della ragazza, Lady Isabel, altrettanto lucidi. Ricordo di avere un conto aperto con lei, mi chiedo come reagirà ora che sa che sono proprio io. Ma lei mi sorride, timidamente. Sento un rumore di passi soffocati alle mie spalle, che si fermano. Shiryu alza la testa, guarda verso il nuovo arrivato e gli fa un cenno affermativo. Cerco di voltarmi, aiutato dal mio vecchio compagno. Vedo Crystal, in piedi davanti a me, a qualche passo, il corpo irrigidito. Mi guarda con occhi spalancati, il volto più pallido della neve. "Sei proprio tu!" dice, con voce sbalordita. Per un lungo istante ci guardiamo negli occhi. E finalmente lui accenna un lontano sorriso, abbassando lo sguardo. "Bentornato tra noi," mormora, con voce sorda. Respira profondamente, poi si allontana, per tornare dopo qualche istante tenendo tra le braccia mio fratello. Mi viene accanto e lo posa gentilmente davanti a me, sull'erba bagnata: un gesto pieno di dolcezza e quasi di rassegnazione. Quindi si allontana lievemente, mettendosi al fianco dei suoi compagni. Io non ho occhi che per la faccia pallida di Shun, sporca di fuliggine. Tendo le mani, quasi con trepidazione. Poi sfioro le sue tempie. E' vivo... lo sapevo già, ma dovevo sentirlo con le mie mani, dovevo assaporare la sua energia interiore per poter essere felice. E per poter essere vivo anch'io. Lui sussulta al mio tocco, la mia energia deve averlo svegliato. Apre gli occhi, mi guarda. Uno sguardo perso, svagato, dolcissimo. "Ikki," sussurra. "Fratello," riesco a rispondergli, esitante... la prima parola della mia nuova vita. Lui chiude gli occhi, a lungo, tanto che credo che sia svenuto di nuovo. Ma poi li riapre, li batte una, due volte. E quindi li spalanca, due immensi specchi di giada che mi fissano attoniti. "Ikki, non è possibile... non puoi essere tu!..." Alza una mano, a fatica. L'avvicina alla mia faccia, me la sfiora come per essere sicuro che io non sia un miraggio pronto a scomparire. Quindi si mette a tremare come una foglia. "Oh mio Dio, sto impazzendo..." singhiozza, chiudendo spasmodicamente gli occhi. "No," gli mormoro, con voce roca. "Sono davvero qui." "E' vero, Shun," interviene Crystal, con precipitazione. "Non stai sognando. Quel che vedi è la realtà... è ciò che vediamo anche noi." "Non è vero!..." grida, disperato. "Darei la vita perché lo fosse... ma non può esserlo! Mio fratello è morto, è morto!..." Povero ragazzo, è sull'orlo di una crisi isterica... "Shun, ascoltami," gli dico, chinandomi su di lui. "E' vero, sono morto. Ma tu mi hai fatto rivivere." Gli prendo la mano, gliela stringo con forza, e lui finalmente osa guardarmi ancora, con gli occhi pieni di lacrime. "Perché mi hai dato la forza... di essere ciò che sono veramente." Sorrido. "Stavolta sono finito lontano da te... molto più lontano dell'Isola Nera. La mia strada è stata più lunga della tua, ma come vedi, alla fine ce l'ho fatta. E finalmente ho adempiuto anch'io... alla nostra promessa di tanti anni fa." Per un lungo istante lui non respira nemmeno. Poi un tremante sorriso sfiora le sue labbra, le lacrime traboccano. "Ikki, se ricordi la promessa, allora... sei veramente tu..." "Si, sono veramente io." Raccolgo una delle sue lacrime con un dito, mi trema la voce. "E tu, cucciolo... non cambi proprio mai!" "Oh, fratello!" grida lui, folle di gioia disperata, e mi abbraccia con tutte le sue forze. "Sei vivo, sei vivo!..." Si mette a ridere tra le lacrime, sento l'esplosione calda e irresistibile della sua energia naturale che si unisce alla mia, ed io stringo furiosamente a me quel sacco di singhiozzi, ridendo come lui, esultando assieme a lui, ce l'abbiamo fatta, finalmente, siamo insieme, siamo tornati a casa!... Mi rendo conto che le lacrime solcano anche le mie gote, che tutti intorno a me sono commossi e contagiati dalla nostra felicità cieca, dal nostro entusiasmo. Persino Mylock, che interrompe il caldo silenzio che ci circonda per dire, con voce incrinata e solenne: "I nuovi Santi di Athena sono insieme, finalmente riuniti!" "Aspetta a dirlo," mormora Seiya, tirando su con il naso, "Forse Ikki è tornato per continuare la sua guerra, eh?" Tengo stretto mio fratello, ad occhi chiusi, e rispondo: "No, Pegasus. Perché quella guerra... non era affatto la mia."
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