VARIAZIONI SU UN TEMA DI MASAMI KURUMADA

(SAINT SEIYA)

di Hanabi, estate 1994

I personaggi di Saint Seiya sono proprietà di M. Kurumada/Shueisha.

 


CAPITOLO 2: "L'Addestramento" - parte terza

Quell'inaspettata lezione di sesso ha delle conseguenze notevolissime su di me.

Il giorno dopo mi sembra di essere un moribondo che sia rinato: mi sento leggero e allegro, e nemmeno il tetro e monotono paesaggio di Anthrâmatha riesce a deprimermi. Per la prima volta me ne infischio veramente del mio aspetto, sorrido quando sento i miei compagni salutarmi ironicamente:

"Salve, Andromeda!"

Scherzate pure, mi verrebbe da gridare, voi siete qui che vi accarezzate sui vostri letti inseguendo fantasie su Nemesis, io invece ho fatto l'amore con lei!

L'oscura sacerdotessa è magnifica nel trattarmi esattamente come se niente fosse successo. E' severa come sempre: supervisiona alcuni combattimenti di allenamento tra postulanti, e non risparmia critiche a nessuno, nemmeno a me... anzi.

"Vergognati, Shun!..." mi urla, inferocita, "Tecnica pietosa, concentrazione assente, se questo fosse un combattimento vero saresti già morto! Dov'è finito tutto quel che ti ho insegnato finora?!"

Redha è soddisfatto di aver riparato alla stranezza di essersi fatto battere da me una volta, e mi guarda trionfante. Io rispondo con un sorriso sfacciato, come per dirgli che non mi importa proprio nulla che mi abbia battuto. Mi rialzo, raccolgo le catene e rivolgo appena un'occhiata dolce alla mia maestra d'armi e d'amore.

La frusta di Nemesis si attorciglia fulminea intorno alle mie caviglie, lei dà uno strattone e finisco per terra. Non ho neanche il tempo di rendermi conto di quel che è accaduto, che una dietro l'altra cominciano a piovere frustate sulla mia schiena, così forti da ridurre quasi a brandelli la mia tunica e strapparmi urla di dolore.

Stavolta Nemesis fa sul serio...

Smette solo quando mi vede semisvenuto, mi afferra per i capelli, mi alza la testa e mi dice, soavemente: "Capita la lezione, fanciullo?"

Gli altri postulanti deglutiscono, pensando che quella sia la punizione per una prestazione mediocre. Io capisco invece la mia vera colpa, quella di aver rischiato di tradire il nostro incredibile segreto, dimenticandomi che Nemesis è ancora la mia maestra, ed io il suo allievo. Striscio umilmente al mio posto, con la schiena in fiamme, pensando che me lo sono meritato, e dandomi dello stupido.

Quella notte lei viene a spalmarmi di unguento tutte le strisce che mi ha inciso addosso.

"Non è per vederti fare il gradasso che ti ho levato la tua ingombrante verginità, stupido!" mi dice, finendo di medicarmi, e mi assesta persino un sonoro, materno sculaccione.

"Ahi!..." Stringo i denti. "Ti prego... non picchiarmi più!"

"E allora non sprecare i tesori che ci sono in te. E non credere che la disciplina si allenti. Casomai, ora pretenderò ben di più... per cui non costringermi a spellarti di nuovo, chiaro?"

"Si, maestra... chiarissimo!"

Un ultimo sculaccione sigilla la lezione.

"Bravo ragazzo," dice lei, con voce un po' meno severa.

Nonostante la debolezza ed il dolore che provo, non posso trattenermi. Mi alzo sulle braccia, mi volto e la abbraccio, mettendo la testa contro il suo ventre. Chiudo gli occhi e le accarezzo le cosce nude, sospirando:

"Però, maestra... mi hai fatto veramente tanto male..."

Lei esita, poi sento la sua risatina roca. "Ed ora vorresti essere consolato, vero?"

Mi insegna una nuova posizione, mettendosi sotto a me anziché sopra, visto che per un bel pezzo dovrò giacere bocconi anziché sulla schiena. Scopro con stupore che il dolore a volte può essere eccitante: l'idea di fare l'amore con chi mi ha picchiato a quel modo mi stuzzica in un modo che una volta mi avrebbe riempito di orrore...

Lei ride e mi dice:

"Mi sa che adesso tutto è buono per farti godere, piccolo depravato. Sei anche masochista!"

Mi deve spiegare il significato di quella parola. Io resto piuttosto scosso, perché sembra una cosa così peccaminosa, ma nonostante tutto non mi sento assolutamente in colpa. Allora le chiedo se lei si ecciti a frustarmi.

"A volte, lo ammetto... ma non quando lo faccio per correggerti sul campo di combattimento, dove un errore può costarti la vita!" La sento ridacchiare. "Però, se fossimo soli, e se fosse un gioco, e se fossi sicura che sotto sotto non ti dispiacerebbe... allora un po' più sadica lo sarei volentieri." Mi solletica la faccia con la punta della sua frusta. "Vuoi provare?"

"No!..." esclamo spaventato. Ci mancherebbe altro! Già mi sento addosso la febbre, dopo quel che mi ha fatto...

"Allora impara altri modi per soddisfarmi."

"Soddisfarti?" ripeto, stupito.

"Ragazzo mio, sei molto bello e molto ardente, e prometti bene... ma sei ancora un cucciolo inesperto."

Mi sento umiliato. Che stupido, ho creduto che lei godesse proprio come me. O meglio, devo ammettere, non avevo nemmeno pensato che lei avesse bisogno di godere...

Nemesis si rimette la maschera a malincuore, e mi concede di togliermi la benda perché io veda e sappia com'è fatto l'adorabile corpo femminile. A guardarla mi manca il fiato, è così bella! Spalanca le gambe davanti al mio naso spiegandomi cos'è quella strana cosa che vedo e che è così diversa da quel che ho io, e mi insegna cosa devo fare per farla contenta: il che assomiglia un po' a quel che lei ha fatto a me la prima volta.

Scopro la dolcezza di donare anziché prendere, e ci prendo un gusto quasi incredibile. Mi sento molto virtuoso mentre ascolto i mugolii di piacere di Nemesis, perché mi sembra di poterle ricambiare, almeno un poco, gli immensi favori che mi ha fatto.

La mattina dopo casco dal sonno, e sono più pesto e dolorante che mai, ma sono felice e sicuro di me. Nonostante lei mi abbia concesso un giorno di riposo, decido di dimostrarle il mio impegno e tento un'impresa segreta: mi concentro sull'energia cosmica e cerco di mandarla dove mi fa più male.

Ci riesco! Posso sentire le mie ferite guarire, quasi come se la mia energia stimolasse la rigenerazione delle cellule. E' forse la prima volta che controllo coscientemente il processo, e sono felicissimo, anche se lo sforzo di concentrazione mi rende inevitabilmente il peggiore in campo. Ma non sono rimproverato più del solito.

"Povera Nemesis," dice Saltius, "Si è stufata del suo allievo. Ormai è senza speranza."

"Incredibile come quel ragazzino sia ancora in piedi dopo la lezione di ieri!"

"Si vede che è così viscido che persino la frusta gli scivola addosso. Più la pulce è piccola e più è difficile schiacciarla!"

In alto, sulla terrazza del tempio, il solenne Gran Maestro osserva tutto, e probabilmente raccoglie questi lusinghieri commenti su di me. Ma non mi importa molto: sono così contento dei miei piccoli progressi nel regno dell'introspezione, che mi importa se risulto sempre il peggior guerriero dell'isola?

Vado sempre a meditare in solitudine, tutte le sere che c'è sereno in cielo, senza aspettare più gli ordini dei maestri. Ho avuto il mio primo contatto cosmico nel colmo della disperazione: ora che mi sento così sereno lo provo sempre meglio. Mi rendo conto che Nemesis non ha sciolto solo i vincoli della mia sensualità, ma anche i vincoli ben più forti e misteriosi che mi impedivano di esprimere la mia energia interiore. C'è in me uno strano parallelo tra erotismo e sensibilità cosmica, come se queste cose fossero intimamente correlate. Forse il mio miglioramento non è dovuto solo al senso di sicurezza che Nemesis mi ha dato, ma a qualcosa di più profondo. Non sono mai stato casto, è vero: in fin dei conti sono sempre stato un bersaglio di attenzioni erotiche, ed ho vissuto molto intensamente le mie esperienze sensuali, positive o negative: è questo forse il segno esteriore del mio talento misterioso, quello che mi ha fatto scegliere da Alman di Thule?

A volte, sul sentiero occidentale, incontro il mio maestro segreto, che si siede accanto a me e cerca di aiutarmi nei miei esercizi di meditazione. Gli rivolgo la domanda che mi circola sempre nella mente: come mai possiedo quel misterioso talento, proprio io che sono così inadatto a combattere?

"Combattere non è tutto nel destino del cosmo! Non c'è distruzione senza creazione. Tu senti il cosmo perché ami profondamente la vita. Forse che le stelle, le galassie o l'intero universo non sono vivi? Per te il cosmo è questo... gioia, bellezza, meraviglia di esistere. Non dimenticherò mai le tue parole..." Si interrompe.

"Quali parole?" chiedo.

"Non importa," dice lui, a voce bassa. E mi guarda. "Dimmi, piuttosto: sei felice?"

"Anche se può sembrare strano su quest'isola maledetta... si, sono felice."

"Lo vedo... posso quasi sentire la tua piccola energia cosmica danzare! E' come se tu... fossi innamorato."

"E' vero," confesso.

"Ahhh... l'antica forza dell'universo all'opera nel tuo bel corpicino!" sorride lui, "Non te ne vergognare, è una cosa meravigliosa. Non ti chiederò di chi, anche se la risposta è ovvia. Si vede proprio che siamo amici, eh? Siamo innamorati persino della stessa donna..."

Si mette a ridere quietamente. Mi chiedo se sappia fino a che punto amo quella donna. Ma non glielo rivelerei mai. Non è un segreto che mi appartenga.

"Su, avanti, riproviamo." Mi mette una mano sulla spalla. "Respira profondamente, guarda le stelle e concentrati di nuovo."

Gli obbedisco, sentendo la sua presenza confortante accanto a me.

"Bravo... lo senti, vero?" mi sussurra, mantenendo il contatto con me ad occhi chiusi. "Dirigilo verso le tue mani. Lentamente. No! Lo stai perdendo!..." Apre gli occhi, sospira. "Coraggio. Provaci di nuovo."

"Oh maestro, è così difficile!"

"No, per te no. Non devi aver timore di fallire. Rilassa te stesso. Guarda le stelle." La sua voce dolce e profonda si abbassa di tono. "Sii tu le stelle, senti il loro calore, il pulsare dei loro giganteschi corpi, che poi sono piccoli come atomi..."

Mi metto ad ansimare. Non riesco a resistere, è così estatica quella sensazione...

"Ehi, piccolo samurai... non devi fare l'amore con il cosmo, devi solo sentirlo!" dice lui, con la solita, benevolente malizia.

"Ma è così bello..."

"Ma anche tu, se continui a godere a quel modo sotto i miei occhi. Finirai per farmi commettere qualche sciocchezza!"

Per un attimo il mio cuore si ferma, sento uno strano calore al viso. Se solo il mio maestro segreto commettesse quella sciocchezza... se mi facesse riprovare la sensazione di quando mi ha accarezzato... se potessi sentire le sue labbra sulle mie...

"Ehi, hai perso di nuovo il contatto!" esclama lui, severamente. "Non era così bello? E allora a cosa diavolo pensavi?"

"Scusami," dico, arrossendo.

Ora che conosco il piacere del sesso, dovrei desiderare una donna; ed infatti la desidero... però niente mi impedisce di desiderare anche lui! Mi piacerebbe che fosse Ikki, ed in un certo senso è come se lo fosse. Non mi è sempre stato vicino nei momenti di sconforto? Non mi ha aiutato con tenerezza a sopravvivere in quest'inferno?

E poi qualcosa in lui mi affascina... qualcosa di fisico, intenso; ed anche il suo mistero, il fatto che conosca solo qualche tratto del suo viso, ma non il suo nome...

"Riproviamo," sospira lui, ostinato.

Mi concentro. In questo momento la massima soddisfazione per lui sarebbe vedermi riuscire. Non voglio deluderlo per l'ennesima volta!

"Ci sei," sussurra lui. "Ora le mani... lentamente."

Il controllo mi sfugge, ma stringo i denti: no! Non devo perdere la concentrazione!

Ed ecco che riesco di nuovo a imbrigliare il mio piccolo cosmo, a mandarlo verso le mani...

"Forza! Mettici tutta la tua volontà!" mi incita lui, col fiato sospeso.

Avvicino le mani, lentamente, fissando lo spazio tra di esse con occhi sbarrati. L'energia! E' tutta lì, tutta la mia vita, il mio amore, la mia forza...

Una luce più fioca di una lucciola si accende tra le mie dita, per poi subito spegnersi lentamente.

"Ahhh!..." sospira il mio maestro, quasi con sensualità.

Le mani mi tremano, sono scosso fino alle lacrime. "Cos'era... quello, maestro?"

"La manifestazione fisica del tuo cosmo interiore!" risponde lui con emozione. "La tua prima, piccola luce... che però ti può aprire le porte di un cosmo più vasto!" Mi abbraccia, con calore. "Grazie di avermi fatto assistere a questo piccolo, grande miracolo!"

"Oh, maestro..." mormoro, commosso, circondandogli il collo con le braccia. "Se non ci fossi tu... io non riuscirei a nulla!"

"Non è vero," mi sorride lui. "Non faccio altro che indicarti la strada, ma tu la percorri da solo. Sono molto orgoglioso di te!"

Sono così felice di sentirglielo dire...

Mi scompiglia i capelli e poi mi lascia.

"Però, piccolo samurai... sarebbe ora che tu usassi appieno la tua consapevolezza cosmica anche per combattere. Non puoi restare qui in eterno a contemplare la bellezza del cosmo... non se vuoi l'armatura di Andromeda!"

La mia felicità svanisce un poco.

"Non capisci che è per questo che Albyon ti perseguita?" insiste il mio maestro.

"Non ho paura di lui."

"Bugiardo!"

Mi sento avvampare. Ha ragione, come sempre... non posso vedere quella stola, quella maschera senza provare un tuffo al cuore, senza chiedermi spaventato quale cattiveria si prepari per me.

"Maestro," mormoro, "una volta sola ho usato la mia consapevolezza per battermi. Ho vinto tutti... e sono stato tremendamente infelice. Che soddisfazione potevo provare vedendo i miei compagni a terra, umiliati e battuti, che mi guardavano con risentimento, o peggio con odio autentico?"

"Nessuno di loro è mai stato tuo amico. Nessuno di loro ti ha mai risparmiato violenza o sarcasmi."

"Ma non sono cattivi... dentro di loro non lo sono affatto. Sono solo disperati perché si allenano qui da anni con fatica e dolore. E sono violenti solo perché hanno insegnato loro ad esserlo. I sarcasmi? Non sono che parole... ed io ormai mi sono abituato..."

"Non è vero, tu soffri quando ti lanciano i loro insulti gratuiti."

Respiro profondamente.

"E va bene, ci resto male. Ma non voglio odiarli per questo. Qualcuno deve pur interrompere questa catena perversa di cattiverie, o non finirà mai..."

"E tocca sempre a te farlo?"

Lo guardo, con tutta la mia innocenza. "Se nessun altro è in grado di farlo tranne me, perché dovrei tirarmi indietro?"

Lui sospira pesantemente.

"Sei commovente, ragazzo... forse l'unica cosa veramente bella di quest'isola, però bada: la tua bontà non deve essere un ostacolo al tuo destino. E se i tuoi compagni suscitano immeritatamente la tua pietà, pensa che se vuoi l'armatura dovrai batterti a livello ben più alto del loro..."

"Che vuoi dire?"

Lui cambia posizione, si rimette di fianco a me.

"Ascoltami. Forse la tua consapevolezza attuale, ben applicata al combattimento, ti può rendere imbattibile per tutti i tuoi compagni, che hanno passato il tempo a far muscoli anziché cercare il potere delle stelle. Ma non è sufficiente a salvarti dal più basso dei maestri, che per essere tale possiede più o meno la tua stessa consapevolezza cosmica... e non dimenticare Albyon!"

Mi sento rabbrividire. "Vuoi dire che... per diventare cavaliere dovrei battere lui?!"

"Certamente," sospira lui, e abbassa la testa. "Vedi, il tuo piccolo cosmo si è incamminato sulla stessa strada che ha intrapreso lui, anni fa. Albyon è arrivato al termine della strada. La sua energia interiore è la più grande possibile... ma non è completa. Qualcosa gli manca, una sensibilità aliena da lui, gli manca... l'altra faccia della stessa energia che manipola." Rialza la testa. "Solo il cavaliere potrà batterlo... solo colui che avrà in sé il cosmo completo. Chiunque si ostinerà a rimanere sulla strada imperfetta che lui occupa ora, sarà spazzato via."

E mi guarda, con angoscia.

"Devi far presto a crescere," mormora, "potrebbe essersi già accorto di te."

***

Nemesis viene a trovarmi anche quella notte, come ha già fatto altre volte... un rito ormai così assiduo che non riesco più a prendere sonno, ma aspetto trepidante il suo arrivo. Lei mi benda come al solito e si spoglia, facendomi poi tuffare nella meraviglia del suo calore femminile. Ormai ho imparato a fare l'amore con lei, non a farmi semplicemente violentare, e mi sento meravigliosamente virile, mi sembra di essere un uomo adulto con la mia donna, non un giovane allievo con la sua maestra.

"Ti amo, Nemesis," le mormoro, dopo il piacere squisito che ci siamo procurati a vicenda.

Lei mi chiude la bocca con la mano.

"Non dirlo."

Bacio la mano che mi preme sulle labbra, la solletico con la punta della lingua fino a farla ritrarre. "Perché?"

"Che puoi saperne tu dell'amore? Non sei che un ragazzino appena sedicenne. Quel che provi per me è solo desiderio sessuale."

"Non è vero. Darei tutto per te. Morirei per te. Non so se l'amore a cui ti riferisci sia diverso da questo, ma io... non ho altro modo di amare che questo."

"Ed è così che ami il tuo adorato fratello? E' così che ami... il mio uomo, anche?"

"E' diverso..."

"Diverso solo perché non sei ancora andato a letto con loro."

La sua amarezza mi lascia sconcertato.

"Non osare parlarmi d'amore," mi dice, con voce dura. "Quel che ho fatto è stato solo aprirti una scorciatoia per aumentare il tuo livello di consapevolezza. Il cosmo di Andromeda richiede una maturità che tu non potevi avere, per quanto fossi stranamente precoce. Il dolore ti ha fatto crescere in fretta, ma il piacere ha fatto di più: ti ha reso un uomo. Ora sento il tuo potere che cresce ogni giorno, e farei qualsiasi cosa, qualsiasi, pur di aumentarlo..." Mi prende le mani e me le stringe con forza, la sua voce è quasi disperata. "Tu non sai quanto voglio che qualcuno tolga finalmente Albyon dal suo maledetto trono, e lo riporti al livello di un essere umano!..."

Lascia le mie mani, la sua voce si rattrista profondamente.

"Tu sei strano. Sei diverso. Ho sempre sentito, vagamente, il cosmo che covava in te. Ti ho considerato uno strumento del destino, ti ho avuto bambino nelle mie mani e ti ho addestrato con pazienza e tenacia, crescendoti ed accudendoti a costo di mancare a tutti i miei voti di sacerdotessa-guerriera. Giorno dopo giorno ho imparato a conoscerti, ed ho scoperto che eri ben più di un fanatico guerriero da mandare probabilmente al macello..." China la testa sulla mia spalla, e mormora con voce rotta: "Tu sei un essere meraviglioso, Shun, e meriteresti davvero di essere amato. Non farmi dunque vergognare di ciò che ho fatto con te e di te, parlandomi d'amore. Io ti sto semplicemente usando. Per il mio futuro, per la mia gioia... e per il mio piacere..."

L'ultima parola è quasi soffocata.

Io sento il suo dolore. Mi percorre attraverso la pelle come quando sento invece la sua gioia, la sua eccitazione. La abbraccio e le rispondo:

"Non devi vergognarti, Nemesis. E' tuo diritto usarmi, in fin dei conti ti appartengo. Sono vivo grazie a te, ti devo tutto. Quest'isola è un inferno, ma tu mi hai dato ben più di un addestramento... sei stata la mia amica e la mia compagna. Hai distrutto le mie paure del passato, mi hai dato pace e sicurezza, ed il piacere che hai provato tu l'ho provato anch'io... e forse più di te." Sospiro. "Può darsi che tutto quel che hai fatto per me sia fatica sprecata, che il piccolo cosmo che tu ed il tuo compagno mi avete aiutato ad ottenere non sarà sufficiente a farmi vincere l'armatura... ma anche se dovrò morire per questo, almeno me ne andrò avendo provato anche la dolcezza della vita, e non solo il suo dolore. Di questo, Nemesis, te ne sarò eternamente grato."

Lei non risponde, sento solo un lieve tremito delle sue spalle. Silenziose, le sue lacrime calde mi scivolano sul collo

.

***

Alla fine di un giorno di esercitazioni estenuanti, sotto un sole più spietato che mai, veniamo tutti convocati davanti al tempio, al campo dei combattimenti, e ci dicono di portare le catene.

Pensiamo subito ad una sessione di duelli, ed io mi sento tremare: non ho voglia di battermi, o meglio, di essere battuto...

Ma non troviamo le armature di cuoio ad aspettarci. E del resto tutto sembra muoversi con una coreografia diversa dal solito. Ci sono tutti i maestri, schierati in cerchio, ed il campo è stato preparato con tre cumuli di pietre ad altezza d'uomo, tre bersagli presumibilmente. Sulla terrazza del tempio, in piedi, ci aspetta il Gran Maestro con la solita veste, la solita maschera impassibile e la solita stola ondeggiante.

Ci inchiniamo davanti a lui, e ci chiediamo cosa mai voglia dirci di così importante.

Egli prende un vetusto bastone e lo conficca in uno dei fori scavati nella roccia alle sue spalle: un arcaico calendario, come Nemesis mi ha spiegato una volta. Poi si volta di nuovo verso di noi.

"Postulanti di Athena!" esordisce, e la sua voce risuona per tutta la piana, riflessa dalla cavità acustica della pietra dietro a lui. "Tra un mese lunare ci sarà l'alba eliaca di Andromeda. La costellazione a cui è sacra quest'isola sorgerà assieme al sole. Un'occasione celeste adatta per la Prova Suprema!"

Ammutoliamo tutti. La tremenda, inappellabile conclusione dell'addestramento che tutti paventavamo... tra ventotto giorni!

"Il postulante più giovane è qui da quasi cinque anni," continua Albyon, "Il più anziano da più di otto. Avete avuto tempo a sufficienza per dimostrare il vostro valore. E' tempo ormai che il vostro destino si compia."

Fa un gesto, e dei sacerdoti lo liberano dalla veste e dalla stola.

"Ventotto giorni sono un'eternità. Affinché sappiate a cosa prepararvi, e affinché anch'io sappia chi sono coloro che aspirano veramente all'armatura, vi mostrerò un esercizio dell'Arte Sacra. Vi ordino di guardarmi e di ripetere, uno alla volta, quel che farò io."

Sparisce all'interno del tempio per poi uscirne dall'ingresso, mostrando la muscolosa perfezione del suo fisico, solitamente nascosta dall'ampia veste sacerdotale. E' l'uomo che più temo nell'universo, eppure qualcosa nella sua bellezza mi turba un poco...

Prende le sue catene che un maestro gli porge, si mette in posizione in mezzo al campo, tra i bersagli. Respira profondamente, ho quasi l'impressione di sentire l'energia cosmica che si accumula in lui.

Ed ecco che comincia un'esibizione da lasciare a bocca aperta.

Lancia la catena di difesa con un movimento del polso ed essa cade a terra a qualche metro da lui. Egli piroetta rapidamente in modo che la catena disegni a terra una spirale, con lui nel mezzo. Un colpo quasi noncurante di braccio, e un'onda comincia a percorrere la catena, che salta come una cosa viva. Altri impulsi la fanno letteralmente danzare, un muro tintinnante si forma intorno a lui...

"Difesa bassa," dice, senza alcuno sforzo apparente nella voce.

La sua mano si alza, la catena si stacca dal suolo e comincia a turbinargli attorno mantenendo intatta la forma a spirale. Quasi non si sente tintinnare, è come una cosa solida! Si sente solo il sibilo dell'aria tagliata da essa.

"Difesa a spirale."

Un gesto apparentemente quieto del polso destro gli porta in mano il peso triangolare della catena di attacco. Il braccio destro scatta a frusta, e la seconda catena schizza come un lampo, colpendo un bersaglio. Un altro movimento, ed il peso ritorna quasi magicamente ai suoi piedi; con un calcio se lo riporta in mano, pronto per colpire di nuovo.

"Attacco coperto."

Per tutto questo tempo la mano sinistra ha continuato a far girare la catena di difesa, come se fosse indipendente dal corpo. E l'attacco è stato lanciato con un tempismo perfetto per non far toccare le due catene!

Lui ripete il miracolo colpendo tutti i bersagli. Poi si ferma, la catena di difesa ricade a terra tracciando di nuovo una spirale.

Noi siamo rimasti senza fiato.

"Avete visto?" ci chiede, tranquillamente. "Fate lo stesso... o tentate di farlo."

Raccoglie le sue catene e torna dai maestri, che lo rivestono devotamente e pettinano la sua sterminata coda di capelli. Poi rientra nel tempio, per riapparire alla terrazza, dove hanno messo un seggio regale per lui.

"Dio mio!..." mormora Redha, impressionato come tutti.

"E' impossibile per noi," dice un altro, e sono d'accordo con lui. Come può Albyon credere che si possa ripetere quella perfezione, e con la stanchezza di una giornata sulle spalle?

Ma è un ordine, e dobbiamo obbedire. Uno alla volta, chiamati dai loro maestri, i postulanti vanno in mezzo ai bersagli e tentano. I risultati sono penosi, ci verrebbe da ridere se non sapessimo che dovremo tentare tutti quell'impresa. Alcuni si fanno anche molto male con le catene che manovrano, e che scattano impazzite ad ogni errore: l'esercizio sembra fatto apposta per punire chi commette anche il minimo sbaglio.

Io penso alla Prova Suprema, alle parole angosciate del mio maestro. Albyon dunque ha deciso di farla finita con un potenziale concorrente al suo trono della consapevolezza cosmica? O ci sono altri tra i postulanti che la possiedono più di me? Non sembra proprio: nessuno sta facendo bella figura, sul campo...

Ma io potrei. Non ci sono avversari, solo pietre da abbattere: quindi nessuno scrupolo di coscienza: sarebbe bello che Albyon mi vedesse finalmente usare la consapevolezza cosmica a livello cosciente!

Cerco pertanto di concentrarmi sui movimenti che gli ho visto fare: ho memorizzato la sequenza dei suoi gesti, li ripasso mentalmente nei miei muscoli. Penso a Nemesis, alle sue violente parole contro quell'altezzoso Gran Maestro, che lei sogna di abbattere dal suo trono. E le dico silenziosamente: Sarai fiera di me quest'oggi! Cercherò di dimostrare ad Albyon quanto vali come maestra, e quanto vale quest'allievo che ha sempre maltrattato...

Ecco, finalmente tocca a me!

Prendo le mie catene, mi alzo pieno di tensione, pronto per tentare la mia impresa. Mi porto al centro del campo, e comincio a concentrarmi...

"Che ci fai tu in mezzo al campo, ragazzo?"

La voce sferzante di Albyon interrompe la mia concentrazione. Alzo la testa e lo guardo, stupito.

"Maestro... eseguo i tuoi ordini..."

"Ah! Ma i miei ordini non riguardano un bambinetto che in quattro anni non ha ancora imparato un attacco decente. Ho un'altra grande impresa in serbo per te." Posa le mani sulle ginocchia e si sporge in avanti, la sua maschera mi fissa con la sua non-espressione odiosa. "Ai piedi della cascata c'è il carro con tutte le stoviglie da lavare. Prendi sabbia e stracci, e dai il massimo di te stesso!"

Per un istante un silenzio irreale cala sul campo. Le parole sarcastiche del Gran Maestro hanno davvero sorpreso tutti i presenti. Vedo un movimento tra i maestri: è Nemesis, che ha fatto un passo avanti, stringendo spasmodicamente la sua frusta... il suo petto si alza e si abbassa rapidamente.

Ma tace, come tacciono tutti del resto, aspettando la mia reazione a quell'incredibile, terrificante insulto.

Sto tremando, sull'orlo delle lacrime. Albyon dà un'occasione a tutti, dunque... ma a me no! Non mi lascia nemmeno tentare, mi manda invece a lavare i piatti come uno sguattero, dopo tutto quel che ho faticato per allenarmi, dopo tutta la mia preparazione mentale, dopo tutto il lavoro di Nemesis su di me...

"Ti ho dato un ordine," dice minacciosamente, vedendomi esitare. "Intendi disobbedirmi anche stavolta?"

Mi sento come se mi avesse sputato in faccia davanti a tutti, e quel che non credevo nemmeno di avere, il mio orgoglio, mi brucia nel petto peggio di una ferita. Ma non è ancora tempo per me di battermi contro di lui, anche se forse stavolta lo attaccherei davvero con tutto me stesso. Devo invece trovare la forza di accettare anche quell'umiliazione. E non mi è mai costata tanta fatica in vita mia...

Respiro profondamente, raccolgo le mie inutili catene, mi inchino e dico, con voce soffocata:

"Come desideri, maestro."

"Allora sparisci. Chi è il prossimo?"

Esco mestamente dal campo.

I miei compagni sogghignano, sento una voce che dice: "Il Gran Maestro ha finalmente trovato la tua vera vocazione, Andromeda!"

"Si," fa eco quella di Saltius, "La massaia!"

Una risata scrosciante segue quella battuta feroce. Io me ne vado a testa bassa, senza avere il coraggio di guardare in faccia nessuno, e aspetto di voltare l'angolo per appoggiarmi al bassorilievo di Andromeda e mettermi a piangere di rabbia impotente e di umiliazione.

Perché, Albyon?!... Perché non la smetti di perseguitarmi così? Che male mai ti ho fatto per meritare tutto questo? So che mi ucciderai tra un mese, ma perché svergognarmi così davanti a tutti i miei compagni, e davanti ai miei maestri?... Non ho passato questi quattro anni a soffrire, a lottare, a sopravvivere per essere messo a lavare i piatti...

Mi asciugo le lacrime, mi decido ad andare ai piedi della cascata fumante, dove perlomeno non c'è nessuno: tutti infatti sono intorno al campo dei combattimenti. Come Albyon ha detto, il carro mi aspetta. Pile di ciotole, tazze, cucchiai, coltelli e pentole: c'è tutto il servizio dell'intera isola, tempio compreso!

Meno male che sono da solo, non sopporterei l'umiliazione ulteriore di aver qualcuno che mi guarda. Poso le mie catene prima che la rabbia che provo mi spinga ad usarle su quel cumulo di stoviglie: forse è proprio questo che Albyon si aspetta da me, tanto per avere poi un altro pretesto per punirmi. Fisso torvamente quel nauseante ammasso di terraglie: sono stanco morto e l'ultima cosa che vorrei fare è lavarle, specialmente mentre i miei compagni danno dimostrazione della loro abilità sul campo, e si fanno beffe di me...

Prendo la prima ciotola dal mucchio e faccio per buttarla in qualche modo nell'acqua. Ma mi fermo di scatto.

Qualcosa si muove sul fondo della ciotola. Guardo meglio. E' un insetto... una formica!

"...Ciao!" mormoro, stupito, restando lì immobile con la ciotola in mano.

E sorrido.

Formiche su Anthrâ! Altri esseri viventi che si ostinano ad abitare questo immondo mucchio di pietra basaltica e cenere vulcanica... Guardo commosso quella piccola creatura che cerca di sottrarre un frammento di cibo per il suo nido. Non ha in mente armature sacre, o lotte cosmiche, lotta semplicemente per la sopravvivenza, per il domani che non è ancora arrivato e che potrebbe non arrivare mai...

In che cosa dovrei essere diverso, io?

Poso delicatamente la ciotola. Ho dimenticato un po' il mio dolore interiore. E' così bello vedere che la vita è dappertutto, che niente, proprio niente in questo universo è veramente sterile! Fisso quell'esserino che trascina mezzo chicco di grano, scavalcando sassi che gli sembreranno montagne, perdendo il suo bottino e ostinatamente raccogliendolo; e penso che anche una formica può dare una lezione di semplice dignità, anche nel più umile dei lavori, purché sia fatto con il giusto spirito.

Mi sento nuovamente in armonia con il mondo, e posso liberarmi dal mio stupido risentimento verso Albyon: ma si, mi ha messo a lavare i piatti, forse ha fatto bene se è quel che posso fare meglio nella vita, piuttosto di lottare contro i miei compagni o inseguire vane vittorie, tanto tutto finirà tra ventotto giorni... perché preoccuparsi adesso di fare bella figura?

Mi ha ordinato di dare il massimo di me? Come vuole. Farò le cose per bene, come mi ha insegnato questa piccola formica. E senza lamentarmi.

Mi tolgo le protezioni ai polsi e le fasce alle mani, mi lego i capelli dietro alla nuca, impilo con cura tutte le stoviglie, le pulisco ammucchiando tutti i rimasugli di cibo in un angolo per le mie piccole amiche, prendo l'acqua calda della cascata e comincio a strofinarle con la sabbia, fino a tirarle a nuovo, una alla volta, con pazienza e attenzione, godendo la serenità di quell'umile lavoro manuale.

Il sole scende ed io sono ancora lì, sudato e affaticato, con le ginocchia che mi fanno male a furia di stare chinato a lavare e strofinare. Ma ormai ho quasi finito. Ho persino ordinato le stoviglie pulite con buona grazia sul carro, dopo aver lavato anche quello. Albyon non potrà dire che non ho eseguito a puntino i suoi ordini.

Mi rialzo, finalmente. Guardo il cielo e vedo i colori smaglianti del tramonto. Il silenzio mi circonda, non c'è nessuno nei paraggi, le esercitazioni sono finite da un pezzo. Il vento tiepido mi accarezza e scopro che persino su Anthrâ esiste la bellezza. E' come se avessi un'esperienza di contatto cosmico, senza bisogno di concentrarmi sulle stelle....

Ormai il mio lavoro è finito, sono libero. Mi fascio nuovamente le mani, mi allaccio le protezioni, e raccolgo le mie catene. Di nuovo mi guardo intorno: non c'è nessuno.

Posso provare a fare ugualmente l'esercizio che Albyon ha imposto ai miei compagni. Non per lui, ma per me stesso. Per Nemesis. Per il mio maestro segreto. Per mio fratello Ikki. Per tutti coloro che amo.

Preparo tre bersagli come quelli che c'erano nel campo dei combattimenti. Mi metto in mezzo ad essi, chiudo gli occhi e mi concentro con una facilità incredibile...

La mia energia brilla dentro di me. Sussurro il mio "Via!" quasi con dolcezza, ed ecco che i miei muscoli si mettono a danzare da soli, in una replica perfetta dei movimenti di Albyon. Non c'è vero e proprio controllo cosciente: nello stato di iperconcentrazione raggiungo una felicità estatica semplicemente rimirando i miei stessi movimenti e sentendo l'assoluta assenza di sforzo o fatica. La mia catena di difesa si mette a saltare gioiosamente, proprio come se avesse una vita propria, poi si alza a spirale... un esercizio che non mi era mai riuscito. Mantengo la posizione per un tempo senza significato, poi attacco. Colpisco il bersaglio senza rendermene conto, perché non era per esso che avevo lanciato la catena... sono così sereno e distaccato, che non mi importerebbe sbagliare. Ma non sbaglio, nemmeno una volta. Mi fermo alla fine e guardo stupito il disegno a spirale delle mie catene, a terra.

Ce l'ho fatta... ma tanto nessuno mi ha visto. Lo sguattero lavapiatti avrebbe battuto tutti i suoi compagni, oggi...

No, devo essere sincero. Non li avrei battuti. Perché non avevo raggiunto la meravigliosa tranquillità di spirito di adesso. Alzo gli occhi al bassorilievo di Andromeda, e capisco cosa mi è successo.

Ho fatto come lei. Ho tratto la mia forza da ciò che mi ha umiliato. Ed ora posso guardare tranquillamente nelle fauci del mostro.

Emetto un profondo sospiro, mi inchino alla mia signora celeste e raccolgo le catene, per tornare nella mia piccola casa.

***

I giorni passano, febbrilmente. Ognuno si prepara meglio che può alla fatidica Prova Suprema. Nemesis però non ha cambiato di un filo i consueti ritmi di ogni giorno. Sento la sua tensione solo quando mi assegna gli esercizi da fare: niente di nuovo, solo ripetizione ossessiva di movimenti che conosco a memoria.

"Che ti devo insegnare di nuovo, Shun? In quattro anni hai già appreso tutto quel che potevi dell'Arte Sacra e del combattimento. In questi pochi giorni non riuscirei a farti assorbire nuove nozioni, ma confonderei meccanismi già radicati in te. Voglio che esegua i vecchi esercizi concentrandoti non sui movimenti, ma sulla tua stessa coscienza. Devi mantenerti sempre all'erta e vigile, e conoscere esattamente le tue forze."

E' un piacere constatare che, nell'atmosfera di tensione di tutta l'isola, io rimango sempre un'occasione di buonumore per tutti. Un gruppo di miei compagni si ferma ad osservare i miei semplici esercizi e sento uno di loro esclamare:

"Salve, bel lavapiatti! Dicono che tu abbia fatto un così buon lavoro alla cascata che Albyon ti metterà a far lo sguattero per il resto dei tuoi giorni. Piantala dunque con quelle catene, che proprio non si addicono alle tue braccia sottili!"

Interrompo l'esercizio e mi volto verso quello che ha parlato. Non sono arrabbiato. Una volta avrei fatto finta di niente, ma ora voglio vedere in faccia chi vuole offendermi. Guardo negli occhi quel giovane, con suprema tranquillità, ed anzi un po' di malizia...

Lo vedo smettere di ridere, fissarmi arrossendo visibilmente.

I suoi compagni si accorgono del suo imbarazzo, e uno di loro dice, cupamente: "Io l'avrei qui qualcosa che si addice a questo ragazzino dagli occhi da donna."

"Già!" esclama un altro, "Non si sa neanche di che sesso sia. Chissà a quanti maestri ha fatto il servizietto per essere ancora vivo, molle com'è..."

"Che ne dici, Andromeda? Ci fai vedere finalmente se sei maschio o femmina? E' da tanto tempo che ci piacerebbe spassarcela un poco."

Una volta sarei stato atterrito da quelle parole. Stavolta ne sorrido. Li fisso tutti sfacciatamente, come per dire: d'accordo, chi di voi vorrebbe essere il primo?

E questo li sconcerta...

"Non avete di meglio da fare, voialtri?"

La figura minacciosa di Nemesis avanza a lunghe falcate, nella sua gloria di cuoio e borchie metalliche, la lunga frusta che striscia per terra come un serpente pronto a mordere.

"Ecco l'altra ragazza," borbotta uno di loro, "Potremo chiederle di unirsi alla compagnia, così non dovremo fare i turni."

Quasi non vedo il movimento di Nemesis, ma si sente uno schiocco terrificante, e quel baldo giovane si piega in due senza emettere un solo suono, ambedue le mani strette all'inguine.

"Filate, e portate con voi il vostro compagno... o compagna, ormai," dice lei, con voce di ghiaccio. "E non fatemi perdere la pazienza, o vi stacco quello di cui siete così orgogliosi."

Obbediscono alla svelta. Hanno senz'altro molta più paura di Nemesis che di me.

"E tu smetti di esercitarti, Shun," mi dice lei. "Cercati un posto tranquillo, dove la tua aria innocentemente perversa non turbi la mente del prossimo, e mettiti a meditare."

"Ma è ancora giorno..."

"Giorno o notte, che differenza fa? Andromeda è sempre al suo posto in cielo. Devi sentirla anche se si trova dall'altra parte della Terra. Che cos'è questo pianeta dopotutto? Solo un granello di polvere nel cosmo."

"Hai ragione," annuisco, e la guardo con un sorriso segreto. "E forse è meglio così. Di notte avrei ben altro da fare che guardare le stelle..."

Lei sospira, mi si avvicina. "Shun, per favore, non scherzare con il destino."

"Non sto scherzando, Nemesis," le rispondo. "Ma credo sempre che ci sarà un domani, e comunque finché sono ancora vivo... tanto vale approfittarne."

"E' quello che vorrei anch'io, con tutto il cuore..." La sua mano si muove appena verso di me, come se volesse accarezzarmi. "Però devi pensare al tuo cosmo. Devi assolutamente migliorarlo." Sospira. "In questo ormai non posso insegnarti più niente: l'ho visto spiandoti alla cascata, quando credevi di non essere visto."

Resto colpito.

"Eri lì a guardarmi?"

"Si..." la sua voce trema, "E ciò che hai fatto, e soprattutto come l'hai fatto è stato stupendo. Ma purtroppo non sono stata la sola a spiarti."

Distoglie il suo sguardo artificiale con un gesto di nervosismo.

Ed io capisco, con un brivido gelido nella schiena.

"Oh, no... non dirmi che c'era anche Albyon!"

Fisso il vuoto, agghiacciato. Cosa può aver pensato il Gran Maestro vedendomi sereno e sorridente nonostante il suo ennesimo insulto, vedendomi persino ripetere alla perfezione il suo stesso esercizio, che molti, se forse non tutti, avevano miserevolmente fallito?

Era questo forse che temeva il mio maestro segreto... ora Albyon sa che sono sulla sua strada!

"Medita, Shun," mi implora Nemesis. "Ti prego, cerca di ampliare il tuo cosmo, e di arrivare anche là dove Albyon non è arrivato. Mai come adesso devi fare appello a tutte le tue energie interiori. E' finito ormai per te il tempo dell'apprendistato: ora dovrai vincere, o morire. E contro Albyon, senza la perfezione... non vincerai mai."

***

"Che cos'è la perfezione, maestro?" chiedo quella sera al mio segreto mentore, che è venuto a trovarmi al solito sentiero, più cupo e taciturno che mai.

"E' il Tao," mi risponde. "Il punto dove Yang e Yin si incontrano. L'eterno e mutevole equilibrio, l'inafferrabile istante dell'unione di due principi." Sospira. "Come puoi chiedermi di spiegarti ciò che io per primo non sono riuscito a comprendere? Molte costellazioni sono nel cielo, ma Andromeda è particolare... il suo cosmo ha una caratteristica indefinita, un colore che i miei occhi non sanno apprezzare. Sono un cieco, e tu mi chiedi di descriverti la luce..."

"Forse tu... o Nemesis, o Albyon, avreste potuto essere cavalieri di altre costellazioni," rifletto, pensosamente. "Se tutto quel che vi manca è questa percezione inafferrabile..."

"Dimentichi il destino, piccolo samurai. Ognuno di noi è assegnato fin dalla nascita alla sua costellazione. Eravamo destinati ad Andromeda, abbiamo fallito con Andromeda... e quindi abbiamo fallito con tutto. Anche tu che sei qui... o sei destinato ad Andromeda, o al nulla. Ti avranno parlato della potenza dei vaticini per noi discepoli di Athena."

Annuisco, ricordando bene l'estrazione delle destinazioni, a Nuova Luxor... la mano misteriosa ed ineluttabile che aveva mandato alcuni proprio nelle loro patrie, e che aveva spinto Ikki a prendere il mio posto all'Isola Nera.

"Proviamo di nuovo," sospira lui. "Fammi sentire il massimo che puoi esprimere."

Si mette davanti a me, mi prende le mani tra le sue, chiude gli occhi.

Sento la sensazione inenarrabile del suo cosmo che contatta il mio, come se fosse una fiamma accostata ad una fascina. Respiro profondamente, e cerco di ampliare la mia energia, di incanalarne il più possibile. All'inizio provo una sensazione estatica, che si dilata, si dilata, finché mi sento grandissimo, mi sento grande come il sistema solare, e oltre...

"No!" esclama il mio maestro, togliendo le mani di scatto dalle mie.

Riapro gli occhi, ancora col fiato grosso.

"Non va bene," mormora, cupamente, "è imperfetta. E' grande, ma così banale, così superficiale... non incanali energia, la sottrai brutalmente al cosmo! E'... un cosmo maschile, dopotutto... maschile come il mio. Un cosmo Yang."

"Ma Nemesis..."

"Nemesis ha un cosmo Yin! E' imperfetta anche lei... incompleta. Ha fallito in maniera ancor più clamorosa di tutti. Si è dispersa. Sono anni ormai che non agisce quasi più attraverso l'energia cosmica, ma si limita a contemplarla..." Si passa una mano tra i capelli, e si porta davanti al petto la sua lunga coda sacerdotale, torcendola nervosamente. "Un momento. E' vero... non ci avevo pensato." Mi guarda. "Tu sembri provare piacere con il contatto cosmico."

Mi stringo nelle spalle, timidamente. "Provo una sensazione molto bella."

"Sempre?"

"Beh, finora... credo proprio di si."

Respira profondamente, mi riprende le mani, si concentra.

"Perdonami, Nemesis..." mormora, "Devo farti male."

Apre gli occhi di scatto, ed io sento un'ondata terrificante di energia attraversarmi dalle sue mani fin nel mio petto, come una marea di fuoco liquido. Lancio un grido di sorpresa, vorrei strappare le mani dalla sua morsa, ma lui me le tiene con forza, respirando violentemente sul mio viso...

Com'è grande il suo cosmo! E com'è caldo! Sento la mia energia risvegliata prepotentemente da quell'invasione, che divampa e si intreccia alla sua come in una lotta fisica; ma non provo paura, è come la dolce, tenera aggressione di un amante...

"Non è possibile!" grida lui, e si stacca da me arretrando e guardandomi quasi inorridito.

Tutto il mio essere grida di delusione. Ero ad un filo da una comunione di energie così squisita da superare ogni possibile sensazione fisica!

"Tu... hai provato comunque piacere," mormora lui, fissandomi.

"Si."

"Lo sai cos'ho fatto, vero?"

"Hai bruciato il tuo cosmo interiore in un unico impulso di energia," dico, tremando.

"Credi che io abbia provato piacere? O Nemesis, che deve aver sentito la mia emanazione cosmica?!" La sua voce è quasi disperata. "No, piccolo samurai... tu non hai idea di quanto doloroso sia stato per me... o per noi. Il contatto cosmico ti fa sentire tutt'uno con l'universo, è una sensazione struggente e meravigliosa, ma il nostro fragile corpo umano... come può interpretare quest'invasione aliena? Energie che parlano di sconfinate agonie... stelle che muoiono, vite che si spengono, distruzione di ordine!" Abbassa la testa. "Io sono un guerriero che ogni volta che afferra la spada brucia il palmo della sua mano. Mi sono abituato al dolore del corpo, per la gioia dello spirito... per il desiderio di potenza. Ogni espressione del mio cosmo deve vincere la mia riluttanza fisica... e così è stato anche per i miei insegnanti, per tutti noi sacerdoti!"

"Ma allora... tutte le volte che tu hai espresso il tuo cosmo con me..." mormoro, inorridito.

"Mi ha fatto male?" sorride lui, amaramente. "Certo! E non sai quanto sono stato invidioso nel vederti godere nel contatto. Però mi dicevo: in fin dei conti io sono stato gentile... lui esprime solo un piccolo cosmo... sta molto attento a non procurarsi dolore... deve aver proprio una grande paura del dolore... ed è per quello che non si esprime come potrebbe..." Scuote la testa, violentemente. "Capisci? Ti ho dato del vigliacco per molto tempo, ed ora mi hai dimostrato definitivamente di non esserlo. Ti ho fatto qualcosa che avrebbe dovuto farti urlare dal dolore e tu l'hai sentita come piacere!"

Si rannicchia e posa la fronte sulle ginocchia.

"La roccia delle punizioni..." ridacchia, tristemente. "Meriterei di andarci io..."

Lo guardo, con occhi lucidi. "Maestro... io non ho mai immaginato... io non ho mai creduto che tu ti sottoponessi a questa tortura solo per insegnarmi ad usare il mio cosmo!"

Lui non mi guarda.

"Maestro!..."

Alza di nuovo la testa.

"Perché hai sofferto tutto questo per me?" chiedo, con un filo di voce.

I suoi occhi mi fissano, brillanti.

"Perché non ho potuto fare a meno di farlo."

Mi manca il fiato. La stessa risposta di Nemesis!

Lui scuote lievemente la testa, sempre guardandomi.

"Quando per la prima volta ho toccato il tuo cosmo ti ho chiesto: che razza di creatura sei? Ho passato tutti questi anni facendomi sempre questa domanda... e non trovando ancora una risposta. Te lo chiedo di nuovo, ragazzo. Chi sei veramente?"

La sua domanda mi turba. Abbasso la testa e rispondo: "Sono solo un ragazzo di sedici anni, e mi chiamo Shun."

"No. Ti chiamano tutti Andromeda." Mi fissa, e ripete pensosamente: "Andromeda..."

Mi sento tremare a quello sguardo. Ma non mi sottraggo ad esso, mi lascio guardare mentre qualcosa in me rabbrividisce di paura.

"Che sia questo il tuo segreto?" mormora, "Non Yang... non Yin. Il Tao. Tutto."

La voce del mio maestro è lontanissima. Vedo un triste sorriso sul suo volto disegnato dalla luce della luna.

"Ti senti davvero in debito con me, piccolo samurai?"

"Certamente, maestro."

"E sei pronto a fare qualsiasi cosa ti chieda in cambio?"

"Si," rispondo, con un filo di voce.

Si toglie dalla piega della veste un oggetto morbido, me lo getta ai piedi.

Io lo prendo, con mani tremanti. E' la benda di pelle nera che Nemesis ha sempre usato con me!

"La Prova Suprema è imminente," mormora lui. "Non abbiamo molto tempo. Avrei dovuto avere più fede nei segni del destino. Nemesis è stata più saggia di me... come sempre."

Mi guarda, i suoi occhi scintillano nei miei.

"Sei pronto alla tua ultima lezione, Andromeda?"

***

Mi benda e mi prende per mano, conducendomi lontano, frastornandomi con molteplici cambi di direzione, trascinandomi in una galleria scavata nella roccia che emana uno strano odore di zolfo, pietre bagnate, olio bruciato. La sua mano grande e calda mi stringe con una forza tale da farmi quasi male, sento l'odore del suo corpo che ormai ho imparato a riconoscere e ad associare ad un senso di sicurezza... però adesso mi spaventa.

Dove mi vuole portare?

Per un istante mi pare di udire una fiochissima eco di un canto indiano, il suono di una campanella. Poi il suono svanisce, sento un cigolio, il mio maestro mi spinge in quella che dev'essere una stanza e richiude la porta.

Non so se mi ha seguito, non lo sento più. I miei sensi sono assaliti dall'odore intensissimo di incenso che grava nell'aria pesantemente umida, e che copre quasi altri odori più sottili: legno di sandalo... stoffe polverose... l'odore del mio maestro, ed un vago sentore di cuoio che mi ricorda terribilmente Nemesis.

Porto le mani alla testa.

"Non toglierti la benda!" mi ordina la sua voce, echeggiando stranamente. "Non ancora."

Obbedisco, e faccio qualche passo in avanti, tendendo le mani davanti a me. Tocco una parete fittamente scolpita. Le mie dita accarezzano bassorilievi indiani stracarichi di figure umane danzanti, piccole donne dai seni procaci e tondi che sorridono inghirlandate di fiori...

"Usàs-Haimavati," dice il mio maestro, vedendo le mie dita fermarsi sulla forma di una donna armata. "Il nome di Athena per coloro che abitarono quest'isola."

"Dove siamo?" chiedo, quasi in un sussurro.

"Non devi saperlo."

Lo sento avvicinarsi alle mie spalle.

"Voltati."

Faccio come mi dice, appoggiandomi alla parete.

Sento le sue dita sul mio viso, che mi sfiorano. Rabbrividisco.

"Perché tremi? E' quel che volevi," mi mormora, con voce lontana. "E quel che mio malgrado ho sempre voluto anch'io."

Sento il sangue salirmi al viso. Ha ragione! Ma ora che sta per succedere ho paura. C'è qualcosa di profondamente strano in lui, l'atmosfera è diversa da quella dei miei incontri con Nemesis, quella strana stanza di pietra mi spaventa, quel che provo io stesso mi spaventa...

Le braccia del mio maestro mi avvolgono, mi stringono. Le percorro con le mani, sentendo muscoli durissimi sotto la stoffa, se volesse potrebbe stritolarmi con facilità. Non mi ero mai reso conto di quanto fosse più alto e più grosso di me, è un uomo adulto e nelle sue braccia io sono una ben misera creatura. Non posso lottare contro quella forza matura, posso solo abbandonarmici o soccombere...

La parte di me che si beava della mia virilità urla la sua frustrazione. Una parte che non credevo nemmeno di avere grida di gioia a quella dolce sopraffazione. Lui mi afferra per i polsi e mi schiaccia contro la parete, baciandomi sulla bocca, con una passione sempre crescente. Sento tutto il suo corpo che preme contro al mio, quando finisce sono senza fiato, spaventosamente eccitato, ma in una maniera che non ho mai provato in vita mia.

"Ti prego," ansimo, "Toglimi la benda... voglio vederti!"

"No," risponde lui, eccitato forse più di me, "Forse dopo... ma adesso voglio così."

Ormai sono abituato a provare sensazioni erotiche in quell'oscurità forzata, non insisto anche se il desiderio di vedere finalmente il suo viso in piena luce mi tormenta. Vorrei toccarlo ma mi sta ancora tenendo fermo, inchiodato alla parete. Allora mi muovo strusciandomi lentamente contro di lui, con tutto il mio corpo. Oh, come odio i miei ed i suoi vestiti in quel momento...

Lo sento ansimare, e la cosa mi piace immensamente.

"Saresti capace di far impazzire chiunque..." mi mormora, quasi sulle labbra.

Mi lascia, mi slaccia i vestiti, mi spoglia senza che io faccia la minima resistenza. Mi godo il contrasto tra i freddi seni di pietra dei bassorilievi contro la mia schiena, ed il calore di lui davanti a me. Non provo nessuna vergogna. Perché dovrei? Io amo quell'uomo. Se quello che vuole da me è il piacere, perché dovrei negarglielo?

Quando ha finito di spogliarmi mi accarezza riverentemente, posso sentire quasi fisicamente il suo sguardo avido su di me. Chiudo gli occhi sotto la benda, mi lecco appena le labbra. Come mi piace essere guardato, accarezzato da lui...

"E' la prima volta che lo fai con un uomo?" mi chiede, eccitatissimo.

"Si," rispondo, con voce tremante.

"Sembra quasi... che tu non abbia fatto altro nella vita..."

Mi prende le mani e se le porta addosso, mi ordina di aiutarlo a spogliarsi a sua volta. Obbedisco con emozione, sentendo la sua pelle bollente sotto le dita.

"Ora ti dico un segreto, piccolo samurai. E' la prima volta anche per me. Non avevo mai desiderato un ragazzo in vita mia." Mi scosta i capelli e mi bacia sul collo, "Ma tu non sei un semplice ragazzo... e te lo dimostrerò."

E con quelle parole mi trascina lontano dalla parete, su un bassissimo e sconfinato letto duro fasciato di seta sussurrante.

Mi scopro a fargli tutto quel che Nemesis ha fatto a me, con un piacere immenso perché lui è un uomo, e posso quasi sentire su me stesso l'effetto di ciò che gli faccio. Lui è brutale quel tanto che basta a farmi capire ciò che posso e che non posso fare, si lascia riverire con evidente compiacimento, non deve mancare nemmeno a lui una certa vena sadica. Mi costringe a succhiare le sue dita, una alla volta, per poi usarle per stimolarmi, in un crescendo di sensazioni sempre più sconvolgenti. Questo nuovo, strano gioco mi eccita deliziosamente, ed eccita soprattutto lui.

"Ah, sei proprio una piccola, adorabile creatura lussuriosa..."

La sua voce echeggia, rimbalzando sulla pietra, la stanza deve avere un soffitto altissimo, e non credo che ci siano finestre, l'aria è così strana, pesante, mi stordisce mentre brancolo nella mia cecità, accarezzando e baciando il mio bellissimo maestro, e lasciandomi frugare da lui, oh come vorrei che non finisse mai più, mai più...

"Ora sono pronto per te," mi dice lui alla fine, con voce tremante, e mi respinge rovesciandomi sul letto. Faccio per cercarlo ancora ma lui mi ordina: "Stai fermo!"

Obbedisco, respirando affannosamente.

"Cosa... cosa vuoi farmi?" chiedo, con una punta di paura.

Sento un lieve tintinnio, vetro contro vetro. Una fredda carezza.

"Nemesis ha fatto di te un uomo. Io sto per fare di te una donna."

Non ho neanche il tempo di chiedermi cosa voglia dire, lui mi afferra e mi gira in modo che gli volga le spalle, mi mette a cavalcioni su di lui, ed io capisco all'improvviso cosa sta per succedermi: altroché i giochi con le sue dita! Mi irrigidisco spasmodicamente, tutto il mio essere grida: è impossibile, dopotutto io non sono una donna...

"Rilassati, o ti farò più male del necessario."

Mi avvolge un braccio intorno alla vita, e con una forza tremenda mi tira giù.

Sono tutto sudato, sento una sensazione lacerante, mi fa male, mi fa male!... Mi contorco all'indietro cercando di sfuggire a quel dolore, lui mugola invece dal piacere, e continua a spingere...

"No!... Basta!" lo imploro disperato, dibattendomi tra le sue braccia come un animale ferito, inzuppando la benda di lacrime. "Fermati, ti prego!..."

Per tutta risposta lui mi tiene fermo e mi apre a forza, facendomi urlare di dolore; affonda lentamente dentro di me, finché non sento i suoi fianchi premere contro i miei.

In quell'istante irreale di immobilità sento la sua voce eccitata ed insieme solenne al mio orecchio:

"Una donna soffre quando perde la verginità... e sopravvive. Una donna soffre nel parto... e sopravvive. Assapora dunque questo dolce dolore... anche se è solo un simulacro di ciò che rende così insondabile e immensa... l'altra metà del cielo."

Le pareti di pietra rimandano l'eco dei miei ansiti disperati, ho quasi paura a respirare, mi sento ad un filo dall'essere spaccato in due... ma sento anche una sensazione nuova, un calore bruciante al volto e dentro le mie viscere.

Il mio maestro comincia a muoversi, lentamente, e a muovere anche me. Il primo istante è terribile, credo di morire; ma poi, nella tempesta delle mie sensazioni, comincia a farsi strada un piacere misterioso, tanto più squisito in quanto il dolore che ancora provo eccita i miei nervi...

Scopro sconvolto la delizia di accogliere anziché essere accolto. Mi rilasso, mi arrendo tremando a quella sensazione. E finisce che mi ritrovo a gemere di estasi assieme al mio maestro, danzando insieme a lui, sentendo il suo corpo forte che mi invade e mi possiede.

"Ti piace ora, vero?" ansima lui, "Non mi preghi più di fermarmi?..."

Rovescio la testa all'indietro, non ce la faccio più, la tensione in me è troppo forte, e in più lui mi sta anche accarezzando davanti... mi aggrappo a lui e mi metto a gridare fino a risvegliare tutti gli echi della stanza, un grido selvaggio strappato al mio corpo e alla mia anima.

E nel momento in cui lo sento pulsare dentro di me nell'orgasmo, ho quasi la sensazione di ricordare un figlio tra le mie braccia, un figlio appena estratto dal mio stesso ventre, e ricordare anche il seno con cui l'ho nutrito...

Quando tutto finisce lui mi lascia con tenerezza, ed io rimango inerte sulle coperte fredde, fradicio di sudore, il corpo in fiamme, la mente annientata da quell'esperienza delirante. Non so quanto tempo passo in quello stato catalettico, accanto a lui che si è disteso al mio fianco e mi accarezza la schiena.

Poi sento una mano gentile che mi scosta i capelli inzuppati dal viso, e mi slaccia la benda.

"Non ti avevo mai visto godere così."

Mi volto di scatto, sconvolto.

Nemesis!

Alla luce fioca di una lampada, la sua maschera infernale mi fissa ad un palmo dal mio viso. Ma poi la sua mano l'afferra, sento un scatto metallico, e al posto di quell'espressione immutabile vedo un bellissimo viso triangolare, con grandi occhi ambrati appena segnati agli angoli, dall'espressione arguta ed eccitata. Chiudo gli occhi di scatto, non so se per non vedere il suo volto proibito, o per la vergogna infinita che provo al pensiero che abbia assistito a tutto...

Ma lei mi bacia sulle labbra. "Apri gli occhi, Shun. Ormai non ho più nulla da nasconderti. Abbiamo tutto in comune. Ed io ti amo."

Le obbedisco, le lacrime mi scivolano sulle tempie.

"Non devi provare vergogna," dice lei, dolcemente, asciugandomele. "Io ho sempre saputo cosa sei veramente, e ti amo lo stesso... ti amo forse di più per questo." Alza la testa e sorride. "Come amo lui che ha finalmente capito la verità... e che è stato così delizioso con te da farmi morire d'invidia."

Si allunga sul mio compagno e lo bacia. Io la seguo con lo sguardo e vedo un uomo scarmigliato, dalla bellezza possente, il volto giovane e maturo ad un tempo, che la lunga cicatrice sulla guancia non sfigura assolutamente.

Lui l'abbraccia teneramente, abbraccia anche me e mi guarda, sorridendo con un'ombra di tristezza. "Perdonaci, piccolo samurai. Ti abbiamo voluto tutti e due. E ti vogliamo ancora, finché avremo tempo... finché il destino non ci dividerà."

Li guardo ad occhi spalancati, mai avrei creduto di trovarmi in quella situazione: sono stuzzicato, spaventato, pieno di vergogna, esultante, non so chi dei due io ami di più, chi desidererei di più...

Nemesis mi accarezza e fissa nei miei quegli straordinari occhi ambrati.

"Non lo facciamo solo per il nostro ed il tuo piacere, Shun. Il piacere è l'ultima strada della trascendenza. Abbandonati ad esso e apri il tuo occhio interiore... per vedere chi sei veramente."

***

Non ho idea di quanto duri l'orgia che segue. In quella stanza che sembra il tabernacolo di un antico tempio la luce del sole non è mai arrivata e non arriverà mai. L'atmosfera intossicata da quell'incenso, la luce incerta della lampada a olio, quel caos di stoffa umida che ci circonda, le strane bevande che mi somministrano e la continua stimolazione erotica a cui mi sottopongono mi fanno perdere completamente il senso del tempo. O meglio, mi fanno impazzire al punto che non capisco più nulla e finisco in uno stato confusionale dove tutto me stesso non è che piacere, o un mezzo per procurarlo e procurarmelo.

Facciamo l'amore tutti e tre, in tutte le combinazioni e posizioni possibili, cercando avidamente nuovi stimoli, nuovi piaceri, nuovi giochi. Quando la nostra fantasia erotica giunge ai limiti, Nemesis rispolvera i suoi divertimenti sadici, assieme al mio maestro che è più efferato di quanto mi aspettassi; i miei adorati insegnanti diventano i miei inflessibili padroni ed io il loro schiavo compiacente: tutto è lecito pur di godere...

Il gioco durerebbe in eterno se a un certo punto non ci scoprissimo tutti quanti esausti, senza più succhi né saliva né lacrime. Ci addormentiamo ammucchiati sul grande letto, abbracciati l'uno all'altro. Vengo risvegliato non so quante ore dopo da Nemesis, che mi dà altre stranezze da bere, liquidi caldi e dolci, forse alcolici perché mi sento subito come ubriaco. E di nuovo vengo deliziosamente violentato, per ore, e provo ogni sorta di libidine, finché persino la mia capacità di ricordare si annulla e cado in un delirante stato di sfinitezza psicofisica, e poi in un sonno nero e profondissimo.

Quando mi risveglio sono nella mia casupola, sul mio solito letto, nel buio più totale. Scosto le coperte, mi alzo barcollando e apro la porta: contemplo la luminescenza dell'alba con occhi stupiti, chiedendomi se non è stato tutto un sogno...

Ma un certo dolore che mi è rimasto sotto, i segni di qualche frustata sul corpo, la sensazione di aver la lingua ruvida contro il palato e la mia debolezza estrema mi convincono di aver vissuto davvero quell'esperienza. Quasi per convincermene mi annuso le braccia, risentendo l'odore d'incenso che mi è rimasto attaccato addosso, e l'odore dei miei compagni.

Oh, se solo Ikki sapesse cos'ho fatto... che razza di fratello ha! Fratello? O sorella? Guardo stupito il mio corpo nudo, così minuto e sottile, nondimeno maschile... ma quello che ho provato dentro di me, nel più profondo della mia coscienza, non era pura e autentica femminilità?

Richiudo la porta, mi ci appoggio con le spalle, chiudo gli occhi.

Chi sono io? Una catena di assurdità... un orientale caucasico di sesso indefinito, che a sedici anni va a letto con uomini e donne indifferentemente... una creatura così piccola e miserevole, che però nemmeno la vita orrenda di Anthrâ è riuscita a distruggere... così lussuriosa da godere il contatto cosmico che tutti gli altri sentono come dolore... e con la faccia più innocente del mondo nonostante questo!

Scivolo a terra, coprendomi la faccia con le mani.

Oh, Dio, cosa mi hanno fatto i miei maestri?... Perché hanno voluto mostrarmi la parte più sconvolgente di me stesso?!

Nemesis non viene a prendermi per gli esercizi quel giorno. Non so nemmeno se avrei la forza di farli, dopo quel che mi è successo. Mi vesto ed esco alla ricerca di qualcosa da mangiare, ma non ho fame, lo faccio solo per non indebolirmi ulteriormente. Mi aggiro con gli occhi fissi nel vuoto, come un allucinato, tra i miei compagni che scaldano i muscoli e si allenano duramente. Non si stupiscono di vedermi lì senza far niente, con quell'espressione sconvolta: in fin dei conti non sono un debole senza carattere? Credono che sia così atterrito dalla Prova Suprema da aver rinunciato anche ad allenarmi.

Vado al campo dei combattimenti, davanti al tempio. Alzo gli occhi al calendario, il piolo è nel penultimo foro, scopro esterrefatto che oggi è l'ultimo giorno prima della levata eliaca di Andromeda. Qualcosa di buono c'è stato in quei piaceri orgiastici, almeno i miei maestri mi hanno risparmiato un'inutile, spasmodica attesa! Adesso ho solo ventiquattro ore per pensare al mio destino.

Il Gran Maestro non c'è, ma è come se lo vedessi. Albyon, il mio nemico implacabile... in attesa di liberarsi dell'inconcepibile stranezza che sono. Come avverrà? Non ho paura, dopotutto.

E' vero... non ho paura! Che strano. Che cosa mi sta succedendo? Sono già così pronto a guardare nelle fauci del mostro?

Il piacere è l'ultima via alla trascendenza, ha detto Nemesis. Scopri chi sei.

Vado davanti alla statua di Andromeda, mi trovo un posto tranquillo e mi siedo su una roccia (che male!... Ma qualcosa in me si lecca le labbra al ricordo.) Incrocio le gambe in posizione del loto, gli occhi fissi alla signora delle catene.

Chi sono io?

"Ehi, Andromeda!" mi grida Redha, "Fatti dare dei decotti astringenti, o prima di domani te la farai addosso cento volte!"

Qualche risata echeggia nella piana, seguita dalle imprecazioni dei maestri. Ma io non le sento. Il modo in cui mi ha chiamato Redha spinge irresistibilmente la mia mente nel regno dell'introspezione, i miei occhi fissano il vuoto e smetto di respirare...

Andromeda!

Il concerto di violini delle stelle... l'organo possente della galassia così lontana e così vicina... il grande lago nero e calmo della sua energia... così immenso, ingannevolmente tranquillo, in attesa di un solo piccolo evento per trasformarsi in cascata distruttiva...

Di che sesso è tutto questo?, mi chiedo esterrefatto. Maschio? Femmina? Yang? Yin? Può avere un sesso il cosmo? Che cos'è un cosmo maschile? Ed uno femminile? Tu sottrai brutalmente l'energia al cosmo, aveva detto il mio maestro. Il mio appetito erotico che cos'è? Desiderio di vita? Vita uguale madre, uguale donna? Il ricordo ancestrale nella mia carne, che ho provato facendomi possedere dal mio maestro?

Ma allora perché Nemesis ha fallito? Non è certo una ragazzina, è una donna adulta, e forse ha già sperimentato la maternità: che ne posso sapere io? Vuol dire che nemmeno la femminilità è la chiave di tutto? Che il lago resterebbe sempre lì, se non ci fosse la brutalità di una forza maschile a trarlo dalla sua pacifica inerzia?...

All'improvviso i miei occhi si spalancano, mentre tutta la mia anima stupita è travolta dall'immensità della rivelazione. Non posso esprimerla a parole, ma ora so!

Resto a contemplare per ore quell'incredibile verità, in totale concentrazione, indifferente al caldo e alla polvere, alla fame e alla sete, all'intorpidimento del mio corpo. E' come se passassi il tempo ad esplorare un universo nuovo, quale mai l'ho percepito.

Ma quando finalmente mi rialzo, mi rendo conto che la conoscenza e l'uso della conoscenza sono cose completamente diverse. Non so ancora cosa devo fare di quel che ho visto, o come farlo, o se sarò in grado di farlo...

E domani ci sarà la Prova Suprema!

***

L'alba del giorno dopo siamo risvegliati da un suono che non abbiamo mai udito: sembra un lamento preternaturale, un coro di vibranti suoni discordanti. Sono i sacerdoti che fuori dal tempio soffiano in grandi trombe circolari di ottone, specie di ramsinga indiani. Quel lamento incessante scuote tutta l'isola, e continua fino a quando il sole non balza fuori dall'orizzonte che ci è negato di vedere, per poi tuffarsi subito in una cappa di nuvole oscure e pesanti.

Sarà una giornata coperta e afosa, di quelle che preparano la stagione delle piogge.

Nemesis apre la porta della mia casupola. Non mi saluta, resta più rigida che mai nei suoi abiti puliti e splendenti, la maschera scintilla minacciosa, la frusta è arrotolata al suo fianco, in mano tiene un grosso involto. Mi guarda immobile, a lungo. Poi la sua voce esce, sottile e tesa.

"E' il giorno finale, Shun. Preparati."

Mi consegna una ciotola di grano cotto, ed una piccola anfora di liquido dolce che non ho mai avuto il piacere di bere in quattro anni che sono lì: l'ultimo pasto di un condannato a morte merita qualche attenzione in più. Mi ha portato anche dei vestiti nuovi: una tunica a maniche corte e calzoni stretti, il tutto di un candore accecante. Li guardo, rabbrividendo: nel mio paese quello è il colore del lutto...

Quando ho finito di mangiare e lavarmi, lei mi aiuta a vestirmi, con gesti cerimoniali: mi stringe la tunica in vita con una cintura di cuoio, mi allaccia un solo coprispalla sulla sinistra, mi fascia con attenzione le mani con nuove bende di seta, mi stringe i polsi nei bracciali di pelle, e le corregge delle calzature intorno alle caviglie.

Fa tutto questo senza dire una sola parola.

Mi lega parte dei capelli in una coda sciolta sulla schiena, come un sacerdote, ed il resto lo taglia sotto le orecchie con un colpo secco di forbici. Raccoglie religiosamente quei molli riccioli recisi.

"Li brucerò sull'altare di Athena," mormora, "invocando la sua mano su di te."

Una specie di tuono echeggia per tutto il cratere. Lei sussulta.

"I timpani del tempio... è l'ora."

Va al mio baule e ne trae le mie catene. Sono scintillanti: deve averle pulite mentre meditavo, il giorno prima. Me le mette in mano e mi dice, in fretta:

"Io starò con i maestri, dov'è il mio posto. Tu siederai tra Rajishir e Redha, al limite destro della spianata. Non fare nulla di inconsulto. Trasformati in una roccia." La sua voce trema. "E se anche così dovrai affrontare il tuo destino, ricorda tutto ciò che ti ho insegnato, e ricorda che il mio spirito è con te... e che hai una promessa sacra da mantenere!"

Si volta di scatto e se ne va, senza voltarsi indietro.

Ai margini del campo dei combattimenti, ben rastrellato, trovo tutti i miei compagni ugualmente armati e biancovestiti, che si stanno sedendo a semicerchio. Anche i maestri mascherati si stanno schierando, dando le spalle al tempio.

Quando tutti siamo al nostro posto, risuona ancora il lamento delle trombe. Quattro sacerdoti portano una lettiga su cui è posato lo scrigno dell'armatura, e lo posano su una specie di altare eretto all'ingresso del tempio. Dietro a loro appare Albyon, avvolto in un mantello nero che fa risaltare la sua sinistra maschera greca, alla fascia della quale è legata una rete d'argento che racchiude i suoi capelli. Ad ogni passo la sua alta figura tintinna, come se stesse recando delle catene nascoste alla vista da quel mantello.

Tutti si fermano. I sacerdoti si fanno da parte e lasciano Albyon solo accanto all'armatura.

Un silenzio pesantissimo cade sulla radura.

Poi la voce potente del Gran Maestro si leva, appena soffocata dalla maschera. Ci chiama tutti per nome, uno per uno, con solennità, e quando ha finito ci dice:

"Voi tutti siete giunti al momento cruciale delle vostre esistenze. Siete venuti qui nel Mondo Segreto, in quest'isola designata dal vostro destino personale, per inseguire uno scopo, per conquistare un trofeo ambito da secoli. Volevate essere cavalieri di Athena, far parte della schiera degli eroi, diventare sanctos, i più potenti esseri della terra. Avete patito dolori inenarrabili, fatiche disumane; siete stati plasmati e selezionati da questa terra arida e sterile, dalle sue leggi inflessibili, dalla vicinanza della morte. Siete stati allenati a combattere duramente, a conoscere il dolore delle ferite; avete appreso l'Arte Sacra dedicata alla coraggiosa figlia di Cefeo. Con voi per anni hanno faticato i vostri maestri, che il destino ha mandato ad accogliervi alla vostra nascita in questo mondo, e che come padri e madri hanno cercato di fare di voi dei degni pretendenti a questa gloria, che però... spetta solo a uno di voi. Forse!"

Volta la testa all'intorno, squadrandoci tutti.

"Io sono il Gran Maestro di Anthrâmatha, il primo dei sacerdoti. Possiedo l'energia cosmica e sono stato ad un passo dall'acquisizione del titolo di cavaliere. Se fossi riuscito nella mia impresa voi non sareste qui, ora... e molte ossa in meno si sarebbero sbiancate alla piana degli avvoltoi. Ma così non è stato. Se qualcuno di voi ora pensa di essere il futuro cavaliere di Andromeda, vuol dire che è convinto di essere arrivato là dove io non sono giunto. E non ha che un modo per dimostrarlo." Una pausa, poi apre il mantello mostrando le sue braccia cariche di catene. "Battermi!..."

L'eco di quell'ultima parola sembra rimanere nell'aria stagnante.

Segue un fremente silenzio.Un sacerdote accorre silenziosamente a togliergli il mantello. Sotto, il Gran Maestro porta un costume da combattimento analogo al nostro, però più nero della notte. Egli lascia andare a terra le sue splendide catene istoriate, alza verso di noi le mani fasciate..

"Battere il Gran Maestro potrebbe non essere comunque sufficiente ad acquisire l'armatura, ed infatti a me non bastò. Ma è una prova fondamentale per stabilire la dignità di un aspirante cavaliere. Chi di voi riuscirà in questa impresa potrà capire immediatamente se è o no il cavaliere tanto atteso. Il mio vincitore, anche se mancasse di essere Santo di Athena, sarebbe comunque degno di prendere il mio posto come Gran Maestro su quest'isola, ereditando il mio potere ed il mio compito." Si mette davanti all'armatura. "Però badate: la legge di Anthrâmatha non perdona la presunzione di superiorità. Chi proclamerà di essere degno dell'armatura dovrà dimostrarlo... o morire."

Si volta verso lo scrigno, dandoci le spalle. Posa le mani sulla figura bronzea che l'orna, un gesto affettuoso e possessivo. E poi grida, ritualmente:

"Cavaliere di Andromeda!... Vieni a prendere ciò che ti spetta!"

E resta immobile, aspettando.

Noi ci guardiamo con la coda dell'occhio. Chi di noi raccoglierà quella sfida?

Uno dei postulanti si alza, raccoglie le sue catene e avanza nel campo, fermandosi ai tradizionali dieci passi da Albyon.

Il Gran Maestro non si volta nemmeno. Lo sentiamo sogghignare, il suono chiarissimo nel silenzio irreale in cui siamo sprofondati.

"Il prode Saltius," dice, riconoscendo misteriosamente il suo sfidante. "Mi stavo chiedendo dove fosse finito il tuo ben noto coraggio. Tu che hai trascorso qui un terzo della tua esistenza, che ti sei fatto uomo su quest'isola, che stringi nelle mani una potenza spaventosa... tu sei il giusto candidato per cominciare questa ordalia."

"Ho aspettato anche troppo tempo, maestro," replica Saltius, nervosamente. "Ti chiedo perdono in anticipo del male che potrei farti. Per te e per la tua forza ho sempre avuto la massima devozione."

"Parole forti, grande Saltius... parole da guerriero. Il tuo dio è Ares, non Athena."

Saltius sorride, lievemente. Lo considera un complimento, ma io sento un brivido gelido nella schiena, la voce di Albyon contiene una minaccia mortale...

Il Gran Maestro si volta, va a mettersi nel punto in cui si iniziano i combattimenti, raccoglie le sue catene e si mette in guardia. "L'onore mi comanda di dirti che colpirò per ucciderti, Saltius... tu comportati come credi nei miei confronti. La vita mi è di peso, ma non posso permettere ad un uomo indegno di avvicinarsi all'armatura. Non ti risparmierò niente."

"E nulla devi risparmiarmi, maestro!" ribatte Saltius mettendosi in guardia a sua volta.

Un colpo di timpani risuona dal tempio. Nel silenzio che segue i duellanti restano immobili, fronteggiandosi, spiandosi a vicenda.

Io trasalisco sentendo all'improvviso l'emanazione cosmica di Albyon. E' così forte che la percepisco persino a distanza!

Rajishir mi vede scosso, mi sibila appena: "Non svenire qui, donnetta!" Sogghigna, "Sarà uno spettacolo degno di essere visto."

Stupido!, mi verrebbe da gridare, di che spettacolo parli?!... Saltius non possiede nemmeno l'ombra di un cosmo qualsiasi!

Lo fisso, disperatamente. Spero di sbagliarmi, ma non sento assolutamente niente provenire da lui, nemmeno se mi concentro nello stato di non-pensiero. Questo significa che è condannato a morte, a dispetto del suo fisico erculeo e della sua forza... e non ne è minimamente consapevole!

Non mi importa se è sempre stato il primo a prendermi in giro, ad inventare i lazzi più crudeli per me, se tante volte mi ha picchiato senza pietà con la scusa dei combattimenti. Vedo solo un magnifico uomo pieno di vita che sta bruciando gli ultimi istanti della sua esistenza e che presto non riderà più, non canterà più, non vedrà più la luce del sole...

Non ho nemmeno il tempo di una preghiera. Saltius attacca, lanciando la sua catena con violenza. Albyon si getta in avanti, apparentemente addosso all'arma che gli punta addosso, ma con un salto acrobatico la evita, frastornando l'avversario che lo segue con lo sguardo, dimenticando di preparare la sua difesa. I piedi di Albyon toccano terra, lui si torce fulmineamente e muove il braccio dall'alto verso il basso, un gesto violento che imprime una velocità accecante alla sua catena d'attacco. Saltius non fa nemmeno in tempo a vedere la punta triangolare che gli spacca la testa, penetrando nel cervello.

Uno schizzo di sangue, un tonfo sordo sul terreno, il singhiozzo metallico delle catene.

Finito.

Il duello è durato pochi secondi. Noi siamo pietrificati dalla rapidità con cui Albyon ha ucciso quello che tutti ritenevano il più forte dei postulanti!

Il Gran Maestro non ansima nemmeno. La sua energia scende mentre si raddrizza, recupera la sua catena sporca di sangue e ritorna al suo posto davanti allo scrigno.

"Chi era il maestro di questo idiota?" chiede, con voce di ghiaccio.

Uno dei maestri si fa avanti. La maschera nasconde la sua espressione, ma vediamo tutti le sue spalle che tremano, la riluttanza in ogni passo, la tensione delle sue mani.

Albyon lo guarda, e la sua voce risuona carica di disprezzo. "Per otto anni hai cresciuto questo sacco d'aria che si credeva degno di essere cavaliere!"

Gli va davanti, con un gesto violento gli strappa la maschera dal volto e la getta per terra calpestandola. Vediamo il volto in lacrime di un uomo dalla pelle scura, di mezz'età: il suo dolore mi commuove profondamente.

Ma Albyon è spietato. "Non sei degno di essere sacerdote di Athena. Hai ucciso tu quest'uomo!... Raccogli dunque quel che resta di lui e trascinalo alla piana degli avvoltoi, fallo a pezzi con le tue stesse mani, e dopo disponi di te stesso come meriti!"

Quel poveretto obbedisce, raccogliendo il cadavere di Saltius come un padre farebbe con il proprio figlio. Mi vengono le lacrime agli occhi a quella scena, mi chiedo cosa debba mai provare un maestro che per otto anni ha vissuto assieme al suo allievo, mi chiedo con quale spirito ora si appresti a macellarne il corpo per nutrire gli avvoltoi...

Con un brivido penso a Nemesis. Cosa sarebbe di lei se io sfidassi Albyon e perdessi? Sarebbe svergognata come quel poveretto? Dovrebbe farmi a pezzi con le sue mani? Povero amore mio, ora capisco la sua freddezza, il suo dolore di stamattina...

I sacerdoti rastrellano la terra del campo, lisciandola per un nuovo combattimento e pulendola dalle tracce di sangue e materia cerebrale lasciate dal povero Saltius. Quando tutto è in ordine, Albyon si volta nuovamente verso lo scrigno, vi posa le mani.

"Cavaliere di Andromeda!" grida di nuovo, con un'ombra di dolore chiarissima nelle parole rituali. "Vieni a prendere ciò che ti spetta!..."

Stavolta nessuno risponde alla sfida. Siamo troppo spaventati da quel che abbiamo appena visto.

"Folli..." dice Albyon a voce bassa. "Credete che nascondendovi come conigli impauriti sfuggirete al vostro destino? Siete o no venuti qui per essere cavalieri? Ammettete dunque in anticipo la vostra sconfitta, il vostro fallimento?"

Un silenzio di tomba risponde a quella domanda. Mi guardo intorno: tutti fissano il suolo, vergognosi, cercando di trasformarsi in rocce come Nemesis stessa mi ha consigliato di fare. Mi verrebbe da gridare: non eravate voi i coraggiosi eroi che si battevano per l'armatura? O eravate coraggiosi solo quando vi facevate beffe di me?

"Se il cavaliere di Andromeda non è tra di voi, non servite a niente," continua Albyon, con amarezza. "Vorrà dire che vi batterete contro i vostri maestri, per vedere se almeno potete prendere il loro posto. I perdenti saranno inutili, e seguiranno pertanto Saltius nel cammino verso l'Ade."

Il cuore mi si ferma nel petto.

Battermi alla morte contro Nemesis?!... No!

"Cavaliere di Andromeda!" grida per l'ultima volta Albyon, e picchia i pugni sullo scrigno. "Fatti avanti.... ora!"

Qualcosa dentro di me mi fa alzare, nonostante il mio terrore.

Tutti si voltano verso di me, sbalorditi. Nemesis si irrigidisce spasmodicamente, i miei compagni mormorano: "Proprio lui?!... Ma è pazzo?!..."

"Siediti, idiota!" mi sibila Redha, "Cosa credi di fare?!"

Lo ignoro. Raccolgo le mie catene e cammino lentamente, entrando nel campo dei combattimenti. Tutto l'universo si annulla per me. Sono nello stato di infinito presente, ogni istante pronto ad essere l'ultimo. Le immagini dell'orrore subìto da Saltius sono ancora fresche nella mia mente. Sono finalmente arrivato alla roccia del sacrificio.

Ho paura, ma non ho scelta. Devo guardare nelle fauci del mostro.

Albyon si rilassa, le sue spalle si scuotono con una tetra risata.

"Ahhh... dopo il più anziano, il più giovane. Shun, sedici anni, l'anima pura di un bambino innocente che non vorrebbe mai battersi. La roccia delle punizioni ti ha insegnato bene a sconfiggere la tua codardia. Stavolta non sono dispiaciuto di te."

"Maestro," mormoro, "Tu sai perché sono qui."

"Perché non ti ho lasciato scelta," risponde lui. "Non faresti mai del male alla tua adorata maestra, ma sai anche quale dolore le causeresti lasciandoti uccidere da lei... ed allora, piuttosto di sprecare così vita e dolore, preferisci finalmente batterti contro di me, e batterti sul serio." Si volta di scatto, guardandomi. "Questo è ciò che pensi, ma è stupido. Ogni maestro è pronto a battersi con il suo allievo, così come ogni genitore sa che dovrà battersi contro il proprio figlio! E' una legge di natura, ineluttabile come le stagioni... ineluttabile come la morte. Non voglio quindi che tu ti batta spinto da puerili sentimenti. Battiti per diventare cavaliere... o piuttosto non farlo mai più, e muori in pace!"

Un denso silenzio segue le sue parole violente.

"Maestro," gli dico, abbassando la testa, "E' vero, non vorrei mai battermi. Ma stavolta lo farò, perché so che devo farlo. Devo mantenere una promessa sacra, quella di diventare cavaliere per poter rivedere mio fratello. Devo inoltre ricambiare la fatica e l'affetto di coloro che mi hanno addestrato: troppe volte... li ho fatti vergognare di me."

Le spalle di Albyon si rilassano un poco. "Questo lo dici tu," mormora, con voce appena udibile.

Improvvisamente il cuore mi batte furiosamente nel petto. Lo fisso con occhi sgranati, ma lui non mi lascia il tempo di replicare, va al suo posto sul campo, prepara le sue catene e si mette in guardia.

"Affrettati dunque alla lotta, giovane aspirante cavaliere!... Battiti per ciò che vuoi, ma lascia che ti avvisi: stavolta la difesa pura e semplice non ti basterà. Concedimi di vedere un attacco, un solo attacco degno di questo nome, ed io ti onorerò con una morte rapida ed indolore."

I timpani del tempio battono un colpo secco.

Io vado al mio posto. Mille pensieri si avventano alle porte della mia mente, ma le devo sbarrare. Devo farlo per purificare in fretta la mia sensibilità cosmica. Forse Albyon ha giocato apposta questa carta con me per impedirmi di raggiungere l'iperconcentrazione... è inutile nascondersi con sotterfugi, lui sa che io non sono Saltius, che possiedo un cosmo a dispetto del mio corpo immaturo e sottile!

Ma non lo sanno i miei compagni, che mi fissano con occhi sbalorditi, rimirando l'efebico ragazzino che sfida l'erculeo Gran Maestro, e chiedendosi quanti secondi durerà questo secondo, incredibile duello.

Faccio silenzio nella mia mente. Imbraccio le catene. L'energia cosmica si accende dentro di me. Fluisce nelle braccia, nelle mani, nel petto, nei miei stessi occhi. Sento l'eco di quella di Albyon, che sale alta come mai l'ho sentita...

Si batterà per uccidermi.

Oh, Ikki... Nemesis... il vostro spirito con me... datemi la forza...

Albyon attacca! Ma ho già iniziato il movimento della difesa circolare. Neanche un errore, se sbagliassi stavolta morirei. Un canto metallico, le nostre catene che cozzano. Lancio la mia catena d'attacco. Albyon contraccambia la difesa, ritira la sua catena triangolare e la agita a frusta per prendermi alle caviglie. Abbasso fulmineamente il braccio in un passo di danza: difesa bassa! Un muro di acciaio intercetta la catena di Albyon, contrattacco come lui, ed egli di nuovo contraccambia le mie mosse, agitando la catena di difesa intorno alle sue gambe.

Sento il mormorio stupito di tutti i presenti, che sovrasta il tintinnio delle nostre due catene di difesa. No! Nessuna distrazione! Fisso Albyon con tutto me stesso, ragionando nell'istante senza tempo dell'iperconcentrazione. Così non va. Non lo batterò mai. I poteri che ho acquisito sono pari ai suoi. Prevedo le sue mosse ma lui prevede le mie!...

"Dolce sorpresa è scoprire un frutto così piccolo e già così maturo," dice lui, noncurante, ma sento la sua enorme tensione su di me. "Peccato per te. Avresti forse potuto sperare di battere Nemesis con questo cosmo... ma non puoi sperare di battere me!"

Ha ragione. Avrei potuto battere Nemesis. Ma io l'amo, e non le farò mai del male. Albyon... lui è un altro discorso. Il nostro primo duello impari. Le braccia slogate. La roccia delle punizioni. L'uovo. I piatti da lavare. Quante occasioni per odiarlo!.

Quante dure lezioni di vita che mi hanno fatto crescere...

Il mio controllo vacilla, sento un dolore nel petto. Se solo mi lasciasse respirare... Ed invece mi attacca di nuovo, un triplo attacco fulminante che mi costringe ad alzare la catena di difesa in spirale. Lui disdegna la difesa, recupera la catena di attacco, sento il suo cosmo divampare e la punta triangolare scatta ancora, ma non punta su di me...

Punta sulla parte della catena che reggo come perno di rotazione!

Sento un colpo violentissimo che mi intorpidisce il polso. La catena mi sfugge, cade a terra con un singhiozzo metallico. Mi abbasso fulmineamente tentando di raccoglierla, e vedo sconvolto la punta triangolare conficcata saldamente in uno degli anelli!

Uno strappo da parte di Albyon, e la mia catena di difesa finisce nelle sue mani.

Un'esclamazione collettiva sale a quello che non può essere che un autentico miracolo compiuto dal Gran Maestro. Lui si ferma tranquillamente, tiene ferma la mia catena tra i piedi e strappa via la sua catena d'attacco, facendola roteare.

"Hai perso una delle tue armi," mi dice, ironico. "Non ti illuderai di potermi battere usando i tuoi semplici talenti! Devi fare di più... molto di più."

Io comincio a sentire la disperazione. Uso il braccio destro per far roteare la catena di attacco nelle stesse mosse della catena di difesa, ma tutti i miei automatismi protestano: la catena è troppo lunga, troppo poco pesante. Non posso sperare di difendermi con efficienza in quel modo, non contro Albyon.

I maestri mormorano alla mia iniziativa, i miei compagni sono paralizzati dalla sorpresa. Non immaginavano che non mi sarei arreso così facilmente.

"Che vergogna, giovane Shun!" mi irride Albyon. "Usi a sproposito un'arma d'attacco. Allora userò anch'io a sproposito la mia arma di difesa."

Mi attacca con tutte e due le catene!

Il mio piccolo cosmo annaspa, avvampa, evito d'un filo un attacco, un secondo... il terzo arriva a destinazione. Riesco a schivare appena il colpo ma la catena triangolare mi colpisce di striscio alla testa, scavandomi una lunga ferita. Cado in ginocchio, accecato dal dolore, sento il sangue colare tra i capelli. Albyon è già su di me, sta per calare un colpo mortale con la catena di difesa. In un guizzo disperato alzo le braccia e tendo la catena d'attacco tra le mani come uno scudo, il peso sferico mi sfiora d'un millimetro la faccia e si avvolge intorno alla mia improvvisata difesa...

Spalanco gli occhi. Era proprio quello che Albyon voleva!

Gli basta arretrare per strapparmi violentemente dalle mani anche la mia ultima arma, con tale forza da lacerarmi persino le bende di seta.

Tutti gridano, poi ammutoliscono di colpo.

Io resto in ginocchio, ansimando, la mia candida tunica sporca di polvere e sangue. Guardo Albyon che getta via la mia catena d'attacco, afferra nuovamente le sue due catene e si rimette in guardia.

Ed io ormai sono disarmato... condannato.

Non mi resta dunque che aspettare il colpo di grazia.

"Ti sei battuto bene, ragazzo," mi dice Albyon, nel silenzio solenne, senza più ironia nella voce. "Ma ora sei davanti alla morte. E se lasci che ti uccida, avrai mancato alla promessa che hai fatto a tuo fratello. Disonorerai Nemesis. Disonorerai me!... " La sua voce diventa disperata. "Ti scongiuro, salvati, e salva tutti noi! Per l'ultima volta... apri il tuo cosmo!!!"

Il mio cosmo...

Respiro affannosamente, chiudo gli occhi. Se Albyon approfitterà di quel momento per uccidermi, non mi importa... tanto sono comunque morto. Ma lui resta in attesa, sento il suo cosmo fremente incombere sul mio. Nel regno del non-pensiero percepisco il grande lago nero, la galassia di Andromeda in tutto il suo splendore. Devo penetrare in quel lago nero, devo abbatterne la diga. Devo farlo per Ikki... per Nemesis... oh, Dio! per Albyon!

Il mio cosmo si dilata, alto come mai non sono riuscito ad esprimerlo, una guglia di luce e di dolore che sale ancora, e sale, e sale...

Ed all'improvviso, come se avessi lacerato un diaframma, ecco che un'energia inaudita mi travolge, qualcosa di immane, violento, spaventoso si riversa dentro di me.

Mi metto a urlare di autentico, terrificante, insopportabile dolore, l'energia stessa urla dentro di me, e sento la terra tremare, l'aria levarsi in un vento furioso attorno a me, come se persino l'isola stessa si stia per spaccare, incapace di sopportare quell'enormità...

Tutti gridano sgomenti, io apro gli occhi in fiamme e guardo il cielo, le nuvole si sono squarciate sopra di me, posso vedere il sole accecante, sono il centro di un uragano, e l'energia sale ancora, oh Dio! sto bruciando vivo, non ce la faccio, non ce la faccio!!!

"Resisti!..." mi grida Nemesis, disperata, e la sua voce mi giunge chiarissima attraverso il cosmo stesso...

Quando credo di stare per morire, qualcosa di profondo e oscuro dentro di me si sveglia, accoglie quell'energia torrenziale senza più tentare di sbarrarla. Essa dilaga in me e la sua irruenza si attenua, mi possiede ed io la possiedo; il mio cosmo così alto si espande in un vuoto infinito che è puro amore, e può contenere tutto...

Lo strazio degli elementi si calma, la terra smette di tremare, il vento ritorna brezza. Io riapro gli occhi, attonito, fissando il cielo azzurro sopra di me.

L'inondazione è divenuta un fiume possente. Ed io sono il suo nuovo, stupito argine.

Un silenzio carico di tensione e paura circonda il campo. Guardo davanti a me. Albyon è ancora lì, in piedi, le braccia lungo il corpo. Sta tremando.

"Non ti resta... che un'ultima cosa da fare." Si mette in guardia, la sua voce suona isterica. "Sconfiggimi!..."

Mi rialzo in piedi, barcollando. Mi rimetto in guardia, come se avessi le mie catene. Non so perché sto comportandomi così. Qualcosa dentro di me mi costringe a farlo.

Il mio nuovo cosmo brilla nel mio corpo, immensamente più alto di quello del povero Gran Maestro, che pure sta chiamando a raccolta ogni sua possibile energia. So che egli lo percepisce chiaramente, sento il suo sgomento, il suo umano terrore.

Ma coraggiosamente prepara un attacco, deciso nel continuare la sua ordalia.

Lancia violentemente la sua catena triangolare, in un colpo mortale. Io muovo istintivamente il braccio sinistro con un movimento a frusta, ed un clangore metallico, sonoro, quasi musicale risuona attraverso il campo...

La catena di attacco di Albyon è a terra, imbrigliata da una catena di difesa scintillante, dai riflessi bronzei, che sembra essere sgorgata dai miei stessi polsi. Uno strattone violento, e la magnifica arma del Gran Maestro si sbriciola come se fosse fatta di carta!

Ma Albyon non si arrende, anche se ora è lui il disperato. Fa roteare vorticosamente la sua catena di difesa, cercando di avventarsi contemporaneamente contro di me, con un urlo che risuona per tutta la piana: tutta la sua vita è in quell'attacco... e sa di non avere speranza!

L'istinto mi fa reagire nell'unica maniera possibile. Il mio braccio destro scatta ed una seconda catena bronzea schizza obbediente, la punta diretta alla faccia di Albyon in un colpo mortale che nessuna delle sue difese può fermare...

Ma all'ultimo momento il mio braccio scatta all'indietro. La punta triangolare colpisce la maschera d'argento con un colpo secco, ricade a terra obbediente. La maschera si spezza, scivola giù nella polvere, ai piedi del Gran Maestro.

Io sono in lacrime, perché avevo già capito chi è Albyon...

Il mio maestro segreto!

Lui respira affannosamente, gli occhi puntati alla catena che l'ha risparmiato; un filo di sangue scivola dalla sua fronte, dove l'ho ferito leggermente. Vedo le lacrime silenziose che gli rigano il viso.

Un solo pensiero da parte mia, e le mie nuove, misteriose catene si ritirano sibilando nel nulla da dove sono venute. Le faccio scorrere tra le mani, sentendole calde, leggerissime, ma in tutto e per tutto solide.

Sono la manifestazione fisica del mio nuovo, inconcepibile cosmo!

Albyon alza lo sguardo su di me, sorride lievemente tra le lacrime. "Mi hai vinto, Shun. Ed hai dimostrato a tutti che possiedi il potere di Andromeda. In nome di Athena, ti saluto con il nome di cavaliere."

E si inginocchia davanti a me.

Io mi precipito da lui, mi inginocchio, lo abbraccio e scoppio in un pianto dirotto. "Maestro... oh, maestro!"

I sacerdoti gridano, le trombe urlano, i miei compagni ci guardano sconvolti, l'incredibile è accaduto, il fragile ragazzino ha trionfato!

Nemesis si strappa via la maschera, come stanno facendo tutti i maestri, e corre ad abbracciarci entrambi, mescolando le sue lacrime alle nostre.

"Ce l'hai fatta, Shun!" singhiozza, "Ci hai liberati!... Sei riuscito a giungere là dove né io né lui siamo mai arrivati!..."

Lo so. Perché non un maschio né una femmina, nemmeno straordinariamente dotati, potevano comprendere appieno il cosmo di Andromeda.

Ma io sono l'uno e l'altra, come mi hanno mostrato i miei maestri mettendomi di fronte alla mia bisessualità. Ed ora posso attingere a quell'immensità cosmica, e farla mia. Ho sedici anni e sono cavaliere, e sono più antico dell'universo.

***

E' dolce il trionfo, dopo una vita come la mia. Una vita passata a sentirmi sempre di troppo al mondo, a sentirmi escluso ed emarginato: una vita subìta, invece che vissuta. Eppure non c'è rabbia in me, non c'è desiderio di rivalsa. Tutto quel che conta è che ho dimostrato di meritare l'affetto e la generosità di coloro che amo, e di aver potuto adempiere alla mia promessa verso Ikki.

Però mi rendo conto anche che essere cavaliere è qualcosa di molto, molto più importante di quel che pensavo. Non è solo il mezzo attraverso il quale posso sperare di rivedere mio fratello: quest'esperienza mi ha cambiato radicalmente, mi ha reso consapevole di cose immense e meravigliose, e di un pesante dovere da compiere.

Sono diventato Kyrios dell'isola, spodestando il mio maestro dal suo trono, proprio come Nemesis sognava; ma ora capisco che lei desiderava questo non in odio al suo uomo, ma per liberarlo dal fardello inumano di quella responsabilità.

Anthrâmatha ha lasciato comunque cicatrici indelebili nell'animo di Albyon: costretto ogni giorno ad affrontare il suo fallimento, ad assistere al dolore dei postulanti, e sapere di dover imporre scelte e leggi mortali, a dispetto di ogni sentimento umano... non c'è da sorprendersi che dietro una certa sua facciata di malizioso buonumore si nasconda un oceano di malinconia ed infelicità.

Cosa dev'essergli costato duellare alla morte contro di me, dopo quel che c'era stato tra noi, solo ora posso capirlo. Ma capisco anche che il suo dovere era superiore a tutto, e che sarebbe stato pronto ad uccidermi, se avessi dimostrato la mia indegnità al titolo di cavaliere. La sua crudeltà era la conseguenza della ferrea fedeltà ai suoi principi; ma non posso dimenticare che è stato così onesto da non usare contro di me la sua arma più micidiale: il suo volto... Infatti non sono sicuro che l'avrei vinto, se la mia mente iperconcentrata avesse davvero realizzato chi avevo davanti. Come avrei potuto battermi contro l'uomo che amavo, dopo aver scelto quella soluzione per non battermi contro la donna che amavo?

L'aver unito la tenebrosa figura di Albyon con la luminosa figura del mio maestro segreto mi fa ancora un certo effetto, ma il ritratto che ne viene fuori è di un uomo doppiamente affascinante, e posso capire in pieno l'attrazione che può suscitare in Nemesis, come in me del resto. Il fatto di vederlo ora umile ai miei piedi mi imbarazza: per me è sempre il mio maestro, non mi importa nulla di essere diventato cavaliere: sarei sempre pronto a scattare ai suoi ordini. Ma lui accetta il suo nuovo ruolo subordinato con grande serenità, e quando siamo soli nel tempio mi dice:

"Se non dovessi già accettarlo per onorarti, lo farei ugualmente per farmi perdonare il male che ti ho fatto."

"L'hai fatto per il mio bene," rispondo io, con un sospiro.

"A volte, ma non sempre. Ho commesso molti errori con te. Ed infatti non ho avuto il coraggio di rivelarti che ero proprio io l'uomo che temevi ed odiavi di più, ma ho preferito gustarmi solo il tuo amore, dividendomi in pratica in due uomini diversi." Scuote la testa. "Sono stato un vile."

"Ed io uno stupido!" esclamo, "Avrei dovuto capire prima chi eri. Ora mi rendo conto di quanti indizi avevo per capirlo..." Gli sorrido. "Però non dimentico la tua nobiltà d'animo. Mi hai offerto il tuo aiuto ed il miglior addestramento possibile, non mi hai negato nulla di te stesso pur di farmi avere ciò che avevi desiderato di più nella vita. Sei un uomo molto onesto e generoso... proprio come mio fratello Ikki." Scuoto la testa, ridendo. "Ha fatto bene Nemesis a prendermi a schiaffi, una volta che parlai male di te. Credo che ricorderò questa lezione per tutta la vita, e ci penserò due volte prima di giudicare qualcuno!"

Il suo bel volto si distende in un raro sorriso.

"Tutto quel che ho fatto per te l'ho fatto volentieri, anche se è vero, il potere mi aveva tolto la mia umanità, e sei stato proprio tu a dimostrarmelo. So che non è che una scusa puerile per il mio comportamento discordante nei tuoi confronti, ma cerca di capirmi: nei miei sogni pensavo che il cavaliere di Andromeda fosse un uomo perfetto, o una donna altrettanto perfetta: qualcosa di così perfetto da essere sovrumano, una figura ideale. Chi accetterebbe qualcosa di diverso come suo superiore?" Sogghigna un po'. "Sai, adesso te lo posso dire: tu eri un insulto al mio ideale. Così piccolo, snello, carino, sentimentale, facile alle lacrime, ottimista e pieno di comprensione per tutti! Prima ho tentato invano di eliminare quelli che credevo i tuoi difetti. Poi ho scoperto che erano la tua forza. Ma l'ho scoperto tardi..." Esita. "Potrai mai perdonare la mia stupidità?"

"Se mi conosci così bene, maestro, come puoi farmi una domanda del genere?" Sorrido, con gli occhi lucidi. "Certo che ti ho perdonato, ed il mio amore per te è rimasto lo stesso, anzi... forse è aumentato ancora, ora che so la verità su di te."

Lui china la testa, mi prende la mano e me la stringe. "Però... tu ami tuo fratello più di me, vero?"

Quella domanda mi attraversa il cuore come una coltellata.

"Io... ti amo forse come amo lui, Albyon. Però non posso vivere felice senza sapere che ne è stato di lui. Ho sopportato tutti questi anni di fatica e dolore solo in nome suo. Ti devo tantissimo, e devo tantissimo anche a Nemesis. Però è a Ikki che devo ciò che sono nel più profondo di me stesso. Mi si spezza il cuore a dirtelo, ma devo... devo tornare a Nuova Luxor."

Lui sospira pesantemente.

"Immaginavo già questa tua risposta, e ti fa onore. Sono già pronto ad annunciare la tua investitura alla Fondazione Thule. Ci vorrà qualche tempo per organizzare la tua partenza, e nel frattempo ti impratichirai nell'uso dei tuoi poteri e della tua armatura." Passa all'inglese, e stavolta parlandolo con eleganza. "Inoltre ti costringerò ad ascoltare le brutte lingue che regnano fuori dal Mondo Segreto. Sono più di quattro anni che pensi e parli in greco antico. Sarà uno shock per te riabituarti alla vita che si fa fuori di qui."

"Che ne sarà di te e Nemesis?"

"La scuola segreta non ha più ragione di esistere, ora che il cavaliere è arrivato e si porterà via l'armatura. I postulanti sceglieranno tra una pacifica morte o un futuro di semplici guerrieri, i sacerdoti resteranno a vegliare il tempio, e anch'io e Nemesis continueremo a vivere qui."

"Ma potreste lasciare quest'isola maledetta, e vivere meglio altrove!"

"L'unico luogo dove potremmo andare è il Santuario, e forse ci andremo se il Sacerdote Supremo di Grecia ci consentirà di farlo. Ma per il momento a noi sta bene vivere qui. Quest'isola è sterile e brulla, ma è la nostra casa, ha la sua bellezza. Ed in quanto a lasciare il Mondo Segreto... non credere che sia facile: abbiamo le nostre leggi che ci vincolano ad esso, e molte di quelle leggi valgono anche per te. Ma tu hai il diritto di vivere nel mondo esterno, perché hai un destino da compiere al servizio di Athena; noi no... e ci sta bene così. Dopo tanti anni passati in questo mondo semplice e arcaico, a contatto con l'universo e lontano dai falsi progressi dell'umanità, non vogliamo più saperne di uscirne." Mi sorride, tristemente. "Sia io che Nemesis non ci illudevamo che saresti rimasto a lungo tra le nostre braccia. Siamo pronti all'idea di lasciarti... anche se il nostro cuore sanguina. Ma non ti diremo addio, perché ci rivedremo ancora, e se avrai bisogno di noi ti ritroveremo, ovunque tu sarai, anche nell'Ade... e combatteremo al tuo fianco."

***

Ogni giorno, all'alba, ripeto il miracolo di aprire lo scrigno dell'armatura. Esso emana un'energia percepibile anche da un profano, che entra in risonanza con la mia quando la esprimo. Allora posso afferrare la maniglia superiore senza suscitarne le incredibili difese, ed esso si apre obbediente su tutti i lati mostrando l'armatura assemblata in una panoplia immutabile.

I sacerdoti mi hanno preparato una veste da battaglia: una specie di tuta intera che mi lascia scoperte solo le braccia. Su di essa indosso le parti dell'armatura: due bracciali, due coprispalla, un pettorale, una cintura, due schinieri. La protezione per la testa consiste in una fascia metallica da cingere sulla fronte, a cui si applica una maschera sacerdotale dall'espressione serena. Il tutto ha l'apparenza bronzea, con riflessi rossastri. Dico apparenza, poiché sotto le mie dita quel materiale è leggerissimo, tiepido, quasi fremente, solido ma non metallico. Non ci sono cinghie, ogni pezzo dell'armatura si adatta al mio corpo, e quando l'ho indossata mi sembra di non aver addosso nulla, se non che la protezione c'è ed è straordinariamente efficiente, come scopro ben presto allenandomi assieme ai miei maestri. Ogni giorno infatti scendo nel campo dei combattimenti ed imparo a controllare i miei nuovi poteri, con Albyon e Nemesis che mi suggeriscono continuamente varianti di difesa e attacco: di certo hanno ancora molto da insegnarmi, anche se io sono cavaliere e loro no!

Le mie catene sono vive, rispondono magnificamente ad ogni sollecitazione, e grazie al loro peso variabile riesco a far compiere loro delle evoluzioni impossibili per qualsiasi catena normale. Imparo a formarne quante ne voglio (virtualmente potrei generare una catena di lunghezza astronomica!) e a dare loro l'impulso di muoversi in linea retta anche per centinaia di metri: questo però è un esercizio faticosissimo, in cui spesso fallisco perché sono talmente concentrato a produrle che non riesco a controllarle.

"Non pretendere troppo da te stesso," dice Albyon, "Hai appena ottenuto un potere notevole, ma sei al gradino inferiore della gerarchia mistica. Impara a conoscere anche i tuoi limiti: sei un cavaliere, ma non sei onnipotente."

E che non sia onnipotente, tanto per cambiare, è la frusta di Nemesis che me lo insegna. Uno dei suoi colpi ben assestati oltrepassa le mie incuranti difese e riesce a farmi volar via la maschera dalla faccia. Quando mi chino a raccoglierla, scopro che l'impatto l'ha segnata.

"Non preoccuparti," mi dice Nemesis. "Ricorda che la tua armatura è viva. Se riceve dei colpi si danneggia, ma si autoripara: devi solo lasciarle il tempo di farlo, nello scrigno. Pare che al mondo non sia rimasto che un solo erede dell'arte arcana, in grado di produrre un'armatura come questa; quindi abbila cara come la tua vita e ricorda: ti è proibito usarla per fini personali, contrari alla giustizia o al volere di Athena. Se lo facessi diventeresti un cavaliere decaduto, il Santuario decreterebbe la tua condanna a morte, ed ogni cavaliere del mondo avrebbe l'obbligo di ucciderti."

"Il Santuario è la massima autorità del Mondo Segreto," mi spiega Albyon, "ed è governato dal Sacerdote Supremo, il diretto intermediario della dea Athena. Noi tutti gli dobbiamo assoluta obbedienza. Il suo potere è immenso, ma si è sempre comportato con giustizia e bontà... almeno, per quanto ne so io."

Le sue parole un po' pensierose mi fanno ricordare quelle di Alman di Thule. Il Mondo Segreto è alla soglia di una grande crisi, così ci aveva detto...

Tento cautamente di saperne qualcosa di più dal mio maestro.

"So che ci sono state delle ribellioni di alcuni membri delle massime gerarchie," mi risponde, a disagio. "Pare che alcuni cavalieri del più alto grado abbiano rifiutato il loro omaggio all'attuale Sacerdote Supremo. Sono questioni di potere così alte che un misero maestro di scuola segreta come me non ha il diritto di conoscere. Ma forse tu potrai saperne di più. Il Santuario sa della tua investitura, e se avranno bisogno di te ti troveranno ovunque tu sia e ti comunicheranno i loro ordini, che tu dovrai obbedire alla lettera come se provenissero dalla voce stessa di Athena." Mi guarda, con angoscia. "Se sarai coinvolto in questa guerra, ricorda che sei solo un bambino ai primi passi nel mondo dei cavalieri. Non affrontare mai un avversario con una consapevolezza cosmica maggiore della tua, o sarai distrutto... che tu abbia o meno l' armatura!"

L'idea che esitano poteri più grandi del mio amato lago nero di energia mi lascia sconcertato. Ma devo accettarla: quante cose impossibili ho già visto!

"Ricorda che le tue catene sono estensioni della tua stessa capacità cosmica," mi insegna Nemesis. "Puoi generarle sempre a prescindere dall'armatura, come hai già sperimentato nella Prova Suprema. Sono le tue fedeli compagne: possono percepire anche livelli bassissimi di energia cosmica, e reagire automaticamente ai cosmi ostili. Sono armi meravigliose, ma non dimenticare mai la loro vera essenza... il tuo cosmo. Non trascurare la tua introspezione: mi spiace dirtelo, ma è la tua unica, grande forza. Non hai il corpo di un lottatore e non credo che lo avrai mai."

Dopo una giornata di fatica posso finalmente ritirarmi nel tempio, che ora mi appartiene. Lì faccio le mie abluzioni in privato, vezzeggiato come un sovrano orientale dai sacerdoti, che mi pettinano religiosamente e mi vestono di seta. Assisto ai riti arcaici in onore di Athena, o meglio Usàs-Haimavati: canti monotoni e suono di campanelle, roba che mi farebbe appisolare se non fossi affamato. Ma poi finalmente mangio, e anche dei cibi di cui avevo scordato l'esistenza, tra i quali alcuni frutti che non so proprio come possano essere giunti in quell'isola desolata... forse attraverso le stesse navi contrabbandiere che mi hanno portato lì. Infine, sbadigliando, posso ritirarmi nella mia nuova stanza da letto, affondata nei meandri del vulcano spento: una stanza dal soffitto alto e dai bassorilievi con piccole donne danzanti, una stanza che conosco anche troppo bene...

Molte volte però mi rotolo insonne su quel letto enorme, accarezzando la seta sussurrante e ricordando cose che mi fanno arrossire deliziosamente. Allora mi decido: esco da quel tabernacolo, percorrendo silenziosamente i corridoi del tempio che non hanno più segreti per me, e vado nelle più umili stanze di Nemesis o Albyon, infilandomi nei loro letti.

Lo faccio con lo spirito di un gioco, con l'allegria e la spensieratezza del ragazzo che sono. E a volte mi diverto a provocare situazioni spassose, come una volta che mi sono nascosto sotto le coperte, tra le gambe di Nemesis, per non farmi vedere da Albyon che aveva avuto la mia stessa idea (come se non sapessi che può sentirmi attraverso la mia emanazione cosmica!); e quando lui è entrato mi sono messo a fare delle cose irriferibili sotto alle coperte, e la povera Nemesis si è messa a sghignazzare e prendermi a calci furibondi, facendo peraltro finta di niente col mio maestro...

Altre volte invece faccio l'amore sul serio, per far sentire ai miei compagni tutto ciò che provo per loro. Albyon è tra i due quello che mi commuove di più. Sento sempre la sua passione quasi disperata per me, assieme ad un sentimento di riluttanza e senso di colpa che non comprendo. Non è mai molto contento quando mi scopre nel suo letto.

"Ti prego, piccolo samurai... l'abbiamo già fatto, ed è stato bellissimo, ma ora... devi ricordarti che sei un ragazzo, un maschio come me!"

"E allora?" chiedo, stupito. "Cosa vuol dire? Se a te piace, e a me piace, e non facciamo del male a nessuno, perché non dovremmo farlo ancora?"

Lui mi guarda negli occhi, sospira.

"Che espressione innocente hai... renderesti bellissimo anche il peccato più nefando."

Quello, un peccato nefando? Ma se è meraviglioso! E' così dolce per me sedurre quell'uomo, travolgerlo, vincerlo. Lui si arrende quasi a malincuore, ma poi fa l'amore con me senza più la brutalità del nostro primo rapporto, con un abbandono totale.

Una volta tento persino la carta del sadismo, ma a ruoli invertiti.

"E' un ordine del tuo Kyrios!" dico imperiosamente, "Obbedisci, miserabile!..."

Forse lui potrebbe preferire quel tipo di approccio, ma non riesco a sostenere quel ruolo per più di un minuto, è contrario a tutto me stesso. E poi mi sento così ridicolo a fare quello che comanda, in fin dei conti Albyon è sempre più del doppio di me in muscoli ed età, ed il fatto che sia proprio io il cavaliere tra i due rende la situazione ancora più comica...

Finisce che scoppio a ridere, e ride anche lui, mi abbraccia, scompiglia la mia nuova coda sacerdotale, ed all'improvviso la sua voce risuona piena di dolore:

"Oh, Shun, sapessi quanto il tuo bel sorriso mi ha rovinato la vita..."

Nemesis è molto più serena e pratica, come credo che siano le donne in genere. Mi accoglie con maliziosi sorrisi e mi dice: "Sei venuto a giocare con la tua sorella grande, piccolo mascalzone?"

Quando provo il massimo del piacere tra le sue braccia lei diventa per me l'intero universo femminile: la mia amante, compagna, amica, maestra, e persino madre. Mi abbandono poi ad un dolce riposo sul suo seno statuario, mentre lei mi accarezza, approfittando della calma post-coitale per regalarmi altri consigli, perle della sua grande saggezza.

Una volta le chiedo perché Albyon si comporti così stranamente con me. In fin dei conti non è stato lui ad iniziarmi all'amore omosessuale? Perché ora è così tormentato da quel che prova per me?

Lei ride, quietamente.

"Ahhh... mio caro Shun, non prendere troppo alla leggera il sesso! Non è un semplice gioco come credi tu... la sua potenza è grande! In fin dei conti ha avuto una parte importante nella tua acquisizione di un cosmo più vasto, non è vero? Ti ha mostrato la tua vera essenza ermafrodita, la meravigliosa mescolanza in te di maschio e femmina che ti rende così speciale e sensitivo. Ma come ti ho già detto una volta... devi stare attento alla tua esuberanza: ci sono millenari sensi di colpa che un adolescente sfrenato come te può suscitare! Albyon ti ha iniziato ad un certo tipo di rapporti, è vero: ma non credo che si sia mai sentito veramente omosessuale. Si era innamorato segretamente della tua parte femminile. Ma con tutta la sua buona volontà, non può isolare questa parte da ciò che sei veramente, dopotutto..." Mi accarezza sotto, e ride: "Un maschietto adorabile!"

"Tu non sei turbata da me, Nemesis?"

Lei smette di ridere, e sospira.

"Come posso non essere turbata da te? Hai solo sedici anni, ed hai una sensualità che basterebbe a una dozzina di adulti. Ami me come ami il mio compagno: sei il nostro comune amante bisessuale. Possiedi una bellezza così eterea, così inquietante. E sei il cavaliere di Andromeda, uno degli esseri più potenti di questa terra... Certo che mi turbi!" Mi guarda negli occhi. "Ma ti amo, ed accetto il mistero che è in te. La tua parte femminile conosce questo miracolo che ci compete... l'accettazione serena di ciò che non possiamo dominare."

"Oh Nemesis!" L'abbraccio. "Io non volevo essere così speciale... mi sarei accontentato di essere un ragazzo come tutti gli altri!"

"Ma non lo sei, Shun. Non puoi pretendere di esserlo... né che gli altri, chiunque, ti creda così." Mi accarezza. "E' il tuo fardello di cavaliere, e si dice che cavalieri di Athena si nasce. Sopporta il tuo destino con coraggio."

Mi alzo su di lei, guardandola negli occhi.

"Nemesis... cosa devo fare con Albyon, dunque? Lasciarlo in pace?"

Scuote la testa, con tristezza improvvisa.

"Il tempo che abbiamo è così poco. Non sprecarlo. Torturalo pure con la tua dolcezza. Lo farai piangere, ma gli regalerai dei ricordi meravigliosi."

***

Ed un giorno, inevitabilmente, arriva il momento della partenza. Finisce il mio breve periodo di regno sull'isola di Anthrâmatha, il mio apprendistato con l'armatura, la mia vita coniugale con i miei maestri.

Quel giorno i sacerdoti mi portano dei vestiti che ormai mi sembrano stranissimi: un'enorme camicia scozzese, un paio di jeans, un paio di scarpe da ginnastica, un berretto nero con la visiera ed un paio di occhiali scuri. Mi recano sulla lettiga lo scrigno dell'armatura, avvolto in una fodera nera di seta: per loro quello scrigno pesa quintali, ma io me lo carico sulla schiena con irrisoria facilità, passandomi le cinghie intorno alle spalle.

Albyon e Nemesis mi conducono attraverso un passaggio segreto che serpeggia nelle viscere del vulcano, ed alla fine sbuchiamo in una caletta dove una scialuppa mi aspetta, governata da un marinaio indiano che ha negli occhi impassibili il marchio del Mondo Segreto.

Lontana, fuori dal limite degli scogli, una piccola nave attende all'ancora.

"Il viaggio di ritorno sarà ben più rapido di quello di andata, infatti non abbiamo più nulla da nasconderti," mi dice Albyon con voce roca. "Quella nave è della nostra gente, ti porterà in una zona dell'oceano in cui transiterà una petroliera delle Cinque Stelle. Tu salirai su quella petroliera e troverai un elicottero della Fondazione Thule, che ti condurrà a Bombay, e da lì un aereo privato ti porterà a Nuova Luxor. Ti riconosceranno dallo scrigno, ti daranno dei documenti e dei permessi che spieghino alle autorità dove sei stato per questi anni. Non credo che avrai delle difficoltà, visto il potere dei tuoi protettori terreni."

China la testa, affranto.

"Tieni questo per amor nostro," mi chiede Nemesis porgendomi una catenina d'argento con l'effigie di Usàs-Haimavati. "Portalo sulla tua pelle, e ricordaci come noi ricorderemo te... per sempre."

Io accetto quel regalo e me lo allaccio al collo. Poi mi tolgo gli occhiali scuri per guardarli entrambi, con le lacrime agli occhi.

"Nemesis, Albyon... ciò che vi devo non si può esprimere a parole... ciò che provo per voi nemmeno... ma non voglio lasciarvi senza avervi fatto un dono."

"Tu ci hai dato tutto, Shun," sorride tristemente Nemesis. "La libertà dal nostro fallimento, la gioia e l'orgoglio in te... il tuo amore ed il tuo corpo. Cosa potresti darci ancora?"

Prendo le loro mani, le stringo tra le mie, respiro profondamente.

"Questo è il mio dono d'addio."

Espando il mio cosmo, così alto che l'armatura sulle mie spalle si mette a vibrare...

I miei maestri trasaliscono, ma io tengo strette le loro mani, li fisso con la luce delle stelle nei miei occhi. Spinti dalla mia energia, i loro cosmi limitati si attivano quasi automaticamente; ma io elimino il loro dolore, la mia energia si intreccia alla loro e li porta lontano, affinché entrambi provino la mia stessa sensazione estatica e non l'agonia dell'universo, e sentano il cosmo di Andromeda come io lo sento, calmo, gioioso e possente dentro di me...

"Oh Athena!..." geme Albyon, sconvolto, ad occhi chiusi.

Nemesis è in lacrime. "Shun!...E' questo dunque il tuo cosmo?!..."

E' un istante di comunione divina, impossibile da descrivere, noi tre siamo uno solo, ed Albyon ansima: "La nebulosa!.. Il potere recondito!"

Lo intravedo anch'io, un'ulteriore forza cosmica ancora intatta che mi aspetta oltre una sottile barriera, un potere che trascende le catene stesse. E sento lo stupore estatico del mio maestro, che contempla esterrefatto ciò che invano ha potuto accarezzare, nemmeno nel più sfrenato dei suoi sogni...

Non posso sostenere a lungo quello sforzo. Lentamente, per non rovinare quello splendido ricordo, abbasso il mio livello di energia, chiudo gli occhi, stacco le mie mani da quelle tremanti dei miei maestri.

Silenzio.

Riapro gli occhi, sorrido tra le lacrime. "Addio, Nemesis... addio, Albyon."

Mi abbracciano tutti e due, convulsamente, mescolando le loro lacrime alle mie.

"Addio, Shun!..." singhiozza Nemesis.

"Addio... cavaliere di Athena!" mormora Albyon.

Salgo sulla scialuppa, e li vedo abbracciati tra loro, ancora scossi dai singhiozzi. Le loro figure si allontanano da me mentre il marinaio inizia a remare, lasciando l'isola per farmi iniziare una nuova vita altrove.

Guardo i miei maestri finché non scompaiono in mezzo al caos di pietre nere di Anthrâ, e allora mi asciugo gli occhi, rimetto gli occhiali neri e mormoro a me stesso:

"Ho mantenuto la mia promessa, Ikki... ed ora sto arrivando da te!"


capitolo 3
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