VARIAZIONI SU UN TEMA DI MASAMI KURUMADA

(SAINT SEIYA)

di Hanabi, estate 1994

I personaggi di Saint Seiya sono proprietà di M. Kurumada/Shueisha.

 


CAPITOLO 2: "L'Addestramento" - parte prima

Non cercate l'isola di Anthrâ su una carta geografica. Non la troverete mai.

Se io non fossi un ragazzino spaventato, ancora col cuore a pezzi per la separazione da un fratello che adoravo, rinchiuso in una stiva assieme a casse polverose, spedito come un pacco postale in giro per il mondo... se io fossi un marinaio esperto, e potessi stare sulla tolda della nave quando voglio, e vedere le carte nautiche e la bussola... allora forse potrei dirvi dove si trova quell'isola. Ma so solo che si trova nell'Oceano Indiano, e l'Oceano Indiano è grandissimo.

Passo la prima settimana rinchiuso nella stiva, come un clandestino, quasi senza mangiare: come potrei, con la poca aria puzzolente che mi soffoca? E come dormire, visto che sto esattamente sopra un infernale motore diesel che mi rintrona?

Poi un giorno un marinaio mi viene a prendere, mi dice in un inglese stranamente accentato:

"Ora puoi salire, ma non curiosare in giro. Resta sempre dove ti dico io e e non allontanarti, chiaro?"

Mi sento così debole e macilento che faccio fatica ad alzarmi. Il marinaio mi prende per un braccio per aiutarmi.

Sussulto.

Ho sentito qualcosa dentro di me quando mi ha toccato... una sensazione rapida come un lampo, ma ricordo all'improvviso lo sguardo di Alman di Thule all'orfanotrofio.

Alzo gli occhi per guardare meglio quell'uomo. A quella luce incerta vedo solo il riflesso dei suoi occhi... occhi scuri, ovali, che paiono contornati da una linea scura.

Deve essere indiano.

"Che ti prende?" mi chiede.

"Niente, signore, mi scusi," rispondo col mio inglese migliore.

Mi alzo e seguo quell'uomo verso la scaletta di scarico, dove la luce riesce a farsi largo dai boccaporti. E' davvero un indiano, ha in testa un turbante scuro dall'aria sudicia. Addosso ha calzoni larghi ed una casacca di cotone tutta strappata e sporca, e lascia dietro a sé una scia di cattivo odore. Ma non faccio commenti, chissà come profumo io!

Quando arrivo fuori il sole mi acceca. C'è molto vento, mi arrivano degli spruzzi salati, l'umidità schiaccia sul ponte il fumo della nafta e tutto è grigio e appiccicoso. Nondimeno sento qualcosa in me risvegliarsi alla visione del mare azzurro e del cielo sconfinato.

Mi rendo conto di essere ancora vivo, di avere ancora dentro di me la speranza che credevo distrutta del tutto. Forse la speranza è solo un messaggio delle nostre cellule, la scintilla che ci dà la vita quando nasciamo nel ventre delle nostre madri. Un essere umano non può essere vivo senza sperare in qualcosa...

Chissà dov'è mio fratello. Chissà quanto durerà il suo viaggio. Cosa starà facendo adesso?

Chiudo gli occhi e gli mando un saluto con tutta la mia anima.

Non dimentico le tue parole, Ikki... ci sarà un domani!

Il marinaio che mi ha portato fuori si siede su un rotolo di canapi, si accende una sigaretta tutta storta, che tiene poi tra le labbra. Ha una barba corta e arruffata, una cicatrice lunga e sottile che scende da uno zigomo. Non sembra un tipo raccomandabile, mi guarda stranamente.

"Sei un bambino o una bambina?" mi chiede, togliendosi la sigaretta dalle labbra e sputando abilmente oltre la murata. Un vero signore...

"Sono un ragazzo," rispondo, trovando la forza di fare l'aria offesa.

"Non si capisce, sai," ridacchia lui. "Con quei capelli e quel bel musetto..."

Mi irrigidisco. Non mi piace quel tono. Ne ho già avuti, di estimatori del mio bel musetto. Penso all'improvviso che sono solo su una nave persa nell'Oceano, che non risulto in nessun documento di bordo, anzi, dovrei essere morto... e cosa potrebbe accadere se quel marinaio o altri della nave volessero mettermi le mani addosso?

"Ehi, stai buono," mi dice lui, e mi lancia un pacchetto di gomma da masticare. Sorride, deve essersi accorto del mio sguardo inorridito. "Non ti accadrà niente di male. Sei merce pregiata da contrabbandare, non un mozzetto da usare per scopare!"

Ride fragorosamente del doppio senso che grazie a Dio non sono ancora in età di apprezzare.

Nondimeno accetto il suo regalo e mi metto a masticare una gomma, accoccolandomi in un punto dove gli spruzzi non arrivano.

"Triste, ragazzino?"

"No," mento. Ma non voglio dare confidenza a quella gente.

"Mai stato in mare?"

"Una volta. Ma solo su un battello, per poco."

"Non soffri mal di mare, però." Mima le conseguenze, come se fossero comiche.

"No, infatti."

"Sangue di marinaio, eh? Di che paese sei?"

"Giappone."

La sua risata diventa fragorosa.

"Ma davvero!... Se tu sei giapponese io sono il re d'Inghilterra!" Sputa di nuovo, "Fammi sentire qualcosa nella tua lingua, samurai."

Mi viene in mente una canzoncina tradizionale per la festa delle Carpe. Mi metto a cantarla sommessamente, e all'improvviso sono in ginocchio sul pavimento della sala di casa mia, assieme a mio fratello che colora la sua grande carpa di carta, mentre la mamma ci sta a guardare...

...scintillerò nel vento

come attraverso il fiume

per cento e cento anni ancora.

Finisco senza nemmeno rendermi conto di cosa o chi ho intorno, tanto potente è quel ricordo. Come mi manca la mia mamma! E come mi manca Ikki...

Il marinaio batte le mani.

"Bella canzone, ragazzino. Era giapponese quella lingua lì?" Si schiarisce la gola, "Adesso senti me. Una canzone del mio paese."

E si mette a cantare a squarciagola una ballata che non mi sembra proprio indiana. Infatti è in inglese, anche se talmente sguaiato che capisco a fatica le parole, e parla di una certa Mary e un agnello.Mi viene da ridere.

"Dai, adesso dimmelo. Di che paese sei?"

"Giappone!"

"Chi dei due aveva gli occhi a fessura? Mamma o papà?"

Buona domanda. Secondo papà, nessuno dei due...

"Va bene, non sono fatti miei." Alza le spalle. "Del resto io sono inglese, anche se non lo sembro, vero?" Ride, fragorosamente. Poi si interrompe di colpo, si alza in piedi e scruta il mare.

Mi alzo anch'io e vedo, lontanissima, la forma di una nave militare.

"Finita l'ora d'aria. Devi tornare nella stiva, e cerca di stare buono e in silenzio fino a quando qualcuno di noi non ti tira fuori, chiaro?"

"Che vi succede se mi scoprono su questa nave?"

"Se ti identificano ci accusano di pirateria e rapimento. E in questi paesi, zang!" Fa il gesto di impiccarsi. "Quindi a malincuore dovremmo rovinare il tuo bel musetto e farti passare per un mozzo un po' sbadato. E se tutto va male, potremmo anche buttarti a mare, e al diavolo i soldi che questo ci costerebbe." Mi guarda, sorride con dei notevoli denti bianchi. "Allora, ci tieni o no ad essere scoperto?"

"No," rispondo con voce soffocata.

"E allora sparisci."

***

Da quel giorno l'ora d'aria diventa una costante quotidiana, e spesso dura molto più di un'ora, a volte l'intera mattinata. Così recupero lentamente le forze, forse anche perché mi abituo a quella prigionia. Perdo il conto dei giorni, ma sicuramente sono in viaggio da più di un mese quando vedo avvicinarsi un'isola fatta di rocce nere, su cui non appare una sola chiazza di verde.

"Anthrâ?" mi azzardo a chiedere

"Anthrâ," annuisce il marinaio che mi sorveglia, un altro indiano sdentato. "Posto di merda, buono solo per nascondere oppio e per sparare ai gabbiani."

Non vengo più mandato nella stiva, posso restare sul ponte a guardare quell'ammasso di roccia vulcanica sterile che si fa sempre più grande. La nave getta l'ancora a debita distanza perché intorno all'isola è pieno di scogli aguzzi come lame, che affiorano appena dal mare.

Quella notte sento il capitano discutere animatamente con alcuni dei suoi uomini, in una lingua che non comprendo, forse un dialetto indiano. Un marinaio mi spinge verso la scaletta della fiancata, tenendo in pugno una torcia schermata. Guardo giù e riconosco la forma di un canotto, un uomo che mi aspetta in esso con un remo in mano.

"Scendi!" mi ordinano.

Obbedisco, vacillo quando metto piede nel canotto, che si muove sotto il mio peso. Sento dei saluti bisbigliati in quella strana lingua, poi l'uomo che è con me punta il remo contro la fiancata della nave e ci spinge via da essa, iniziando a remare.

Fa più freddo di quanto mi aspettassi, tocco l'acqua e la sento gelida: eppure, guardando le stelle, riconosco le costellazioni e so di essere nell'emisfero boreale, quindi nella fascia tropicale dell'Oceano Indiano... ma chissà quale gioco di correnti trascina lì quell'acqua ghiacciata. Ascolto il rumore ritmico del remo che si tuffa in mare, mi stringo nel mio impermeabile e guardo le nere pareti avvicinarsi, velate da una tetra foschia. Non c'è niente, assolutamente niente che indichi una qualche presenza umana.

Mi chiedo se si limiteranno ad abbandonarmi lì e andarsene. E mi viene in mente Robinson Crosue, o l'Isola Misteriosa...

Passare la vita mangiando molluschi... si, ma senza acqua come si fa?... Che freddo... com'è tutto triste qui...

Non so spiegarmelo, ma devo essermi addormentato, perché un colpetto di remo mi fa trasalire all'improvviso, e non c'è più il cielo sopra di me: solo un'oscurità schiacciante. Il freddo è diventato così intenso da intorpidirmi. Sento l'eco di uno sgocciolio e, lontanissimo, un rombo come di una cascata. Mi rendo conto che sono in una caverna.

"Prendi il bengala che hai davanti ai piedi," mi dice una voce che già conosco, quella del marinaio-buone-maniere, il finto inglese.

"Come si usa?" chiedo, intimorito.

"Toccalo." Sogghigna, "E' fatto proprio come il tuo uccellino, no? Tu prendi la testa e la stacchi, colpo secco. Poi lo tieni stretto e lo tieni lontano dalla faccia, e dal canotto, mi raccomando."

Faccio come mi dice. Non appena tolgo l'estremità del bastone cominciano a sprigionarsi delle scintille. Alzo il braccio più che posso e sento un sibilo aumentare, e di colpo una luce accecante illumina la caverna. E' un budello allucinante di pietra nera trasudante, e l'acqua sotto di noi è più nera della pietra. A circa cinquanta metri da noi il tunnel si piega bruscamente ad angolo retto, sparendo dietro ai contrafforti di pietra.

Il marinaio spinge il canotto in fretta attraverso quel budello, mentre io guardo tutto a bocca aperta, la luce del bengala che pian piano si affievolisce e scintilla dorata sulle pareti bagnate. Arrivato alla svolta il mio compagno lascia il remo, lancia una corda e ci aggancia ad uno scoglio triangolare.

La luce mi rivela uno stretto passaggio tra le rocce, all'asciutto. Il rumore di cascata è decisamente più forte.

"Scendi," mi dice il marinaio, indicandomi la via.

A fatica riesco a farlo, tenendo in una mano il bengala ormai ridotto a una torcia rossastra. Il mio compagno mi segue, con sicurezza. Poi la luce si spegne.

Nel buio sento la sua voce ordinarmi: "Ora togliti tutti i vestiti."

Rabbrividisco.

"Che cosa?" chiedo, con un filo di voce.

"Mi hai sentito. Sbrigati." Una risatina, "Non accendo un altro bengala, così sei sicuro che non ti guardo. Anche se sarei curioso di vedere se sei davvero il maschietto che dici."

"Non voglio," mormoro, angosciato.

"Obbedisci!"

Non è più scherzosa quella voce, ma sferzante... un ordine perentorio che mi fa fermare il respiro nel petto. Indietreggio istintivamente, inciampo su qualcosa e cado sulla roccia bagnata. Lui è su di me. Mi afferra, con una sicurezza assoluta, come se mi vedesse chiaramente in quel buio pesto e allucinante. Mi rialza di peso in piedi, mi sbatte con le spalle contro una parete di roccia, e comincia a slacciarmi l'impermeabile, tenendomi stretto per un braccio.

"No!..." singhiozzo, in preda al panico.

Stavolta non sono più il bambinetto inerme dell'orfanotrofio. Tutto in me grida di reagire, di difendermi, di usare quel che gli istruttori di Alman mi hanno insegnato.

Ma non ci riesco... sento di nuovo quella strana sensazione dentro di me, come se la mano di quell'uomo e la mia carne si conoscessero da tutta l'eternità.

"Devi spogliarti di tutto prima di entrare nel Mondo Segreto," mi dice, e all'improvviso passa da quell'inglese volgare al solenne greco antico. "Tu muori al mondo per rinascere qui. E rinascerai nudo e tra le acque, come tua madre ti portò in questa vita."

Anche la sua voce cambia di colpo: al tono sguaiato si sostituisce uno dolce e possente, che mi strega. Non dimenticherò mai quell'istante, lo shock di quelle parole, di quella rivelazione.

Non penso più a resistere, anche se ho paura. Non mi spoglio come mi ha ordinato, ma mi lascio docilmente spogliare da lui, a occhi chiusi, respirando affannosamente: il freddo è tremendo, ma più le sue mani mi scoprono e più io mi sento... caldo...

"Che razza di creatura sei?" mormora lui, turbato. E mi lascia andare di scatto, quasi scottassi.

La magia si interrompe bruscamente, lasciandomi stupito a chiedermi cosa sia successo. Ritorno ad essere nient'altro che un ragazzino nudo e tremante di freddo, pieno di paura in un mondo nero che sembra volerlo schiacciare da un momento all'altro.

"La nascita è un cammino duro," mi dice quell'uomo misterioso, "Devi armarti di coraggio e attraversare un lungo e tortuoso cammino tra le tenebre, cercando a tentoni la tua strada. La puzza di marcio che sentirai è dovuta ai cadaveri di coloro che si sono perduti. Se gli dèi ti decreteranno un destino diverso dal loro, arriverai ad una porta d'acqua, dura come la pietra... una cascata che sarà l'ultimo diaframma. Defloralo, e la luce ti accoglierà nella tua nuova vita." Una pausa. "Ti ho detto tutto. Addio."

Lo sento allontanarsi da me. L'angoscia mi spinge a implorarlo: "Aspetta! Non lasciarmi qui!..."

"Hai paura?"

Si, ho paura. Mi sento cieco, intrappolato, soffocato da quelle rocce: l'idea di dover brancolare alla ricerca di un passaggio mi atterrisce. Ho il terrore di perdermi per sempre...

"Se non hai il coraggio di affrontare l'ignoto, come puoi aspirare a diventare un Santo di Athena?" domanda lui, severamente.

"Io... sono stato costretto a venire qui," rispondo, tremante.

"E tua madre non ti ha forse costretto a nascere? Questo non vuol dire che tu non debba vivere ugualmente."

Anche Ikki avrebbe potuto dirmi quelle parole.

Ikki, a cui ho promesso di ritornare...

Sento la mia paura recedere, vergognarsi di se stessa davanti all'esempio di mio fratello. Devo dimostrargli che mi ha insegnato bene a stare al mondo.

"Bravo," mormora quell'uomo misterioso, "Hai ritrovato il coraggio."

Trasalisco. Come fa a saperlo?...

"Cerca dunque la tua strada, trovala, passa la porta d'acqua e grida alla tua nuova vita. La vecchia finisce qui, su questi inutili vestiti che saranno distrutti. Il ragazzino che eri è morto. Da adesso in poi tu sei un discepolo di Athena."

***

Nei primi momenti di solitudine, imprigionato in un caos di pietre viscide e taglienti e sprofondato nel buio più totale, ritorno ad essere un bambinetto frignante. Per chissà quanto tempo resto immobile a singhiozzare, aspettando chissà quale aiuto. Quella situazione è la summa di tutti i peggiori incubi di un essere umano: paura del buio, claustrofobia...

Il freddo mi penetra nelle ossa, sto tremando come una foglia. Mi rendo conto che non posso stare immobile, devo assolutamente muovermi, o morirò assiderato. Qualcosa di selvaggio mi sprona, il più basilare istinto di sopravvivenza. Ancora con le lacrime agli occhi, le mie mani brancolano alla ricerca di una strada verso quel suono scrosciante.

E la trovano.

Mi infilo tra le rocce, picchiando ora la testa, ora i fianchi, ora le gambe. La roccia taglia. Mi devo muovere con più circospezione, ma il freddo incalza, devo fare presto. Un altro passo... una roccia davanti a me... un'apertura sulla sinistra... un altro passo... una salita ripida... un altro passo...

Si potrebbe impazzire. Sono queste le prove che chiedono le Scuole Segrete?... Ah, Mylock ci aveva detto che erano terribili! Ma se avesse parlato per esperienza personale avrebbe dovuto trovare ben altro aggettivo...

Penso al duca Alman e alla piccola Lady Isabel Saori. Magari stanno prendendo il tè sulla terrazza, o facendo una passeggiata a cavallo. Ed io - e noi tutti, chissà - stiamo sopportando tutto questo...

All'improvviso il freddo non è più un problema. Sembra che la temperatura si sia alzata, o forse la mia fatica mi fa sentire caldo. Ancora pochi passi, ed il caldo diventa decisamente piacevole. Mi abbandonerei lì a riposare, se non avessi la sensazione di soffocare in quella poca aria puzzolente...

Brancolo ancora in avanti, le mie mani toccano le pietre.

Sono calde!

Il passaggio tra caldo e freddo avviene dunque nello spazio di pochi metri. Sento l'umidità aumentare, un nuovo odore pungente di salsedine e zolfo, ed il rumore della cascata si fa più forte.

Ancora avanti!

L'aria si fa sempre più densa di vapori irritanti. Passo da un panico all'altro. Il mio corpo graffiato che poco prima tremava di freddo ora suda come se fossi in un Furo, una sauna giapponese. I miei movimenti diventano frenetici.

Ho perso il senso del tempo. Devono essere ore che sono lì dentro, in quel labirinto infernale...

Alla fine, dopo aver superato un'ultima strettoia, vedo una finestra di luce grigioazzurra, mobile, solcata da righe verticali, che si riflette in una piccola polla tra le rocce in mezzo a volute di vapore.

Una cascata di acqua calda, vista dall'interno della montagna!

Mi avvicino. Il rumore dell'acqua che cade è impressionante. I miei piedi nudi sguazzano nella polla, il fondo è reso viscido dai depositi di minerali. L'aria è irrespirabile, devo assolutamente uscire fuori di lì. Allungo la mano e scopro che la cascata scotta, ben più dell'acqua contenuta nella polla.

Ed io devo passarci in mezzo... in mezzo a quella massa di acqua caldissima che mi sbarra il cammino, la porta d'acqua di cui parlava l'uomo che mi ha accompagnato.

Mi viene da piangere, ma devo trovare il coraggio di farlo.

Per Ikki!

E mi getto in avanti.

Urlerei, se non fossi sommerso. Il peso terrificante dell'acqua mi schiaccia giù, come mille bastonate, ed la temperatura è al limite della sopportazione umana. Vengo travolto, sospinto come una foglia secca verso il fondo di una conca rocciosa, sballottato qua e là in mezzo a migliaia di bollicine. Mezzo soffocato cerco di raggiungere la superficie, allontanandomi dalla colonna d'acqua che mi tiene inchiodato sul fondo. Con uno sforzo disperato ci riesco.

Ed il primo respiro che faccio riemergendo è un ansito animalesco, seguito da un grido di strazio per la mia pelle in fiamme.

Il mio primo vagito nel Mondo Segreto...

Mi lascio andare fino al bordo della conca, sfuggendo alla corrente che mi spingerebbe in avanti: quella specie di vasca infatti è solo un gradino della cascata, che continua la sua caduta più oltre. Mi arrampico freneticamente sul bordo viscido, uscendo tramortito dall'acqua. Il freddo prima e il caldo poi mi hanno completamente sfinito, sento i miei nervi arricciarsi sotto la pelle per quel trattamento, come se mi avessero frustato su tutto il corpo, parti intime comprese...

Ma almeno sono vivo, fuori da quella tomba nera!

Aspetto di prendere un poco di forze, mi alzo sulle mani e sulle ginocchia e guardo il paesaggio che si stende davanti a me, illuminato in pieno dalla luna.

E resto senza fiato dalla sua tetra bellezza.

La cascata da dove sono uscito continua il suo salto per almeno altri trenta metri, e finisce in un torrente fumigante che taglia a metà un'antica conca vulcanica, contornata da guglie che scintillano alla luce della luna. Nel mezzo di essa si eleva un singolare, enorme blocco di pietra simile alla prua di una nave che emerga dal suolo. Le ombre della luna rivelano che una forma regolare è stata scolpita su di esso, un bassorilievo di grandi dimensioni: riconosco la figura di una donna, quasi danzante come appaiono tutte le figure indiane, che sembra voler schizzare fuori dalla roccia, trattenuta ad essa solo da... catene.

"Andromeda?!" mormoro, stupito. Ho sempre visto quella figura tracciata da artisti occidentali...

"Anthrâmatha," dice una voce femminile alle mie spalle.

Mi volto di scatto. Vedo stagliarsi contro la luna la figura di una donna alta e atletica, l'onda impossibile dei suoi capelli chiari mossi appena dalla brezza.

"Hai riconosciuto la signora celeste di quest'isola," mi dice in greco antico, con una voce di contralto venata di un tono canzonatorio. "Benvenuta nel Mondo Segreto, fanciulla."

"Non sono una fanciulla," dico, ancora tutto dolorante. "Sono un ragazzo!"

"Davvero?... Alzati, e lasciati guardare."

Non mi va, un residuo del mio pudore insorge. Mi sono lasciato spogliare da un uomo, ma espormi allo sguardo di una donna adulta perché controlli se sono un maschio o meno...

La donna porta indietro il braccio destro, vedo qualcosa pendere da esso. Poi il braccio scatta in avanti. Sento lo schiocco terrificante di una frusta ad un centimetro dalla mia faccia, spalanco gli occhi senza fiato.

"Obbedisci ai miei ordini. Questa è la prima lezione che devi imparare," mi dice lei, con dolcezza minacciosa.

La mia pelle infiammata trema all'idea di ulteriori torture. Per cui obbedisco, anche se con molta riluttanza.

"Ma non sei che un bambino!..." esclama la donna, stupita. "Quanti anni hai?"

"Undici... undici e mezzo."

"Così giovane?... Uhm... Chi ti ha mandato qui è pazzo, o crede che le sacre regole ci consentano di risparmiarti." Sospira. "Dimmi, bambino, cosa sei venuto a fare quaggiù nel Mondo Segreto?"

"Devo diventare cavaliere, prendere l'armatura e tornare a casa."

La donna ride della mia ingenuità.

"Oh, una cosa molto semplice, non è vero?... " Posa un piede su una roccia, si piega verso di me con la sua frusta in pugno. "Uomini e donne stanno tentando da secoli quest'impresa, sempre fallendo. E pagando un prezzo salato per questo, perché chi entra nel Mondo Segreto ne esce vincitore... o non ne esce affatto." La sua voce diventa quasi un sussurro. "Altrimenti non sarebbe un Mondo Segreto, non durerebbe da più di tremila anni ignorato da tutti. Questo lo sai?"

Annuisco.

"Lascia che ti dica dunque ciò che forse non sai. Una volta che entri in questa valle questo è il tuo mondo, il mondo esterno non esiste. Non ci sono contatti che attraverso gli emissari del tempio. Qui il tempo si è fermato all'epoca dei miti, perché solo così si può sperare di farla rivivere. Non c'è ospedale né moderne medicine, chi si ammala o si ferisce gravemente muore. Si mangia cibo semplice, si beve acqua piovana, ci si lava al torrente, il nostro orologio sono le stelle. Ci si allena e si lavora sodo, senza sosta, senza speranza di potersi fermare, tantomeno di scappare. Fuggire da qui è impossibile. I morti non vengono seppelliti, ma dati in pasto agli avvoltoi secondo la pratica tibetana. Non abbiamo terra sufficiente per contenere tutti coloro che nei secoli hanno pagato con la vita la loro ambizione."

Sono intrappolato qui. Capisco che la donna ha ragione, è impossibile fuggire: anche se riuscissi a percorrere a ritroso la strada che ho fatto, mi troverei sugli scogli di un'isola deserta ignorata da tutti...

"E' per ottenere questo che tu hai varcato il labirinto dell'inferno. Per questo hai trovato il coraggio di passare la cascata del vulcano. Hai acquistato il diritto a tentare la sorte... e molto probabilmente, a morire qui. Sei ancora così giovane che mi chiedo come tu abbia potuto superare queste prime prove; ma sappi che quelle che ti aspettano come postulante sono ancora più dure... così dure che tu maledirai il giorno in cui sei nato." Scuote la testa, soggiunge con voce cupa: "Mi dispiace per te. Non vorrei uccidere un bambino, ma forse sarebbe la soluzione più misericordiosa."

Si raddrizza, sento quasi fisicamente la tensione dei suoi muscoli. Trattengo il fiato, inorridito. Finirà così dunque la mia avventura nel Mondo Segreto? Sarò ucciso addirittura prima di tentare la mia impresa?

Il genere di fine che tutti si aspetterebbero per me...

"Rispondi a questa domanda," dice la donna, con voce mortale. "Valuterò dalla tua risposta se lasciarti in vita come il tuo coraggio richiede... o ucciderti come la pietà imporrebbe. Perché vuoi diventare cavaliere?"

Esito a lungo, chiedendomi disperato quale risposta mi salverà la vita...

Ma poi qualcosa nella mia anima insorge, e rispondo semplicemente, con tutta la mia sincerità:

"Devo mantenere una promessa che ho fatto a mio fratello."

"Non sei un po' piccolo per fare promesse così grandi?"

Chino la testa.

"Non avevo altro da offrirgli che questo," mormoro, con voce soffocata.

E chiudo gli occhi, sull'orlo delle lacrime, pensando: Ci sarà un domani...

Passa un lungo istante, durante il quale la donna non muove un muscolo. Poi si rilassa, e sospira pesantemente.

"Mi piace la tua risposta, ed è degna di rispetto. Si dice che pure motivazioni diano i più ricchi dei premi. Sei degno di tentare la sorte di Andromeda. E non biasimarmi per questo."

Riapro gli occhi, osando finalmente respirare di nuovo.

"Non ti sei comportato come un comune bambino," aggiunge lei, con tono incuriosito. "Sembri meno di ciò che sei, e nello stesso tempo più di ciò che sembri. Qual'è il tuo nome?"

"Shun."

Scende saltellando dal suo posto tra le rocce, un movimento agile e sicuro. Finalmente riesco a vedere qualcosa in più di lei che la sua sagoma. Uno scintillio di metallo mi rivela le sue protezioni alle ginocchia, alle spalle ed al seno: a parte quello, sembra vestita solo di cuoio: stivali alti fino alle cosce, una specie di costume sgambato allacciato sulla schiena, lunghi guanti su braccia muscolose. Quando alza il viso alla luce della luna, vedo un volto argentato, impassibile, infernale. Ci metto un po' ad accorgermi che quello non è il suo viso, ma una sottile maschera scintillante, attaccata ad una fascia che le stringe i capelli smisuratamente lunghi.

"Il mio nome è Nemesis. Ho fallito la prova per l'armatura di Andromeda, ma possiedo il segreto dell'energia cosmica e per questo sono sacerdotessa di Athena. Nei giorni che seguiranno molti ti addestreranno, ma io sono la tua maestra, poiché sono stata la levatrice della tua seconda nascita. Per il tempo che gli déi ti concederanno su quest'isola, tu sei mio allievo. Non dimenticarlo mai."

Comincia a scendere lungo un sentiero nascosto.

"Seguimi!" mi ordina. Ed io le obbedisco.

***

"Andromeda era la figlia di re Cefeo e della regina Cassiopea," mi ha detto Nemesis una volta, "Per espiare la vanità di sua madre e l'ignavia di suo padre fu incatenata sull'isola di Ios, offerta come preda al mostro marino al posto della sua città. I Greci poi raccontarono che l'eroe Perseo la liberò pietrificando il mostro con la testa di Medusa. Ma la leggenda indiana di Anthrâmatha dice che il mostro la risparmiò colpito dal suo coraggio e dalla sua bellezza." Un sospiro. "La stessa leggenda persiana dice semplicemente che lei morì, eroina per forza. Nel cielo Andromeda è forse il segno dello spirito di sacrificio assoluto, la mulier incatenata che fa di ciò che la umilia la propria forza, e guarda nelle fauci del mostro."

Mi riconosco moltissimo in questo ritratto, specialmente ora che vivo qui, dove umiliazioni, sacrifici e fauci del mostro non mancano mai.

Nei miei pochi anni ho cambiato vita così spesso che ormai non mi stupisco più della mia capacità di adattamento. Non avrei mai creduto che sarei sopravvissuto a lungo in quest'isola, ma sembra che mi sia abituato alla totale mancanza delle più semplici comodità, alla dieta semplice e monotona, al calore soffocante di questa conca vulcanica, acuito da quel torrente caldo e salato che la attraversa. Questo posto è l'acme della sterilità: cenere e sale, sale e cenere. La sete è il tormento peggiore; la poca acqua che beviamo viene dall'interno della montagna, dove le correnti gelide raffreddano la roccia, che condensa l'umidità dell'aria in piccole polle. In pieno giorno, col sole a picco, si arriva a superare senz'altro i quarantacinque, cinquanta gradi di temperatura; la forma del cratere impedisce alle brezze marine di rinfrescarci.

Se non c'è il sole a spaccarci la testa ci sono le piogge torrenziali. Allora possiamo finalmente bere a volontà, ma in compenso passiamo le giornate sempre completamente fradici, perché l'addestramento continua con qualsiasi tempo.

Stiamo al coperto le poche ore che ci lasciano da dormire, e le pochissime che trascorriamo al tempio, nel quale possiamo contemplare l'agognata armatura: uno scrigno cubico dall'aspetto bronzeo, con lo stesso fregio del bassorilievo. Il tempio è scavato nella parete che domina la conca, un lavoro che deve essere antico di millenni: dentro mantiene sempre la sua fresca temperatura. Della gente mascherata lo abita, e mascherati sono anche i nostri maestri, tutti sacerdoti di Athena evidentemente.

I nostri vestiti sono semplici e ruvidi, fatti di una stoffa arcaica, come arcaiche sono le calzature, e comunque per mesi io sono rimasto scalzo. Mentre chi ha barba ha l'obbligo di radersi, i capelli non ci vengono tagliati che tre volte all'anno, e mai sulle spalle: pare che sia una regola delle scuole segrete. Un sacerdote si limita ad accorciare solo i capelli alla sommità della testa, e taglia la frangia sulla fronte con un colpo secco di un'enorme forbice. Portare i capelli lunghi in posto torrido è una tortura, e spesso devo legarmeli in coda dietro alla testa, tutti rigidi a causa dell'acqua dura nella quale li devo lavare. E meno male che almeno posso lavarmi nell'acqua calda del torrente, perché per quanto riguarda altri aspetti dell'igiene siamo rimasti all'età classica, quando i nobili Greci andavano a defecare fuori di casa.

Per tutte le notti in cui Andromeda è visibile nel cielo (e sono tante!) siamo costretti a stare seduti in meditazione a guardarla. Resistere al sonno è dura, ma la frusta di Nemesis sembra sapere con sicurezza quando un postulante cede. Abbiamo tutti addosso i segni dei nostri colpi di sonno; ma io sono sfavorito perché sono in un'età dove il bisogno di dormire è più grande... non per questo Nemesis mi risparmia frustate.

"Medita, non dormire!... E' in queste notti che si gioca la tua speranza di essere cavaliere! Le tue deboli braccine non ti saranno mai sufficienti, se non acquisisci l'energia cosmica!"

Gli altri ridacchiano. Sono talmente giovane che non possono credermi un serio concorrente alla loro stessa impresa. Alcuni hanno addirittura vent'anni, altri sfoggiano fisici da lottatori e muscoli possenti. Siamo tutti maschi, ma è un caso, poiché l'addestramento sarebbe aperto anche alle femmine. Comunque i sarcasmi su di me non si contano, perché sembro proprio una via di mezzo tra i due sessi: nonostante l'addestramento non mi imbottisco di muscoli, mi allargo solo un poco di spalle; cresco sì in statura, ma non troppo; il mio volto non ne vuole sapere di perdere i suoi tratti fin troppo dolci e delicati. Insomma, in mezzo ai corpi virili ed erculei che mi circondano io resto un tenero adolescente dall'aspetto sottile e grazioso, assolutamente fuori posto in quell'ambiente selvaggio.

Eppure cresco sano, nonostante la vita infernale, e questo stupisce me più di tutti. E mi adatterei a lanciare migliaia di sassi su un bersaglio come mi hanno costretto a fare, o a correre fino allo sfinimento sulla cenere rovente della piana, o a balzare da una roccia all'altra, o a far roteare sulla mia testa una catena appesantita fino a farmi sanguinare il palmo delle mani; mi adatterei a mangiare solo cereali e pesce ed alghe e bere poca acqua salmastra, a dormire su un letto più duro di un futon, a stare seduto per ore fissando una costellazione in cielo con l'incubo di Nemesis alle spalle...

...ma ci sono i combattimenti, i maledetti combattimenti.

E' come alla scuola, e anzi molto peggio, perché non esistono regole, ogni avversario colpisce per far male il più possibile. Sembra che ognuno dei postulanti voglia sbarazzarsi degli avversari al titolo di cavaliere, come se questo fosse il premio di un torneo e non l'acquisizione di un potere trascendentale.

Io ne faccio le dolorose spese, perché nessuno mi risparmia niente anche se sono così piccolo, anzi: ho l'impressione di essere talmente odiato che nessuno esiterebbe ad uccidermi, anche se non so cosa faccia per meritarmi tutto questo risentimento: forse è la solita storia della diversità che salta fuori, la diversità che mi è costata fino ad adesso tutto quel che avevo. E che ora rischia di costarmi pure la vita.

Uso tutte le tecniche di difesa apprese al Saint George, ma attacco così male che vengo regolarmente pestato finché Nemesis non interrompe la lotta, attirandosi le ire degli altri maestri che l'accusano di essere troppo tenera con un allievo che non vale niente. E a me non resta che strisciare fino al torrente alla ricerca di un po' di acqua salata con cui lavarmi le ferite.

"Duro a morire il bel ragazzino," dicono i miei compagni, stupiti dalla mia resistenza. E mi stupisco anch'io, mi chiedo se a forza di essere stato picchiato abbia imparato ad incassare anche i colpi più duri...

Un giorno vediamo che al campo dei combattimenti c'è più agitazione del solito. Ci sono tutti i maestri schierati. E sulla terrazza scavata nella parete del tempio vediamo un uomo alto e mascherato, con una veste fluttuante ed una stola sul petto, che ci squadra.

"Il Gran Maestro!" mormora Redha, un mio compagno, fissandolo impressionato.

Alzo lo sguardo anch'io, con occhi sgranati. E' la prima volta che vedo Albyon, il Gran Maestro, signore assoluto di Anthrâmatha: colui che è quasi come un cavaliere.

"Si degna di assistere ai combattimenti dei postulanti!" esclama un altro, "Forse, se siamo bravi, scenderà ad insegnare qualcosa ai vincitori."

Abbasso gli occhi, con un sorrisetto triste. Ai vincitori! Non certo a me, il piccolo e debole ragazzino che le prende da tutti.

Odio i sorteggi: non ho proprio fortuna con essi, come la mia sciagurata scelta dell'Isola Nera ha ben dimostrato. Vengo abbinato a Saltius, il più forte e anziano postulante dell'isola. Il combattimento con lui non è altro che la mia continua difesa dai suoi attacchi.

Potrei andare avanti all'infinito, ma Nemesis mi urla: "Shun! Smettila di scappare... o la tua codardia ti porterà dritto alla roccia delle punizioni!"

Punizioni... credo di conoscerle tutte, ormai, tranne quelle capitali: qualcuno qui si è dato da fare ad inventare ogni sorta di umiliazioni e torture per chi non segue le ferree regole dell'isola. Si punisce tutto, finanche i gesti di pietà verso i compagni: si va dalla raccolta degli escrementi all'essere legati distesi e costretti a ingoiare litri di acqua tossica fin quasi a morirne, con tutto il corollario di digiuni, crudeltà varie e percosse in mezzo. Per i postulanti la roccia delle punizioni è un incubo, ma per quasi tuuti è anche l'unico svago: si divertono ad assistere al dolore altrui con un sadismo che mi sconvolge. Poiché per codardia si intende anche il rifiuto di combattere, la relativa punizione è una consuetudine per me: sono già stato incatenato ad un macigno esposto al sole, come appunto Andromeda, ma con la faccia rivolta alla roccia in segno di vergogna; e sono rimasto lì tutto il giorno senza cibo nè acqua, a sopportare le spiritosaggini dei miei compagni, con uno in particolare che amava fare il verso a Euripide:

Cosa vedono i miei occhi? Una fanciulla simile alle dee

Ormeggiata come nave alla fonda...

Ohimè, è la casta Andromeda!

Figurarsi le risate...

Di nuovo Saltius mi attacca, io arretro e evito il pugno di un soffio, paro con tutte e due le mani il colpo successivo, mi volto dal suo lato debole.

Potrei colpirlo...

No! Perdo l'istante giusto.

"Shun, attacca o stavolta avrai frustate, non solo catene," mi intima Nemesis.

Saltius abbandona ogni guardia, mi si avvicina sfidandomi a colpirlo.

"Dài!... Fatti sotto, bambinetta! Fammi sentire quanto sei forte!"

Devo attaccare... colpire la sua gamba d'appoggio... ma potrei sbagliare la forza del colpo... basterebbe poco per rompergli un ginocchio... e Saltius zoppo non potrebbe continuare l'addestramento...

"Per l'ultima volta! Attacca!" tuona Nemesis.

Colpire in faccia Saltius è inutile per me. Un mio pugno non gli farebbe niente. Un colpo dato con la crudeltà delle arti marziali potrebbe fargli troppo male... danneggiargli la vista o l'udito... o addirittura ucciderlo...

Alla fine attacco, ma è come se qualcosa mi imbrigliasse i muscoli. I miei movimenti sono sbagliati ancor prima di cominciare. Il mio attacco si rivela di una goffaggine spaventosa a paragone della perfezione della difesa. Non faccio nulla a Saltius, ma lui riesce ad afferrarmi e mi scaraventa senza pietà a terra, sferrandomi un calcio al fianco che mi lascia senza respiro.

Lui non ha le mie inibizioni!

Cerco di girarmi, ignorando il dolore che mi impedisce perfino di respirare. Vedo con la coda dell'occhio il suo secondo calcio che punta alla mia faccia: se mi prende mi ammazza. Lo paro con tutte e due le braccia e sento una tale esplosione di dolore che mi convinco di averle spezzate.

Non riesco a urlare, il dolore alla cassa toracica è troppo forte, forse Saltius mi ha rotto qualche costola. Mezzo soffocato, vengo afferrato da lui, alzato di peso, e un pugno terrificante mi colpisce alla zona temporale del cranio. Vedo un'esplosione di luce negli occhi e mi dico:

Perdonami, Ikki, ci ho provato a sopravvivere...

Segue un vuoto nero che potrebbe essere un istante o una vita.

Mi accorgo di non essere morto riprendendo faticosamente i sensi in mezzo agli altri perdenti, che gemono di dolore o che sono riversi a terra: alcuni sanguinano dai volti rigonfi, altri si stringono arti doloranti. Uno dei miei compagni sta lanciando urla spaventose, e quando riesco a mettere a fuoco quel che vedo mi sento male per lui: ha il braccio sinistro spezzato, e la frattura è scomposta, un pezzo dell'osso fuoriesce da una lacerazione sanguinante.

Uno dei maestri lo afferra per il collo, stringe e lo fa svenire, quindi prende il braccio e cerca di ricacciare dentro l'osso. La maschera d'argento mi impedisce di vedere con quale espressione compie quest'azione, ma il suo corpo rilassato farebbe pensare che non c'è alcuna emozione in lui. Ormai è abituato alla triste musica di quest'isola... Gemiti, urla, pianti, sangue, morte; giovani messi alla tortura da maestri disperati, tutti a caccia di un cavaliere che forse non è ancora nato; un gigantesco sacrificio umano che ingoia gioie, aspirazioni, bellezza e poesia degli anni che dovrebbero essere i più belli della vita.

Mi metto con la testa contro le ginocchia, chiudo gli occhi e la mia anima si mette a gridare: basta, mi arrendo, non ne posso più...

"Cosa fai, ragazzino?" mi chiede una voce sferzante sopra di me.

Alzo la testa di scatto, con gli occhi ancora pieni di lacrime.

Una veste fluttuante davanti a me mi blocca la visuale. Alzo lo sguardo e vedo la stola che ondeggia sul petto di quella figura, una maschera d'argento dalla serenità olimpica che mi squadra. Spalanco gli occhi, sorpreso. E' lui... il Gran Maestro!

"Piangi per questa sconfitta?" mi chiede, severamente. "O per paura della prossima?"

Mi asciugo gli occhi, tremando.

"Alzati in piedi," mi ordina.

Obbedisco. Lui mi afferra per le braccia, stringendo dove Saltius ha lasciato i suoi segni violacei.

"Ahi!..." grido, sussultando.

"Zitto," ordina lui a voce bassa. E mi tasta, afferrandomi i polsi e torcendoli, provando la mobilità dei miei gomiti. Poi mi volta come una marionetta, mi alza la tunica e ficca le dita nel livido tra le mie costole.

Sto sudando freddo. Mi fa male!... Ma cosa vuole fare?

Altri hanno notato quello strano comportamento, ci guardano incuriositi.

Per ultimo, il Gran Maestro mi rigira, mi prende per i capelli e mi fa girare la testa in modo da poter guardare il gonfiore sulla mia tempia. Mi lascia andare e resta immobile, fissandomi a lungo.

"Dovresti essere morto. E invece non hai nemmeno una frattura."

"Mi dispiace, maestro," mormoro. Che altro posso dirgli?

"Chi ti sta addestrando? Nemesis?"

Annuisco.

"Preparati a combattere ancora."

Lo guardo, esterrefatto. "Ma, maestro!... Sono già stato battuto!"

"E credi di cavartela così a buon mercato?" La sua voce è durissima. "Ti batterai di nuovo. E' un ordine!"

Altre botte, allora... e chi sarà il mio carnefice? Saltius, ancora?

"Oh, no," dice lui con voce ironica, rispondendo alla mia domanda silenziosa con straordinario intuito. "Stavolta dovrai stare molto più attento e dare il massimo di te... perché il tuo avversario sarò io."

Un improvviso silenzio ci circonda.

"Gran Maestro Albyon!" esclama Nemesis, avanzando precipitosamente verso di noi. "Ho sentito bene? Vuoi combattere contro questo miserabile ragazzino?!... Ma non è degno di tanto onore! I vincitori ti aspettano, lascia a me questo perdente nato, che lo spelli a dovere per aver fatto una così misera figura davanti a te..."

"Che c'è, Nemesis?" replica lui, sferzante, "Hai tanto a cuore questo tuo allievo che vuoi proteggerlo da me?... Questo non è da te, sacerdotessa. Fatti da parte!"

Si toglie la stola e si sfila la veste.

Dio mio! E' alto, con un fisico agile ed un torace possente, le braccia lunghe e tutte intrecciate di muscoli, non un filo di grasso addosso... un corpo da atleta sotto quella maschera d'argento, dalla cui fascia scende una sterminata coda di capelli castani.

Mi viene da piangere. Non riuscirò mai a battere quel capolavoro della natura... io, che a dispetto di tutta la mia fretta di crescere, non ho ancora quindici anni!

Lui mi gira le spalle, facendo danzare la sua coda di capelli sulla vasta schiena, e va in mezzo al campo di combattimento, mentre tutti lo guardano, affascinati dalla scena assurda che seguirà. Nemesis sospira nervosamente, mi mette una mano sulla schiena e mi spinge in avanti.

"Prega Athena o il tuo Dio o chiunque altro che ti aiuti, Shun. E ricorda che avrei potuto ucciderti senza sofferenze inutili, tre anni fa. L'hai voluto tu tutto questo."

Entro anch'io nel campo di combattimento. Tutti mormorano, alcuni sogghignano, ma la maggioranza si chiede esterrefatta il perché di quel duello. Me compreso.

"Sei pronto, ragazzo?" chiede Albyon, mettendosi in guardia.

Il mio primo impulso inorridito è rispondere di no. Non sono pronto! Ma come può pretendere che combatta contro di lui? Nemmeno Saltius è alla sua altezza, nemmeno la stessa Nemesis!

Ma Albyon è il mio Gran Maestro, il signore dell'isola: devo obbedire ai suoi ordini. Devo obbedire... se voglio l'armatura... se voglio rivedere mio fratello.

Mio fratello.

Il mio spirito sarà sempre con te, mi aveva detto. Chiudo gli occhi, e lo sento davvero al mio fianco, mi sembra che sia in mezzo a quella gente a guardarmi... deve vedermi combattere bene e, se questo sarà il mio destino, morire con onore, non tremando di paura.

Riapro gli occhi. Mi metto in guardia. Nulla esiste. Solo io e Albyon. Solo io e lui.

La sua maschera scintilla al sole, l'espressione immutabile e aliena mi frastorna. E' un vantaggio per lui. Un altro!... Perché ne ha bisogno, vero?... No! Questa è disperazione! Lui conterà sui suoi infiniti vantaggi. Farà un errore... almeno spero...

Quasi non vedo il suo attacco. Scivolo di lato trattenendo il fiato, schivando di un pelo il suo fendente. Un avversario normale scatenerebbe un attacco alla cieca, o mi darebbe un fiato tra un colpo e l'altro. Albyon no: continua l'attacco al ritmo forse di un colpo mortale al secondo. Mi sembra di vedere ogni suo movimento e di anticiparlo, ma vedo anche che lo spazio per le mie manovre elusive si va assottigliando. Quando non ce la faccio più, lui ferma l'attacco, respira profondamente.

La maschera mi impedisce di vedere la sua espressione. Stupita? Divertita? Risentita?

Io so la mia. Spaventata.

Di nuovo mi attacca, stavolta con le gambe. Calci falcianti a tutte le altezze. Schivo, paro, schivo, paro... vedo in un lampo il suo punto debole, il momento in cui alza una gamba e posa tutto il suo peso su quella di appoggio. Scatto all'attacco a mia volta, sperando che un mio calcio possa fare qualcosa a quella gamba di granito. Ma sono troppo lento, o lui è troppo bravo, si sposta di un filo, mi intercetta fuori equilibrio e mi colpisce sopra il ginocchio con una forza tale da falciarmi letteralmente al suolo.

Resto a terra, boccheggiando perché non riesco nemmeno a gridare.

La gamba... tutto il mio universo è in quella gamba... deve avermi spezzato il femore!

Stringo i denti, in lacrime, cerco di rialzarmi. Albyon mi pianta un piede nel petto e mi schiaccia al suolo, premendo con una forza tale che sento lo sterno scricchiolare.

"Piangi ancora, ragazzino?"

Se mi spezza lo sterno morirò in pochi minuti. Lo guardo disperato.

"Non un solo attacco degno di questo nome. Pensi solo alla difesa. Allora difenditi da questo!"

Mi sferra un calcio allo stesso fianco colpito da Saltius. Mi contorco per terra con un gemito soffocato. Quando riprendo fiato sento la sua voce continuare, dura come una frustata:

"Per quanto tempo credevi di poter andare avanti difendendoti e basta? Solo un buon attacco ti avrebbe potuto salvare. Ma per attaccare ci vuole carattere, forza di reazione, rabbia, non lacrime infantili!... Hai bisogno di un buon motivo per odiare il tuo avversario? Ti accontento subito!"

Mi volta burberamente a faccia in giù, punta un piede sulla mia schiena, mi afferra il braccio destro e mi fa qualcosa di orribile... mi sloga la spalla e la rimette a posto in un solo movimento...

Il mio urlo echeggia per tutta la radura.

"Basta!..." grida Nemesis, "Ti prego!..."

"Ah! Finalmente qualcuno è riuscito a farti male davvero, eh?" esclama lui su di me. "Ne hai abbastanza? No, vero?... Allora fammi sentire ancora come sai urlare bene!"

Mi afferra l'altro braccio e mi fa lo stesso...

Dio, non ho mai provato tanto dolore in vita mia, sto morendo di dolore, mi sta uccidendo!...

Mi ribalta di nuovo supino, si inginocchia su di me. "Scommetto che ora avresti la voglia di attaccarmi, di vendicarti, di vedermi in lacrime a mordere la terra come stai facendo tu in questo momento!"

Non so quale forza riesca a far uscire delle parole dalla mia gola contorta.

"Io non... voglio fare... del male... a nessuno..."

Una risata feroce mi trafigge le orecchie.

"Uno spirito puro, eh?... Un guerriero che si batte pieno di buoni sentimenti!" Si china su di me, ad un soffio dal mio viso, e mi dice velenosamente: "Ti hanno emarginato, rifiutato, maltrattato da quando sei nato fino ad adesso, e tu credi ancora alla bontà del mondo!"

Chiudo gli occhi, sul punto di scoppiare a piangere. E' vero!...

Però la mia anima denudata dal dolore ha una risposta, e la devo dare ad Albyon, a qualsiasi costo. Riapro gli occhi e singhiozzo, con un filo di voce:

"Devo crederci... altrimenti... come potrei vivere?"

Quella maschera impassibile mi guarda a lungo, in silenzio. Affronto quello sguardo tremando, coi nervi in fiamme.

Ed alla fine lui si rialza. Mi dice con immenso disprezzo: "Sei così debole da crederti un eroe in virtù della tua debolezza!... Ma è giusto, non hai altro per distinguerti dai tuoi compagni. Tutto sommato puoi servire a mostrar loro come non ci si deve comportare e cosa non si deve essere! Ti lascio dunque vivere, miserabile creatura che chiede al mondo solo di essere schiacciata." Si volta e se ne va dal campo, ordinando: "Trascinate questo piccolo codardo al posto che ormai gli spetta di diritto... e lasciatecelo a meditare!"

Quindi scompare nel tempio, tra le occhiate sconcertate di tutti.

Nemesis accorre da me, prima di corsa, poi rallentando di colpo, quasi ci avesse ripensato. Si ferma a qualche passo da me, respirando affannosamente. I maestri la guardano, in silenzio. Lei china la testa, la gelida maschera nasconde la sua espressione.

"Avete sentito gli ordini del Gran Maestro," mormora, con voce soffocata. "Obbedite, ma non fatelo fare a me... ho troppa vergogna del mio allievo."

Gira sui tacchi e mi abbandona lì, come se fossi una cosa infetta.

***

Il resto di quella giornata tragica la finisco così, incatenato con la faccia alla roccia. Stavolta i miei compagni mi risparmiano i loro sarcasmi, mi stanno alla larga. Ma nessuno osa darmi da bere, e sono ancora sotto shock per tutti i colpi terrificanti che ho subìto. Soprattutto le spalle slogate mi fanno male, al punto di farmi lamentare come un animale ferito, senza riuscire a smettere: quella è stata la crudeltà peggiore che mi abbia inflitto Albyon...

Perché? Perché mi ha fatto tutto questo? Perché è venuto a prendermi in mezzo ai perdenti e mi ha costretto a combattere con lui?... Perché voleva uccidermi? No, avrebbe potuto farlo in un istante! Perché voleva darmi una lezione? E che lezione? Piuttosto, una punizione per la mia incapacità di far del male di proposito a una persona...

Devo accettare quel che mi ha fatto? E' il mio maestro supremo. Non posso credere che mi abbia torturato in questo modo solo perché gli sono antipatico. Ma dentro di me non sono convinto. Non capisco perché mi abbia umiliato così....

Forse non c'è una spiegazione. La mia vita intera è senza spiegazione. Perché sono nato così diverso da Ikki, da mamma, da papà? Perché Ikki non mi ha abbandonato come sarebbe stato logico? Perché Alman di Thule ha preso anche me al Saint George? Perché io voglio bene a tutti e non ho un solo vero amico al mondo, ma solo gente che mi odia? Perché alla mia età i ragazzi giocano ancora, ed io sono qui a imparare a combattere?

Perché?!...

Vorrei piangere ma riesco solo a singhiozzare, le labbra sono asciutte, la bocca mi fa male, rabbrividisco di freddo ma so che è un sintomo di disidratazione, il sole spietato mi sta rubando tutta la mia acqua.

Viene il tramonto ed io mi sento sull'orlo del delirio. Non mi dispiace. Il dolore passa in secondo piano, finalmente, ed il mio corpo sprofonda sempre più in un torpore febbricitante. Non sento più le catene. Non sento più le strida dei gabbiani. Chiunque mi vedesse penserebbe che sono svenuto, ma non è così, sarebbe troppo bello... invece sto scivolando lentamente verso il regno della morte.

Non ho più voglia di vivere! Se potessi fermare il mio cuore lo farei.

Ikki, l'hai sempre saputo che io ero un debole: per questo mi hai sempre aiutato, perché sei la persona più generosa che esista... perdonami dunque se preferisco morire, mancando alla mia promessa verso di te. Non ce la faccio più da solo, avrei disperatamente bisogno di te per ritrovare la forza di vivere...

Ikki?

Sei tu?... Non è possibile! Eppure... ti sento così vicino...

Che sogno meraviglioso! Mi liberi dalle catene, senza fare rumore, mi adagi a terra e mi bagni la faccia, mi versi dell'acqua fresca, dolce sulle labbra. Vorrei bere da solo, ma non ci riesco, le mie braccia sono solo nervi infiammati. Allora tu mi aiuti, con tutta la tenerezza che hai sempre avuto verso di me.

Ed ora mi sollevi tra le braccia... proprio come quando ero ancora un bambino e mi addormentavo addosso a te, così mi dovevi portare a letto... ora te lo posso confessare: sai quante volte fingevo di addormentarmi, solo per provare la dolcezza di essere presi tra le braccia di qualcuno che ti vuol bene?

Come mi cullano i tuoi passi... dove mi porti, Ikki? Non mi importa. Portami ovunque tu voglia...

E all'improvviso sono sdraiato sulla roccia calda, e davanti a me si spalanca un cielo stracarico di stelle, la Via Lattea in tutto il suo fulgore. Non ho più sete, il mio corpo mi dà tregua, guardo stupito e affascinato quello spettacolo e mormoro, con voce sognante:

"Che meraviglia, questo cielo..."

"Si, è bellissimo," mi risponde dolcemente una voce maschile, sopra di me.

Non è quella di Ikki.

Trasalisco, cerco istintivamente di alzarmi, dimenticando di avere le spalle slogate. Una fitta di dolore lancinante mi strappa un gemito. Due mani forti mi afferrano per ridistendermi senza che io debba ripetere il movimento.

Ahhh... quella sensazione mai dimenticata! Come la sento forte adesso... una calda energia che si diluisce dentro di me, consolante, benevola.

Guardo l'uomo chino su di me, ansimando. La luce delle stelle mi fa intravedere solo qualche dettaglio del suo volto, stranamente familiare.

"Dove sono?" chiedo, con un filo di voce.

"Sul sentiero occidentale."

"Come posso essere qui?..."

"Ti ho liberato e portato via dalla roccia delle punizioni."

Allora non è stato un sogno!

"Ti prego... riportami alla roccia!" lo imploro. "Se nessuno ti ha visto, sei ancora in tempo..."

"No. Ne hai avuta abbastanza di quella tortura."

"Ma era un ordine del Gran Maestro in persona!"

L'uomo ride, con una punta di tristezza, si china su di me e mi sussurra: "Anche il Gran Maestro si sbaglia, a volte."

Fisso lo scintillio dei suoi occhi. Chi può essere quest'uomo coraggioso, che osa discutere i voleri di Albyon?

Eppure sento di sapere la risposta... qualcosa in me non ha mai dimenticato la sensazione di quelle mani, anche se sono trascorsi anni. Così azzardo, in un sussurro appena percettibile:

"Mary... e l'agnello?"

Lui si irrigidisce, tace a lungo, e temo di essermi sbagliato. Ma poi sento una lieve risatina.

"Piccolo samurai biondo?"

Quella risposta in inglese mi fa sorridere, qualcosa che credevo che non sarei mai più riuscito a fare. E' lui, senza dubbio... il falso marinaio-buone-maniere!

"Come hai fatto a riconoscermi?" mi chiede, stupito.

"Le tue mani..." Non so come spiegarglielo. "Io... sento qualcosa quando mi tocchi."

Un breve silenzio.

"Ahhh... così piccolo e già così voglioso!" mi dice, con l'allegra malizia che ricordavo; ma stavolta sento che è falsa, sta pensando a qualcos'altro.

Ritorno serio. Ha ragione ad essere così teso. Sta correndo un rischio mortale per me.

"Ho paura," mormoro, angosciato. "Se Albyon ti scopre..."

Lui scrolla le spalle. "Non è così cattivo come credi."

Ah no? mi verrebbe da gridare, e un dolore al petto mi fa chiudere gli occhi, me li fa stringere disperatamente. Rivedo quella maschera su di me, che mi irride e mi insulta dopo avermi inflitto un dolore disumano, e ordina un'ulteriore punizione che non merito...

L'uomo sospira, posandomi una mano sul petto.

"So cosa pensi, ragazzo... ma Albyon è soltanto un uomo, dopotutto. Con le debolezze e le miserie di un essere umano."

Volto la testa, tremando, sull'orlo di una crisi di pianto.

Lui capisce ciò che provo, e con delicatezza mi abbraccia, come se fossi un bambino da consolare. Con mia somma vergogna mi lascio travolgere dal dolore, e mi metto a piangere a dirotto.

"Mi ha fatto... tanto male!..." singhiozzo, con la faccia affondata contro di lui.

"Lo so... lo sento," risponde lui con tristezza. "E' stato crudele con te. Ma ha avuto i suoi motivi. Ti prego, piccolo samurai, perdonalo. Tu che non attacchi gli avversari perché hai pietà di loro... abbi pietà anche del grande Albyon."

"Lui non ha avuto pietà di me!..."

"E' vero, ma questo significa solo che non è migliore di te." Mi riadagia a terra, mi asciuga le lacrime. "Pensa che Albyon ha sacrificato tutto sull'altare di quello scrigno di Andromeda... e non è riuscito a diventare cavaliere. Così lui, il Gran Maestro, è il peggiore dei falliti di quest'isola, ed ha scordato cosa sia la pietà. Cosa credi che possa aver provato vedendola nei tuoi occhi?" Sospira, con malinconia. "E' quest'isola rovente e sterile che distrugge la nostra umanità, e non è facile accettare qualcuno... che si ostina a rimanere umano."

"Ma almeno tu lo sei ancora," mormoro io, con voce rotta. "Mi hai voluto liberare... hai avuto pietà di me. Ti ringrazio... con tutto il mio cuore."

Lui scuote dolcemente la testa.

"Non devi ringraziarmi. Siamo vecchi amici da quei giorni sulla nave, no?" Sorride, arruffandomi i capelli. "Mi parlavi della tua patria, io ti parlavo della mia... anche se nessuno di noi due sembrava appartenervi davvero. Sputavo e bestemmiavo da bravo marinaio, ti prendevo in giro. Abbiamo riso insieme, anche se quel viaggio era pieno di tristezza per te. Non ti ho dimenticato, e sono commosso a vedere che nemmeno tu hai dimenticato me."

Sorrido tra le lacrime, tiro su con il naso. Lui annuisce.

"Bravo, ragazzino. E adesso smetti di commiserarti."

"Scusami," mormoro, con voce vergognosa. "Mi comporto ancora come un bambino."

"Perché non dovresti? Sei ancora un bambino, dopotutto... anche se a volte dimostri una maturità sconcertante. Oggi hai fatto ciò che gente più vecchia di te non sarebbe riuscita a fare. Albyon ha sbagliato a trattarti da codardo: ho visto la tua paura, ma anche il modo in cui la vincevi. E ti sei battuto bene... così bene che il Gran Maestro deve essersi inferocito all'idea che ti fossi lasciato battere da un buffone come Saltius! Anche per questo ti ha punito, e scusami, forse ha esagerato, ma ha fatto bene."

"Mi ha detto... delle cose terribili... perché non voglio fare del male a nessuno. Ma io non riuscirò mai a fare come vuole lui... non sopporto la violenza!"

Lui si siede a gambe incrociate dietro a me, mi prende delicatamente la testa e se la mette in grembo, in modo che io stia lievemente sollevato e possa guardare verso l'orizzonte. Mi stupisco della sensazione di tenerezza che mi viene da quel gesto, mi abbandono in quella posizione fissando le stelle.

"Ascoltami, piccolo samurai. Piacerebbe a tutti un universo completamente privo di violenza, ma non è possibile. La violenza fa parte della realtà di questo cosmo, che ci piaccia o meno. Possiamo solamente cercare di evitare quella non necessaria, di ridurla al minimo indispensabile: nondimeno dobbiamo essere pronti a usarla. Tu prediligi la difesa perché hai uno spirito puro e positivo... così puro e positivo che è duro per chiunque specchiarsi in te. Ma a volte devi anche attaccare. Attaccare anche per un senso di rispetto e pietà dei tuoi avversari, perché se sei più forte di loro non puoi permettere loro di illudersi di vincere... di vincere senza merito... o peggio ancora, di prolungare la loro agonia. Distingui la pietà dall'ignorante crudeltà, se vuoi essere giusto oltre che forte."

"Ma io non sono più forte di nessuno," obietto, "Sono solo un ragazzino, e qui sono tutti più grandi e più abili di me."

"Sciocco!" sorride lui, "Credi che Saltius che gonfia i suoi muscoli possa un giorno con essi sollevare il cielo? La vera forza di un cavaliere non sta nel suo semplice corpo fisico, ma lassù..." e mi indica le stelle, "... nel cielo."

"Nemesis me l'ha detto, e me l'ha spiegato, ma io... non capisco."

"Non c'è nulla da capire. Non esistono spiegazioni perché le parole non possono esprimere il segreto della grande unità tra uomo e cosmo. Noi guerrieri di Athena sappiamo metterci in contatto con l'universo e guidare in noi una parte infinitesimale delle sue energie, annullando ogni concetto di diversità, divenendo tutt'uno col cosmo..."

"Come l'arciere zen?" chiedo io, "Che colpisce il bersaglio perché lui, la freccia e il bersaglio sono la stessa cosa?"

"Un magnifico concetto che viene dalla tua madrepatria," sorride lui. "Per un uomo comune l'arciere zen compie un miracolo, no? Fa qualcosa che sfugge dalle regole semplicistiche che l'uomo ha fissato, credendo di poter spiegare il mondo in termini assoluti... A oppure non-A!"

"Ma se è impossibile spiegare come si ottiene l'energia cosmica, come possiamo imparare a sentirla?"

"Facendo il vuoto dentro di noi... sforzandoci con discipline mentali... sviluppando una certa, speciale sensibilità." Esita, a lungo, come se fosse combattuto con se stesso. Infine respira profondamente e mormora: "Ma tutto questo è superfluo per te, piccolo samurai.... credo che tu abbia già risolto il problema da solo!"

Mi mette le mani sul cuore, ed io sussulto con un grido sorpreso. Di nuovo quella sensazione! Ma... possente, pulsante, grandiosa, che mi fa sentire come se fossi luminoso, no, come se fossi luce io stesso... Chiudo gli occhi, il respiro esaltato, godendomi quella sensazione indescrivibile con tutto me stesso. La sento attenuarsi, lentamente, e ritornare il quieto calore che conoscevo.

Apro gli occhi, stupito. Le mani dell'uomo sono ancora sul mio cuore.

"Tu senti il mio cosmo," mormora, con voce tremante di emozione, "Lo hai sempre percepito, quando l'ho espresso... la prima volta, sulla nave, per sentire la tua scintilla vitale, e la seconda... perché mi ci hai trascinato. Siccome nessuno può avertelo insegnato, vuol dire che hai una sensibilità naturale per il flusso di energia cosmica... ed il tuo giovane corpo la sa già usare, anche se in modo istintivo, senza controllo cosciente. Un guerriero di Athena può convogliare l'energia in una parte del corpo per irrigidirla contro il colpo di un avversario... o usarla per aumentare la consapevolezza interiore, e prevenire i movimenti degli avversari." Mi sfiora il fianco, le braccia. "Gli uomini più forti di quest'isola non sono riusciti a spezzare le tue ossa così sottili... ed hai costretto uno come Albyon ad un secondo attacco!"

"Ma mi ha battuto in meno di due minuti!" mormoro, sconvolto da quelle rivelazioni.

"Hai solo quindici anni e non hai superato le tue inibizioni ad attaccare. Lui ha il doppio dei tuoi anni e ha combattuto tutta la vita. Non pretendere troppo, piccolo samurai!"

"Non ha usato dunque la sua energia cosmica con me? Io... non ho sentito niente con lui..."

"Sarebbe stato il colmo se avesse dovuto ricorrere alla sua piena energia cosmica per battere un ragazzino! Ogni maestro e ogni sacerdote l'avrebbe sentito." Ride, poi sospira. "Io credo che abbia invece capito che tu la possiedi, e che ti abbia messo alla prova per vederla all'opera. E allora..." la sua voce si fa triste, "... immagina cosa deve aver provato, vedendo un ragazzino imberbe combattere con un embrione naturale di cosmo in sé, mentre lui ha faticato tanto per avere lo stesso... vedendo che solo l'esperienza gli consentiva di avere una superiorità su di lui da questo punto di vista... e sapendo che il resto del suo strapotere non era che vile forza fisica, muscoli, carne!"

"Ma allora Albyon mi odia a morte!" mormoro, spaventato. "E da adesso in poi, me ne farà di tutti i colori..."

"Da adesso in poi? Tu l'hai visto oggi per la prima volta, ma credi che lui non abbia visto te per tutti questi anni? Se ti odiasse come dici, ti avrebbe già ammazzato." Scuote la testa. "Tu non sai con quale paura e trepidazione un Gran Maestro aspetta il cavaliere che lo scalzerà dal suo trono. Albyon desidera e teme di trovare il nuovo cavaliere di Andromeda! Ed ha paura di essere deluso, come lo è stato tante volte..."

Alza la testa alle stelle, vedo il segno sottile della sua cicatrice sulla guancia.

"Non so se tu potresti essere il cavaliere tanto atteso, ma una cosa è certa, sei il postulante più strano e inquietante che sia mai stato su quest'isola. Sei troppo giovane e troppo adulto ad un tempo, troppo debole e troppo forte insieme, e nemmeno io riesco a comprendere cosa tu sia... ma sono molto curioso di scoprirlo. Per questo ti chiedo di non sprecare il tuo talento naturale, ma di fare di tutto per svilupparlo, perché così come adesso è ancora insufficiente. Trova la via tra il bene e il male, e impara a combattere sul serio. Sopporta il dolore e la fatica perché sono i nostri compagni di vita, che ci piaccia o meno... e sono compagni specialmente dei guerrieri di Athena!" Mi afferra le spalle, le muove delicatamente. "Approfitta della crudeltà di Albyon: ti ha fatto molto male, ma pensa che in questo modo ti ha sbloccato queste articolazioni. Resisti al dolore e muovile più che puoi finché non saranno guarite, così le manterrai snodate e questo ti servirà quando combatterai con le armi sacre ad Andromeda, le catene. Impara ogni trucco di combattimento, perché anche un'esplosione di energia cosmica deve essere sempre mediata da un corpo umano, deve diventare l'amplificazione dei suoi colpi fisici. Concentrati su Andromeda, sulle stelle, ascolta il cosmo dentro di te. Mangia, cresci, diventa forte e sii determinato; ma soprattutto..." La sua voce si abbassa, "soprattutto non cessare mai di essere te stesso. Devi tutto al tuo cuore, mantienilo innocente e bello..." mi guarda, sospira, "... come bello e innocente è il tuo viso..."

Si china, come se volesse baciarmi sulle labbra. Io lo guardo ad occhi spalancati, ma non gli negherei nulla dopo quel che ha fatto per me.

Ma all'ultimo momento lui si ferma.

"Perdonami. So che ti spaventerò, ma devo fare una cosa."

La sua mano si infila sotto ai miei vestiti.

Ha ragione, mi spavento. Ma non mi muovo, non reagisco. Tremo, ma so che non mi vuole fare del male. Sento che mi sta toccando, esplorando. Non è una sensazione così brutta come ricordavo. Sento il sangue salirmi al viso, perché mi sta succedendo una cosa molto strana...

Lui smette, sospira pesantemente, e mi bacia invece sulla fronte.

"Avrei dovuto fidarmi di Nemesis. Sei davvero un ragazzo! Che peccato."

Io non riesco a parlare, ancora tutto scosso da quel che è successo.

Lui alza la testa e dice, con voce più alta: "Ti stavo aspettando."

Alle nostre spalle si sente una voce di donna che conosco anche troppo bene: "Ho sentito divampare il tuo cosmo! Ma non mi aspettavo che tu fossi..." Si interrompe, sento dei passi fruscianti sulla roccia, e vedo lo scintillio di una maschera infernale che mi fissa. "Per gli dèi... Shun!.. Cosa ci fai qui?"

"Ce l'ho portato io," dice l'uomo rialzandosi in piedi con un movimento fluido. Si volta verso di lei, volgendomi le spalle. "Prenditi cura di lui, ti prego."

Mi aspetto che Nemesis protesti per quella richiesta d'aiuto: in fin dei conti non ha avuto il coraggio di opporsi alla punizione che Albyon mi ha inflitto.

Ma lei leva il suo volto d'argento a quell'uomo misterioso, a lungo. Ed alla fine mormora: "Come vuoi tu."

Lui si china, posa un bacio sensuale sulle labbra fredde della sua maschera, come se fossero vive. Quindi ci lascia, scendendo il sentiero e scomparendo nelle tenebre della notte.

Nemesis ed io restiamo immobili a guardarlo. Poi lei mi prende per le spalle e con cautela mi rimette in piedi. "Ce la fai a camminare?" mi sussurra.

"Si... forse," mormoro io, lottando contro la mia debolezza. La guardo e le chiedo, tremante: "Nemesis... chi era quell'uomo?"

"Non te l'ha detto?" China la testa. "E allora non è mio diritto dirtelo. Soprattutto ora che l'hai visto senza maschera."

"E' uno dei maestri, vero?"

Lei esita.

"Si, è uno dei maestri. Ed è il più bravo di tutti. Se ti ha dato dei consigli, tienili cari come la tua vita. Non è uomo che faccia questo per chiunque."

"Non gli accadrà nulla di male per quel che ha fatto?" chiedo, angosciato.

"No. La tua punizione è stata sospesa."

Sospiro di sollievo. Nessuno gli farà dunque del male a causa mia... non avrei sopportato l'idea.

"E' un uomo straordinario," mormoro, appoggiandomi a Nemesis ed iniziando a scendere il sentiero.

"Certamente lo è," risponde lei, sorreggendomi. Sospira, si volta nella direzione in cui è sparito, e aggiunge dolcemente: "E' il mio uomo.

***

Nemesis mi sveglia ogni mattina, ai primi bagliori dell'alba. Irrompe nella mia piccola capanna di pietra senza finestre, spalancando la vetusta porta con un calcio, gridando:

"Sveglia, pigrone!"

E se non balzo giù dal letto comincia a far schioccare la sua frusta sulla mia testa, il che richiede una grande abilità in uno spazio così stretto. E se anche così non mi muovo alla svelta, mi strappa a frustate la coperta di dosso e me ne somministra qualcuna dove capita, tanto dormo sempre nudo...

In genere cerco sempre di non arrivare a questo punto. Nemesis non è mai molto paziente o gentile quando vuole una cosa. Non le importa assolutamente nulla di farmi male, quando mi lamento lei risponde, imperturbabile:

"Sei ancora vivo, no?"

Mi aspetta mentre compio i riti del mattino, seduta e silenziosa, imperscrutabile e immutabile nella sua maschera e nei suoi abiti da regina sadica, l'unica morbidezza in lei sono i suoi capelli lisci e ben curati. Si è fissata su di me, io ormai sono noto come l'allievo speciale di Nemesis: l'ultimo quesito ironico che circola tra i postulanti è:

Chi è il più femminile tra i due?

Nemesis non è l'unica maestra, ma il suo corpo atletico, che lei non fa nulla per nascondere, è senza dubbio attraente. I postulanti più anziani parlano di lei con desiderio, fantasticano di toglierle la maschera per vedere se è davvero la creatura infernale che ormai si è stampata nella psiche di tutti. Ma lei marcia in mezzo a loro senza alcuna soggezione o interesse, da vera sacerdotessa-guerriera, e uno scherzo, una parola avventata con lei costano cari: l'ho vista una volta strappare un occhio a un postulante con un colpo della sua frusta micidiale.

Quella frusta è un'arma mortale, fatta di cuoio e metallo come la sua padrona, capace di spezzare la roccia: è una dimostrazione squisita dell'arte di Nemesis la sua abilità di frustarmi senza mai ferirmi seriamente. Certo, non è piacevole essere frustati. Ed io non riesco a farci l'abitudine, quindi le obbedisco ciecamente e meglio che posso, anche se a volte sembra darmi degli ordini impossibili.

"Lancia la catena d'attacco contro quel bersaglio. Per cinquecento volte."

"Eh?!" esclamo, pensando con tutte le mie forze: ma questa è matta!

"Seicento," aggiunge lei, paziente.

E so che se non mi muovo ad obbedire le volte diventeranno settecento...

La catena d'attacco è lunga quindici cubiti, con una punta triangolare all'estremità, e va lanciata con la mano destra, mentre la sinistra tiene la catena di difesa, che è un po' più corta ed ha un peso sferico all'estremità. Sono chili di ferraglia tintinnante che impacciano in mille modi, vanno a finire tra i piedi e si aggrovigliano intorno alle braccia, ed i pesi alle estremità colpiscono più facilmente chi li manovra che i bersagli. E' un'arma odiosa, ed io maledico silenziosamente Andromeda, non potevano legarla con qualcos'altro?!

Dopo circa duecento lanci la voglia di buttare a terra tutto quel metallo e mandare al diavolo Athena, l'armatura ed il resto è fortissima. Una volta sola ho ceduto, in uno di quei slanci di ribellione tipici dei ragazzi che vogliono fare gli uomini (come ho capito Ikki, in quel momento!). Mi aspettavo che Nemesis cominciasse a usare la frusta, ed ero pronto a usare la catena per difendermi sul serio. Invece lei non ha fatto altro che girare sui tacchi ed andarsene senza una parola, lasciandomi solo. Per un attimo mi sono sentito trionfante, credendo di avere vinto quello scontro, orgoglioso della mia dimostrazione di carattere... Poi ho ricordato le parole del mio misterioso maestro, e mi sono sentito in colpa: non avevo sconfitto Nemesis, ma solo me stesso. Ho completato l'esercizio, e poi sono rimasto seduto a fissare il vuoto, sentendo la mancanza della mia maestra. Quando finalmente sono riuscito a rivederla, dopo averla cercata dappertutto, le ho chiesto perdono con tutta la mia umiltà. Lei ha sospirato e mi ha detto:

"Vedi, Shun, non posso importi l'addestramento con la forza. Non è per me che devi diventare cavaliere, ma per te stesso. Se non ne sei convinto, non vale la pena di sprecare sudore e lacrime... puoi restare la nullità che Albyon ha ben descritto, quella volta che ti ha battuto sul campo, ed aspettare in pace il piede che ti schiaccerà. Io vivo benissimo anche senza urlarti dietro e frustarti."

Non le ho mai più disobbedito da quel giorno.

Quindi mi metto a lanciare la catena secondo la stessa, monotona parabola, con lei che mi guarda in silenzio, a braccia incrociate, fermandomi ogni tanto a correggere la mia posizione.

"Massimo controllo!" mi grida, quando vede la mia concentrazione scemare. E quando comincio a lasciarmi andare alla stanchezza e divento impreciso, sento la punta della frusta schioccarmi accanto all'orecchio, come per dire: io sono qui che ti aspetto...

Non odio Nemesis per questo. Non mi fa del male per il gusto di farlo, ma per impormi una disciplina ferrea, ed i risultati dimostrano che ha ragione. E' strano dire cosa provo per lei. Durante il primo anno di addestramento, una volta mi ha picchiato tanto che io ho gridato "Perdonami, mamma!" E poi mi sono messo a piangere disperato, e lei mi ha abbracciato, stringendomi al suo seno foderato d'acciaio, consolandomi con voce piena di pena affettuosa. Dopo quel giorno mi sono trovato esterrefatto a meditare su ciò che avevo detto: perché mai l'avevo chiamata mamma? Ho fatto in tempo a conoscere la mia vera madre, e non aveva certo nulla in comune con quella diavolessa!

Però il dominio di Nemesis su di me ha qualcosa di tenero e possessivo, che riempie il vuoto lasciato in me dalla perdita di mia madre; o meglio, dalla perdita di mio fratello che l'ha sostituita quando ero ancora piccolo. Ma ad Ikki mancava qualcosa di fondamentale: non era una donna... e nel mio universo affettivo sentivo la mancanza di una figura femminile. Nemesis può avere l'aspetto di una virago, ma è pur sempre una donna; è la mia adorata maestra, che insiste paziente e ostinata ad insegnarmi a combattere, quando io non prometto proprio niente come allievo, piccolo e fragile come appaio in mezzo agli altri prestanti guerrieri. E se ne infischia che su tutta l'isola io sia soprannominato Andromeda, dopo tutte le volte che sono stato incatenato per punizione...

"Prova la difesa circolare."

E' un esercizio difficile. Bisogna far ruotare la catena di difesa intorno al corpo, in modo che resti arcuata fin quasi a terra: il trucco sta tutto nell'iniziare la rotazione e lasciar scorrere la catena liberamente. Se si dà troppa forza il peso sale per la forza centrifuga e la difesa è inefficace. Se si dà troppa catena si finisce intrappolati in una spirale d'acciaio, oppure il peso piomba a terra e la rotazione si interrompe. Poiché è un esercizio difensivo, io sono bravissimo a eseguirlo.

"Aumenta la velocità di rotazione."

Ci vuole molta concentrazione, ma ci riesco.

Nemesis srotola la frusta. "Ora cercherò di colpirti. Vediamo come funziona la tua difesa."

Mi viene da sudare freddo; perdo d'un filo la concertazione, la catena rallenta di colpo, e Nemesis scatta approfittando subito dell'occasione. Sento come se mi avessero tirato una coltellata al fianco.

Dio, che male!...

"Non ti fermare!" mi ordina lei, bruscamente.

Stringo i denti e continuo a far girare la catena.

"L'hai voluto tu, mi hai lasciato quasi un secondo a disposizione," mi rimprovera lei. "Accelera quando vedi che sto per colpire, incapace!..."

La studio, in iperconcentrazione. La catena sibila ritmicamente intorno a me, è così facile seguire quel ritmo... facile per me, e per lei!

I muscoli di Nemesis scattano.

Accelerare!

La frusta schiocca, ma non mi colpisce.

Ce l'ho fatta! L'ho parata!...

Sono lì che esulto, e lei sta già calando il colpo successivo. Mi arriva sulla coscia, doloroso quanto basta.

"Ti ho detto forse che l'esercizio era finito?!" tuona lei. "Continua!..."

Inspiro profondamente, ritorno allo stato di iperconcentrazione. So che in quello stato posso tranquillamente perdere il senso del tempo. Esso si dilata stranamente, e percepisco in maniera distaccata piccolissimi dettagli: ad esempio, l'ordine armonico in cui i muscoli di Nemesis si muovono, i segnali del suo corpo; in quel momento lei non è una maestra ma solo un'avversaria, una creatura al di fuori di me, ed io posso prevedere ogni suo gesto, e prevenirlo.

Quando accade questo miracolo in me, Nemesis non è più in grado di colpirmi. Questo lo sappiamo tutti e due, ma lei insiste. Solo quando l'esercizio finisce, scopro deluso che sono stato invulnerabile per un paio di miserabili minuti!

"Non è abbastanza per resistere agli attacchi di ogni altro postulante, e se solo pensi ad attaccare anche tu la concentrazione si perde e ritorni vulnerabile, ma... non c'è male, mio caro Shun," mi concede lei, battendomi amichevolmente la mano sulla spalla.

Io sono fradicio di sudore, lei rimane fresca e tranquilla nonostante il calore sferzante del sole e tutto il cuoio ed il ferro che ha addosso. Mi chiedo sempre come faccia. Che sia un altro modo di utilizzare la consapevolezza cosmica?

Mi accompagna al torrente caldo e mi pulisce le ferite: quelle che mi sono procurato da solo con le catene, e quelle che mi ha inflitto lei. Guarda il palmo esulcerato delle mie mani e scuote la testa.

"Ma quando imparerai a fasciartele come si deve?"

"Non riesco ad usare bene le catene se non le sento in mano..."

Mi afferra per i polsi e mi immerge di colpo le mani nell'acqua calda salata.

"Ah, come vuoi. Se questo ti procura piacere, getta pure via le bende che ti ho preparato! Ma certo che è uno strano modo di godere."

Mi irrigidisco, cercando pietosamente di non urlare.

"Ti assicuro... che... non sto... godendo!" dico, a denti stretti.

Lei ride delle mie smorfie, si batte una mano sulla coscia.

"Ma insomma, Shun! Ci sarà pur qualcosa al mondo che ti procura piacere! " La sua voce si abbassa. "Quando tutto fallisce, rimane sempre il sesso, no?"

Quella battuta mi sconcerta un po', come accade sempre ogni volta che mi scontro con la vecchia credenza secondo la quale una sacerdotessa debba essere una specie di vergine asessuata. Nemesis non è niente del genere: è una donna adulta ed ha un amante, il mio misterioso maestro, che ogni tanto, quando meno me l'aspetto, mi viene a trovare. A volte mi chiedo che razza di rapporto possa esserci tra i due: non riesco a immaginarli come marito e moglie. Non ho mai assistito alle loro effusioni, se non a qualche gesto da parte di lui: lei ne è come impedita dalla maschera che porta, e che non toglierebbe mai in mia presenza. Lui non si maschera mai con me, forse perché l'avevo già visto in faccia sulla nave. Ma non sono finora riuscito a vederlo in piena luce: mi sembra diversissimo dal marinaio sudicio e barbuto di allora. Nemesis lo ama, e non me lo nasconde: da un pezzo ha abbandonato ogni falso pudore con me, come del resto ho fatto anch'io nei suoi confronti: in fin dei conti sono quasi quattro anni che viviamo praticamente insieme...

"Che cos'è il sesso per te?" mi chiede con la sua solita disinvoltura, mentre finisce di medicarmi. Arrossisco visibilmente. E' una domanda piuttosto difficile per un ragazzo, anche se ha passato la vita a cercare di essere più grande della sua età.

"Non lo so," mormoro appena, chinando lo sguardo.

Lo so benissimo, invece. Per me il sesso è una vecchia storia di gente più grande e più forte di me, che mi aveva scelto per divertirsi senza chiedere il mio permesso. Mi hanno fatto assistere al loro piacere, ma tutto quel che ho provato io è stato dolore ed umiliazione: niente di piacevole dunque, anche se secondo loro avrei dovuto trovare eccitanti quelle sensazioni.

Quell'esperienza infantile mi ha lasciato un bel regalo, di quelli che non finiscono mai: il terrore mortale di riviverla. Non riesco a fare a meno di avere una paura irragionevole di tutti coloro che sono più anziani o più forti di me. Mi sento sempre una potenziale vittima. Non potrei sopportare di essere nemmeno sfiorato da qualcuno di cui non mi fidi ciecamente.

Eppure sento dentro di me il bisogno folle di abbracciare qualcuno, di sentire il calore e la felicità che finora solo mio fratello mi ha fatto provare, spesso con il suo solo contatto fisico. Queste sono state le mie uniche, vere esperienze di piacere sensuale, ma non posso osare chiamarle sesso... non posso usare per esse una parola che per me ha questo brutto significato. Però è vero che il rapporto tra me e Ikki era straordinariamente intenso, e fatto anche di tanti gesti di tenerezza fisica inconsueti tra normali fratelli.

Ammetto inoltre di aver provato uno strano turbamento con Nemesis, specie una volta che lei si è seduta accanto a me, e le nostre cosce si sono toccate. Un altro turbamento molto simile l'ho sentito quando il mio misterioso maestro (il suo amante, tra l'altro!) mi ha accarezzato sotto ai vestiti, dopo essere stato sul punto di baciarmi.

Se questo è il sesso, devo ammettere che sono molto confuso. Sento sempre che i maschi cercano le femmine e viceversa, ma finora il sesso di coloro che hanno avuto a che fare con me non sembra aver avuto grande importanza. Forse perché appunto tutte queste sensazioni e turbamenti non hanno niente a che fare con il sesso vero: quando sarà il momento mi dirigerò senz'altro verso una donna, perché dopotutto io sono un maschio, anche se tutti all'inizio mi scambiano sempre per una ragazza!

Nemesis sembra aver indovinato tutto il disagio e la confusione che provo sull'argomento. E vede che non desidero confidarmi con lei. Accetta il mio silenzio, con la sua benevola saggezza.

"Forse è qualcosa di cui parleremo quando sarai un po' più grande. Alla tua età è probabile che ti dia più soddisfazione del buon cibo."

Mi porge la solita ciotola di terracotta, con il solito, immutabile e sempiterno contenuto: pesce, alghe e riso. Però oggi c'è una novità: un uovo.

"L'ho preso per te, da quel nido lassù," mi confessa, indicandomelo. "E' stato appena deposto. Hai bisogno di proteine, o resterai sempre sottile come un fuso."

Io prendo in mano quell'uovo, sentendo quasi ad occhi chiusi il suo tepore commovente. Penso a Nemesis che si preoccupa per me e fruga l'isola alla ricerca di qualcosa di speciale per nutrirmi. Mi alzo, mi inginocchio davanti a lei come un cavaliere medioevale, le prendo la mano destra e la bacio con un trasporto tale che tutti si girano verso di noi.

"Grazie infinite," le sussurro, con un sorriso.

Quindi la lascio, arrampicandomi sull'orlo del cratere per ridepositare quell'uovo nel suo nido.

Lei mi lascia andare senza protestare, guardandomi in silenzio attraverso la sua maschera imperscrutabile. Si siede ad aspettarmi con la mia ciotola in mano, e quando torno me la restituisce, dicendo con voce piena di dolce rimprovero:

"Forse che questi poveri pesci nel tuo piatto hanno meno dignità di quell'uovo, Shun?"

"No di certo. Ma ormai sono morti, e non potendo restituire loro la vita, non sprecherò il loro sacrificio e li mangerò. L'uovo però era ancora vivo. Ed io non sono così affamato da dover pretendere anche la sua piccola vita per me."

Lei sospira. "Dove trovi il tempo di fare questi profondi ragionamenti filosofici?"

"Non lo trovo," rispondo semplicemente, "Io ragiono così."

"E questo mi spaventa," mormora lei a voce bassa, credendo che io non la senta. Poi scuote la testa e aggiunge con falsa acrimonia: "Un uccellaccio in più in cielo, e svariate calorie in meno nella tua pancia!... Sei davvero senza speranza, Shun."

Rido, mettendo in bocca un pezzetto di pesce, felice che non si sia arrabbiata. Alzo gli occhi e per poco non mi soffoco.

Come apparsa dal nulla, una figura mascherata in veste fluttuante si staglia tra le rocce, alle spalle di Nemesis.

Tutto il mio essere trema alla visione di quella stola agitata dal vento...

Albyon!

Nemesis è stata stranamente colta di sorpresa, ma vede la mia reazione e scatta immediatamente in piedi, voltandosi con la frusta pronta a colpire.

Si immobilizza anche lei.

"...Gran Maestro!" mormora, abbassando lentamente la mano. Si raddrizza, la sua voce esce con un tono basso che non le ho mai sentito usare. "Già, solo tu puoi giungermi alle spalle senza che io lo percepisca."

"E' buona cosa rendersi conto che c'è sempre qualcuno più abile di te, sacerdotessa," risponde lui, avvicinandosi.

Lei arretra, e noto spaventato che si mette tra me ed Albyon. Interpreto quel gesto come un suo tentativo istintivo di proteggermi: c'è qualcosa di minaccioso in lui, lo sentiamo tutti e due.

"Voglio parlare con il tuo allievo, Nemesis. Da solo."

Mi sento impallidire mortalmente: sento ancora le spalle farmi male al ricordo dell'ultima volta in cui ha parlato con me...

"Come desideri," dice lei.

No, Nemesis! Ti prego, non abbandonarmi di nuovo...

"Va' dunque al tempio, e rifocillati anche tu."

Lei esita, ma non può che obbedire.

Io e Albyon restiamo faccia a faccia. Gli altri postulanti, che hanno notato la scena, si allontanano ancora di più da noi, si mettono a bisbigliare tra loro. Immagino cosa si stiano dicendo...

Spolverate la roccia delle punizioni, arriva Andromeda!

"Ho interrotto il tuo pasto," esordisce Albyon, con voce priva di emozione.

"Non importa, maestro," rispondo, cercando di controllare la mia angoscia. Mi chino lentamente per posare a terra la mia ciotola, poi mi rialzo, e fisso l'orlo della sua veste anziché la sua odiosa maschera serena. "Come posso servirti?"

"Ascoltandomi, e rispondendo alle mie domande. Ho sentito la conversazione tra te e Nemesis, qualche istante fa."

Chiudo gli occhi. Ecco, lo sapevo...

"Che succede?" mi dice lui, ironico. "Già spaventato? Bene, vuol dire che sei già consapevole di esserti comportato male. La tua maestra ha commesso un'azione indegna regalandoti del cibo per privilegiarti sugli altri. Ma tu hai commesso un'azione ancor più indegna, rifiutando quel dono in nome dei tuoi stravaganti principi morali."

Riapro gli occhi, ormai rassegnato al mio destino. Albyon ce l'ha con me, è chiaro: ogni pretesto è buono per lui. Che almeno lasci in pace la mia maestra, che ha voluto solo essere premurosa nei miei confronti...

"La colpa di tutto è stata mia, maestro. Sono stato io a chiedere una ricompensa per l'esecuzione di un esercizio difficile. Nemesis si è impegnata sul suo onore, ed ha pensato di estinguere quel debito... donandomi del cibo."

"Ma tu non ti aspettavi del cibo," insiste lui. "A quale dono aspiravi, dunque?"

Devo attirarmi le sue ire, così dimenticherà Nemesis...

"Speravo... speravo che mi avrebbe evitato l'esercizio successivo," dico, non trovando niente di più provocatorio.

E' abbastanza per farmi meritare uno schiaffo così sonoro da farmi girare la testa.

"Un vero allievo modello!" mi dice Albyon, a voce bassa e tesa. "Disgraziato, vuoi insegnare a tutti i trucchetti per lavorare di meno?"

"Chiedo scusa, maestro," mormoro, tornando a fissare il suolo, con la guancia in fiamme. Si accontenterà di avermi preso a schiaffi?...

No! Non si accontenta, continua a interrogarmi.

"Quale esercizio ti ha procurato tanto onore?"

"La difesa circolare," rispondo io, d'istinto.

E mi complimento con me stesso, perché Albyon perde le staffe e tuona: "Difesa!... Sempre e solo difesa, vero? Sembra che tu non abbia imparato nulla dall'ultima lezione che mi sono degnato di darti!"

Ecco, adesso mi sfida di nuovo a duello, e stavolta con le catene... così mi ucciderà!

"E' stato un caso," dico, spaventato. "Nemesis mi sta insegnando anche le tecniche d'attacco..."

"E attaccheresti con la stessa pietistica filosofia che usi per il tuo cibo?" mi chiede, con sarcasmo.

"Sto solo cercando, nel mio piccolo, di ridurre la violenza non necessaria del mondo," rispondo, ricordando la lezione del mio maestro misterioso. "La vita è così splendida che merita rispetto."

"Quale vita? Quella di un uovo, o quella di un avversario?"

La domanda è ironica, ma qualcosa in me mi spinge a rispondere limpidamente: "Tutta la vita, maestro... a tutti i livelli. Quella dell'avversario, forse ancora di più... perché a differenza dell'uovo, non posso nutrirmi di essa."

Albyon mi guarda, in silenzio. E poi esplode in una risata lugubre.

"Tu uccideresti dunque solo per mangiare!... Non sei un guerriero, sei un buongustaio!"

Quelle parole fanno presto il giro dei postulanti, suscitando la loro ilarità. Ed è come se Albyon mi avesse già incatenato alla roccia delle punizioni.

Ingoio l'umiliazione, e ribatto: "So che purtroppo esistono altre ragioni per uccidere. Ma nessuna ragione mi sembra sufficiente per attaccare per primo."

"Nemmeno un ordine diretto da me?" mi chiede lui, con voce pericolosa.

Esito, le risate si affievoliscono.

"Rispondi!" tuona lui all'improvviso. "Nemmeno un ordine diretto da me?"

Alzo la testa e fisso negli occhi quella maschera d'argento. "No."

Devo essere impazzito, o stanco di vivere. Mi rendo conto subito di quel che ho fatto, ed il cuore quasi mi si ferma in petto. Ma non potevo fare altrimenti... non avrei potuto rispondere diversamente.

"Perché non sei stato zitto, ragazzino?" mormora Albyon, con voce appena percettibile, quasi addolorata. "Credi di essere già un cavaliere, per potermi sfidare impunemente davanti a tutti?... Hai mentito spudoratamente per salvare Nemesis, perché non hai continuato a farlo per te stesso?"

Sento un tuffo al cuore. L'intuito di Albyon! L'avevo dimenticato... eppure aveva già dimostrato di saper leggere dentro di me! Ed io ho persino cercato di ingannarlo...

Abbasso di nuovo la testa davanti a lui, aspettando con terrore la sua sentenza. Stavolta l'ho fatta davvero grossa, la roccia delle punizioni non sarà certo sufficiente!

Il Gran Maestro rimane in silenzio, a lungo. Ed alla fine, con un calcio, rovescia la mia ciotola spargendo il cibo a terra.

"Guarda, ragazzo!" mi dice, indicandolo. "Guarda questa vita sprecata. Sei pronto ad accettare anche questa triste realtà nel tuo bel mondo ideale?"

Faccio come mi dice, guardo quel povero cibo calpestato, e mormoro con voce soffocata: "Devo accettarla per forza..."

"Bravo. Allora accetta questo: Nemesis sarà punita severamente per aver mancato alle regole morali di un maestro. E quel nido di uccelli che ha generato questo scandalo sarà distrutto. Il peso di questo sia solo sulla tua coscienza!"

Alzo la testa, sconvolto. "No!... Sono io il colpevole! E' me che devi punire, non degli innocenti!"

"Ma io ti sto punendo, ragazzo," risponde lui, con una dolcezza crudele. "E molto più duramente di quanto tu creda."

"Questo è ingiusto, maestro!" grido, disperato, "Farai del male, distruggerai della vita... solo per dispetto a me!"

"Per imprimere a fuoco nella tua mente una lezione che forse ti migliorerà come uomo... ammesso che tu riesca mai a diventarlo."

"Dov'è la giustizia in tutto questo?!" Ho le lacrime agli occhi. "Non meritiamo la tua crudeltà! Non abbiamo fatto nulla di male, né io, né Nemesis, né quel povero uovo!..."

"Non esistono innocenti, ragazzo. Devi imparare questa verità."

Fa per andarsene, io mi aggrappo alla sua veste, mi getto in ginocchio ai suoi piedi. "Ritira quest'ordine, maestro, ti prego... ti scongiuro!"

Lui si ferma, si volta, mi guarda a lungo.

"Sei così deciso a pagare per tutti, allora?" Mi tende la sua mano aperta. "Come vuoi. Allora dammi il tuo braccio destro."

Il respiro mi si ferma nel petto.

Ho capito il baratto che mi impone. Mi sento morire, le viscere mi si attorcono dal terrore. Ma non posso permettere che si consumi quell'ingiustizia. Con uno sforzo di volontà mi costringo ad obbedire, alzo il braccio, lascio che lui me lo prenda.

Albyon me lo porta dietro alla schiena, e con lentezza esasperante comincia ad tirarlo verso l'alto, guardandomi fisso negli occhi. Vuole mettere alla prova la mia determinazione! E sia, me lo merito: mi sloghi pure di nuovo le spalle, ma non farà del male a degli innocenti a causa mia!

Sento la tensione al braccio diventare dolore, sempre crescente; ma non oppongo resistenza, non irrigidisco i muscoli: restituisco lo sguardo ad Albyon, a denti stretti, aspettando il momento atroce in cui l'articolazione cederà per la seconda volta...

Lui si ferma di colpo, mi lascia andare.

"Stavolta dimostri del coraggio, ragazzino," dice, quasi divertito. "Ma è evidente che non è questa la punizione che temi di più. La mia sentenza dunque rimane, e in quanto al nido... sarai tu stesso a distruggerlo."

Scuoto la testa, con disperazione.

"Lo farai. O non vedrai l'alba di domani." Albyon mi volta le spalle. "Che anche le tue mani conoscano finalmente la violenza, invece di subirla."

E se ne va, soddisfatto di aver trovato il modo più squisito per pugnalarmi al cuore.

***

Nel campo dei combattimenti risuona sempre la solita musica, ma stavolta è accompagnata dal tintinnio delle catene sacre. Ora che i combattimenti si fanno con le armi, ci proteggiamo con delle armature rudimentali di cuoio: un coprispalla, una fascia sul torace, una protezione alle ginocchia e ai gomiti, assolutamente niente in testa. Non che questo serva a molto: sono già morti quattro di noi in questi duelli.

Io e Redha ci guardiamo negli occhi, ansimando, i nostri capelli impastati di polvere e sudore. Però stavolta è lui che è a terra, bloccato con la mia catena di difesa che gli impastoia le caviglie, e mi guarda con gli occhi sbarrati mentre faccio roteare appena la catena d'attacco, pronto a lanciargliela in faccia se osa muoversi da lì.

I miei compagni mi guardano esterrefatti. Non mi hanno mai visto così. Sono scesi in campo irridendomi come sempre, mentre io mi fasciavo le mani con riverenza, usando le bende di seta di Nemesis, la mia povera maestra punita per avermi voluto fare un semplice dono. La mia faccia sporca di polvere era striata dai segni chiari lasciati dalle lacrime, ma anche questo era normale per la debole creatura che aspettava sempre di essere schiacciata. Mi hanno chiamato in campo e mi sono presentato senza esitare, con il mio misero aspetto scarmigliato, le mie catene in mano. Non ho nemmeno notato chi avevo davanti, ho cominciato a fare ciò per cui mi hanno addestrato, costruito e programmato, e al diavolo la mia anima e tutto il mio amore per la bellezza della vita.

Sono in campo ancora adesso, con la tunica strappata, pieno di lividi, ma nessuno è riuscito a battermi. Sono in stato di iperconcentrazione da un tempo che mi sembra un'eternità, i miei avversari sembrano goffe creature che si muovono al rallentatore, posso scegliere liberamente come e dove colpirli e non esito più, li butto semplicemente giù senza far loro troppo del male.

Avanti un altro!

Non mi interessa chi. Tanto sono tutti miei nemici. Non devo nemmeno pensare a cosa fare, il mio corpo lo sa da solo. Ora sento chiaramente la mia energia cosmica, la sento fluttuare dentro di me, non riesco a controllarla coscientemente ma del resto non mi importa, si sposta da sola dove serve. Dovrei essere affamato, stanco e assetato, ma questa energia inesauribile continua a sostenermi.

Ho aumentato la mia consapevolezza interiore semplicemente perché non voglio più vivere nel mondo di fuori. La mia disperazione ha fatto scattare questo meccanismo. La mia anima è essiccata, fatta a pezzi, dispersa al vento. Non mi sono mai sentito così indifferente in vita mia.

Ho pianto tutte le lacrime che avevo, in ginocchio davanti al nido che ho dovuto devastare. Non l'avrei mai fatto, nemmeno per la mia vita, ma la mia vita non mi appartiene più, è dedicata ormai a mio fratello, alla promessa che gli ho fatto. Non posso morire, non posso permettermelo. Così le mie mani hanno terminato la storia di una famiglia di uccelli. L'hanno fatto con brutalità disperata, per fare presto. E lì, davanti a quello scempio, ho compreso con uno spasimo tutto quel che Ikki ha passato per me, quando si prendeva sulle spalle la cattiveria del mondo... ora ho finalmente commesso un'atrocità anch'io, e ne porto la cicatrice nel mio cuore così bello e innocente che tanto piaceva al mio maestro segreto!

No! Albyon ha ragione, non esistono innocenti! E' finita l'età dell'innocenza anche per me! Lunga vita al guerriero di Athena, addio per sempre, piccolo Shun dai grandi occhi stupiti e ingenui sul mondo...

Il mio avversario cade a terra, premendosi la bocca sanguinante. Devo avergli spezzato dei denti: sono sottile e mingherlino, ma una sfera di metallo all'estremità di una catena può muoversi con grande velocità, e colpire con violenza.

Un maestro mi grida di fermarmi, ed io obbedisco automaticamente. Ho vinto ancora, ma non mi importa assolutamente nulla.

"Giuro che ti ammazzo, Andromeda," mi sibila il mio avversario, sputando sangue e guardandomi torvamente.

Io lo fisso senza vederlo, e sorrido appena. "Te ne sarei così grato," mormoro.

Soddisfatti della mia prestazione, mi concedono di andarmene. Invano cerco tra quelle facce argentee il mio maestro segreto, forse solo lui potrebbe spiegarmi cosa mi accade, dare ancora una speranza alla mia povera umanità calpestata. Ma non vedo che un corteo di maschere impassibili, corpi più o meno uguali, non ho nulla che possa farmi capire chi sia tra di loro... o forse non c'è.

Mi strappo di dosso l'armatura, la getto dove capita, getto anche le catene, mi spoglio e vado al torrente caldo. Mi immergo nell'acqua viscida e salata, dovrei urlare dal dolore, ma qualcosa in me sembra essersi addormentato...

Non tocco cibo neanche quella sera. Arriva la notte e, senza che nessuno me lo dica, ritorno al sentiero occidentale, mi siedo a terra e mi metto a fissare le stelle di Andromeda. Di solito tutti i postulanti meditano insieme, ma io voglio rimanere solo. Non sopporterei i soliti commentini sussurrati, le maledizioni mandate ai maestri, il trovarmi in mezzo ad una scolaresca di gente che non capisce nulla di quel che deve provare.

Stasera poi si scateneranno, perché Nemesis non sarà dietro a loro a pungolarli con la sua frusta...

Cosa le sarà successo? Non è più uscita dal tempio. Quel mostro di Albyon! Quanto dolore per un gesto d'affetto! Ah, perché non ho mangiato quell'uovo? Tanto ho dovuto comunque ucciderlo, e così ho sprecato la sua piccola vita... è questa la pietà ignorante che diventa crudeltà, come mi spiegava il mio maestro segreto?

Il mio dolore è assoluto. Le stelle scintillano. Vaghissima come una piuma, la nebulosa di Andromeda attira il mio sguardo. E' così piccola... così diafana...

Il respiro mi si assottiglia, mi sento così strano. Non riesco più a battere le palpebre. Qualcosa dentro il mio petto sembra voler uscire, prendere il volo, ed io volerei con esso chissà dove. E' un'energia, un fremito che sale e si raccoglie al centro di me...

Ho una visione, o meglio la percezione totale di una galassia a spirale. Comincia come l'immagine di una fotografia astronomica come ne ho viste tante, ma poi sfreccio e cambio visuale, penetro nel centro e comprendo ogni ammasso esterno, ogni filamento di gas ed ogni buco nero. E' come la musica di un organo lontano e possente, dietro al concerto di violini di stelle molto più vicine che palpitano lievemente...

Tendo le braccia davanti a me, come per toccare quell'indescrivibile universo, e all'improvviso tutto ritorna come prima... stelle e piccola nebulosa, verso le quali le mie mani implorano solo il silenzio.

Per ore forse resto lì, cercando invano di rivivere quell'esperienza. Andromeda tramonta ben presto, altre stelle prendono il suo posto in cielo. Mi chiedo quali di loro governino l'armatura dell'Isola Nera. Penso così a mio fratello, ed il mio dolore interiore si attenua un poco. Ho fatto tutto questo perché ho dovuto credere che esistesse un domani... ho fatto quel che lui mi ha insegnato e comandato. E un giorno ci rivedremo a Nuova Luxor, cavalieri entrambi: ma la cosa non ci interesserà minimamente, perché quell'armatura sarà solo servita a farci riabbracciare, parlarci... stare insieme...

Mi addormento raggomitolato a terra, le stelle che marciano silenziose su di me. Ad un certo punto sento delle braccia forti sollevarmi, e so con sicurezza assoluta che è lui, il mio maestro segreto, che è venuto a raccogliermi per riportarmi al coperto. Speravo che venisse, e lo desideravo, ma ora sono troppo stanco... non voglio uscire del tutto dal sonno, è così dolce l'illusione di non doversi mai più risvegliare.

La mia pena interiore si riunisce al centro del mio petto, come una fiamma di malinconia, e riesce a far brillare quel poco di energia cosmica che ancora è in me. Desidero ardentemente farla sentire al mio compagno, in cambio della sua gentilezza; e per la prima volta essa mi obbedisce, scivola là dove le sue mani toccano il mio corpo...

Lui si ferma di colpo, mi stringe a sé.

Una piccola, infinitesima comunione ci lega per un istante fuggente. Il mio fioco sospiro nella gigantesca oscurità che è lui.

Sento una goccia calda che mi cade sul viso e scivola lungo le mie guance.

"Ti ringrazio, piccolo samurai," mormora la sua voce, commossa. E capisco all'improvviso che quella goccia era una lacrima.

***

Per molti giorni non vedo Nemesis, ma una mattina è lei che spalanca la mia porta con un calcio.

"Sveglia, pigrone."

Non grida nemmeno. Sa che solo a sentire la sua voce spalanco gli occhi, scatto a sedere sul letto, la guardo e mi getto felice tra le sue braccia.

"Nemesis!..." esclamo, pieno di sollievo, commosso fino alle lacrime.

Non avrei mai creduto che avrei provato tanta gioia rivedendo quella maschera infernale su di me... "Come stai? Cosa ti hanno fatto?" chiedo ansiosamente, guardandola.

Lei mi lascia, si siede sul letto. Ho l'impressione che i suoi movimenti siano stranamente rigidi, e provo un'ondata di pena al pensiero che abbia sofferto. Ma la sua voce è sempre la stessa.

"Come sto? Lo vedi da te. E non aspettarti una risposta alla tua seconda domanda: non si dice mai in cosa consistono le punizioni dei sacerdoti." Sospira, alza le spalle. "Però tu puoi stare allegro, in fin dei conti morivi dalla voglia che io assaggiassi un po' della mia stessa medicina, eh?" Ridacchia. "Eccomi qua, e come ti dicevo sempre, sono ancora viva, no?"

Mi inginocchio davanti a lei, contrito.

"Mi perdoni, Nemesis? E' stata colpa mia, lo so..."

"E' stata senz'altro colpa tua, testone! Metterti a discutere di filosofia con Albyon e dirgli in faccia che te ne infischi dei suoi ordini! E raccontare tutte quelle bugie idiote!... Se fossi stata presente, ti avrei preso a frustate fino a tramortirti. Ma non lo ero, e Albyon deve volerti molto bene, perché invece di spezzarti la schiena ti ha imposto una semplice lezione."

Chino lo sguardo.

"E' stata una lezione così crudele che avrei preferito mille volte essere frustato. Albyon l'ha scelta con cura per procurarmi il massimo dolore. E' un mostro disumano senza cuore, che odia tutti e gode solo a fare il tiranno..."

La sua mano guantata mi colpisce con un ceffone.

"Che non ti senta mai più dire sciocchezze del genere, Shun!..."

Alzo la testa e la guardo, tremando.

"Che ne sai tu di Albyon per sputare i tuoi giudizi?" continua lei, severamente. "Non sei che un bambinetto frignante, che non sa niente della vita!"

"Ma, Nemesis," balbetto, "Lui è stato cattivo con te... "

"Sii sincero con me, biondino! Non è per me che ti sei disperato più di tanto, ma per quell'uovo!"

Ammutolisco. Ha ragione!

"Forse dovresti vergognarti di questo," mi dice, scuotendo la testa, "Ma sei fatto così, sapevi che non mi avrebbero ammazzata, quindi tutta la tua tenerezza protettiva l'hai spostata sull'uovo, sulla vita che dovevi distruggere. Una cosa orribile, vero?... Pensa che una tempesta indifferente avrebbe potuto fare lo stesso. O un gabbiano. La lezione che devi aver imparato è che purtroppo c'è sempre una morte che apparentemente non ha scopo. Ma questo sembra così solo ai nostri sensi umani limitati. Anche con la massima attenzione, ad ogni duello potrebbe sfuggirti la catena, potresti uccidere il tuo avversario... c'è sempre una componente di casualità nel cosmo! E se accadesse cosa faresti? Ti suicideresti dalla disperazione? O non sarebbe meglio accettare sempre le conseguenze delle proprie azioni, sapendo di non aver cercato le più nefaste, ma comprendendo anche che il destino fa sempre il suo corso?"

"Ma ti ha punito per un uovo!" ripeto io, ottusamente.

"Oh! Adesso il grande uovo che era al centro dell'universo diventa la nullità alla quale la povera Nemesis è stata ingiustamente sacrificata!..." dice lei, con tono scherzosamente drammatico. "Non è per l'uovo che sono stata punita, Shun, ma per il gesto che ho fatto. So come si dovrebbe comportare un maestro, con distacco e imparzialità, in modo da non creare attriti e mantenere l'ordine su quest'isola. Invece ho violato consapevolmente le regole, e quindi calma la tua coscienza, non sono certo io la vittima innocente!" Scoppia a ridere, allegramente. "Però lo rifarei lo stesso... anche se non sono stata così stupida da dirlo in faccia ad Albyon, come avresti invece fatto tu!"

"Oh, Nemesis..." mormoro, confuso.

Lei mi prende per i capelli, mi alza la testa e me li porta all'indietro quasi con una carezza.

"Non giudicare Albyon," mi dice, seria. "Sta facendo la cosa più giusta con te. Ti infligge dolore come fa il giardiniere che taglia i rami deboli di un albero. Sono riuscita a vederti combattere. Il primo giorno, al culmine della disperazione, sei stato perfetto. Ma anche ora che ti è passata sei comunque molto migliorato." Mi prende il viso tra le mani. "E se anche Albyon non fosse nient'altro che uno strumento del destino? Se fosse crudele solo perché è il suo ruolo su quest'isola? Non gettargli in faccia il tuo risentimento infantile. Accettalo... come hai accettato tante altre brutte cose della tua vita. Con il tuo sorriso."

Mi viene da piangere, ma sorrido come lei vuole.

"Sei così bello quando lo fai," mi dice, "Fa bene agli occhi guardarti."

Mi lascia, ed io le chiedo ancora: "Mi perdoni, Nemesis?"

"Forse," concede lei. "Se non mi farai aspettare troppo per farti trovare pronto agli esercizi del mattino. Oggi non ho voglia di frustarti. Non ne approfittare... e allora forse ti perdono."

E si alza per andare fuori, il cuoio dei suoi vestiti che sussurra ad ogni passo.


parte seconda
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