VARIAZIONI SU UN TEMA DI MASAMI KURUMADA

(SAINT SEIYA)

di Hanabi, estate 1994

I personaggi di Saint Seiya sono proprietà di M. Kurumada/Shueisha.

 


CAPITOLO 1: "Prologo" - parte seconda

Questa bellissima scuola è davvero dura come ci hanno detto, e anche peggio. Dopo una visita medica durata un'intera giornata, con esami, controlli, domande dei medici, misurazioni di ogni tipo, cominciamo la routine di tutti gli altri ragazzi, che non sono certo molti. La nostra giornata comincia alle cinque del mattino. Facciamo colazione insieme in una sala apposta, ma ognuno con le proprie razioni stabilite scientificamente. Si va in aula alle sei, e si studia senza respiro, in mezzo a uno stormo di insegnanti armati di tutte le apparecchiature didattiche più moderne. Non è certo il modo in cui studiava mio fratello quando andava ancora alla scuola normale, non ci sono compiti a casa o materie prestabilite, semplicemente per sei ore si è sepolti sotto un'alluvione di dati, e sempre col fiato di un insegnante sul collo. Non c'è da sorprendersi se in capo a un anno sia io che Ikki parliamo correntemente l'inglese, la lingua ufficiale della scuola assieme al giapponese, ed il greco antico, una stranissima lingua morta che tuttavia ci hanno costretto ad imparare, anche se non capisco il perché. Forse a causa della predilezione del duca Alman per le materie umanistiche.

Il pranzo e due ore di svago a nostra disposizione giungono a salvarci, ma per poco: alle tre, ineluttabilmente, dobbiamo presentarci in tuta ai nostri istruttori che ci portano nei campi sportivi o in palestra. Ognuno di noi ha un programma diverso dagli altri, e si tratta sempre di una fatica spaventosa. Abbiamo una brevissima pausa dopo due ore, in cui siamo di nuovo ristorati in modo scientifico. Poi seguono altre tre ore, le peggiori di tutte. Stanchi morti, possiamo finalmente andare alle docce e poi ci servono la cena. Alle dieci categoricamente tutti devono essere a letto, ci vengono a controllare uno per uno. Ma è inutile dire che siamo talmente stravolti da non disobbedire mai a quest'ordine: le cinque arrivano presto...

Non abbiamo vere e proprie vacanze: qualche passeggiata per Nuova Luxor in compagnia di un nugolo di accompagnatori in occhiali scuri, qualche giornata di mare sulla spiaggia privata della Fondazione. In alcuni giorni ci è concesso spaziare per la tenuta che è smisuratamente grande, magari mescolandoci con gli altri ospiti degli istituti che sorgono intorno al Saint George: bambini allegri che giocano senza tutte le nostre fatiche da sopportare. Ma loro ci invidiano e ci guardano con rispetto, sognano un giorno di essere scelti per entrare nella nostra scuola. Le loro assistenti sono ragazze orfane che sono state cresciute negli stessi istituti, e alcune sono anche molto carine: io non sono certo in età di flirtare ma mio fratello sì, anche se fa lo sdegnoso quando passa loro davanti. Credo che trovino Ikki piuttosto bello, alto e atletico com'è diventato. O almeno, se io fossi una ragazza, mi piacerebbe...

Bisogna anche dire che il duca Alman rispetta molto la religione dei suoi allievi. A noi due concede di ritornare alla nostra città natale per la festa di Urabon-e : così possiamo fare il tradizionale Hakamairi, cioè andare a pregare sulla tomba dei nostri genitori, e dare un'occhiata alla casa dove siamo nati e cresciuti. In quei momenti non mi importa se mio padre mi ha disconosciuto e anche maltrattato, venero ugualmente la sua memoria. Se anche non sono suo figlio, e mamma aveva giurato che lo ero, resta pur sempre il mio papà adottivo: l'unico papà che abbia conosciuto.

Quando preghiamo sulla sua tomba Ikki guarda impassibile i caratteri Kanji della lapide. Non mi inganna, sento l'onda terribile del suo dolore: io ero piccolo quando successe quella tragedia, ma lui era abbastanza maturo da viverla atrocemente. E' per lui che mi metto a piangere, non per la sorte dei miei genitori, e per una volta tanto non vengo rimproverato: le lacrime stanno bene in un cimitero.

La mano di Ikki sfiora il nome degli Hanekawa, si ferma di colpo, si stringe a pugno: sento la sua sordida rabbia verso la famiglia che ci ha abbandonato.

"Dobbiamo crescere, Shun," mi dice, "dobbiamo diventare forti. Ci hanno gettato via, come bestie infette, perché abbiamo voluto restare assieme. Se ne pentiranno."

"Non se ne pentiranno perché non pensano più a noi," rispondo tristemente. "Non abbiamo bisogno di loro. Dimentichiamoli anche noi."

"Dimenticare! Lasciar perdere!... Non sai proprio fare altro, Shun? Sarai sempre un debole senza spina dorsale, se non ti metti in testa di crescere un po'!"

Chino la testa, di nuovo con le lacrime agli occhi.

Sento la sua mano sulla spalla, si è accorto di quanto il suo rimprovero mi abbia fatto male. "Lo dico per il tuo bene, fratellino. E' facile fare i santi quando si ha qualcuno che fa il cattivo per te."

Quelle parole mi umiliano, ma sento l'affetto dietro ad esse, so che Ikki è sincero, che cerca di aiutarmi. Però so anche che lui è talmente facile all'odio e al risentimento che sembra non poter vivere senza qualche avversario da battere.

Ci alziamo e usciamo dal cimitero, ai cancelli ci aspettano i nostri sempiterni accompagnatori.

"Siamo dei prigionieri, Shun," mormora Ikki, di cattivo umore, "Questi non ci lasciano soli nemmeno quando andiamo al cesso."

E' vero. Siamo prigionieri, e di questo me ne sono accorto anch'io. La tenuta della Fondazione è una bellissima, inespugnabile prigione. Intorno al Saint George ci sono muri e reticolati, telecamere e altri aggeggi infernali. Ci sono più sorveglianti che ragazzi, e se qualcuno di noi esce dai sacri limiti è accompagnato passo a passo. Sembra che temano di perderci, o forse di lasciarci fuggire. Io non fuggirei: la vita che si fa là è dura, ma finora è la migliore che ho fatto e, del resto, dove potrei scappare?

Ma il carattere tempestoso di Ikki non accetta quella limitazione della sua libertà, la sua orgogliosa indipendenza si ribella. Se non fosse per quell'indipendenza io sarei chissà dove, quindi sono grato ad essa; però ora la sento ribollire come un vulcano pronto ad esplodere.

La sua solitudine gli rende ancora più odioso il Saint George. Non si è fatto amici tra i ragazzi della scuola: è più anziano di due o tre anni rispetto agli altri, le sue esperienze lo hanno reso prematuramente adulto: un abisso quindi lo divide da tutti. Al contrario io sono il più giovane, con due o tre anni di meno dei miei compagni, e siccome non ho coetanei con cui confrontarmi devo darmi da fare e crescere più in fretta che posso. Il risultato è che quando mi capita di incontrare altri bambini della mia età mi sembra di parlare con dei poppanti.

Come aveva predetto il duca Alman, stavolta non ho avuto difficoltà a causa del mio aspetto gaijin: alla scuola ci sono ragazzi da tutto il mondo: cinesi, russi, africani, europei, indiani, e anche qualche giapponese autentico, come ad esempio Seiya.

E' un ragazzo dal carattere spiccato, esagerato e a volte davvero spassoso. Ma io ho scoperto che è molto generoso e che, dietro alla sua allegria, si nasconde il dolore di essere stato separato dalla sorella. Forse per questo ci guarda a volte un po' storto, perché noi due non siamo stati separati, e si diverte a provocare Ikki (che già lo detesta naturalmente) con battutine salaci a proposito delle notevoli differenze tra di noi.

Un altro ragazzo che ho incontrato mi impressiona molto: è cinese, si chiama Chen Shi Lou, ma siccome il giapponese è la lingua franca di noi orientali tutti lo chiamano Shiryu. E' un tipo molto gentile e riservato, che non ha un solo nemico nella scuola, ma che non concede la propria amicizia a cuor leggero. Su di lui Ikki non ha nulla da ridire, anzi, ammira il suo equilibrio interiore.

Poi c'è Asher, un ragazzo scozzese rosso e riccioluto che è famoso tra di noi per essersi preso una cotta per Lady Isabel fin da quando lei aveva sei anni. Quando la bimba regale si degna di avvicinarsi alla scuola si è sicuri di vederlo fare il buffone o il gradasso in mille modi. Naturalmente la principessa non lo guarda nemmeno, e noi ridiamo alle sue spalle: innamorarsi alla sua età in quel modo da fumetti è davvero singolare! E del resto ci piacerebbe vedere cosa ne pensa la piccola lady di questo spasimante tredicenne.

Un tipo che in due anni non ho mai visto ridere è Igor, o meglio Hyoga, come l'abbiamo chiamato alla maniera giapponese. E' un ragazzo siberiano che assomiglia per molti aspetti a Ikki, anche se non certo fisicamente: è biondissimo con occhi grigioazzurri, freddi come ghiaccio. E' un tipo duro e schivo, che partecipa raramente ai giochi e tende ad isolarsi. Però verso di me sembra un po' meno severo, chissà, forse gli faccio pena, o gli ricordo qualcuno della sua patria.

Questi sono i ragazzi che conosco meglio, ma siamo talmente pochi che ci conosciamo tutti. Tuttavia è raro che si formino delle vere amicizie, ognuno tende a restare un po' nel proprio brodo, aiutato anche dal fatto di dormire in camere separate.

Solo in quelle due ore che ci concedono torniamo ad essere i bambini che siamo, e a volte ci sfidiamo in partitelle di calcio litigando per avere Ikki in squadra (lui che è il più grande); allora si possono vedere scene altrimenti impossibili, come Shiryu che perde il suo àplomb e lancia insulti a Hyoga che lo ha buttato per terra, o Seiya che nasconde la palla sotto la maglietta e scappa per tutto il campo, o il canadese Jack, una bestia di ragazzone, che confonde il calcio con il football americano...

"Con chi sta la femminuccia?!" grida Asher, intendendo me, naturalmente.

"Con me!" risponde Seiya, che se ne intende, "Chi ha i piedi piccoli è buon calciatore!"

"Shun è tutto piccolo. Piccola testa, piccolo cervello, niente uccellino..."

"Non è vero! Shun! Tira fuori il tuo uccellino!"

"Ma se ti dico che non ce l'ha!"

"Glielo tiro fuori io! Ehi... dove scappa?!"

"Ecco, imbecille! L'hai fatto piangere di nuovo!"

"Oh, che palle! Ma questo ha sempre la lacrima pronta?!"

"E adesso te la vedi tu con suo fratello..."

Simili incidenti sono normali, ma ormai mi sono talmente abituato ad essere preso in giro che mi stupirei del contrario. Così, a parte qualche scoramento, corro allegramente e do calci alla palla anch'io, se non mi stendono prima, ed esulto quando facciamo gol...

E proprio durante una di quelle partitelle accade quel che temevo.

Quel giorno Mylock esce dalla scuola con i suoi energumeni appresso, soffia nel suo fischietto facendoci fermare e tuona:

"Adesso basta! Ne avete di voglia di correre, eh? Ora vi accontenteremo. Tutti in riga e poi in palestra, o vi ci mando a calci nel sedere!" Un sorriso maligno, "Poi vedremo se domani avrete ancora voglia di fare tutta questa confusione."

Obbediamo mugugnando, ma la voce di Ikki si eleva su tutte.

"Stavamo divertendoci, nient'altro! Gli fa schifo a quello lì vederci ridere ogni tanto?"

Un silenzio di tomba cade nel campo.

Mylock si irrigidisce.

"Chi ha parlato?!" urla.

"Io," risponde mio fratello, per nulla intimorito.

"Vieni qui immediatamente!"

Per tutta risposta Ikki si siede sull'erba, ne strappa un filo e se lo mette in bocca. "Non ne ho voglia. Venga qui lei se non ci sente bene."

Mylock diventa paonazzo. A grandi passi avanza verso mio fratello, gli si pianta davanti a gambe larghe e coi pugni sui fianchi, e tuona:

"Pezzo di insolente! Alzati di lì e fila in palestra. Il tuo programma ti aspetta."

Ikki sputa il filo d'erba.

"Ah, al diavolo il programma. Chi l'ha deciso? Non sono mica uno schiavo. Ho sopportato finora tutte queste fatiche assurde, ma ora mi sono rotto le scatole. Voglio fare un po' quel che mi pare e piace."

"Devi meritarti questo tetto e tutto quel che ti diamo!"

"Palle. Il duca è pieno di soldi, mantiene chissà quanti marmocchi senza far loro sputare il sangue in palestra o in classe."

"Questo non è un comune orfanotrofio!"

"Ah, questo l'ho capito!" Ikki si rialza in piedi, fronteggiando Mylock senza paura, ed io ammiro smisuratamente il suo coraggio. "Questa è la scuola Saint George, in cui dei ragazzi sono trattati come polli in batteria per chissà quale scopo! E guai a chi discute, vero? Ma se qui tutti si dimenticano di avere un po' di dignità, io non lo dimentico! Non sono il gladiatore di quel vecchio pazzo fanatico..."

E' troppo. Mylock lo interrompe con due ceffoni.

Vedo Ikki spalancare gli occhi, stringere i denti come se fosse arrivato al limite della sopportazione. Si raddrizza e scarica un pugno fulminante nello stomaco di Mylock, che arretra gemendo piegato in due.

Due sorveglianti si precipitano addosso a mio fratello. Lui usa magnificamente l'abilità nella lotta che gli hanno insegnato, il suo piede destro scatta all'indietro e colpisce in pieno la rotula di uno di loro, che cade urlando. L'altro afferra Ikki per il collo, e si ritrova a volare oltre le sue spalle, grazie ad un'abile mossa di Judo. Non è un ragazzino che hanno davanti stavolta, ma un giovanotto alto quasi quanto loro...

Almeno altri quattro sorveglianti si buttano a bloccarlo. Sono troppi anche per lui: cadono tutti insieme schiacciandolo al suolo, Ikki si dibatte, urla:

"Lasciatemi, bastardi vigliacchi, venitemi avanti uno alla volta e vi spacco la faccia..."

Quello che Ikki ha rovesciato al suolo guarda Mylock, annuisce, estrae da sotto la giacca una pistola di quelle che si usano per le iniezioni.

"No!..." urla mio fratello, "Schifosi vigliacchi, lasciatemi! Lasciatemi..."

Il sorvegliante gli preme la pistola al collo, si sente un lievissimo sibilo in un istante di irreale silenzio, poi un torrente di orribili imprecazioni da Ikki, la sua voce che si affievolisce sensibilmente a ogni parola.

"Faccia di merda..." è l'ultimo complimento che lancia ad occhi chiusi, presumibilmente a Mylock.

Lo lasciano andare e lui resta inerte con la faccia nell'erba.

"Ikki!..." grido, spaventato, e mi lancio verso di lui. Un sorvegliante tutto affannato mi afferra al volo come un pacco e mi tiene nonostante lo tempesti di pugni. "Lasciami! Lasciami!... Cos'avete fatto a mio fratello?!"

"Niente, a paragone di quel che gli farò io," ruggisce Mylock, massaggiandosi lo stomaco, "Giuro che quando si sveglia gli strappo la pelle di dosso, e davanti a tutti, così imparerete chi comanda qui!"

"Non fargli del male, brutto pelato!..."

Un singulto collettivo segue le mie avventate parole.

Mylock si volta verso di me, con i suoi occhietti sbarrati.

"Dammi un po' questo ragazzino," dice al sorvegliante che mi tiene.

Io lo guardo con occhi sbarrati, bianco come un cadavere. Mylock mi afferra per il cappuccio della tuta e mi strappa dalle braccia che mi tenevano, tenendomi appeso come un coniglio. Mette il suo brutto muso a livello del mio naso e mi dice, mellifluo:

"Che hai detto, ragazzino? Hai il coraggio di ripeterlo?"

Mille parole di scusa mi vengono in mente, ma riesco solo a dire:

"Non le lascio fare del male a mio fratello!"

"Ohò, che parolone grosse per uno scricciolo frignone come te! Beh, dì addio alla pelle del tuo sederino: quando avrò finito non ti siederai per un mese!"

Mi scaraventa per terra, dice a uno dei suoi uomini: "Tieni qui i ragazzi e portami quella bella canna che tutti hanno imparato a temere. Una seduta di vergate date come dico io sarà molto istruttiva." Si gira verso di me, strofinandosi le mani. "E tu comincia ad abbassare i calzoncini."

"Aspetti!..." esclamo, terrorizzato ed insieme sicuro come non lo sono mai stato.

"Vuoi chiedere scusa?"

"No. Le chiedo, per favore... se picchia me, non picchierà mio fratello, vero?"

"Quel che farò a tuo fratello sarà ben peggio di quel che sto per farti!"

"Allora lei è proprio un brutto pelato cattivo."

I miei compagni sussultano, spaventati all'idea di quel che mi succederà. Alcuni di loro però sogghignano apertamente nel vedere la faccia paonazza di Mylock.

"La cannaaa!!!" urla, voltandosi verso i sorveglianti, "Sbrigatevi!... No, che diavolo mi portate, un telefono?!"

"E' il duca!" ansima il gorilla, con trepidazione.

Mylock si immobilizza, si mette sull'attenti, apre il telefonino e dice in tono marziale:

"Milord?... Si, è successo... si, molto grave, molto... bisogna dare un esempio... no... ah, ha visto tutto?" E si gira verso le telecamere, inghiotte a vuoto, "Si, ma... certo, immediatamente, ai suoi ordini, milord."

Chiude l'apparecchio con un gesto di stizza, si aggiusta la giacca scomposta.

"Devo andare dal duca. Mettete anche quello là in macchina," agginge, indicando Ikki col pollice. Si volta, mi lancia un'occhiata velenosa. "Io e te faremo i conti dopo. Intanto per oggi tutto il tuo programma è raddoppiato! Controllerò personalmente che i miei ordini siano rispettati."

Se ne va, mentre i sorveglianti caricano mio fratello sull'auto di servizio che parte rombando, scomparendo nel vialetto.

Ho gli occhi pieni di lacrime, sento qualcuno che mi aiuta a rialzarmi, la voce di Shiryu che mi sussurra: "Coraggio, Shun. Tuo fratello è il più forte tra di noi, non devi avere paura per lui."

Annuisco, anche se di paura ne provo, eccome.

Mestamente andiamo tutti in palestra, l'istruttore mi fa vedere il foglio del programma.

Venti piegamenti diventano quaranta. Dieci chili diventano venti. Sei serie di salti diventano dodici...

Comincio i miei esercizi con rabbia, non provo nemmeno a fare il furbo: tanto un tetro signore alle mie spalle annota tutto quel che faccio. Penso a Ikki, mi dico che devo fare quello sforzo per lui. Mi viene voglia di piangere, ma non posso, e del resto anche se lo facessi nessuno se ne accorgerebbe, zuppo di sudore come sono...

Quando tutti hanno finito i loro esercizi io sono ovviamente molto più indietro. Ma gli istruttori non fanno andare via i miei compagni: secondo la logica della scuola vogliono che assistano alle mie fatiche, in modo da rammentare cosa significa raddoppiare un programma.

"Cinquanta giri di campo," dice l'istruttore, spuntando l'ultima riga del foglio.

Mi sento morire. Cinquanta giri? Ma se sono stremato!

Comincio a correre, faticosamente.

"Che fai, batti la fiacca?" mi urla l'istruttore, "Più veloce!"

I ragazzi mormorano tra di loro.

"Silenzio!"

Devo farlo, devo sforzarmi o non finirò mai quest'allenamento. Accelero, sbuffando. Mi fa male tutto. Riesco a fare così venti giri, chiedendomi stralunato da dove tiri fuori le forze. Poi inciampo e cado lungo disteso.

Non ce la faccio più, non ce la faccio più...

Sento qualcuno che mi prende per mano e mi fa alzare quasi a forza, dandomi uno spintone in avanti. "Forza, Shun!... Non darla vinta a quel brutto pelato."

E' Seiya, che saltella al mio fianco, sbuffando. Mi guarda, sorride.

"Dài, che ci mancano ancora trenta giri!"

"Ehi, tu, che fai?!" urla l'istruttore.

"Una corsetta," risponde lui, "E' brutto correre da soli, ci si annoia... non è vero, Shun?"

Deve essere mezzo morto di stanchezza come tutti, eppure è lì che decide di condividere quell'inutile punizione... riesco appena a sorridergli, e poi riattacco la mia fiacca corsa, con lui che mi dà il passo.

"Seiya... perché?" ansimo appena, incredulo.

"Mi sei piaciuto oggi," risponde lui, sbuffando. "E mi è piaciuto tuo fratello. Avete palle, voi due!..."

Mi verrebbe da ridere. Non sono io la femminuccia per antonomasia?

"Ma... tu... che c'entri?"

"Hai detto quel che ho sempre pensato di Mylock..." sogghigna, "...che è un brutto pelato cattivo! Quindi corro anch'io."

"Allora dovrebbero correre tutti," dice un'altra voce alle nostre spalle.

E' Hyoga, serissimo, che si è unito a noi.

"Ciao, russo," ansima Seiya, "Anche tu con fiato da sprecare?"

"Correte e non chiacchierate, o salteremo la cena per colpa vostra!"

"Certo, tovarish, ci mancherebbe."

Il mio passo si stende, riesco di nuovo a correre. Sono felice. Forse sto trovando qualcosa di nuovo nella mia vita.

Degli amici.

***

Mi risveglio di soprassalto sul lettino di un'infermeria, con un sapore amaro in bocca, un dolore lontano nel collo, un laccio emostatico stretto al braccio.

"Tranquillo," dice una voce sopra di me, un tizio in camice bianco che mi tiene premuta la vena.

Raccolgo saliva nella bocca asciutta.

"Mi avete drogato," mormoro.

"Sedativo. Forte ma innocuo." Mi lascia la vena che premeva con un tampone, "Ecco fatto. Dovresti sentirti quasi nuovo. Mettiti seduto."

Lo faccio, a fatica. "Mi gira la testa," dico con un filo di voce.

"Un attimo che faccia effetto l'iniezione," dice Camice Bianco, e mi porge un bicchiere di carta. "Bevi."

"Altre porcherie?"

"Acqua e glucosio. Appena stai in piedi, va' in quel bagno e cerca di urinare."

"Non mi scappa."

"Oh si che ti scappa. Sono più di dodici ore che non la fai."

"Che diavolo di ora è?"

"Le tre del mattino." Si toglie di tasca un telefonino, compone un numero, dice: "Infermeria. Il ragazzo è sveglio, che dobbiamo fare?... OK, vi aspetto."

Richiude il telefonino, sospira.

"Come ti senti?"

"Meglio."

"Bene. Allora cerca di sbrigarti a fare ciò che ti ho detto. Il duca vuole vederti."

"A quest'ora?... Nottambulo, il nobiluomo."

"Spesso sta alzato a guardare le stelle."

Mi alzo, dopo la prima sensazione di vertigine scopro che riesco a stare in piedi senza troppi problemi. Vado in bagno e scopro che Camice Bianco ha ragione, sto quasi per farmela addosso. Esco sentendomi decisamente meglio, anche se il collo mi fa ancora male.

"Non sono sicuro che sia legale quel che mi avete fatto," dico, massaggiandomi.

"Nemmeno quel che hai fatto tu. Hai mandato un uomo all'ospedale con un ginocchio in frantumi."

"Uno solo? Che peccato."

"Nessuno però te ne fa una colpa," dice Camice Bianco. "Il rapporto dice chiaramente che non eri consapevole dei tuoi atti in quel momento. Eri nel mezzo di una crisi isterica, fuori da ogni controllo, pericoloso per te e per gli altri. Quindi non c'era altra soluzione che sedarti. Cosa c'è di illegale in questo?"

Sorrido, sardonicamente. Ovvio, questa è la versione della Fondazione e nessuno potrebbe metterla in dubbio. Un povero orfanello fuori di testa può essere assalito e drogato contro la sua volontà, basta dire che è stato per il suo bene.

Mi vengono a prendere dei tizi in doppiopetto larghi il doppio di me. Mi portano attraverso lunghi corridoi tappezzati di tappeti persiani e cinesi, con grandi finestre rettangolari che si aprono a distanza regolare su un favoloso giardino. Fuori è notte fonda, le stelle sono vivide, il silenzio quasi assoluto.

Arriviamo ad una grande porta a doppio battente. I miei eleganti accompagnatori bussano.

"Avanti."

Entriamo in una grande sala sprofondata nella penombra, vinta solo da un'abat-jour d'antiquariato su un'immensa scrivania di radica. Ai lati della sala ci sono scaffali ricolmi di libri, accanto alla finestra un grande mappamondo dall'aria antica. Davanti alla scrivania, su una grande poltrona di cuoio, è seduto il duca Alman, di nuovo in costume giapponese, con un semplice karinigiu al posto della casacca cerimoniale. Qualche carta davanti a lui, lo schermo piatto di un computer ed un portacenere di alabastro è tutto quel che tiene a portata di mano.

"Bene. Potete andare," dice lui, con la sua voce di basso.

I gorilla si inchinano e girano i tacchi, chiudendo la porta dietro a loro.

Restiamo soli, io e lui.

"Accomodati, Ikki Hanekawa," esordisce, indicandomi una sedia all'angolo della scrivania.

Mi vuole trattare da adulto. Ebbene, sono un adulto! Mi siedo al posto indicato, fisso il duca sfacciatamente.

"Ora mi dirà finalmente cosa vuole da me, vecchio!"

"Ti rivolgerai a me chiamandomi Milord."

Lo dice con assoluta tranquillità, il suo sguardo ha qualcosa di sovrumano.

Gli concedo la vittoria con un sorrisetto di sfida.

"D'accordo... milord. Cosa vuole da me?"

"Risolvere la sgradevole situazione che hai provocato alla scuola. Hai aggredito Mylock, mandato in ospedale un assistente, in infermeria un altro paio. Hai insultato me ed il mio intendente davanti a tutti i ragazzi, hai affermato cose gravissime sul Saint George, ti sei rifiutato di seguire il tuo programma."

"Dove sta scritto che devo obbedire ai suoi desideri, o a quelli di qualcun altro?"

Lui sospira, si accende un sigaro con deliberata lentezza.

"Immaginavo che un giorno sarebbe successo. Sei più maturo e smaliziato dei tuoi compagni, un ribelle naturale. Ho corso certi rischi con te perché hai un enorme potenziale proprio nel tuo carattere." Una pausa, "Peccato che il primo, naturale bersaglio della tua ribellione sia proprio io. Mi detesti, non è vero?"

"Visto che me lo chiede, si. Detesto le sue arie da maledetto. E poi la sua scuola mi fa schifo, anzi, per dirla tutta, mi puzza parecchio."

"E perché?

"Perché ci tiene rinchiusi come prigionieri, ci fa sorvegliare notte e giorno, non abbiamo nemmeno il diritto di protestare o di fare domande, ci impone una fatica assurda e alla minima mancanza il suo caro Mylock somministra punizioni come se ci godesse a farlo! Siamo solo dei ragazzi, e lei ci tiene sotto pressione peggio degli adulti... si comporta come se avesse diritto di vita e di morte su di noi."

"Ce l'ho, infatti." Un lieve sorriso. "Non sarai così ingenuo da non averlo capito."

Mi sento raggelare dalla sua sicurezza.

"Siamo nel ventunesimo secolo," dico, tentando di resistere al mio orrore, "La schiavitù è illegale da un pezzo! Lei non può credere che la passerà liscia. Siamo orfani, non bestiame!"

"E chi racconterebbe questi miei presunti crimini contro la dignità umana, Ikki? Tu?" Soffia il fumo verso la lampada. "Non credo che troveresti orecchie disposte ad ascoltarti. Di che credito potrebbe godere un giovane psicopatico?"

Impallidisco. "Che io sia pazzo è tutto da dimostrare!"

"E' già dimostrato," replica lui. "Povero ragazzo, hai assistito alla morte dei tuoi genitori, sei stato abbandonato dalla famiglia: quindi sei pieno di risentimento nei confronti di tutto il mondo, e lo sfoghi su nemici immaginari..." Fa un gesto vago con la mano. "Sembravi destinato ad essere un disadattato per tutta la vita; ma per tua fortuna la Fondazione Thule ti ha dato una mano, accettando paternamente di curarti."

E sorride con condiscendenza, tornando a fissarmi.

Una cieca furia impotente mi fa stringere i pugni sotto il bordo della scrivania. Che bastardo! Ma so che ha perfettamente ragione... la mia parola non ha valore contro la sua. Ricco e potente com'è può inventarsi di tutto, fare quel che vuole di me, anche farmi impiccare, senza che qualcuno al di fuori di qui osi mettere in dubbio la sua buona fede!

"Mi manca poco per essere legalmente maggiorenne," dico, a denti stretti, "Forse non la puniranno per quel che fa a dei ragazzi indifesi, ma io almeno avrò presto il diritto di mandarla al diavolo!"

Scuote la testa. "Spero invece che quando sarai maggiorenne ti sarai convinto della necessità del tuo addestramento."

"E magari ringraziarla, vero?" dico io, ironicamente.

"Certo. In fin dei conti sto cercando di trasformarti in un eroe."

Resto di sasso, ripeto silenziosamente quella parola.

Eroe.

Mi metto a ridere, all'improvviso. "Ma cosa mi dice, milord! Eroe!... E al servizio di quale causa? La sua?"

"La mia e quella di tutta l'umanità."

"Che parole grandi!... Si vede che la mitologia che ci costringe a studiare le è andata alla testa."

"Ikki!..." tuona lui, picchiando una mano sul tavolo.

Sono riuscito ad offenderlo.

"Non parlare di ciò che non conosci," prosegue, con voce tesa. "Non è tempo che tu sappia di più, ma almeno la prospettiva del potere che potresti ottenere dovrebbe renderti felice di essere al Saint George."

"Non mi interessa!" esclamo. "Voglio soltanto essere come tutti gli altri ragazzi di questo mondo..."

"Non hai né i soldi né il diritto legale per deciderlo."

"I soldi? Potrei averli lavorando, se mi si offrisse la possibilità. E il diritto legale... è quello che mi garantirebbe persino quel fetente orfanotrofio dove mi ha trovato!"

"Ti avevo detto che avrei domandato un prezzo per toglierti di lì."

"Non le ho chiesto io di farlo."

"Giusto. Ma avresti preferito restare?"

Chino la testa, nervosamente.

"Chissà, forse. Se avessi saputo in anticipo il prezzo che mi avrebbe chiesto."

"Allora non ti ho convinto? Sei intenzionato a continuare la tua ribellione senza senso?"

Alzo la testa di scatto. "Si!"

Lui spegne il sigaro schiacciandolo nel portacenere, si alza lentamente. Va alla finestra e guarda le stelle in silenzio, a lungo. Poi emette un pesante sospiro.

"Mi dispiace molto che tu la pensi così," dice, in un tono che mi sembra quasi rassegnato. Una breve pausa, poi mi chiede con voce quasi cordiale: "A proposito, come sta il piccolo Shun?"

Sto per rispondergli automaticamente... quando mi rendo conto all'improvviso del vero significato di quella domanda.

Il duca si gira appena, vede la mia faccia raggelata e sorride appena.

"Sei un ragazzo intelligente, vedo."

"Lasci Shun fuori da questa faccenda!" dico con impeto. "La questione è tra me e lei solamente..."

"Non credo proprio. Sei legato a doppio filo con tuo fratello, mi sorprende che tu abbia parlato fino ad adesso come se fossi solo al mondo."

"E allora? Cosa intende fare, ricattarmi?"

Alza appena le spalle. "Voglio solo ricordarti le tue responsabilità verso Shun. Perché quando parli di libertà, intendi ovviamente quella di tutti e due, non è vero?"

Taccio, torvamente.

"Ma hai pensato a tuo fratello? Potrebbe non essere d'accordo con te. Consideri il Saint George un inferno, per Shun è stata la salvezza. Ricorda le sue condizioni, quando è arrivato qui." Una pausa. "Se vuoi, puoi rinfrescarti la memoria. Apri quella cartella sulla scrivania."

Obbedisco.

Trovo delle foto spietate, un bambino in mutande, emaciato, pieno di lividi e punture di insetti, con gli occhi segnati e i capelli a spazzola. Allegati ci sono dei referti medici in cui sono evidenziate delle parole, una più spaventosa dell'altra: anemia... anoressia... fragilità costituzionale... disturbi della crescita... consapevolezza di essere rifiutato... trauma infantile alla morte dei genitori... e la peggiore di tutte, che mi colpisce come un pugno nello stomaco: violenza a sfondo sessuale subìta in orfanotrofio...

Richiudo di scatto la cartella.

"Terribile, non è vero?" dice il duca, con voce ironica.

Non è stata colpa mia, avrei voglia di gridare, ma sento che sarebbe troppo puerile, sento che è quel che Alman vorrebbe sentirmi dire...

E invece stringo i denti.

"Ma che previdente che è stato, milord," dico, mettendo tutto il veleno che ho nella voce. "Dunque mio fratello era in questo stato pietoso, però lei l'ha preso lo stesso con me... solo per potermelo rinfacciare in un secondo tempo!"

"No. Shun ha davvero del talento. L'ho preso solo perché diventi ciò che diventerai tu."

Tocca una pulsantiera. Una parte dello scaffale si apre mostrando un video che si accende.

E' una registrazione del giorno prima. Lo stesso bambino di quella cartella salta alla corda in palestra. E' sempre sottile, ma pieno di vita. Si ferma tutto ansante, con la tuta macchiata di sudore, gli occhi luminosi senza più ombre, le guance arrossate, un caschetto di molli riccioli biondo-cenere che incorniciano un volto bello come quello di un angelo.

"Sicuro di non dovermi niente neppure per lui?"

Il video si spegne.

Io resto con lo sguardo fisso allo schermo vuoto.

"E se le dicessi di no?" mormoro, e la mia voce si leva appena nel silenzio. "Se le dicessi che anche con Shun lei ha fatto solo i suoi sporchi interessi?"

"Allora non mi lasceresti scelta. Dovrei, molto a malincuore, perdervi tutti e due. Manderei te nel più bell'orfanotrofio della mia Fondazione, a giocare ed ingrassare senza doveri da compiere, felice e libero come desideri..."

"E Shun?"

Un sorriso malvagio. "Questo è banale, Ikki: Shun ritornerebbe nello stesso orfanotrofio dove vi avevo trovati. Non ho finora trovato un posto peggiore in Giappone... altrimenti sceglierei quello come sua nuova destinazione."

Ci metto un po' a comprendere quelle parole...

"Che cosa?!" grido.

"Hai capito bene. Vi separerei, per mandarvi l'uno in paradiso, l'altro all'inferno: e all'inferno non ci finiresti tu, che sapresti viverci e prosperare... no, ci finirebbe il tuo adorato, indifeso fratellino. Pensa alla vita che l'aspetterebbe laggiù, tutto solo, senza il suo protettore al fianco! Ritroverebbe di colpo la sporcizia e lo squallore, i compagni che lo emarginavano, i bulletti come te che lo picchiavano, e soprattutto quei cattivi assistenti dalle mani lunghe che lo chiudevano in bagno per giocare con lui..." E ride, con una cattiveria infinita, quel grandioso, maestoso signore che è stimato in tutto il mondo per la sua umanità.

Balzo in piedi, sentendo il cuore battermi all'impazzata nel petto.

"Avrebbe il fegato di far questo ad un povero bambino innocente... e dopo che sa tutto quel che ha passato, con tanto di stupide carte!" Faccio volare la cartella per la stanza, disperdendo i fogli dappertutto, ed urlo: "Ma che razza di mostro è lei, Alman di Thule?!... Che razza di uomo?!"

"Un uomo spietato e senza scrupoli," risponde lui, senza scomporsi. "Che ha imparato a servirsi del potere, in tutte le sue forme." Un sorrisetto ironico. "E che persegue uno scopo infinitamente più importante del destino di due anonimi ragazzi senza famiglia!"

Lo guardo, tremando in preda ad un folle desiderio di violenza che quasi travolge quel che resta del mio autocontrollo. Vorrei allungare le mani al di là della scrivania e strozzare quel vecchio che mi squadra come se fossi roba sua... e lo sono, grida una voce disperata dentro di me. Che posso fare davanti al suo spaventoso ricatto? Appellarmi alla coscienza che non ha?

Mi ha inchiodato con le spalle al muro!

"Criminale," riesco solo a ringhiare, con le lacrime agli occhi.

Lui posa una mano sulla scrivania, mi fissa indifferente alla mia furia.

"Ho trovato soddisfacente la tua prova di stanotte, Ikki Hanekawa. Non era facile osare quel che hai osato tu, tenere testa a chi ha in mano il tuo destino. Ora più che mai ti voglio nel mio Saint George, assieme a tuo fratello: però esigo uno studente obbediente e rispettoso. In caso contrario, sai come mi comporterò. Voglio una tua risposta, chiara, una volta per tutte. Accetti le mie condizioni?"

Arretro, quasi vacillando. Ricado sulla sedia, mi prendo la testa tra le mani, assaggio il sale amaro delle mie lacrime di impotenza.

Io sono il fratello grande, la responsabilità di Shun è mia, me la sono presa liberamente quel giorno lontano in cui papà e mamma morirono...

"Allora?"

Shun, per te ho perso tutto, i miei genitori, il mio futuro, ed ora perdo anche la mia libertà... non sarebbe stato più semplice morire per te?

Ma non mi hai mai chiesto tutto questo, fratellino mio... l'ho voluto io.

"Si," dico, con un filo di voce. "Accetto le sue condizioni."

Il duca preme un pulsante, sento la porta dietro a me che si apre.

"Mylock..."

"Buonasera, milord."

Rialzo la testa e mi asciugo le lacrime, in fretta. Mi sento soffocare, ma non voglio dare a quei bastardi ulteriori soddisfazioni.

"Dunque: la questione è appianata. Definitivamente. D'ora in poi Ikki Hanekawa seguirà le regole del Saint George con impegno e precisione. Giusto, Ikki?"

"Si, milord," mi costringo a rispondere.

"In quanto a te, Mylock, ti prego di non infliggere punizioni a questo particolare ragazzo senza avermi prima consultato. Non desidero che sia umiliato inutilmente."

Ha ragione, gli basta avermi umiliato lui. E per tutta la vita.

"Come desidera, milord, " sospira Mylock, pieno di disapprovazione.

"Bene. Ah, un'ultima cosa. Dimentica quel che volevi fare al piccolo Shun, che ti ha offeso solo per difendere il fratello. Mi risulta che tu l'abbia già punito abbastanza, raddoppiandogli tutti gli esercizi in palestra. Naturalmente, se l'insolenza si ripetesse, sei libero di usare le solite punizioni corporali."

Cos'ha fatto Shun?!... Chino la testa, con un pallidissimo sorriso, e penso: Tutto sommato meriti che io faccia di tutto per te, fratellino, se hai avuto il coraggio di sfidare questo stronzo per me.


parte terza
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