Disclaimers: Saint Seiya ovviamente è di proprietà di un sacco di bella gente che fa i soldi, mentre io non ci guadagno niente, nulla mi appartiene, anche se mi piacerebbe tanto! Per il Sacro Leo! di Ioria Capitolo 1°
Micene, mio fratello… Non avrei mai pensato che avrebbe tradito Atena. Non lui! Non è possibile! Lui, al quale è stata affidata la Sacra Armatura di Sagitter, il più devoto alla Dea e l'avrebbe tradita? Non ci credo! NO! Eppure… Il Grande Sacerdote non può mentire. L'uomo che è diretto interprete della volontà della Dea, non potrebbe andare contro i suoi principi, non può mentire! Atena non lo permetterebbe… Ma Micene è mio fratello! Lo conosco troppo bene! Non è possibile! Non è stato lui! ci dev'essere un errore, lui, il più votato tra i Cavalieri d'Oro alla Dea Atena non può averla tradita così! Ma se fosse vero? Traditore… Micene di Sagitter è un traditore… << >> Non riesco a pensare, la mia mente è annebbiata tra i lontani ricordi di mio fratello. Adesso la sua anima riposa nel Paradiso dei Cavalieri e la nona casa dello Zodiaco è ora incustodita… Arles, il Grande Sacerdote di Atena, ha ordinato che le sacre vestigia di Sagitter tornassero al Grande Tempio. Da quando mio fratello fuggi dal Grande Tempio portando con se l'armatura, molte cose sono cambiate… Da allora molte volte ho parlato con quelli che conoscevano Micene, per capire che cosa l'avesse spinto fino a compiere un simile gesto, inimicandosi così la nostra Dea. Nessuno però è in grado di soddisfarmi, nessuna delle risposte è completa, molte incertezze, moltissime le versioni; nessuna uguale a quell'altra tranne che in un fatto solo: "Tuo fratello, Cavaliere di Sagitter, ha tradito Atena, la Dea della Giustizia." I miei ricordi a proposito di quella notte sono troppo vaghi, ero troppo piccolo per potermelo ricordare. L'unico ricordo nitido è il suono della campana in piena notte, voci che gridano, mio fratello che irrompe nella mia stanza con lo scrigno sulla schiena e la bambina tra le braccia: "Ioria - mi disse - sii coraggioso, io devo andarmene, proteggi tu ora Atena, e non lasciare che nessuno faccia del male in nome della Dea" riuscì dalla stanza correndo. Io rimasi imbambolato per qualche istante seduto nel letto. Una lacrima fugace rigò il mio viso… Saltai giù dal letto e corsi fuori gridando il nome di Micene, fui scaraventato a terra dai soldati del Tempio che correvano in direzione della valle. Cercai di seguirli ma non riuscivo a stargli dietro, tutti gridavano: "Tradimento! Micene ha tradito Atena, prendete il traditore!" Non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo e perché mio fratello doveva andarsene, e soprattutto perché avrebbe tradito Atena? Riuscii a vedere Micene, correva lungo la strada, cercai di chiamarlo ma non mi sentiva. In un attimo fu circondato dai soldati che sbucarono da tutte le direzioni e che lo costrinsero a fermarsi per qualche istante: il tempo che impiego a batterli. Si girò poi nella mia direzione come per salutarmi, mi alzai da dietro la roccia che mi nascondeva per farmi vedere nella speranza che mi avrebbe portato con sè, ma il tempo di un battito di ciglio e Micene se ne era andato… Gridai il suo nome con tutto il fiato che avevo nel mio corpo mentre un'ondata di lacrime mi annebbiava la vista. Caddi a terra singhiozzando… Mi svegliai il mattino dopo e seppi che Arles, allora soltanto Primo Ministro, voleva vedermi. Mi incamminai verso le stanze di Arles mentre tutti mi guardavano con aria di superiorità e di scherno: "Ecco il fratello del traditore, speriamo che il Arles gli dia una giusta lezione d'altronde, il fratello di un traditore non può essere che un traditore!" Non riuscivo a sopportare l'idea di essere paragonato ad un traditore e quindi per riprendere la propria dignità decisi, nonostante non fosse colpa mia di andare in esilio, per lavare l'onta che macchiò la Dea con il tradimento di mio fratello. Quelli furono tredici anni più lunghi della mia vita, ma nonostante le difficoltà compresi una cosa: a mio fratello doveva essere ridata la dignità giusta, che lo spettava come Cavaliere. Decisi quindi di ritornare al Santuario per fare ciò che mi chiese 13 anni fa, nella notte in cui andò via, e così lottare per il bene e per la giustizia ridando l'antico splendore al nome del Cavaliere di Sagitter… << >> Mi ricordo il mio primo anno di esilio, avevo a malapena sette anni. Non sapevo dove andare, non sapevo cosa fare. Avevo appena perso l'unica persona che avevo, adesso ero da solo. Passarono i primi due giorni e la stanchezza, ma soprattutto la fame, iniziavano a farsi sentire. Dovevo trovare un modo per mangiare e un posto sicuro per dormire. Durante il giorno, quando la gente mi vedeva, avevo un comportamento fiero e deciso, spavaldo e altezzoso, nessuno avrebbe mai creduto che non avevo nessuno e che ero da solo, ma poi veniva la notte, e con lei tutte le mie certezze svanivano. Mi nascondevo nei vicoletti bui, dietro qualche cassone della immondizia oppure nei portoni e i sottoscala di un qualche palazzo. Ma la mia più grande paura era rivolta allo scrigno che mi pesava sulla schiena. Al terzo giorno del mio vagabondaggio ero stanco ed affamato. Anche se il mio corpo era abituato a mille sofferenze, la mancanza di sonno e cibo lo stroncò. Quella sera riuscii ad entrare nel sottoscala di un piccolo palazzo proprio in centro di Atene, posai a terra lo scrigno che mi pesava sulla schiena e quando cercai di mettermici a sedere sopra, come le sere precedenti, avvertii un fortissimo capogiro e poi il buio… Aprii gli occhi di scatto e tentai di mettermi a sedere, ma non ci riuscii. Ero legato! L'immagine si rimise lentamente a fuoco e vidi chiaramente i muri bianchi di una stanza dell'ospedale. Mossi lo sguardo freneticamente su tutta la stanza in cerca del mio scrigno. Non c'era. O perlomeno non riuscivo a vederlo. Mi feci prendere dal panico e iniziai a tirare i lacci che mi tenevano legato al letto, dopo due o tre tentativi andati a vuoto ricordai le parole di Micene, allora, mi sdraiai di nuovo, chiusi gli occhi per un istante, mi concentrai richiamai in soccorso il mio Cosmo e quando sentii il suo calore scorrere nel mio corpo tirai leggermente e i lacci si spezzarono come fossero sottili fili di seta. Saltai giù dal letto come un fulmine, ma sfortunatamente non feci caso al sottile filo che mi teneva collegato a quel apparecchio elettronico che aveva la funzione di controllare il mio battito cardiaco. Il filo si staccò e l'apparecchio inizio ad emettere un lungo fischio. D'istinto voltai la testa nella direzione del congegno elettronico e vidi sul suo sottile schermo una luminosa striscia verde. Nei pochissimi secondi che gli infermieri e dottori impiegarono ad arrivare nella stanza dove mi trovavo, mi precipitai sull'apparecchio a cercare un pulsante che lo avrebbe spento. La porta si spalanco, e un gruppo di persone vestite di bianco irruppero nella stanza. Mi girai di scatto e mi misi in posizione di difesa; ero pronto a difendermi. Un infermiere si getto su di me, forse con la speranza di prendermi o forse avrebbe cercato di azzittire quel fastidioso apparecchio, fatto è che non riuscì a fare nessuna delle due cose: un mio destro lo raggiunse all'addome, un grido soffocato e poi un volo indietro su quelli che si erano fermati dietro. Passarono lunghissimi secondi di silenzio prima che si riprendessero dallo shock, poi un dottore con una voce leggera e tranquilla mi disse: "Non aver paura ragazzo, non vogliamo farti male, eravamo solo preoccupati per te. Sei in un ospedale, nessuno ti vuole fare del male." Per ancora qualche istante i muscoli del mio corpo rimasero tesi, ma poi, lentamente, abbassai le braccia. Allora, un'infermiera, mi si avvicinò con un sorriso: "Vieni piccolo, non aver paura, ora vieni a letto che tutto andrà bene." Seguii il consiglio dell'infermiera e tornai nel letto.
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