Avvertenza: i personaggi descritti in questa fanfiction non sono di mia invenzione, bensì di sua maestà Minami Ozaki e della Margaret Comics (tutti i diritti riservati).
Io non ci guadagno niente a scrivere testi di questo genere.
Si raccomanda la lettura ad un pubblico esclusivamente ADULTO.

Avete mai notato che la signorina Ozaki ritrae sempre Kouji in vesti vampiresche?
Ma se Kouji è un vampiro, perchè Izumi deve diventare il suo schiavetto? E se anche lui fosse una creatura oscura? Magari un appartenente alla stirpe Ferina? ^^


Il primo morso

by Kamuichan

 

Da che ricordi, non mi sono mai cibato delle donne con cui sono andato a letto. Sarebbe stato come mettere i manifesti per tutta Tokyo con su scritto: "Nanjou Kouji è un vampiro!".

Se capitava era perchè eravamo entrambi della stessa stirpe. Donne bellissime. Le tipiche femme fatale: alcune avevano i capelli lisci, altre mossi o ricci, ma quasi tutte con capelli lunghissimi.

L'unica ragazza che ho "avuto" con i capelli corti è stata lei a mordermi. E seriamente col male che mi ha fatto, ho preferito non ripetere più l'esperienza.

Ma in Izumi c'era qualcosa nel modo di fare, nel modo di essere, che mi invitava direttamente a farlo mio.

C'erano delle volte, o meglio notti precise, in cui la sua pelle emenava un fortissimo odore di sangue.

Solo più avanti capii come mai.

Specialmente nelle notti in cui la luna ha la forma di una falce.

Già al crepuscolo i suoi occhi assumevano una luce più intensa, come quando la belva è in procinto di balzare sulla sua preda ed affondare i denti nella sua carne incominciando già ad assaporarne il sangue.

Ricordo che non lo morsi la prima volta che lo incontrai.

Anzi la prima volta nè lui nè io avevamo capito chi eravamo.

Lo avevo visto una sera in un bar.

Era in compagnia di alcuni amici, presumo.

Rammento di averlo notato perchè gli altri ragazzi, che erano al suo tavolo, avevano bevuto forse troppo ed erano chiassosi.

Anche le regazze che li accompagnavano erano piuttosto alticce.

Lui, al contrario di tutti, era silenzioso, ma nei suoi occhi brillava quella luce predatrice tipica della sua razza.

Anch'io ero capitato in quel bar con dei conoscenti, e, come lui, ero in compagnia di una bella ragazza.

Era tutta la sera che mi faceva moine e proposte semi mascherate.

Poi stufo di ascoltarli, in fondo gli uomini a volte ti divertono, ma a volte sono proprio noiosi, mi sono guardato intorno, e stranamente i nostri occhi si sono incontrati.

Che mi stesse fissando già da quando eravamo entrati?

Non so per Izumi, ma io ho avvertito una strana scossa su per la schiena, avrei dovuto capirlo subito, ma non avevo ancora mai incontrato un esemplare della razza Ferina.

Poi il suo gruppo decise di andarsene, così si alzarono per uscire e per farlo dovettero per forza passarci accanto.

Infatti, essendo arrivati un pochino in ritardo avevamo trovato solo un tavolo vicino all'uscita.

Come fu il suo turno di passarmi accanto non riuscii ad impedirmi di allungare appena una mano per sfiorarlo "accidentalmente".

Non so come, ma sembrò accorgersene, e non fece nulla per evitare quel contatto, anzi mi sembrò che anche lui avesse allungato la mano.

Ma pensai subito che fosse una mia impressione.

Come può un perfetto sconosciuto intuire le mosse che stai per fare?

Come se ne furono andati, la ragazza che era con me riuscì di nuovo a catturare la mia attenzione, ma ero frastornato.

Continuavo a chiedermi perchè avessi fatto una cosa del genere per un ragazzo, io che in fondo sono sempre stato attratto dalle donne!

Comunque, quella serata la conclusi come tutte le altre.

Portai la ragazza a casa sua, naturalmente lei mi invitò a salire a prendere ancora qualcosa da bere ed io accettai senza tanti complimenti.

Sapevo cosa voleva veramente, e allora perchè rifiutarle un po' di divertimento?

Poi, mentre stava per venire le chiesi come avrebbe reagito se l'avessi morsa. Mi rispose sorridendo e dicendomi: "Tu puoi fare tutto quello che vuoi. Nessuno è come te."

Quella fu l'unica volta che mi permisi di assaggiare appena il sangue di una donna mortale.

Infatti le diedi un morso leggero all'altezza del cuore sul seno sinistro.

Le mie compagne di stirpe che avevo avuto precedentemente mi avevano insegnato come nutrirmi senza lasciare segni, e, soprattutto, dove mordere.

Quando venne, e poco prima di addormentarsi, mi confessò che quello era stato l'orgasmo più forte di tutta la sua vita, che non aveva mai goduto in quel modo e che aveva visto giusto: io ero un uomo "fuori" dal comune.

Non dico che quell'ultima frase mi spaventò, ma preferì non rivedere più quella ragazza.

Come si addormentò, io mi feci una doccia e me ne tornai a casa mia.

Per tutto il viaggio non feci altro che ripensare a quel misterioso ragazzo del bar.

E per una volta lasciai che la mia fantasia viaggiasse da sola.

Me lo immaginavo in una stanza da letto con solo una camicia indosso.

Mi vedevo la stanza illuminata solo da due candele in due angoli opposti, alla stessa altezza della testata del letto.

Lo vedevo uscire fuori dalla zona d'ombra avanzando a gattoni, con lo stesso fare di una pantera nera. Io ero seduto sul letto, lui continuava ad avanzare molto lentamente, finchè non saliva sul letto, mi si avvicinava, mi faceva sdraiare con una mano e cominciava a baciarmi.

Lo sentivo, poi, scendere sul mio petto e scendere sempre più...

Improvvisamente mi resi conto che mi stavo eccitando solo a pensarci, e mi ricordai che era un ragazzo. Quello era un maschio come me, come potevo fantasticare così con un altro ragazzo?

Rimasi molto sorpreso per questo mio strano comportamento improvviso.

E così alla fine decisi di non dargli peso, ma più i giorni passavano, più sentivo il bisogno di rivederlo. Decisi di tornare in quel bar, ma tutte le volte che entravo convinto che finalmente l'avrei rivisto, questo "fantasma" non si presentava.

Alla fine persi la speranza, preferii pensare che era stato una specie di sogno, finchè una sera Shibuya non mi invitò ad accompagnarlo in una discoteca che avevano aperto da poco.

Quando entrammo ci fu subito chiaro che quella non era una discoteca normale, infatti mi aveva convinto ad entrare in un locale per gay.

Ma propio mentre stavo per dirgliene di tutti i colori, qualcuno mi venne a sbattere contro.

Mi voltai per vedere chi fosse... non ci potevo credere, era lo stesso ragazzo del bar, quello dagli occhi da cacciatore!

Anche lui si era voltato, i nostri occhi si erano incontrati di nuovo, io ebbi come l'impressione che ci fissassimo da ore.

Poi lui con fare distratto mi chiese scusa e scomparve di nuovo nella bolgia della pista.

Quando mi rigirai verso Shibuya, lui mi guardò sorridendo. Quando fummo riusciti a trovarci un posto a sedere mi disse che aveva fatto delle ricerche sui luoghi frequentati dal ragazzo.

Voleva anche dirmi il suo nome, ma io gli risposi che preferivo scoprirlo da solo. Aveva già fatto l'impossibile permettendomi di reincontrarlo, ora toccava a me farmi avanti.

Feci un giro del locale cercandolo in pista, poi lo notai sopra la pista rialzata. E per la terza volta io avevo i brividi su per la schiena.

Ora anche lui mi guardava e giurerei che stesse sorridendo mentre ballava e mi fissava.

Questa volta fui io a far perdere la mia presenza al ragazzo.

Intanto ero arrivato dietro alla pista rialzata, di conseguenza alle sue spalle.

Salii anch'io e mi misi a ballare.

Quando gli fui finalmente alle spalle, aspettai il momento propizio per afferargli dolcemente i polsi e "costringerlo" così a restare sul posto, e non scappare come sembrava essere solito fare.

Forse era questo che mi attraeva, o forse questa era la sua tecnica di caccia.

L'attimo che attendevo era giunto, aveva alzato le braccia ed io gli afferrai i polsi aderendo così alla sua schiena.

Mi aspettavo una reazione più violenta, come strattonarmi via le braccia e girarsi di scatto, invece non fece nulla di tutto questo.

Tutt'altro, mi sembrò addirittura che mi incoraggiasse a fare di più.

Mi chinai leggermente verso il suo orecchio destro, tenendolo sempre per i polsi, gli sussurrai che era un bel ragazzo e che avendolo visto in compagnia di una ragazza, non me lo aspettavo in un locale del genere.

Lui non rispose, ma continuò a ballare, allora decisi che sarei stato io a decidere i suoi movimenti, e così feci.

Facevo muovere le sue braccia e tutto il suo corpo secondo la mia volontà e fantasia e, da parte sua, non percepivo la minima resistenza.

Dopo poco, però, la musica aveva cominciato a stufarmi.

Era per questo che non andavo mai in discoteca, la musica era sempre uguale, sembrava studiata apposta per farti il lavaggio del cervello.

Così chinai la testa un'altra volta, gli dissi se voleva venire a sedersi con me per riposarsi un attimo, lui acconsentì.

Mentre ci facevamo strada verso i divanetti, l'osservai attentamente. Era esattamente come lo ricordavo e, nello stesso tempo, notai che aveva lo stesso portamento che avevo immaginato nei giorni addietro.

Riusciva a sgusciare tra la gente come se fosse stato ricoperto d'olio. Anche dove la gente era più affollata, lui riusciva a superarla senza difficoltà.

Stranamente notai una cosa: da quando avevamo lasciato la pista non si era mai voltato una volta ad assicurasi che lo stessi seguendo.

Ed improvvisamente il mio istinto oscuro mi mise in guardia.

Come faceva ad essere così sicuro che fossi ancora dietro di lui?

Perchè non reagiva mai come tutte le altre persone che avevo conosciuto?

Ed allora un campanello d'allarme mi suonò nella testa.

CACCIATORE!!

Ecco cosa pensai subito.

Doveva sicuramente essere uno di quegli stupidi umani che cacciano senza ragione gli esponenti della mia razza.

Insieme alla parola cacciatore si illuminò un'altra idea: TRAPPOLA!

Sicuramente mi stava portando in qualche angolo buio per farmi uscire allo scoperto e rivelare così la mia vera identità, per poi farmi fuori insieme a tutti gli altri suoi "amichetti", ma non sono così sprovveduto.

Quel ragazzo mi aveva sempre fatto uno strano effetto; così decisi che sarei stato al gioco, ed al momento opportuno lo avrei lasciato con un palmo di naso.

Per nulla al mondo gli avrei dato la possibilità di fregarmi così.

Io, così come tutte le creature dell'oscurità, sono superiore agli umani in tutto e per tutto.

Decisi, in fine, di andare verso dei divanetti che avrei scelto io. E mentre stava per svanire dietro un muro di persone lo afferrai per un braccio e lo tirai indietro.

Gli dissi che un amico mi aveva tenuto dei posti liberi e che avremmo potuto mandarlo a prenderci qualcosa da bere.

Stranamente l'improvviso cambio di idea non lo aveva stupito, si comportò come se veramente non sapesse "chi" fossi.

Così lo portai sulle poltroncine dove con Shibuya avevamo trovato un posto a sedere, ma sul tavolo erano già pronti due bicchieri, uno contenente un succo di frutta e l'altro un cocktail; ora non ricordo più se alcolico o no.

Quando il mio amico vide che ero in copagnia del famoso ragazzo di cui gli avevo parlato, e dopo aver fatto le dovute presentazioni, si alzò con la scusa di andare a vedere il locale e sparì lasciandoci soli.

Finalmente avevo scoperto chi era: Izumi Takuto, 19 anni, ma al momento non ci dicemmo altro.

Per fare ricerche su di lui avevo già abbastanza. Nella nostra stirpe la rete di informatori è molto vasta, ti basta nome e cognome di chi ti interessa per sapere vita morte e miracoli di quella persona. Come dire: siamo un'agenzia investigativa molto attiva!

Il succo di frutta decise di berlo lui.

Mentre eravamo seduti lo studiai un po' meglio, aveva un fisico molto sodo e ben proprozionato, immaginai fosse un tipo sportivo che praticava jogging o che comunque frequentasse una palestra.

Come se ci fossimo conosciuti da sempre, gli misi un braccio intorno alle spalle.

Attesi un attimo per vedere la sua reazione.

Nulla.

Pensai di provare ad essere più audace, ma seriamente ero molto timoroso, era la prima volta che ci provavo con un ragazzo.

Così provai ad accarezzargli la nuca e mi stupì incredibilmente la sua reazione: come avvertì la carezza della mia mano lo vidi chiudere gli occhi e lasciarsi andare completamente.

Ricordo perfettamente il suo viso, aveva gli occhi chiusi in un'espressione quasi beata, le sue labbra erano schiuse ma lasciavano intravvedere il biancore dei suoi denti, e più la mia mano lo accarezzava, più lui si lasciava andare.

Pensai che se era una trappola tesami da un gruppo di cacciatori, erano riusciti benissimo ad incastrarmi.

In quel momento mi scordai di tutto quello che mi stava intorno. Anzi mi scordai addirittura l'esistenza del mondo.

Ma la cosa che mi fece andare fino in fondo fu la sua mano sinistra posata sulla mia coscia destra.

Fu in quell'istante che mi successe qualcosa di strano: fu come se una parte di me, da sempre assopita, si svegliasse improvvisamente affamata di sesso.

Sentivo il calore della sua mano attraverso il tessuto dei pantaloni, avvertivo anche la leggera pressione che esercitava su di me.

Capii che era un invito a fare quello che volevo e liberamente.

Gli accarezzai una guancia, lui dischiuse appena gli occhi, giusto per fissarli nei miei. Erano brillanti e lucidi, non riuscivo più a pensare a nulla, lo baciai sulla bocca, che sapeva di frutti tropicali per via del succo appena bevuto. Trovai tutto molto eccitante.

All'inizio le sue labbra erano appena schiuse, come quelle di una ragazza alla sua prima esperienza.

Mi piaceva la piega che la situazione stava prendendo, praticamente mi lasciava carta bianca su tutti i fronti.

Dapprima lo baciai teneramente, poi cominciai a far passare la mia lingua sul suo labbro inferiore in attesa che aprisse un po' di più le labbra per lasciarmi spazio.

Alla fine, quasi di prepotenza, riuscii ad entrare ed incontrare la sua lingua, e da lì iniziammo a fare sul serio.

I nostri divanetti erano in penombra, quindi anche se ci fossimo toccati vistosamente nessuno ci avrebbe visti.

Mentre mi baciava, sentii la sua mano accarezzarmi i capelli, giocarci e lisciarli. Quando ci separammo gli chiesi come mai gli piacessero tanto, mi rispose che li trovava splendidi, erano morbidi e lucenti allo stesso tempo, senza però essere sfibrati, qualità che difficilmente riusciva a notare su altri.

Ma mentre mi parlava, notai che si era completamente voltato verso di me. Ora aveva la gamba sinistra piegata, ed il ginocchio poggiava sul divanetto fra noi due, il suo braccio sinistro era sullo schienale del divanetto, mentre con la mano destra mi accarezzò di nuovo i capelli, poi si fermò ad accarezzarmi il lobo dell'orecchio sinistro, per poi scendere seguendo la linea della mascella; giù sul mento per sfiorarmi le labbra col pollice.

Rimasi perplesso, e per una frazione di secondo mi passò per la testa che forse quel ragazzo non sapeva affatto che cosa ero, che non voleva altro che un'avventura notturna con me e che non apparteneva per niente ad un gruppo di cacciatori...

Ma quando le sue labbra di nuovo si unirono alle mie, le nostre lingue nuovamente s'incontrarono e la sua mano scese sulla mia spalla, io persi ancora il controllo.

Lo afferrai per la vita e, girandomi, me lo misi a cavalcioni sulle gambe. Infilai le mani nello scollo aperto della camicia e gli passai più volte la mano dal torace alla schiena e viceversa, toccando qualche volta e volontariamente un capezzolo.

Lo sentivo sussultare, mentre avvertivo la mia erezione premere contro la stoffa dei pantaloni e contro la sua.

La sentivo chiaramente, e piano feci scivolare le mie mani proprio sopra il suo pacco.

Quando lo sfiorai dolcemente con la punta delle dita, lo sentii prendermi per le spalle e lo vidi inarcarsi all'indietro.

Non credevo che un ragazzo avrebbe potuto essere così sensibile.

Con le donne a questo tipo di reazioni ero abituato, con un ragazzo proprio no.

Lasciai che le mie dita danzassero su di lui ancora un attimo, poi decisi di sfilargli la camiciuola dai pantaloni. Le mie mani erano nuovamente sulla sua schiena, ma se con una lo guidavo a venirmi più vicino per baciarlo, l'altra scendeva sempre più lungo la sua spina dorsale, giù giù fino all'orlo dei pantaloni e delle mutande, e più oltre fin dove inizia la divisione delle natiche.

Dalla posizione in cui ci trovavamo, sentivo che piccoli brividi scuotevano il suo corpo, allora presi coraggio e feci scendere la mano ancora di più, più giù fino a che non trovai il suo orifizio.

Quando cominciai a stimolarlo leggermente, ruppe il bacio per inarcarsi ancora e poi ricadere lentamente sulla mia spalla destra.

Fu in quell'attimo che accadde qualcosa di anomalo in Izumi.

Lo sentii respirare affannosamente, ma credetti che fosse pe l'eccitazione sessuale, in fondo eravamo vicini all'atto vero e proprio.

Sentivo che il suo affanno cresceva, quasi stesse combattendo con se stesso per qualche strano motivo; poi avvertii il movimento della sua mascella, l'aprirsi di più della bocca, credendo volesse baciarmi sul collo gli misi la mano sulla nuca e lo guidai.

Però qualcosa non andò nel verso giusto.

Con uno scatto repentino si rizzò a sedere sulle mie ginocchia, lo vidi fissarmi in volto con un'aria tra lo spaventato e l'estrerrefatto.

Allora lo afferrai per i gomiti e cercai di calmarlo, di dirgli che era tutto a posto, ma, con una forza di cui non lo facevo capace, riuscì a divincolarsi da me, ad alzarsi in piedi e fuggire in mezzo alla folla che c'era attorno a noi.

Ero sicuro volesse che mi comportassi in quel modo, ma...

Poi mi ricordai di aver sospettato fosse un cacciatore, ricordai di aver pensato che fosse tutta una messa in scena per farmi uscire allo scoperto e potermi così attaccare.

Mi venne un improvviso atroce dubbio: poteva essere corso dai suoi compagni, nascosti in qualche angolo del locale, oppure fuori dalla discoteca, e progettare come farmi fuori una volte per tutte.

Non aspettai il ritorno di Shibuya, mi alzai dal divanetto ed iniziai a perlustrare tutta l'area della discoteca.

Passai con gli occhi in rassegna tutti i presenti sperando di scorgere qualche particolare che mi rivelasse la sua persona.

Girai per tutto il locale per un'oretta circa, poi andai a sbattere contro qualcuno, girandomi, più pallido che mai, incontrai il viso di Katsumi.

Si era preoccupato a vedermi così sconvolto, e alla fine decidemmo di tornarcene a casa.

In macchina non parlammo per un bel pezzo di strada.

Shibuya aveva insistito perchè guidasse lui, lo lasciai fare, mi ero reso conto anch'io di essere troppo sconvolto per mettermi alla guida.

Lunghi momenti di silenzio ci accompagnarono durante il viaggio di ritorno.

Io guardavo fuori dal finestrino, ma non vedevo nulla. Anzi, qualcosa lo vedevo, no lo immagnavo.

Vedevo di nuovo quel misterioso ragazzo alzarsi così di scatto e sparire tra la folla, mi vedevo corrergli dietro per tutto il locale, inseguirlo fino al parcheggio, poi improvvisamente mi vedevo accerchiato da molti uomini armati di paletti e di balestre, che mi ferivano, mi percuotevano, mi riducevano ad un povero essere agonizzante sul selciato, ma peggio di tutto vedevo il meraviglioso volto affilato di Izumi che rideva senza pietà, mentre imbracciava una balestra, incoccava una freccia e mi sparava al cuore.

Al solo pensiero mi si accapponava la pelle. Chiusi gli occhi e scossi la testa, fu allora che Katsumi sciolse il silenzio.

"Kouji, non voglio infilare il naso nei tuoi affari personali, ma cosa è successo con quell'Izumi?"

Non sapevo cosa dire, per la prima volta in tutta la mia vita ero rimasto senza parole.

E' vero che Shibuya era al corrente del mio essere "una creatura differente", ma non potevo certo dirgli che stavo per farmela con un cacciatore.

Prima di tutto mi avrebbe fatto una lavata di capo, che avrei voluto volentieri evitare, e poi non mi avrebbe più permesso di rivederlo.

Non che dipendessi da lui come un figlio con la madre, per carità, ma sicuramente avrebbe fatto il diavolo a quattro per essere sempre al mio fianco ogni volta che sarei uscito la sera.

Era già successo altre volte, che ritenesse fosse indispensabile la sua presenza per evitare che mi potessero far del "male". (E chi si crede di essere, Dio? NdA.)

Così gli risposi: "No! Non è successo niente. Probabilmente abbiamo capito appena in tempo di non essere due finocchi."

"Uhn... Dalla faccia che hai fatto quando ci siamo scontrati non ci giurerei molto. Però voglio fidarmi di quello che dici. In fondo lo so che non sei uno sprovveduto, anche se qualche volta potresti evitare di infilarti in qualche scandalo inutile."

Così per qualche tempo decisi di dimenticarmi di Izumi Takuto.

Dopo l'episodio della discoteca, decisi di annullare tutti gli impegni che avevo per i tre giorni seguenti. Quella notte arrivato a casa mi ero chiuso a chiave la porta dietro le spalle e avevo tirato un profondo sospiro; ma ancora oggi non ho capito se di sollievo o cos'altro.

Mi sentivo come in un'altra dimensione.

Nella casa regnava il silenzio più assoluto.

Arrivato nel soggiorno mi voltai verso una lampada e la accesi.

La luce tenue che emanava mi aveva aiutato a tornare alla realtà. Avevo acceso anche la radio, la musica soffusa che si spandeva per la casa mi stava lentamente calmando.

DOUSHITE (1) ?! Perchè quel ragazzo così misterioso era riuscito a catapultarmi in un'angoscia simile! E soprattutto COME aveva fatto?

Non mi accorsi che mentre pensavo mi ero diretto inconsciamente verso il bagno.

*Un buon bagno caldo è proprio quello che mi ci vuole!* pensai.

Mi sono spogliato lasciando cadere a terra gli abiti, come se fossero stati degli stracci. (E bravo scemo! La roba che hai tu, sai quanti se la sognano? NdA!)

Quando mi immersi nella vasca, provai a non pensare a nulla.

Mi riuscì per qualche attimo.

Poi rivedevo Shibuya seduto al posto di guida che si offriva di passare la notte a casa con me.

Ma era così evidente che il comportamento di Izumi mi aveva turbato?

Non so più per quanto tempo rimasi immerso nell'acqua, avevo anche pensato di essermici addormentato!

Alla fine, quando decisi che ne avevo abbastanza, mi alzai in piedi nella vasca e una volta fuori da essa, senza asciugarmi mi diressi verso la camera da letto.

Quella notte dormii nudo; veramente non dormii quasi.

Per quel poco che dormivo la maggior parte dei sogni erano incubi. Ed infine, quando suonò la sveglia, per una volta in vita mia ringraziai l'arrivo del sole.

Quando decisi finalmente di alzarmi, mi tirai dietro il lenzuolo e lo avvolsi in vita.

Mi diressi verso la cucina, forse un caffè molto forte mi avrebbe aiutato a svegliarmi del tutto. Ma, quando arrivai in cucina un forte aroma di caffè mi invase le narici subito.

*Non ricordavo di aver fatto il caffè ieri notte! Che sia dventato sonnambulo?* pensai.

E attraversata la soglia della cucina, un sorriso a 54 denti (ma allora è veramente un mostro!?! NdA.), ed un "Ohayoo (2) !" urlato a squarcia gola mi accolsero.

La giornata fuori sembrava splendida ed il sole inondava completamente la finestra di luce, impedendomi di vedere chi fosse il pazzo che provava a darmi il buon giorno in quel modo.

Gli grugnì come risposta qualcosa che doveva assomigliare ad un "certo, certo".

Nel momento in cui sedetti al tavolo, mi ritrovai sotto il naso una tazza di caffè bollente.

"Forza bevi. Te l'ho fatto bello forte, mi sa che ti ci vuole."

"Grazie Shibuya. Come mai sei già qui a quest'ora?"

"Beh, prima di tutto volevo sapere come stavi. Ero sicuro che non saresti riuscito a chiudere occhio. Poi, volevo sapere qualcosa di più su ieri sera."

Lo sapevo che finiva così. Ogni volta che si prospetta qualche scandalo all'orizzonte, il caro Katsumi mi prende sotto la sua ala protettiva e non mi lascia un secondo.

Beh, stavolta mi spiace, ma dovrò racontargli qualche balla.

"Te l'ho detto, Shibuya. Probabilmente entrambi non eravamo convinti di quello che stavamo per fare." "Mi spiace, Kouji, ma questa volta voglio la verità. Come posso salvarti le chiappe se mi racconti frottole. Dì un po', non l'avrai mica morso, vero?"

Mi si era gelato il sangue nelle vene con quell'ultima affermazione, e visto che già mi ero alzato col piede sbagliato, non provai nemmeno a trattenere la mia reazione.

"Ma per chi diavolo mi hai preso? Per un deficiente che si diverte ad azzannare il primo venuto? Ma dico, allora proprio non mi conosci!!" gli urlai contro. E senza aspettare una risposta mi alzai da tavola e sparii nella mia stanza.

Ne uscii dopo circa dieci minuti vestito con pantaloni e giacca da moto e col casco in mano.

Non guardai neanche Shibuya negli occhi; mentre stavo per uscire gli dissi solamente:"Katsumi, annulla tutti gli impegni per tre giorni da oggi."

"Mate, Kouji (3) ! Posso sapere dove vai?"

"Per il momento a farmi un giro, e poi comunque tornerò a casa. Eventualmente lascia un messaggio in segreteria."

Stavo scendendo le scale per andare a prendere la moto, quando mi venne in mente di poter andare a disturbare un personaggio ai vertici del mio clan.

Avevo parecchie amicizie ai piani alti, e nonostante tutto fra noi c'era un'atmosfera molto amichevole, mi trattavano sempre come un pezzo grosso, forse per l'appartenenza alla Nanjouke (4) , chi lo sa?

Ero già in strada quando decisi di andare da Saorisan (5).

Saorisan abitava fuori Tokyo, in una villetta immersa nel verde di un bellissimo boschetto.

Era quello che mi ci voleva per calmarmi un po'.

Diversamente dalle altre donne che c'erano nel mio clan, Saori Asaka non aveva mai mostrato l'intenzione di portarmi a letto.

E questo ai miei occhi la rendeva speciale, e presto era divenata la mia confidente in momenti come questo.

Non mi ero fermato ad una cabina, per strada, per avvisarla del mio arrivo, avevo preferito farle un'improvvisata.

Quando arrivai alla villetta e mi tolsi il casco, respirai immediatamente a pieni polmoni l'aria pulita; mi fece un effetto calmante straordinario.

Salii i pochi gradini che permettevano l'accesso alla porta principale. Suonai il campanello un paio di volte, ma non rispose nessuno.

Provai allora a fare il giro della casa, magari Saorisan era sul retro a curare i suoi meravigliosi fiori e non mi poteva sentire.

Purtroppo mi ero sbagliato. La donna non era neanche in giardino.

Tornai all'ingresso e mi sedetti sulla veranda ad aspettare.

Guardai per un poco il sole che appariva timido tra le fronde degli alberi.

Finalmente era tornata la primavera.

LA PRIMAVERA!!

Mi ero completamente dimenticato che in primavera spesso Asaka sparisce per qualche giorno.

*Nanjou Kouji sei proprio uno stupido!* pensai.

Decisi allora di tornarmene indietro; mi stavo alzando per mettermi il casco e partire, quando una soave voce mi chiese: "Te ne vai già, Koujikun (6) ?"

"Saorisan! Credevo fossi partita per qualche giorno. Mi sono ricordato un po' tardi che ormai siamo in primavera, e che spesso parti per le tue escursioni in montagna."

"In effetti sei stato fortunato, Koujikun. Sarei partita fra due giorni."

Poi mi fece entrare nella sua casa, che già altre volte mi aveva visto ospite.

Mi aveva fatto accomodare nel soggiorno, ampiamente illuminato dalle immense finistre, e porgendomi del tè aromatizzato al gelsomino, mi chiese: "A cosa devo questa tua visita improvvisa, giovane Nanjou."

"Ti chiedo scusa, Saorisan, se non ti ho avvertito prima, ma nelle ultime settimane mi è accaduto di tutto."

Così le ho spiegato della prima volta che vidi Izumi al bar, del suo strano comportamento, e poi dell'episodio della discoteca. "Vedi Saorisan, questo ragazzo si è sempre comportato in modo da farmi pensare che non sospettasse della mia natura, e quindi non facesse assolutamente parte di un gruppo di cacciatori, ma nello stesso tempo, questo suo atteggiamento mi fa credere il contrario. Anzi, veramente non so più cosa credere."

"Giovane Kouji, mi hai detto che mentre eravate in discoteca lui si è appoggiato sulla tua spalla, e sembrava stesse lottando con se stesso per qualche arcano motivo. Giusto?"

"Sì."

"Non ti sembra strano che un ragazzo cacciatore si comporti così? Se avesse voluto, come tu dici, incastrarti, non avrebbe cercato in tutti i modi di farsi mordere sul collo in modo da smascherarti? Che cosa ti dà tutta questa certezza che sia un cacciatore? Ti sei forse scordato, Koujikun, che non esistiamo solo noi vampiri, ma anche la stirpe Ferina?

Hai considerato l'eventualità che questo ragazzo appartenga alla stirpe Ferina, ma lui non ne sia ancora consapevole?

Può darsi che i suoi genitori glielo abbiano taciuto, o addirittura la sua personalità sia talmente forte da impedire alla bestia di uscire allo scoperto."

Stavo per portare la tazza del tè ancora una volta alla bocca, quando alle sue parole mi bloccai esterrefatto.

Non era possibile! Quel ragazzo non mostrava nessun segno riconoscibile della sua razza, ma poteva essere vero che lui non ne fosse al corrente.

Questo giustificava il suo comportamento così strano, forse in quella discoteca avvertiva il mio odore su tutti gli altri, ecco perchè non si girava mai a vedere che fossi dietro di lui.

Ma qualcosa continuava a non tornare, il mio istinito mi metteva ancora in agitazione quando ripensavo a Izumi.

Passai un pomeriggio molto rilassante in compagnia di Saorisan. Parlammo di tutto e di niente, e finalmente, per un pomeriggio intero, riuscii a non pensare a quel misterioso ragazzo.

"Bene, giovane Nanjou, è venuto per me il momento di salutarti. Devo preparami per il mio 'viaggio' in montagna."

"Ti ringrazio infinitamente, Saorisan. Grazie per il pomeriggio splendido che mi hai donato e, soprattutto, per i tuoi saggi consigli, ne farò tesoro."

"Ne sono certa, Koujikun. Lo hai sempre fatto, e sono sicura che questa storia finirà meglio di quanto tu possa immaginare."

La ringraziai ancora e, posandole un leggero bacio sulla guancia, mi rimisi il casco e risalendo in moto mi diressi verso la città.

La chiacchierata con Asakasan mi aveva rimesso finalmente di buon umore, così decisi di passare la notte in giro per locali.

Fu in uno dei bar che frequentavo più spesso, ed anche uno dei più illustri, che incontrai una mia vecchia conoscenza: Mieko Minamimoto. Un'attrice molto bella e famosa, avevamo lavorato spesso insieme in un paio di film, nella realizzazione di qualche mio video e per qualche tempo unica compagnia di letto.

Era stata lei a vedermi al bancone. Mi si avvicinò silenziosa, poi sussurrandomi all'orecchio, mi salutò: "Sono sicura che non mi negherai una meravigliosa notte in ricordo dei tempi passati."

La riconobbi subito; mi voltai lentamente sullo sgabello e, quando incontrai i suoi occhi, le sorrisi.

"Sei stupenda come sempre, Miekosan. Per te il tempo non esiste."

"Sei galante come sempre, Kouji."

"Vieni, siedi qui accanto a me. Posso offrirti il solito cocktail, o hai cambiato gusti negli ultimi mesi?"

"No, grazie. Questa sera mi accontenterò di un Manhattan."

Cercai l'attenzione del barista, poi ordinai: "Hisashi, due Manhattan, per favore."

Passai piacevolmente la serata in compagnia di Minamimoto e, quando poi decise di tornare a casa, io mi proposi per accompagnarla.

Ero già stato in altri bar prima di quello, durante la serata, e quando uscimmo insieme dal locale, mi sentivo così carico da poter andare avanti per tutta la notte.

Ed è quello che feci con Miekosan.

Il giorno dopo tornai a casa che era già mezzogiorno. Ero stremato dalla notte che avevo passato, così decisi che quel pomeriggio l'avrei passato interamente a letto.

Quando rientrai, trovai un messaggio di Shibuya nella segreteria.

"Appena torni, fatti sentire."

*Caspita! Sei stato rapido e conciso, non è da te Katsumi.* pensai.

Poi ricordai come l'avevo trattato la mattina del giorno prima.

*Devo scusarmi con lui. Dopo tutto è l'unico che ancora riesce a sopportarmi.*

Mi diressi verso la camera da letto e mi spogliai di tutto, infine mi buttai sul letto.

Mi avvicinai faticosamente al telefono, con l'intento di chiamare Shibuya, ma come posai la testa sul guanciale, i miei occhi si chiusero da soli, lasciandomi sprofondare nel sonno più completo.

Mi svegliai qualche ora dopo, totalmente ristorato.

Mentre cercavo l'interruttore della lampada sul comodino, mi accorsi della provenienza di alcune voci dal soggiorno.

Mi alzai tendendo tutti i miei sensi, incentivati dal potere vampiresco, per muovermi nel più totale silenzio.

Chiunque avesse osato entrare nella mia casa, doveva pagare amaramente il suo gesto sfrontato.

Aprii la porta lentamente, il mio passo era così silenzioso che sembrava quasi non toccassi nemmeno il pavimento.

Arrivai alle spalle del malcapitato, e vidi che stava facendo zapping tra un canale e l'altro del televisore.

Non ebbi neanche il tempo di inspirare e preparami a qualche mossa, che una voce mi bloccò.

"Alla buonora, Kouji! Credevo che non ti saresti alzato più!"

"Shibuya, ti pregherei di smetterla di entrare in questo modo in casa mia. Potresti rischiare grosso, e lo sai!"

"Hai ragione, d'ora in poi cercherò di tenerlo bene a mente!" e la sua risposta fu seguita dalla sua solita risata gioviale.

Non sembrava affatto la persona che aveva lasciato quel messaggio rapido e conciso in segreteria il giorno prima.

Mi rilassai, e lo raggiunsi sul divano di fronte alla tv. Parlammo allegramente di quello che ci scorreva davanti agli occhi, e mi accorsi improvvisamente che evitava di parlarmi dei fatti accaduti nei giorni passati.

"Shibuya..."

"Uhn..."

"Volevo chiederti scusa per come mi sono comportato ieri mattina. Avevo dormito male e poi..."

Non mi lasciò neanche il tempo per terminare la frase, che alzò una mano a zittirmi, e disse: "Non fa niente. Ormai non ci faccio più caso, non so cosa sia successo fra di voi, ma deve averti davvero sconvolto per averti fatto passare un'intera notte in bianco."

Mi sorrise nuovamente, poi riprese: "Comunque, spero non sia niente di grave."

Lo rassicurai dicendogli che avevo risolto il problema e non volevo più pensarci.

"Ah, Shibuya, vorrei sapere qual'è il programma per i prossimi girni."

"Ah! Ah!"

"Che diavolo hai da ridere, adesso?"

"Se ben ti ricordi, ieri eri così nero, che mi hai fatto disdire gli impegni che avevamo per tre giorni. Quindi teoricamente, domani dovresti essere ancora in libera uscita."

"Teoricamente, hai detto? Conosco cosa vuol dire per te Teoricamente. Avanti, Katsumi, quali sono i programmi per domani." continuai ad insistere, probabilmente aveva capito in qualche modo che mi ero scaricato, e che quindi potevo tornare al lavoro.

Ormai per Katsumi ero diventato un libro aperto, erano anni che lavoravamo insieme, dal mio primo vero e proprio debutto nel mondo della musica.

"Benissimo, mio volenteroso amico. Ora ti illumino su cosa faremo. Prima di tutto c'è da recuperare questi due giorni che abbiamo perso. Yoshiya e gli altri ragazzi hanno provato comunque gli accordi dei brani del nuovo album, ma lo sai che senza la voce del cantante si può fare poco. E poi, penso che ti farà bene distrarti."

"Sì, hai ragione, lo penso anch'io. Non ci devo più pensare, ora ho un nuovo album a cui lavorare.", e poi in quel momento ero fermamente deciso a dimenticarmi di LUI.

Il giorno dopo mi ripresentai in sala prove come mio solito, ed i ragazzi del gruppo mi accolsero come fosse stato un giorno qualsiasi.

*Shibuya deve avergli raccontato qualche palla, come succede quando mi metto in qualche casino e sparisco per un po'.* pensai, e da parte sua fu una mossa azzeccatissima. Meno si veniva a sapere di questa storia, meglio era.

Per tutta la giornata provammo le nuove canzoni, i diversi arrangiamenti, e con Takasakasan e Shibuya decidemmo come e quando sarebbe avvenuta l'uscita dell'album.

Tutto questo andò avanti per un mese intero; ma tutti i giorni c'era qualcosa di nuovo: una mattina c'era una colazione di lavoro con uno stlista che richiedeva la mia presenza per aprire e chiudere una sua sfilata, le solite interviste per i giornaletti delle fans nei momenti più disparati, mi capitò anche di partecipare ad un servizio fotografico. Alla fine rendemmo ufficiali anche le date dei concerti che avrei tenuto in quel periodo per promuovere il disco.

"Uff! Stasera sono proprio sfinito." così dicendo mi lasciai cadere pesantemente sul divano.

"Stasera, Kouji, a letto presto. Domani ti aspetta una giornata peggiore! Finalmente, dopo due mesi di sfrenata pubblicità, esce la tua ultima fatica: 'Kalekka'!" proruppe in un crescendo di voce Shibuya.

"Già. E giusto per l'occasione Takasakasan ha avuto la bella idea di farmi essere presente in uno dei più famosi negozi di dischi della città, per autografare le copie che saranno vendute. Sarà una giornata da strapparsi i capelli." aggiunsi.

Già me le vedevo: orde di ragazzine tutte in brodo di giuggiole per l'uscita del disco e per la possibilità di farselo sutografare direttamente al momento dell'acquisto. Per loro sarebbe stata una giornata da ricordare, per me un giorno come un altro.

Il momento tanto atteso dalle ragazze di tutto il paese arrivò, e come avevo previsto una marea di ragazzine urlanti si era riversata nel negozio di dischi, dov'ero presente, per un autografo.

Ero ormai giunto al trentesimo cd che firmavo, quando ad un tratto, involontariamente, alzai gli occhi sopra le teste delle ragazze... avrei preferito non farlo.

In fondo al negozio di dischi, vicino alla porta d'entrata, per un attimo, credeti di averlo visto.

Izumi Takuto, nuovamente come un fantasma, si ripresentava nella mia vita.

Capii di essermi imbambolato a cercarlo tra i dischi con lo sguardo, quando la mano di Katsumi cominciò a strattonarmi un braccio.

"Kouji! Kouji! Sveglia! Ma che diavolo ti prende adesso?"

"Eh? No. Niente, niente. Vediamo... Chi è la prossima bella ragazza che vuole il mio autografo?", e subito un coro di voci acute gridarono all'unisono: "Io!".

Continuai a firmare cd fino alla chiusura del negozio, poi finalmente torammo a casa.

Sulla strada di ritorno passammo accanto ad un campo di calcio in cui alcune squadre della J League fanno allenamento nei mesi estivi.

Erano le 20.30, e il sole non era ancora tramontato.

Guardai distrattamente verso il campo di calcio e vidi che un ragazzo si stava ancora allenando con dei tiri in porta.

Al momento non gli diedi peso, ma quel campo da calcio sarebbe diventato presto uno dei luoghi che avrei visitato più spesso.

Una settimana dopo l'uscita del cd iniziò la tournée per tutto il Giappone.

Viaggiammo da una città all'altra di tutto il Paese.

I giorni continuarono a trascorrere tutti uguali, ogni giorno dovevamo montare e smontare il palco e tutte le attrezzature tecniche, mentre i componenti del gruppo ed io provavamo le canzoni su un camper a parte.

Alla fine la tournée si concluse con l'ultimo concerto al Tokyo Dome, due mesi più tardi.

Quando, due giorni dopo, con la band e Shibuya, ci rivedemmo in sala prove, Katsumi ci disse che finalmente ci potevamo prendere un periodo di ferie.

Pensai che le prime serate me le potevo passare in giro per locali a bere per festeggiare il successo del mio nuovo album.

Poi una sera che ero a casa da solo, mi venne a trovare "un amico".

Era Kenji Sonoda, un "fratello" di stirpe, quindi vampiro anche lui.

Parlammo di molte cose, del più e del meno, sorseggiando birre, fino a che non mi parlò della discoteca dove avevo avuto un contatto molto ravvicinato con Takuto.

Ed improvvisamente mi tornò alla mente il suo viso, e la visione che avevo avuto mentre lasciavamo il locale.

Sonoda aveva notato un repentino cambiamento dei tratti del mio viso e della luce nei miei occhi.

Dato che siamo creature che si devono muovere nell'ombra e premunirsi in tutti i sensi, abbiamo una rete di informatori fittissima. Praticamente sappiamo i volti ed i nomi della maggior parte dei cacciatori in circolazione.

Il povero Kenji credeva di avermi fatto salire la pressione alle stelle dalla rabbia perchè mi parlava di un locale di finocchi, ed invece no.

Lo rassicurai che era tutto a posto, anzi che avevo bisogno di tutto il suo aiuto.

Entrambi abbiamo conoscenze al vertice del nostro clan, forse io qualcuna più di lui, per questo mi assecondava ogni volta che poteva, nell'eventualità parlassi bene di lui a qualcuno ai piani alti.

Gli dissi che una sera ero stato abbordato da uno strano ragazzo di nome Izumi Takuto, di 19 anni, ma che purtroppo non ero riuscito a farmi dire altro. Gli avevo anche raccontato di come mi avesse convinto poco il suo comportamento, e se per lui era facile procurami delle informazioni maggiori, soprattutto riferirmi la sua eventuale appartenenza ad un gruppo di "fanatici umani".

Sonoda era sempre ben felice di potermi aiutare e, visto che una sera mi aveva raccontato di aver sempre desiderato diventare un investigatore privato, ogni volta che avevo bisogno di scoprire qualcosa su qualcuno mi appoggiavo sempre a lui.

Raggiante in viso mi salutò promettendomi che entro un mese avrei saputo vita, morte e miracoli del ragazzo.

Così ricominciarono a trascorrere i giorni, mentre io aspettavo che Kenji si facesse vivo.

Una mattina all'alba squillò il telefono.

Tirai su la cornetta e risposi con una voce, che dava l'idea che al telefono ci fosse un uomo preistorico: "Shibuya, cazzo, quante volte ti ho detto di non chiamarmi così presto!..."

Ma dall'altra parte del filo rispose una voce differente: "Yo! Koujikun! Veramente credevo che fossi ancora a 'passeggio', era una notte di luna fantastica!"

"Kenji! Cristo, ma che giorno è?"

"Beh, a dire la verità ci ho messo solamente due settimane a scoprire tutto sul tuo 'amichetto' Takuto."

Caspita, mi meravigliai sul serio, sapevo che Sonoda era in gamba, ma non ci aveva mai messo così poco tempo a procurarmi un intero fascicolo su qualcuno che mi interessava.

"Beh, e allora?" gli avevo chiesto con impazienza.

"Forse è meglio se mi fai salire a bere una birretta, cosa ne dici?"

"Va bene."

Nel giro di pochi minuti, mi ritrovavo in soggiorno con addosso una vestaglia, seduto di fronte a Kenji, che si beveva una birra gelata.

"Allora ti decidi a dirmi tutto quello che hai scoperto?" gli dissi alla fine.

"Calmati, non crederai a quello che ho da dirti."

E in effetti sulle prime non gli credetti.

Non era possibile che un ragazzo come lui potesse essere solamente un calciatore di una squadra di J League.

Praticamente era un qualsiasi ragazzo mortale, ottimo pasto per uno qualunque di noi con tendenze omosex.

Mi fornì l'indirizzo, tutti i dati anagrafici e mi raccontò qualcosa del suo passato.

I suoi genitori erano morti in circostanze alquanto singolari.

Secondo la polizia sua madre aveva ucciso il padre e poi suicidatasi, ma secondo alcune voci del nostro coro, il fatto era alquanto insolito.

Infatti, fra i capi del clan si vocifera che parechi anni prima, un gruppo di cacciatori avesse individuato una coppia di "bestie" proprio a Tokyo, e che si erano adoperati per eliminarli senza troppi scrupoli. Fortunatamente, però, i "cuccioli" della coppia quella stessa sera erano stati portati dai nonni materni.

A quanto pare il giorno dopo i genitori sarebbero dovuti partire per un breve viaggio.

Purtroppo i cacciatori non erano riusciti a scoprire dove vivenano gli anziani, quindi i cuccioli poterono crescere in tranquillità.

Poi, mentre Kenji mi illustrava tutta la storia, mi tornarono alla mente le parole di Saorisan: "Ti sei scordato, Koujikun, che non esistiamo solo noi vampiri, ma anche la stirpe Ferina? Hai considerato l'eventualità che questo ragazzo appartenga alla stirpe Ferina, ma lui non ne sia ancora consapevole? Può darsi che i suoi genitori glielo abbiano taciuto, o addirittura la sua personalità sia talmente forte da impedire alla bestia di uscire allo scoperto."

Possibile che quel ragazzo, proprio lui, fosse una bestia senza saperlo?

Eppure, più andavo avanti in quella storia, e più mi convincevo che qualcosa non quadrava.

Spesso i nostri capi ci raccontavano di ragazzi che erano vampiri o bestie, ma che nessuno si era mai preoccupato di dirglielo.

Dicevano che la maggior parte delle volte, quando in questi ragazzi si manifestavano magari il bisogno di sangue per i vampiri, o il bisogno di carne per le bestie, era come se cadessero in trance.

Assecondavano i loro bisogni senza, però, rendersene conto.

Quindi, provai a ripensare a quando, in discoteca, Izumi si era appoggiato alla mia spalla. Ero sicuro che fosse del tutto coscente, i suoi occhi non erano velati, tutt'altro, erano vividi e pulsanti di vita.

Ma, allora perchè, perchè era fuggito in quella maniera così strana?

Si era alzato ed era scappato come se lo avessi messo in pericolo di morte, come se lo avessi minacciato di ucciderlo o comunque fargli del male.

"Oi! Kouji?! Hai capito? Mi stai a sentire?" mi strattonò il giovane Sonoda.

"Certo, certo. Stai calmo. Anzi ti ringrazio pr tutta la fatica che hai fatto nell'intento di procurarmi queste informazioni."

"Aspetta." mi disse prendendomi per un braccio, mentre mi alzavo dal divano. "Ho ancora una cosa da dirti, oggi la sua squadra si allena nel campo che c'è sulla strada per venire qui."

Sgranai gli occhi, adesso perchè questa uscita?

Poi, sembrò mi leggesse nel pensiero, aggiunse: "Se mi fai pedinare un ragazzo con un passato di questo tipo, sono sicuro che appena sarò uscito da quella porta, ti preparerai per andarlo a cercare.

Beh, considera quest'ultima informazione un regalo. Ora me ne vado, così potrai andare a vederti questo fantomatico 'pericolo'. Però, devo ammettere che una cosa mi stupisce: ma tu, non andavi a donne?"

Ridendo fragorosamente e finendo la birra, Kenji Sonoda uscì dalla mia casa.

Mi girai verso l'orologio, le 7:30, Shibuya si stava già alzando, decisi di chiamarlo. Al telefono, gli dissi che per quella mattinata avevo già preso un altro impegno, e, ancora prima che potessi aggiungere altro, mi disse con voce ferma: "Takuto Izumi!"

Risi e lo salutai rassicurandolo che sarei stato in sala prove nel pomeriggio.

Ormai intravvedevo già il campo da calcio.

Mi stupii. *Ma come? Si allenano già alle 8:30 del mattino?* pensai.

Quando arrivai nei pressi del campo mi fermai, mi guardai intorno per cercarmi un posto poco in vista, dove parcheggiare la moto. Una volta trovato, lo raggiunsi a motore spento, volevo essere sicuro di non essere visto.

Riuscii a trovarmi un posto vicino ad un albero. Così, quando scesi dal mio veicolo, mi sedetti nella sua fresca ombra.

Cercai Takuto con lo sguardo, analizzando minuziosamente ogni giocatore in campo.

Poi, fu come una fucilata. Lui era lì, che correva in mezo al campo col pallone che sembrava stregato. Sembrava essersi invaghito di lui, nessuno dei suoi compagni di squadra riusciva a rubarglielo.

Ero completamente rapito dal suo modo di giocare.

Era splendido, il sudore sulla sua pelle riluceva nel bagliore del sole mattutino, anzi sembrava quasi brillasse di una luce propria. Il suo corpo snello era agilissimo; così come in discoteca, anche sul campo da gioco riusciva a dribblare tutti coloro che gli si facevano contro.

Ma cosa mi attirò più di tutto, furono i suoi occhi. Erano letteralmente roventi, credevo volesse polverizzare il pallone e i suoi avversari.

Aveva grandi occhi scuri, ma lucenti, dove potevo annegare ogni volta, come già mi era successo in discoteca.

Per tutto il tempo degli allenamenti, ciò che lo animava era lo spirito di competizione ed il fuoco più puro.

Si allenarono per altre due ore e mezza, poi sudati fradici si diressero verso gli spogliatoi.

Istintivamente, mi diressi in quella direzione anch'io.

Man mano che mi avvicinavo agli spogliatoi, sentivo un gran vociare di tutti i giocatori, avvertivo chiaramente lo scroscio dell'acqua delle docce, il rumore delle zip dei loro borsoni che vengono aperte e chiuse, il suono stesso dei borsoni che vengono buttati sul pavimento.

Mi fermai ad attendere che finissero di farsi la doccia ed uscissero a qualche metro dalla porta. Speravo che il mio uomo fosse uno degli ultimi, così da poterlo prendere per un braccio e strattonarlo via dai compagni.

Non avevo ancora pensato a cosa avrei fatto quando me lo sarei trovato di fronte.

Improvvisamente il rumore della porta degli spogliatoi che si apriva, mi informò che i ragazzi della squadra stavano per lasciare il palazzetto.

Mi schiacciai ancora di più contro il muro, in modo che loro non mi potessero vedere, mentre io li esaminavo uno ad uno.

Poi la fila dei giocatori terminò, ma Takuto non era fra loro.

*Eppure sono sicuro di averlo visto in campo. Quel suo sguardo e quell'agilità nei movimenti, non poteva che essere lui!* pensai.

Mi prese lo sconcerto, non era possibile che mi fosse passato sotto il naso mentre gli altri stavano uscendo.

Mi diressi con passo deciso verso le docce.

*Forse è ancora dentro. Forse non ha ancora finito di cambiarsi. Forse riuscirò a parlargli!* pensai.

Mi sentivo il cuore pomparmi nelle orecchie, forte, sempre più forte, e credevo che mi sarebbe scoppiato, quando, il più silenziosamente possibile, aprii la porta delle docce e lo trovai lì.

Era seduto su una delle panche dando la schiena alla porta, senza rendermene conto, mollai la maniglia, e la porta si chiuse automaticamente e rumorosamente alle nostre spalle.

Lo sbattere della porta lo fece sussultare e voltare di scatto, mentre io, grazie alle mie doti vampiresche, riuscii a spostarmi appena in tempo per non farmi vedere.

"Kimurasan, sei tu?" chiamò.

Il silenzio più totale regnava nello spogliatoio.

"Dare da (7) ?" chiamò ancora.

Io mi portai alle sue spalle e, cercando tutta la fermezza di cui disponevo in quel momento, parlai.

"Ohayoo Izumi."

Si voltò di scatto, come se alle sue spalle avesse avuto un mostro.

"Tu! Come diavolo hai fatto a trovarmi? Perchè sei qui? Cosa vuoi da me?"

"Calmati. Non posso rispondere a tutte queste domande in una sola volta."

E mentre gli parlavo, mi avvicinavo sempre più a lui, che, pallido come un morto, indietreggiava.

"Perchè stai indietreggiando, Izumi? Mica ti mangio. Voglio solo parlarti."

"Sawaruna (8) !" sbottò, "Tu ed io non abbiamo niente da dirci!"

E così dicendo andò a sbattere con la schiena contro un muro.

"Ora non puoi più scappare. E poi non è vero che non abbiamo nulla da dirci. Io, ad esempio, ho un paio di cosette da chiederti." gli dissi mellifluo.

Ormai lo avevo raggiunto, e misi una mano contro il muro vicino alla sua testa.

Poi mi chinai appena di modo da poterlo guardare negli occhi.

Era solo in pantaloncini, quando sono entrato era in procinto di mettersi la maglietta.

Lasciai che il mio sguardo percorresse tutto il suo corpo, lo sguardo terrorizzato, il petto sodo e liscio che si alzava e abbassava velocemente, i muscoli delle braccia tesi quanto quelli delle gambe.

In quel momento era un unico fascio di nervi. Sentivo perfettamente l'odore dell'adrenalina che gli scorreva nel sangue.

Dovevo tenermi pronto a qualsiasi reazione. Anche un topo, se messo in un angolo, può diventare l'animale più pericoloso.

Così, ancora prima che potesse muoversi, lo presi per le spalle, e avvicinandomi alle sue labbra, gli dissi: "Perchè ti sei fatto avvicinare, in discoteca, se ti faccio così paura?"

Le mie mani, nel frattempo, erano scese lungo le sue braccia fino ai polsi; così alzandogli le braccia lo immobilizzai.

Ora più che mai i suoi occhi tradivano il suo terrore.

Ne approfittai. Non gli lasciai neanche il tempo di ribattere, che, con la forza di un disperato, lo baciai.

Diversamente da quella notte in discoteca, questa volta le sue labbra si erano serrate e decise a non lasciarmi spazio.

Allora, cominciai molto lentamente a passare la punta della mia lingua sui bordi delle sue labbra, leccai con più decisione il suo labbro inferiore e, dolcemente, cominciai ad insinuare la mia lingua fra le sue labbra.

Alla fine, per far sì che le aprisse, lo costrinsi a divaricare le gambe infilandoci in mezzo una delle mie.

Feci scorrere adagio il ginocchio nel suo interno coscia, quasi ad accarezzarlo. Questo gli produsse dei fremiti, che avvertii chiaramente, in tutto il suo corpo.

Perdendo la concentrazione, Izumi lasciò che la mia lingua forzasse le sue labbra.

Finalmente tornavo a gustare il delicato sapore della sua bocca. In quel preciso istante persi completamente la cognizione del tempo.

Mi sembrò che tutti quei mesi passati senza di lui, a cercare di dimenticarlo, di trasformarlo nel più pericoloso dei miei demoni, non fossero mai esistiti.

Ci separammo giusto per riprendere fiato. Non gli lasciai i polsi neanche in quel momento.

Sentivo che i nostri respiri cominciavano a farsi sempre più corti.

Non riuscivo più a ragionare. Di prepotenza gli inchiodai le mani al muro con la mia mano sinistra, mentre i suoi occhi erano sempre più sgranati; lo sentii irrigidirsi, quando, fissando il suo sguardo nel mio, vi lesse ciò che mi passava per la testa.

"In discoteca mi hai lasciato sul più bello. Ora dovrai 'pagare' per questa tua azione!" gli sussurrai in un orecchio, mentre la mia mano destra percorreva tutto il suo fianco, giù, fino ai pantaloncini.

"Hanaseyo (9) ! Razza di pervertito!" mi aveva gridato in faccia.

Non mi feci intimorire, avvicinai di nuovo le mie labbra alle sue, con lo sguardo più diabolico che avevo in repertorio, e leccai nuovamente quel dolce bocciolo che era la sua bocca, e, contemporaneamente, infilai la mano nei suoi pantaloncini.

Sussultò, in preda al terrore e al piacere. Io continuai a tastare i suoi glutei sodi e lisci come fossero stati un'albicocca, e poi mi spinsi più in là, al suo piccolo orifizio ancora vergine.

Lo stimolai nuovamente, come avevo fatto tempo prima nel locale notturno.

"Ya...Yamete (10) " sussurrava con gli occhi appena schiusi.

"Iie (11) ! Non la smetterò finchè non mi avrai detto la verità!"

"Na...Nani (12) ? Quale verità?"

"Voglio sapere perchè hai fatto di tutto per farti avvicinare! Chi sei veramente?"

A quella domanda il suo viso si trasformò in una maschera di terrore.

Aveva anche cominciato a strattonarmi via le braccia, cercando di liberarsi.

In tutto quel periodo di tempo che passai con lui, mi dimenticai di possibili presenze provenienti dall'esterno.

Quando Izumi, con uno strattone più forte, riuscì a liberarsi, mi accorsi di un rumore di passi decisi e veloci diretti nella nostra direzione.

Pochi attimi dopo entrò un ragazzo urlando: "Taku! Allora, hai finito? Kantoku (13) e gli altri ti stanno aspettando!"

Avevo appena fatto in tempo a rifugiarmi in un angolo dietro alcuni armadietti. Vidi Izumi, gli occhi ancora terrorizzati, infilarsi la maglietta, afferrare al volo il borsone e fuggire di corsa dagli spogliatoi e da me.

Lo sentivo correre e scusarsi col compagno: "Sunmasen (14) ! Avevo dimenticato un asciugamano nelle docce e sono tornato a prenderlo!"

Rimasi ancora qualche attimo negli spogliatoi.

Non riuscivo a togliermi della mente il viso terrorizzato di Izumi.

Chi sei veramente? A questa domanda era talmente impallidito, da sbiancare il meraviglioso color bronzeo della sua pelle.

Avevano ragione Saorisan e Kenji, quando sospettavano fosse una Bestia, o avevo ragione io, a crederlo un cacciatore con tanto di strizza?



1: Perchè;
2: Buongiorno;
3: Aspetta;
4: -ke, dopo il nome della famiglia, indica appunto il sostantivo Famiglia;
5: -san, forma onorifica usata per chiamare persone più vecchie;
6: -kun, forma confidenziale usata per chiamare persone più giovani;
7: Chi è;
8: Stai indietro;
9: Lasciami;
10: Fermati;
11: No,
12: Cosa;
13: L'allenatore;
14: Scusami.


parte seconda
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