Copyrights: è mio desiderio che i personaggi di questa fic militino per tempo indefinito in casa mia; poiché nessuno ha ancora avuto la cortesia di esaudirmi, mi limiterò a ringraziare le Clamp (Culampu ^^) per averli creati e sottoscrivo che appartengono a loro e loro soltanto.  Ma che non si lamentino se noi fan ci divertiamo a scrivere fanfic o disegnare fanart… si impegnassero a farli più brutti, allora nessuno si curerebbe più di loro!!! ^_^

La canzone che compare è “Duvet” dei BOA e tutti i diritti sono della SIAE  e del gruppo inglese.

 

Note: questa fic non è il continuo di “Syoyuu”. E’ solo un nuovo racconto avente i medesimi protagonisti. Sappiate, comunque, che il secondo capitolo è in cantiere! Si salvi chi può!!

La mia unica speranza è di non avere tratteggiato Fuma OOC…. Non conosco perfettamente gli avvenimenti di X dopo il volume 12 della Jade, quindi mi sono basata sulle mie idee e su qualche spoiler raccolto qua e là. Ai veterani di questo manga, che seguono l’edizione giapponese, chiedo perdono se il personaggio sembra snaturato.

Ad ogni modo, tutto è uscito dalla mia capa, ma spero che almeno Subaru e Seishiro siano più in modalità Clamp!!

 

Ed infine… dediche!!!

Ad Annola (che ha avuto l’anteprima e mi ha assicurato che la fic è fatta bene –se avete lamentele, sapete dove trovarla!!), a Rinie (che mi ha consigliato per la traduzione della canzone!), a Spil (per la pazienza che ha nell’ascoltare i miei piagnistei su Subaru e Seishiro…. Le h passate al telefono… la bollettaaaaa!!!!!), a Syue, a Reika, Ise, Soffio, Ely e Naika (perché sia di buon auspicio per incontrarsi alla prossima fiera!!), alla Cappellaia –me stessa- perché … beh, perché adora Seishiro e Subaru e vorrebbe una storia come la loro, last but not least a Ria-chan, pucci super mega impegnata!

 

Ed ora, finalmente, iniziamo.

 

ZAN’NEN NA AI *

By Hotaru

 

#_#_#_#   parte 1   #_#_#_#

 

Quella non era proprio giornata. No, davvero. Ogni cosa stava andando per il verso sbagliato: prima quella telefonata nel cuore della notte per una richiesta d’aiuto. Ed allora occorreva alzarsi, rendersi il più velocemente presentabile e correre in soccorso di quel poveretto che credeva di essere impazzito di colpo perché vedeva la sua ex-moglie al capezzale del letto ogni sacrosanta notte.

Recitato l’esorcismo, sarebbe stato chiedere troppo tornarsene alla propria casa e dormire? Chiudere gli occhi, come ogni giorno, e per un attimo dimenticare tutto. Non pensare al passato così crudelmente felice, che sembrava farsi beffa del presente, duro e invidioso.

Prendersi una pausa e respirare, dopo un’apnea durata tutta la giornata.

Nulla da fare: ci sono dei giorni, mesi interi, in cui devi pagare per quello di cui hai goduto nemmeno poi tanto pienamente.

Uscito dall’edificio attorno a mezzanotte, Subaru si trovò a camminare lungo le strade di Tokyo,

mani in tasca e viso avvolto in una sciarpa nera, regalo di sua nonna.

“Come diamine avrò fatto ad uscire di casa senza soldi?!  Bisogna essere proprio con la testa fra le nuvole! Ed ora come lo pago un taxi? Non parliamo poi dei mezzi pubblici: a quest’ora non ce ne saranno più!” pensava, vergognandosi di essere ancora così immaturo, nonostante i suoi 24 anni.

“Vabbeh, -concluse- significa che me la farò a piedi, come all’andata!”

Si mosse in direzione del centro, dove le luci elettriche uccidevano la luna pallida e vigile.

“Ehi, bel ragazzino! Che ne dici di divertirci un po’ ?”.

Subaru si voltò e vide il sorriso ammiccante di una donna. Avrà avuto 25 al massimo 30 anni, ma il viso era stanco e lo sguardo troppo abituato a quel genere di proposte.

“No, grazie”.

“Dai… sei così carino! Vedrai, non te ne pentirai!” si passò un dito sulle labbra schiuse.

Il pensiero di Karen gli rimbalzò in testa e mentre tornava a fissare la prostituta  non poté fare a meno di paragonare le due donne: il viso, le labbra, lo sguardo della sua amica erano indefinitamente più teneri e raffinati. Eppure… eppure nei loro occhi si poteva scorgere la stessa amara malinconia.

“Come ti chiami?” le chiese.

La ragazza si avvicinò a lui e gli appoggiò una mano sulla spalla: “E’ strano che tu  me lo chieda. Solitamente la prima domanda che mi fanno è “quanto vuoi”. –sorrise, chiudendo gli occhi- Comunque, se ci tieni tanto, il mio nome è Lisa. E  il tuo?”.

“Subaru”.

“Wow! Che bello! Allora, Subaru, hai cambiato idea?”

“Perché lo fai?”

La donna rimase basita. Sgranò gli occhi e guardò perplessa lo sciamano:  “Che… che vuoi dire?”.

“Perché vendi il tuo corpo?”.

Lisa si ritrasse di qualche passo spaventata, continuando a fissare nelle pupille il giovane.

“Non sarà… un qualche psicopatico? –pensò, mordendosi un labbro. Lo fissò per bene e abbandonò subito quell’idea- No, non può essere… i suoi occhi… i suoi stupendi occhi verdi… sono così… indissolubilmente…”.

“Per dare un po’ d’amore a uomini tristi. Come te.” Pronunciò a voce bassa, ma sicura.

Subaru ebbe un fremito.

“…nessuno qui ha gli occhi tristi come i tuoi…”

Ricordò in un solo istante le parole dello spirito di quella bambina che aiutò ad andarsene dalla terra.

“Che c’è?! Non ti senti bene? Tutto ad un tratto sei diventato pallido…” era Lisa che parlava amorevolmente.

Per un attimo Subaru si era sentito mancare, aveva sentito la testa così pesante, come se si volesse rompere: “No, no tutto bene. Ti ringrazio. Però ora è meglio che vada a casa…” disse, allontanandosi.

“Allora, ciao Subaru!! Se cambi idea sai dove trovarmi!!” la voce squillante della donna risuonò per tutto il marciapiede. Subaru si voltò e la salutò con un cenno della mano destra e un flebile sorriso.

“Peccato. Era davvero bello…”.

 

°_°_°_°

 

“…gli uomini tristi. Come te.”

Quelle parole erano come dita affusolate attorno al suo collo e gli impedivano di respirare. Tutti sembravano volerlo accusare e ricordargli di una condizione che avrebbe voluto dimenticare il più in fretta possibile. Eppure… (ma nonostante tutto) non ci riusciva. Egli aveva deciso di perseguire il suo scopo.

Il suo sogno e il suo incubo. Solo questo lo faceva andare avanti. Un motivo per vivere, tanto quanto uno per morire.

Ma vivendo, doveva sopportare tutti gli altri esseri umani e le loro parole.

Ma chi erano confronto alla sua meta? Tante piccole stelle che oscuravano il cielo. Lui, invece… come un sole abbagliante l’aveva bruciato e gli aveva offuscato la vista. Ed era giunto il momento di spegnere quel calore frigido e vuoto.

Subaru continuava a camminare con questi pensieri a fargli compagnia.

Tokyo… che città strana. Piena di gente, ma vuota di vita. Come se tanti corpi fossero sempre in procinto di esalare l’ultimo respiro, ma nessuno morisse mai.

Una perenne agonia…

I locali di divertimento facevano brillare le loro insegne e migliaia di ragazzi e ragazze ridevano per le strade, parlando di amore, amici e scuola.

“Chissà se Lisa ha trovato qualcuno. –pensò improvvisamente- Dopotutto, almeno lei non passerà la notte da sola…”.

Amaro rammarico. Ma il suo cuore aveva sopportato ben altre emozioni, ben altri dolori…

Svoltò a destra e alla fine giunse ai piedi del suo palazzo. Il rumore metallico delle chiavi nella serratura e il lieve fruscio delle scarpe sul pavimento: suoni che gli risultavano stranamente famigliari.

Aspettò per qualche secondo l’ascensore e poi vi salì: dodicesimo piano… davvero una bella vista.

Entrò in casa, appese il suo spolverino all’attaccapanni, si buttò a peso morto sul divano e cadde in un sonno profondo.

Si svegliò qualche ora dopo, era l’alba.

Sentiva un po’ di freddo: non era il massimo della vita addormentarsi sul sofà e per giunta, senza una coperta con cui racimolare un pizzico di calore.

Si sfregò le mani lungo le spalle e decise di continuare il suo riposo in camera da letto, sotto un caldo piumone. Si svestì degli abiti che ancora indossava: quella serata era stata davvero stancante, non aveva nemmeno avuto la forza di togliersi gli indumenti. Se ci fosse stata Hokuto si sarebbe dovuto sorbire una bella ramanzina! Sorrise a quel pensiero: senza Hokuto-chan era tutto più difficile. Buttò su una sedia i pochi abiti e si infilò sotto le coperte con indosso solo una maglietta bianca e un paio di boxer.

La stanza era immersa in un silenzio calmo e denso, solo ogni tanto qualche suono di clacson frantumava la pace blu di quel luogo.

Subaru chiuse gli occhi e iniziò a rigirarsi nel letto. Destra. Sinistra. Sotto. Sopra. Sbuffò, annoiato. Niente da fare: non aveva voglia di dormire. Si trovò a fissare il soffitto di camera sua.

“Mmm… che rottura…- disse fra sé e sé- Ah! Ma chi me lo fa fare?!” e di scatto rovesciò il piumotto e si alzò in piedi, scompigliandosi i capelli.

Pensò di mangiare qualcosa. Aprì il frigorifero e vi prese del latte. Lo mise a scaldare e nel frattempo decise di dare un sottofondo musicale alla sua serata alternativa… tanto non aveva altro a cui pensare. Si avvicinò al lettore CD: “Chissà che cosa stavo ascoltando l’ultima volta ?” pensò, mentre premeva il tasto play.

 

And you don't seem to understand
A shame you seemed an honest man
And all the fears you hold so dear
Will turn to whisper in your ear…”
 
La musica riempì la stanza e Subaru si fermò di colpo al centro di essa.
“Tzè…- scosse il capo- che stupido…” e si riportò in cucina in attesa che il latte bollisse. Aprì una scatola di biscotti e iniziò a sgranocchiarli seduto nella penombra fissando, come ipnotizzato, la fiamma blu del gas che aveva di fronte.
 
“…And you don't seem the lying kind
A shame that I can read your mind
And all the things that I read there
Candle lit smile that we both share…”
 
Dolce e amaro. Ecco il sapore che Subaru avvertiva nella sua bocca. Il delizioso gusto dei frollini misto l’angoscia salata delle sue lacrime. Con un gesto automatico si pulì il viso: aveva imparato a non piangere da un po’.
 
“…I am falling, I am fading, I am drowning
Help me to breathe
I am hurting, I have lost it all
I am losing
Help me to breathe”. *
 
Batté un pugno sul tavolo facendo sobbalzare il sacchetto dei biscotti e frantumando in mille briciole quella metà che aveva in mano.
“Seishiro…” sibilò.
Uno sfrigolio lo riportò alla realtà: il latte bollito era fuoriuscito dal pentolino, sporcando tutta la piastra del gas.
“Anche questa ci voleva!” alzò gli occhi al cielo con fare disgustato, prima di ripulirsi il palmo dei rimasugli del biscotto distrutto e prendere un panno con cui rimediare al danno.
Prese una tazza e riempita di caldo latte, si portò in salotto dove continuava a suonare il cd dei BOA e spostò leggermente una persiana per ammirare il paesaggio albeggiante. Chissà quante aurore avrebbe potuto ancora gustarsi prima che l’ultima ora scoccasse? Il tempo stringeva e la fine del mondo incombeva su ogni anima…
Bevve un sorso di latte. Un gusto zuccherino e materno.
Fece per voltare le spalle, quando percepì qualcosa nell’aria… qualcuno. Come una saetta, un’ombra si stava spostando da un balcone all’altro, per approdare al suo.
Subaru sgranò gli occhi e rimase impalato di fronte all’ospite che lo salutava da dietro la finestra.
Il ragazzo sorrideva compiaciuto e ticchettava sui vetri, chiedendo evidentemente il permesso di entrare.
Lo sciamano, scioccato, non mosse un muscolo  e rimase a vedere il simpatico siparietto che l’ospite gli stava offrendo: con una piccola smorfia sul volto, continuava a saltellare sui piedi e a strofinarsi le braccia; il labiale era chiaro : quel poveretto stava morendo di freddo e per non rimanere assiderato stava dando fondo a tutte le sue conoscenze sul ballo che possedeva. 
Ripresosi dallo shock,  a Subaru venne anche da sorridere. Poi pensò che se avesse voluto entrare con la forza l’avrebbe potuto fare come e quando voleva, quindi, forse, poteva essere venuto con buone intenzioni… l’ultimo pensiero non lo convinse più di tanto, ma ormai tanto valeva…
E aprì la maniglia della porta finestra.
“Ehi, ce ne hai messo di tempo! Guarda che alle 5 di mattino fa freddo! Volevi uccidermi?” pronunciò quell’ultima frase con un tono suadente e provocatorio, mentre si accomodava nell’abitazione.
Subaru non era in vena di raccogliere sfide, quindi si trattenne dal rispondere a tono: “Cosa vuoi, Fuma?”.
“Kamui, se permetti. Ma non è questo il punto. Ma come?! Non è più nemmeno possibile passare a trovare un amico?”.
“Non sei mio amico”.
“Ti sbagli: in quanto amico di Seishiro, che è a sua volta mio amico, tu lo sei. Ti pare?” sorrise soddisfatto.
Un ghigno di ribrezzo comparve per pochi secondi sulle labbra del Sumeragi e Fuma lo notò avidamente: “Allora, non mi fai accomodare?”.
“No. Dimmi cosa vuoi e vattene”.
“Oooh. Come siamo suscettibili! Che c’è? Seishiro non ti ha soddisfatto pienamente questa notte? –sussurrò allusivo e ammiccante. Subaru lo fulminò con lo sguardo, mentre la tazza che aveva in mano iniziò a tremare- Puoi sempre rimediare… con me. Sono più che sicuro che troverai… mmm… i miei argomenti interessanti” e avanzò verso il divano, inginocchiandosi sopra.
“Chi ti ha detto che puoi sederti? Alzati ed esci, così come sei entrato”.
“Sono abituato a fare ciò che voglio. Desideravo sedermi e l’ho fatto.  Comodo, davvero! Sai, hai buon gusto! –disse, soffermandosi sull’arredamento bianco e nero del salotto per poi tornare a posare il suo sguardo su di lui- Un po’ meno nel vestirti… ma posso anche chiudere un occhio! Non è proprio il massimo dell’educazione ricevere un amico in boxer e maglietta…. Sai, il tuo atteggiamento potrebbe essere frainteso…” sentenziò, corrucciando il volto e fingendo di perdersi nei suoi pensieri.
“Ah, invece  è educato bussare alla finestra di uno che nemmeno conosci alle cinque di mattina?” e si portò in cucina per appoggiare la tazza su una superficie più stabile delle sue mani, visto che incominciavano già a prudergli.
Fuma, indispettito per la noncuranza con cui il giovane Sigillo l’aveva trattato, si voltò di scatto: “Ehi… ma dove?!”. Con un balzo gli fu dietro.
“Hai intenzione di pedinarmi come un’ombra, eh? –guardò con la coda dell’occhio il Messaggero- Fuma, senti, non ho voglia di combattere. Se sei venuto per quello, dimmelo subito.”
“Se così fosse? –la voce del ragazzo si fece d’improvviso più bassa- Innalzeresti quella barriera per me?”.
“Guarda che quella barriera è per la gente comune… perché il mondo non subisca danni”.
“Sì, questo lo so bene. Ma l’hai mostrata solo a lui… sarei curioso di sapere cosa si prova a combattere dentro di te… ops, volevo dire dentro la tua barriera!”
“Nulla di più che combattere dentro quella di qualunque altro Sigillo”.
“Dici davvero? Perché… non proviamo, Subaru?” lo sciamano lo guardò di sottecchi, chiedendosi se era davvero desiderio dell’avversario provocarlo e insinuare così tanto…
Di tutta risposta, come se avesse potuto leggere nei suoi pensieri, l’altro si passò la lingua sulle labbra e allungò  una mano verso il suo collo bianco e iniziò ad accarezzarglielo piano.
Quella mano calda lo fece rabbrividire, ma riuscì a contenere le sue emozioni.
“Mi spiace Fuma…” rispose atono Subaru. Al sentir quello, il Messaggero strinse la mano attorno al collo e vi aggiunse anche l’altra, sbattendo il Sigillo contro la credenza della cucina. L’aria mancò di colpo: Fuma gli stava togliendo il respiro… e non di certo in senso figurato. Eppure quello sguardo lascivo e assassino non gli era venuto meno.
“Cos’è che ti dispiace Subaru, eh?! Avanti, dimmelo!!” il ragazzo non riusciva a parlare e, con scarsi risultati tentava di allentare la presa dell’altro per avere un po’ di ossigeno per vivere; lottava strenuamente, mentre il corpo dell’altro incombeva sul suo. La forza di Fuma era straordinaria: avanti di quel passo avrebbe solo potuto soccombere. Doveva trovare una soluzione. Ma Fuma fu più rapido di lui, ancora una volta: “Allora? Cosa si prova ad andarsene così? Senza poter far nulla… senza avere nemmeno dichiarato il proprio amore all’uomo che si desidera?… Divertente, vero?” gli sorrise.
“A… a…” Fuma si accorse che Subaru stava biascicando qualcosa e incuriosito da quelle che considerava le sue ultime parole allentò un poco la presa per permettergli di parlare.
“A… chi… anf..anf.. ti stavi.. anf… riferendo…” ghignò sprezzante lo sciamano.
“Che tipo, Subaru! Ma come… al tuo Seishiro adorato! –gli sussurrò all’orecchio, facendo strusciare i loro due corpi- Smettila di fingere, con me non funziona”.
Il ragazzo si fece serio, mentre osservava Subaru perdere le forze. 
Poi, di colpo, mollò la presa e la vittima iniziò a tossire, accasciandosi a terra. Respirava a pieni polmoni, con urgenza, come se temesse che l’aria potesse finire.
Fuma lo fissava dall’alto con espressione glaciale.
“Fuma… Fuma, perché…” Subaru si girò di scatto alla ricerca del suo boia mancato, ma non vide nemmeno l’ombra: solo la finestra della cucina aperta. Vi si sporse, ma non distinse nulla. Niente che gli potesse offrire delle risposte adeguate. Rientrò in casa e andò in bagno a specchiarsi: il collo gli faceva un male terribile e le impronte del ragazzo erano ancora ben in vista.
L’aveva risparmiato. Perché? 
“Dannazione!! –colpì il bordo del lavandino- Dannazione!” ripeté a voce più alta, scaraventando  a terra il bicchiere che conteneva lo spazzolino e il dentifricio. Si rannicchiò sul pavimento e appoggiò la testa alle sue ginocchia: “Hokuto…”.
 
#_#_#_#   parte 2   #_#_#_#
 
Il sole splendeva nel cielo di Tokyo. Un altro giorno era ricominciato. Ma nemmeno sapeva se sarebbe giunto al termine. Bisognava solo stare a vedere e sperare. Sperare che gli uomini potessero continuare a vivere. Sperare che la terra potesse inghiottire tutti i cadaveri e tornare ad un nuovo splendore.
Non c’era nulla di meglio di una sigaretta dopo una tazza di caffè. Seishiro Sakurazuka amava le sue abitudini, sebbene fossero sbagliate, dannose e amorali. 
Era fermo ai lati di un  incrocio, solo per evitare la folla immensa di gente che calcava le strade alle 8.30 del mattino. Inspirava lentamente il fumo, godendo dell’amaro sapore del tempo che non sembrava potersi fermare. Ogni cosa correva alla velocità della luce, mentre lui era immobile al centro del ciclone. Perché lui sapeva. Lui sentiva. Era certo che mancasse poco perché tutto finisse. Ore, giorni… poco importava. La fine del mondo era comunque imminente. Ed allora perché darsi così tanto da fare? Correre, gridare, tutto era inutile, visto che sarebbe finita ogni cosa. Era solo questione di tempo. 
Fece un ultimo tiro e lasciò cadere a terra il mozzicone e mentre si allontanava il suo sguardo scrutò Seiichiro Aoki che camminava frettoloso dall’altro lato della strada. Per un attimo l’idea di ingaggiare lì un duello lo sedusse mentalmente. Attaccarlo per primo, causare panico fra la gente, distruggere corpi e oggetti… sì, poteva essere un allettante inizio di giornata.
Si guardò attorno e schioccò le dita. In men che non si dica il vetro di un ufficio di fronte a lui si frantumò. Tutti i pezzi caddero rovinosamente a terra, sopra la testa della gente.

Grida di terrore iniziarono a percorrere tutta l’atmosfera circostante: chi correva impaurito, chi tentava di mettersi al riparo. E sangue. Un bambino aveva il volto schizzato del sangue della madre, la quale l’aveva riparato col suo corpo. La donna giaceva senza vita con i vetri conficcati nella schiena, sul collo e nelle gambe. Le grida di pianto del piccolo erano acute e sembravano voler spezzare l’aria.

Seiichiro si avvicinò di corsa cercando di rianimare la signora, ma quella vita era  ormai spenta.

Alzò lo sguardo e portò gli occhi sull’altro marciapiede: sentiva la presenza. Qualcuno era lì.

Un sorridente Seishiro Sakurazuka teneva le  braccia conserte appoggiato al muro. La sua espressione sembrava voler dire: “Era solo un piccolo capriccio! Non volevo fare sul serio!”. Perché se avesse voluto, non avrebbe risparmiato nemmeno quella creatura indifesa.

I due Draghi si fissarono per un istante e improvvisamente il Sig. Aoki sciabolò una mano per aria: una folata di vento precisa e diretta tagliò la strada, andando a colpire il volto del Sakurazukamori, facendogli cadere gli occhiali da sole.

Il giornalista si era già alzato e, in prossimità della strada, stava per alzare la sua barriera, quando  notò che l’altro stava facendo cenno di no con la testa.

Seiichiro rimase interdetto, temporeggiando sul da farsi, mentre l’assassino gli voltava lentamente le spalle.

“Ehi!- gridò- Fermati! Cosa vuoi fare?”

“Io? Assolutamente nulla. Ti auguro buona giornata! -pronunciò, senza quasi nemmeno voltarsi- Non sei tu ciò che voglio.” Ma Seiichiro non riuscì a comprendere l’ultima parte, perché il falco sulla spalla del nemico lanciò un grido violento e penetrante  che gli fece sobbalzare il cuore, mentre una sensazione di malinconia e terrore gli pervadeva il corpo.

Lo guardò allontanarsi indifferente, temendo in un suo nuovo attacco. Quando la sua vista non riuscì più a seguirlo tornò ad occuparsi dei feriti: per quel giorno, il lavoro poteva aspettare.

 

°_°_°_°

 

Il sole stava iniziando ad infastidirlo: “Dannato Sigillo! -imprecava dentro di sé- Proprio gli occhiali…”. Oramai era diventata una consuetudine uscire di casa con indosso un paio di scure lenti. All’inizio era stato il medico a consigliarne l’uso per evitare che continui cambiamenti di luce e buio potessero mettere sotto stress ancora di più la pupilla sinistra, già sottoposta ad un doppio carico di lavoro. Ma poi aveva iniziato ad amare quell’oggetto, come se potesse nasconderlo ancora più nell’ombra.

Invece, ora, camminava per le strade di Tokyo ad occhi aperti, assaporando il gusto acre della luce del sole: “Dovrò comprarli…”.

Si stava recando in direzione del palazzo governativo, per ritrovarsi al solito con gli altri Messaggeri e mancava poco all’appuntamento: guardò l’orologio e pensò che sarebbe arrivato leggermente in ritardo. Ma il fatto non gli dispiacque perché la causa era stata uno stuzzicante diversivo: “Se il buongiorno si vede dal mattino…” pensò, inumidendosi il labbro inferiore.

“Scommetto che sei stato tu a creare tutto questo trambusto, vero??”

Seishiro si girò di centottanta gradi , sapendo perfettamente a chi appartenesse quella voce: “Se ti riferisci all’ingorgo, ti sbagli di grosso! Io ho solo spaccato un vetro di un palazzo…” si fermò per attenderlo.

“Il solito modesto… -fece due balzi e gli fu accanto- Ma, a quanto pare, non ti è andata del tutto liscia…” aggiunse, fissandolo dritto negli occhi, attraverso i suoi occhiali piccoli e tondi, mentre un sorrisetto malizioso e compiaciuto gli increspava le labbra fresche.

Seishiro alzò gli occhi al cielo: “Già, già… -sospirò- Oramai non ho più l’età per fare certe cose… Ahahahah!!!” scoppiò in una fragorosa risata.

“Tu dici?! Mi piacerebbe metterti alla prova… secondo me ti sottovaluti!” gli strizzò l’occhio.

“E tu? Da che parte vieni?” gli disse, iniziando ad incamminarsi.

“Un po’ di qua, un po’ di là… ho passato una notte movimentata!”

“Ah sì?! E con chi? Col piccolo e fragile Kamui?”

“No. Col malinconico e perennemente serio Subaru Sumeragi”.

A queste parole, Seishiro si bloccò di colpo, mentre l’altro ragazzo proseguiva soddisfatto della reazione che aveva scatenato: “Che c’è? Perché ti sei fermato?”.

Già: perché si era arrestato? La provocazione aveva sortito il suo effetto. Non era la prima volta che Fuma era stato in grado di sorprenderlo. Chi era veramente quel ragazzo?

“Ah, beh… nulla. –biascicò l’uomo- Piuttosto, com’è andata?”

“Sai, ti dirò: avevo una voglia matta.  Una voglia assurdamente accesa di ucciderlo. Ma so bene che non è cosa che mi riguardi, vero?”.

Le dita affusolate di Fuma macchiate di purpureo liquido. Rivoli di caldo nettare a dipingere, come una candida tela, la pelle. Un sorriso affamato e non ancora soddisfatto. Il corpo immobile e rotto di Subaru. Per un attimo la mente di Seishiro fu rapita da tutto ciò.

Si riscosse più in fretta che poté, per non far insinuare dubbi più-che-mai corretti nella mente del suo interlocutore, ma il Kamui della terra conosceva già ogni cosa. Aveva compreso tutto quella sera e non necessitava di conferme o smentite dal suo compagno di lotta.

Si guardò le mani e le mostrò al Sakurazuka : “Era qui. Ho potuto stringere la sua pelle. Il suo collo. E l’ho stretto. L’ho stretto tanto. Ma non abbastanza per farlo spirare. Sai, quel ragazzo trascende ogni mio controllo. Intendimi: il suo volto mi causa pensieri di sofferenza. Di morte. E questo mi fa godere quasi come quando desidero possedere Kamui. Perché poi mi blocchi non lo so… è che forse non voglio scontrarmi con te! –ridacchiò- O forse perché…. perché…-strinse le mani a formare due pugni- Se solo osa avvicinarsi troppo al mio Kamui-chan…”

Seishiro aveva ascoltato rapito le parole del maggiore dei Messaggeri: Subaru e … e … l’altro! No, non poteva essere: il Sumeragi era solo di sua proprietà. Però non era a conoscenza di questa inattesa amicizia… eppure lo sguardo di Fuma non era preoccupato. Alterato sì, al pensiero. Ma non appena l’idea gli si allontanava dalla testa, la sicurezza e la determinazione nel sapere che lo Shiro fosse concentrato solo su di lui e sulla sua, chiamiamola-così, salvezza… ritornavano trionfanti sul suo viso.

Seishiro alzò una mano e la avvicinò al viso di Fuma: una carezza improvvisa lo colse. Seguì il contorno della mascella, lambendo le labbra: “Dobbiamo andare…” e così, fulmineo, come l’aveva sfiorato, scostò la mano dalla pelle e la mano seguitò il movimento delle gambe.

Cosa avesse significato quel gesto Fuma non lo capì: riconoscenza per non aver giocato con la sua bambola? O era un piccolo monito perché si era permesso di avvicinarsi al ciliegio più delicato e affascinante che i Sakurazukamori avessero mai conosciuto?

Ad ogni modo, quell’ espressione intima non era affatto spiaciuta al ragazzo, ma si guardò ben dal ricambiarla: infatti, l’occhio di Seishiro, che per qualche secondo sfiorò la sua persona, accompagnandosi alla mano, era quello di un re orgoglioso e predatore, che non sopporta che il suo piccolo schiavo si monti la testa e decida di non curarsi più di lui.

“Ahh…. –sospirò, sistemandosi la montatura degli occhiali sul naso- Speriamo di non ridurmi come lui, col passare degli anni!!”  si schernì e si portò al fianco dell’assassino.
 
(continua)
 
Annola: “La lemon… la lemon!!!!”
Hota: “Ehm, ah… già… sì…”
Seishiro: “La lemon… le lemon!!!”
Hota: “Eh?! Ah, sì… d’accordo…”
Fuma: “La lemon… la lemon!!!”
Hota: “Ok, ok!! Avete ragione…”
Subaru: “La lemon… la lemon!!!”
Hota: “Cosaaa??!! Anche tu??!! PROPRIO TU??? Che sembri così pucci, angelico, dolce e candido???!!! Diamoci una calmata!!!!”
Rukawa: “La lemon… la lemon!!!”
Hota: “E tu cosa centri??!! Tornatene nel tuo manga!!!!”
Rukawa: “No, almeno fino a quando non avrai scritto una lemon anche su di noi!!!”
Hota: “Ma cosa hanno tutti, oggi?? C’è l’aria intrisa di testosterone!!! Se non la smettete di fare gli assatanati…”
Tutti (impugnando qualsiasi oggetto contundente in mano): “Sììììì??!!!! Cosa ci fai???!!!”
Hota: “Nulla. Io? Assolutamente nulla” ^^;;; - è meglio che mi metta a scrivere qualcosa di pesante… non va bene 
che le pulsioni sessuali siano troppo represse… il buon vecchio Freud forse aveva un po’ di ragione…-
 
Note di traduzione:
* Il titolo si può tradurre come “Unfortunate love” o “Amore sventurato”; N.b.: il significato di ‘sventurato’ vuole essere un richiamo alla frase del Manzoni: “E la sventurata rispose”, riferendosi a Gertrude. 
Sventurata perché lei ha scelto quella condizione, ma anche perché è il destino che l’ha spinta in quella posizione (lo so: detto così è veramente misero, però non è nelle mie intenzioni disquisire sui “Promessi Sposi”).
 
* “Duvet” dei BOA:
“ E tu non sembri comprendere
(è) una vergogna che tu mi sia parso un uomo onesto
E tutte le paure che abbracci così strenuamente
Torneranno a sussurrare nel tuo orecchio […]-
 
E tu non sembri il tipo di persona bugiarda
(è) una vergogna che io possa leggere nella tua mente
E tutte le cose che io vi leggo
accendono un piccolo sorriso che entrambi condividiamo […]-
 
[…] Sto cadendo, sto svanendo, sto affogando
Aiutami a respirare
Mi sto ferendo, ho perso ogni cosa,
sto perdendomi
Aiutami a respirare”.