Your laugh
(splinter of heaven)
di
N
“Come puoi non ridere mai?”
“Hn?”
“andiamo kitsune, come si fa?”
“semplicemente, non c’è niente che mi faccia ridere. È così.”
Lo
dice con faccia impassibile, tirando su le spalle in uno sbuffo di
indifferenza.
Io lo
guardo sconvolto.
Per me
il riso è fondamentale. È una cosa che mi è sempre sorta naturale e che mi
ha accompagnato lungo questo buffo percorso che chiamo ‘vita’.
Mia
madre mi racconta, ancora divertita, di come perfino in acqua io ridessi. Il
suo cavallo di battaglia è il ricordo di mio padre che tenta di insegnarmi a
nuotare in mare e io che rido, come un deficiente, scolandomi litri e litri
di acqua… senza curarmene affatto.
Io
sorrido, rido, scherzo spesso. E non riesco a capire come lui possa farne a
meno con tanta tranquillità. Forse perché, per lui, è naturale così.
“Andiamo! E con il solletico, come la metti?”
“non
soffro il solletico.”
Eh?
Tutti soffrono il solletico! Non conosco individuo che non lo tema. Perfino
Akagi, una volta, si è ridotto a implorare sotto di me, Mitsui e Miyagi dopo
che l’avevamo stretto a terra, solleticandolo. Ci siamo divertiti come
pazzi! E tu mi vieni a dire che non lo temi?
“Impossibile!”
“è la
verità, do’aho”
Mi
lancio verso di lui. Che pare pronto ad affrontare un mio pugno. In realtà
gli solletico i fianchi. Nessuno è mai resistito al solletico ai fianchi!
“Ti ho
detto che non lo soffro e ora levati!”
Mi
strattona via. Io non mi arrendo e attacco più in alto: le ascelle. Lui mi
lascia fare impassibile e, dopo qualche secondo, mi ritrovo a fissare quegli
occhi gelidi.
“Non
lo soffri!”
“Hn”
“Incredibile! Sei monolitico fino alla fine! Ma sei veramente di ghiaccio!”
“hn”
e si
volta per andarsene.
Il suo
allenamento extra per stasera, a quanto pare, è concluso qua.
Io
rimango, ho ancora molto da fare. Ci sono un quantitativo imprecisato di
tiri da tre che mi aspettano…
Non
posso impedirmi di pensare, però.
Ormai
siamo al secondo anno e le cose sono un po’ cambiate.
Al
ritorno dall’infortunio io e Haruko ci siamo messi insieme. Sorrido,
ripensando alle facce dei miei amici alla notizia e alla festa organizzata
per l’evento.
Però
non è andata come mi aspettavo. Avevo troppo idealizzato l’avere una ragazza
e la realtà è stata molto diversa.
Haruko
è una cara ragazza ‘reale’, non una principessa delle favole. Ha pregi e
difetti. Difetti che non avevo minimamente considerato importanti, prima; ma
che dopo si sono rivelati fondamentali.
Nulla
di enorme e irreparabile, solo. Solo non era la persona adatta a me. Forse
l’idolo giusto per la mia mente esaltata, ma non la persona reale con cui
vivere ogni giorno.
Non
volevo ammetterlo, cavoli, dopo tutto quello che avevo penato per
conquistarla!
Se ne
è accorta da sola e ha anche capito che non potevamo continuare a stare
insieme, facendo finta che fosse tutto perfetto. Così ne abbiamo parlato, ci
abbiamo provato, ma.
Ma in
questi mesi, molte cose sono cambiate per me. Io sono molto cambiato.
Immagino sia normale per un adolescente che sta crescendo.
Sono
ancora un arrogante, strafottente rompiscatole. Ancora faccio cose stupide
con i miei amici, però.
Ora il
basket è una cosa seria che assorbe me, il mio impegno, il mio sforzo. Sputo
l’anima per poter un giorno sfidare la Kitsune e batterla.
Anche
con lui, le cose sono cambiate.
Piano,
in modo lento. Quatte, come un gatto che silenzioso passa per una stanza.
Le
risse, i litigi ci sono ancora. I passaggi in campo si contano sulle dita,
ma. Spesso ci fermiamo entrambi qui in palestra ad allenarci e questo,
lentamente, ci ha portati ad imparare a convivere. Perfino a comunicare! Non
che il ghiacciolo sia diventato un chiacchierone… ma posso considerarlo
amico.
Altrimenti non avrei mai potuto fargli quegli attacchi con il solletico,
poco fa.
Penso
che anche lui si sia ormai abituato al mio essere; perché, in un altro caso,
saremmo finiti in una rissa…
Un’idea rimbalza da un punto all’altro del cervello. Come una biglia
impazzita.
Riuscirò a farlo ridere: sono o non sono il Tensai?!
E così
inizia il periodo “solleticante”… presto dico a tutti i nostri compagni che
Rukawa non soffre il solletico e fra noi s’instaura una silenziosa gara sul
primo che riuscirà a farlo ridere.
Praticamente ogni scusa è buona, per me, Miyagi e Mitsui, per assaltarlo e
cercare di vincere.
Lui
all’inizio appare infastidito, ma presto si abitua. Alla fine appare quasi
divertito dai nostri tentativi, che si fanno via via sempre più disperati.
Miyagi, un giorno, è arrivato con una piuma! Non chiedetemi dove l’abbia
presa, so solo che ha passato un quarto d’ora a far venire la pelle d’oca a
Ru passandogliela addosso, ma niente!
Oddio,
proprio niente no. Tutte le fan di Rukawa sono svenute ad immaginandosi al
posto di Ryota, magari in un posto più intimo di una palestra in pieno
pomeriggio… perfino Haruko ha sgranato gli occhi e non si è riuscita a
disincantare da quella visione ipnotica.
Io, da
un lato, speravo che Miyagi ce la facesse, dall’altro no. Mi piacerebbe
veder finalmente ridere quell’iceberg, ma. Più ci penso, più vorrei che lo
facesse a causa mia. Voglio farlo ridere io.
Questo
pensiero, all’inizio semplice senso di supremazia, si è evoluto, piano, in
qualcosa di molto più profondo. E preoccupante.
Vorrei
che ridesse per me, che regalasse a me quello spettacolo unico che dev’essere
la sua bocca distendersi felice.
La
prima volta che l’ho pensato, non mi sono soffermato a lungo su questo
fatto, ma alla fine l’ho dovuto fare per forza. Perché, ogni giorno, diventa
un pensiero sempre più forte e costante nella mia vita.
Ora
c’è il basket e il far ridere Rukawa. O forse solo Rukawa. Il che è ancora
più preoccupante.
Spesso, arrivato a questo punto del sentiero, il mio cervello sbanda e esce
dal tracciato, forse per paura di quel che potrebbe trovare dietro alla
curva, posta proprio in questo punto.
Come
dire: ho una terribile paura di cosa questo possa significare.
Ma in
fondo riesco benissimo a vivere senza curarmene troppo! Ci posso sempre
pensare domani!
E così
il tempo passa tranquillo, passano i mesi, i campionati estivi del secondo
anno. Arriva l’autunno e arriva l’inverno.
Ormai,
tutti gli altri hanno rinunciato a farlo ridere. Io a volte ci provo ancora,
ma più per testardaggine che per altro. Ormai ho imparato ad accettare
questa granatina così com’è. E lui ha fatto lo stesso con me.
È
sera, ora. Fredda e chiara. Almeno così immagino che sia, mentre sbircio per
un attimo fuori dal finestrone della palestra. Io e la Kitsune siamo rimasti
qui ad allenarci. Ormai sono migliorato parecchio, ma non posso permettermi
di rallentare gli allenamenti. Sto quasi per raggiungerlo, non posso
mollare.
Lui se
ne è accorto e infatti, ultimamente, a volte, quando è particolarmente in
buona, mi concede un one on one. Che ovviamente perdo, ma con sempre minor
distacco.
La
prima volta che mi ha sfidato, ci sono rimasto quasi secco. Me l’ha chiesto
lui, capite! Incredibile! Credevo avesse la febbre, quando, con la sua
solita glaciale calma, ha ordinato:
“Do’aho. Sfida” e si è messo in posizione di difesa.
Inutile dire che, tra un rimbrotto e l’altro, ho accettato di corsa.
Al mio
ricordo si sovrappone la sua voce, rinnovando quella che pare essere ormai
diventata una nostra tradizione settimanale.
“Do’aho. Sfida” ripete come ogni volta.
“certo
che ne hai di fantasia, baka kitsune, eh?” gli faccio ironico “almeno
potresti invertire l’ordine delle parole, ogni tanto. Non dico aggiungerne…
mi viene un sospetto: non è che è un messaggio registrato? Per non rischiare
di riutilizzare le tue corde vocali. Oramai devono essere completamente
arrugginite!”
“hn.
Gioca!”
“cielo. Una parola in più. Stasera sei proprio in buona! Sta a vedere che
magari mi soffri pure il solletico!”
lui
sbuffa e non risponde. Ma ormai lo conosco e capisco che in fondo è
divertito dalle mie battute. Comunque, questo non vuol dire che ne
sopporterà a lungo altre. Così mi decido a iniziare a giocare.
Ci
stiamo scontrando da un po’, quando la kitsune fa un intervento che io
giudico falloso. E non esito a farglielo notare.
“Fallo!” “figurati. Non ti ho nemmeno toccato!” “invece sì! E poi mi hai
anche preso per il fianco e trattenuto!” “come no… do’aho!” “Baka kitsune!
Guarda che era fallo pieno: hai fatto così!”
e gli
mostro come è stato il contatto. Da dietro, lo afferro al fianco destro e lo
faccio girare verso sinistra. Poi gli faccio vedere dove mi avrebbe colpito
con l’altra mano. Intanto la mano destra, che non ha mai lasciato la presa,
sente tendersi i suoi muscoli sotto la canotta. Non so perché, ma stringo
leggermente. Lo vedo scattare come una molla e guardarmi con occhi sgranati.
“Che
c’è? che ho fatto?” lui si tocca il fianco un attimo. È chiaramente
sorpreso. Perché?
Poi
torna impassibile e riprende a giocare.
Ma in
me, il dubbio rimane. Che diavolo è successo? Non gli ho fatto male. In
verità non gli ho fatto proprio niente! Si è scostato di scatto quando gli
ho stretto il fianco, come se…
Alla
mia mente malata sta venendo un dubbio. I miei neuroni geniali stanno
partorendo una meravigliosa ipotesi. Se fosse vera, sarei a posto.
Ormai,
vincere l’incontro è passato nettamente in secondo piano. Sto per vincere
una scommessa con un premio molto più allettante, io!
Così
mi preparo all’assalto. E all’improvviso colpisco. Lo afferro nell’esatto
punto di prima e lo solletico. In cambio ricevo uno sguardo glaciale e uno
sbuffo.
“Ancora con questa storia, do’aho?”
Ok.
Forse il genio supremo ha un pochino travisato la sua reazione precedente.
Eppure… prima si è ritratto. Cosa c’è di diverso? Il punto era quello, il
movimento della mia mano pure…
continuo a giocare, osservandolo. Cercando di capire. E mi ritrovo
affascinato una nuova volta, da quel corpo elegante e muscoloso allo stesso
tempo. Muscoloso… muscolo… ecco cos’era! Aveva il muscolo teso! Mentre ora
era rilassato!
Ho la
chiave.
Un
sorriso diabolico e trionfante mi appare in mente. Deve essere apparso anche
sul mio viso, perché Rukawa per un attimo si blocca, alzando un
sopracciglio. Poi continua incurante.
Eh!
Eh! non sa ancora cosa l’aspetta.
Alla
prima pausa, agisco. Devo assolutamente verificare. Lo getto a terra e lo
blocco con le gambe e un braccio, in modo che sia scoperto il suo fianco,
con il muscolo bello in evidenza. Lui sbraita, cerca di liberarsi, mi
insulta. Sono troppo vicino alla vittoria per curarmene. Poso la mano e
inizio a solleticare.
E il
miracolo avviene. In primo momento si zittisce, poi i suoi rimbrotti sono
diversi. Hanno un tono che mai gli ho sentito usare. Pare divertito. E alla
fine, trionfo. Nel bel mezzo di una minaccia, non si trattiene più e scoppia
a ridere.
Dei!
Ho tra le braccia la creatura più bella che sia mai esistita. Mi blocco in
adorazione, contemplando i suoi occhi chiusi e la sua bocca aperta a riso.
Il ghiaccio è sciolto, la maschera inespressiva è rotta. Se lo vedessero
adesso, le sue fan, morirebbero. E un po’ muoio anch’io, quando lo vedo
ricomporsi. È stanco quasi quanto avesse corso per km. Ha il respiro grosso
e una lacrima scende solitaria. I suoi occhi lucidi appaiono stranamente
vividi.
“Sei
contento, ora? Mi lascerai in pace?”
Mai.
Non ti lascerò mai.
Questo
pensiero sfreccia attraverso la mia mente, come una macchina da formula uno
in un rettilineo. E ne rimango basito. Lui nota questo mio smarrimento e ne
approfitta per tentare di liberarsi.
Io mi
riscuoto. Non voglio analizzare nulla, ora. Ora voglio solo tornare a
vederlo ridere.
Così
inizia una lotta, in cui solo a volte ho la meglio. Ci ritroviamo nelle
posizioni più strane e contorte e, in tutto questo casino, io non smetto mai
di continuare a solleticarlo.
Spesso
riesce a trattenersi, ma. Ci sono attimi in cui riesco a braccarlo bene e
lui non si trattiene.
Sono
schegge di paradiso.
Alla
fine, siamo stremati. Crollo sdraiato supino e lui su di me. Abbiamo il
fiatone e siamo sudati, come se avessimo giocato ore e ore. Ho gli occhi
chiusi e non posso impedirmi di sorridere.
Non è
solo per la vittoria. È anche perché ho visto una cosa assolutamente
stupenda. Ho visto Kaede Rukawa ridere. Ho FATTO ridere Kaede Rukawa. Nelle
orecchie, ho ancora l’eco di questo suono cristallino per me nuovo e
assolutamente affascinante. Negli occhi il suo viso con questa espressione,
così estranea alla sua normalità.
E ora,
ho lui tra le braccia. Il suo respiro sulla spalla, i suoi capelli che mi
solleticano il naso.
Mi
sento bene. Come non mi ero sentito da tempo.
So che
ora dovrei cercare di capire il perché di tutte queste sensazioni positive,
ma non mi va. Avrò tutto il tempo di farlo a casa, dopo. Domani.
Temo
avrò molto tempo, perché ho la certezza che una scena del genere non si
ripeterà tanto presto. Probabilmente mai. Quindi, me la godo ora che è il
mio presente.
Avverto il suo capo alzarsi e mi scappa una suono quasi dispiaciuto.
Ma non
sento altro, così mi decido ad aprire gli occhi. E trovo i suoi. Che mi
fissano sgranati e sorpresi. Come se vedessero in modo diverso. Qualcuno di
diverso, sdraiato sotto di loro. Qualcuno che ha un sorriso sereno e
divertito e non la solita smorfia ironica e esagerata.
“Mi
hai fatto ridere.”
“Già.
Ti ho fatto ridere!” gongolo.” Allora, com’è?” “com’è cosa?” “ridere! Per me
è normale, ma per te…”
“è
strano…” “non è assolutamente fantastico?”
Mi
guarda, indeciso. Probabilmente ha paura che inizi con una delle mie solite
sparate. Che non perda un minuto e, balzando in piedi, corra ad avvertire
tutti della novità. Non dico che non ho questa tentazione, ma. Preferisco
stare qui, a godermi la sua espressione confusa.
“Allora? Andiamo Kitsune, non può averti lasciato del tutto indifferente!
Hai riso alle lacrime!”
“già”
“già che?” “Già. È assolutamente fantastico” e sorride.
Poi
riabbassa il capo e si sistema meglio contro di me.
Restiamo lì, a goderci il silenzio per un bel pezzo. Sento le palpebre farsi
sempre più pesanti e mi lascio scivolare nel sonno, cullato dal calore della
kitsune che sembra già essersi addormentata da un pezzo.
Probabilmente agli altri verrà un coccolone, domani, quando ci ritroveranno
in questa posizione. Magari ci sveglieremo prima. Magari ci guarderemo e ci
picchieremo. Oppure no.
Magari
sarà tutto diverso. Oppure continueremo il nostro tran tran.
Magari
avrò chiari, finalmente, alcuni passaggi del mio rapporto con questo iceberg
che ancora mi sfuggono. Oppure, ancora, rimanderò a domani.
Magari
riderà di nuovo. Magari lo sentirò ridere altre volte durante la nostra
vita.
Nostra
vita. Mi piace come pensiero.
Ma ci
penserò domani.
Owari
Disclaimers: i personaggi non sono miei…
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