You are my Blood
side story IV
di Naika
Le ombre notturne, sinuose, danzano.
Basta una nuvola che vela lo sguardo della
luna...
Un soffio di vento che scuote le grandi chiome
degli alberi...
... ed esse si spostano...
Corrono...
Si nascondono....
Sfumano e... svaniscono.
Si allungano.
Si tendono.
Spiano.
Sussurrano quando il vento fa rabbrividire le
fronde scure degli abeti.
E l’erba sospira, flettendosi sotto il peso di
passi invisibili.
Un fruscio tra gli steli smeraldini.
Lo scricchiolio di un ramo.
Lo sciabordio dell’acqua.
Baluginii fugaci di piccoli occhi lucenti tra le
maglie scure della notte.
Il gracidio di una rana.
Il tonfo di un pesce.
Il suono di piccole zampette che corrono,
raschiano, s’immobilizzano.
E poi di nuovo il riflesso della luna sulle
piccoli iridi spalancate.
Che scrutano.
Sondano.
E poi scappano.
Inghiottite dalle tenebre che le avevano
generate.
Ayako inspirò a pieni polmoni, cercando di
trattenere un brivido mentre si guardava attorno guardinga.
Che cosa si nascondeva al di là di quel muro nero
che la circondava?
L’ombra che si era ritirata veloce, quando la
luce del viale si era accesa, era quella di uno scoiattolo?
Di un topo?
O di qualcos’altro?
“Miao..”
Il piccolo verso, a malapena sussurrato, del
felino, la riportò al presente.
Non aveva nulla da temere, Rukawa non avrebbe
permesso che le facessero del male.
Tuttavia non poteva fare a meno di sentirsi tesa.
Osservata.
La brezza scosse i grandi rami degli alberi
riempiendo l’aria del suo sussurro e Ayako si strinse nel cappotto,
rabbrividendo quando un alito più freddo le sfiorò una guancia, infilandosi
dispettosamente tra i suoi capelli.
Istintivamente lo sguardo corse alla piccola
sagoma nera che camminava tranquilla di fronte a lei.
Il passo del felino era elegante e leggero.
Le zampette vellutate non producevano suono nel
posarsi tra l’erba umida, dando quasi l’impressione che egli, più che camminare,
fluttuasse.
Una creatura nata dalle
tenebre a perfetto agio in quella notte dal profumo misterioso.
Sospirò imponendosi di concentrare i propri
pensieri sul suo compito ma i suoi sensi, all’erta, non potevano fare a meno di
riportarle ogni più piccolo suono, ogni fugace movimento che coglieva con la
coda dell’occhio.
Si volse alla ricerca di rassicurazioni ma il
buio si chiudeva insondabile dietro e davanti a lei senza lasciarle scorgere
nulla, se non ombre vaghe e contorte.
Solo il piccolo sentiero acciottolato era
illuminato, una lunga lingua dorata che si inoltrava in quell’oscurità,
affondandovi fino ad esserne inghiottito.
Si sfregò le mani una contro l’altra
concentrandosi sul familiare suono dei suoi stessi passi.
Rukawa non faceva rumore.
Il vento sussurrava a malapena.
Troppo silenzio.
Troppo buio.
Forse i ‘vampiri’ non avevano saputo che c’erano
dei turisti all’hotel, pensò tra se cercando di distrarsi.
Forse l’avevano saputo ma qualcuno li aveva
informati della natura di Rukawa e avevano ben pensato di non farsi vedere.
O magari credevano che ormai la fama del posto
fosse sufficientemente rovinata.
“Arrivano...”
Il basso avvertimento del vampiro la strappò
bruscamente dai suoi pensieri, spingendola a guardarsi attorno, guardinga. Ma di
fronte a loro c’era solo il sentiero vuoto e il buio.
Si voltò in fretta ma dietro di lei non trovò
ancora che buio e vuoto.
Eppure Rukawa aveva le orecchie appiattite contro
la testa, il pelo irto e gli occhi ridotti a due fessure d’agata.
Che cosa vedeva lui che lei non era in grado di
scorgere?
Che cosa sentiva che lei non poteva udire?
Una bassa, sinistra, risata riecheggiò tra gli
alberi scuri, rincorrendosi tra i tronchi neri.
Il suono di passi affrettati la fece voltare in
fretta, verso la sua destra ma riuscì a malapena a scorgere un ombra che
fuggiva.
“Hai violato il nostro territorio...”
Ayako balzò indietro con un grido quando quelle
parole le accarezzarono l’orecchio, insieme all’alito di vento che le aveva
trasportate.
Sul sentiero di fronte a lei un’ombra più scura
si staccò dalle altre, portandosi al centro della luce.
La manager la osservò attenta mentre Rukawa si
spostava lentamente di fronte a lei.
La macchia nera, in mezzo al viale illuminato, si
allargò prima di gonfiarsi verso l’alto, lentamente, contorcendosi fino ad
assumere sembianze vagamente umane per poi esplodere con un debole suono
viscido, rivelando un uomo dal volto pallido, dipinto di nero.
Istintivamente Ayako fece un passo indietro
voltandosi, ma accanto a lei un’altra di quelle strane bolle si staccò dal buio
liberando un uomo più giovane ma con le stessi vesti scure.
“Dove credi di andare bella signorina...”
sussurrò divertito, questi, un ghigno feroce a tendergli le labbra dipinte di
nero e rosso, così da mettere ancora più in risalto la dentatura bianca.
“Guarda... guarda cosa abbiamo qui...” sussurrò
il primo ‘vampiro’ con voce suadente, facendosi avanti.
“Una bella fanciulla dal sangue caldo...” gli
diede man forte il secondo, muovendo un passo verso la ragazza che, recuperato
il sangue freddo, li fissava con aria battagliera.
Rukawa, che era rimasto immobile accanto alla
manager, si concesse qualche minuto per esaminare i due.
Era tutta messinscena.
Si trattava di due normalissimi esseri umani
teletrasportati lì dallo stregone.
Avevano tutto il necessario per dare spettacolo,
dai lunghi mantelli neri alle coreografiche pitture facciali, ma nemmeno un
grammo di potere in corpo.
Il gatto si sedette sulle zampine posteriori,
arrotolando la bella coda attorno al corpo sottile.
“Troppo facile...” sussurrò, sbadigliando
pigramente, lasciando che la luce lunare scintillasse per un momento sulle
piccole, affilatissime, zanne.
I due uomini sussultarono sorpresi, guardandosi
attorno senza riuscire a capire da dove provenisse quella voce profonda e
spettrale.
Il vento scosse nuovamente le fronde degli
alberi, furiosamente, staccando qualche foglia che li librò per un momento
nell’aria, un ombra nera contro il cielo scuro, prima di ricadere, inghiottita
dalle tenebre.
Ma non tutte quelle ombre caddero.
Alcune d’un tratto si contrassero,
accartocciandosi per poi esplodere, spalancando nell’aria piccole ali sottili.
“Sono solo pipistrelli!” sbottò uno dei due senza
riuscire, tuttavia, a trattenere un brivido mentre vedeva una di quelle piccole
cose compiere acrobazie impazzite nel cielo nero.
“Oh davvero?” chiese Ayako, divertita.
“E come mai hai sentito l’irresistibile impulso
di comunicarci questa tua osservazione a voce alta?” gli fece notare mentre
nello sguardo le lampeggiava una luce soddisfatta.
“Taci ragazzina!” le gridò contro il più vecchio
dei due, senza riuscire a nascondere un certo nervosismo.
La luce aveva cominciato a diminuire
progressivamente, la candida luna piena, infatti, andava oscurandosi dietro i
molteplici veli scuri di una sfilacciosa nuvola nera, che si era silenziosamente
allungata, dal nulla, inghiottendo la luce stellare.
E le ombre si protesero, scivolando liquide,
cibandosi della poca luce rimasta, consumando centimetro dopo centimetro lo
spazio attorno a loro.
“Tu non sai con chi hai a che fare!!!” ringhiò il
ragazzo estraendo un pugnale da sotto la giacca e brandendolo con fare
minaccioso contro un punto non ben precisato.
“Ti sbagli...” soffiò suadente Rukawa
facendo un passo avanti, deciso a porre termine a quella sciocca farsa.
La luce del lampioncino accarezzò la sua
pelliccia scura e le piccole orecchie appuntite traendone riflessi turchini che
si fusero con la notte circostante, disegnando venature vellutate tra le tenebre
nere.
Le ombre si tesero di nuovo, allungandosi con
silenziosa, inesorabile, grazia, lambendo con riverenza la piccola figura felina
il cui manto andava assumendo una tonalità così scura e cupa da far sembrare, al
suo confronto, il buio attorno a loro, ben poca cosa.
Era solo un gatto.
Uno stupido, piccolo, gatto.
Probabilmente da qualche parte c’era qualcuno che
di nascosto gli dava la voce.
Forse l’animale aveva appeso al collo un
microfono.
Doveva essere così.
Che altra spiegazione poteva esserci?
Il ‘vampiro’ continuava a ripeterselo come un
mantra ma la sua mente rifiutava quelle comuni spiegazioni.
La creatura di fronte a lui forse poteva sembrare
un gatto.
Ma non lo era.
E ne ebbe l’assoluta certezza quando vide i suoi
occhi, scintillare divertiti e le sottili labbra feline tendersi in un ghigno
che non aveva nulla di animale.
“Che.. che ca**o è quello?!” non potè trattenersi
dal chiedere, con un ansimo spaventato, l’uomo che ancora non aveva estratto il
coltello.
“Cosa sono io...?” chiese con voce sempre
più bassa, sottile, quasi sibilante, il piccolo micio mentre i suoi occhi
scurivano tingendosi di rosso e le ombre gli si attorcigliavano contro,
avvolgendolo, accarezzandolo, fino a fondersi con il suo manto sempre più scuro,
venendone risucchiate per poi rinascere da lui più grandi e cupe.
Consistenti.
Come se non si trattasse più di mere immagini ma
di esseri viventi, dotati di volontà e pensiero.
Rukawa rise.
Una piccola, sinistra, risatina.
Un suono secco, quasi stridulo che rieccheggiò
tra le tenebre dense per un lungo momento, prima che egli chiudesse la mandibola
con uno schiocco secco, fissando i suoi occhi, sanguigni, su di loro.
“Non riconoscete un Fratello?” chiese
suadente mentre alle sue spalle nasceva una nuova risatina malvagia.
Tra le ombre scure, nascosto nell’abisso di
quella notte stregata, qualcun’altro rideva.
E alla prima voce se ne unì una seconda.
E poi una terza.
Una quarta.
Una quinta.
Finchè ogni angolo di quel buio senza fondo fu
pregno di quella bassa, raschiante, risata di scherno.
“Sono un vampiro!” ringhiò Rukawa,
spalancando di scatto gli occhi scarlatti, facendo esplodere il lampione che
illuminava quell’angolo di parco, con un boato secco.
Una pioggia di frammenti di vetro cadde su di
loro, tintinnando, infrangendosi contro il selciato, cogliendo per un
interminabile secondo l’ultimo riflesso di luce dorata prima che anche quel
fievole bagliore spirasse.
E non rimase che il buio.
Assoluto, intenso, perfetto.
Senza sbavature.
Senza spiragli.
Senza vie di fuga.
Nero.
E silenzioso.
Ayako si guardò attorno sconvolta.
Non riusciva a vedere nulla.
Era come essere diventati improvvisamente ciechi.
Ma non era sorda.
E sentì distintamente il suono dei vetri che
andavano i pezzi sotto il peso di qualcosa di enorme.
Sentì il sussurrante scricchiolio di milioni di
piccole squame che scivolavamo sull’acciottolato.
Sentì l’aria muoversi, contrarsi e gemere.
E poi di nuovo.
Quella bassa risata.
Ripetuta, amplificata,
distorta.
Spezzata dal suono delle mandibole che si
chiudevano e si aprivano per proferirla.
Strascicata dai sibili delle lingue che vibravano
per liberarla.
Amplificata dai teschi vuoti nei quali essa
nasceva.
“Ru... rukawa” pigolò, terrorizzata.
Cominciava a pensare che avrebbe preferito la
compagnia dei due sicari alla maledizione di quel buio senza fine.
Poco lontano un urlo di puro terrore squarciò le
tenebre.
La manager fece un passo indietro incapace di
ragionare.
Voleva solo andarsene.
Uscire da quell’incubo nero.
Un paio di braccia forti le cinsero la vita e la
ragazza non potè trattenersi dal lanciare un grido.
“Shh... sono io...” la rassicurò una calda voce
familiare.
“Hana!” esclamò Ayako sollevata, rifugiandosi
nell’abbraccio dello shadow.
“Non.. non vedo niente” si giustificò piano.
Il rossino ridacchio e la sua voce le parve così
simile a quella degli altri spettri che popolavano quella notte senza luce che,
per un momento, si chiese se era davvero al sicuro con lui.
Infondo un terzo del suo sangue era demoniaco.
“Vedo io per te.” mormorò il rossino cominciando
a spostarsi “Vieni, è meglio togliersi di qui...” sussurrò “...Kaede sta andando
a caccia...” disse con voce bassa e sinistra, che tradiva una nota di sadico
divertimento.
Un’altro urlo spezzò le tenebre e Ayako si
strinse con forza ad Hanamichi che ridacchiò di nuovo, sommessamente.
Sembrava divertirsi.
Si chiese che cosa avrebbe visto se i suoi occhi
avessero potuto scorgere qualcosa.
La pelle di Hanamichi era calda, liscia al tocco,
innaturale.
Che aspetto aveva ora?
Non era così sicura di volerlo sapere davvero.
Per un momento tra l’oscurità la ragazza scorse
lo scintillio fugace di due occhi scarlatti al cui interno brillava una luce
ferina.
Quelli erano gli occhi di Hanamichi?
Quei due pozzi di fuoco impazzito?
Tuttavia la visione scomparve quasi
immediatamente, inglobata anch’essa da quelle tenebre nere, tanto che, Ayako, si
chiese se li avesse visti davvero o semplicemente, la sua paura glieli aveva
fatti immaginare.
Non seppe per quanto camminarono, potevano essere
minuti, ore o anni.
Quel buio senza tempo e dimensione aveva la
capacità di far perdere l’orientamento a chiunque.
Tuttavia Hanamichi sembrava conoscere bene la
strada che percorreva, con sicurezza, seppure avvolto in un inusuale silenzio.
Stava per chiedergli informazioni quando d’un
tratto la brezza notturna le sfiorò le guance e improvvisamente si ritrovò
all’aria aperta, in mezzo al prato dinanzi all’hotel.
Si volse per fissare Hanamichi che tuttavia
sembrava il solito ragazzo di sempre, i suoi occhi del suo, normale, caldo,
color cioccolato.
“Hey! molla la mia ragazza!” disse Myaghi furente
e il rossino si affrettò a liberarla mentre lei accoglieva con gioia l’abbraccio
dell’amato.
Aveva scorto qualcosa che non avrebbe mai dovuto
vedere sulla natura dei suoi due compagni di squadra.
Il loro lato oscuro.
“Rukawa?” chiese Kogure distogliendola dai suoi
pensieri, facendola rabbrividire per un secondo.
Non riusciva a togliersi dalla testa quella
bassa, gelida risata e quel ghignò famelico che aveva innaturalmente contorto il
muso del piccolo gatto nero.
Il vampiro, come se fosse stato evocato dal suo
stesso nome, emerse dalle tenebre con eleganza, sparpagliandole con un gesto
leggero della candida mano.
Le ombre si aprirono, sfumando, andando
nuovamente a fondersi con il buio lontano, ritirandosi, mentre la candida luna
riemergeva dalle coltri scure spargendo la sua luce argentea sulla pelle candida
del moretto.
Solo quando le stelle scintillarono, nuovamente
libere, nel cielo limpido, Ayako e gli altri notarono i due uomini svenuti,
tenuti, poco gentilmente, per il mantello nero, da Rukawa.
L’asso dello Shohoku, li gettò, con noncuranza,
uno sull’altro come se si fosse trattato di bambole prive di peso prima di
spolverarsi le mani contro la camicia blu.
“So... sono morti?” chiese Kogure leggermente
preoccupato mentre Mitsui si avvicinava ai due per controllare.
“Sono solo svenuti...” li informò a voce alta
l’ex teppista prima di voltarsi verso il vampiro che, silenziosamente, si era
accostato al suo compagno e gli aveva cinto la vita con un braccio.
Hanamichi si appoggiò al suo petto con un sorriso
leggero e una strana luce nello sguardo dorato prima di chinarsi e mormorare
qualcosa nell’orecchio del vampiro, che sorrise, malizioso.
“Che ne facciamo di questi qui?” chiese Ryota
interrompendo il silenzioso dialogo privato dei due, fissando i sicari con
astio.
Rukawa scosse le spalle “Portiamoli dentro appena
si riprendono li interrogheremo...” mormorò e gli altri annuirono d’accordo
affrettandosi, senza nemmeno rendersene conto, a tornare all’interno dell’hotel,
lasciandosi alle spalle quella notte e le ombre scure che in essa si erano
dissolte.
continua....
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