You are my Blood

side story I

di Naika

 

Antica ed elegante, la melodia scivolava nell’ampio salone, accarezzandone languidamente le ampie pareti di nuda pietra, attorcigliandosi sinuosa alle grandi colonne di marmo bianco, spiraleggiando attorno ad esse, tra le figure danzanti, salendo fino alla grande cupola stellata, dell’immensa sala da ballo del castello.

Negligentemente abbandonato sul trono, Rukawa, passò una lunga mano diafana sul capo di Irah che aveva liberato le sue lucenti spire attorno allo scranno di marmo levigato.

Il rettile emise un basso gemito sommesso, simile alle fusa di un enorme gatto, socchiudendo gli occhi carminio sotto la carezza leggera del suo padrone mentre questi spingeva lo sguardo poco lontano da se, dove un alta figura slanciata stava tranquillamente discutendo con sua madre.

“E’ bellissimo questa notte, non trovi Irah?” sussurrò con voce bassa Kaede, sollevando una mano candida a scostare una ciocca di capelli corvini che era scivolata a velargli lo sguardo scintillante.

Il demone soffiò piano, sollevando la testa per strofinare l’enorme muso contro il bracciolo di pietra del trono e il vampiro riprese ad accarezzarle ipnoticamente il capo mentre osservava il suo compagno.

Hanamichi indossava un paio di pantaloni neri, di pelle lucente, che gli fasciavano le lunghe gambe con provocante sensualità, e una camicia di velluto, del colore intenso del sangue.

La sua pelle abbronzata assumeva il caldo, ammaliante, colore dell’oro sotto la luce della candele.

I riverberi carminio delle piccole fiammelle disposte sui grandi candelabri d’argento, sembravano cercarlo, sfiorare con baci leggeri i suoi capelli scarlatti, scivolare sul volto angoloso con venerazione, per poi ritrarsi in fretta quando l’aria giocosa che entrava dalle grandi finestre le faceva danzare, quasi fossero timorose di scatenare con le loro lievi, adoranti, carezze, la furia dell’ultimo, l’unico, Demon Master, colui che quella notte stessa era divenuto ufficialmente il Signore Supremo dei Figli della Notte.

 

Fasciato dai lunghi pantaloni di seta nera e dalla cangiante camicia dello stesso tessuto su cui la luce s’infrangeva, creando lo scintillio di mille occhi pericolosi e le languide movenze di lunghi corpi serpentini, Rukawa si era presentato solo poche ore prima, dinanzi ai rappresentanti della Stirpe Oscura, con passo solenne e sguardo glaciale.

Le tenebre avevano danzato per lui, fondendosi con le luci carminio delle candele, mescolando il rosso e il nero in un’ipnotica, antica, danza che aveva riempito la sala riverentemente immobile.

E mentre le ombre e le fiamme, la morte sussurrata dalle tenebre eleganti e la vita gridata dalla luce carminio delle candele, si fondevano in un caos che implodeva nel nulla, disegnando lunghi rami neri sulle altissime pareti e piccole, stellate, foglie rosse, alle loro estremità, egli aveva teso la propria mano.

 

Candida, elegante e solenne.

 

E aveva atteso finchè un’altra mano non era scivolata nella sua.

 

Il, piccolo, argentino, tintinnio delle due fedi che si sfioravano, riconoscendosi, incatenandosi, aveva innalzato il suo canto nel caos facendo ruggire gloriose le fiamme mentre le tenebre spalancavano maestose le loro enormi ali notturne.

Il tempo aveva trattenuto il fiato mentre il buio scivolava lungo le pareti, silente e abissale, colando a rivestire la sala con il suo insondabile manto nero, lasciando che solo gli occhi carminio del fuoco, che galleggiava libero e spettrale, nell’aria immobile, spingesse i suoi riverberi sanguigni sui volti pallidi dei vampiri presenti.

Lentamente Rukawa aveva, allora, allungato l’altra mano e aveva scostato con le lunghe dita candide una ciocca carminio dalla fronte dorata del suo amante.

 

Perchè potessero vedere il suo simbolo.

 

Quel grande acero nero, dalle foglie di fiamma, attorno al cui tronco era attorcigliata la lunga coda della volpe bianca, sulla fronte del suo Shadow.

 

La comprensione aveva spalancato gli occhi dei presenti, schiacciandoli, in ginocchio, uno dopo l’altro mentre il cielo nero veniva spezzato dalla rabbia elettrica dei fulmini e i tuoni innalzavano il loro osanna.

Un unico solenne “Blood!” aveva unito in una sola le voci possenti dei capi clan, mentre attorno ai due regnanti le tenebre e le fiamme si tendevano, adoranti, allungandosi sensuali a venerarli con le loro lunghe mani fatte d’ombra e fuoco.

 

Rukawa si riscosse dai suoi pensieri quando Hanamichi risalì i due gradini che portavano alla candida piattaforma, coperta da sete scure e da cuscini carminio su cui erano stati posti i due alti scranni.

Irah scostò obbedientemente la coda, negligentemente abbandonata attorno ad essi, per farlo passare quando lui le si avvicinò, facendo frusciare le scaglie scure, i cui riflessi andavano fondendosi con le ombre violacee delle sete e i giochi rossastri delle fiamme.

Sakuragi porse al compagno un calice sottile in cui un vino dal colore cupo, quasi quanto il sangue, scintillava invitante e il vampiro lo prese dalle sue dita bagnandosene le labbra, sfiorando appena il prezioso cristallo finemente lavorato.

“Quanto ancora dovremo restare qui kitsune?” chiese il rossino sedendosi sul trono accanto allo sposo, spingendo indietro una ciocca rossa che era scivolata a velargli le iridi color cioccolato.

“Ti senti fuori posto?” gli chiese il vampiro, deponendo il bicchiere per intrecciare le sue dita candide alle sue.

“Mi sento osservato...” borbottò il rossino con una scrollata di spalle.

Kaede annuì, poteva capire il disagio del compagno ma era quello lo scopo del Conclave.

Al loro ritorno i capi clan avrebbero parlato del suo potere, avrebbero fatto rispettare le sue nuove leggi, ma soprattutto avrebbero descritto ad ogni altro vampiro l’aspetto del SUO compagno.

 

Colui, a cui, nessuno, avrebbe più dovuto osare avvicinarsi!

 

“Credo che siamo rimasti qui abbastanza...” mormorò il vampiro “...e poi mi è venuta fame...” sussurrò abbassando il volto per soffiare quelle parole direttamente nell’orecchio del compagno, facendo scivolare il suo alito caldo sul collo del rossino che rabbrividì, scostandosi in fretta, mentre le sue guance si tingevano di un leggero rossore.

“Kitsune hentai!” sbottò.

Rukawa ridacchiò sommessamente prima di alzarsi e tendergli nuovamente una mano.

La musica si arrestò immediatamente mentre i capi clan si voltavano verso il trono.

Kaede li ignorò, mentre Hanamichi faceva scivolare nuovamente la mano nella sua, fermandosi ad osservare per un momento i riflessi delle candele rincorrere le ombre sulle fedi scarlatte.

 

Due cerchi di fuoco e tenebra.

Come le loro vite.

 

Due cerchi che accostati, legati, formavano un piccolo otto.

Il simbolo dell’infinito.

Come il loro amore.

 

Sorrise a quel pensiero stringendo la mano del suo compagno.

“Sei libera di andare ora, Irah...” sussurrò, voltandosi per un momento verso il demone, prima di scomparire con Hanamichi in un elegante voluta di fumo nero.

Il grande cobra nero osservò il suo padrone e il suo shadow scomparire tra le maglie del teletrasporto e sbadigliò lentamente, spalancando le enormi fauci lucenti, prima di srotolare le lunghe spire dal trono e tramutarsi anch’essa in tenebra.

La fiammella di una candela si staccò dal corpo di candida cera scivolando tra le sete scure, tracciando un cerchio all’interno del quale saettò veloce, disegnando i contorni di una stella rovesciata.

Il Demone lanciò uno sguardo annoiato ai presenti che la fissavano immobili e tremanti, prima di scuotere la testa con indifferenza e tuffare il capo nel varco oscuro che si apriva tra le punte della stella infuocata, scomparendo nella sua dimensione, mentre l’intera sala tirava un lungo sospiro di sollievo.

 

Quando le spire dell’incantesimo attorno a loro si dileguarono Hanamichi potè rivedere di fronte a se i familiari contorni della loro camera da letto.

Le prime luci dell’alba scivolavano nella stanza bagnandola con la sua soffusa luce rosata, rendendo evanescenti i contorni della mobilia dormiente.

Hanamichi sbadigliò pigramente stendendo i muscoli un po’ indolenziti, il teletrasporto gli faceva sempre uno strano effetto.

“Stanco?” soffiò piano Rukawa facendo scivolare le braccia a cingergli la vita mentre la sua bocca scendeva a sfiorargli con piccoli baci la pelle tesa della mascella.

Sakuragi emise un piccolo sospiro lasciandosi coccolare, il capo reclinato sulla spalla sinistra del suo amante mentre le mani di questi salivano ad accarezzargli i fianchi per poi spingersi lentamente sotto la camicia purpurea.

“Ru...” ansimò il rossino, tendendosi.

“Hn..?”

“Hai le mani ghiacciate!!” rise Hanamichi aprendo gli occhi e staccandosi dall’abbraccio del compagno, guadagnandosi un’occhiataccia da parte sua.

“Do’hao!” sbottò questi.

“Baka kitsune!” gli rispose a tono il rossino, divertito dall’aria offesa dell’amante.

Gli occhi dell’asso dello Shohoku scintillarono maliziosi nell’osservarlo.

 

Il suo do’hao aveva freddo?

Bene... ci avrebbe pensato lui a scaldarlo!

 

Con un gesto elegante della mano liberò il suo potere smaterializzando i vestiti dello shadow che riapparvero poco più in là, adagiandosi con un ‘flop’ sulla poltroncina accanto al letto.

“Maledetta volpe, antipatica e scorretta!” protestò Hanamichi imbarazzato, sollevando in fretta una mano per richiamare il suo potere.

Una piccola, sfrigolante, palla di fuoco saettò veloce contro Rukawa ma s’infranse sullo scrittoio dato che questi si era teletrasportato all’ultimo secondo, evitando il colpo.

Il vampiro emerse dal pavimento, alle spalle del compagno, facendogli scorrere con sensualità una mano lungo la spina dorsale, abbassando le labbra per sfiorare con la punta della lingua la piccola ferita che il suo morso aveva lasciato sul suo collo, solo due notti prima.

Hanamichi socchiuse le labbra lasciandosi sfuggire un piccolo gemito e un brivido che ebbero effetti piuttosto evidenti sul suo corpo e proporzionalmente devastanti sull’autocontrollo del vampiro.

Tuttavia il rossino non aveva intenzione di darsi per vinto.

Si voltò infatti per cercare di colpire il compagno che si affrettò a sparire nuovamente per evitare la sua fiammata.

“Fatti vedere codardo!” sbottò Hanamichi, guardandosi attorno con occhi ardenti.

Kaede rimase invece immobile e invisibile, incapace di muoversi di fronte alla visione di quel corpo nudo, bagnato dai raggi perlati dell’alba.

La pelle dorata sembrava fondersi in quella luce, sciogliendosi in essa, i capelli resi fuoco vivo dai raggi del sole, gli occhi due tizzoni ardenti, fiammeggianti della gioia della sfida, che sondavano la stanza in attesa di poterlo affrontare, combattere e sconfiggere.

Uno splendido Marte forgiato dal fuoco, la muscolatura perfetta così invitante, il membro semi eretto, tra le gambe, per le carezze ricevute.

Rukawa, scosse lentamente il capo, era giunto il momento di smettere di giocare.

Silente, riapparve di fronte al compagno, lasciando che le lunghe volute di fumo nero si attorcigliassero al suo corpo facendo volare la camicia nera che aveva iniziato a liberare dal giogo dei bottoni.

Occhi scarlatti si accesero tra le ombre e una piccola spirale più scura delle altre si staccò con un ansito dal fumo, portando lontano l’indumento per poi gettarlo sopra quelli dello shadow del suo signore.

Lentamente Rukawa portò entrambe le mani alla cerniera dei pantaloni slacciandoli per poi lasciarli cadere a terra, assieme ai boxer.

Li scavalcò con grazia, ignorandoli, lo sguardo incatenato a quello del suo amante che era rimasto immobile, senza fiato, a guardarlo.

Con passo elegante e sinuoso il vampiro coprì la piccola distanza che li separava allungando una mano pallida per sfiorare la pelle dorata del compagno.

Il sole bagnò d’oro ed argento le sue dita quand’esse sfiorarono la gota del suo amante.

“Nonostante tutto, ti amo lo sai?” gli sussurrò il volpino piano, con un lieve sorriso sulle labbra.

“Tzè..” sbottò Hanamichi “...che credi? Anch’io ti amo solo perchè sono il Tensai dei misericordiosi...” gli rispose a tono prima di allungare le braccia e stringergliele attorno al collo e Kaede, sorrise nuovamente, posandogli le mani sui fianchi nudi attirandolo a se per far combaciare i loro corpi e le loro labbra.

Avvolti dal tiepido abbraccio del sole nuovo, le loro bocche si cercarono, si trovarono e si incatenarono, per suggellare ancora una volta l’unione delle loro anime con la fusione dei loro corpi.

 

La sveglia segnava le dodici e trenta quando Hanamichi venne svegliato da un allegro: “Buongiorno!” trillato da una voce ben nota.

“Reika..” borbottò assonnato, affondando il capo nel cuscino.

“Suvvia sposino hai dormito abbastanza! Ru è già in piedi da un bel po’!” disse la ragazzina posando sul comodino un vassoio su cui faceva bella mostra una tazza di caffè fumante e alcuni croissant.

Hanamichi si trattene dal far notare a Reika che erano le sei del mattino quando lui e Rukawa avevano fatto ritorno a casa e non avevano certo dormito una volta a letto!!

Se era riuscito a riposare qualche ora era da doversi al fatto che, dopo aver bevuto il suo sangue, Kaede aveva preferito lasciarlo dormire ritornando al castello per salutare come conveniva i capi clan che ripartivano per tornare nelle loro dimore.

L’odore del caffè e quello del cibo tuttavia ebbero il potere di ricordare al rossino che aveva parecchie energie da recuperare, per cui con uno sbuffo si mise a sedere nel grande letto sfatto, badando bene di coprirsi con il lenzuolo candido.

Reika lo osservò addentare un cornetto soddisfatta, prima di chiedere, curiosa: “Allora come è andata ieri sera, maestà?!”

 

A lei era stato proibito di presenziare alla festa.

“Troppo giovane...”, le aveva detto Karen, “...è una riunione riservata ai più antichi e potenti tra noi.”

 

Hanamichi per poco non si soffocò con la brioche.

“COME MI HAI CHIAMATO?” chiese, tossendo, riscuotendola dai suoi ricordi.

“Bhe dato che Kaede è stato incoronato ufficialmente Signore dei Vampiri e che tu sei il suo consorte diventi automaticamente il nostro sovrano anche tu!” gli espose gongolante Reika.

Hanamichi la fissò per un secondo senza sapere che dire, prima che nei suoi occhi scintillasse una luce d’esaltazione.

“In effetti non c’è termine più adatto per il Tensai...” disse immaginandosi con tanto di corona e scettro.

 

Mi’hao...

 

Il miagolio stranamente profondo, per essere uscito dalla gola del piccolo felino nero, fece sussultare i due.

Il gatto balzò elegante sul grande letto, andando ad accoccolarsi sulle gambe di Hanamichi lanciando uno sguardo alquanto eloquente alla cugina.

“Se.. sei già tornato?” chiese Reika facendo un passo indietro, verso la porta.

Rukawa soffiò minacciosamente, non aveva bisogno delle parole per spiegarsi, i suoi occhi felini stavano assumendo una, quanto mai pericolosa, sfumatura carminio.

“Bhe allora io va... vado...” disse svignandosela alla velocità della luce prima che il cugino decidesse di aizzarle contro qualche demone minore, tanto per ribadire il concetto che la loro camera da letto, per lei, era off limits.

Hanamichi ridacchiò prima di riprendere a sorseggiare il suo caffè, portando quasi automaticamente una mano dorata a scivolare tra il pelo scuro del gatto, che chiuse gli occhi prendendo a fuseggiare piano sotto le sue mani.

Rimasero così, in quieto silenzio, per alcuni minuti prima che il suono del campanello facesse sollevare il capo a Kaede.

“Non si può proprio stare in pace oggi!” sbottò il rossino alzandosi dal letto.

Rukawa balzò a terra con eleganza, osservando il suo compagno indossare un paio di pantaloni scuri e infilarsi in fretta la felpa rossa che gli aveva regalato Yohei l’anno prima, per il suo compleanno.

Gli stava dannatamente bene quell’indumento, osservò con occhi scintillanti, il micio, mentre seguiva con passo indolente la carica del suo amante verso la porta d’ingresso.

“Chi è?!” tuonò Hanamichi spalancando l’uscio con un aria battagliera che avrebbe fatto fuggire a gambe levate chiunque.

Bhe, chiunque a parte la bella ragazza dai lunghi capelli ricci che tirò una violenta sventagliata sulla testa del rossino.

“Ti pare il modo, questo, di salutare un’amica!” protestò Ayako entrando in casa seguita da Mitsui.

“Ayako!” protestò il ‘ferito’ massaggiandosi il capo.

“Non dirmi che abbiamo interrotto qualcosa?” insinuò Mitsui entrando in casa, seguendo il gesto d’invito del rossino “Certo che tu è Rukawa siete peggio...”.

“Pensa al tuo di ragazzo!” lo interruppe bruscamente Hanamichi, cercando di non arrossire violentemente.

L’ex teppista però non raccolse la provocazione dato che i suoi occhi avevano, solo in quel momento, notato il regale gatto nero come la notte che li fissava immobile, pochi passi più indietro, la lunga coda stesa attorno alle zampe posteriori, le anteriori diritte, composte, il capo alto, in posizione fiera.

Sarebbe sembrato in tutto e per tutto una di quelle splendide statue egiziane che ritraevano la Dea Gatto se non fosse stato che i suoi occhi blu erano lucenti d’attenzione.

“Wow!” esclamò Ayako incantata, fissandolo, mentre Hanamichi sbuffava.

Possibile che il suo ragazzo riuscisse a far innamorare le ragazze anche nella sua versione felina?

“Mi aspettavo che Rukawa avesse un gatto...” disse divertito Mitsui prima che Hanamichi avesse modo di aprire bocca per spiegare loro la situazione.

Il tiratore da tre punti intanto si era chinato e aveva allungato una mano per accarezzare il ‘micio’.

“No!” esclamò Sakuragi rendendosi conto in ritardo delle intenzioni del compagno di squadra.

Il gatto soffiò pericolosamente sollevando una zampa fulmineo, per allontanare la mano tesa, e solo i riflessi pronti dell’ex teppista, risvegliati dal grido di Hanamichi, gli permisero di salvare il suo prezioso arto dai lucenti artigli del felino.

“Accidenti ha lo stesso caratteraccio del padrone!” sbottò Hisashi fissando con astio la bestiola.

“Chissà perchè?” chiese una voce divertita e profonda mentre sotto gli occhi increduli del ragazzo la sagoma del gatto si allungava, tramutandosi in fumo nero, denso, che spiraleggiò fin quasi il soffitto per disperdersi poi senza rumore, rivelando un Rukawa dallo sguardo scintillante d’ironia, ancora vestito con i leggeri abiti di seta nera che aveva indossato per portare i suoi saluti ai capi clan in partenza.

“Volete una tazza di te?” chiese tranquillamente passandosi una mano tra i capelli corvini, con eleganza, dirigendosi verso la cucina come se niente fosse.

Hisashi invece continuò a boccheggiare finchè il vampiro non sparì nella stanza attigua prima di voltarsi verso Hanamichi che faceva chiaramente fatica a trattenere le risate.

Il rossino sollevò entrambe le mani sotto lo sguardo d’accusa del compagno di squadra “Non mi hai dato il tempo di avvertirti!” si difese.

“Bhe... e io che pensavo di non riuscire più a stupirmi...” mormorò Ayako scuotendo la testa, sedendosi sul divano indicatole da Hanamichi.

Rukawa li raggiunse poco dopo, deponendo le tazze con il the sul tavolinetto di cristallo di fronte a loro.

“Come mai da queste parti?” chiese Hanamichi curioso dopo che i due si furono messi a loro agio, ed essersi a sua volta seduto accanto al suo sposo. “E dove hai lasciato Ryota?” chiese divertito ad Ayako.

La ragazza sorrise bonariamente “E’ andato con Kiminobu a ritirare i biglietti...” disse deponendo la sua tazza di the.

“E’ proprio di questo che volevamo parlarvi...” aggiunse  Mitsui “...il mio Koi ha vinto ad una pesca di beneficenza un week end di soggiorno per sei a Okkyoto” spiegò.

“Si tratta di una piccola cittadina di montagna che sorge sulle rive di un grande lago, il depliant parlava di rilassanti pomeriggi tra i boschi e splendide gite in barca” aggiunse dato che lui stesso aveva dovuto chiedere delucidazioni sul posto quando Kogure gli aveva dato la notizia.

“Vivono praticamente solo sul turismo...” aggiunse Ayako “...la stessa vacanza, vinta da Kogure, è una specie di trovata promozionale.” spiegò.

Hanamichi li ascoltava attentamente, la domenica successiva sarebbe stato Halloween e lui non aveva un bel ricordo di quel giorno.

Un week end di relax al lago, lontano dalla confusione della città, con altre due coppie di amici, in un paesino tranquillo dove probabilmente nemmeno si sapeva che cos’era un vampiro o una strega, sarebbe stato l’ideale!

“Allora che ne dite di aggregarvi a noi?” chiese Ayako sorridente.

Hanamichi si voltò a fissare la volpe, incerto.

Non sapeva se, in quanto neo eletto signore dei vampiri, avesse qualche compito particolare da assolvere in quella notte così particolare, e prima di dare una qualche risposta era meglio sincerarsi che la volpe non avesse impegni.

Dopo di che, naturalmente, glieli avrebbe fatti disdire per andare al lago con lui!

Rukawa tuttavia, gli risparmiò la fatica, annuendo con il capo alla silenziosa domanda posta dai suoi occhi scuri e Hanamichi fu entusiasta di accettare per entrambi, la proposta di Ayako e Mitsui.

 

Solo pochi giorni più tardi, dunque, le tre coppie si ritrovarono sulla banchina dell’unico treno che conduceva a Okkyoto, con le valige al seguito.

Rukawa, ben ricordando la mole di bagagli che il compagno aveva preparato l’ultima volta che erano partiti per un viaggio aveva provveduto personalmente alle sacche, nonostante le proteste e qualche pugno volato tra lui e il rossino.

La lotta finiva sempre, comunque, per risolversi tra le lenzuola, e i bagagli erano stati dimenticati così a lungo che alla fine avevano dovuto per forza di cose raccattare il minimo indispensabile e correre alla stazione se non volevano perdere il treno.

Il locomotore e le due piccole carrozze a rimorchio giunsero in ritardo di parecchi minuti ma i ragazzi non vi fecero molto caso, felici di poter finalmente partire per l’agognata vacanza.

Le carrozze erano evidentemente nuovissime e si rivelarono anche molto comode.

I sedili erano di un bel verde rilassante, abbinato con le piccole tendine che velavano i finestrini e  il viaggio fino ad Okkyoto, che durò alcune ore, fu molto piacevole, il tempo trascorse velocemente tra le chiacchiere e qualche insulto volato tra Hanamichi, Ryota e Mitsui che continuavano a becchettarsi un po’ su tutto.

La vacanza era iniziata dunque nel migliore dei modi e i ragazzi scesero ridendo e scherzando sulla banchina della stazione d’arrivo.

Anche la piccola biglietteria era evidentemente nuovissima, il legno era lucido e le insegne dorate che davano il loro ben venuto ai viaggiatori scintillavano sotto la luce del sole.

Hanamichi chiuse le palpebre gettando indietro il capo per respirare a pieni polmoni l’aria montana.

Sorrise, felice, con gli occhi chiusi e le braccia spalancate mentre le brezza limpida gli scostava i capelli rossi dalla fronte e il sole giocava con le ciocche carminio, disegnando riflessi dorati sulla sua pelle.

Inconsciamente Rukawa gli si avvicinò e gli cinse possessivamente la vita con le braccia, facendolo sorridere ancora di più.

“Hai sentito com’è buona l’aria di montagna?” chiese il rossino con gioia fanciullesca, aprendo gli occhi per cercare quelli del compagno.

Rukawa annuì piano.

Era così bello il suo do’hao con gli occhi lucenti d’entusiasmo, avvolto nell’abbraccio del sole.

Così caldo e contagioso quel suo sorriso di gioia innocente che anche la sua maschera di ghiaccio dovette sciogliersi per lasciar affiorare sul suo volto un piccolo sorriso di risposta.

“Miracolo!” lo prese in giro il rossino, con affetto.

“Do’hao...” fu l’altrettanto dolce rimprovero prima che la domanda di Kogure li riportasse al presente.

“Non vi sembra strano?” mormorò il ragazzo, guardarsi intorno con attenzione, voltandosi verso gli altri.

 “Che cosa?” gli chiese Mitsui facendogli scivolare dolcemente un braccio intorno alla vita.

In effetti c’era qualcosa di strano in quella stazione nuovissima.

 

Era deserta.

 

“Siete turisti?” chiese una voce stupita facendoli sussultare.

Un uomo, con una divisa nera e blu, era uscito dalla piccola biglietteria non appena si era accorto che c’era qualcuno sulla banchina.

Il tono incredulo e gli occhi sbarrati dallo stupore del nuovo arrivato, che dall’abbigliamento aveva tutta l’aria di essere il capo stazione, fece alzare un sopracciglio sorpreso a Rukawa e scatenò molte perplessità negli altri.

“La cosa vi stupisce così tanto?” chiese Mitsui per tutti.

L’uomo scosse la testa cercando di correggere in fretta la sua gaffe.

“No, no...” disse lanciando uno sguardo che sembrava piuttosto preoccupato, ad Ayako.

“Se cercate l’hotel, l’unico che c’è qui è quello in centro, sulla piccola collinetta in riva al lago.” disse cercando di cambiare discorso, stampandosi in faccia un quanto mai incerto e chiaramente falso, sorriso di cortesia.

“Si.. si vede anche da qui!” disse indicando loro una grande costruzione in stile classico di cui si potevano scorgere le mura eleganti anche dalla stazione.

“Ci vogliono dieci minuti a piedi, se vi affrettate arriverete per l’ora di pranzo!” concluse velocemente cercando di allontanarsi con la stessa celerità.

Ma Ryota, a cui non era per nulla piaciuto lo sguardo che l’uomo aveva lanciato alla sua ragazza, lo afferrò saldamente per il colletto della giacca, impedendogli la fuga.

“Non me la racconti giusta amico! Che cos’è che non ci hai detto?” gli chiese minaccioso.

Il pover’uomo provò a liberarsi della presa ferrea del ragazzo, senza molto successo, prima di lanciare uno sguardo agli altri.

Anche se fosse riuscito a sfuggire alla presa del suo aguzzino aveva seri dubbi che gli altri non sarebbero intervenuti.

Sospirò abbassando il capo rassegnato.

“Vedete è da quasi tre mesi che qui non si vede un turista...” mormorò tristemente “...da quando sono cominciati...” sussurrò, la voce che si abbassava progressivamente di tono, tanto che i ragazzi non udirono le ultime parole.

“Cominciati cosa?” pressò Mitsui che voleva vederci chiaro.

Il capo stazione alzò gli occhi su di loro in modo che potessero leggere sul suo volto che non era un pazzo, ma che stava dicendo la verità.

 

“Da quando sono cominciati gli attacchi dei vampiri....” mormorò.

 

continua....

 


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