Wrong days
Parte I
Di CastaliaRimu
Avete presente quando vi svegliate una mattina e in cuor vostro vi dite : “Hei, ma qui c’è qualcosa di sbagliato sai?”..Certo, alla fine è la vostra coscienza che prevale e vi dice, con tono suadente, “Ma smettila, rompicolglioni, che hai da lamentarti?”..Beh, non è che sia proprio una lamentela a dirla tutta, è un piccolo fastidio, un attimo di tempo in cui credete davvero che manchi qualcosa di fondamentale per poter essere a posto con voi stessi.
Questo è quello che in cuor suo si disse Davide al compimento del suo quindicesimo anno d’età.
Aveva la ragazza, aveva la compagnia degli amici, aveva una famiglia severa ma affettuosa per quel che basta a rientrare nello standard, a scuola faceva un po’ schifo, ma hei!, chi vuoi che pretenda qualcosa da un adolescente e per di più quindicenne?
A lui stava bene così, era felice, per quel che sia possibile nel quotidiano andirivieni di casini, pensieri anche quelli scarseggiavano, lo scooter, la play 2 che a forza di rompere i sacrosanti al padre presto era sicuro di ottenere e così via.
Un ragazzo normale, con una vita normale.
Ma ecco che alla fine tutto quel discorso sul qualcosa che “manca” torna a farsi vivo. Perché si sa, la felicità eterna, così come la tranquillità, sono cose che convivono col genere umano in sole due occasioni: nel delirio e nei sogni adolescenziali.
Tutto cominciò un pomeriggio di fine marzo, il nostro ragazzo normale stava passando una giornata normale con la sua ragazza, una bella moretta dagli occhi verdi di nome Lavinia che tentava di approfondire, se così mi è permesso di dire, la loro esperienza in campo di sesso. Il nostro, da parte sua, non aveva certo voglia di cadere dal ruolo di sanissimo ed arrapato quindicenne in piena tempesta di ormoni, per cui, cominciò a darsi da fare.
Ma! Eccoci qui, il grande momento, squillino le trombe e si alzi il sipario, mai avere troppa fiducia nel destino e, soprattutto nei carissimi sovracitati ormoni.. nella fattispecie quando si arriva al punto clou della situazione e.. Patatracchete! Non funziona un bel niente!Niente matador, niente tombeur des femmes! No, no ! Cilecca !
Ora, come uscire dalla situazione? Davide, dal canto suo, troppo sconvolto dalla cosa rimase a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua, le pupille così dilatate dallo shock che facevano a gara con le dimensioni di un piattino da caffè e il suo amichetto dei piani bassi che ancora se ne stava beato e felice a sonnecchiare. Ma la cosa più eloquente di tutte le altre, e qui ce ne vuole davvero, furono le parole della ragazza che ancora non sapeva se arrabbiarsi o sentirsi orrenda al punto da non riuscire nemmeno a fare il suo sano dovere di femmina.
-Cioè, ma, cos’ è sei gay?-
Ed eccola qui, la password, la parolina magica al magnifico regno del dubbio! La vera ed unica concorrente della più famosa apriti sesamo..Anche se qui, alla fine, si aprì solo un gran casino, altro che tesoro dei quaranta ladroni.. Il nostro biondino ci rimase ancor più di sasso:
-Ma no!-
Ah, beh, allora questo spiega tutto.
Dopo questo avvenimento, le cose divennero difficili. Niente più serate-birra con gli amici, niente più risate fatte tanto per far casino, niente più donne, niente più pace. La tizia, Lavinia, non aveva certo perso tempo a sbandierare ai quattro venti il fatto famoso, con la bastardaggine tipica dell’età e tutte le sparlate annesse e connesse che ne vennero dietro come la più ovvia conseguenza.
La sua vita si chiuse improvvisamente al mondo dei giochi, niente più baldoria, niente più sicurezze. La normalità che considerava ovvia gli venne tolta e come unica cosa che alla fine gli rimase da fare, ci fu quella di chiudersi in casa e inveire contro il mondo bastardo che lo aveva fatto precipitare nella categoria più odiata, più bistrattata e maledetta dai giovani, i cosiddetti: “sfigati”. Tale termine, non si riferisce infatti alla sola e semplice sfortuna, ma a quel determinato sottogruppo di esseri umani classificato e creato dagli adolescenti “trendy”, per definire coloro che escono dal coro e che quindi sono inaccettabili.
I genitori di Davide non riuscivano a capacitarsi di un così repentino cambiamento, tanto che alla fine si diedero risposta da soli, dicendosi che era solo un momento e che sarebbe passato. Mai errore più grande fu fatto che dar le cose per scontate e affidarle al naturale scorrere del tempo, così famoso per aggiustare sempre tutto. In effetti, alla fine che si può pretendere? Certe situazioni sono famose per farsi beffe di tutte le regole, sono semmai le cosiddette eccezioni che le confermano.. ma anche qui, non è che si dica poi tutta la verità.
Poi successe davvero il fattaccio, ovvero la presa di coscienza. Di che cosa? Beh, del fatto innegabile che niente sarebbe più tornato come prima, perché lui stesso era cambiato. L’adolescenza non è forse l’età del cambiamento? Ebbene, eccolo qui, il tanto temuto, maledetto, schifoso cambiamento.
Solo che fu una cosa insolita, forse ancor più delle altre che già erano avvenute, soprattutto per il fatto che mandarono Davide quasi fuori di testa.
Dunque, era una mattina piuttosto fredda per essere maggio, ci saranno stati sì e no dodici o tredici gradi. I passi si susseguivano ai passi, forse un po’ troppi tutti insieme per i suoi gusti, ma si stava abituando pian piano a godersi la solitudine che ora era obbligato ad accettare. I capelli biondi si stavano ricoprendo di un sottile strato di umidità che li rese lucidi e bagnatici e prese a bistrattarseli, tanto per cercare un minimo di sollievo. Si sedette alla pensilina, aspettando l’autobus che lo avrebbe portato in città: basta paese, basta cazzate: voleva semplicemente godersi la giornata.
Nelle orecchie aveva il solito cd dei Dark Tranquillity, altrimenti non sarebbe riemerso dal coma post risveglio con cui conviveva da quando aveva cominciato a dormire male... Sarebbe andato a comprarsi qualche nuovo cd, forse si sarebbe concesso un paio di vasche nella via principale, giusto per ritardare il ritorno a casa dove lo aspettavano le ormai abituarie fughe dai suoi, che non facevano che rompergli per capire che cavolo stava accadendo al loro “bambino”. E poi voleva un caffè..Dio, quanto voleva un caffè. Sapeva il posto giusto, dove tenevano anche la gazzetta dello sport che tutti si scroccavano senza aprir bocca. L’autobus arrivò sferragliando un po’; era ancora uno di quei modelli vecchi, quelli arancioni degli anni settanta uguali uguali a quelli che usavano i suoi da giovani. Prese il suo solito posto in fondo, dove poteva occupare tutti e cinque i sedili posteriori sdraiandocisi sopra, nessuno dice mai niente, non hanno il coraggio di dirgli nulla gli adulti.
Il paesaggio cominciò a scorrere sotto i suoi occhi ancora semi assonnati sebbene il volume della musica fosse al massimo, che persino l’autista poteva afferrare il ritornello della canzone; ma niente, quella mattina proprio non c’era verso. Sarà che comunque erano ancora neanche le otto..
Come cavolo gli era preso di alzarsi così presto, nemmeno lui lo sapeva.
Vide che alla sua fermata mancavano circa cinque minuti, forse meno, e cominciò a prepararsi all’idea di muovere le gambe dalla posizione comoda che avevano. Dopo due minuti di mentali: “muoviti coglione che qui fai notte”, suonò il campanellino della fermata e si mosse verso le porte centrali, afferrando i pali di fianco ai sedili per non perdere l’equilibrio e ritrovarsi come per magia dall’altro capo dell’autobus. Arrivato a destinazione, si sfilò gli auricolari dalle orecchie e, alzando lo sguardo alla sua sinistra, incrociò un altro paio di occhi che lo fissavano assonnati come i suoi, ma che s’illuminarono appena lo riconobbero.
-Davide?-
-Hei Marco.-
Questo Marco frequenta la stessa classe di Davide, all’istituto tecnico. Solo che lui è della città e non lo ha visto praticamente mai fuori dall’orario di lezione. Marco è un metallaro mezzo dark, capelli neri, matita nera sotto gli occhi, vestiti di pelle sempre nera e così via..Siccome Davide ascolta metal si erano ritrovati praticamente da subito a discutere di musica, unico punto in comune tra loro. Ma chissà, data la piega della situazione, forse potevano diventare un po’ più amici..
-Come mai qui così presto?-
-E tu?-
-Cazzeggio. Forse un cd.-
-Nh, pure io.-
-Scendi?-
-Sì.-
-Andiamo insieme?-
-Se non ti rompe.-
-Ok, fatta.-
Scesero e si diressero assieme verso il Mistral, il loro solito negozio. Non c’era mai casino lì, poca gente anche se non si capiva bene il perché; il negozio aveva sempre bella scelta. Ma in fondo, a loro piaceva così, anche se Davide amava di più altri ambienti, prima che succedesse il casino; ora però, amava la tranquillità, strano a dirsi se si parla di lui.
Scorsero le solite band, i cd che ancora gli mancavano e che alla fine ascoltavano solo a metà. Bastava che fosse musica pesante al punto giusto e tutto andava da Dio.
Scelsero e uscirono.
-Che si fa adesso?-
-Pensavo di andare a prendermi un caffè.-
-Sì, forse è meglio che me lo prenda anch’io.-
-Ancora a letto?-
-Perché tu no?-
-Già.-
Strano, solo in quel momento, Davide si accorse di quanto fosse bello cambiare compagnia. Andava bene se parlavano poco, andava bene se alla fine non facevano un bel niente di diverso dal solito, contro gli schemi, le solite cazzate che faceva prima con la sua compagnia. Era solo passeggiare e silenzio, l’odore di fumo delle sigarette che si fumava Marco praticamente una dietro l’altra.
E allora? Cioè, non gli dispiaceva, non sentiva la necessità di fare per forza qualcosa, di dire per forza qualcosa.
Non doveva mantenere un’immagine.
Era semplicemente lì. E la cosa non gli dispiaceva, in fondo.
Sentiva sempre, però, quel qualcosa che mancava, quel piccolo angolino di fastidio che non ne voleva sapere di scomparire..il bello era che più ci pensava, e meno arrivava a capire che diamine fosse.
-Marco..-
-Oh.-
-Cioè, ti sembro strano?-
-Ah?!-
-Non fa niente, lascia stare.-
-Se lo hai detto, vuol dire che qualcosa è.-
-Boh, forse..-
-Successo qualche casino?-
-Più o meno. Ho mollato la compagnia.-
-Perché?-
-Mi rompevo. Poi è successo un mezzo casino, comunque.-
-Capito.-
-Davvero?-
-Sì, beh, è capitato anche a me. Tutti truzzi, che ci stavo a fare io?-
-Hai ragione.-
Passarono davanti ad un’insegna con su scritto “Da Toni”. Il dialogo si interruppe un attimo, mentre Marco si fermava davanti all’entrata.
-Va bene qui?-
-Certo, ci vengo sempre; a scrocco c’è la gazzetta dello sport.-
-Capito.-
La porta si aprì con un cigolio, chissà da quant’era che non ci mettevano un po’ d’olio. Il vecchio Toni, il proprietario, era uno a posto, non gli rompeva se fumavano o chiedevano alcolici. Meglio ancora se facevano fuga dalle lezioni, nessuno gli diceva nulla a loro. Anzi, guadagno in più.
-Ehi ragazzi.-
-Ohi Toni.-
-‘giorno Toni.-
-Come mai di domenica mattina già qui?-
-Cazzeggio.-
-..e cd.-
-Allora avete fatto bene. Che vi porto?-
-Per me una Guinness.-
-Idem.-
-Ok!-
Si bevvero la birra, mentre Davide si leggeva la gazzetta. Quel che il nostro ancora non sapeva è che quella mattina avrebbe finalmente capito cosa fosse il tanto decantato cambiamento di cui prima abbiamo detto. Si dice spesso che il destino apre porte misteriose, ma qui alla fine, si parla di cose comuni, niente avventure fantascientifiche, niente trame scontate. Solo un grande enorme sbattere col muro della realtà.
Il cigolio della porta che si apriva mosse l’aria di chiuso che ricopriva ogni cosa dentro il bar, lasciando che quella fredda delle otto e mezza si mischiasse al tutto. Davide mosse appena gli occhi dal risultato della partita Parma-Milan, senza tuttavia rendersi conto bene di quel che gli accadeva intorno.
-Papà?-
La voce di Marco lo ricacciò di forza nella realtà anche se aveva provato a mantenere la sua intenzione di godersi la tranquillità. E chi è che ha detto che la curiosità è donna?
Col fruscio lieve della carta stampata che si piegava da davanti a lui, puntò gli occhi prima su Marco, poi, seguendo la direzione del suo sguardo, sulla persona con cui parlava.
Era un uomo parecchio alto, forse più di un metro e novanta, capelli castani, occhi celesti come quelli del figlio.
Lo vide avvicinarsi, a passi lenti e misurati, l’abito elegante da ufficio, le mani nelle tasche del pesante giaccone di lana dal taglio dritto.
Non seppe nemmeno lui come, ma qualcosa dentro il suo stomaco ebbe un sussulto, così improvviso che il giornale rischiò di cadergli a terra per il tremito che gli diedero le braccia. Uno strano calore parve annidarglisi nel ventre.
“Che cazzo mi succede?!Che sta succedendo?!?” Questa era l’unica frase che continuò a rimbalzargli nella scatola cranica per quei dieci secondi che l’uomo ci impiegò ad avvicinarsi al loro tavolo nell’angolo.
Un enorme subbuglio continuava a contorcerglisi dentro, senza che ci potesse fare nulla, senza riuscire a staccare gli occhi di dosso ai lineamenti eleganti dello sconosciuto.
“Non è una donna!Non. E’. Una. Donna! Ehi, cervello del cazzo ci sei?!”
Eh, no niente da fare caro mio! Ormai la frittata è fatta. Niente rewind come dice Vasco, non si torna indietro.
Davide cominciò a capire, anche se il suo cervello ancora
non lo accettava, che quel qualcosa che era andato storto con la sua ragazza
aveva una ragione. Non poteva essere semplicemente stato un caso, eh, no! Mica
funziona così nella vita sai? Troppo facile, troppo semplice. Le soluzioni a
certi dilemmi non sono mai quelle che ci si aspetta che siano..
Le favole, caro il mio ragazzo, si leggono ai bambini.
Quando l’uomo parlò, rivelò avere una bassa voce baritonale, che un po’ stonava con l’effetto complessivo.. “ma non poi così tanto”, ammise con se stesso suo malgrado il ragazzo biondo, il giornale ancora a mezz’aria.
Davvero non riusciva a capacitarsi di quel che gli stava accadendo.
Aveva improvvisamente paura, molta paura.
-Marco, che ci fai qui?-
-Lo dico a te signor avvocato.-
-Ho dieci minuti. Devo andare da un cliente a ritirare dei documenti che non mi ha dato. Adesso mi rispondi?-
-Son qui con Davide, facciamo due passi.-
-E’ un tuo amico?-
L’uomo si voltò verso di lui, osservando in maniera del tutto normale, ma che fece saltare il cervello a Davide, che lottava contro il proprio shock e che per il momento non era proprio in grado di parlare.
-Sì, siamo nella stessa classe.-
-Toni, un caffè?-
-Subito avvocato!-
-Marco, per favore, almeno per oggi, cerca di non rientrare a notte fonda, sai che non voglio casa vuota per tutto il giorno..- Buttò giù con un solo sorso il liquido nero fumante -..l’ultima volta ci hanno rubato quasi tutto.-
-Sì pa’.-
Lanciò un’altra occhiata a Davide, che stava assumendo un’aria alquanto sconvolta, le guance rosse e le sopracciglia aggrottate. L’uomo, padre di Marco, Lo fissò un po’ perplesso, ma non diede molto peso al suo comportamento.
-Allora ci vediamo stasera. Senti, se vuoi puoi portare lui a cena, così almeno son sicuro che fai quel che ti ho detto. Ti va Davide?-
Al sentir nominare il suo nome dal timbro cupo dell’uomo, Davide riprese il contatto con la realtà che aveva di nuovo perso, tirando fuori la voce con molta fatica, che risultò decisamente traballante.
-S..sì..cioè, va bene..-
-Ok, allora è deciso. Adesso vado.-
-Ciao pa’.-
Solo quando l’uomo fu uscito dal locale, il ragazzo biondo riuscì a calmarsi in maniera soddisfacente e riagguantare il giornale come niente fosse, anche se le mani gli sussultavano un po’.
-Ohi, ma che ti piglia?-
-Niente. Perché?-
-Boh, mia impressione allora. Senti ci vieni poi?-
-Dove?-
-Dai, a casa mia a cena no?-
-Se vuoi.-
-Sì, a me va bene.-
-Ok, allora verrò..-
Stettero ancora un paio d’ore in centro, semplicemente camminando per le vie senza una percorso preciso e fermandosi solo un po’ in un altro negozio di cd.
Prima di andarsene, Davide si mise d’accordo per l’ora in cui rincontrarsi per la cena con Marco, al quale fece un’ultima domanda, prima che le porte dell’autobus si chiudessero davanti a lui.
-Come si chiama tuo padre?-
-Il nome? Alessandro.-
-Ok, a dopo.-
-Ciao.-
Ah, il fato! Ma chissà alla fine se tutto questo avrà un senso, eh, Davide?
Intanto, sei di nuovo a casa tua, sul tuo letto, con tutte le tue cose intorno che ti guardano, persino loro, come se si aspettassero risposte da te. Ma non sai darne nemmeno a te stesso.
Ti ricordi, stranamente proprio in questo momento, di come tua madre, quando eri ancora molto piccolo, ti raccontava di regni incantati, di mondi paralleli e nuove rinascite nelle sue favole..E proprio queste ultime, ti tornano in mente più nitide di tutto il resto.
Le hai sempre considerate sciocchezze, persino da bambino..ma in questo momento, non sembrano più così assurde, vero? Forse, ricordando, ti rendi conto che è proprio quel che sta accadendo a te. Ti senti stranamente leggero, come se un peso parecchio pesante, avesse cominciato a premere in parti di te che fanno meno male. Una rinascita..è questo che ti senti dentro..un nuovo mondo pare aprirsi davanti ai tuoi occhi di ragazzo e non sembra poi così tremendo. Capisci, a modo tuo, il dolore della morte che hai attraversato fino a pochi attimi prima di lasciar spazio a sensazioni passate..il passato, ti ha dato modo di far nascere un nuovo futuro. Certo, sai che non sarà facile. Sai che nessuno, all’infuori di te, saprà mai capirti, alcuni addirittura ti giudicheranno o cercheranno di trovare un rimedio alla tua nuova nascita, che tu già abbracci. Sai che la vita, non sarà più fatta di giochi, di sogni, di cose facili, se così si può dire…ma diciamocelo, questo non è nulla, non si è mai capaci di descrivere certe sensazioni; sono troppo forti, troppo grandi e complesse.
Stai crescendo, Davide. Anche se non come tutti gli altri..
Sei entrato nella categoria di coloro che vengono chiamati “diversi” anche se per te, in tutte queste differenze non ci vedi nulla di male. Ti hanno sconvolto, ti hanno distrutto, ti hanno ferito, ma solo finché non le hai accettate. E’ stato un lampo, un fulmine a ciel sereno che si è abbattuto su di te. Ma incredibilmente, ti senti forte come mai avresti creduto, in un altro modo rispetto al solito. Non sei più un bambino: sei cresciuto, hai visto per la prima volta la tua stessa essenza e, anche se ne hai avuto terrore, l’hai amata alla fine perché è parte di te.
Ma ora, anche se questo sollievo ti culla e mantieni ferma la tua fiducia in quel che sei, ti senti tremendamente, incredibilmente solo.
Ed ecco che, finalmente, hai capito cos’ era quel qualcosa che ti mancava.
Troppe domande ti frullano ancora nella testa tutte insieme, perciò, mentre ti alzi ne senti il peso. Come lo dirai? Capiranno? Lo dirai almeno alla tua famiglia? Forse sì..forse no, ecco quel che hai deciso. Per adesso, è meglio andare per gradi.
E di questo, non si può che darti ragione.
L’acqua della vasca è calda, forse troppo per i tuoi gusti, ma ti accontenti. La schiuma che si è formata attorno a te è tale che alcuni piccoli pezzetti prendono a svolazzare per la stanza appiccicandosi contro gli specchi del bagno. Sono belli, sembrano quasi neve..
Ti è sempre piaciuta l’acqua, fin da quando hai memoria. Persino al battesimo, tua madre ti ha raccontato che ti mettesti a ridere quando il prete ti versò l’acqua sulla fronte. Il fatto di vivere in un piccolo paese di collina, non ti ha mai dato l’occasione di andare spesso in vacanza; la tua famiglia non è certo ricca, come nessuna delle altre, in questo posto.
Il calore ti fa rabbrividire piacevolmente nel momento in cui senti il corpo riscaldarsi sotto quell’abbraccio liquido.
E un abbraccio vero? Farebbe lo stesso effetto?
Oh, adesso, non è che nessuno lo avesse mai abbracciato in vita sua ci mancherebbe! Ma solo quelli dei suoi genitori erano sinceri. Gli altri, quelli della sua ex ragazza, quegli degli amici, erano solo pose e in quegli anni gli andava anche bene fosse così. Ma adesso che tutto è cambiato, il nuovo Davide si ritrova a pensare anche a questo.
-Dio, ma mi sto proprio friggendo la testa..-
Beh, forse no. Ma ancora è tutto troppo nuovo, vero?
Dopo una mezz’ora a mollo, ne hai avuto abbastanza e decidi di muoverti. Apri l’armadio e frughi dappertutto alla ricerca dei vestiti nuovi che ti sei comprato giusto l’altro giorno, ma che non avevi avuto voglia di vedere fino a questo momento. Che c’era da festeggiare?
Con la mente, mentre cominci a vestirti, ritorni a quell’uomo, il padre di Marco.
Ai brividi, ai veri e propri sussulti che hai
provato, appena ci hai posato gli occhi su, appena ne hai sentito il profumo. Quel momento, è stato uno dei più difficili, perché hai capito con
chiarezza ogni cosa. I suoi occhi, così azzurri, limpidi...acqua che
scorreva dentro di essi in piccole onde di riflessi.
-Senti qui..ragiono pure come una femmina adesso..-
Ahahaha! Ma
no, tesoro mio! Quando pensavi alla tua ragazza, certe cose non le consideravi? Che c’è di diverso? Ma lo so che questo lo sai anche tu, lo vedo chiaro dal
sorriso leggero che ti piega le labbra, dopo le tue parole.
Qualcosa ti ha affascinato molto in quell’uomo..Alessandro..bello
anche il nome.
Sembrava quasi uno di quei dipinti ottocenteschi di
nobili, lo sguardo deciso e qualcosa di luminoso in loro, sebbene all’apparenza
siano esseri umani come tutti gli altri.
Quella sera, avrebbe cercato di parlarci il più
possibile, voleva sapere di lui e di Marco, il suo nuovo amico.
Voleva sentire ancora quel buon profumo..
-Mammaaaa! Stasera sono a cena da
un amico, mi accompagni?-
-Sì, sì! Ma smetti di urlare sempre a quel modo, non sono
sorda ragazzino!-
<<See...non mi sente mai
se non urlo.>>
Un piccolo interrogativo lo tenne occupato nei suoi
pensieri per tutta la durata del viaggio in macchina fino alla città.
A pensarci bene, Alessandro, non dimostrava affatto l’età
media del genitore. Sembrava, come dire..più giovane del normale. Non aveva nessun segno sul viso,
neanche un capello grigio e il fisico asciutto. Che si
fosse sposato giovane? Ma la cosa gli pareva così
strana! Anche volendo, non avrebbe avuto un’espressione così..rilassata, ecco. Gli
adulti sono tutti pensierosi, spesso si chiudono in lunghi stati di mutismo; a
dirla tutta, Marco era di gran lunga più cupo del
padre! E allora?
La serata si rivelava interessante
sotto tutti gli aspetti, senza alcun dubbio.