Ehm... dunque... per quanto riguarda il guadagnarci qualcosa credo ormai si sia capito che non se ne parla... figuriamoci... al massimo mia mamma mi dà qualche botta in testa... e poi... Hana e Ru non sono miei, anche se... beh, se fossero miei sarebbero sicuramente più felici, ecco! Pulirei loro la gabbietta ogni giorno (al massimo uno ogni due), avrei sempre una scorta di ortaggi freschi con cui sfamarli... e poi avrebbero una documentazione su nastro di tutti i loro atti copulatori... okkei, rinchiudetemi che ormai ho toccato il fondo...

A Sei, Angie e Kieran. E credo non ci sia nemmeno bisogno di dire perchè. Vi voglio bene, ragazze!



Without you, nothing.
By Su(k)




Session one. Is love really a tragedy?

Oddio, eccolo lì. Bello come mai prima d’ora, solo come sempre. Si è seduto contro la parete e comincia a slacciarsi le scarpe, ma tempo un istante si ferma e appoggia la testa al muro. Credo stia per addormentarsi, e dopo un attimo eccolo lì, gli occhi chiusi, la bocca rilassata e il respiro più lento. Kami quanto è bello. Cosa? E’ un ragazzo? Beh, sì, lo so, ma non mi importa. Forse all’inizio sì, ma da quando questo sentimento si è radicato nel profondo del mio cuore nulla ha più importanza. Solo lui. 

Lo so che adesso è stanco, che l’allenamento di oggi è stato massacrante, ma se non si alza da quel pavimento freddo potrebbe prendersi qualche malanno, e io non voglio. E poi non voglio perdermi il piacere di vederlo spogliarsi.
Sembro triviale? No, sono solo innamorato.

Vorrei avvicinarmi a lui, sussurrargli dolci parole all’orecchio, condurlo con affetto fuori dal suo sonno, ma non posso, non ancora. Mi respingerebbe pensando ad uno scherzo, ad una presa in giro ed io avrei perso già in partenza. Per adesso dovrò limitarmi al mio solito comportamento, rumoroso, esagerato, irritante.

“Ehi, kitsune, sei morto?” gli dico, tirandogli un calcio nelle gambe “Kitsuneee!”

“Do’aho. Cosa vuoi?” 

Strano, non ha reagito come suo solito. A dire il vero è tutto il giorno che non sembra lui, non abbocca alle mie provocazioni e mi insulta meno.

“Vedi di sbrigarti. Oggi tocca a me chiudere e non ho voglia di stare qui fino a notte fonda.”

Sì, lo so, non mi sono impegnato molto, sarei dovuto essere più cattivo e pungente, ma ultimamente proprio non mi riesce.

E come potrei gettare così, a cuor leggero, insulti a chi mi ha rubato il cuore? Non posso. E non voglio.

Stranamente lui sembra darmi ascolto, si alza e dopo essersi spogliato senza dire una parola entra in doccia.

E’ in momenti come questo che vorrei confessargli cosa provo per lui, quando l’acqua calda scivola in rivoli sensuali sulla sua pelle bianca, ed il mio corpo impazzito non mi permette di pensare con lucidità.

“Do’aho. Ti sei imbambolato?”

Non ci posso credere! L’algida kitsune che mi rivolge la parola di sua spontanea volontà! Domani nevica!

“Sto solo aspettando che tu abbia finito. Mi sembra di averti già detto che devo chiudere io. Se oltre al cervello ti mancano anche le orecchie non è colpa mia.”

Ecco, l’ho fatto di nuovo. Mi ero ripromesso che mi sarei comportato come mio solito, ma almeno avrei evitato di insultarlo troppo, ma eccomi qui, ricaduto di nuovo nello stesso errore. E’ solo che così facendo spero sempre di riuscire a provocarlo, di far scoppiare una bella rissa, così da avere l’opportunità di toccarlo. Dio, come sono ridotto.

Nel frattempo il ragazzo che da settimane popola i miei sogni ha finito di asciugarsi e si sta rivestendo. Ha ancora i capelli bagnati e gocce d’acqua fredda gli scivolano giù per il collo.

“Ehi, kitsune, guarda che ti puoi anche asciugare la testa. Se esci così con questo tempo ti becchi la più colossale influenza della storia!”

“Non dirmi che non ti piacerebbe…”

Oddio, pensa davvero questo di me? Pensa davvero che sarei felice a vederlo sofferente e malato? Beh, a pensarci bene fino a qualche tempo fa sarebbe anche potuto essere, ma non credo di averlo mai desiderato veramente. Credo di averlo amato già dal primo momento in cui l’ho visto, il mio cuore deve averlo riconosciuto subito, e solo la mia mente cocciuta e conformista mi impediva di scorgere la verità, posandomi un velo oscuro sugli occhi.

“Lo pensi davvero?”

Devo dire la verità, non so se questa domanda abbia stupito più me o lui. Dove ho trovato il coraggio di chiedergli una cosa del genere? No, non credo si sia trattato di coraggio… ho solo agito d’impulso, come al solito. E lui? Beh, non penso si aspettasse questa mia uscita. Andiamo, mi crede il suo peggior nemico, pensa ancora io lo odi con tutto me stesso, e per cosa? Per la sorella del gorilla. Magari non sarò il genio che proclamo di essere, ma anche io so distinguere la vera bellezza quando la vedo. Kaede è il canto che sento prima di addormentarmi, e mi sembra che addirittura il vento chiami il suo nome.

“Perché?” mi chiede lui, e per la prima volta mi sembra di scorgere un impercettibile cambiamento sul suo viso.

“Perché cosa? Stupida kitsune, se ti esprimi a monosillabi come pensi possa capirti?!”

La mia risposta non deve essergli piaciuta più di tanto, perché non appena finito di vestirsi si appronta ad uscire.

Lo so che sono stato sul punto di confessargli tutto e poi mi sono tirato vigliaccamente indietro, ma sono convinto che per conquistare il suo cuore si debba procedere con cautela, a piccoli passi.

Prima di tutto devo riuscire ad ottenere la sua fiducia, poi si vedrà.

“Ehi, kitsune!” gli grido quando è già sulla porta e si appresta ad uscire sotto la pioggia battente “Tieni”.

Così dicendo gli getto il mio ombrello. Lui prontamente lo prende al volo e lo guarda come se si trattasse di un curioso insetto tropicale.

“Cosa c’è, non hai mai visto un ombrello?”

“Perché?”

Di nuovo. Quella domanda. Così semplice eppure così densa di significati… ma io non posso ancora rispondergli. Non sono pronto.

“Perché piove! Sai, di solito la gente normale usa quei cosi per ripararsi dalla pioggia… e poi ne ho due.”

Non è vero, ma non voglio che lui lo sappia. Me lo restituirebbe subito, e io desidero che abbia qualcosa di mio, qualcosa che gli ricordi di me ogni volta che ci posa sopra gli occhi.

Lui mi guarda ancora un attimo e poi fa una cosa che da lui non mi sarei mai aspettato.

“Grazie.”

Ok, posso morire felice. Se si tratta di un sogno non svegliatemi, perché quest’effimera chimera è migliore di qualunque realtà.

Lui mi ha ringraziato.

Il ghiacciolo umano, il signore delle volpi surgelate mi ha detto grazie.

Credo di essere arrossito di colpo e, tenendo gli occhi bassi per non farmi vedere in viso ho bofonchiato qualche risposta.

Lo vedete che effetto mi fa Kaede? Basta una sola sua parola e le mie gote vanno in fiamme, le ginocchia non reggono più ed il fiato fatica ad uscire dai polmoni.

Lui intanto, incurante ed ignaro della mia lotta interiore, è uscito dalla palestra e riparandosi sotto il mio ombrello si è diretto alla sua bici.

Sono felice. Lo so che non è successo nulla di quello che vedo ogni giorno nei miei sogni, ma mi basta così.

Piccoli passi.




Cosa vuole? Proprio non lo riesco a capire. Prima si preoccupa per i miei capelli bagnati, poi quella sua domanda così inconsueta e adesso questo.

Cosa diavolo vuole? Non mi ha mai sopportato, e adesso si comporta come se gli importasse qualcosa. Di me.

C’è qualcosa che non va. Quel cretino patentato non si è mai comportato in questo modo, ed ho come il dubbio che ne stia combinando un’altra delle sue, un altro diabolico piano del mitico tensai per distruggere la fredda volpe.

Ma fammi il piacere! Ormai non ci casco più nelle tue trappole infantili.

Devo ammettere però che il tono con cui ha pronunciato quelle tre parole aveva qualcosa di insolito, qualcosa di vero.

Sarà anche un do’aho, ma i suoi sentimenti gli si leggono in faccia con una chiarezza sconvolgente.

Non stava mentendo.

Ma allora perché?

E adesso questo.

Sarò anche freddo e distaccato, per motivi che oltretutto nessuno sarebbe in grado di comprendere, ma so cosa sia la buona educazione.

“Grazie.”

L’ho detto così di getto, senza pensarci troppo, e vedo che Sakuragi abbassa gli occhi.

E’ ancora più strano di prima e noto quasi per caso che il suo volto ha un colore insolito, simile a quello dei suoi capelli, e che il suo respiro è stranamente pesante.

Sta a vedere che ha un febbrone da cavallo, ed è forse per questo motivo che si comporta così: la malattia gli impedisce di pensare con lucidità.

Non che la cosa mi interessi.

Figuriamoci se perdo tempo con questo do’aho così rumoroso ed importuno, così irritante da trasformare in sfida ogni singolo sguardo e così ingenuo da credere ogni cosa gli si dica.

Quando lascio la palestra sembra quasi che nell’aria vi sia qualcosa di non espresso, qualcosa di non detto che quella scimmia rossa si è tenuta dentro per qualche strano motivo.

Ma non ho tempo né intenzione di fermarmi ancora, perciò inforco la mia bici sgangherata e reggendo con una mano l’enorme ombrello rosso del do’aho mi dirigo verso casa.

Mi piace la pioggia. Molti la trovano malinconica e fastidiosa, ma io la adoro. Quando fredda mi scivola sulla pelle sembra portarsi via ogni preoccupazione e cupo pensiero, ed il mondo che si specchia imperfetto sull’asfalto bagnato appare migliore di molte realtà.

Stupido do’aho.

Quel suo gesto così inatteso mi ha completamente spiazzato, nonostante io credessi più nulla potesse sconvolgermi.

Cosa accidenti gli è preso? Fino a ieri gridava ai quattro venti il suo odio per me, ed oggi sembrava addirittura preoccupato.

Non mi piace. Voglio dire, ho sempre fatto di tutto per avere sotto controllo ogni aspetto della mia vita, mi sono sempre protetto da eventi inaspettati con precise pianificazioni e comportamenti studiati fin nei minimi dettagli, ma poi… ma poi arriva questo grosso do’aho e ribalta il mio mondo gambe all’aria.

Non potrebbe lasciarmi in pace, come tutti? Non potrebbe evitare di sbattermi contro in ogni momento?

E’ così irritante…

Ma poi quelle parole.

“Lo pensi davvero?”

Lo penso davvero? Penso davvero gli avrebbe fatto piacere vedermi sofferente a causa della febbre alta?

Non lo so. Ormai non so più cosa aspettarmi da lui.

Finalmente sono arrivato a casa. Inserisco la chiave nella toppa ed apro la porta.

Silenzio. Come sempre.

A volte stare qui dentro è come essere rinchiusi in una bara, una parte di te muore, ma per quanto ti sforzi di uscire c’è sempre qualcosa che ti tiene prigioniero.

Odio il silenzio di questa casa, ma nonostante io cerchi di sopraffarlo con la musica e con le partite di basket in tv ad alto volume, esso rimane ed ogni volta mi uccide.

Sono così stanco… sarà anche colpa degli allenamenti, oggi sono stati davvero massacranti, ma è già da un po’ di tempo che questa spossatezza diffusa mi attanaglia le membra e la mente.

Credo proprio che mi farò una doccia. Sì, lo so, ne ho già fatta una meno di un’ora fa, ma ne ho bisogno. Ho bisogno che l’acqua mi scorra sulla pelle e mi permetta di dimenticare.

“Lo pensi davvero?”

Maledetto do’aho.

Cosa diavolo ci fai ancora nei miei pensieri?

Perché la tua domanda, così inaspettata, mi si è radicata nel profondo in un attimo solo? Perché mi tormento così, senza ragione alcuna?

Ormai pensavo di averti capito, ma la tua capacità di sconvolgermi si è di nuovo ridestata con forza.

Ci ho pensato sopra molto. Se non fossimo stati rivali, se non fossimo entrambi così cocciuti saremmo da tempo diventati ottimi amici.

Solo lui è in grado di svegliarmi da quest’apatia che ogni giorno mi divora. Solo lui, con quel suo ghigno maniacale, è capace di farmi irritare e reagire davvero.

Solo lui… 

Non mi piace. Non sopporto dover dipendere da qualcuno, anche per una cosa talmente insignificante. Non sopporto lo scoprirmi così debole, bisognoso dell’attenzione di qualcuno per potermi sentire vivo. Non sopporto che quell’idiota completo si comporti in modi inaspettati.

Lo vedi stupido do’aho? Con l’uscire dai tuoi soliti schemi di comportamento mi hai spezzato in due.

Una parte di me, quella che non è ancora uomo, cerca in ogni modo di disinteressarsi del tuo strano gesto di stasera, relegandone il ricordo in un angolo remoto e assopito della mente, classificandolo come un’altra pazza manifestazione del tuo particolare carattere.

Ma l’altra parte, quella che non è più bambino, si agita curiosa, toccata nel profondo ed impaziente di capire il perché di quel comportamento così insolito per te.

Cosa devo fare?

Non capisco me stesso, figuriamoci gli altri.


Forse è meglio che vada a dormire. Dicono che il sonno porti consiglio, ed io ho bisogno di un momento di pausa, di un attimo di riposo per potermi allontanare da questi strani pensieri.






Stamattina Rukawa mi sembra più perso del solito. Lo vedo arrivare in bicicletta, come tutte le mattine, e schiantarsi in un boschetto a lato del viale che conduce alle porte dell’edificio scolastico. Dopo un attimo riemerge con i vestiti in disordine e i capelli arruffati pieni di rametti e foglie secche.

Se non fosse che la scena rasenta il ridicolo mi sentirei in apprensione per lui, per quelle occhiaie profonde e per quel pallore diafano che oggi sembra ancora più pronunciato.

“Kitsune, sei ancora vivo?” gli chiedo tra una risata e l’altra.

“…” è la sua lapidaria risposta.

Se non fosse che mi sono innamorato di lui come mai prima d’ora e che mi sono ripromesso di trattarlo meglio, gli avrei già tirato un pugno. Sa essere davvero irritante.

“Dovresti fare più attenzione, sai? Questo tuo spettacolino si ripete quasi ogni mattina, e andando avanti così uno di questi giorni potresti procurarti più di qualche semplice ammaccatura…”

“…e tu saresti la matricola d’oro della squadra…”

“C… cosa?!” 

Cosa?! A parte il fatto che lo sono già, ma nemmeno nei più segreti sogni di quell’era che ormai sembra così lontana, quando ancora non sapevo cosa provavo per lui, ho mai desiderato una cosa del genere… beh, sì, gli ho augurato di rompersi una gamba, ma si trattava di uno scatto improvviso, un’altra delle mie uscite poco felici che ormai ho eliminato quasi del tutto.
Come può continuare a pensare certe cose? Non ha ancora capito che la maggior parte delle scemenze che dico e penso sono aria l’attimo successivo? Ho la brutta abitudine di parlare troppo, ma questo non significa che ogni cosa esca dalla mia bocca sia veramente riflesso di ciò che penso in realtà.

Intanto Kaede si è allontanato e con passo ancora leggermente strascicato a causa della sonnolenza ha cominciato ad avviarsi verso le aule.

“Ehi! Volpino!” gli grido dietro per attirare la sua attenzione, e con un paio di ampie falcate gli sono accanto.

“Ascoltami bene, perché non ho intenzione di ripetermi. Sono un idiota, hai ragione a chiamarmi così, ma questo non significa che sia anche una carogna. Molte delle cose che dico sono solo vuote parole, senza significato, e non voglio che tu pensi alle stupidaggini colme di rancore che ti ho urlato addosso come a reali insulti. Sono fatto così, parlo a vanvera, ma non voglio che tu pensi troppo male di me. Sono solo infantile, non cattivo.”

Durante tutto il mio proclama Rukawa non ha mosso un muscolo, non ha cambiato espressione, ma per un attimo, un brevissimo istante, i suoi occhi sono stati colmi di sorpresa.

Hai visto volpino? Hai visto che anche io, pur essendo infantile come ho appena affermato, sono capace di comportarmi da uomo? Ed è solo grazie a te, tu sei ciò che mi fa desiderare di essere migliore. Mi sproni anche solo con la tua presenza, ed il desiderio di compiacerti in qualche modo mi incita a cambiare.

Kaede ancora non si muove. Mi fissa con quegli occhi fermi, densi di sfida, ma che io ho visto accendersi di mille fuochi, e sembra quasi si aspetti qualcosa da me.

“Naturalmente negherò fino alla morte di aver detto una cosa del genere” gli dico, e dopo un istante infinito un miracolo accade.

Impercettibilmente, tanto che ad un osservatore meno esperto ed attento sarebbe sfuggito, gli angoli della sua bocca si sollevano per un attimo ed un brillio divertito passa come una rapida nuvola estiva in quegli occhi che mi ricordano un notturno cielo invernale riflesso nel sottilissimo ghiaccio di un laghetto appena gelato.

“Ti prego, non smettere.”

Oddio, cosa mi è preso? Da quando sono diventato così audace? Come ho potuto gettare al vento ogni maschera e mostrargli il mio più nascosto desiderio? Sarà colpa di questo freddo vento che mi porta alle narici il suo profumo. Sarà colpa di quest’incessante melodia che sento ogni volta mi è vicino. O magari si tratta del fatto che ogni volta che chiudo gli occhi vedo solo lui?

Non lo so, davvero.

L’unica cosa di cui sono sicuro è il fatto che non riesco a staccare lo sguardo da lui.

Sono davvero ridotto male. Fino a qualche settimana fa sbandieravo ai quattro venti il mio amore per Haruko, mentre adesso sono di fronte al ragazzo più odioso ma allo stesso tempo più adorabile della scuola e non riesco a proferire parola.

Che strano. Ho sempre dato sfogo ai miei sentimenti, ho sempre esternato ogni mio pensiero incurante delle opinioni altrui, dando voce ad ogni minima idea, ma adesso, di fronte a questo silenzioso e tormentato ragazzo, le migliaia di parole che vorrei pronunciare si sono bloccate alla base della gola, soffocandomi con la loro triste mutezza. 

Perché, mi chiedo. Cosa c’è di così profondo in quegli occhi da tenermi inchiodato come una statua antica in questo freddo cortile? Cos’è che rende questo istante tanto sacro da non permettermi di infrangerne il silenzio? E’ forse per l’intensità di questo sentimento così inatteso? O magari per la reazione tanto agognata ma mai figurata nella mente di colui che mi sta di fronte?

Non lo so, davvero.

E non oso nemmeno immaginarlo. Credo non esista dolore più grande del vedere le proprie aspettative infrangersi come fragili specchi. Non voglio illudermi con false speranze.

E nel frattempo Kaede sorride ancora. Sono passati solo pochi istanti, ma la magia di questo momento ha sottratto la mia mente allo scorrere del tempo.

“Non smettere cosa?” mi chiede lui alzando gli occhi finalmente vivi verso di me.

Mi chiedi cosa? Vuoi veramente sapere cosa voglio vedere sul tuo viso in ogni momento? Voglio vederci questo sorriso sincero che illumina il tuo volto, già così bello, con questa luce che ti viene dal cuore. Voglio vedere la vita scorrerti addosso come le correnti impetuose scorrono nei letti dei fiumi. Voglio che la passione che mostri in campo tu sia finalmente in grado di metterla in ogni aspetto della vita, senza temere di essere così considerato debole. Sei la persona più forte che io abbia mai incontrato, kitsune, poiché nonostante il tanto decantato pensar comune, continui a costruire la tua vita su schemi decisi da te stesso, senza dover dipendere da alcuno se non dal tuo cuore.

Non smettere cosa… non so se posso risponderti con leggerezza a questa domanda, visto che forse da essa dipende parte del mio destino. Non posso dirti che il tuo sorriso così raro e per questo tanto prezioso è per me come una boccata d’aria fresca dopo inimmaginabili tempi di reclusione, ma non dirti almeno in parte dei sentimenti che esso suscita in me è come mentirti su una questione di vitale importanza. 

“Di sorridere. E’ così raro vederti una qualsiasi espressione sul viso che mi sembra quasi doveroso tu la trattenga ancora un istante.” 

Forse questa mezza verità non mi aprirà le porte del suo cuore, ma almeno posso cominciare ad intraprendere quella via accidentata e tortuosa che porta alla parte più intima e bella del suo animo.

Piccoli passi.

“Tu invece mostri fin troppo” dice, ma lo fa ancora con quel meraviglioso sorriso sul volto. 

Adesso ho un problema. Sono il tensai, d’accordo, ma questo ragazzo proprio non lo riesco ad interpretare. ‘Tu invece mostri fin troppo’. Cosa significa? Cosa avrà voluto dire? Che le mie emozioni, così forti e spesso temute mi si leggono in volto come dalle pagine ben scritte di qualche libro? O era solo una puntualizzazione sul mio carattere forse troppo espansivo? Proprio non capisco. E non ho nemmeno intenzione di chiedere spiegazioni a lui. Questa forma di coraggio mi manca ancora.

Kaede sembra leggermente sorpreso. Questo mio comportamento non è cosa da tutti i giorni, e la mia reputazione da buffone non contribuisce di certo a rendermi credibile.

Magari è a causa di questo mio insolito silenzio che una domanda inespressa gli passa veloce negli occhi. 

No kitsune, non ho intenzione di dirti null’altro, almeno per oggi, perché so che se dovessi svelarti i più intimi desideri del mio cuore innamorato non saresti in grado di comprendere tutto alla perfezione.

“D’accordo… io adesso devo andare. Ci vediamo dopo agli allenamenti” gli dico, e senza attendere la sua risposta mi fiondo in classe. Non voglio mi veda arrossire.





“… e tu saresti la matricola d’oro della squadra…”

“C… cosa?!”

Il do’aho sembra sconvolto. Da cosa poi? Dalla mia affermazione? Ma se ogni giorno agli allenamenti gliene dico dietro di tutti i colori! Questa sua reazione mi sembra eccessiva, anche per un esaltato come lui. A pensarci bene non è tanto la sua indignazione ad avermi colpito, ma quel fondo di tristezza e rassegnazione che permea il suo sguardo. 

Non voglio sia triste per colpa mia.

La gente può anche pensare che io sia un bastardo egoista, ma non mi è mai piaciuto far soffrire la gente davvero. E Sakuragi sta soffrendo. Non so perché, ma è così.

E’ ancora qui che mi fissa con quegli occhi colmi di angoscia e l’unica soluzione che riesco a pensare per questa situazione irreale è andarmene. Se mi allontano non dovrò vedere la sofferenza racchiusa in quegli occhi color del cioccolato.

“Ehi! Volpino!” mi giunge il suo grido da dietro le spalle e un attimo dopo me lo ritrovo di fronte che mi fissa di nuovo, questa volta con una sorta di sfida bruciante nello sguardo.

“Ascoltami bene, perché non ho intenzione di ripetermi. Sono un idiota, hai ragione a chiamarmi così, ma questo non significa che sia anche una carogna. Molte delle cose che dico sono solo vuote parole, senza significato, e non voglio che tu pensi alle stupidaggini colme di rancore che ti ho urlato addosso come a reali insulti. Sono fatto così, parlo a vanvera, ma non voglio che tu pensi troppo male di me. Sono solo infantile, non cattivo.”

Cosa sta succedendo? Non è possibile che il ragazzo che ho di fronte sia lo stesso che mi prende a pallonate ogni giorno in palestra, lo stesso che mi insulta in ogni occasione e che non riesce a stare serio per più di cinque secondi.

Non è possibile che questa sorta di ammissione sia potuta uscire dalle labbra di questa scimmia rossa che mi sta di fronte.

Andiamo, questo grosso idiota non fa altro che blaterare a vanvera, assillarci ogni giorno con le sue scemenze e presunte genialate da quattro soldi e subissarci di inutili parole, perciò non è possibile che la dichiarazione che ho appena sentito sia stata pronunciata proprio da lui. Eppure il fuoco che vedo ardere nel suo sguardo mi induce a credere il contrario.

Sakuragi mi sta fissando in silenzio, come se si aspettasse qualcosa da me, ma adesso quello che ha bisogno di spiegazioni sono io. Voglio sapere cosa è successo a questo stupido imbranato per farlo cambiare così tanto, per spingerlo a scoprirsi completamente davanti a colui che reputa il suo peggior nemico e ammettere così, anche se in maniera poco ortodossa, parte delle sue debolezze.


Voglio sapere.

E poi quella sua uscita…

“Naturalmente negherò fino alla morte di aver detto una cosa del genere.”

Non so perché, ma in quel momento qualcosa dentro me è cambiato, un tassello del puzzle che compone la mia anima è andato finalmente a posto e sensazioni che credevo da lungo dimenticate si sono fatte vive con nuova forza.

Senza nemmeno accorgermene ho cominciato a sorridere. A pensarci bene è strano che sia stato proprio Sakuragi a tirarmi fuori quel sorriso sepolto così in profondità che temevo ormai essere estinto. Tra le tante persone che si sono prese cura di me durante l’infanzia, tra tutti coloro che senza alcuna apparente ragione si sono rivolti a me con gentilezza solo l’importuno ed irritante ragazzo che ho di fronte è riuscito a scuotermi davvero. C’è qualcosa in questo stupido do’aho che mi turba profondamente, qualcosa nascosto sotto la superficie che non riesco a capire e che in rari momenti traspare dai suoi occhi. 
Ma ci sono anche questa sua spiazzante sincerità ed un senso dell’umorismo profondo (certo, quando non si comporta da buffone, il che è raro...), che proprio come in questo momento mi fanno agire in modi che nemmeno io comprendo. Non mi sono mai piaciuti gli imprevisti, ma con Sakuragi tutto è diverso: è in grado di rovinarmi una giornata con un suo repentino uscire dagli schemi del suo carattere, ma nello stesso tempo è capace di farmi desiderare di comprenderlo meglio.

Adesso per esempio dovrei sentirmi turbato dal suo strano modo di fare, ma per un motivo credo sconosciuto ad entrambi non lo sono.

Ho paura di non riuscire più a comprendere me stesso.

“Ti prego, non smettere.”

Oggi deve esserci qualcosa nell’aria, perché non è possibile che entrambi ci comportiamo come stiamo facendo. Non è possibile che sia io che il do’aho agiamo in un modo talmente insolito. Ho quasi paura che questo suo rivolgersi a me con gentilezza faccia parte di qualche nuovo e cattivo gioco che il rosso ha architettato per colpirmi di nuovo.

“Non smettere cosa?”

Mi maledico da solo per non essere riuscito a togliermi questo sorriso dal volto. Mi si è stampato in faccia e non riesco proprio a liberarmene. Chissà che risate si farà il do’aho quando me ne sarò andato, la stupida kitsune che sorride come un idiota. Ah, ah, che ridere. Ma proprio non riesco a farci niente.

E ancora più irritante è questo mio passare da una sensazione ad un’altra. Un attimo penso che non sarebbe male conoscere meglio questo strano ragazzo, e l’istante successivo mi ricordo con collera che non lo sopporto.

Forse è questo uno dei motivi per cui ogni giorno mi scontro con lui, per cui non riesco a tollerarlo e non resisto alla tentazione di litigarci.

Sakuragi mi sconvolge.

Con lui non so mai come comportarmi e l’unica reazione che la mia mente riesce a concepire è quella che ogni giorno ci fa scontrare in palestra.

“Di sorridere. E’ così raro vederti una qualsiasi espressione sul viso che mi sembra quasi doveroso tu la trattenga ancora un istante” dice lui.

E di nuovo per qualche strana ragione decido di dare corda allo strano gioco del do’aho.

Chiamatemi masochista, ma è uno di quei rarissimi impulsi ai quali non posso resistere, quasi come quando in partita decido di fare a modo mio e parto per qualche solitaria azione.

“Tu invece mostri fin troppo.”

Non so perché ho detto queste parole, perché non mi sono semplicemente girato come faccio di solito e non me ne sono andato. 
Non so perché ogni momento che passa il mio desiderio di prolungare questo particolare istante diventi sempre maggiore e la mia curiosità innata ma così abilmente celata cresca sempre più. Non lo so.

Sakuragi si agita scosso, come se riuscisse a leggere nei miei occhi la domanda che non ho espresso e non sapesse cosa rispondere. Sembra quasi insicuro, timoroso e colmo di un’aspettativa che non comprendo. Dopo un attimo riesce a pronunciare qualche parola e si allontana, lasciandomi di nuovo da solo in mezzo a questo grande e spoglio cortile.

Sono veramente sconvolto. Anche se non lo do a vedere dentro di me si agita un’incessante tempesta di sensazioni e pensieri. Vorrei quasi correre dietro a quello stupido do’aho e farmi spiegare da lui il significato di questa stranissima discussione.

Già ieri in palestra qualcosa nel suo comportamento mi ha incuriosito, qualcosa nel suo carattere che ho sempre saputo esserci ma che non ho mai avuto il desiderio o il coraggio di comprendere.

Certo, la situazione che si è oggi creata in questo cortile ha dell’inimmaginabile, ma si tratta comunque di un evento isolato, perciò decido di non pensarci troppo e mi dirigo in classe.

“Ehi, Rukawa, tutto bene?”

Mi fermo un istante per vedere chi è stato a rivolgermi la parola e mi accorgo che si tratta di Kogure. Il solito premuroso.

“Hn.”

“Hai una faccia orribile. Sicuro non ti sia successo niente?”

“No” gli rispondo e mi allontano.

Non mi piace essere palesemente scortese, ma ancor meno sopporto che qualcuno si impicci degli affari miei. Lo so che le intenzioni del senpai erano amichevoli, ma sono fatto così e non saranno certo le sue gentilezze a farmi cambiare.

Anche se…

No, è meglio che non ci pensi.

 

Session two. Chained to you.


Ragazzi, tenetevi forte. Hanamichi Sakuragi ha un piano. Oddio, più che altro si tratta di un idea, visto che non so ancora come portarla a termine. 

Ho deciso di dichiararmi a Rukawa. Un’impresa impossibile? Beh, sì, all’inizio lo credevo pure io. Andiamo, mi sono beccato 50 rifiuti, ma una così vasta mole di due di picche mi ha lasciato addosso una bella dose di esperienza. Ora almeno so come NON devo fare.

Ciò non toglie nulla al fatto che sono nei guai fino al collo.

Io amo Kaede. Voglio dire, lo AMO! In tutti i miei diciassette anni di vita non ho mai provato un sentimento così forte e vero, e sprecarlo solo per il fatto di non essere stato capace di esprimerlo mi sembra triste.

“Ehi, kitsune!” lo chiamo mentre siamo negli spogliatoi “Ti avviso già da adesso che nonostante quello che sto per chiederti io sono e sarò sempre l’indiscusso genio del basket, perciò evita di fare commenti. Comunque, mi chiedevo se potessi darmi una mano con i tiri liberi, che ammetto non essere il mio punto di forza. Sono comunque un genio, sia chiaro, ma tra tutte le cose che so fare benissimo questa è quella che mi riesce benissimo un po’ meno.” 

Ammettetelo, chi sarebbe in grado di resistere ad un tale proclama? Ed infatti dopo un attimo di sbigottimento generale da parte di tutta la squadra Kaede si gira verso di me e mi guarda.

“Do’aho”

Volete sapere una cosa? Me l’aspettavo mi avrebbe risposto così. Ed ha pienamente ragione. Sono un vero idiota. Ogni volta che gli parlo me ne esco con una delle mie battutacce, che peraltro so essere tali, ma continuo a tirare fuori quasi per abitudine. Forse però riesco ancora a salvare la situazione.

“No, davvero, dico sul serio, mi farebbe molto piacere se accettassi di darmi una mano con quei maledetti tiri liberi. Lo so che fino ad oggi non ho fatto nulla per meritarmi la tua fiducia, ma vorrei comunque che mi credessi quando ti dico che sono serio.”

Wow! Non so nemmeno io come ho fatto a dire una cosa del genere, visto che di solito riesco a pronunciare solo inutili fandonie piene di boria. Ma a quanto pare anche io ho dei momenti di genialità… ehi, un momento, ma io sono il tensai! Giusto! Tutto torna! Ahem, scusate, piccole ricadute quotidiane…

Credo che Kaede abbia capito che sto parlando sul serio, cosa ai suoi occhi così insolita, perché mi sta fissando con uno sguardo talmente penetrante che temo mi possa leggere l’anima. E tra un po’ gli cresce pure un punto interrogativo in testa…
Passati quelli che mi sono parsi secoli, ma che erano solo pochi istanti, senza dire una parola mi fa un quasi impercettibile segno con la testa.

“Sì? Grazie! Possiamo cominciare già da domani! Che ne dici se ci fermiamo dopo gli allenamenti?!”

Di nuovo china il capo, e di nuovo il mio cuore fa i salti mortali. Ho quasi il timore che la mia cassa toracica rimbombi per i suoi battiti accelerati, e che da un momento all’altro possa scoppiare per lo sforzo e l’emozione. Che immagine raccapricciante.

“Ehi, Sakuragi” mi chiama quell’ex-teppista di Mitsui mentre mi sto ancora crogiolando nel mio mondo idillico “non è che appena vi lasciamo soli, approfittando della mancanza di testimoni gli salti addosso e cominci a picchiarlo?”

Oddio, quanto al saltargli addosso devo dire che l’idea è venuta pure a me, ma le mie ragioni erano ben diverse dal provocare una rissa.

Guardo Mitsui per un attimo con uno sguardo che nemmeno io sono in grado di decifrare, dopodiché mi allontano nello sbigottimento generale, finisco di preparare il borsone e me ne vado.

Lo so cosa stanno pensando ora. Sakuragi che non risponde ad una provocazione? La scimmia rossa che invece di cominciare con una delle sue solite tiritere si allontana in silenzio? Non è possibile! Sì, è vero, fino a qualche settimana fa avrei dato ragione a loro, ma da quando con sorpresa e reverenziale timore mi sono accorto dei miei sentimenti per Kaede… non so, ho cominciato a cambiare. Sia ben chiaro, sono e sarò sempre Hanamichi Sakuragi, unico tensai ed imprevedibile testa calda, ma mi sono reso conto che posso essere divertente anche senza dover diventare una caricatura di me stesso.



“Hanamichi! Ehi, Hanamichi!” mi grida Yohei direttamente nei timpani.

“Cosa urli! Non sono sordo!” gli rispondo, restando peraltro sorpreso dalla sua faccia sconvolta.

Siamo da poco usciti da scuola. Yohei come sempre mi ha aspettato, dicendo di non avere meglio da fare, e ha deciso di venire a casa mia per passare in compagnia il resto del pomeriggio.

“Ah, no? Ma se sono cinque minuti buoni che cerco di attirare la tua attenzione! Mi vuoi spiegare cosa ti sta succedendo? E’ da un po’ di tempo che sei strano. Ti perdi nel tuo mondo personale e non c’è verso di comunicare con te!”

“Scusa…” È l’unica cosa che gli dico.

Non sono ancora del tutto sicuro di volermi confidare con Yohei, ma dopotutto lui è un amico, uno dei migliori. Beh, posso comunque accennargli qualcosa, no? Farà sentire più tranquillo lui e meno oppresso me.

“Si tratta di una questione di cuore.” Gli dico all’improvviso, e nel farlo devo essere arrossito, visto il calore che sento in viso.

“Cosa c’è, Haruko ti ha dato un appuntamento?” 

“C… cosa? Ah… no, non si tratta di Haruko. Lei… lei è carina… non troppo brillante, ma a suo modo simpatica… ma non si tratta di lei…”

“Vedo che cambi idea molto velocemente.” Dice Yohei con un sorriso divertito, mentre io sono ancora in preda all’imbarazzo.

“…o forse per la prima volta so veramente cosa voglio…” sussurro a fior di labbra, ma a quanto pare Yohei mi sente, perché si fa d’un tratto serio.

Ti ho sorpreso, vero? Non ti saresti mai aspettato una frase del genere dal sottoscritto, non su un argomento da sempre da noi considerato frivolo. Il fatto è che ne sono sorpreso io stesso. Sto scoprendo aspetti di me che non credevo e non speravo di possedere. Non è facile, sai? Scoprirsi diversi, totalmente cambiati ed inevitabilmente irriconoscibili, senza più alcuna certezza se non un sentimento profondo, nuovo ed ignoto. E’ come camminare su una sottilissima fune sospesa sul vuoto: conosci il cammino, ma tutto ciò che di saldo e sicuro ti ha sempre impedito di crollare è svanito, lasciandoti in balia di rapidi ed improvvisi venti.

“Hanamichi…” esordisce Yohei con uno sguardo grave sul volto.

“No Yohei” gli rispondo “non ho intenzione di parlartene, almeno non ancora. Non voglio tu pensi che non abbia fiducia in te, ma prima di parlarne con qualcuno devo capire io stesso cosa voglio.”

In un certo senso gli ho mentito, e me ne dispiaccio. Io so benissimo cosa voglio, me ne sono reso conto proprio oggi, mentre la volpe senza domanda alcuna ha accettato di allenarsi con me.

Voglio Kaede. In ogni momento.

Voglio guardarlo mentre la sera si addormenta e svegliarlo al mattino con i miei baci. Voglio conoscere i suoi sogni e la sua storia. Voglio fare la spesa con lui e litigare per chi deve lavare i piatti.

Voglio vivere con e solo per lui.

Yohei mi guarda senza dire nulla e dopo un attimo decide di lasciar perdere. Forse è anche per questo che è uno dei miei migliori amici. Sa sempre quando smettere.





Qualcuno potrebbe spiegarmi cosa diavolo mi è saltato in mente? Come ho potuto fare qualcosa di talmente stupido?

Sto aspettando Sakuragi che si è rifugiato negli spogliatoi, ed ogni momento che passa quest’idea mi pare sempre più insensata.

Ho accettato di allenarmi con questa testa rossa.

Com’è possibile? Lui non mi sopporta, eppure è venuto da me con quella supplica negli occhi che mi ha scosso più delle sue stesse parole. E io non lo posso soffrire, ma nonostante ciò ho acconsentito ad aiutarlo senza chiedere spiegazioni.

A dire il vero è un po’ di tempo che ho notato un cambiamento in Sakuragi. Sia ben chiaro, è sempre lo stesso idiota strafottente, ma ci sono dei momenti in cui riesco a scorgere la persona dietro la facciata.

Devo essere sincero, ho sempre sospettato che Hanamichi fosse molto più del ragazzo irritante che ogni giorno si comporta da stupido in palestra. C’è qualcosa nei suoi occhi che mi terrorizza.

Non so bene come spiegarlo, ma sotto quell’apparente insignificanza arde un fuoco talmente vivo da bruciare ogni mia certezza. Ci sono volte in cui mi ritrovo a fissarlo senza avere più la padronanza del mio stesso corpo, senza più la capacità di reagire né pensare; momenti in cui tutto il mondo cessa di avere importanza e solo la furia sedata di quegli occhi magnifici riesce a catturare la mia attenzione.

Cosa ti sta succedendo Kaede? Cosa di così sconvolgente è accaduto da indurti a cambiare?

Perché sto cambiando.

Forse è l’insieme di piccole gentilezze di cui Sakuragi ultimamente mi ricopre. Forse è l’idea che da un po’ di tempo mi tormenta senza sosta, segreta e mai pienamente accettata.

O forse si tratta dell’unione delle due cose, temuta ma in fondo desiderata conclusione di un ragionamento insolito…
“Ehi, volpastro, cominciamo?”

Mi giro di scatto verso la porta degli spogliatoi, solo un po’ turbato per essermi lasciato distrarre da cupi pensieri, e vedo Sakuragi che mi sorride.

“Dai, diamoci dentro. Prima finiamo e prima ce ne torniamo a casa” esordisce il do’aho venendomi incontro.

“Se avevi tanta fretta di andare a casa perché mi hai chiesto di fermarci?” gli chiedo.

“Eh? Beh… ecco… io… ma kitsune, come mai così loquace stasera?”

Quasi mi viene da sorridere al suo bambinesco modo di sviare il discorso. Lo so che mi nasconde qualcosa, e anche se non ne comprendo ancora appieno il motivo voglio scoprire di cosa si tratta.

Comincio a palleggiare lentamente, quasi con noia, sperando che il do’aho si decida finalmente ad allenarsi. E dopo poco la mia preghiera viene accolta.

Ci sistemiamo sulla linea dei tre punti ed io comincio a suggerire a Sakuragi quale sia la posizione migliore per effettuare quel genere di tiro, come vadano tenute le mani e tanti altri accorgimenti che gli permetteranno di migliorare.

Non ci crederete, e anche io stento a capacitarmene, ma quella scimmia rossa non protesta, come suo solito, ad ogni mia critica sulla sua tecnica. Al contrario, ogni mio suggerimento lo sprona sempre più, lo induce ad impegnarsi ulteriormente per aggiustare i suoi ormai pochi errori.

E così, ancora una volta, mi ritrovo a chiedermi cosa mi abbia indotto a cambiare.

E’ mai possibile che questo strano ragazzo sia riuscito, con il solo essere se stesso, là dove molti altri avevano fallito?
Come può essere che con un carattere talmente diverso dal mio Hanamichi abbia potuto mostrarmi la parte di me che credevo perduta?

Lui è come il fuoco, e all’improvviso mi rendo conto di non temere più di bruciare.

Una consapevolezza tanto profonda quanto improvvisa.

Certo, che il mio atteggiamento verso Sakuragi fosse da un po’ di tempo diverso l’avevo notato, ma il saper finalmente dare nome a quella tensione che ultimamente si era creata tra noi è tutt’altra cosa.

Non fraintendetemi, non sono certo il tipo di persona che si lascia sopraffare da questo tipo di situazioni, ma questo mio carattere spesso definito glaciale rende nuova ai miei occhi ogni emozione umana.

“Ehi, kitsune, che ne dici di un one on one?” mi chiede all’improvviso Sakuragi tutto contento. Cosa abbia da sorridere non lo so, ma in fondo questa è una delle parti del suo carattere che preferisco. Hanamichi è luce fattasi persona, e anche se in passato mi sarebbe stato impossibile ammetterlo, basta la sua presenza ad illuminare a chiunque la giornata.






Nonostante si tratti solo di una sfida d’allenamento devo dire che Rukawa ci sta davvero dando dentro. Ma io non sono da meno. Potrà sembrarvi strano, ma negli ultimi mesi sono migliorato di parecchio, e il desiderio di poter un giorno arrivare al livello di Kaede mi incita sempre a dare il massimo. Cosa? Che fine hanno fatto i miei vaneggiamenti sull’essere il genio del basket e l’indiscusso campione mondiale della pallacanestro? Beh, diciamo solo che anche io so arrendermi di fronte all’evidenza. 

Kaede è sconvolgente. La sua bravura mi sorprende ogni volta. Certo, anche io mi sto dimostrando essere una talento naturale per questo sport, ma nella kitsune c’è qualcosa che lo rende migliore di tutti noi. Una dedizione totale, senza compromessi. Un amore per il basket talmente radicato da far ormai parte anche dei suoi sogni. E il totale disinteresse verso ogni altra cosa.

Beh, quasi totale. Sono convinto che la kitsune sia capace di concentrare i propri pensieri su qualcosa che non sia la pallacanestro.

Da dove questa convinzione? Io mi reputo una persona abbastanza intuitiva, e quello che traspare dal comportamento di Kaede mi ha indotto a credere che lui non sia solo il freddo ragazzo che se ne frega di tutto e di tutti.

Accidenti se è bravo! Mi ha stoppato di nuovo, senza peraltro fare troppa fatica. E’ come una tempesta lontana che scuote l’aria senza il minimo suono.

Mi metto in posizione, deciso ora più che mai a bloccare il suo attacco, desideroso di mostrarli che anche io, come lui, sono capace di fare miracoli.

Ma poi accade.

Se esiste il destino, quella forza in grado di dare direzione precisa al cammino di un uomo, esso è venuto a trovarmi in un pomeriggio d’autunno.

Ciò che ho visto negli occhi di Kaede non apparteneva a questo mondo. Quel fuoco freddo ma così distruttivo non doveva nascere negli occhi di un uomo. Quella furia satura di passione non poteva esser figlia di questa realtà. 

Ciò che in quel momento avevo di fronte era un dio.

Senza nemmeno accorgermene mi sono bloccato in mezzo al campo lasciando andare Kaede a canestro. Credo anche di aver chiuso gli occhi, perché l’unica cosa che riuscivo a percepire era il battere asincrono del mio cuore e della palla che colpiva il terreno.

E nel frattempo una silenziosa supplica si è alzata al cielo dal più profondo e nascosto angolo del mio essere.

Aprire gli occhi e scoprire quello sguardo d’onice e cobalto rivolto solo a me. Risvegliarmi da questo sogno che dura ormai da settimane e rendermi conto che la realtà può a volte superare l’immaginazione.

Veder esaudita la mia più egoistica preghiera.

“Hana?”

Non so cosa mi abbia indotto a muovermi verso lui, se la consapevolezza improvvisa dell’inimmaginabile vastità di questo sentimento o il suo sguardo inspiegabilmente dolce fisso nel mio, realizzazione inattesa del desiderio espresso l’istante prima.

Con gli occhi fissi nei suoi e con una battaglia ormai persa nel cuore ho posato una mano sul suo volto, e incapace di mentire oltre le mie labbra hanno incontrato le sue.

E’ stato come vivere un istante eterno sottratto allo scorrere del tempo.

Un mondo svuotato da ogni sua ragione se non l’assaporare le sensazioni che quel dolce e leggero contatto suscitava in me.
Un ritorno a casa dopo un esilio durato una vita.

Come vorrei…

Come vorrei che questo momento non avesse mai fine.

Come vorrei che il ragazzo che mi sta di fronte fosse in grado di sentire ciò che io sento, questa melodia incessante che riempie l’aria, questo suono cristallino che vibra ad ogni suo respiro.

Ma i resti della mia razionalità si stavano nuovamente facendo sentire, taglienti come le schegge di uno specchio in frantumi.

In un maledetto istante mi sono reso conto di ciò che avevo fatto, e staccatomi da Kaede l’ho guardato con il terrore e la colpa negli occhi.

‘Ti prego’ è l’unica cosa che riesco a pensare.

“Perdonami” è l’unica cosa che riesco a dire.

Come ho potuto fare qualcosa di così avventato? Come è stato possibile che ogni briciola di autocontrollo che possedevo sia svanita all’improvviso? 

Kaede mi fa questo effetto. Come una droga di cui non puoi fare a meno, che ti porta all’estasi, ma nasconde in sé le chiavi della tua disfatta.

Mi sta ancora fissando con quegli occhi che mi fanno perdere la ragione, e dopo un respiro profondo mi parla di nuovo.

“Perché?”

Perché cosa? Perché ti ho baciato o perché ti ho chiesto perdono? Non ha importanza, perché la risposta ad ogni tuo quesito è solo una.

“Ti amo…”

Ti amo. Più una domanda che un’affermazione.

E di nuovo questo insostenibile senso di colpa mi assale. Quanto sono egoista. Mi rendo conto di aver reso noto a Kaede un sentimento che probabilmente non è disposto ad accettare, di averlo gravato del peso di una consapevolezza che non aveva mai chiesto.

“Perdonami” dico di nuovo, e nello stesso istante fuggo sotto la pioggia.





No.

Non può.

Non può essere.

Ciò che è appena accaduto deve essere frutto della mia immaginazione.

Hanamichi non può essersi dichiarato. Hanamichi non può avermi baciato.

Non può.

Ma il delicato sapore di frutta che sento ancora sulle labbra mi indica il contrario.

E per quanto possa sembrare strano ed inimmaginabile, tutto il mio essere esulta.

Lo so che la sua poco convenzionale dichiarazione deve essergli costata molto, che il suo essersi sacrificato sull’altare della dignità mi dimostra ancora una volta quanto sia imprevedibile e speciale questo ragazzo, ma l’unica cosa che la mia mente riesce a visualizzare in questo istante è il profumo di fragole e arance che sembra aver riempito l’aria.

E forse è anche per questo che lo sto rincorrendo sotto la pioggia.

Sono settimane che non mi riconosco più. Lunghi e tormentati giorni in cui il mio pensiero era colmo di lui, in cui i miei sogni erano posseduti dai suoi occhi ed ogni mio gesto mi riportava alla mente i suoi sorrisi.

Hanamichi… senza nemmeno rendertene conto mi hai incatenato a te, e ormai basta solo la tua presenza a farmi sentire di nuovo vivo.

Piove.

La nebbia sta lentamente avvolgendo ogni cosa, rendendo indistinto ogni contorno.

Il cielo è grigio e le luci dei lampioni creano diffusi e luminescenti aloni, ma ai miei occhi questo appare come un mondo di sole.

Nonostante l’aria abbia un sapore elettrico e il vento freddo mi geli le ossa, nonostante la pioggia senza fine mi incolli la stoffa dei vestiti alla pelle ed il rincorrerti mi stia rubando il respiro, il mondo mi appare avvolto dalla calda luce di mille candele.

E il calore che sento nel petto non è causato dalla corsa affannosa, ma dal gridare impazzito del mio cuore.

Devo ammettere che se mi fermo a pensarci, questo mio rincorrerti sotto la pioggia mi appare come un gesto irrazionale e disperato, ma per qualche strano motivo tutto attorno a me grida affinché io prosegua.

Non so nemmeno da che parte sei andato, ma un’indefinita e calda sensazione mi assicura che ti troverò comunque.

Ormai sono completamente fradicio. Le scarpe coperte di fango e i vestiti intrisi di pioggia che si incollano alla pelle. I capelli bagnati che in ciocche scomposte mi velano gli occhi.

Ma nonostante ciò continuo a correre.

E mentre supero a grandi passi un parco pieno di alberi ormai spogli, scorgo l’unica macchia di colore in questo mondo ormai del tutto grigio.

Tu.

Fermo.

Con il viso rivolto al cielo.

E le lacrime che si mescolano alla pioggia.

“Hana…” sussurro muovendo un insicuro passo verso di te, non sapendo se ti sei accorto della mia presenza.

“Sai” dici all’improvviso “io ci ho provato. Ci ho provato con tutto me stesso. Certo, in fondo al cuore sapevo che era una battaglia persa, ma mi sono detto: ehi, io sono il tensai! Pur non avendo mai giocato a basket prima d’ora faccio miracoli, perché non dovrei essere in grado di smettere di amarlo? Lo so che ti potrà sembrare un ragionamento assurdo, ma l’immensità del sentimento che mi ero scoperto provare nei tuoi confronti mi terrorizzava. E mi terrorizza ancora. Io… io ti amo Kaede, e questo sentimento mi sta uccidendo.”

Io… io tremo.

E l’aria fredda che mi graffia la pelle bagnata non ne è la responsabile.

Quelle parole.

Quegli occhi.

Quella sincerità sconcertante che ho sempre saputo fare parte di lui, e che ora mi rapisce il respiro.

“Hana…” sussurro di nuovo, un altro lento passo verso di lui.

“Perdonami kitsune” riprende alzando gli occhi “perdonami perché l’unica cosa che desidero è il vento che ti scompiglia i capelli e questa pioggia che ti accarezza silenziosa. Perdonami, perché per quanto possa sembrarti stupido, ogni volta che lasci una stanza c’è una parte di me che vorrebbe seguirti. Perdonami, perché il mio mondo va in frantumi e risorge a nuova vita ogni volta che i miei occhi vengono incatenati dai tuoi.”

E poi il silenzio.

Non ho mai amato parlare, ma ora che desidero farlo la voce si rifiuta di collaborare.

Ed è tutta colpa sua.

Non credevo esistesse qualcosa in questo mondo di così sconvolgente da costringermi al silenzio, ma con quelle poche parole dense di sovrastanti sentimenti il do’aho è riuscito in quello che mai avrei ritenuto possibile.

“Hana…” sussurro di nuovo, e insieme al sorprendente tremito della voce, una sensazione finora sconosciuta rapisce i miei pensieri.

Io piango.

Senza nemmeno accorgermene calde e salate lacrime hanno cominciato a scorrere sul mio volto già bagnato dalla pioggia, segnando in maniera ormai del tutto indelebile il mio cuore.

E con la stessa ineluttabilità con cui ogni mio canestro va a segno, faccio l’unica cosa che il mio cuore innamorato mi sussurra ormai da giorni.

“Hana…” lo chiamo ancora, e senza dargli il tempo di alzare lo sguardo lo tiro per un braccio e copro le sue labbra schiuse con le mie.

Ed è come una tempesta nel bel mezzo di un mattino di sole, una procellosa burrasca nel più silenzioso dei deserti.

E nello scorrere di un istante mi rendo conto che la melodia che sento non è altro che il battito dei nostri cuori.

Le labbra di Hanamichi mi parlano di lidi lontani e delle fiamme ardenti di un maestoso vulcano. Le sue mani mi mostrano la fredda quiete dei ghiacciai e l’estasi delle più calde estati. I suoi occhi riflettono l’altra faccia della luna, e all’improvviso deserti e ombre sconosciuti non appaiono più così temibili.

E io…

Io sono il suo prigioniero.

“Pensi…” mi chiede all’improvviso, mentre io già rimpiango quel contatto così dolce e delicato.

“Pensi che… pensi che potresti provare a essere… essere il mio… il mio…”

Desiderio. Dolcezza. Forza. Insicurezza. E quel qualcosa di magico che ti ha permesso di arrivare sicuro attraverso il labirinto del mio cuore.

“Sì, do’aho. Penso proprio di sì.”

 

OWARI

Waaaaaa!!!! Che para psicologica assurda!!! Tra l'altro avevo una mezza idea di scriverne ancora un pezzo, ma alla fine ho saggiamente deciso di tagliarla qui... vuoi mettere sorbirsi altri vaneggiamenti del genere?

Comunque se dovessi essere DAVVERO ispirata proverò a scrivere una sorta di epilogo...

Bacetti umidi e alla prox!