When the
sun comes parte
III
di Hotaru
“La
mia volpe è adorabile”.
Hanamichi
si gongolava in giro per le strade di Kanagawa.
Sguardo
assente.
Sorriso
trasognato.
Camminava,
dondolando il corpo, come se alcuni angeli lo stessero muovendo su
un’altalena.
“La
mia volpe è furba… ma tanto, tanto amorevole!”.
La
mente del ragazzo non vedeva altro che vellutati capelli neri ebano, che
una pelle eburnea, che uno sguardo misterioso e sensuale che ancora non si
era rivelato in tutta la sua potente essenza.
Erano
all’inizio della loro relazione, erano trascorsi una ventina di giorni
da quando avevano dichiarato reciproco amore.
Baci
rubati.
Carezze
proibite.
Sguardi
furtivi.
Ecco
cos’erano stati quei giorni per Hanamichi e Kaede.
Era
la prima esperienza per entrambi e non era nemmeno la più usuale che
potessero pensare.
Ma
non per questo avevano paura o si sentivano scoraggiati.
Sapevano
di poter contare l’uno sull’altro.
Erano
in due a lottare.
In
due a tenersi per mano.
In
due a correre verso il mare e poi a buttarcisi dentro, nuotando fino a far
dolere le braccia.
In
due ad aspettarsi per riprendere fiato.
In
due per continuare a vivere.
Questo
era ciò che contava.
Hanamichi
lo avvertiva e lo trasmetteva alla gente che, subdola,
aveva ripreso a popolare le strade.
Era
un lunedì limpido e luminoso.
Così
chiaro da far credere che ogni oggetto fosse fatto di cristallo, sebbene
fosse soltanto il riflesso dei raggi del sole sulle gocce di pioggia, che
bagnavano la superficie del mondo, a rendere quell’effetto
Il
giorno precedente aveva piovuto ininterrottamente per più di dieci
ore.
Aveva
cominciato attorno all’ora di pranzo e aveva smesso solo a notte
inoltrata.
Una
pioggia così triste Hanamichi non l’aveva mai vista.
Sì,
triste.
Solitamente
la pioggia può essere descritta come scrosciante, fitta, debole,
passeggera.
Quello
che egli aveva, invece, sentito in ogni singola goccia caduta sul
davanzale della sua finestra era stato
un singulto.
Un
lamento troncato sul nascere.
Ogni
volta che un ticchettio risuonava nelle sue orecchie era mosso come da un
sentimento di pietà e
compassione per quelle gocce così sole e pallide.
Aveva
trascorso molto tempo a fissare fuori dalla finestra.
In
seguito, vinto dalla noia e dal sonno
si era addormentato sul sofà.
Era
così amareggiato di non potere vedere Kaede quel giorno!
Durante
la settimana si incontravano, ma nulla più: “Un po’ poco, non
credi?” ripeteva Hanamichi nella sua testolina.
E
poi, finalmente, la domenica.
Tutto
quello che era rimasto in sospeso doveva essere saldato in quel giorno.
Era
come accumulare una montagna di soldi per sei giorni la settimana e poi
depositarli tutti in una volta, nel settimo.
Era
come l’apogeo del piacere, diceva sempre a se stesso.
Tutta
la settimana era un insieme di preliminari dolci e gustosi, ma che non
portavano mai all’apice.
La
domenica, invece, era un finale sfavillante e portentoso!
La
sola idea di fare coppia con Kaede Rukawa lo elettrizzava non poco
e faceva emergere dal suo inconscio ogni tipo di inibizione,
dissoluta o meno!
Purtroppo
per lui quella domenica la pioggia li aveva costretti in casa.
Acqua
torrenziale e maledetta.
Non
era giusto che, per assecondare i capricci delle nuvole, dovevano
rimanersene a casa e precludere ogni contatto.
Ma
ora il sole era tornato a risplendere.
Ora
Hanamichi lo avrebbe rivisto e… era troppo felice!
Giunse
a scuola in orario e la prima cosa che fece fu sbirciare
nell’aula di Kaede per vederlo, dopo una così lunga astinenza.
“Non
c’è! –pensò Hanamichi un po’ costernato, ma poi continuò
stizzito- Come ‘ non c’è ’ ?!?! Dove cavolo è finito?! Non dirmi
che si è ancora addormentato al campo qui vicino…”.
“Ehi”.
Hanamichi
si riscosse velocemente al suono di quella voce: “Ah, eccoti qua! Dove
eri finito?”.
“Mpf”.
“Potresti
rispondere qualche volta, teme kitsune!!”.
Rukawa
non lo degnò nemmeno di uno sguardo; si era semplicemente fatto spazio
ed era entrato in classe, suscitando come sempre i sospiri di
alcune ragazze.
Hanamichi,
nel frattempo, continuava a brontolare e a lamentarsi sulla porta
d’ingresso dell’aula, incurante dell’espressione che compariva sul
volto incuriosito degli altri allievi al sentire le sue parole: “Dopo un
giorno di assoluto silenzio, questo è il tuo benvenuto?! Non so se te ne
sei accorto, ma ieri non ci siamo neanche telefonati!”.
Rukawa
si alzò dal banco, si avvicinò alla porta, fissò negli occhi il suo
rossino.
Hanamichi
vacillò: quello sguardo lo mandava in estasi. Di fronte ai suoi occhi si
sentiva ipnotizzato: avrebbe fatto qualunque cosa, qualunque…
SLAM!!!
La
gente, che si era raccolta intorno per assistere a quel siparietto,
sussultò.
La
porta era stata sbattuta con tale violenza da far tremare l’aria,
causando un rimbombo lungo tutto il corridoio.
Un
silenzio lungo e denso scese fra tutte le persone, che si voltarono
contemporaneamente a fissare Hanamichi.
Lo
stesso ragazzo era rimasto scosso da quell’assordante rumore, ma si era
anche ripreso dallo stato catatonico in cui era sceso poco prima fissando
quelle due gocce d’oceano negli occhi di Rukawa.
Accortosi
di avere lo sguardo di tutti addosso, ringhiò: “Allora?! Cosa avete da
guardare?! Tornate a farvi gli affari vostri!!!”.
A
quelle parole, la massa accalcata alle spalle del numero dieci si dileguò
e il corridoio riprese vita
Ma
una domanda aleggiava nella mente di tutti.
Quella
stessa domanda che palpitava nell’aria ogni volta che Hanamichi faceva
un passo per portarsi verso la sua aula.
La
medesima domanda che tuonava nella testa più rossa dell’istituto.
Cosa
diavolo stava succedendo?
Owari
capitolo 3.
Vai all'Archivio Fan Fictions |
Vai all'Archivio Original
Fictions |
|