Wake up di
Levy Ciò che odiava di più al mondo, inaspettatamente, era il
doversi svegliare al mattino. Per ragioni ancora del tutto non chiarite,
Kunimitsu Tezuka era solito svegliarsi in un deplorabile stato di odio e irritazione
nei confronti dell’intero universo. Quando qualcuno si accingeva a svegliarlo, era buona
norma equipaggiarsi di adeguati dispositivi di difesa personale, quali
elmetti o mazze da baseball, onde evitare di essere colpito dagli enormi volumi
di storia sui quali era solito addormentarsi e altrettanto solito
scaraventare a destra e a manca quando il suo sonno veniva disturbati da
qualsivoglia miseranda creatura. Il primo giorno di allenamento extra in montagna non fu
molto diverso. Oishi- senpai riemerse dalla stanza piagnucolando che il
capitano lo aveva colpito con ‘Il secolo breve’, provocando l’ilarità
generale e qualche preprlessità nella mente logica di Inui, incapace di
accettare l’idea che un essere umano, fosse anche Tezuka -san, avesse le
facoltà di evocare un secolo solo per abbatterlo sulla testa di qualcuno. L’aria di montagna lo faceva sentire nervoso.
Inaspettatamente. La sua insonnia peggiorava costantemente, né gli
allenamenti logoranti né i suoi
infiniti libri di storia riuscivano a placarla in alcun modo. Era come se
riposare gli fosse proibito. Al di là della brezza montana e ogni altro alibi,
Kunimitsu Tezuka sapeva perfettamente, di essere, nel profondo, un vigliacco.
Il suo punto debole, anche solo ammettere la sua debolezza, era abbastanza
per spaventarlo a morte. Riposarsi avrebbe significato arrendersi, e il
capouitano non poteva permettersi di farlo. Non tanto per i suoi compagni,
tesi nello sforzo di raggiungere il suo livello, quanto per se stesso, solo
per se stesso. Non voleva essere lasciato indetro, abbandonato. Era
semplicemente terrorizzato dall’idea che il suo corpo lo abbandonasse. La mattina del quarto giorno, nessuno aveva visto il
capitano a colazione. Inaspettatamente. Tezuka stava ancora dormendo, il volto sepolto nel
cuscino, era all’apice del suo sonno tormentato, quando Shusuke Fuji entrò
nella stanza con il suo passo leggero, ovattato. Aveva notato l’assenza del
suo capitano da tavola e aveva lasciato la stanza, senza una parola. Non si
era chiesto, nemmeno per un attimo, che cosa lo avesse spinto ad entrare
nella sua stanza per svegliarlo il più dolcemente, il più premurosamente
possibile. Shusuke Fuji era fatto così, camminava sempre sul sentiero
dell’evidenza delle cose. Non si negava mai un sentimento, neanche il più
scomodo. Non mentiva mai, non si illudeva mai. Esisteva e basta.
Con il suo sorriso sereno, Fuji era il più coraggioso tra di loro. Nulla gli
avrebbe mai impedito di essere onesto con se stesso. Così, non c’era nessun paura nelle sue mani quando fece
scorrere le sue dita sottili sulla nuca del ragazzo addormentato. Una carezza
leggera, il tocco di una madre.. “ Tezuka…” sussurrò. Gli piaceva la voce di Fuji, lo sapeva da tempo. Lui aveva una voce soffice,
ovattata, la voce ideale per rompere il silenzio senza ferirlo, una voce da
ninnananna. La voce di una madre. La voce perfetta per un amante. Ma mai prima di allora si era accorto che gli piaceva il
modo in cui Fuji lo chiamava per nome. Il tocco delle tre dita sulla sua nuca lo faceva
sentire, nonostante tutto, a suo agio. Mai, nemmeno per un secondo, aveva
immaginato di poter apprezzare un tale
contatto con un altro essere umano. Essere toccato lo faceva sentire nervoso, talvolta a
disagio. Invece, le mani di Fuji erano confortevoli. Sentiva che non c’era
nessun bisogno di mettersi a lanciare i suoi libri per aria, anche se il suo
riposo era stato attivamente interrotto.
Si sentiva tranquillo, in pace E proprio allora, Shusuke lo chiamò di nuovo “ Tezuka…” Un brivido lo scosse, obbligandolo a muoversi, per
rompere il contatto con le sue mani,
che lo stavano ancora scuotendo gentilmente. Ma anche in quel
momento, il disagio era ben lontano
dall’irritazione. A volte non basta una vita per capire che ci manca
qualcosa, a volte si impiega solo un attimo, il più banale, il più breve, il
più ordinario, giusto il tempo di aprire gli occhi al mattino, in pace con il
mondo. Rimase in silenzio, immobile, paralizzato nella completezza perfetta
della rivelazione. E non stava scaraventando assolutamente nulla. Con un
grugnito maldestro rispose semplicemente “ ‘giorno, Shusuke” Il libro che stringeva ancora tra le mani gli sembrò
incredibilmente leggero. Prima di soccombere all’ondata di panico che lo
sommerse quando questa successione di
pensieri ed eventi assunse un ordine significativo nella sua mente, Kunimitsu
Tezuka si sentì, per la prima volta, sinceramente felice di essere stato
svegliato. Inaspettatamente.
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