DISCLAMERS: i personaggi non sono miei, ma del mitico Inoue sensei. Io mi diverto solo a torturarli per mio diletto personale!      ^__^

 Autrice: allora si parte!

Ru: era ora che ricominciassi a scrivere!

Autrice: beh io volevo dire: si parte in vacanza!

Ru leggermente nervoso: tu non vai da nessuna parte se almeno non porti a termine una delle tue stupidissime storie! Capito?

Autrice: senti io ci ho pensato a lungo: le mie storie, come dici tu sono stupidissime. Quindi smetto di scrivere!

Ru: stump!

Autrice: poverino! E’ svenuto.

Hana: ehi autrice potevi andarci un po’ leggera, non credi?

Autrice: così impara a dire che le mie storie sono stupide.

Sen: autrice! ç________ç  Che significa che hai smesso di scrivere! E il mio Hiro?

Autrice: tranquillo Aki! Era solo per fare prendere un coccolone ad Ede! Bene allora si ricomincia. Come vi ho detto, questa parte narrerà la giornata trascorsa dal secondo trio: Hiroaki, Akira e Mark. Spero che vi piaccia. Buona lettura!

 


Voglio tornare a sorridere

parte X

di Soffio d'argento


 

Appena si furono divisi Hiroaki spostò lo sguardo da uno all’altro dei suoi compagni. Akira aveva l’eterno sorriso che spesso lo faceva indiavolare e Mark sembrava essere sul punto di scagliare una bomba nucleare. Sospirò rassegnato e si preparò a trascorrere una giornata faticosa.

Presero il metrò dieci minuti dopo il primo gruppo, al binario 7.

Akira fece sedere Hiro accanto a sé e guardò soddisfatto per un attimo il rivale.

Durante il tragitto nessuno dei tre ragazzi parlò. Non che Hiro ne fosse dispiaciuto, ma quella situazione iniziava ad innervosirlo. Cercò di non pensarci e si mise a guardare fuori dal finestrino. Naturalmente non riusciva a vedere altro che buio, ma era sempre meglio che guardare Akira o Mark, poiché erano gli unici dello scompartimento.

<< Cosa guardi di così interessante, Hiro-kun? >>

Akira si sporse verso di lui, tanto da sfiorargli i capelli con il mento. Guardava incuriosito fuori dal finestrino, come potesse davvero vederci qualcosa. Era il suo modo per richiamarlo a sé. Quando Hiro s’isolava dal resto del mondo, Akira restava a guardarlo in silenzio, come fosse una creatura di un altro mondo. Sul suo viso si poteva benissimo leggere lo stupore e la meraviglia, ma anche qualcosa di più profondo, la tristezza. Detestava quando Hiro si rifugiava nei suoi pensieri. Era come se chiudesse una porta e mettesse fuori il cartellino con scritto: non disturbate. Si sentiva maledettamente solo in quei momenti, perciò escogitava qualsiasi stratagemma per riportarlo sulla terra, accanto a sé. E spesso ci riusciva, come in quel caso, strappandogli un suo preziosissimo sorriso. Uno di quelli che riservava solo per lui. Solo che in quel momento c’era qualcuno in più.

Ecco Mark era davvero un problema. Se c’era qualcosa che aveva capito era che Mark era molto determinato. Hiroaki gli voleva bene, anche se come un cugino, ma il pensiero che Mark avrebbe potuto davvero portarglielo via, lo disturbava. Mark e Hiro erano lontani cugini, se si erano conosciuti era stato solo per una piccola stradina del caso. Forse Mark sarebbe davvero riuscito a portarsi via il suo koibito. Hiro avrebbe potuto ricambiarlo timidamente e col tempo amarlo.

Si diede un pugno mentale e un pizzicotto fisico sulla guancia.

<< Che stai facendo Akira? >>

<< Nulla Hiro-kun. Ah! Fra due fermate dobbiamo scendere. >>

<< Dove dobbiamo andare? >>

<< Fidati di me, Hiro. Ti divertirai. Mi conosci no? >>

<< E’ proprio perché ti conosco che non mi fido. >>

Akira avrebbe dovuto arrabbiarsi, ma il piccolo sorriso compiaciuto spuntato sul viso del ragazzo lo rese felice. Probabilmente se non vi fosse stato quel rompiscatole del cugino americano, Akira avrebbe di sicuro baciato con slancio il suo ragazzo, ma non poteva, anche perché altrimenti Hiro gli avrebbe mollato sicuramente un ceffone, così forte da fargli girare la testa. Meglio non rischiare.

Dieci minuti dopo erano già usciti dalla stazione della metropolitana.

Davanti all’uscita giganteggiava un enorme cartellone pubblicitario di una marca d’automobili, pubblicizzata da un bel ragazzo dalla carnagione chiara che, ammiccando suadente, chiedeva ai passanti chi voleva fare un giro con lui.

La giornata era calda e il tempo prometteva per il meglio.

Gli alti palazzi sembravano dita rivolte al cielo, quasi a voler toccare e possedere quell’azzurro senza limiti e quel sole d’oro.

Chissà come se la stava cavando Hanamichi.

Sentì Akira afferrargli il polso e trascinarlo lungo la strada principale. Il corso era colmo di persone. C’erano ragazze allegre che uscivano dai negozi, piene di pacchi colorati, bambini che assaggiavano invitanti gelati…

<< Voglio il gelato. >> chiese Hiro all’improvviso, con il tono di un bambino capriccioso.

Per poco Akira non scoppiò a ridere lì, in mezzo alla folla. L’espressione del ragazzo più basso non tradiva le sue parole. Il musetto grazioso era piegato in una smorfia capricciosa.

<< C’è una gelateria lì di fronte, Hiro. >> esclamò Mark.

Akira strinse la presa sul polso di Hiro, ma non troppo per non fargli male e lo tirò leggermente verso di sé.

<< Andremo più in là. C’è una pasticceria ottima. Fa dei gelati che sono la fine del mondo, Mark. >> e calcò volutamente il tono sul suo nome.

Hiro se n’accorse subito ed evitò di tirargli una gomitata solo perché Akira, intuendo la sua reazione, gli aveva bloccato preventivamente il braccio.

La piccola gelateria aveva davvero un aspetto grazioso, dovette ammettere anche Mark. Si respirava un odore intenso di biscotti e torte colorate risplendevano dietro i vetri chiari del bancone.

Si sedettero attorno al tavolo più riparato e iniziarono a sfogliare il menù nell’attesa di ordinare.

Hiroaki sfogliò lentamente le pagine plastificate e scelse una coppa di gelato ai gusti di nocciola, cioccolato e vaniglia con granella di nocciole e spruzzata di panna. Akira decise di restare sul leggero ordinando una fetta di Sucher tourte (ehm… non ho idea di come si scriva….), mentre Mark preferì prendere solo del the classico.

Akira sembrava stranamente contento. Hiro si chiedeva quanto ci avrebbe messo a capire cosa passasse per la testa di quel ragazzo. Mark era molto silenzioso invece. Osservava la gente passare lenta fuori dal bar. Aveva il viso appoggiato ad un braccio e lo sguardo così pensieroso che Hiro dubitò per un attimo che accanto a lui vi fosse davvero il cugino.

Continuavano a frullargli per la testa le parole di Sendo. Loro erano cugini, ma questo lo sapeva, lo aveva sempre saputo, ma allora perché era venuto sin in Giappone? Per accorgersi da solo che non potevano esserci speranze? Cosa voleva dirgli il suo cuore?

<< Allora Mark, quando torni in America? >> chiese Akira dando alla frase un tono non curante.

<< Non ho ancora deciso…. Qualche suggerimento? >>

<< Potresti partire domani. >> sorrise Mister Smile.

<< Ti piacerebbe, vero? Così avresti ogni strada libera?! >>

<< Akira! Smettila! E la stessa cosa vale per te. Smettetela di trattarmi come un osso da litigare o me ne torno a casa. >>

E ricadde il silenzio. Akira infilò le mani in tasca e le sue bianche dita sfiorarono un oggetto di carta. Poco dopo arrivò la ragazza a prendere le ordinazioni e subito se n’andò, lanciando sguardi imbarazzati verso il ragazzo tutto sorrisi.

Una leggera sinfonia classica ondeggiava nell’aere. Il bar sembrava un piccolo mondo parallelo, in cui loro erano gli unici abitanti. Fuori la temperatura si stava scaldando e il cielo si schiariva fino a diventare quasi trasparente.

<< Prego. Le vostre ordinazioni. >>

I ragazzi ringraziarono la cameriera e si prepararono a gustarsi quelle invitanti delizie che, oltre al cuore, avevano il potere di rinfrescare anche la mente.

Mangiarono per buona parte del tempo in silenzio, poi, stranamente, fu Hiro a parlare per primo, innervosito dall’innaturale senso d’oppressione. Quel silenzio lo stava facendo innervosire.

<< Dove andiamo adesso, Akira? >> chiese sperando che l’ex koibito prendesse al volo l’occasione per far decollare la conversazione.

<< E’ una sorpresa Hiro-kun. Spero che ti piacerà. >>

<< Beh se l’hai organizzata tu, sarà sorprendente sicuramente. >>

 

Lasciato il confortante fresco del bar, si diressero più a sud, verso un immenso palasport. A Hiro si allargò il sorriso sul volto e Akira guardò soddisfatto Mark.

<< Il palazzetto del Ghiaccio! Che ci andiamo a fare, Akira? >>

<< Secondo te, Hiro-kun? Io dire un picnic sulla neve, che ne pensi? >>

<< Ma oggi è giorno di chiusura… >> disse più per se stesso che per altri.

<< Ti fidi di me Hiro? >> domandò suadente il ragazzo più alto.

Akira pensò che il musetto arrabbiato del suo ragazzo fosse la cosa più luminosa e bella dell’intera giornata. Poiché conosceva da tempo immemore il padrone del palazzetto, amico del padre, Akira si era fatto affidare le chiavi. Quella mattina l’asso del Ryonan si era alzato molto presto ed era andato ad organizzare la sua “sorpresa”. Purtroppo aveva dovuto considerare nei suoi piani pure lo scocciatore del cugino. Aveva dovuto invitarlo perché altrimenti Hiro non sarebbe andato con lui, lasciando il “povero” cugino venuto dall’America, come moderna crocerossina, solo per lui. Tsè, continuava a ripetersi il porcospino. Altro che filantropia!

 

I tre ragazzi entrarono dalla porta principale e percorsero in silenzio i corridoi vuoti.

<< Akira ma sei sicuro? Non è che se ci trovano qui finiamo nei casini? >>

<< Non ti preoccupare. Il direttore del palazzetto è un amico di mio padre e stravede per me, mi ha dato le chiavi e mi ha detto che possiamo restare qui tutto il giorno. >>

E sorridendo li accompagnò negli spogliatoi. Akira, a quanto pareva, doveva aver preparato tutto alla meglio. Aveva sistemato negli spogliatoi nuovi abiti più pesati e attrezzature sportive. Lasciò che i ragazzi si preparassero e, a malincuore, dovette lasciare Hiro solo con Mark, per preparare la sorpresa. Chiuse la porta e gli si appoggiò contro. Con quell’idea si giocava il tutto per tutto. Se non fosse riuscito a far ricordare a Hiro quel “qualcosa” che aveva distrutto per la sua stupida voglia di provare, allora… allora che avrebbe fatto? L’avrebbe davvero lasciato andare?

Si sistemò i capelli e si diresse, fischiettando, verso la sala controllo.

 

Nel frattempo Hiro e Mark si cambiavano d’abito.

<< Posso farti una domanda Hiro? >>

<< Certo Mark. Non c’è bisogno che tu me lo chieda. >>

Mark sbottonò la camicia e la fece scivolare lungo le spalle tornite. Aveva muscoli ben tesi e scattanti, come si addiceva ad un tennista. Le gambe erano ancor fasciate da semplici jeans che risaltavano la muscolatura atletica. Era impossibile non accorgersi della sua avvenenza, pensò Hiro quando voltò lo sguardo verso di lui a seguito della sua domanda. Eppure, da quanto ricordasse, Mark non gli aveva mai parlato di nessuno in particolare, se si escludeva quella fantomatica persona, di cui gli aveva parlato tempo addietro, ma che lui considerava un capitolo non apribile.

<< Tu… >> riprese Mark: << cosa provi per Akira? >>

<< Vuoi la verità? Non lo so e credimi se ti dico che non sono sincero. >>

<< Dovresti odiarlo per quello che ti ha fatto… >>

Hiro si accomodò su una panca mentre, a torso nudo, s’infilava le calze. Ci pensò su un attimo e poi decise che quello sarebbe stato il momento migliore per cercare di capire.

<< Non potrei mai odiare Akira. I primi tempi ero… arrabbiato. Non capivo come potesse aver avuto il coraggio di buttare tutto il tempo passato insieme. E mi riferisco a tutto il tempo, compreso e soprattutto quello in cui eravamo solo uno il migliore amico dell’altro. >>

Mark si sistemò sulla panca vicina, accanto agli armadietti blu. Continuò a vestirsi in silenzio, ascoltando ogni parola dal suo amore.

<< Quando ci siamo conosciuti, io e Akira andavamo ancora alle medie. E’ stato ad Hokkaido, in montagna. Da quel giorno non ci siamo più separati. N’abbiamo combinate di cotte e di crude. Ricordo quando siamo sfuggiti alla vecchia signora Hume che ci aveva sorpreso a rubargli delle mele, oppure quando abbiamo marinato la scuola per andare a vedere l’inaugurazione di un lunapark. Siamo stati lì fino a notte inoltrata. Dovevi vedere le facce dei nostri genitori quando siamo tornati a casa. Non ci hanno permesso di uscire per una settimana, ma io ero felice lo stesso. Vedi quel pomeriggio per me era stato indimenticabile e il guaio è che ogni momento passato con Akira era indimenticabile. >>

Mark aveva finito di cambiarsi ed era rimasto ad ascoltare dando le spalle al cugino. Quando lo sentì alzarsi, si voltò e lo vide sistemare i vestiti ordinatamente sulla panca. Le sue mani bianche ripiegavano con attenzione i vestiti e accarezzavano ogni lembo di stoffa. Mark provò rabbia e invidia persino per quei lembi di stoffa che ricevevano più attenzioni di quanto n’avrebbe mai ricevuto lui.

<< E anche adesso lo è? >>

Hiroaki si voltò sorridendo e a Mark non servì null’altro. In quel momento si sentiva di troppo e sentiva il bisogno di fuggire via, ma allo stesso tempo sapeva che non ci sarebbe riuscito.

<< E Hanamichi? E’ lo stesso sentimento? >>

<< E’ uguale e diverso allo stesso tempo. >>

Mark avrebbe voluto ancora fargli una domanda, ma giunse il porcospino sempre sorridente che li invitò a seguirli. Lo sguardo d’Akira indugiò sulla figura di Hiroaki. Aveva proprio fatto un’ottima scelta. Aveva scelto il rosso e il bianco che rendevano il viso imbronciato di Hiroaki davvero delizioso e irresistibile. Mark era vestito d’azzurro e sembrava appena uscito da un mare blu.

<< Dove andiamo? >>

<< Quante domande Hiro-kun. Aspetta e vedrai. Sono sicuro che ti piacerà. >>

Akira portò i due ragazzi sulla pista di pattinaggio. Mark era un buon pattinatore, ma Hiro, come sapeva bene Akira che aveva cercato mille e una volta di insegnare quello sport al suo koi, detestava il ghiaccio perché finiva sempre per scivolargli sopra e non certo con i  pattini.

Hiro si fece coraggio ed entrò in pista, aggrappato ad un lato al braccio di Akira e dall’altro a quello di Mark. Quanto meno non vi erano testimoni. Se, come immaginava, sarebbe caduto con suo solito, almeno nessuno, o quasi, avrebbe riso.

Vista da fuori quella era davvero una scena esilarante. Mark era molto alto, circa un metro e 86 centimetri e Akira era cresciuto di altri 2 centimetri. Hiroaki sembrava un naufrago che si aggrappa disperatamente ai suoi soccorritori per paura di annegare, nonostante sia già stato portato in salvo. Fecero qualche passo così, poi Akira si sciolse dall’abbraccio e prese Hiroaki per le mani, trascinandolo verso il centro della pista, seguito da Mark.

<< Dai Hiro, se non ti butti non imparerai mai. >>

<< Ma io non mi voglio buttare! Non m’interessa imparare questo stupidissimo sport da femminucce! >> disse Hiro aggrappato alle mani di Akira.

<< Dici così solo perché non sai pattinare! >> rise Mark.

Metà giornata trascorse fra le cadute di Hiro, gli incoraggiamenti dei due ragazzi e qualche risata strappata pure allo scorbutico ragazzino. Dopo tre ore Hiro aveva imparato a camminare e muoversi sulla pista senza difficoltà. Non si appoggiava neppure più ai due ragazzi, che però lo seguivano da molto vicino, evitando che si facesse male perdendo, magari, l’equilibrio. Hiro arrancava tranquillo, tanto lo sapeva che, mal che andava, ci sarebbe stato Akira a prenderlo al volo.

<< Sapete ragazzi? Mi piace questo sport! >>

<< Ma non era uno sport per ragazzini? >> lo canzonò Mark.

Hiro borbottò qualcosa circa la memoria difettosa di qualcuno lì dentro, il ghiaccio gli aveva dato alla testa. Mark scoppiò a ridere e Akira lo seguì a ruota. Hiroaki si sentiva più tranquillo. La tensione del mattino sembrava dimenticata.

<< Basta! Sono stanco! >> esclamò Hiroaki sedendosi sul ghiaccio.

Aveva le guance rosse dallo sforzo e dal freddo. Akira lo guardò sorridendo, mentre Mark gli si avvicinò e gli diede una mano per alzarsi. Hiroaki andò per primo negli spogliatoi. In pista restarono volontariamente Akira e Mark. Pattinavano svogliatamente sul ghiaccio, scivolando lentamente e graffiando con leggerezza il tappeto bianco.

<< Hiro mi ha detto che vi siete conosciuti in montagna. >>

<< Già. Stava cercando di pattinare nonostante non avesse mai indossato un paio di pattini. Io ero andato in quel laghetto silenzioso con l’intenzione di pattinare tutto il giorno, però… quando lo vidi muoversi con cautela sul ghiaccio, come qualcuno che si avvicina ad una fiera con circostanza, mi fermai incantato. Non so perché ma mi sembrò una creatura magica. La luce, che filtrava dai rami degli alberi che circondavano come una corona il lago, gli illuminava il volto teso nello sforzo di imparare. Cadde almeno una decina di volte, eppure si alzava sempre, senza perdersi mai d’animo, ma, anzi, ogni volta con più caparbietà. All’ennesima caduta uscii allo scoperto e mi offrii di insegnargli a pattinare. Mi chiese da quanto tempo fossi nascosto lì e quando gli risposi che mi ero divertito a vederlo rovinare a terra, mi stese con un pugno sul viso. Caspita! Me lo ricordo ancora…. Vedi, lui per me è importante. Quel che è stato non posso cambiarlo e non riesco a capirlo, però ti prometto che lo renderò felice. >>

Detto questo lasciò Mark ancora sul ghiaccio e si diresse agli spogliatoi.

Fermo in mezzo a quel mare ghiacciato, illuminato dalla luce fioca dei fari dell’illuminazione, Mark rimase in silenzio, osservando la porta dell’uscita di sicurezza.

Quando tornò negli spogliatoi Hiro e Akira stavano ricordando le cadute del primo quel lontano giorno. Sembravano più che amici, ma sembravano anche più che amanti. Sembravano…. Mark entrò nella stanza sfoggiando un artificioso sorriso. Si cambiò in fretta e disse di aver ricevuto una telefonata importante da parte del suo agente e che doveva tornare a casa per aspettare una sua telefonata. Hiro cercò di convincerlo a restare, ma Mark si fece accompagnare alla stazione metropolitana e salì sul primo treno.

Quando le porte si chiusero, si accasciò sulla sedia e si perse nella contemplazione del soffitto. La luce del neon brillava ad intermittenza. Una farfalla, attirata dalla luce, si spingeva verso il vetro e il rumore dei colpi rimbombava nel silenzio del tram. Si guardò attorno e si accorse d’essere solo. Lente scivolarono sul suo viso calde lacrime. Si portò il volto fra le mani e lasciò che le lacrime sgorgassero intramezzate dai singhiozzi.

 

Akira aveva progettato tutto alla perfezione e adesso che anche il cugino era uscito dalla circolazione, non sarebbe più stato costretto a dividere il ragazzo con qualcun altro. Eppure non si sentiva completamente contento. Ripensava al sorriso di Mark quando era salito sul treno e alla scusa banale che aveva inventato. In fondo gli faceva pena. Soffriva per un amore che, comunque sarebbero andate le cose, sarebbe rimasto irrealizzabile. Era una comparsa che avrebbe atteso sempre nell’ombra un’uscita meno acclamata della star del teatro.

Guardò il suo compagno alla sua sinistra. Anche lui stava pensando a Mark, n’era certo, ma per il momento non glielo avrebbe chiesto.

Il piano proseguiva e, secondo la scaletta, avrebbero dovuto andare…

<< Ehilà ragazzi! Dove andate di bello? >>

Sia Hiro che Akira conoscevano quella voce. E come avrebbero potuto non riconoscere quel ciclone in miniatura di Kyota? E naturalmente al suo fianco c’era l’immancabile Shinichi Maki.

<< E voi? Dove andate con quel cestino da picnic? >> chiese Hiro.

<< Stavamo andando al parco Higaishi, lo conoscete? C’è un lago bellissimo e siccome la giornata è incoraggiante ho chiesto a mia madre di fare un bel cestino da picnic e andiamo a pranzare fuori! E voi? >>

<< Anche noi stavamo andando a pranzo Nobunaga. >>

<< Davvero? Allora unitevi a noi. >> propose Maki: << La madre di Nobunaga ha cucinato per un esercito. Ci farebbe piacere avervi fra i nostri. >>

Certo quello non era ciò che aveva in mente Akira, ma sapeva che ciò che il suo ragazzo desiderava di meno in quel momento, era restare da soli e pensare. Così diede uno sguardo veloce ad Hiroaki e accettò volentieri.

Il viaggio in treno fu meno noioso del previsto. Akira e Shinichi parlarono di basket e delle squadre universitarie. Nobu e Hiro, invece, litigavano fra loro, innalzando a turno la proprio squadra a migliore della prefettura. Mettevano in luce le ombre della squadra avversaria e nascondevano i difetti della propria. A vederli, litigavano come Sakuragi e Kyota in campo.

Improvvisamente si ricordò del problema principale. Quel pomeriggio era stato così contento di stare con Hiro che si era dimenticato del vero problema: Sakuragi.

<< Come va tra te e Koshino? Voci di corridoio dicono che vi siete lasciati e che adesso sta con Sakuragi che, a sua volta, pare abbiamo mollato Rukawa. Ma da quanto vedo, le voci si sbagliavano. I soliti maligni! >>

<< Dici? Eppure stavolta ci hanno azzeccato. Sto solo cercando di riconquistare il mio koibito. >>

<< Allora sta davvero con Sakuragi? >>

<< No! >> si affrettò a dire Akira, ma poi parve pensarci un po’ su: << Almeno credo. Mi ha detto di aver bisogno di tempo e io glielo sto dando. Spero solo in bene. >>

Il grande parco Higaishi, si trovava a meno di trenta chilometri da Kanagawa. Era un’ampia pianura, più simile ad una pineta che ad un parco. Vi erano sedili e tavolini per i passeggiatori della domenica, ma molti preferivano prendere un po’ di sole sulle sponde del gran lago situato al centro del parco. Era un lago artificiale ma allo stesso modo suggestivo. In quel periodo dell’anno e in quella giornata calda, era pieno di persone d’ogni tipo, tutte stese con gli occhi chiusi rivolti al sole. I ragazzi decisero che quel luogo era sin troppo affollato per i loro gusti e andarono alla ricerca di un posto un po’ più isolato e fresco.

Dopo dieci minuti abbondanti di ricerca, trovarono un angolino appartato fra alti arbusti, vicino, neanche l’avessero fatto a posta, ad un piccolo campetto da basket, cosa che entusiasmò parecchio Nobunaga che non vedeva l’ora di dimostrare con i fatti quanto fosse forte il Kainan King.

Nobunaga e Shinichi stesero un’ampia copertina da picnic e, siccome erano tutti e quattro alquanto affamati, decisero di mettersi a mangiare il pranzo che la madre di Nobunaga aveva gentilmente preparato. C’erano panini d’ogni tipo, succhi di frutta variegati, frutta fresca di stagione, persino biscotti e dolci, per un quantitativo pari a ciò che avrebbe potuto mangiare una squadra di basket.

Mangiarono in allegria e ogni tanto Shinichi e Akira erano costretti ad intervenire nella conversazione dei due rispettivi koi, per evitare che si saltassero al collo.

Dopo pranzo fecero una passeggiata nei dintorni del laghetto, un po’ meno affollato di qualche ora prima. Vi erano impiegati, durante la pausa pranzo, ragazzini di liceo che giocavano a palla, cani che correvano senza collare, il tuo condito con il sottofondo allegro delle risa dei bambini dell’asilo.

<< Vi va di fare una partita di basket? >> chiese Shinichi.

I ragazzi accettarono volentieri e l’entusiasmo di Nobunaga fu così coinvolgente che li trascinò all’interno del campetto senza neppure essersene accorti.

La partita (non mi chiedete di descriverla perché sono una schiappa in materia di basket, come quando da bambina lo praticavo. Sigh! NdA.) si concluse a metà, con l’arrivo di un acquazzone che costrinse i ragazzi a correre per cercare un rifugio.

Per fortuna c’era una piccola casetta di legno, forse usata dal guardiano come ripostiglio. Vi entrarono che già gocciolavano acqua. Si diedero un’asciugata alla meglio, con degli asciugamani che trovarono in un piccolo bagno e attesero che il temporale smettesse.

<< Uffa! Ci mancava il temporale! Sempre fortunati voi del Ryonan! Se non avesse cominciato a piovere avremmo di certo vinto noi. >> sbottò Kyota.

<< Come scusa? Che hai detto scimmia? >>

<< Come osi, Koshino! >>

<< Oso eccome, stupida scimmia! Ti ricordo che eravamo in parità prima che iniziasse a piovere! Casomai siete voi a dover ringraziare! >>

E l’ennesima lite fu soffocata da Maki che prese uno scalpitante Nobunaga tra le braccia e lo portò nella stanza accanto. Hiro e Akira restarono soli nella stanza. Iniziava a fare freddo, forse a causa di tutta l’acqua che avevano preso. Senza rendersene conto Hiroaki cominciò a tremare. Akira, senza neppure pensarci due volte, lo prese fra le sue braccia e lo tenne stretto.

<< Ora non dovresti sentire più freddo. >>

Hiroaki chiuse gli occhi e sprofondò nell’abbraccio del ragazzo. Respirò profondamente il suo profumo di muschio e si lasciò cullare dalla mano di Akira che scivolava lenta sui suoi capelli.

 

Quando smise di piovere era già sera inoltrata. I quattro ragazzi misero a posto la casa e se n’andarono sorridendo verso la fermata del treno. Tutto sommato non era stata una cattiva giornata e la pioggia aveva contribuito a creare un’atmosfera calda e romantica.

 

Si divisero all’arrivo a Kanagawa. Akira accompagnò Hiroaki fino a casa. Gli prese una mano fra la sua e la strinse forte. Hiro glielo lasciò fare, forse a causa della magia di quella giornata. Era stato bene con Akira, ma sentiva che c’erano ancora delle cose da sbrigare.

<< Nobu… >> gli disse Akira prima di lasciarlo entrare in casa: << Posso parlarti un attimo? >>

<< Vuoi entrare dentro, Aki? >>

Il ragazzo alto scosse la testa. Se fosse entrato, non si sarebbe limitato a parlare, non che la cosa gli dispiacesse, ma quello era il momento delle parole e se fosse passato, non sarebbe più riuscito a dirgli ciò che pensava, ciò che provava.

<< Hiro ascoltami. Per noi avevo programmato un’altra serata, ma mi sono divertito comunque, forse di più. Io sto bene con te e ti prometto che, se deciderai di darmi un’altra possibilità, io non ti farò più soffrire. Sto male senza di te, Hiro-kun. Mi sento tremendamente solo, come quel giorno in montagna, ricordi? Quel giorno… prima di incontrare te. >>

Hiroaki gli appoggiò un dito sulle labbra e gli fece segno di tacere, poi sostituì il dito con le sue labbra. Akira chiuse gli occhi e lo strinse a sé. Rimasero così stretti per un tempo che parve infinito, poi, quando Hiro si staccò, Akira gli accarezzò la guancia e gli scostò una ciocca di capelli cadutagli sugli occhi.

<< Ti amo Hiro-kun. Ti amo dal profondo del mio cuore. >> gli sussurrò Akira.

<< Domani…. Domani ti darò una risposta, Aki-kun. A domani. >> e detto questo si sporse un po’ di più e lo ribaciò, poi si voltò verso casa.

Sulla porta Akira lo fermò e uscì dalla tasca una lettera stropicciata. Gliela porse senza dire nulla e Hiro la prese, piacevolmente stupito. Strinse nelle mani la piccola lettera dalla busta rosa ed entrò in casa, senza voltarsi.

Le luci erano spente, forse ancora Mark non era in casa. Molto meglio. Aveva molte a cui pensare in quel momento.

 

<< Domani… >> sussurrò a se stesso Akira, ancora davanti alla porta.

Chiuse gli occhi e sorrise. Sarebbe stata la notte più lunga e dolce di tutta la sua vita. Uscì dal cancelletto canticchiando, come quando faceva quand’era felice.

Quella sera non l’avrebbe mai più dimenticata…

 

FINE DECIMA PARTE

Autrice: finalmente! Sigh! Sob!

Ru: era ora! Sono tre giorni che scrivi, ma perché io e Hana non ci siamo?

Autrice: uffa Ede! Te l’ho già spiegato: oggi era il turno di Akira e Hiroaki.

Sen: autrice… *_______________*

Hiro: O///O

Autrice: ma che belle faccine che avete!

Sen con le lacrime agli occhi: finalmente autrice! Mi hai restituito il mio Hiro!

Autrice: ^^;;; beh…. Non è proprio così…

Sen: è_____é che significa?

Autrice: che ancora manca il capitolo finale. Non è ancora detta l’ultima!

Sen e Ru: stump!

Autrice: ma allora è un vizio! Svenite sempre!

Beh i declaimers li conoscete, no? Spero che questo capitolo vi piaccia! Fatemi sapere che ne pensate, ma evitate i pomodori  marci, non ci posso fare l’insalata! ^_____-

Ah! Dimenticavo! La prima parte è abbastanza noiosa, lo so, ma prendetela come viene, non mi va di cambiarla. Baciotti!

 

Alla prox!



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