Autrice mesta mesta: benvenuti all’ottava parte della mia ff.

Sen a Ru: ma che le è preso?

Ru: e che vuoi che ne sappia?

Autrice sempre più mesta: spero che vi piaccia.

Sen all’autrice: ma che ti prende? Qualcuno ha ricoperto d’insulti il tuo indirizzo di post@?

Ru pensando tra sé: eppure credevo di non averle spedite quelle mail…

Autrice: Ah Kaede, Akira… quando siete arrivati?

Sen: veramente siamo qui dall’inizio!

Ru: ehi incompetente! Perché non ti metti al lavoro invece di fare conversazione?

Autrice prende la tastiera e inizia a scrivere ancora più mogia: hai ragione!

Ru: O_____________O mi ha dato ragione? Ma allora sta malissimo!

Sen preoccupato: autrice riprenditi! T______T   ti prego!

Autrice continua a scrivere mestamente…

Sen e Ru si avvicinano al PC e iniziano a leggere….

Autrice scrive: SCHERZO (demente) DI CARNEVALE (ormai passato)! VI HO FREGATO!

Sen e Ru si prodigano in insulti che è meglio non scrivere….

Autrice: tanto lo so che ci tenete a me! ^____^

Ru e Sen: grrrrrrrrrrrrrrrrr!

Autrice: bene ragazzi! Si parte per l’ottava parte!

 

 

 


Voglio tornare a sorridere

parte VIII

di Soffio d'argento


 

Quando era tornato a casa, aveva trovato, come immaginato, Akira ad aspettarlo davanti alla porta. Era immerso nei suoi pensieri e non dovevano essere piacevoli, visto che non si era accorto di lui. Kaede gli si era avvicinato e si era appoggiato al piccolo cancello della recinzione di casa sua. Non aveva l’abitudine di chiudere il cancello a chiave. Quello era pur sempre un quartiere residenziale.

Akira era seduto sullo scalino più alto della porta. Aveva la camicia fuori dai pantaloni e i primi tre bottoni aperti. La sua espressione non lasciava presagire nulla di buono. Aveva le gambe leggermente divaricate e lo sguardo perso in un punto indefinito sulle sue scarpe. Continuava a torturarsi il labbro inferiore con i denti, mentre le mani passavano ritmicamente sui capelli. Si accorse di Kaede solo quando quest’ultimo, stanco di aspettare immobile, fece qualche passo in più verso di lui.

<< Era ora che arrivassi! >> aveva ringhiato furioso Sendo.

<< Andiamo dentro o spaventerai i figli dei vicini. >>

Kaede era, all’apparenza, molto tranquillo. Dopo aver salutato Hanamichi, invece di dirigersi verso casa, si era fermato a fare qualche tiro, nel campetto di basket vicino scuola. Aveva tirato da tre, dribblato avversari invisibili e il tutto con fare da gran campione. Aveva continuato a far rimbalzare quel pallone sul cemento finché non era crollato dalla stanchezza.

Appena dentro, era andato a posare la cartella e a fare una doccia. Akira aveva continuato ad andare avanti e indietro per il salotto. Saya, la piccola gattina di casa, lo aveva guardato confusa da sopra un cuscino, poi si era riaddormentata.

Quando Kaede era ridisceso, lo aveva trovato addormentato sul divano. Abbracciava un cuscino e il piccolo gattino gli si era accovacciato sulle spalle. Lasciò che si risvegliasse da solo e andò in cucina a preparare la cena.

Akira fu svegliato dal profumo invitante proveniente dalla cucina. Si alzò stropicciandosi gli occhi e sistemandosi l’uniforme scolastica. Prese Saya fra le mani e si diresse sbadigliando in cucina. Per poco non scoppiò a ridere davanti all’amico e si fermò solo perché sapeva quanto detestasse essere schernito. Kaede indossava un ridicolo grembiulino bianco con su disegnato una volpe rossa. Non solo… qualcuno (ed era facile prevedere chi fosse stato) aveva aggiunto un baloon: “proprietà del Tensai!”. Il tutto era accompagnato alla faccia seria di Kaede intento a rimestare in contenuto di una pentola (Ehi tu! Cancella subito! NdR. Ma neanche per sogno! Sei troppo dolce! NdA.). Il volpino non si scompose neppure quando Akira gli si avvicinò con la sua solita aria allegra. Alzò il sopracciglio e lo guardò con aria di sufficienza:

<< Fra poco è pronto. Vai a lavarti la faccia. >>

Akira, non riuscendo più a trattenere una risata, s’inerpicò veloce sugli scalini e raggiunse il bagno. Quando fece ritorno in cucina Kaede aveva già messo tutto in tavola e lo attendeva con il suo solito sguardo accigliato. Alla sola vista Akira fu quasi travolto da un altro moto di risa, ma l’occhiata assassina che gli rivolse Kaede lo fece desistere.

Cenarono per la maggior parte del tempo in silenzio. Akira aveva tentato di intavolare una benché minima conversazione con il volpino, ma quest’ultimo sembrava meno propenso delle altre volte a tenere in allenamento le sue corde vocali, perciò aveva lasciato perdere al terzo “hn”.

Dal salotto provenivano le note di una canzone degli U2. L’atmosfera, pensò Akira era almeno calda. Aiutò Kaede a sistemare la cucina e si sedettero sul divano, seguiti a ruota dalla piccola Saya. Kaede abbassò il volume dello stereo e rimase in attesa delle parole di Akira. Quest’ultimo riprese fiato e fagocitò così tante parole che Kaede non riuscì ad afferrare nulla di ciò che aveva detto. Pensò che, in ogni caso, fosse sciocco fermarlo, tanto più che non vi sarebbe riuscito. Akira aveva bisogno di sfogarsi, perciò rimase in silenzio, osservandolo con la più distaccata delle sue espressioni. Quando finalmente si ritrovò senza fiato, si accasciò sulla poltrona di fronte a Kaede.

<< Hai finito? >> Akira fece cenno con la testa e Kaede ricominciò: << Di quello che hai detto non ho capito nulla, però non ti chiedo di ripetere, giacché Hana mi ha già raccontato dell’arrivo del cugino di Koshino. >>

<< Che devo fare? Vado lì e gli spacco la faccia? Oppure lo sequestro e lo rispedisco impacchettato negli Stati Uniti? Non bastava Sakuragi? Ora pure quella piattola! >>

<< Innervosirti non ti porterà a nulla. >>

Sendo si alzò arrabbiato dalla poltrona e si avvicinò tempestoso a Kaede.

<< Sei bravo a dire “Innervosirti non ti porterà a nulla” >> lo scimmiottò Akira << Tanto non è mica il tuo Hana ad essere nel mirino di un idiota che non ha ancora capito nulla! >>

Kaede stavolta perse la pazienza. Nonostante fosse rimasto tutto il pomeriggio al campetto cercando di rilassarsi, il pensiero di Minami accorso a Kanagawa appena aveva saputo di loro due, non lo faceva stare affatto tranquillo e quei tiri tempestosi al canestro più che rilassato l’avevano solo sfiancato.

<< Ah no? E che faresti se ti dicessi che quel cretino di Minami è venuto da Osaka per mettersi in mezzo? Anche se riesco a mantenere il sangue freddo persino nelle situazioni più difficili, non è detto che sia incapace di preoccuparmi. >>

<< Minami? >>

Akira prese in braccio il gattino che, quando Kaede si era alzato improvvisamente, era caduto a terra, si sedette sul divano accanto a Kaede e iniziò ad accarezzarlo.

<< Già. Quell’idiota è venuto qui solo per “fare un giro turistico”, ma ti sembra possibile? E pensa che ha chiesto a Hanamichi di accompagnarlo. >>

<< E lui che ha risposto? >>

Kaede lo guardò sollevando il sopracciglio sinistro.

<< Secondo te? Ha accettato! Quel do’hao è troppo ingenuo per non capire. E ora che facciamo? >>

Rimasero un po’ in silenzio. Akira continuò ad accarezzare lentamente il piccolo gatto, mentre Kaede sembrava molto lontano. Allungò il braccio e, con il telecomando, aumentò il volume dello stereo.

 

“One love, one life, when it’s one you need in the night...”

 

<< Certo che siamo combinati male. >> disse, alla fine di un lungo silenzio, Akira.

<< Hn. >> si limitò a rispondere Kaede con il suo solito tono annoiato.

<< Che si fa? >>

<< Non lo so. Tu che proponi? Anzi no. Fai finta che non ti abbia chiesto nulla. >>

<< Perché? >>

<< Perché conosco già le tue risposte. Piuttosto dimmi com’è andata con Koshino. >>

Akira assunse per un po’ un’aria imbronciata, ma poi, tutto contento, cominciò a raccontare gli avvenimenti del pomeriggio. Gli raccontò di quando, appena entrato in palestra, aveva capito cosa era accaduto solo guardandolo in volto. Hiro aveva evitato ogni suo sguardo e si era allenato in disparte con Fukuda. Lui si era sentito agitato per tutti gli allenamenti e aveva prolungato la serie di tiri da tre per molto tempo. Attendeva di restare da solo con Hiroaki e anche lui aspettava lo stesso momento. Quando poi anche l’ultimo compagno di squadra era tornato a casa, allora Hiro era entrato negli spogliatoi e lui l’aveva seguito.

<< E’ stato come andare al patibolo. Hiro aveva una faccia funerea, si vedeva che si sentiva in colpa per qualcosa e io temevo che volesse dirmi di non volerne sapere più di me. >>

<< E invece ti ha detto che ha bisogno di tempo. >>

<< Già e che ha baciato Sakuragi, ma questo credo che il diretto interessato te lo abbia detto. >>

Akira continuò il resto del racconto omettendo la parte riguardante la doccia. Kaede ascoltò tutto in silenzio, esaminando ogni parola, felice che il do’hao non gli avesse nascosto nulla. Certo questo non risolveva la situazione, anzi alla luce degli ultimi avvenimenti essa si stava, a dir poco, complicando e chissà perché sentiva che il peggio doveva ancora arrivare. Akira era entusiasta e non gli andava di rovinare il suo umore con congetture, seppur vere. Così decise di tenere per sé i suoi pensieri, aspettando il momento opportuno per parlargliene.

Quando Akira smise di parlare, si voltò verso il suo amico e, con il più ammaliante dei sorrisi, gli chiede di raccontare. Kaede era molto riottoso, poiché non gli era mai piaciuto sbandierare ai quattro venti i suoi sentimenti. Da quando stava con quel ciclone umano si era molto aperto, o per parafrasare una frase del do’hao “stava diventando sempre più un essere umano”. Un altro ragazzo al suo posto si sarebbe arrabbiato e il Kaede dei primi tempi lo avrebbe di certo preso a pugni, ma lui non era più quello di prima. Era sempre scostante, si addormentava ancora in bicicletta, adorava ancora il basket tanto da allenarsi sempre più del dovuto, non parlava molto… però aveva iniziato a scambiare qualche parola con i membri della squadra, spesso si univa a loro per andare in giro tutta la notte o fare festa a casa di qualcuno e poi… il basket non era più la cosa più importante della sua vita. Adesso c’era un altro pensiero che riempiva le sue giornate e quando si addormentava non sognava più solo l’America, adesso c’era lui nella sua vita. Adesso pensava al futuro e lo immaginava solo con lui, giocatore professionista negli USA. Da quel punto di vista non era cambiato molto, il suo sogno era rimasto lo stesso, solo con qualche piccola “aggiunta”.

<< Perché dovrei dirti qualcosa? >> chiese Kaede con tono distaccato.

<< Perché io l’ho fatto. >> aveva risposto seraficamente Akira.

<< Ma io non te l’ho chiesto. >> aveva continuato il moro.

<< Allora fallo perché siamo amici… e perché sono curioso. >> aveva risposto Akira esasperato.

Kaede aveva sospirato sistemandosi meglio nel divano.

<< E va bene. Ma niente commenti. >> l’aveva redarguito.

Akira fremeva sul divano attendendo una parola dal silenzioso amico. Lui era sempre stato un tipo curioso per natura, ma quello che lo spingeva adesso era il bisogno. Conosceva bene la riservatezza dell’amico, tuttavia non poteva fare a meno di chiedere più spiegazioni. Aveva bisogno di sapere. Non che non si fidasse di Hiro, solo che aveva bisogno di una conferma, così come n’aveva avuto bisogno Kaede. Non gli era infatti sfuggito il micro sorriso che era spuntato sul viso dell’amico, quando gli aveva raccontato la confessione di Hiroaki. Naturalmente non era felice della piega che stavano prendendo gli avvenimenti, solo era almeno più tranquillo. Sapeva che il do’hao non gli aveva mentito. Adesso toccava a lui tranquillizzarsi. E questo lo sapeva pure Kaede, per questo aveva accettato di parlare. Ma proprio mentre l’altro si sistemava meglio sul divano, gli venne in mente un frammento di discorso avuto qualche tempo prima, prima che tutto iniziasse.

 

Era un pomeriggio di molto tempo addietro. Erano seduti sul divano dopo aver visto la registrazione di una partita dell’Nba. Akira stava sgranocchiando dei pop-corn, mentre Kaede si era alzato per togliere la videocassetta dal registratore.

“E se ci mettessimo assieme noi due?”

Kaede si era voltato con il solito sguardo tagliente.

“Ma te le sogni la notte certe stronzate?”

“Perché? Hiro non mi considera, Sakuragi è il più etero convinto sulla faccia della terra… in pratica non abbiamo speranza, non credi?”

“No. Perché si ama solo una persona nella vita e io amo Hanamichi.”

“Ma abbiamo solo sedici anni. Pensi sul serio di aver trovato l’amore vero?”

“Se è questo ciò che credi, dubito che riuscirai mai a conquistare il tuo Hiro-kun, eterno o no che sia. Ci sarà di sicuro uno più deciso di te che te lo porterà via.”

 

Per lui Hiro era l’amore della sua vita, l’amore per sempre? Sì. Ora n’era convinto. Quello scorbutico del suo ragazzo era tutto ciò che aveva sempre desiderato. Il suo muso imbronciato era semplicemente delizioso, i loro litigi erano fonte di divertimento, i momenti senza di lui erano lunghissimi e la notte infinita. Da quando si erano messi insieme, su quella panchina del parco, niente era stato più lo stesso. Adesso si sentiva completo e felice.

<< La pianti di pensare ad Hiro? >>

<< Come hai fatto a saperlo? >>

<< Perché il tuo sorriso è diventato ancora più ebete… ad ogni modo se non volevi sapere cosa mi ha raccontato Hana, potevi anche evitare di chiedermelo. >>

<< Ops! Scusa Kaede. Ora ritorno normale. >> aveva detto Akira diventando il più serio possibile.

<< Cosa molto difficile per te! >>

Kaede aveva cominciato il resoconto dal momento in cui aveva seguito Hanamichi nello spogliatoio. Gli aveva raccontato delle cure del rossino quando lo aveva fatto sedere sulla panca, delle parole dolci, ma aveva volutamente tralasciato il particolare della porta. Naturalmente aveva specificato bene ciò che Hana gli aveva raccontato della sera precedente con Hiroaki, e aveva visto il sorriso d’Akira tremare lievemente.

<< Tutto sommato non c’è andata così male. >> aveva aggiunto Akira dopo il resoconto dell’amico.

<< Lo pensavo pure io, prima che Minami si presentasse in palestra. >> aveva risposto seccato Kaede, spegnendo lo stereo.

<< Allora che si fa? >>

Kaede ci pensò un po’ su e poi espresse la sua idea, subito accolta prontamente da Akira.

<< Bene. Sono d’accordo, ma mi toccherà invitare pure Mark. >>

<< E’ inevitabile… come forse la presenza del calimero. >>

<< Ma non è poi così male come situazione. Pensaci bene: finalmente si renderanno conto di ciò che ci lega ai nostri koibito. >> aveva aggiunto Akira.

<< Tutto sommato non hai torto. E poi, ora come ora, il nostro problema è un altro. >>

<< Allontanare Hana e Hiro. Minami e Mark non hanno speranza con loro, ma resta pur sempre il problema iniziale. >>           

Poco dopo Akira se n’era andato, formulando nella sua mente le parole perfette per chiedere a Hiro di uscire con lui. Già s’immaginava il bar in cui sarebbero andati a prendere un gelato, le strade che avrebbero percorso, il lato del parco in cui si sarebbero fermati un po’ e la panchina in cui si sarebbero seduti. Magari lo avrebbe invitato a vedere un film al cinema e lui avrebbe accettato. Naturalmente i suoi progetti non comprendevano il cugino, risucchiato non si sa come da qualche impegno improvviso. Non c’era motivo per rovinarsi la serata che si era rivelata piacevole.

Appena accompagnato Akira alla porta, Kaede aveva dato un’ultima occhiata alla casa ed era salito in camera sua. Si era fatto un bagno lungo e rilassante e mentre i vapori dell’acqua salivano leggeri, aveva ripensato alla sua storia con Hanamichi e alla luce che aveva portato nella sua vita. Preferiva non pensare al giorno dopo, né a fare programmi, anche perché sapeva che poi, per un motivo o per un altro, nulla sarebbe andato come aveva programmato. Si era limitato a ricordare.

Quando era uscito dal bagno, ancora avvolto nell’accappatoio, si era gettato sul letto, stanco. Si era rivoltato un po’ sulla coperta, cercando un po’ del calore o del profumo del rossino. Quante volte era rimasto a guardarlo mentre dormiva? Quante volte lo aveva abbracciato e tenuto stretto contro il suo corpo? Quante volte si era addormentato nel suo abbraccio? Tante, ma ora non c’era più nulla. E se Hana non fosse ritornato da lui? Scacciando quel pensiero si era alzato in fretta e aveva aperto il suo armadio. Era, per metà, vuoto, la metà che era stata occupata dai vestiti del do’hao. Adesso si vedeva una delle due targhette attaccate da Hanamichi, tempo addietro, sul fondo dell’armadio. In una, quella visibile, c’era scritto TENSAI, nell’altra, coperta dai suoi vestiti, c’era scritto KITSUNE, al quale era stato poi aggiunto BAKA quando lui aveva scritto DO’HAO sotto l’autoproclamazione a genio del rossino. Si addormentò vestito solo di un asciugamano.

Il giorno dopo si era alzato molto presto e si era preparato per mettere in atto il suo piano.

Non erano neppure le nove del mattino, quando uno stupito Hanamichi si trovò un Kaede sveglio davanti alla porta di casa.

<< Kitsune? Sei davvero tu? >> aveva detto stropicciandosi gli occhi come colui che vede un fantasma in pieno giorno, davanti ad una folla di vivi e stenta a credere ai suoi occhi.

<< Ti sembro forse qualcun altro? >>

<< Che ci fai qui? Voglio dire… cosa ci fai qui? >>

<< Sono venuto ad invitarti ad uscire. Ieri mi hai assicurato che potevo venire quando avrei voluto… disturbo forse? >>

Hanamichi non fece in tempo a rispondere che, dall’altro capo della strada, aveva visto un trafelato Akira avvicinarsi con il viso arrossato.

<< Akira? >>

<< Ehm… ciao Sakuragi c’è Hiroaki? >>

Hana voltò lo sguardo perplesso verso Kaede e Akira che si stavano fissando con un sorriso compiaciuto. Poi si era spostato e li aveva lasciati entrare, poco convinto delle intenzioni dei due ragazzi. Era una coincidenza poco fortuita l’essersi trovati tutti e due a quell’ora davanti alla loro porta. Hanamichi era quasi sicuro che stessero tramando qualcosa. Li fece accomodare in salotto e andò a chiamare Hiro ancora in cucina a preparare la colazione.

In quel momento scese Mark che, alla vista di Sendo, fece una faccia a dir poco disgustata. Poiché sembrava che i due ragazzi non si fossero ancora accorti di lui, rimase nascosto a spiarli.

“Quello lì è l’idiota di Sendo, passano gli anni ma la capigliatura ebete non cambia. Quel ragazzo accanto, con lo sguardo di ghiaccio deve essere il famoso Kaede. Certo che è proprio un bel ragazzo, pelle diafana, capelli neri come la notte… ora capisco come ha fatto ad affascinare quel bel fusto di Hanamichi. Bel fusto? Mark ricordati che sei venuto in Giappone per portare via Hiroaki.” pensava Mark mentre, nascosto dietro la porta del salotto, spiava ogni loro mossa.

In quello stesso momento Hanamichi seduto sul tavolo, guardava un tranquillo Hiro intento a preparare una colazione, in realtà intento a non bruciarla.

<< Beh Hana di che ti meravigli? Dopo quello che c’è stato ieri… ti sembra così strano? >>

<< No. Quello che mi sembra strano è che si siano presentati tutt’e due insieme. >>

<< Probabilmente è solo una coincidenza. >>

Notando la sua riluttanza a trattare ancora l’argomento, Hana decise di lasciar correre per il momento e tornò in salotto.

Quella mattina Hiro e Hana si erano svegliati abbastanza presto. La sera prima purtroppo non avevano avuto modo di parlare. Hiro non se la sentiva di affrontare l’argomento alla presenza di Mark e Hana era stato d’accordo. Non che non si fidasse del ragazzo, lo giudicava un tipo simpatico e divertente, ma quelle erano “cose private”. Così di mattina presto, si erano trovati a gironzolare per il gran salone aspettando che l’altro si svegliasse. Hiro aveva rinunciato alla solita corsa mattutina e Hana aveva fatto a meno degli allenamenti di basket al campetto vicino casa. Si erano seduti sul letto della stanza di Hiro e avevano parlato tutto il tempo, di ciò che era successo, di quello che avevano provato…. Stranamente, però, ognuno di loro aveva inconsciamente tralasciato di raccontare l’approccio caloroso degli ex. Erano ancora troppo confusi per parlarne e comunque, si ripetevano entrambi, non sarebbe servito a nulla. Quel che era stato era stato e adesso dovevano solo prenderne atto.

Quando Mark si era svegliato ed era sceso in salotto, li aveva trovati a ridere e scherzare e, per la prima volta in tutto quel tempo, si era sentito fuori posto, non accetto. Quando poi aveva visto il solito viso da “ameba sorridente” di Sendo, aveva capito che, trovare un posto per lui nella vita del cugino, sarebbe stata un’impresa titanica. Forse, si era detto, aveva lasciato trascorrere troppo tempo. Avrebbe dovuto… avrebbe dovuto fare cosa? Non lo sapeva. Si era sempre sentito confuso vicino a Hiro. Lo amava, n’era convinto, ma era come se avesse sentito sempre un muro invisibile tra loro. Il legame di sangue? No. Era molto di più. Era qualcosa di più… non sapeva neppure lui cosa. In mezzo a tutta quella confusione, solo una luce risplendeva chiara: Hiro. Non si sarebbe mai arreso, neppure di fronte ad Hanamichi o Akira che fosse.

Quando Hiro aveva raggiunto Hanamichi in salotto, Mark era salito in camera per cambiarsi.

<< Akira? Che ci fai qui? >>

<< Ciao Hiro…. Come va?.... Io avevo pensato… >> Akira si pizzicava le mani agitato.

Kaede sbuffò accanto a lui, per nulla intenzionato a dargli una mano. Aveva sempre detestato quelle scene patetiche da innamorati melensi. Con Hana era sempre stato diretto e deciso. Niente giri di parole, frasi appassionate… forse per questo lo aveva perso? Strinse il pugno e socchiuse gli occhi. Non doveva pensarci.

<< Siamo venuti qui per invitarvi ad uscire. Se vi va, naturalmente. >>

Hana e Hiro si guardarono un po’ stupiti, poi accettarono di buon grado e, anzi, li invitarono a fare colazione con loro. I diretti interessati accettarono volentieri, anche perché col pensiero di fare in fretta, quel mattino non si erano fermati neppure per fare colazione.

Hiro salì in attimo per chiamare Mark e poi si accomodarono tutti nella grande sala da pranzo. Hiro aveva preparato cibo per almeno un esercito, ma Kaede, conoscendo quanto era capace di mangiare il suo koi, non si stupì minimamente.

Appena dentro, Mark rivolse uno sguardo di ghiaccio al povero Akira che gli sorrise soddisfatto. Nessuno, a parte l’algida volpe che era a conoscenza di tutto, se n’accorse. Il resto del tempo trascorse tranquillo. Akira e Hanamichi facevano di tutto per tenere in piedi una conversazione e Mark dava manforte al rossino. Questo non piacque molto a Kaede che, per tutto il tempo, si limitò a guardare di sottecchi l’americano e Hiro, colpevole di essere sempre “troppo vicino” ad Hana. Akira raccontava ad Hanamichi alcuni episodi particolari delle giornate trascorse agli allenamenti e Hana rideva di cuore. Sembra essere tornati ai vecchi tempi, aveva pensato Hiro. Stranamente, il fatto che vi fosse Kaede con loro, non lo infastidiva più di tanto. La sola vicinanza d’Akira riusciva a metterlo di buon umore. Il rosso, dal canto suo, si chiedeva come riuscisse a chiacchierare così amichevolmente con Akira, dopo tutto ciò che era successo tra quest’ultimo e Kaede e tra lui e Hiro. Era strano, ma il fatto che Akira fosse venuto a casa loro quella mattina, per invitare Hiro ad uscire, non lo disturbava più di tanto. Lui sarebbe uscito con Kaede e, dagli abiti che indossava quest’ultimo, ne deduceva che non avrebbero, almeno per quella volta, giocato a basket. Poteva avere tutto per sé il volpino, senza doverlo dividere con una palla arancione.

<< Beh io vado a cambiarmi. >>

Akira si era offerto di aiutare Hiro a sistemare la cucina, sempre sotto vigile sorveglianza di Mark. Hana lo aveva ringraziato, approfittandone per andarsi a cambiare. Kaede aveva dimostrato una forza di volontà incredibile, riuscendo ad impedirsi di seguirlo in camera e chiudercelo dentro.

Akira non riuscì stare vicino al suo koi come avrebbe voluto. Ogni volta che cercava di avvicinarsi ad Hiro, ecco che la pesante presenza di Mark si faceva sentire, mettendosi in mezzo, ogni volta con una scusa diversa. Alla fine Akira si era stancato a vederselo arrivare nei momenti peggiori e aveva riposto le armi. Tanto Hiro sarebbe tornato ad essere suo, pensava tranquillo e sorridente.

“Che avrà da ridere quell’ebete?” si chiedeva Mark, non avvezzo alle capacità di ripresa d’Akira.

Hiro sembrava non accorgersi di nulla, dico sembrava perché in realtà aveva subito notato le loro scaramucce da bambini dell’asilo, ma, poiché non sopportava questo genere di manifestazioni, aveva preferito ignorarli. Si sentiva come un osso conteso fra due cani. Non riusciva proprio a capire le motivazioni del comportamento di Mark, ma probabilmente era a causa d’Akira. Mark sapeva quanto lui avesse sofferto per colpa di Aki e quest’ultimo, dal canto suo, non sopportava che qualcuno gli girasse attorno. Era sempre stato geloso e iper protettivo. Era sempre stato geloso di tutti, persino di Kiccho. Non lo dava a vedere, ma lui lo sentiva sempre irrigidirsi quando qualcuno gli si avvicinava, ma Fukuda era pur sempre uno dei suoi migliori amici e quindi cercava di trattenersi.

Hiro sbuffò infastidito, all’ennesimo litigio accennato fra i due, gli lanciò uno sguardo severo e si diresse ai piani alti per cambiarsi. Dietro la porta di Hana si era fermato in ascolto e lo aveva sentito agitarsi e imprecare contro dei pantaloni, che non volevano saperne di allacciarsi. Anche lui era nervoso, ma Hana lo dimostrava di più. Entrò in camera sorridendo e chiuse la porta, a chiave, per evitare che a qualcuno venissero strane idee.

Intanto in cucina…

Mark e Akira si erano messi ognuno il più lontano possibile dall’altro. Si erano studiati a vicenda per un po’, ognuno criticando tutto dell’altro, ad iniziare dai capelli per finire con i vestiti. Quando Mark fece per andarsi a cambiare, Akira fu più veloce di lui e chiuse la porta della cucina, prima che potesse varcarla.

<< Dobbiamo parlare. >> gli intimò Akira.

<< Parla. >> rispose Mark sedendosi su una sedia, dall’altra parte del tavolo.

Akira lo seguì e si sedette nella sedia di fronte e senza tanti preamboli gli disse:

<< Non hai speranze. >> cominciò e lo vide irrigidirsi: << Lascia perdere Hiro, ti faresti solo male. Voi siete cugini e se Hiro venisse a saperlo, rischieresti di perderlo. >>

<< E vorresti dirglielo tu? >>

<< No. Sono affari tuoi, ma ti conviene evitare. Non risolveresti nulla. >>

<< E dovrei lasciarlo a te? Tu che lo hai fatto soffrire? Mai! Hiro sarà mio e lo porterò via dal Giappone, hai capito? Tu non lo meriti! >>

A quel punto Akira si alzò di scatto, sollevò Mark di almeno 10 cm e lo guardò negli occhi.

<< Ascolta cugino invadente. Fin da ora sono stato paziente, perché mi faceva pena il tuo amore impossibile, ma non permetto a nessuno di portarmi via il mio Hiro. >> poi, come se si fosse appena accorto di aver perso il controllo, lo rimise atterra: << Scusa, ma quando si parla di Hiro… so che l’ho fatto soffrire e so di meritare tutto ciò che sta accadendo fra lui e Hana. So che se mi lasciasse sarebbe meglio per lui, ma… non so se riuscirei a permetterglielo. Lo amo troppo per riuscire a vivere senza di lui. Se dovesse lasciarmi ne soffrirei da cani. Io farò di tutto per riconquistarlo e, te lo giuro, non lo farò mai più soffrire. >>

Detto questo aprì la porta e tornò in salotto.

Mark rimase un po’ a guardare il pavimento, poi sorrise e salì in camera.

<< Che succede? >> chiese Kaede appena vide Akira.

<< Tutto apposto. Ho avuto un piccolo scambio d’opinioni con Mark. >>

Kaede evitò di fare domande, tanto quando si sarebbe sentito in vena, gliene avrebbe parlato lui e poi in quel momento era troppo agitato per preoccuparsi. Sentiva un nodo allo stomaco che faticava a scendere, una brutta sensazione che si acuì quando sentirono suonare il campanello. La voce acuta di Hiro chiese che qualcuno andasse ad aprire.

Quando Kaede andò ad aprire, scoprì cosa lo faceva sentire non propriamente tranquillo. Dietro la porta trovò Minami con il solito sguardo assassino che s’incupì maggiormente appena vide Kaede. In un primo momento il diretto interessato fu sul punto di sbattergli la porta in faccia, poi, invece, pensò di approfittare dell’occasione. Uscì in giardino e si chiuse la porta alle spalle. Un allegro Akira trotterellò fino alla porta scorrevole del giardino e da lì si gustò tutto il discorso. Kaede sembrava sempre assente, come se nulla gli importasse, quasi apatico, ma quando si trattava di difendere ciò che gli stava a cuore, sapeva uscire bene gli artigli.

<< Una sola parola: stagli lontano. >>

<< Caro Rukawa, se la matematica non è un’opinione, “stagli lontano” sono due parole, non una. >> disse sarcastico Minami, fronteggiando con spavalderia un sempre più furioso Kaede.

<< Forse non ci siamo capiti. Ti ho detto di lasciarlo in pace. Non so cosa ti abbia raccontato quel damerino di Kenji, ma fra me e Hana c’è ancora un sentimento forte. >>

<< E fino a quando? Fino a che non ti verrà un altro capriccio e lo farai di nuovo soffrire? >>

A quel punto Kaede fece partire un destro alla mascella, ma Minami, avvezzo a questo tipo di sfoghi e intuendo la sua reazione, era riuscito a scostarsi appena in tempo. Certo che la volpe era veloce, aveva pensato.

<< Questo è un dato di fatto Rukawa. Tu lo hai fatto soffrire e io farò di tutto per portarlo da me. Hai capito? Nessuno riuscirà a fermarmi. >>

Il sinistro di Kaede stavolta lo trovò impreparato e lo colpì all’addome, quel tanto che bastava per fargli perdere l’equilibrio. Minami s’inginocchiò un attimo, ma subito si rialzò non volendo fargliela passare liscia, ma qualcosa lo bloccò, proprio mentre stava per far partire il suo micidiale destro. Appena rivolse il suo guardo verso la volpe, fu congelato da quelle iridi di ghiaccio.

<< Tu puoi tentare quello che vuoi, ma ti accorgerai che ogni tuo tentativo sarà vano. Io e Hana ci apparteniamo. So di averlo fatto soffrire, ma non succederà più. Non potrei vivere senza di lui e la mia vita in questi giorni è stata un inferno. Perciò stagli lontano. Io non permetterò a nessuno di portarmelo via. Hai capito? >>

Stava per replicare quando la porta si aprì e Minami dovette affrettarsi a darsi un contegno perché Hanamichi non capisse cosa fosse accaduto un attimo prima.

<< Minami? Che ci fai qui? >>

<< Ricordi il giro turistico? Sono venuto a reclamare la mia guida. >> rispose sorridente.

Dieci minuti dopo, sei bei ragazzi uscirono da una casa nei quartieri alti di Kanagawa. Arrivati alla metropolitana di divisero e diressero in direzioni opposte. Non tutti i ragazzi però sembravano essere felice della situazione. Kaede, da un lato, avrebbe dovuto dividere quei momenti preziosi con la sua scimmietta con quel calimero di Minami, mentre Sendo, dall’altra, sarebbe stato costretto a sopportare Mark per tutta la giornata. Ma avrebbero resistito, sempre più decisi a riconquistare le persone amate.

 

 

 

FINE OTTAVA PARTE

 

Autrice: poiché Hana, Hiro, Kaede e Akira si sono chiusi in un silenzio stampa invalicabile, io mi soffermo, in questo piccolo angolo, di solito dedito ai miei scleri, per fare delle precisazioni.

Da come mi è stato fatto gentilmente notare (grazie mille Ise), i personaggi in questa ff risultano molto OOC. In effetti non posso negarlo, come non posso negare che gli avvenimenti stiano prendendo una direzione del tutto inaspettata. Molte delle situazioni fino ad ora narrate non rientravano minimamente nei miei programmi. Questa ff, nei miei progetti iniziali, doveva constare di solo quattro capitoli, ognuno centrata sul POV di uno dei personaggi. Come avete avuto modo di notare, anche la struttura della storia è cambiata, trasformandosi da un POV, in prima persona quindi, ad un racconto in terza persona. Mah! Sinceramente ora come ora, non ho la più pallida idea di come e quando avverrà il finale. Quindi se vi preme di sapere come andrà a finire, vi resta solo di aspettare. Dimenticavo! Qualcuno dei personaggi qui descritti, potrebbe risultare poco simpatico e quindi infastidire le fan. Perciò chiedo scusa, non era nelle mie intenzioni produrre tale trambusto, come ho detto la storia mi ha preso la mano.

Nella prossima parte riporterò il resoconto della giornata trascorsa da Hanamichi e company, mentre nella decima mi dilungherò su quella di Hiro e compagnia. Avevo deciso di introdurre altri personaggi, come per esempio Fujima ma, per evitare che la storia si complichi ulteriormente, credo che mi sottrarrò, a meno che…

 



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