TITOLO: Voglio fare l’amore con te…
AUTORE: Marty e le sue Team Mates
SERIE: Crossover (Slam Dunk, J-Rock, Ranma ½, Saint Seya, Saiyuki)
PARTE: 1/1
PAIRING: AkaUoz, KlahaMana, MakiKiyo, MitKo, RuHanaRu, CamusHyoga, SanzoGokuSanzo, RanmaRyogaRanma, MakotoRyu, MitSenMit
RATING: NC-17 (non c’è di più? È il massimo?)
DISCLAIMERS: Allora… questa fic è una follia nata nel lontano Novembre 2004, grazie alla canzone omonima (di cui non conosco l’autore) alla quale si sono ispirate le nove autrici di quest’enorme, gigantesca, immensa PWP con ben 12 lemon… i personaggi sono dei rispettivi autori e di loro stessi nel caso dei Doremidan e degli altri cantanti giappo…
DEDICHE, NOTE E RINGRAZIAMENTI: li troverete alla fine… ogni team mate ha le sue. Quella comune per tutte è: buon compleanno, Najka! Ti vogliamo bene!!!
ARCHIVIO: se Ria o chiunque altro vuole prendersi la responsabilità di uploadare una cosa simile a noi di certo non dispiace ^^



VOGLIO FARE L’AMORE CON TE
di Marty e le sue Team Mates




Era una bella mattina di marzo.
La primavera era ormai alle porte, la neve iniziava a sciogliersi e i fiori sbocciavano un po’ dappertutto, mettendo fuori timidamente i petali che tremavano nella brezza ancora fredda.
Insomma, tutto nella norma.
Sennonché… sul calendario, segnata con un cerchietto rosso, c’era QUELLA data.
Kaede Rukawa fissò il foglio come se si fosse trattato di un papiro egiziano.
3…
2…
1…
“Hanamichiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii”
L’urlo atavico riecheggiò per le stanze della grande casa coloniale, facendo svegliare di soprassalto il povero rossino, che spaventato si scapicollò giù per le scale temendo una tragedia e rischiando anche di rompersi l’osso del collo inciampando nel pallone di Kaede che rotolava nell’ingresso.
Che strano, pensò il famoso rimbalzista, la kitsune non lascia mai la palla incustodita così…
Non appena ebbe varcato la soglia della cucina, si rese conto che la situazione era peggio di quanto pensasse. Il moro tremava vistosamente, con il dito puntato verso la parete, pallido come un cencio lavato.
Hanamichi seguì la direzione del dito e sbiancò a sua volta.
“Kuso, come abbiamo fatto a dimenticarlo?!” balbettò il suo compagno recuperando a stento l’uso della parola.
“Non so…forse l’abbiamo rimosso!”
“Bisogna fare qualcosa, o siamo spacciati!”
Il rossino aggrottò le sopracciglia, riflettendo per un momento, poi lo guardò con una luce trionfante negli occhi.
“Ho trovato!” esclamò.
Ed espose al moro la sua idea.

***

Era da poco passata l’ora di pranzo, ed Hanamichi si apprestava a servire il caffè e gli amari ai suoi ospiti seduti in salotto.
Uozumi, Akagi, Mitsui, Kogure, Sendoh, Koshino, Maki, Kiyota.
Dall’altro lato della sala, un po’ in disparte gli uni dagli altri, c’erano Goku, Sanzo, Ranma, Ryoga, Camus, Hyoga, Makoto, Ryu, Klaha e Mana.
Sorrise soddisfatto.
Avevano accettato tutti, nessuno escluso.
E con tutti i personaggi delle loro storie scandalose fuori gioco, nessuna di quelle pazze scatenate avrebbe potuto scrivere la fanfiction da regalare a QUELLA.
La fanwriter per eccellenza, considerata quasi una dea nel suo mondo, che quando compiva gli anni veniva omaggiata di racconti a dir poco vergognosi in cui le altre scrittrici cercavano di profondere tutto il loro talento per lei.
Ma quest’anno no. Non glielo avrebbe permesso.
Tuttavia, osservò deluso, sembrava che i visitatori non si stessero integrando.
Certo era comprensibile, non si conoscevano. Bisognava trovare un sistema per metterli a proprio agio e facilitare la comunicazione. D’altra parte erano lì, tanto valeva che si divertissero.
Afferrò una bottiglia di coca cola vuota dal tavolo ancora apparecchiato e schiarendosi la voce attirò l’attenzione dei presenti.
“Che ne dite di fare il gioco della bottiglia? Magari invece che schiaffi o cose simili potremmo raccontare qualcosa di noi agli altri, giusto per fare amicizia!”
Gli altri annuirono, chi entusiasticamente chi un po’ meno convinto.
“Bene!”
Aiutato da Kaede, aggiunse sedie intorno al basso tavolino di cristallo che si trovava al centro della stanza in modo che tutti potessero starci e invitò gli ‘esterni’ a sedersi con loro.
Makoto saltellando eccitato si fiondò sulle gambe di Ryu, che bofonchiò ma alla fine glielo lasciò fare, trovandosi seduto accanto a Goku che aveva fatto lo stesso. I due, piuttosto simili, iniziarono immediatamente a conversare con un allegro cicaleccio indistinto, accompagnati dallo sguardo rassegnato dei rispettivi compagni.
Ranma, tenendo teneramente la mano di Ryoga, lo guidò fino ad una poltroncina ocra, dove lo fece accomodare sistemandosi poi sul bracciolo.
Camus con aria indifferente sedette su uno sgabello bianco, e Hyoga a terra su un cuscino poco distante senza distogliere lo sguardo da lui.
Klaha e Mana presero due sedie.
“Sentite” propose Ranma con uno sguardo che non prometteva niente di buono “perché invece di raccontare storielle non raccontiamo le nostre esperienze più strane o particolari? Pensate quanto si mangerebbero le mani quelle gallinacce se lo sapessero!”
Goku, Makoto, Kiyota e Sendoh annuirono battendo le mani e gli altri sorrisero. In fondo erano tutti grandi, grossi e vaccinati, sarebbe stato divertente.
“Vado, allora!” e Hanamichi posizionò la bottiglia di plastica sul tavolo, per poi imprimerle la rotazione. Tutti gli occhi erano puntati sul tavolino.
La bottiglia vorticò per qualche istante e poi si fermò indicando Akagi.
Qualcuno impallidì, ma Rukawa riempì prontamente i bicchieri perché l’alcool li aiutasse a sostenere il racconto.
L’ex capitano dello Shohoku, visibilmente imbarazzato tossicchiò, poi il suo imponente compagno gli cinse le spalle con un braccio e lui iniziò a raccontare, prima con voce incerta e poi, pian piano, sempre più tranquillo.

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*Sotto il sole*

La vacanza era stata un’idea improvvisa e folle che Hanamichi aveva avuto durante il viaggio di ritorno dai campionati nazionali.
Vedendo, infatti, le facce dei suoi amici così depresse per aver perso la partita contro l’Aiwa il rossino aveva suggerito di fermarsi in quella bella località di mare, per avere un ultimo ricordo piacevole di quel viaggio. E se da prima la proposta era stata accolta come una delle sue solite trovate, pochi minuti dopo sia i compagni sia gli amici che erano andati a fare il tifo per loro si erano lasciati convincere dalle travolgenti parole del Tensai.
Nonostante il nutrito gruppo di persone erano comunque riusciti a trovare alloggio in un piccolo albergo non molto lontano dalla spiaggia e, dopo essersi disposti velocemente nelle camere per cambiarsi e indossare i costumi che avevano comperato in una bancarella per strada, si erano dati appuntamento nella hall per raggiungere assieme il mare.

I ragazzi erano in piedi nel piccolo ingresso dell’albergo pronti per andare in spiaggia e le signore con i bambini guardavano impressionate quei giganti che quasi occupavano tutto lo spazio a disposizione.
“Oh ma insomma dove si è cacciato il Re delle Scimmie!” sbottò Hanamichi stanco di aspettare.
“Chiudi il becco idiota” lo riprese immediatamente Akagi “per una volta che non dobbiamo aspettare te, potresti almeno avere la decenza di startene zitto!”
“Ehi Gori non ti agitare troppo, altrimenti ti scoppiano le coronarie!” borbottò il rossino lasciandosi cadere in una delle poltroncine.
“Do’hao” si intromise come al solito la voce bassa e vibrante di Rukawa.
“Baka Kitsune non ti ci mettere pure tu adesso!”
Temendo che i due kohai scatenassero una rissa là dentro, il capitano prese finalmente una decisione.
“Va bene, facciamo così, voi andate pure in spiaggia, io cerco di scoprire dove si è cacciato Uozumi e poi vi raggiungiamo.”
I ragazzi non se lo fecero ripetere una seconda volta e, afferrando al volo i loro zaini, si precipitarono in spiaggia veloci come il vento.

Akagi, preoccupato dall’atteggiamento di Uozumi, si affrettò a raggiungere la camera che condivideva con l’amico e rimase sinceramente stupito nel trovarla vuota.
Quando controllando ogni piano dell’edificio non ebbe sorte migliore decise di andare a chiedere qualche informazione alla signora della reception.
“Mi scusi” la chiamò educatamente il ragazzo “ha per caso visto uno dei miei compagni uscire dall’albergo da solo?”
“Non saprei” rispose incerta la donna, prima di avere come un’illuminazione “il tuo amico era un gigante con i capelli neri e molto corti?!”
“Sì, lo ha visto?”
“Sì certo, è uscito diversi minuti fa” rispose sicura la signora.
“La ringrazio!”
“Di niente figliolo. Buona giornata!”
Akagi salutò a sua volta la gentile padrona dell’albergo e si precipitò fuori alla ricerca di Uozumi.
Arrivato in spiaggia il Gorilla ignorò completamente le domande degli altri e, inventando una scusa plausibile per l’assenza di Jun, cominciò da solo la sua ricerca.
Per tutta la mattina Takenori setacciò la spiaggia palmo a palmo sotto il sole cocente di agosto poi, arrivato al piccolo molo vicino al faro, si lasciò cadere sulle assi di legno esausto e sfiduciato.
Dove diavolo si era cacciato quello stupido cucciolone troppo cresciuto?!
Sbuffando tutta la sua frustrazione, il Gorilla abbassò lo sguardo verso il pavimento disconnesso della banchina e i suoi occhi si spalancarono inevitabilmente per la sorpresa.
Da una delle numerose fessure fra le assi scorse sotto di sé il suo amico, seduto su chissà cosa, con le gambe immerse nell’acqua e lo sguardo triste perso sull’orizzonte.
Immediatamente Akagi si tuffò in mare e con due veloci bracciate fu da lui.
“Jun ma sei impazzito!!” gridò il ragazzo, aggrappandosi alla sporgenza del pilone in cemento su cui Uozumi era seduto “che accidenti ci fai nascosto qui sotto?”
“Lasciami in pace Takenori, voglio stare da solo!” mormorò l’ex-capitano del Ryonan.
“Che significa ‘vuoi stare da solo’, che è successo?”
“Niente, non è successo niente” gridò il Re delle Scimmie tuffandosi a sua volta in acqua per raggiungere la riva.
Per un attimo Akagi rimase sorpreso dalla sua reazione ma, riprendendosi subito, si lanciò all’inseguimento di quello strano ragazzo.
“Fermati Jun!!” gridò con forza quando ebbero raggiunto la piccola scogliera che sorreggeva il faro “ti ho detto di fermarti, perché non mi ascolti!!”
“Sei tu che non mi ascolti, ti ho detto di lasciarmi in pace!!” E velocemente cominciò a scalare gli scogli scivolosi, rischiando più volte di cadere.
“Sta attento idiota, vuoi romperti l’osso del collo?!” esclamò Takenori impaurito dall’ennesima scivolata dell’amico.
Entrambi i ragazzi raggiunsero sani e salvi la cima ma, nonostante il fiatone, Uozumi non si fermò e si mise a correre; Akagi però non si lasciò cogliere impreparato nemmeno stavolta e, scattando più velocemente di lui, riuscì finalmente a fermarlo.
“Lasciami!” gridò Jun irritato.
“Non ci penso nemmeno, adesso tu mi spieghi che ti prende.”
“Non qui, stiamo attirando l’attenzione della gente!”
Akagi si guardò intorno notando solo allora le persone che, passeggiando tranquillamente da quelle parti, li osservavano un po’ perplesse, così, per evitare il loro sguardo indiscreto, afferrò Uozumi per un braccio e lo trascinò all’interno del faro.
“Qui non ci vedrà nessuno!” esclamò Akagi spingendo l’altro davanti a sé.
“Non hai visto il cartello, è vietato l’ingresso se ci scoprono…”
“Se ci scoprono non ci arresteranno di certo” lo interruppe bruscamente il capitano dello Shohoku costringendolo a salire le strette scale a chiocciola per raggiungere la terrazza posta nella parte più alta di quella costruzione.
Quando furono in cima entrambi rimasero per un attimo ammutoliti dal panorama bellissimo che si ritrovarono di fronte e, in quel perfetto silenzio, rimasero ad osservare il mare calmo che, da quell’ altezza elevata, sembrava incredibilmente azzurro e limpido, mentre i gabbiani saettavano veloci davanti ai loro occhi e i raggi del sole baciavano le loro pelli facendole pizzicare dolcemente.

“Adesso mi dici che ti è preso?!” domandò infine Takenori rompendo il silenzio.
Il suo tono era così incredibilmente dolce e protettivo che Uozumi non riuscì più a tacere.
“Io… ecco io…” cominciò a balbettare fortemente a disagio “io mi sento inadeguato!”
“Che significa ti senti inadeguato?” borbottò Akagi, sospettando già la risposta.
“Io mentre mi cambiavo ho pensato agli altri” si limitò a spiegare Jun.
“E allora?”
“Insomma Takenori, pensa a che figura faranno in costume Sendoh, Rukawa, Sakuragi, Mitsui, persino Kogure sarà più bello di me e tu…” si fermò all’improvviso il ragazzo, tirando su con il naso per non scoppiare a piangere.
“Ed io cosa?” domandò il numero quattro dello Shohoku notevolmente irritato.
“Tu vedendoli rimpiangerai di stare con uno scimmione goffo come me!” pigolò quasi Uozumi, stringendo forte la ringhiera di ferro.
In quel momento Akagi avrebbe voluto sopra ogni altra cosa assecondare l’istinto e tirargli un pugno in quello stupido broncio ma, conoscendolo bene, sapeva che quella non era sicuramente la soluzione migliore per tranquillizzarlo, quindi, avvicinandosi maggiormente, gli passò un braccio attorno alle spalle e lo tirò dolcemente a sé.
“Perché dici queste cose, tesoro?” mormorò il Gorilla sfiorando dolcemente la tempia del suo compagno con le labbra “sai perfettamente che gli altri ragazzi non mi interessano!!”
“Sì però non puoi negare che sono più belli di me!!”
“Sono anche più belli di me, questo significa che in realtà tu desidereresti stare con loro?”
A quelle parole Uozumi si irrigidì e separandosi un po’ dall’abbraccio dell’altro gridò: “Che dici, NO, e poi loro non sono più belli di te!!”
Akagi lo guardò un po’ sorpreso e poi scoppiò a ridere.
“Quanto sei dolce, cucciolone mio!”
Takenori lo avvolse di nuovo fra le sue forti braccia e, ‘costringendolo’ ad abbassare la testa, si impadronì delle labbra carnose e morbide del compagno, regalandogli un bacio appassionato e incandescente per fargli capire ancora una volta chi era che amava veramente.
“Take…” mormorò Uozumi con gli occhi ancora chiusi per l’emozione al termine del bacio.
“Che c’è?” bisbigliò sorridendo Akagi, decisamente sollevato nel vedere il compagni più rilassato.
“Niente, sono felice! Ma veramente tu mi trovi dolce?”
“Sì, sei così dolce che ti mangerei di baci!”
E così dicendo Takenori affondò la bocca nel collo di Jun facendolo scoppiare a ridere.
“No, Take!” gridò fra una risata e l’altra “lì soffro il solletico, aspetta!!”
Akagi restò a guardarlo ridere, mentre il sole continuava ad avvolgerli protettivo facendo brillare ancora di più gli occhi scuri del suo amore, poi si impossessò di nuovo di quella bocca dal forte aroma di menta.
Uozumi si appoggiò dunque alla balaustra per sostenere meglio il ‘dolce’ peso del suo amante e, avvolgendogli le braccia attorno al collo, corrispose al bacio con tutto se stesso.
Sentire la lingua di Jun duellare con la propria fece immediatamente accendere la scintilla della passione nel corpo del Gorilla che, senza esitare, introdusse una mano sotto la sua canottiera leggermente umida per accarezzare la pelle fino ai capezzoli. Non contento sollevò un ginocchio e, portandolo fra le sue gambe, cominciò a strofinarlo contro la virilità che velocemente si stava svegliando.
“Ah… Take… cos…cosa?” gemette il Re delle Scimmie, imbarazzato da quell’improvviso attacco passionale.
“Shh buono, lascia che ti dimostri quanto mi piace il tuo corpo!”
E spostando entrambe le mani sui suoi fianchi per farlo scivolare un po’ verso il basso, , lo aiutò ad ondeggiare sulla propria coscia, intensificando a dismisura il suo piacere.
“Mhh… Take… basta…” mugolò Jun, prossimo a perdere il controllo.
“Perché vuoi che mi fermi, non ti piace?” lo provocò Akagi.
“No… è bello… ma se ci vedono?”
“Dai tesoro, lasciati andare, non ci può vedere nessuno quassù!”
Il centro dello Shohoku aumentò maliziosamente il ritmo e, introducendo le mani dentro il costume di Uozumi, strizzò con forza i suoi glutei sodi come la roccia, accarezzando quasi casualmente la fessura fra essi.
“Takenori… ti prego!” gridò sconfitto il Re delle Scimmie sbattendo il bacino contro quello del compagno.
“Cosa?”
“Di… più… di piùù!”
E Akagi lo accontentò, penetrandolo lentamente con il medio.
“Aaah!” gridò debolmente Jun stringendosi alle braccia muscolose dell’altro che, sempre più eccitato, muoveva quel semplice dito nell’intestino dell’amante, godendosi ogni sua piccola espressione di godimento.
“Ancora” mormorò con voce tremante il giovane cuoco.
“Vuoi che ne aggiunga un altro?”
“Sì… così… ahh!”
“Ti piace quando le muovo così lentamente?” bisbigliò con un tono roco nell’orecchio di Uozumi.
“Aah… nh… sì tanto!”
Akagi sorrise soddisfatto da quella risposta e, intrufolando la lingua nel suo orecchio, riprese a strofinare con forza la coscia contro il membro ormai completamente eretto, contrastando in maniera eccitante la dolcezza delle proprie dita con quel movimento sempre più frenetico.
“Aaah… Kamiii!” e con un ultimo grido gutturale Jun si riversò con forza sulla gamba del suo ragazzo.

Lentamente Uozumi scivolò sul pavimento della terrazza trascinando con sé anche Akagi che, stendendosi sopra di lui, tornò a baciarlo superficialmente sulle labbra e sulla pelle abbronzata delle guance, aspettando che il respiro gli tornasse regolare.
“Ma… sai che sei proprio dispettoso!” sbottò il Re delle Scimmie quando il ragazzo sopra di lui tentò ancora una volta di baciarlo sul collo.
“Uffa, Jun, mi piace la pelle morbida di questo punto!!”
“Ma lì soffro il solletico, quante volte te lo devo dire?!”
Akagi finse di accontentarlo tornando a baciargli le labbra ma, quando lo vide distratto, ne approfittò per bloccarlo e divorare senza problemi quel pezzettino di cute per cui doveva sempre lottare strenuamente.
Il gigante del Ryonan, ridendo e divincolandosi con frenesia, iniziò a strofinare involontariamente il suo corpo muscoloso contro quello altrettanto solido di Akagi che, sentendo pulsare dolorosamente la sua erezione troppo a lungo ignorata, si bloccò immediatamente per sprofondare nella sua bocca con un bacio umido e passionale.
“Mh… Takenori ti voglio ora” dichiarò Uozumi piantando i suoi occhi liquidi in quelli altrettanto eccitati del compagno.
Akagi annuì con un leggero sorriso dipinto sulle labbra e, sfilandogli velocemente i boxer, andò a divaricare ulteriormente quelle gambe possenti che subito si allacciarono alla sua schiena in una muta richiesta.
Le mani grandi di Akagi si spostarono in un’ardente carezza lungo l’immenso torace di Jun, scendendo poi a stringere possessivamente i glutei sodi.
“Aaah” gridò senza controllo il Re delle Scimmie.
“Nessuno…” mormorò ansimando Takenori “…nessuno di loro ha dei muscoli così possenti!”
“Take… nhh… Takenori!!”
“Arrivo.”
Il Gorilla non si fece pregare oltre e, inserendo di nuovo un dito nella fessura dell’amante, si gustò ancora una volta i suoi gemiti; un altro dito seguì immediatamente il primo e, insieme, presero a massaggiare la stretta apertura per prepararlo a riceverlo.
Quando infine vide Uozumi spingersi con i fianchi contro la sua mano, , Akagi sottrasse le dita, sostituendole con il suo membro pulsante, e nel momento in cui percepì il compagno irrigidirsi per il dolore introdusse una mano fra i loro corpi, cominciando a masturbarlo per distrarlo da quell’inevitabile sofferenza.
Sentendo i suoi muscoli rilassarsi riprese a muoversi oscillando lentamente sopra di lui e, avvertendo un mugolio soddisfatto, assestò la prima spinta, fermandosi subito dopo solo per gustarsi l’espressione di puro piacere che sconvolgeva il volto di Jun.

“Ti scongiuro… no… non fermarti” mormorò l’ex-capitano del Ryonan, arrossendo in tutto il corpo.
Il Gorilla si piegò su di lui e, sfiorandogli le labbra con le proprie, lasciò che l’altro si aggrappasse forte alle sue spalle per sostenere le spinte profonde che, da lì a pochi istanti, avrebbe iniziato ad impartirgli.
Uozumi, soffocando dunque le urla sulla spalla abbronzata del compagno, fu scosso da singulti di puro piacere che diventarono un tremito regolare e marcato nel momento in cui sentì il seme di Takenori inondargli l’intestino, mentre il proprio si riversava fra i loro ventri con abbondanza.
Akagi ricadde spossato sul torace di Jun ansimando per riprendere fiato e quando sentì il ritmo martellante del suo cuore tornare alla normalità si tolse con delicatezza dal suo amante, rotolando di lato per liberarlo dal proprio considerevole peso.
“Stai bene?” domandò come sempre il Gorilla.
“Mh fammi pensare” rispose sorridendo il Re delle Scimmie “tu accanto a me, il sole sopra di noi. Potrei desiderare di meglio?”
E scoppiando a ridere rispose da solo: “… decisamente no!!”

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Sorpreso dal silenzio che era piombato nella sala, Akagi si guardò attorno.
Uozumi aveva assunto un simpatico colorito bordeaux, Rukawa sembrava cinereo e Hanamichi tratteneva a stento le risa. Arrossì anche lui, per poi gridare “Oh, insomma, è stata una vostra idea! Ora non lamentatevi!”
Poi colpì con forza la bottiglia, che dopo pochi istanti indicò il seguente oratore: Mana.
Klaha lo fissò ansiosamente, ma l’altro non sembrava minimamente turbato e così gli si appoggiò contro, curioso di sapere quale episodio avrebbe scelto di raccontare.

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*In mezzo alle viole*

“…il suo fiore preferito?”
L’incongrua domanda spezzò un silenzio non del tutto spiacevole, durato alcuni minuti.
L’interpellato alzò lo sguardo, sbattendo con grazia le lunghe ciglia scure, e mise a fuoco sulla nuova distanza.
“Prego?” chiese piano, la voce non più di un lieve sussurro.
Era solo un’impressione, o tanti anni di ostinato mutismo – in parte per consapevole gioco di ruolo, in parte per effettivo desiderio di comunicare, tramite l’assenza stessa della comunicazione, il proprio messaggio – avevano lasciato un segno nel suo modo di parlare?
Modulato, leggero, un parlare delicato.
L’altro sussultò impercettibilmente al sentire le poche sillabe: come sempre, come accadeva a tutti, per un attimo aveva dimenticato che la persona che gli era davanti non era una donna, nonostante i begli occhi – quel giorno di un gelido azzurro ghiaccio – le fattezze delicate, i lucidi riccioli che ricadevano in boccoli.
Si schiarì la voce.
“Mana-san, qual è il suo fiore preferito?”
Ancora troppo poco in confidenza per chiamarlo in modo meno formale, vagamente intimidito dal suo modo di fare, Masaki Haruna, meglio conosciuto all’intero pazzo mondo come ‘Klaha’, certo non osava chiamarlo ‘Mana-chan’, come in più di un’occasione aveva sentito il signor ‘???’ fare.
“Perché mai dovrebbe interessarle, Haruna-san?” obiettò Mana, osservandolo attraverso le palpebre semi abbassate.
Anche se le parole erano sulla difensiva, il tono non era particolarmente rigido.
L’altro si strinse nelle spalle, con aria leggermente contrariata.
“Preferirei non essere chiamato in quel modo” ribatté seccamente.
Per tutta risposta e non senza una certa meraviglia da parte sua, Mana rise apertamente, coprendosi la bocca con una mano, come per arginare l’eccesso di ilarità.
Era come vedere l’intera impalcatura di pettegolezzi, leggende metropolitane e voli pindarici frantumarsi al rallentatore.
“Il sapore del successo ti ha già dato alla testa?” continuò Mana, passando repentinamente a un registro meno formale.
Masaki esitò.
“No…”
C’era qualcosa di strano nel parlare in quel modo con Mana, soprattutto ora che era scoppiato a ridere in modo così palese e cristallino. Era come – e in effetti era proprio così – era come vedere un lato del suo modo d’essere che pochi al mondo potevano affermare di conoscere.
“No” ripeté, “è che…” all’improvviso sembrava un motivo banale e infantile per rinnegare il nome dei suoi padri. Inoltre, sotto lo sguardo di Mana si sentiva sempre di più come uno scolaretto colto in flagrante nell’atto di scagliare un sasso contro una vetrata.
Nondimeno…
“…è perché non amo particolarmente il mio vero nome” concluse, distogliendo lo sguardo, ma non abbastanza velocemente da perdersi il lieve sorriso di Mana, tanto più incongruente in quanto, quel giorno, l’artista portava la minor quantità di trucco col quale lo si fosse mai visto fuori dalle scene.
Ormai doveva esservi così abituato da non poterne fare a meno, meditò Masaki, incerto tra un lieve spasmo di vergogna e il pungolo della curiosità.
Ma Mana lo precedette.
“Ai grandi cambiamenti della vita corrisponde sempre un battesimo di sangue” elucubrò, a voce bassa ma insinuante, in un tripudio di forme delicatamente femminili.
Già, forme femminili.
Anche se ad osservarlo con poca attenzione, o limitando la propria conoscenza alle pagine patinate delle riviste di moda, Mana spirava femminilità da ogni poro, dal vivo e a distanza così ravvicinata si rivelava – pur mantenendo le caratteristiche di splendore, eleganza e raffinatezza che lo distinguevano – per quello che era.
Ed era questo sublime contrasto, il mondo ormai se n’era accorto, a fare di lui un personaggio unico e riverito, ammirato e desiderato.
“E allora, Haruna Masaki, io ti battezzo” declamò quindi Mana, accompagnando le parole con un gesto delle dita guantate che – in un’altra situazione, fatto da un’altra persona, sarebbe stato sacrilego. “Rinnega il tuo nome mortale, da questo momento sarai soltanto chi sceglierai di essere.”
Un po’ per stare al gioco, un po’ sorpreso dall’improvvisa messinscena, Masaki annuì solennemente. “Amen”.
Dopo qualche secondo di ulteriore silenzio, Mana aggiunse, in modo pensieroso:
“Le viole”
“Cosa?”
Masaki s’era del tutto scordato della domanda con cui aveva dato inizio alla discussione. Non sapeva neanche perché l’avesse posta, era alquanto stupida, dopotutto.
Il tipo di domanda oziosa che si fa a qualcuno che si conosce poco. O a qualcuno che si voglia impressionare, interessare a sé.
“Le viole sono i miei fiori preferiti” ripeté quindi Mana, lentamente.
“Perché proprio le viole?”
Pur mantenendo un’espressione imperturbabile, e senza sorridere, dal viso di Mana, soprattutto dai suoi occhi, si poteva scorgere una luce di divertita malizia.
“E perché no? Ma probabilmente pensavi a un altro fiore, quando mi hai fatto la domanda…”
Masaki non annuì, preso alla sprovvista dal modo semplice, senza sforzo con cui l’altro indovinava i suoi pensieri.
“Mm. Pensavo…alle rose…”
Mana sorrise vagamente, appoggiando il gomito sul tavolo e la testa sulla mano.
Kedakaku saite, utsukushiku chiru” canticchiò leggermente, “fioriscono con orgoglio e muoiono in bellezza. No, per quanto belle, non sono per me.”
“E allora…perché le viole?” incalzò Masaki, spinto da una curiosità sempre più pungente. Dopotutto, una splendida rosa blu non si intonava perfettamente al personaggio di delicata principessa delle tenebre che Mana amava interpretare?
“Blu come il cielo, rosse come il sangue” cantilenò Mana, quasi fosse una filastrocca.
Masaki non ribatté, improvvisamente perso nell’ammirare con strenua attenzione ogni singolo dettaglio del suo viso.
Gli occhi resi azzurri dalle lenti a contatto, l’incarnato pallido incorniciato dai riccioli scuri, le labbra rosso scuro…
…distolse lo sguardo, imponendosi di non arrossire.
“…nella loro fragilità, hanno i colori dell’eternità e della vita. Appassiscono più in fretta delle rose, ma lasciano il ricordo della propria timida esistenza…”
Un breve silenzio confortevole seguì quello scambio.
Sempre assorto in chissà quali mutevoli pensieri, Mana s’alzò in piedi, iniziò a camminare su e giù per la stanza, piccolo passo dopo piccolo passo. Nonostante fosse più alto di quanto si intuisse dalle fotografie, le scarpe con l’alta zeppa gli conferivano l’andatura timorosa di una maiko, l’apprendista geisha confinata su geta alti parecchi centimetri.
Dieci anni di allenamento avevano certo contribuito a rendere più sciolta la falcata, ma con i tacchi, si sa, non si può mai scherzare, quando meno lo si aspetta agiscono a tradimento.
E fu proprio il tacco galeotto delle scarpe preferite di Mana a tradirlo su tutta la linea.
Col senno di poi, Masaki non avrebbe saputo dire se Mana l’avesse fatto di proposito, fatto sta che inciampò in una piega della spessa moquette, mosse qualche rapido passo in successione per evitare di perdere l’equilibrio, fallì clamorosamente e si ritrovò – senza un solo capello fuori posto – in ginocchio sul pavimento.
Proprio accanto a Masaki e con l’aria di non sapere come fosse finito in quella situazione.
“Mana-san…tutto bene?”
Masaki si alzò precipitosamente in piedi, pronto a tendere all’altro una mano per aiutarlo ad alzarsi.
Ma, ancora frastornato dalla presunta caduta, Mana si sbilanciò nuovamente, e stavolta si trattenne aggrappandosi alle spalle di Masaki.
“Oh, ma che imbranato che sono” cantilenò Mana con aria ben poco spiaciuta, il viso sempre più vicino a quello di Masaki, le palpebre delicate che si abbassavano sulle iridi color ghiaccio…
“…è dal primo momento che ti ho visto che voglio baciarti…” mormorò Mana, un attimo prima di appoggiare voluttuosamente le sue labbra a quelle di Masaki.
Masaki cercò istintivamente di sottrarsi al contatto troppo ravvicinato, ma non ci fu alcun verso.
Quando si separarono, la primadonna lo fissava con un leggero sorriso.
Di sfida.
“…sarà meglio che ti abitui a cose del genere, Masaki-kun…non vorrai deludere…” una piccola pausa maliziosa, “le nostre ammiratrici?”
E così dicendo lasciò la stanza, il passo fermo e per niente incerto.

***

Un mese.
Era trascorso un intero mese dal cosiddetto ‘incidente’ con Mana. Non se n’era fatto più alcun accenno, non c’era stato alcun cambiamento di comportamento.
O forse sì. Qualcosa era cambiato, dopotutto.
Masaki.
Dal momento in cui la primadonna aveva fatto la prima mossa, dal momento in cui si era accorto del suo interesse, tutto era magicamente mutato di fronte ai suoi occhi.
Svanito il timore reverenziale – ma non certo il rispetto – lavorare al suo fianco era diventata una solenne tortura, accentuata ogni volta che salivano insieme su un palco, e condividevano l’intimità di quelle canzoni.
“…è solo spettacolo, è solo una farsa”, cercava di convincersi Masaki, pensando a come erano esplose le grida delle ammiratrici quando, nel bel mezzo di ‘Ma Chérie’, Mana gli si era avvicinato, gli aveva gettato le braccia al collo e l’aveva baciato.
Per davvero, non per finta come era successo in tante altre occasioni.
Come durante ‘Illuminati’.
Il solo ricordo lo faceva arrossire penosamente, come un ragazzino colto in flagrante a far qualcosa che non avrebbe dovuto.
Certo, perché era determinato a tenere nascosta la sua segreta attrazione, quella molla che lo spingeva, ogni volta che Mana gli si avvicinava, a stringerlo a sé…prima di restituirgli, idealmente, colpo su colpo le deliziose torture che gli aveva inflitto.

Non ce la faceva più. In altre situazioni, in altri momenti simili, avrebbe mantenuto il suo faticoso contegno e dimenticato che al di là della farsa, il corpo di Mana – la bocca seducente, le mani lunghe, la pelle bianca e ricoperta da un velo di sudore – era vivo, carne e sangue pulsante, e pulsava per lui. Si sarebbe detto: “È finto, è tutto dannatamente finto”, avrebbe archiviato il caso insieme ai consimili e fine – non pensiamoci più.
Non quella sera.
La sua mente si rifiutava di archiviare la bocca che lo assaggiava golosa, le dita invadenti che gli sfioravano la schiena, il ginocchio che si strofinava languido tra le sue gambe.
Perché non era successo in pubblico – come sempre, dopo quella prima volta. Il camerino gli era parso infuocarsi e riempirsi di lucine dorate, come i fuochi d’artificio del loro ultimo concerto. Poi Mana l’aveva lasciato, e si era spento tutto.
Gli era rimasta soltanto, come dopo un lampo di luce improvviso o un botto, la penosa riconquista della realtà.
“Perché?” aveva sussurrato, non osando alzare la voce per timore che tremasse.
Mana aveva sorriso come di consueto, ma non aveva risposto. “Lo spettacolo, Masaki-kun. Non facciamo aspettare le fanciulle.” E l’aveva lasciato lì, un disagio bruciante allo stomaco e un altro, ben più imbarazzante, localizzato al basso ventre.
Rimase soprappensiero per tutto il tempo del concerto. Pensò e ripensò, e alla fine si decise. Sarebbe stata una vendetta dolce, si ripromise con un sorrisetto.

Una settimana dopo
“Mana-chan?”
“Mmm?”
Il concerto, l’ultimo della tournée, era finito. Il trucco di Mana era una tavolozza di colori rimestati male, sciolti sotto gli occhi e sbiaditi alle guance, ma questo non contribuiva che a dargli un’aria sensualmente disfatta.
Masaki deglutì. “Vado a bere qualcosa. Vieni con me?”
Il sorriso di Mana – distante, enigmatico – lo rifiutò con dolcezza. “Ti ringrazio, ma non ho voglia di andare per locali.”
“Stanchezza?”
“Noia.”
Tornarono in camera a piedi. La strada dall’auditorium all’albergo dove alloggiavano era poca, e un po’ d’aria pulita avrebbe dato refrigerio alla pelle accaldata dai riflettori.
La camera di Mana era la prima nel corridoio. La primadonna entrò, gli augurò con voce vellutata la buonanotte e lo salutò con un cenno della mano, a distanza.
Masaki proseguì per la sua, con il cuore che picchiava forte contro le costole. Entrò, gettò in un angolo i vestiti e fece una rapida doccia. Poi, con l’asciugamano avvolto intorno ai fianchi, prese il telefono e compose il numero della camera di Mana.
“Moshi moshi?”
“Sono io. Passi un attimo da me?”
“Stavo per farmi la doccia.” Fastidio? Non ne trovò accenno. Forse solo stupore. Il pensiero del corpo di Mana, nudo ed esile come un giunco, mandò una vampata di calore alle guance di Masaki.
“Vieni subito. È urgente.” E chiuse la conversazione, per impedirgli la replica.
Guardò, per la terza o quarta volta, la sorpresa apparecchiata sul letto. Gli sarebbe piaciuta? Be’, pensò, volente o nolente gliel’avrebbe fatta piacere.
Aprì la porta al primo, delicato colpo delle nocche contro il legno chiaro. L’aprì di scatto, tanto che Mana sbatté le palpebre, perplesso. “Che…”
Lo afferrò per la vita, lo tirò dentro la camera e lo spinse con la schiena contro la porta ora richiusa. Non doveva vedere la sorpresa… ancora un attimo. Gli prese il volto tra le mani e gli chiuse la bocca tinta di rosso con un lungo, lento bacio.
La bocca di Mana sapeva di lucidalabbra alla fragola.
“Adesso puoi guardare” mormorò, spostandosi.
Vide gli occhi di Mana dilatarsi un attimo, poi gli fiorì un inaspettato sorriso sulle labbra. “Non hai badato a spese, vedo…” sussurrò, con voce flautata.
“Non ce n’era motivo” rispose, felice che la reazione fosse stata quella sperata. Si chinò, lo prese in braccio e poi con delicatezza lo depose sul letto – trasformato per l’occasione in un fresco, inebriante giardino di viole.
Quel mare di petali blu-rosati emanava un profumo dolce e intossicante, ma la pelle di Mana non era da meno. Con un sospiro rumoroso, tuffò le labbra e i denti nell’incavo del suo collo bianco. Se Mana avesse voluto, a questo punto l’avrebbe già mandato via senza esitazioni. Invece sentì le mani affusolate della primadonna insinuare le punte delle dita nell’orlo dell’asciugamano ripiegato ai suoi fianchi. “Non è giusto…” cantilenò. “Tu la doccia l’hai già fatta…”
Gli occhi di Masaki si appuntarono sulle sue iridi ghiacciate. Sorrise, malizioso. “Penso io a lavarti…” sussurrò, e a dimostrazione della sua solerzia prese subito a leccargli quella striscia di pelle nuda del collo, resa aspra da un leggero velo di sudore. Poi con la lingua scivolò giù – giù – giù fin dove gli abiti lo permettevano. Aprì, sciolse, strappò dove poteva, fino a lasciare Mana seminudo sotto di sé, i lembi dei vestiti aperti sotto e sopra le braccia, come ali rosicchiate, e in mezzo tutto scoperto – sfacciatamente a disposizione.
Mana lo guardava con un sorriso carico di soddisfazione, ma non faceva una mossa.
“Hai ragione…” sussurrò, ansimando appena, “L’igiene è importante…”
“Ben detto…” E senza esitare raccolse tra le labbra il frutto tangibile del suo gradimento – la prova che la sua vendetta era voluta da entrambi.
Mana si inarcò e i suoi gemiti crebbero di volume, fino poi a trasformarsi in grida velate. Masaki non l’aveva mai sentito gridare. Le mani della primadonna artigliarono il lenzuolo e i petali di viola freschi sparsi sul copriletto, tutto insieme, e nel momento più alto li spappolarono fino a ridurli a una succosa poltiglia, umida, che avrebbe lasciato il suo aroma nei palmi e nelle dita per molto tempo ancora.
Soddisfatto, della soddisfazione di chi ama dare piacere – di chi conosce la bellezza di un volto amato che si disfà nell’orgasmo – Masaki risalì il corpo di Mana fino a posargli le labbra sporche sulle sue. Visto da così vicino, il viso di Mana – pure sporco di trucco sciolto – aveva un’avvenenza tutt’altro che femminina.
La lingua di Mana leccò la sua, ci giocò, vi si avvinghiò con entusiasmo, poi le mani della primadonna afferrarono il suo asciugamano e lo gettarono via. Allargò le gambe per lasciargli spazio.
I pantaloni attillati cedettero con insolita facilità, e volarono subito via dalle sue gambe lunghe e sinuose.
“Mana-kun…” ansimò forte Masaki, divorandogli la bocca con la propria mentre portava la sua gamba sinistra a piegarsi sopra il suo fianco. Mana si strusciava contro di lui come un felino. Con un sorriso carico di sottintesi, cui l’altro rispose abbracciandolo forte, Masaki lasciò scivolare la mano libera giù in mezzo alle gambe dell’altro e spinse un dito.
Mana socchiuse gli occhi. Un sorriso di gradimento gli tese le labbra, e non si incrinò neanche quando l’invasione divenne più corposa.
Quando gli parve che fosse pronto, Masaki si portò le sue gambe sulle spalle e, accompagnando il movimento con un bacio feroce, si spinse in lui. Un grido sincrono – dolore? Vide due lacrime negli occhi di Mana, ma gli parvero di piacere, puro piacere – risuonò nella camera d’albergo, il primo d’una lunga serie.
La carne di Mana era stretta come fosse la prima volta, ma non poteva, non poteva esserlo – era tranquillo, rilassato quasi, profondamente appagato e sorrideva, sorrideva ancora tra i gemiti. Masaki lo baciava e non gli importava che fosse la prima, la seconda o la centesima. Si spingeva con lui con un piacere raramente provato – piacere che si raddoppiò nella constatazione che ora Mana si stava accarezzando.
Sentì un calore improvviso al ventre e il viso di Mana ricadde sulla spalla, spossato. Con un’ultima spinta e un grido spezzato lo raggiunse. Poi si lasciò crollare sul suo corpo, riprendendo lentamente fiato.
Il profumo delle viole, che si era dimenticato di percepire, lo assalì nuovamente, feroce.
“Buon odore…” mormorò Mana, passandogli una mano tra i capelli.
“… i fiori?”
L’altro gli fece sollevare il capo, a guardarlo negli occhi. “Sesso” mormorò, infilandogli la lingua tra le labbra.

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“Però! Neanche loro ci scherzano…” Sussurrò Makoto all’orecchio di Kiyota.
“E pensare che Mana sembra un tipo così schivo e tranquillo…” rispose quello sghignazzando.
“Kiyota!” lo chiamò Maki scuotendolo per un braccio nervosamente.
Riportando l’attenzione sulla sala, il moro si accorse che il collo della bottiglia era rivolto senza ombra di dubbio nella sua direzione…

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*Sulle scale*

POV Kiyota

Era il giorno di San Valentino.
Tutte le ragazze della scuola erano in fermento e anche i ragazzi, ma cercavano di nasconderlo.
La maggior parte della popolazione studentesca aveva aspettato questo giorno con trepidante attesa. Quella mattina si respirava nell’aria una strana eccitazione.
Io…beh, ero arrivato a scuola in ritardo più del solito perché avevo passato la notte in piedi.
La mattinata passò tra una dormita e l’altra.
Quando finalmente la campanella sancì la fine delle lezioni mattutine e l’inizio della pausa pranzo, mi alzai e di corsa raggiunsi la classe del mio senpai.
I suoi compagni mi dissero che era andato sul terrazzo ad incontrare una ragazza.
Le leggere risate e le occhiate complici che si lanciarono quando uno di loro disse “è così ogni anno, le ragazze fanno la fila per regalargli il cioccolato che hanno fatto con le loro candide manine” mi fece rabbrividire.
Mi diressi allora verso il terrazzo.
Percorsi le scale semideserte fino alla porta che dava al terrazzo.
Il capitano era proprio davanti alla porta insieme con una ragazza che rossa in viso gli porgeva tremante un sacchetto di biscottini di cioccolato.
Mi sentii uno stupido a guardarli attraverso il piccolo vetro della porta chiusa.
Mi sedetti sugli scalini della rampa di scale che portava alla piccola torre sopra il terrazzo.
Quelle scale erano ormai inutilizzate e leggermente nascoste.
Mi sedetti e aspettai.
Non so davvero quanto tempo passai a giocherellare con il pacchettino che custodivo gelosamente nella tasca della giacca della divisa, ma alla fine sentii aprirsi la porta e vidi la ragazza tornare verso le classi.
Mi si strinse il cuore a vedere le lacrime che probabilmente aveva trattenuto di fronte al capitano.
Non passò molto tempo che vidi anche Maki.
Stava per scendere le scale a sua volta quando lo chiamai sporgendomi leggermente dal parapetto per farmi vedere.
Mi sorrise e quello bastò per farmi arrossire fino ai piedi.
Venne verso di me e mi si sedette accanto sullo scalino.
Ero un po’ nervoso così per rompere il ghiaccio dissi “Fai strage di cuori a quanto vedo …”
Con due dita mi spinse appena sul mento costringendomi a voltarmi dalla sua parte.
Il suo viso si avvicinò fino a sfiorare il mio.
“Me ne basta solamente uno …” mi sussurrò prima che le nostre labbra si unissero in un bacio.
Chiusi gli occhi lasciandomi trasportare da quel bacio, intenso e passionale ma anche infinitamente dolce.
Senza interrompere il bacio mi spinse leggermente fino a farmi appoggiare la schiena sui gradini freddi e scomodi.
Sentii la sua mano intrufolarsi al di sotto della stoffa della camicia ed accarezzarmi prima l’addome e poi su fino ai capezzoli.
Tentai di mugugnare qualcosa tra le sue labbra ma non mi diede retta, anzi mi sbottonò i pantaloni e fece scivolare la mano sotto la stoffa dei boxer.
Interruppi allora il bacio e un po’ ansante dissi “Ci vedranno tutti …”
“Qui non viene mai nessuno e dal terrazzo non riescono a vederci”
“Ci sentiranno …”
“Basta che stai attento a non essere troppo rumoroso”
Arrossii involontariamente ben sapendo che aveva ragione ad insinuare che ero l’unico “chiassoso” dei due.
Non mi diede il tempo di ribattere che cominciò a baciarmi il collo e il petto ormai scoperto.
Tentai di non pensare a cosa sarebbe successo se qualcuno ci avesse visto così e mi concentrai sulle sue mani che si erano insinuate tra le mie gambe.
Non feci in tempo a pensare che non poteva davvero voler fare tutto (sulle scale per giunta!) che mi fece voltare e mi abbassò pantaloni e boxer insieme.
Quando lo sentii entrare in me pensai che non potevamo davvero farlo sugli scalini della scuola ma lo pensai per poco prima di essere travolto dal piacere e dalla sensazione d’appartenere completamente a lui.
Non ci volle molto perché sporcassi i gradini con il mio seme.
Dopo pochi istanti anche il mio capitano venne lasciandosi cadere delicatamente su di me.
Potevo sentire il suo respiro affannoso farsi via via più regolare mentre mi stringeva in un caldo abbraccio.
Eravamo ancora nudi e intimamente uniti quando mi ricordai.
Imprecai mentre cercavo di scrollarmi il suo corpo di dosso in modo da potermi alzare.
Mi risistemai alla bell’e meglio e frugai nella tasca.
Ne estrassi un pacchettino tutto stropicciato e irrimediabilmente rovinato.
“Che cos’è?” Mi chiese Shin’ichi mentre si riallacciava i pantaloni.
“Ci ho messo tutta la notte per fartelo!!” risposi affranto.
Mi sfilò il pacchetto dalle mani senza che potessi oppormi e vide i frammenti del cuore di cioccolato che gli avevo preparato.
Mi guardò incredulo e disse: “L’hai fatto davvero tu?”
“E’ stata una pessima idea vero?”
“E’ una cosa dolcissima. Grazie!”
Mi baciò di nuovo e probabilmente avremmo ricominciato a fare cose molto sconce se non fosse suonata la campanella per segnalare la fine della pausa pranzo.

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Fischi di approvazione fioccarono non appena il moro tacque.
Aveva parlato in modo molto sentito, e non appena aveva finito le labbra del suo compagno avevano cercato le sue, come per ringraziarlo dell’amore trasmessogli da quella volta in poi.
Ma, come si suol dire, the show must go on.
E così l'infernale bottiglia tornò a cercare la sua vittima, che risultò essere il candido, innocente e silenzioso Kiminobu Kogure.
Questi guardò Mitsui dubbioso ed intimidito, ma il suo koi, sorridendo, annuì con il capo.
Dopo aver buttato giù d'un fiato il contenuto del suo bicchiere, per farsi coraggio, iniziò.

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*Sul pedalò*

“… moshi moshi?… ciao!… no, non sono solo… che? Ma io non… dai, non me la sento, ho molto da studiare, magari… ma no, ma no che non odio il… Sashi… Sashi… Hisa, senti… io… e va bene, ma torniamo presto, ok? Non fare come al solito che poi… sì. Va bene. Va bene, tra mezz’ora… Anch’io.”
Kiminobu posò la cornetta del telefono e si concesse un breve sospiro.
“Chi era, tesoro?” squittì sua madre in fondo al corridoio.
… non era colpa sua se non sapeva dirgli di no. “Mitsui. Vado al mare.”

La spiaggia era affollatissima. Kiminobu aguzzò la vista per trovare i loro amici nella calca di corpi seminudi, ma le lenti a contatto gli creavano qualche problema. Si passò un indice sulla palpebra, delicatamente. Bruciava. Sperò che il sole non avesse asciugato la lente, perché in quel caso avrebbe dovuto toglierla e buttarla – e chi ci avrebbe visto più? Si maledì in tutte le lingue che conosceva. Aveva dimenticato a casa gli occhiali.
“Kiminobu, è tutto a… Chi è?”
Mitsui si bloccò di colpo. Con un occhio lacrimante, Kiminobu si voltò a guardarlo e trovò Sendoh (sì, proprio lui, proprio lui che…, deglutì a fatica) comodamente appoggiato con il petto contro la schiena di Hisashi e le mani a coprirgli gli occhi – quanto gli riusciva facile, alto com’era!
Le mani di Mitsui si posarono su quelle del giocatore del Ryonan, tastando come avrebbe fatto un cieco.
Kiminobu strinse i denti, sperò solo che Mitsui indovinasse presto e lo mandasse al diavolo. Del resto, chi altri poteva avere mani così grandi e affusolate, e fargli uno scherzo del genere?
Rukawa? “Hn. Indovina un po’ chi sono.” Terrificante.
Akagi? Ogni sua mano era il doppio di quelle di Sendoh, neanche a pensarci.
Hanamichi? Il rossino poteva essere il candidato più plausibile, ma da quando faceva scherzi così… be’… intimi? Non gli veniva parola migliore per definire il modo in cui Sendoh si strusciava alla schiena di Hisashi.
Si sentiva ribollire il sangue.
Mitsui sorrise leggermente sotto le mani dell’altro giocatore. “Vuoi che non riconosca le tue mani, Akira Sendoh?…”
“Indovinato, ma che bravo.” Sendoh gli assestò una generosa pacca sul sedere e sparì di volata in mezzo alla calca. Kiminobu pregò con tutto il cuore che il suo ragazzo gli amputasse quella mano a morsi – e se conosceva ancora bene Hiroaki Koshino, non v’era dubbio che l’avrebbe fatto quanto prima.
“Kiminobu? Che c’è?”
Scosse la testa. “Niente, per…”
“L’occhio.” Si avvicinò e gli posò le dita, sorprendentemente fresche, all’orlo delle palpebre, dilatandole piano. “Fa male?”
“No, va già meglio” sussurrò Kiminobu, senza fiato.
Come riusciva a lasciarlo così?… Quando aveva acquisito questo potere?
Avvampò.
“Perché arrossisci?” sorrise Mitsui.
“No, è solo che…” Si fermò, paralizzato dalla constatazione che Hisashi fissava un po’ troppo intensamente la sua bocca. “Che… che c’è?”
“Cioccolato” sussurrò, passandogli l’indice su un angolo delle labbra. “Che hai mangiato a colazione?”
Kiminobu non rispose.
“Avrei preferito raccoglierlo con la lingua, comunque…”
“Hisashi, per favore.” Non davanti a tutti. Si fece da parte.
“Quattrocchi!” esplose Hanamichi, facendo voltare mezza spiaggia. “Sempre a studiare? Sei bianco come una mozzarella!”
Kiminobu lo guardò, come al solito, dal basso in alto. Aveva acquisito un’invidiabile tinta dorata che lo rendeva ancora più bello, ma sembrava l’unico. Seduto a gambe incrociate sull’asciugamano, le spalle curve e l’aria di chi è ancora – sempre – nel mondo dei sogni, il suo ragazzo Kaede Rukawa aveva il solito colorito pallido. E lo stesso poteva dirsi per Koshino, che per di più sembrava nettamente infastidito da tutta la situazione. Solo Sendoh appariva un po’ più abbronzato, ma non troppo.
Da un ombrellone vicino emersero Akagi, Ryota e Ayako. Kiminobu corrugò la fronte. Una, due tre… quattro coppie. E Akagi? Poi il capitano lo prese sottobraccio e gli disse sottovoce: “Al pranzo pensa Jun!”
Kiminobu non poté che sorridere e leccarsi i baffi. Non aveva mai conosciuto un cuoco migliore di Jun Uozumi.
Stese il telo sulla sabbia arroventata – l’aveva scelto con cura, era il suo preferito: quello con i quattro coniglietti albini che si contendevano la carota gigante. Poi vi si lasciò cadere seduto e si sfilò la maglietta.
Due mani fresche e viscide gli si posarono sulle spalle. “Scusami, non pensavo alla gente” mormorò Mitsui, prendendo a spalmare la bianca crema solare.
Sorrise. “Non è successo niente.”
Le mani giocarono sinuosi cerchi, massaggiando con cura. “Andiamo a farci una nuotata io e te? Magari dietro gli scogli…” La punta del naso gli accarezzò la nuca.
Kiminobu sentì il disagio assalirlo da ogni parte ma si trattenne – non poteva scacciarlo ancora una volta. I loro amici intorno erano un efficace scudo, la gente si disinteressava a loro… Stai calmo, Kiminobu. Calmo. Non arrossire.
Gli bastò pensarlo per avvampare immediatamente.
“Io… ecco… non te l’ho detto, ma…”
“Ma?” La voce di Mitsui gli giunse soffocata, perché le labbra dell’ex-teppista erano appoggiate al profilo del suo collo candido.
Kiminobu voltò il capo, vergognoso, e gli sussurrò all’orecchio: “Non so nuotare”.
“Non ridere” lo pregò subito dopo.
“Non ci penso neanche” sorrise Hisashi. “Vorrà dire che troveremo un altro modo.” Alzò la voce. “Akira!”
Sendoh, che in quel preciso momento si stava massaggiando una guancia dolorante, alzò lo sguardo sul suo ex. “Che c’è?”
“E se ci affittassimo i pedalò?”
Hanamichi saltò sul telo con un balzo. “Sì, facciamo una gara di velocità! Tanto il Tensai e la kitsune vi batteranno tutti quanti a occhi chiusi! Ahahah!”
L’idea di una gara a coppie era quanto di più lontano passasse per la testa di Kiminobu – sarebbe stato a disagio, come al solito. Guardò Mitsui. Sorrideva, infervorato. Amava le competizioni. “Andate, io vi aspetto qui” mormorò alla sua volta, con un tiepido sorriso.
“Che? Tu vieni con me” ribatté l’ex-teppista.
“Ah, perderemmo di sicuro” sorrise Kiminobu, con sforzo. “Vai. Ti aspetto qui.”
“Tu vieni con me” ripeté Mitsui, in tono deciso. Gli afferrò il polso con una mano viscida di crema. “Niente storie. Andiamo ad affittare i pedalò.” Gli lasciò appena il tempo di afferrare maglietta e ciabatte e se lo trascinò dietro, seguito a ruota da Hanamichi che trascinava Rukawa e da Sendoh che trascinava Koshino. Tutto come da copione. Ryota declinò e rimase con Ayako, e Akagi con loro ad attendere Jun Uozumi.
Mentre lo seguiva verso l’organizzazione del lido, Kiminobu sentì il suo umore degradare sempre più verso il nero. Sapeva come sarebbe finita – sarebbero arrivati ultimi, e Mitsui se la sarebbe presa da morire. Con lui. Non gliel’avrebbe detto, naturalmente, ma sarebbe andata così.
Non voleva. Possibile che dovesse essere così cocciuto? Avrebbe preferito che facesse coppia con Sendoh e vincesse – avrebbero vinto sicuramente, insieme.
“Dai, Sashi, lascia stare, non mi va davvero…” mormorò.
“Non provarci neanche a rovinare tutto” lo apostrofò Mitsui, senza gentilezza.
Kiminobu impallidì e tacque – poi un sorriso che a malapena poteva definirsi tale affiorò alle labbra del suo compagno. “Lasciami fare” mormorò, e non aggiunse altro.
Affittarono tre pedalò e vi montarono sopra a coppie, come stabilito. Portate le piccole imbarcazioni al largo e stabilito il punto d’arrivo, un ragazzo impegnato in una nuotata solitaria gridò per loro il “via!”. E partirono.
Sendoh e Koshino passarono subito in testa, seguiti da Mitsui e Kiminobu. Hanamichi e Rukawa restarono ultimi, perché il volpino si era addormentato sul pedalò.
Lasciandosi alle spalle le grida furiose del rossino, Kiminobu pedalava con costanza. Era allenato al lavoro di gambe – ma non era mai stato un grande sportivo, bisognava dirlo. Dopo un quarto d’ora circa, si ritrovò col fiatone.
“Ehi, calma” disse Mitsui, posando la mano sulla sua coscia.
Kiminobu si voltò di scatto. “Co… cosa?”
Alle loro spalle, Hanamichi e Rukawa riguadagnavano terreno rapidamente.
“Rallenta” sorrise l’ex-teppista.
“Ma…”
“Lasciali passare.”
Kiminobu sgranò gli occhi ma cessò immediatamente di pedalare. Mitsui, al contrario, continuò con assoluta calma, cosicché l’imbarcazione, ormai superata dagli altri, girò lentamente verso destra.
“Bene” sorrise Mitsui. “Ora ci possiamo anche fermare.”
Kiminobu si guardò intorno, confuso. Mare, mare, e ancora mare – e più in là, lontanissima, la riva. Il silenzio era quasi innaturale.
La mano destra di Mitsui gli accarezzò la guancia. “Non me ne importava niente della gara, era per stare un po’ da soli” spiegò a bassa voce.
Kiminobu si detestò per non essere riuscito a capirlo prima. Che stupido. Da quando era così diffidente nei suoi confronti? Felice che un’assoluta solitudine li circondasse, si tese oltre il bordo del sedile di plastica e lo baciò. La mano di Mitsui scivolò sul suo fianco, morbida, mentre contorcendosi lo abbracciava.
“Non è il massimo della comodità, ma ci si può adattare” sorrise.
“Già” annuì Kiminobu, che sentiva brividi sospetti serpeggiargli su lungo la schiena. L’odore della salsedine, forse, o il sole. Forse il sole. Gli stava dando alla testa.
Mitsui riprese a baciarlo e Kiminobu emise un sospiro leggero sulle sue labbra. La mano del tiratore da tre si insinuò sotto la sua maglietta. Aprirono gli occhi nello stesso momento, e si guardarono.
“Dici che possiamo?” mormorò Mitsui.
“Hai dubbi…?” ribatté, confuso.
“Io non ne ho… Ma tu?”
L’avevano rimandato per tanto tempo, quel momento. No, non è corretto: lui aveva rimandato – Mitsui avrebbe qualsiasi cosa per il suo koibito, e aveva atteso.
Tre mesi. Kiminobu sfiorò la mano del suo ragazzo, che lo accettò come un assenso. Le dita calde dell’ex-teppista salirono a tormentare un capezzolo che, più sfrontato del suo padrone, non esitò a rispondere alle carezze – poi passarono al gemello. La maglietta, ora rappresa sotto il collo, era fradicia di sudore, e non era il sole, no, non era il sole a rubargli tante stille salate dal corpo.
Chiuse gli occhi, godendosi il piacere di essere vezzeggiato.
“Vieni qui” sussurrò Mitsui, soffiandogli sull’orecchio.
Obbediente malgrado l’imbarazzo, Kiminobu buttò un ginocchio al di là delle gambe di Hisashi e si lasciò scivolare seduto sulle sue cosce. Sentiva la durezza di Mitsui premergli contro, e la propria premere contro il suo ventre, in una reciproca rivelazione.
Hisashi gli sfilò la maglietta e prese a ricoprirgli di baci il collo nudo e salato.
“Hisa… Sashi…” ansimò, mentre le mani del ragazzo si posavano alla base dei suoi lombi.
“Dimmi, amore…”
“Levameli…”
La bocca incollata alla sua, Mitsui tirò giù l’orlo dei boxer – poi, con qualche difficile contorsione, il costume da bagno volò a far compagnia alla maglietta.
Nudo e rosso in viso come dopo ore di corsa, Kiminobu guardò il compagno per un lungo istante, attendendo che lo guidasse, che gli mostrasse cosa fare. Mitsui aveva avuto Akira Sendoh – lui doveva parergli ben poca cosa, al confronto. Si rabbuiò immediatamente.
“Ehi?” Mitsui gli fece sollevare il viso per guardarlo. “Che c’è?”
“No… niente.”
“Non mi freghi, è tutto il giorno che sei strano, Kiminobu…”
“Niente, solo… Sendoh…” Kami, e perché l’aveva detto, ora? Si morse la lingua. Era talmente ridicolo, stava lì nudo tra le sue braccia e ansimante di desiderio, l’aveva fatto aspettare così tanto e poi? Si metteva a recriminare contro Akira Sendoh. Distolse lo sguardo.
“Allora anche tu sei geloso…” mormorò Mitsui, passandogli la punta della lingua lungo l’arco di delicata cartilagine dell’orecchio.
“A… anche io?”
“Mmm…”
Kiminobu avrebbe voluto dire altro, ma senza preavviso la mano di Hisashi lo strinse piano alla radice. Espirò tutto il fiato di colpo. Si scoprì inerme tra le sue braccia – una sensazione inebriante.
L’indice di Mitsui accarezzò delicatamente la punta, e Kiminobu gridò. Consapevole che se avesse rimandato ancora non sarebbe tornato più – mai più – quel desiderio straziante che sentiva, il vice-capitano portò le dita all’orlo del costume di Mitsui e lo tirò giù quanto bastava.
Hisashi gli sorrise, e non permise alle dita così servizievoli di allontanarsi – ordine muto cui Kiminobu obbedì con immenso piacere. Si sollevò sulle ginocchia. Chissà se Hisashi avrebbe capito.
Le pupille di Hisashi si dilatarono, mentre lambiva con gli occhi ogni centimetro della sua pelle, dal viso congestionato fino a ciò che gli veniva offerto. Esitò. “Sicuro?”
Chi aveva paura, adesso?
Kiminobu annuì con decisione.
Mentre la sinistra di Mitsui proseguiva nelle sue lente carezze, le dita della destra lo tentarono con delicatezza. Le ginocchia di Kiminobu iniziarono a tremare, per il piacere troppo grande. Quando si sentì invadere, una volta, poi due e infine tre, non lo ressero più. Ricadde seduto, ansimando forte.
“Sashi…”
“Kimi…?”
“Sashi…” Si tirò su, appoggiandosi con una lieve esitazione alla sua virilità. Chiuse gli occhi. “Mi aiuti, Sashi?”
L’invasione fu un abbandono lento, estenuante, che scoprì arduo ma bellissimo. Teneva le palpebre chiuse – gli ansimi di Hisashi al suo orecchio lo riempivano di piacere e di una beata cocciutaggine nel proseguire malgrado il dolore. Gli disse che lo amava, varie volte. Mitsui ricambiò il favore senza parole.
Quando tutta la strada fu percorsa – e si ritrovò stretto intorno a lui, bollente e in preda ai tremiti più atroci – il resto fu un abisso di piacere. La mano del suo compagno, che non si era più staccata da lui, lo accarezzò senza mancare una volta il tempo. Il possesso si consumò in una vertigine frenetica che lo ripagò, infine, quando si abbandonarono esausti l’uno sull’altro, le gocce madreperlacee di Kiminobu sparse sul palmo di Hisashi.
L’ex-teppista sollevò la mano e la leccò con cura.
“Che fai?” sussurrò Kiminobu, la guancia sulla sua spalla.
“Ti assaggio” rispose l’altro, voltandogli il capo per un lungo e voluttuoso bacio.

La gara non ebbe vincitori né vinti – solo un tragicomico epilogo. Kogure e Mitsui, dati per dispersi, ritornarono freschi e contenti dopo un paio d’ore. Una piovra gigante, sostenne Mitsui, aveva catturato il loro pedalò e impedito di proseguire la corsa. Sendoh e Koshino, fin dall’inizio in pole position, vennero speronati a due metri dall’arrivo dal pedalò di Hanamichi e Rukawa. Risultato: uno squarcio grosso come un ananas nell’imbarcazione dei primi e varie ammaccature nell’altra. Hanamichi e Koshino, vittime di due bernoccoli giganti, dal momento che nell’urto il rossino era volato sulla testa del giocatore del Ryonan, rimasero fuori gioco fino all’ora di pranzo, quando il barbecue da spiaggia di Jun Uozumi risollevò gli animi e gli appetiti di tutti i presenti.
Nessuno capì perché Kogure e Mitsui avessero quelle espressioni beatamente idiote.

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“E adesso tocca a voi!!!” disse con un sorriso sardonico il tiratore da tre punti indicando con la mano Rukawa e Hanamichi. Quest’ultimo era appoggiato con la schiena al petto confortante e comodo del suo ragazzo, mentre le braccia candide del volpino erano strette alla vita del rossino.
A quelle parole un lampo violetto accese le iridi blu del moro mentre Hanamichi arrossiva di brutto.
Ricordando QUELLA volta.
“Nh… allora il luogo più strano in cui l’abbiamo fatto è stato…” e si fermò un attimo osservando divertito il suo ragazzo diventare rosso “… sotto ad una galleria…”
“Racconta dai!!” incalzò Akira volendo ascoltare la loro storia.
Il volpino mosse il capo in un si mentre la sua voce iniziò a raccontare.
“Vi ricordate la festa di Mitsui?? Beh, è successo tutto dopo che ce ne siamo andati…..”

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*Sotto una galleria*

Le strade illuminate dalle luci artificiali dei negozi, dei locali, dei love hotel le piccole luci delle automobile che in miniatura sembrano giocattoli. E in alto un cielo senza luna ma punteggiato di stelle più luminose del solito. Gli occhi nocciola brillavano a quella vista, così strana ma sempre la stessa…
Il vetro della metropolitana una protezione dal freddo della sera.
Due mani si sfioravano di nascosto per non attirare le chiacchiere dei pochi passeggeri i quali, mezzi addormentati si recavano a casa o da qualche altra parte a divertirsi.
Una mano candida sfiorava intensamente quella abbronzata.
Le gambe vicine si toccavano lievemente mentre degli occhi blu osservavano il volto felice del suo ragazzo. Un piccolo sorriso comparve sul volto volpino a quell’espressione felice, come quella di un bambino davanti a chissaché meraviglia.
“Ru…” mormorò il rossino “… hai visto che meraviglia???” bisbigliò guardando il suo ragazzo.
“Si…” mormorò l’altro in risposta guardando Hanamichi come se fosse la creatura più bella del mondo.
Il rossino capì subito che si riferiva a lui e sorrise tutto imbarazzato per quella dolce e amorevole confessione.
Piano senza farsi vedere gli strinse la mano nella sua.
Forte come a sancire un patto d’amore segreto.

“STAZIONE DI *********”

Gridò la voce metallica facendo sobbalzare i due che di scatto sciolsero le mani.
Gli ultimi passeggeri scesero e lasciarono soli i due ragazzi.
Rukawa si mise a guardarsi attorno.
Le luci tenui dei neon illuminavano la pelle abbronzato del suo ragazzo che appoggiato al vetro osservava il panorama.
Gli occhi blu scesero lungo il collo scoperto, poi senza sosta si fermarono sulla camicia bianca mezza slacciata. Dove un lembo di pelle riaffiorava ai suoi occhi. Scese lungo le spalle ampie e la schiena larga, la vita stretta messa in risalto dall’indumento candido e poi i fianchi lisci.
Kaede deglutì rumorosamente.
Improvvisamente la gola secca e arida.
I glutei sodi, formosi e pieni.
Fece un grosso respiro cercando di calmarsi ma tutto era inutile: i suoi ormoni erano ormai impazziti.
Piano senza farsi vedere dal proprio ragazzo gli posò un dito su quella rotondità perfetta e ne assaggiò la consistenza.
Il rossino si voltò di scatto.
“Kae!!! Sei impazzito???!!!” gridò saltando indietro, portandosi le mani sulla parte lesa.
“Nh….” rispose solamente indicando con il capo lo scompartimento vuoto.
“No, non ci provare nemmeno!!! Potrebbe salire qualcuno!!!” borbottò superando la tonalità dei suoi capelli che sbarazzini andarono a nascondere gli occhi lucenti di passione repressa.
Anche lui voleva essere toccato, baciato e amato da Kaede.
Ma non in un luogo pubblico!!!
“Nh….” rispose solamente un po’ scocciato.
Gli sarebbe piaciuto farlo lì, in metropolitana…. era una bella fantasia si disse.
Ritornò con gli occhi al finestrino.
Di colpo il panorama tramutò da un paesaggio notturno a quello di un muro sporco e scuro.
Sospirò.
E si mise a guardare il rossino che tutto imbronciato aveva appoggiato la schiena al vetro ed ora fissava il vagone completamente vuoto.
Di colpo ci fu una frenata pazzesca. Le luci saltarono mentre Hana non riuscendo a tenersi finì contro Kaede il quale, con un po’ di fortuna riuscì a bloccare la caduta di entrambi.
“Ma che diamine……!!???”
“Ci scusiamo con i signori passeggeri ma per un problema tecnico siamo costretti a fermarci!” parlò la voce metallica.
Hana ancora tra le braccia della volpe tirò un sospiro di sollievo.
Il buio attorno a loro era penetrante, non riuscivano neppure a vedersi ma il calore dei loro corpi vicini li rassicurava.
Kaede piano ritornò completamente in piedi con un fianco dolorante.
Doveva aver sbattuto contro qualche ferro.
Sospirò sentendo il corpo del rossino contro il suo.
Di colpo la sua idea di prima gli ritornò alla mente.
Piano fece scendere una mano dalla vita del rossino, lungo il gluteo sinistro prima toccandolo lievemente per poi stringere quelle rotondità perfetta.
“Kae…de…” gemette piano il rossino.
Il moretto sorrise nell’oscurità e posò un bacio lungo e passionale sulla bocca di Hana che rispose subito a tale bacio.
Dimenticandosi del luogo, dell’ora di tutto tranne di quel corpo caldo e sodo.
Le lingue si accarezzavano piano, dolcemente… duellando per la supremazia del bacio.
Alcuni minuti dopo si staccarono ansimanti.
Si guardarono negli occhi e solo allora si accorse che almeno alcuni luci erano tornate.
Tutto faceva eccitare ancora di più Rukawa che notò subito la posizione in cui si erano ritrovati. Hanamichi era tra le sue braccia mentre le mani abbronzate serravano in una morsa spasmodica il maglioncino dell’altro. Le gambe erano incastrate in modo tale che ad ogni piccolo movimento i loro inguini si sfiorassero deliziosamente.
Un lampo violetto passò rapido nelle iridi volpesche.
Di colpo Hanamichi si sciolse dall’abbraccio ed indietreggiò di alcuni passi.
Sapeva bene cosa stava a significare quel lampo…. e ogni volta finivano a fare l’amore da qualche parte.
Kaede si avvicinò al rossino con passi lenti e felini.
“Perché indietreggi???” sussurrò pianissimo mordendosi il labbro inferiore in quel modo a cui piaceva ad Hanamichi.
“Beh… Kaede… non…. ecco…” tirò un sospiro più forte “… perché so come andrà a finire!!” sbottò rosso come un pomodoro stringendo le mani le mani sui fianchi.
Quell’imbarazzo mandò una scarica elettrica su per le schiena di Kaede che ormai aveva deciso: Hanamichi sarebbe stato suo!!
Piano si avvicinò mentre l’altro indietreggiò di alcuni passi.
Kaede spalancò gli occhi e si immobilizzò.
Hana si guardò un attimo alle spalle per poi sentirsi prigioniero tra le braccia candide e la parete del mezzo.
“Imbroglio… mhhhhh….” non finì mai la frase poiché la sua bocca gli venne tappata da quella vogliosa di Kaede.
Le mani candide scesero lungo il corpo ormai bloccato dal suo peso. Iniziò ad accarezzarlo piano sopra il collo, l’altra invece scendeva birichina sugli addominali.
Lentamente le bocche si separano e la lingue volpina iniziò a leccare pianissimo il collo caldo ed eburneo del compagno.
La mani nel frattempo erano scese.
Una accarezzava il petto cercando di posarsi sotto la stoffa della camicia mentre l’altra si prodiga ad accarezzare l’inguine coperto dai jeans. Un ginocchio si fece spazio tra le cosce di Hana iniziando subito a strusciare l’interno caldo delle gambe.
“Kae…..ahhhh….aaaahh…” mugolò Hana cercando di trattenersi ma quella mano sul torace era un vero demonio. Pizzicava, accarezza il capezzolo sinistro e pure graffiava l’areola rosea facendolo sempre più impazzire di piacere.
“Si…??” mormorò Kaede al suo orecchio per poi soffiarci sopra facendo fremere tra le sue braccia il corpo abbronzato.
“Sei divento ipersensibile….” mormorò soddisfatto, iniziando a mordicchiargli l’orecchio scendendo piano verso il collo che assaggiò con leggeri baci.
Giunse allo sterno che baciò ancora una volta.
“Kae… dai…”
Ecco la parolina magica.
Usando il naso come sonda scese lungo il torace e scostò piano la camicia. Giungendo finalmente al capezzolo che le sue dita stavano torturando. Lo prese di colpo in bocca ed iniziò a suggerlo piano poi forte mentre la mano apriva totalmente la camicia.
La destra scese lungo una coscia fino al ginocchio, dove, dopo una lieve carezza lo afferrò per portarsi la gamba attorno alla vita.
Iniziò una dolce carezza con l’inguine che aumentò il piacere per entrambi.
“Aaahh.. Kaede… KAE!!” quasi gridò Hana tirando la chioma corvina verso il proprio volto ricevendo un bacio.
La lingua di Kaede perlustrava tutta quella prelibata bocca, notando subito come il rossino si lasciava invadere.
Questo mandò una forte scosse di piacere al suo corpo.
E quando si staccarono le parole del rossino gli fecero perdere completamente il controllo.
“Fai quello che vuoi…” sussurrò sulle labbra gonfie del ragazzo.
Senza più ragionare lo baciò ancora mentre gli faceva lasciare il fianco e portava rapidamente una mano alla zip dei jeans.
Stava per aprirli quando un’idea gli passò per la testa.
“Mi devo… preoccupare… kit??” domandò tra un sospiro l’altro.
“Si, amore… ma mi hai dato il permesso…” mormorò questi leccando piano le labbra socchiuse.
“S-si… basta che ti sbrighi… ti voglio dentro di me…” sussurrò pianissimo mentre leggera porporina si espandeva per il viso arrossato dal piacere.
“Va bene….” disse leccando ancora una volta le labbra rosse “… alza piano le braccia… ed afferrati su quel ferro…”
“Si…”
Obbedì il rossino incapace di fare altre.
Il sangue gli ruggiva nelle vene.
Non gli importava se potevano essere scoperti, anzi tutto questo dava alla cosa un pizzo di elettricità!
Kaede lasciò il suo ragazzo per pochi secondi e si tolse la cintura dei pantaloni, usandola per legare i polsi del rossino ai ferri.
Gli occhi velati dal piacere si spalancarono.
“Sei pazzo???!!” domandò incredulo mentre l’altro baciandogli il petto scendeva fino alla zip dei jeans.
Con i denti prese il piccolo metallo e lo calò giù, le mani tenevano fermi i fianchi che altrimenti si muovevano troppo.
L’aria fredda baciava il petto sudato del rossino che iniziò a tremare un po’ per il freddo un po’ dal piacere incontrollato che provava.
“S…sbrigati… dai…”
“Non ancora… mi piace vederti così…” gli soffiò quelle parole sull’inguine coperto solo da un paio di slip neri che aderivano perfettamente al corpo del rossino.
Non lasciando nulla all’immaginazione.
“Ti sei messo il mio capo preferito…” lo stuzzicò Kaede baciando la sommità della virilità di Hana.
“Ahhh….” gridò il rossino.
“Non ci siamo… non puoi gridare così forte…” bisbigliò l’altro prendendo tra i denti l’elastico ed iniziando a tirarlo giù.
“La… fai facileeeee…. tuuuu” mugolò incapace di trattenersi mentre il naso di Kaede si posava per tutta la sua virilità rinata.
“Buono… mi hai dato carta bianca…” gli mormorò sulla pelle fremente.
Il rossino iniziò a dimenarsi.
Quel calore così vicino eppure così lontano lo mandava in tilt.
Lo voleva… e subito!!
“D-dai…”
Il moretto si alzò, tolse il maglioncino rivelando una canottiera nera aderente.
Gli occhi nocciola fissarono tale bellezza e non si accorse che una manica dell’indumento gli veniva messa in bocca.
“Lo so…” bisbigliò al suo orecchio “… non è il massimo, ma non puoi gridare…” dicendo ciò si allontanò e fissò il ragazzo davanti a lui.
Le braccia in alto legate dalla cintura di cuoio, la camicia sbottonata mostrava il petto ampio e scosso dal piacere. Sulla pelle dei marchi di appartenenza, le gambe muscolose scoperte e in mezzo la virilità svettante del rossino.
“Ora inizio…”
Senza preamboli iniziò a baciare per tutta la lunghezza il pene del rossino. Alternando lappatine, succhiotti e baci. Un tran tran che faceva contorcere sempre di più il ragazzo legato il quale, in preda al piacere si contorceva cercando soddisfazione.
“Mhhhh…..nhhhh….mhhhh……” mormorava sempre più forte, spingendo l’inguine verso quella bocca che si ostinava a non prenderlo.
Di colpo il mondo esplose.
Kaede succhiò la punta del pene per poi farlo scorrere lungo tutta la sua bocca… piano iniziò a suggere. Aiutandosi con le mani iniziò a giocare con i testicoli gonfi mentre le sue labbra si serravano sempre più forte. Lo leccava, succhiava e grattava con i denti causando al rossino un tale piacer da farlo fremere sempre più forte. La saliva colava calda dal pene e lentamente umidificava i testicoli. Cercando di farlo gemere sempre più forte.
Una mano si tolse dal suo lavoro e corse sui glutei, alla ricerca del porta del paradiso. Giunse alla linea di separazione e giù lungo di essa trovò la sua fessura. Piano spinse un dito nel suo interno e subito il ragazzo si tese, mentre la bocca del volpino lo portava in un agognata estasi. Al primo si aggiunse un secondo e da subito si mossero. Allargando e preparando il corpo per la prossima penetrazione.
Avrebbe voluto continuare a torturarlo ancora ma anche il suo sesso rinchiuso voleva soddisfazione.
Tolse le dita nell’attimo esatto in cui la sua bocca lasciò il pene dell’altro.
“Mhhhhhhh….” mugugnò Hana decisamente frustrato per quell’interruzione.
Si portò le mani ai pantaloni e con un gesto rapido se li aprì, abbassò i boxer e si preparò ad entrare nell’amante.
Gli tolse la manica dalla bocca.
Lentamente gli fece alzare le gambe che si allacciarono alla sua vita, mentre la punta del suo membro si posizionava all’entrata di Hanamichi.
“P… pronto???” chiese cercando di non prenderlo di colpo.
“Siiii…. sbrigati!!!” gli abbaiò contro il rossino spingendo il proprio corpo verso la sommità del membro del volpino.
Kaede inserì piano la punta per poi addentrarsi millimetro dopo millimetro. Una giostra tra piacere e dolore… dolore di non essere completamente dentro l’altro.
“Ahhh… Kae… dai…. entraaaaaaaa!!!!” gridò Hanamichi sentendolo giungere fino in fondo.
Respirarono un attimo, per darsi la possibilità di sentirsi a vicenda.
“S-sei così…. caldo….”
“Kae…. muoviti dai…. ti prego…” mormorò Hana cercando piacere nell’unione dei loro corpi. Sentirlo dentro di sè era la cosa più bella.
Si sentiva completo e felice con Rukawa impiantato nel proprio corpo.
Il moretto spinse una prima volta.
Un grido.
Piacere.
Con movimenti sempre più veloci si univano corpo e anima. Sempre più velocemente mentre goccioline di sudore imperlavano i corpi sempre più caldi.
Spinte e grida.
Kaede uscì dall’altro lasciando solo la punta per poi spingere ancora più forte.
Ogni spinta era un grido per entrambi.
Hana ogni qual volta l’altro si allontanava stringeva i glutei per far sentire a entrambi la profondità della penetrazione.
Spinte e godimento solo questo era il loro scopo.
Di colpo la metropolitana iniziò a muoversi ma entrambi erano troppo presi dal piacere della loro unione.
Kaede spingeva in profondità, una mano masturbava febbrilmente l’altro: toccava la punta e pompava prima leggermente poi più forte.
Hana tratteneva le urla mordendosi le labbra a sangue mentre le labbra della volpe mordevano, leccavano, succhiavano la gola dell’amante.
Una curva stava per far cadere il volpino che prontamente si aggrappò al ferro, toccando le mani abbronzate.
Si spinse ancora in lui, in profondità cercando il sommo piacere.
Mentre la metrò si prestava ad uscire dalla galleria spinse più forte, ed insieme giunsero l’orgasmo, baciandosi per bloccare il loro grido di piacere.
Piano le gambe di Hana scesero a terra, mentre Ru riprendeva fiato sul petto dell’altro. Lentamente Kaede uscì dal proprio amante e con dolcezza gli baciò le labbra.
Gli sciolse le mani e lo aiutò a rivestirsi, piano e con dolcezza.
Quando il rossino fu pronto si richiuse i pantaloni e si mise su il maglioncino.
“Vieni…” mormorò dolcemente, tirandolo per un braccio facendolo sedere accanto a sè.
“Grazie… è stato bellissimo…” bisbigliò al suo orecchio facendo arrossire Hanamichi che pigramente posò il capo sulla spalla dell’altro.
“Grazie a te…” mormorò lasciandosi andare tra le braccia di Morfeo.
E il panorama ritornò davanti gli occhi blu i quali, preferirono guardare quel tramonto tra la braccia.

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“E questo è tutto!!” disse Rukawa osservando le facce degli altri.
Dentro di se un sorriso si espanse nel notare come il suo ragazzo avesse raggiunto la tinta di un pomodoro.
Gli astanti guardavano il moro come se gli fosse spuntata un’enorme verruca sulla punta del naso.
Da quando parlava tanto?!
E soprattutto: come diavolo faceva a restare così tranquillo dopo un racconto simile?!
Borbottando chissà cosa, Mitsui roteò di nuovo la bottiglia, che però con sommo stupore di tutti tornò a puntare decisa la coppietta dei padroni di casa.
Hanamichi, facendo finta di nulla, si sporse verso la fruttiera.

POV Ru

Bla Bla Bla Bla Bla Bla…….quanto parlano…hn
Uh frutta, buona…speriamo che il do’hao non faccia casini….tipo sbrodolarsi, ad esempio.
C’è di tutto…anche l’anguria…no Hana non prenderla….
Meno male ha preso una mela.
Rossa.
Succosa e croccante.
Dolce, come lui, come la sua pelle….
Uff.. che caldo
Ma perché mi guardano???
Cosa??
Tocca di nuovo a noi??
Non è possibile…
Ho già parlato anche troppo…

***

“Ok …parlo io, la kitsune ha esaurito la voce, per il momento.
Cominciamo dall’inizio.
C’eravamo trovati sul lungomare per la festa di fine estate, praticamente metà della popolazione di Kanagawa e dintorni era per le strade e come ben si sa, a Kaede i posti così affollati piacciono poco…
Dopo aver girato tra bancarelle e chioschi per un paio d’ore, eravamo tutti abbastanza brilli e Rukawa veramente stufo.
Bhè poco male, anche perché la cosa stava iniziando a infastidire pure me, troppi occhi puntati sulla kitsune.
Ci siamo diretti verso casa mia, salutando gli amici, non mi dispiaceva proprio stare un po’ solo con lui, lontano da occhi indiscreti, avremmo sicuramente trovato da fare.
Non siamo come quei due sfacciatissimi animali da copula come Sendoh e Mit….ouch!
Ok la prossima volta penso prima di parlare.
Per dirla tutta, in effetti avevamo bevuto veramente tanto, quindi la cosa si presentò un tantino più complicata.
Era un tantino difficile dirigersi verso casa con Kaede addosso, con quella lingua dispettosa che ogni 5/10 minuti mi faceva impazzire e mi toglieva il fiato.
Avevamo fretta di arrivare al più presto, a casa mia, nel mio letto o sul divano, ovunque.
Una volta davanti alla porta del mio appartamento, mi sono sentito schiacciare contro il legno freddo, sentivo le mani di Kaede che esploravano il mio corpo, sembrava volesse strapparmi la pelle di dosso, sembrava voler fondersi con me.
In qualche modo, non so quale, siamo riusciti a non farlo sul pianerottolo, probabilmente il peso dei nostri due corpi aveva forzato la porta del mio appartamento e ci siamo trovati in casa stesi sul pavimento.
Comunque al momento non me ne fregava assolutamente niente.”
“Nh…ho le chiavi di scorta….con Hana non si sa mai!!!!” sottolineò il moretto.
“Infatti…HEY cosa intendi stupida kitsune cerebrolesa…..”
“Nhmmm…..che sei un Do’hao distratto…”
“E’ colpa tua…mi distrai…!!!!”
“Nh…”
“Uff…ho capito, continuo io altrimenti non capirete niente” disse Kaede, ignorando l’occhiataccia del suo ragazzo.
“Comunque, eravamo arrivati finalmente a casa di Hana, nel giro di 15 minuti eravamo nudi e sicuri che nessuno avrebbe potuto disturbarci.
La porta l’avevo sprangata io stesso.
Il telefono lo aveva lanciato Hana con una tale delicatezza che in seguito a quel volo squillava sottovoce.”
“E già, lo abbiamo dovuto ricomprare…” lo interruppe il rossino.
“Il futon era già pronto… mancava solo qualche metro…” il moro lo fissò con aria di rimprovero.
“Ok, va bene…non lo avevo tolto… mamma che pignolo!
Kaede mi prese al volo nel momento in cui la stanza iniziò a girarmi intorno, avevo bevuto troppo.
Mi girava il mondo, tutto ondeggiava e volevo Kaede, lo volevo subito.
Mi sono aggrappato a lui, trascinandolo a terra, avvinghiandomi a lui come un tralcio d’edera.
Volevo sentirlo parte di me, volevo essere completo.
Abbiamo fatto l’amore anche se è stato un po’, hemmhhhh diverso dal solito…

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*Mangiando una mela*

La tattica del Polipo in amore di Hanamichi aveva bloccato ogni via di fuga a Kaede, non che la cosa lo dispiacesse, ma sinceramente fare sesso sul tatami non era esattamente il fine serata che Kaede aveva in mente.
Il suo caro rossino però, aveva tutt’altra opinione.
Per lui andava benissimo dov’erano.
Naturalmente Kaede decise di fare a modo suo, mise entrambe le mani ai lati della testa del suo Hana, si puntello e poi, semplicemente, smise di muoversi, scatenando le proteste del suo ragazzo.
Dopo una breve discussione inframmezzata da sadici sfregamenti di bacino, si arrese.
Recalcitrante Hanamichi accettò la mano tesa del suo amore e si alzò.
Tremante e barcollante, si incollò di nuovo a Kaede facendogli sentire quanto era eccitato e ovviamente restituendogli il favore per le provocazioni di poco prima.
Lo sfregamento dei loro corpi nudi creò non pochi problemi all’ autocontrollo già in precarie condizioni di Kaede che, miracolosamente, riuscì almeno a spostarsi verso il divano, che mancò clamorosamente finendo per inciampare sul tavolino, rovesciando quello che c’era sopra e finire sul tatami.
Di nuovo e che botta.
Gli occhi incatenati, le labbra gonfie di baci si guardarono per un attimo infinito prima di ricominciare a muoversi, si misero a sedere l’uno davanti all’altro, le gambe di Hanamichi attorno ai fianchi di Kaede, le braccia del moretto già allacciate alla sua schiena forte, mentre le mani scendevano ad occuparsi delle sue natiche.
Hana si strinse di più al suo amore quando senti le sue dita violarlo con gentilezza, riempiendolo di una sensazione fresca e viscida.
Realizzando con divertimento che il suo amante ne sapeva una più del diavolo, si era premurato di lasciare creme varie in posti strategici.
Magari tra la frutta sul tavolino, che ora giaceva sparsa intorno a loro.
Hana allungò la mano per prendere un frutto, una mela, vicino a Kaede.
L’avvicinò alle sue labbra soffiando sulla buccia lucida, poi dischiuse le labbra, baciando lascivamente la scorza rosso vivo, tendendosi verso il suo amore.
Iniziarono un gioco fatto di baci umidi dati al quel frutto che in altre culture è iconograficamente del peccato.
Entrambi erano dolorosamente eccitati, il pene dell’uno strofinava e sfregava quello dell’altro al ritmo delle stimolazioni intime, lasciarono che la mela martoriata dalle loro labbra e dai denti fosse dimenticata, lanciata chissà dove dalla foga di baciare, mordere e urlare di tutti e due.
Poco male di mele ne avevano ancora sia sparse intorno a loro che in frigo.
La voce di Hana si spezzava sempre più di frequente mentre incitava il suo ragazzo a fotterlo, mentre stringeva le sue spalle aggrappandocisi come se di quel contatto ne andasse della sua vita.
Kaede lo fece sollevare piegando le gambe, il rosso non si fece pregare e assecondò docilmente i movimenti del suo ragazzo.
Con dolcezza il pene di Kaede iniziò a farsi strada nel corpo stretto ed eccitato.
Hana non sentì quasi nulla, dato il suo grado di eccitazione, mugolando soddisfatto piegò le testa all’indietro lasciando scoperta e accessibile la giugulare.
Kaede mordeva e succhiava la pelle tenera e sensibile, scatenando una miriade di brividi nel corpo sopra di lui.
Cinse la vita di Hana e iniziò a guidarlo nella lenta, per ora, corsa sul suo corpo teso.
Calore, puro fuoco.
Inarcò la schiena e toccò il fondo, arrivò all’ansa dentro al corpo di quell’uragano vivente, facendolo urlare di piacere e scatenandolo.
Hana iniziò a sgroppare, per godere, per sentirsi un unico essere con lui, per soddisfare quella smania che lo stava distruggendo.
Voleva raggiungere l’orgasmo insieme a lui urlando tutto il suo appagamento, cosa che gli sarebbe costata una denuncia, probabilmente.
Kaede sentiva il culmine sempre più vicino e si fermò per ritardarlo, stese le gambe sorreggendo il suo amore, cingendogli la schiena con le braccia, ma Hana non ne voleva sapere.
Inarcò di colpo la schiena e poggiò entrambe le mani sugli stinchi del suo bellissimo ragazzo.
Così, facendo leva sulle braccia, continuò a impalarsi, ondeggiando e roteando i fianchi sul pene, ormai al limite, di Kaede, il quale non poteva fare altro che gemere e godere del furore del suo Hana.
I movimenti di del rosso erano violenti, sembrava che volesse spaccarsi in due, dopo l’ennesima violenta spinta, il moretto gli artigliò i fianchi e venne dentro a quel corpo caldo, inondando le sue viscere.
Per un attimo, quella sensazione soddisfò il rossino, ma per un attimo solo.
Quando il moretto scivolò fuori da lui, lento e dolce, baciandolo teneramente, fissando i suoi occhi di cobalto in quelli di cioccolata del suo ragazzo, si preoccupò, non poco, delle lacrime che minacciavano di rompere gli argini.
La ragione batteva insolente e calda sulla sua coscia.
L’erezione di Hana era ancora lì, svettante e dolorosa.
“Ho bevuto troppo, davvero troppo”.
Gemette il Do’hao.
Kaede spostò il futon per farci accomodare Hana, praticamente ce lo fece rotolare sopra, mentre il rossino mugugnava frasi sconclusionate sulle volpi egoiste e indelicate.
Kaede ridacchiò di quella situazione assurda, solo per un momento, poi si stese al suo fianco baciandogli il viso, il collo e scendendo ogni centimetro di pelle che incontrava.
Una volta arrivato alla sua meta, con studiata lentezza iniziò a succhiare con dolcezza quel cazzo dispettoso che non voleva saperne di sfogarsi.
Assaporò il gusto sapido e forte del suo ragazzo, succhiando con dolcezza la carne soda e pulsante, ascoltando il respiro calmo e cadenzato…
Calmo e cadenzato?????????
Ma…ma…ma…non ci credeva, si era appisolato.
Hana si era appisolato mentre Kaede lo stava succhiando….
Una luce assassina attraverso gli occhi cobalto di Kaede.

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“Nh..Do’hao hai rischiato di morire….dovevi proprio addormentarti??” sottolineò Rukawa con un mezzo sorrisino.
“MA…. MA….. MA KITSUNE DECEREBRATA….” Hanamichi arrossì.
“Do’hao”
“Comunque sei riuscito a svegliarmi no???!!” tentò di recuperare il rosso.
“Bhe si…” e mentre parlava, una tenue tinta rosata gli si sparse sulle guance nivee.
“Vai avanti, dai!” pigolò Goku, che nel frattempo si era impossessato della fruttiera.
“Bhe” riprese Rukawa “rimasi incantato.
Mi sdraiai accanto a lui a guardarlo e vezzeggiarlo.
La mia mano scese sfiorando il suo corpo addormentato, era talmente invitante e sexy.
Continuai ad accarezzargli i capelli, i miei occhi si posarono su tutto il suo corpo forte e abbronzato, abbandonato tra le mie braccia.
Le ciocche rosse sparse, il respiro caldo, il suo braccio sinistro abbandonato di lato, mentre il palmo della mano destra posava dolcemente sull’addome, il pene dispettoso eretto poggiava sull’inguine, era
semplicemente splendido e mio, solo mio.
Ed io, in quel momento, presi la mia decisione.
Probabilmente da sobrio non lo avrei fatto.
Non lo so.
Probabilmente ci avrei messo un po’ più di tempo.
Ma quella sera, era la sera giusta e io non volevo più aspettare…”

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Kaede si era leggermente alterato nell’accorgersi che il suo ubriachissimo ragazzo si era addormentato.
Ok….diciamo che era incazzato nero.
Ma, l’incazzatura sfumò immediatamente quando senti il suo rossino chiamarlo nel dormiveglia.
Pensava a lui, in ogni momento, anche quando non era cosciente, quasi lo atterriva l’amore immenso che Hana sentiva per lui e che lui ormai sapeva di contraccambiare a pieno.
Il Rossino aveva donato tutto quello che aveva, tutto se stesso a Kaede, senza remore, ne recriminazioni, nulla solo amore.
Sosteneva che era tutto a posto che sapeva che lo amava quanto lo amava lui.
Ma allora perché farsi possedere dalla persona amata lo metteva a disagio, perché ???
Kaede percorse di nuovo con lo sguardo ogni centimetro di quel corpo splendido.
189 centimetri di vitalità e dolcezza.
Le gambe forti e perfette.
Le mani grandi tanto da dargli l’impressione che, quelle stesse mani, lo avrebbero potuto proteggere da qualsiasi cosa, anche da se stesso.
Mise la propria mano su quella di Hana, tenendole entrambe sul suo grembo che si alzava e abbassava placidamente, le scostò piano e si mise a cavalcioni su di lui.
Prese il tubetto, che aveva usato prima, lo guardò un momento e prese la sua decisione.
Stese un abbondante porzione di crema sulla sua mano e inizio a massaggiare il pene di Hana, provocando mugolii e sospiri al bell’addormentato.
Sapeva d’azione un tantino vigliacca, ma al momento non importava, mise dell’altra crema sulle sue dita e si preparò.
Era una sensazione strana sentire quella crema viscida e fresca lubrificare il suo interno.
Appena finito di prendersi cura di se stesso, scivolò dolcemente sul corpo del suo amato rossino, i loro peni eretti, strusciavano ad ogni suo movimento.
Kaede si morse il labbro inferiore per non gemere vergognosamente.
Di nuovo Hanamichi nel suo dormiveglia invocò il nome di Kaede, ansimando.
Il moro baciò le sue labbra dolci e carnose, scendendo via via, verso il collo, il petto forte e i suoi capezzoli piccoli e scuri.
Quando sentì il pene di Hana sfiorargli l’interno della coscia si fermò, il fiato corto per l’eccitazione e l’attesa, lo prese delicatamente con una mano dirigendolo verso il proprio corpo, facendo scorrere la punta lubrificata sul suo sfintere.
Brividi assassini tolsero qualsiasi dubbio al moro.
Prese un lungo respiro, divaricò le proprie natiche e si impalò sul pene del suo Hanamichi.
Lo fece lentamente, ma il dolore era lì e si faceva sentire con stilettate traditrici.
Pensò di smettere, alzarsi e lasciar perdere, Hana era troppo grosso e lui stretto, non abituato…si sentiva colmo di lui.
Colmo, in poche parole pieno, completo
Piegò la testa di lato seguendo la lacrima che scendeva dai suoi occhi.
Le labbra schiuse in un ansito di dolore, misto a piacere, sorpresa, panico e consapevolezza.
Hana il suo Hana, suo per sempre.
Inizio a masturbarsi per alleviare il dolore intenso che per ora incendiava il fondoschiena, si contrasse sollevandosi un poco per poi lasciarsi andare, scese quasi toccando il fondo di se.
Hanamichi si destò totalmente e vide il suo splendido ragazzo mentre si impalava sul suo pene congestionato masturbandosi.
Non aveva mai visto niente di più squisitamente erotico in tutta la sua giovane vita.
Kaede risplendeva mentre, a bocca aperta e ansimante, saliva e scendeva lentamente sul suo corpo.
“Kaede???”
L’unica cosa che disse, lo sguardo eloquente che gli rivolse esigeva una risposta.
Con il capo piegato in avanti, i capelli che gli velavano gli occhi umidi, Kaede lo guardò sorridendogli e gemendo piano.
Magari più tardi.
Sì, decisamente avrebbero parlato più tardi.
Il momento di rimuginare era finito, adesso l’unica realtà erano i loro corpi uniti.
Le mani sulla pelle accaldata.
Le dita intrecciate a palesare la propria unione.
Il corpo di Kaede accoglieva gioendo quello di Hana.
Sentiva il grosso pene di Hana sondarlo, aprirlo, trascinarlo sull’orlo.
Entrare, uscire.
Di nuovo e ancora.
Di più.
Più forte , più veloce, più in fondo.
Scariche di puro piacere si propagavano dal suo inguine, alla punta dei capelli.
Frustavano i suoi nervi e la sua mente
Senti le mani di Hana stringere dolcemente il suo pene e il fianco.
Non avrebbe retto ancora per molto.
Era cosi dannatamente bello.
Kaede si accasciò sul corpo di Hana non riuscendo più a reggersi, completamente annientato dal piacere, appoggiato ai suoi avambracci mentre anche lui lo sorreggeva.
Raggiunse la sua bocca e gli infilò la lingua in gola, di prepotenza.
Nessuna parola, non un respiro, solo baciare.
Solo le loro lingue in lotta, i gemiti soffocati, inglobati, dalla bocca dell’altro.
Come lo scoppio di un fuoco d’artificio l’orgasmo colse d’improvviso Kaede contraendo tutti i suoi muscoli, rimase a bocca aperta il grido di puro godimento usciva muto dalle sue labbra.
Hana era venuto nello stesso momento, con un singulto quasi doloroso, Kaede si sentì invadere dallo sperma del suo amante, mentre il suo macchiava il petto abbronzato .
Cadde di schianto, addosso ad Hana, il cuore come cavallo impazzito, la bocca secca, i muscoli ridotti a gelatina tremante.
Hana lo liberò dalla propria presenza dolcemente per non fargli male, gli occhi umidi incatenati in uno sguardo di pura adorazione reciproca, un bacio dolce, come un assaggio di paradiso.
Si addormentarono coperti solo da un lenzuolo, accarezzati dalla brezza tiepida della notte estiva.

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“Nh..è stato davvero….bhé, particolare.” concluse Kaede, ravviandosi una ciocca corvina.
“Si vero…..la prima cosa che ho visto, appena mi sono svegliato, quella mattina, è stato lui, miracolosamente già sveglio.”
“Hey do’hao…”
“Era Bellissimo, sensuale, tra le lenzuola sfatte, solo le sue gambe e il suo inguine coperti, tra le mani una mela.
Una visione.” gli occhi di Hanamichi assunsero una sfumatura dolce ed intenerita, mentre ricordava.
“Neanche tu sei tanto male scimmia….” rispose seraficamente Kaede stringendo le sue braccia intorno al rossino.
“Gra…Hey!!!” saltò su Hanamichi, piccato.
Ma gli bastò vedere lo sguardo innamorato del moro, per calmarsi e riprendere il racconto.
“Cosa stavo dicendo……????
Ah, sì. Mi sono incantato a guardarlo…”
“Infatti avevi una faccia da ebete, credevo che l’alcool ti avesse provocato dei danni celebrali…”
“Teme Kitsune idiota come pensi che avrei dovuto guardarti…..
Tu…… il mio seme tutto d’un pezzo, ti sei concesso, quantomeno ero un po’ sorpreso… ti pare?!”
A queste parole ingenue e candide, il volpino arrossì di nuovo, nascondendo il volto nella chioma fulva di Hanamichi, che sorrise scompigliandogli i capelli.
“Comunque….per finire eravamo sul futon e io lo stavo guardando lui si è voltato verso di me mi ha guardato e ha allungato il braccio porgendomi il frutto che aveva appena addentato.
Una mela rossa.
Ho ricambiato il suo sguardo inceneritore con la stessa intensità, ho posato le labbra dove prima le aveva appoggiate lui mordendo la polpa soda.
Dolce e croccante, succosa.
Kaede il mio seme incorruttibile comunque, l’avrebbe vinta anche contro l’inferno.”
“Allora, sarete contenti…adesso posso riavere il MIO Hana?”
‘Mio solo mio, per sempre’ aggiunse tra sè mentre lo abbracciava possessivo dopo aver colpito la bottiglia.
Sfortunatamente, sembravano aver addosso una calamita: dopo numerosi giri, infatti, essa tornò ad indicarli.
“Beh, tanto ne abbiamo di cose da raccontare” disse il moro quasi compiaciuto.
“Kaede!!!!”

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*In piscina*

La luna si specchiava sulla grandissima finestra, entrando nella sala mentre i suoi raggi argentei giocavano con la superficie dell’acqua. Tutto era buio attorno al riflesso dei raggi, mentre su nel cielo splendeva la grande dea che da sempre ammalia i poeti con il suo splendore. Le stelle brillavano come diamanti nel firmamento e le nuvole passeggere si lasciavano trasportare dal vento primaverile.
In totale silenzio i raggi lunari giocavano con l’acqua, bagnandosi in essa e baciando piano la sua superficie come il più raffinato degli amanti. In quel silenzio un piccolo rumore attirò la curiosità della dea che iniziò ad osservare curiosa l’interno della sala.
Due ombre erano appena entrate.
Dalla stazza dovevano essere due uomini, alti…. peccato che non potesse vedere nulla, così per curiosità i suoi raggi splendettero ancora di più…
E li vide.
Due ragazzi.
Uno con pelle nivea, capelli neri come il cielo senza stelle. Occhi chiari come i diamanti puri, puri si, ma anche maliziosi.
L’altro era come l’astro suo fratello, caldo e dolce. La pelle dorate, le ciocche scomposte a velare l’imbarazzo dello sguardo e due occhi caldi come la cioccolata fondente.
Le mani intrecciate insieme.
Sorrise.
E guardò maliziosa.

“Non è meglio che accendiamo la torcia??” domandò in un bisbiglio una voce calda ed imbarazzata.
“Do’aho!! Ma vuoi che ci becchino??” disse l’altro alzando gli occhi al cielo.
Eppure nel suo sguardo un luce di sorpresa e di malizia colorava quei pozzi blu.
Gli sembrava strano.
Ma quella volta il suo Hanamichi l’aveva colto alla sprovvista! Insomma pensava di essere lui l’hentai, ma neppure il suo amore scherzava! Per un attimo si ricordò il candore con cui gli aveva fatto quella richiesta.
La voce che imbarazzata tremava, le guance rosse e gli occhi velati di pudore misto malizia.
E poi quella frase.

“Ecco, Kaede… io vorrei fare l’amore con te in piscina….”

Quella era stata la sua richiesta e lui lusingato dall’idea aveva accettato subito.
Di soppiatto lanciò uno sguardo al suo compagno.
I capelli rossi in disordine, le labbra socchiuse in un modo talmente sexy da far girare la testa. E poi quel piccolo costume nero, che faceva risaltare la sua abbronzatura… si sentì mancare.
Doveva calmarsi, ora doveva avverare la fantasia erotica del suo amore!
Strinse l’asciugamano che teneva in mano, ora doveva trovare un posto adatto per i preliminari, e poi sarebbe passato al sodo.
Con un sorriso malizioso iniziò ad immaginarsi con il rossino nell’acqua fresca, nudi e seduti mentre con una spinta decisa entrava in lui… iniziò a sudare copiosamente, la sua erezione spingeva contro gli slip blu elettrico… si sentiva la gola secca.
Era totalmente preso dai suoi ormoni, che non si accorse che il suo ragazzo gli aveva fatto una domanda.
“Allora lo facciamo???”
“S… si…” deglutì, cercando di mantenersi calmo ma la situazione non migliorò quando vide il suo ragazzo correre verso il trampolino.
Osservò la sua figura lanciata salire le scale, alcuni passi fatti senza remore fino al termine del trampolino.
Rukawa restò ad osservarlo.
Non capiva: cosa voleva fare??
Ma prima di trovare risposta vide il corpo snello e atletico inclinarsi e tuffarsi. La libera caduta di Hanamichi venne rischiarata dalla luna, i raggi argentei si rifletterono sulla pelle abbronzata rendendola oro colato, mentre i capelli venivano pettinati dalla mille mani dell’aria. Il corpo scultoreo fece una rotazione per poi toccare il pelo dell’acqua e sparire in essa.
Passarono pochi secondi.
E di colpo la testa rossa riemerse, con un gesto fluido della testa i capelli frustarono leggermente il collo, creando attorno a lui una miriade di diamanti luccicanti che si unirono a loro sorella.
Un dolce sorriso.
“Lo desideravo da tanto!!”
Era a questo che si riferiva il do’aho, disse Rukawa tra se.
Eppure non poteva pensare che da li a poco lo avrebbe fatto suo…. ma doveva trovare il luogo adatto.
Il momento adatto….
Sorrise maliziosamente.
Si avvicinò al bordo della piscina e vi entrò piano, per sua fortuna l’acqua era riscaldata, altrimenti avrebbe di certo preso qualche malanno. In fin dei conti non era ancora estate, e loro dovevano giocare ancora i campionati!
Hanamichi osservo il suo ragazzo entrare lentamente in acqua.
La luna rendeva ancora più pallida la sua pelle, e nella semi-oscurità ombre languide si fermavano a sfiorare impudiche quelle forme perfette.
Lo ammirò immergersi fino al collo.
Un attimo e lo vide sparire sotto acqua.
“Kaede!! Uffa… fatti vedere dai… non mi piace… su kitsuneee!!” gridò il rossino.
Odiava quei giochini sadici.
Non gli piaceva vedere le persone immergersi per poi sbucare chissà dove, solo per il gusto di far spaventare le persone!
Stava per gridare nuovamente, quando sentì qualcosa sfiorargli la caviglia, dolcemente, piano.
La stessa cosa avvertì alla gemella.
Sorrise.
E si lasciò esplorare da quelle mani gentili.
Piano le dita risalirono ogni muscolo delle gambe, per poi afferrare saldamente la vita.
Fu un attimo e davanti agli occhi nocciola apparve una volpetta tutta fradicia, bagnata come un piccolo cucciolo indifeso.
Sorrise mentre le braccia solide si strinsero alla sua vita, facendo combaciare i due corpi che ormai accaldati cercavano soddisfazione per quel fuoco che bruciava nelle loro vene.
I toraci si sfiorarono, i visi a pochi millimetri e poi accadde.
Le labbra si accostarono dolcemente, si unirono piano, accarezzandosi, cercandosi…. una linguetta curiosa iniziò ad accarezzare le labbra rosee, cercando e creando uno spiraglio…
Le labbra del rossino fremettero, lasciando via libera.
Finalmente si scontrarono.
Si attorcigliarono, beandosi dei proprio gemiti soffocati, lottando in una battaglia già persa dall’inizio. Lo sapevano eppure continuarono a studiarsi, a cercarsi con più passione, mentre le braccia ardenti di Hanamichi si strinsero attorno alle spalle del suo amante.
Si cercarono ancora qualche istante, le bocche si sciolsero ma restarono legate da un filo brillante di saliva, un simbolo. Anzi il simbolo del loro destino: restare sempre legati.
Rukawa osservo il suo rossino.
I capelli scomposti, gli occhi socchiusi così come le labbra che cercavano di dar sollievo al corpo ormai accaldato, e le guance imporporate di un rosso sanguigno, un rosso da far perdere la testa.
“Wow…. complimenti volpe…” bisbigliò Hanamichi aprendo totalmente gli occhi, per specchiarsi nello sguardo blu del suo volpino.
Un altro sorriso…. malizioso, intrigante come solo Kaede Rukawa sa essere….
“…e vedrai tra poco….”
Hanamichi spalancò gli occhi…. doveva preoccuparsi???
I lampi viola che attraversavano lo sguardo blu scuro del suo amante gli diedero conferma: sarebbe stata una notte fantastica.
“…. procediamo???” domandò sensuale il rosso, passandosi sulle labbra la lingua umida e rosea, catalizzando su quel punto lo sguardo del volpino.
Gli occhi blu divennero quasi neri dalla passione che travolgeva il loro padrone…. ma c’era un luogo da raggiungere e poi si sarebbe divertito…. tanto anche….
Stava solo aspettando che il suo uragano gli proponesse di…..
“Ehi Ru!! Perché non ci andiamo a tuffare???” domandò dimentico del vero motivo per cui fossero andati li.
“Nh….”
“Daiii!!!”
Così dicendo Hanamichi sgattaiolò fuori dalla presa non più tanto stretta delle volpe, e con uno scatto si isso sul bordo della vasca.
Kaede osservò il bel fondo schiena del compagno, il costume si modellava perfettamente alle forme sode e rotonde… si, si sarebbe divertito parecchio tra qualche attimo, pensò lascivo.
“Allora ti sbrighi baka kitsune!!!”
“Do’aho…”
“Cosa???!!!”
Gridò in risposta Hanamichi facendo rilucere di rabbia il proprio sguardo e corpo, a passo di marcia risalì le scale per raggiungere il trampolino.
Era mai possibile??
Appena cercava di essere gentile quella volpaccia antipatica lo trattava male, certo anche lui l’aveva offeso ma… ma… l’aveva ferito di brutto il suo do’aho freddo e distante, così diverso dal do’aho dolce…. era ormai giunto, con uno scatto salì anche l’ultimo piolo e giunse in cima.
Senza riflettere si volse verso la luna, i suoi occhi si bearono quell’interminabile sogno: un cielo trapuntato di stelle con la luna che sembrava volerlo avvolgere.
Sorrise.
Aveva iniziato lui, e lui avrebbe fatto il primo passo.
Decise tutto fiero.
Lui amava quella volpe e quindi perché litigare per cose stupide??
Prima si tuffava prima avrebbe fatto pace con lui.
Si avviò sicuro verso l’esterno ma prima di arrivare, una presa forte e gentile lo fece voltare mentre un paio di labbra si serravano sulla sua bocca.
Le braccia salde attorno alla sua vita, stretta spasmodicamente e il calore del suo ragazzo fu un miscuglio afrodisiaco per Hanamichi che senza obiettare si lasciò andare all’indietro.
Piano le labbra si separano.
Unico contatto tra i loro volti un filo di saliva, che univa le loro bocche ansanti.
“Bene, ed ora realizzerò il tuo desiderio…”
Si avvicinò piano e leccò quelle labbra, per poi scendere birichino sul mento, succhiandolo piano.
Lentamente ricoprì tutto il volto di teneri bacetti.
Nel frattempo le mani si occuparono del costume, facendolo scendere per le cosce, ma per sfilarlo iniziò a scendere con il volto, succhiando dolcemente la pelle del collo, bagnandola e asciugandola con il suo respiro veloce.
Le mani iniziarono a giocare con l’erezione dura del compagno, accarezzando la pelle sensibile, plasmando gli ansiti di piacere dell’altro.
“…Kae… de… su… più forte… dai….” mormorò al limite di quelle carezze calde e struggenti.
Ma Kaede voleva divertirsi ancora un po’ anche se il suo pene tirava furiosamente il suo costume, ma… voleva torturarlo ancora un pochino….
“… cal…ma… tra… poco….” gemette nel sentire le mani abbronzate posarsi rapide sul suo fondo schiena, accarezzarlo un poco per poi esplodere in un gemito intenso.
“…Haaanaaaaa….”
Le mani si erano inserito sotto il costume ora giocavano con la pelle sensibile, due dita percorrevano la linea di separazione, accarezzandola e sparendo tra di essa.
Cercando di far capire di essere pronto.
Pronto per il piacere.
Rukawa puntò le mani al trampolino, e con uno scatto alzò il torace facendo unire le due erezioni dure, gemendo di pure piacere.
Il volto reclinato al soffitto, le gocce di sudore imperlavano quel corpo candido.
“Sei sleale Hana, sleale!!”
Ululò mentre con un gesto rapido toglieva il costume al suo rossino il quale sorrise, aveva fatto bene a stuzzicare la sua volpetta.
Il moro si sedette tra le cosce e con uno strattone poco delicato prese una gamba portandola ad appoggiare alla recinzione, l’altra la fece piegare.
Ora Hanamichi si trovava con le gambe aperte, l’apertura indifesa e una volpe allupata.
Un brivido lo precorse.
“…. dai… entra…”
Lenta la lingua di Kaede scese tra le chiappe dell’altro, leccando e seviziando il piccolo ano, penetrandolo un poco con la lingua.
“Kae… de…. da…. i… Kae… Kaedeeee!! Non ce la facc…..HAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!” gridò di puro piacere quando si sentì penetrare con forza.
“Dai muoviti!!!” gridò sempre più eccitato, certo aveva provato un po’ di dolore eppure sentire il corpo dell’altro immobile… quello si che gli faceva male!
Voleva la violenza dell’amplesso!!
“…. come desideri…”
E di colpo uscì per poi penetrarlo ancora una volta.
“Siii….!!”
Gridò: era troppo il piacere sentito a quel movimento.
Kaede prese a spingere con forza, il corpo dell’alto si apriva e schiudeva ad ogni suo movimento… il sentirsi racchiudere… il possedere… era magnifico, magnifico… stupendo, esaltante… troppo…
Senza sapere come si ritrovò a spingere in profondità, sempre più forte, con cattiveria quasi….. sempre più forte, sempre più in là…
Forse esagerava, eppure le grida del suo ragazzo erano magnifiche.
“Lì, dai…. siiii…. co… co..s…ì…. più for…te…. cazzo!! PIU’ SU!!!!” urlò andandogli in contro, cercando di farsi prendere fino infondo.
Si sentiva aperto eppure lo voleva ancora di più…. mosso dal suo istinto porto entrambe le gambe attorno alla vita della volpe, che spingeva senza sosta.
No.
Non gli bastava, voleva di più… ma come fare…
“Kae… più… ti prego….”
Il volpino lo guardò.
Anche lui sentiva quella necessità….
Slacciò le braccia dal corpo e posò le palme sul trampolino, si fece forza sulle braccia e lo prese più affondo come desiderava.
“Così… Kae!!! SIIII!!!!” gridò il rossino appoggiando le mani a terra e facendo forza, così sì, la penetrazione era più profonda e bella.
Si sentivano completi.
Un’altro colpo da parte di Kaede e il rossino raggiunse il culmine svuotandosi tra i loro stomaci, la luce accecante della notte ferì i suoi occhi stanchi, eppure sapeva bene di dover soddisfare il suo ragazzo…
Kaede spingeva sempre con forza maggiore, quella setosità, quel calore inebriante era… bellissimo… si disse mentalmente, cercando il piacere ultimo e devastante.
Assestò una spinta profonda e si ritrovò estasiato.
Quel calore caldo e stretto lo invase, ancora un attimo di possesso e si lasciò andare ad un orgasmo perfetto che lo lasciò svenuto tra quelle braccia ardenti.
Era stato magnifico.
Perfetto.
Come il loro amore.
Hanamichi sentendo quel tepore invaderlo gemette estasiato, per poi lasciarsi al sonno… stanco ma felice…. felice di aver realizzato la sua fantasia.

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Stavolta fu Hanamichi ad arrossire parecchio.
Pregando mentalmente che l’attenzione si spostasse su qualcun altro, mise in moto la bottiglia.
Con suo sommo sollievo, il ‘condannato stavolta fu Hyoga.
Camus sollevò appena un sopracciglio, per poi incrociare le braccia e guardarlo.

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*In alto mare*

Ghiaccio. Eterno, immobile. Bellissimo. Hyoga si incantava sempre a guardarlo, a rimirarne la perfezione e la meraviglia.
Quasi gli dispiacque fare ciò che fece, ma era necessario. Con un pugno, il ragazzo spaccò la crosta ghiacciata ai suoi piedi, e si trasse via dallo squarcio mentre le venature di frantumi che aveva creato si allargavano intorno al segno della sua mano.
Inspirò, concentrandosi sul proprio cosmo come il suo maestro “oh, Camus “gli aveva insegnato, e come da anni gli riusciva senza sbagli, senza sbavature. Poi, preparato al contatto con l’acqua gelida, si tuffò nello squarcio.
Rimase sotto quanto il fiato gli consentiva, ed era parecchio, a rimirare le fattezze dormienti della madre, a pregare con lei, parlarle con il pensiero. Poi, ma solo per necessità, si decise a riemergere.
Sentì la sua presenza prima ancora di vedere l’ombra che il tenue sole di Siberia proiettava sul ghiaccio. Si sentì stringere il cuore. Che Camus sapesse delle sue visite alla madre, ne era certo da tempo, ma mai si era fatto trovare nelle vicinanze. Hyoga l’aveva sempre considerata una forma di rispetto.
Innervosito da questa scoperta e dalla prolungata apnea, l’apprendista saint si trasse sveltamente fuori dall’acqua, senza rivolgere cenni di saluto al maestro, né fingere sorpresa per averlo trovato lì. A malapena lo guardò, anche se quell’istante in cui lo rimirò, quell’istante che non doveva succedere, parve dilatarsi all’infinito… prima di sciogliersi nel gesto con cui abbassò gli occhi, prendendo le distanze.
Era bello, il maestro, e da quando lo conosceva non passava giorno che Hyoga non se lo ripetesse, peccaminosamente, come un mantra, come un’ossessione. Era bello e lui era uno spudorato a pensarlo. Che cosa avrebbe detto sua madre… ah, che pensieri…
Recuperò gli stivali e li indossò. “Mi volevi dire qualcosa, maestro? “La freddezza consueta del suo tono vacillò. Camus inarcò un sopracciglio, gesto che Hyoga non colse, e fu meglio, perché non avrebbe sopportato di sentirsi smascherato.
Era inaspettata la sua presenza, e lo colpiva ancor di più perché le visite a sua madre lasciavano scoperti i suoi nervi: necessitava di tempo per riprendere la consueta maschera. Camus avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto capire che… che non poteva stare lì. Non era corretto.
“No”.
Hyoga alzò gli occhi, interrogativo.
“Osservavo” rispose Camus alla sua domanda inespressa.
L’allievo si incupì, se possibile, ancora di più, ma non sarebbe stato rispettoso dire al suo maestro ciò che pensava di lui in quel momento. “Mi hai… osservato… altre volte, maestro?
“Sì.” La risposta lo spiazzò. Per qualche ragione, si era convinto che Camus avrebbe negato in ogni caso.
“Perché?”
“Il tuo cosmo è particolarmente forte, in questi momenti” spiegò il cavaliere, in assoluta calma. “Hai fatto molti progressi, ma per qualche ragione li nascondi accuratamente durante l’addestramento.”
“Io… io non mi sento pronto per la prova…” borbottò Hyoga.
“Lo sei.”
“No!” Vide la sua rabbia riflettersi negli occhi di Camus e provocare, in risposta, un’intensa sorpresa. Non aveva mai perso la calma così… non con lui, almeno. “Dammi più tempo” mormorò, recuperando a fatica il controllo. “Dammi ancora un po’ di tempo e…”
“È inutile attendere.” La voce di Camus aveva la solita sfumatura insensibile. “Anche se tu vuoi restare, non puoi opporti a…”
“Cosa… come fai a dirlo?” mormorò, osando interromperlo per la prima volta nella sua vita.
Camus strinse gli occhi chiari, con un moto di fastidio. “Ciò che ti lega a tua madre fa sì che nient’altro conti, per te. Neppure la tua missione.”
Non me la sono cercata, avrebbe voluto urlare Hyoga. Non me la sono cercata, questa missione. Non la volevo. Ma c’era qualcos’altro che l’aveva colpito, qualcosa che la sua mente rifiutava di identificare con esattezza… qualcosa nella voce del suo maestro? Irritazione? Riprovazione? O forse… ah, no, no, smettila, è un pensiero terribile… come puoi mai credere che Camus sia… geloso?
“Devi solo darmi un altro po’ di tempo” mormorò, debolmente.
“A che pro? È tempo che tu faccia ritorno.”
Hyoga abbassò gli occhi, sentendosi stringere il cuore. “È così, dunque” bisbigliò. “Vuoi che me ne vada via al più presto.” Si sentiva d’un tratto più piccolo e più stanco di quello che aveva creduto. Camus non aveva capito, e dopotutto era meglio, anche se faceva indicibilmente più male. Voleva mandarlo via, e non sapeva che il motivo per cui da così tanto rimandava la prova era proprio la disperazione di lasciarlo.
“Hyoga.” Disappunto nella voce del maestro. Chissà quanto lo trovava stupido.
“Farò la prova quando vorrai tu” mormorò, con voce lontana, e gli passò accanto intenzionato a superarlo.
Ma si sentì stringere il braccio, e alla stretta di Camus non ci si poteva opporre.
“Sei uno sciocco “bisbigliò il maestro, chinandosi sul suo orecchio raggelato dal freddo. L’alito caldo che lo investì provocò al ragazzo un brivido, che non mancò d’essere notato da entrambi.
Non era abituato ad averlo così vicino in momenti che non fossero d’addestramento. Hyoga alzò gli occhi sui suoi. “Non è quello che mi hai lasciato intendere? “soffiò. “Che devo andarmene in fretta?
“Vuoi restare qui per sempre?
“È la mia terra. Non mi dispiacerebbe “replicò il ragazzo, con aria di sfida.
“Non puoi.
“Lo so.” Strinse i denti. “Vuoi farmi male?”
Camus parve accorgersi solo in quel momento della forza con cui lo stringeva. Lo lasciò tuttavia senza imbarazzo. “Sei uno sciocco” ripeté. “Non è mai un piacere per un maestro perdere un allievo. Mai. Sia che se ne vada da vincitore, sia che…”
“Non parlare di lui” lo interruppe, per la seconda volta. L’argomento era doloroso per entrambi. “Voglio… ti chiedo solo di dirmi se vuoi allontanarmi in fretta. Se la mia presenza non ti è gradita.”
“Che dici…”
“Allora?”
Con un sospiro trattenuto fino allo spasimo, e una luce strana negli occhi, Camus lo baciò.
Non fu un bacio affamato, impetuoso o passionale. Fu forte, questo sì, tanto che Hyoga non vi si poté sottrarre. Ma anche in quel bacio c’era un che di… di freddo, di distaccato, che all’allievo non piacque. Come si può baciare qualcuno e rimanere freddi?
“Non capisco” mormorò.
“Non puoi capire” replicò Camus, e voltandogli le spalle fece per andarsene, ma Hyoga gli prese la mano, ci si appese quasi, con veemenza.
“Spiegami, maestro!”
“Ti ho detto che non puoi capire.”
Con una smorfia delusa e seccata, Hyoga lo lasciò. “Se era un congedo, potevi risparmiartelo. Non ho ancora superato la prova.”
“La supererai.”
“Questo lo dici tu.”
Era allarme quello che passava negli occhi del maestro? “Devi passarla. L’alternativa è la morte.”
“Lo so benissimo.”
“Che significa?”
Stavolta toccò a Hyoga non rispondere, o forse, più giustamente, rispondere in modi diversi dalle parole. Si appese alle spalle forti del maestro e lo baciò, con calore, con trasporto, sentendosi riempire il cuore quando l’altro rispose nello stesso modo. Dunque era capace di passione anche lui… ah, ma Hyoga lo sapeva già, l’aveva sempre saputo!
“Tu non vuoi morire…” mormorò Camus, stringendolo al petto.
“Potrei volerlo” rispose Hyoga.
“Perché?”
“Se tu vuoi cacciarmi…”
“Non ti sto cacciando, sto eseguendo il mio compito.”
“Al diavolo! Non ci sono cose più importanti?”
“No… per te no.” Gli sollevò il viso con due dita, delicatamente. “Non lo puoi capire adesso, ma quando sarà tempo ti sarà tutto chiaro. Te l’assicuro.”
Hyoga chinò il capo, rassegnato. “Tenterò la prova, se dici che sono pronto. Però…” E nuovamente si unì alle sue labbra, mangiandole, divorandole, felice di poter fare ciò che da sempre si era negato, senza timore di ricevere in risposta disgusto e ribrezzo.
Infiammato dal bacio, non si accorse che il suo cosmo si stava espandendo, che la sua energia fredda si estendeva oltre i limiti del suo corpo. Percepì però l’aura del suo maestro che si ingigantiva, fino alle vette più spaventose che egli di certo non avrebbe toccato mai. Aprì gli occhi. Erano avvolti in un bozzolo d’energia che un altro essere umano, al solo sfiorarlo, se ne sarebbe ritratto congelato, forse morto sul colpo. Ma in quel bozzolo non c’era freddo: quello era per gli altri. Nell’abbraccio di Camus tutto era fuoco incandescente.
“Guarda” sussurrò il maestro, accennando alla superficie del mare tutto intorno a loro, un tempo ghiacciata. Ora erano in piedi su un grosso lastrone di ghiaccio rotondo, un’isoletta galleggiante, larga e comoda, su un piccolo mare di nuovo liquido. Come se la temperatura tutt’intorno si fosse d’improvviso surriscaldata, mentre le loro energie fredde conservavano la piccola area intorno a sé come era sempre stata.
“Ma com’è possibile…” bisbigliò Hyoga.
Se aveva la risposta, Camus non gliela fornì. Le sue labbra erano impegnate a giocare con l’orecchio del suo allievo, a inumidirne l’arcata di saliva bollente, e l’interrogativo sfuggì dalla mente del biondino. Dopotutto, si disse, c’erano questioni più urgenti da risolvere.
Si lasciò scivolare giù, trascinando anche il maestro, sul lastrone che faceva loro da pavimento. Non aveva paura di congelare: era abituato al freddo prima che al caldo, e quel ghiaccio non gli pareva affatto gelato, anzi. Con un sospiro di piacere al sentire il corpo del maestro aderire così perfettamente al suo, chiuse gli occhi e si lasciò fare.
Era sorprendente il modo in cui, anche nella passione più feroce, Camus dell’Acquario riusciva a mantenersi dignitoso, fiero, mai brutale, mai animalesco. Gli mordeva il collo e certo l’avrebbe riempito di segni rossi, ma Hyoga non si sentiva aggredito. Anche se tutto era nuovo, per lui, niente gli pareva un eccesso.
È il mio maestro, pensò, con una punta di allegria. È giusto che mi insegni…
Chissà se Mitsumasa Kido, mandando lui e gli altri ragazzi per il mondo a recuperare i propri cloth, aveva pensato a questo tipo di insegnamenti…
“Hyoga… apri gli occhi…”
Obbedì: non si era mai opposto a un ordine del maestro. Camus lo guardò per un istante, uno solo, si lasciò sfuggire un breve sorriso e poi insinuò le mani sotto l’orlo della sua maglietta, avvoltolandola in un rotolo di stoffa che si raccolse sotto il collo del ragazzo. Al cotone irragionevolmente leggero dell’indumento, parte dell’addestramento anch’esso, sostituì la propria bocca.
Hyoga ansimava, mentre la punta della lingua di Camus esplorava con metodica delicatezza l’interno del suo ombelico, mentre i denti risalivano la china degli addominali e morsicavano la pelle tesa sulle costole e lo sterno.
“Maestro…” sussurrò, stringendogli i capelli scomposti nelle mani. “È… è un addio, vero?”
Camus scosse la testa, costringendosi a un secondo, brevissimo sorriso tutto a suo beneficio. Non era abituata a sorridere, quella bocca. Con un moto d’amore intenso, Hyoga gli strinse il capo tra le mani e lo attirò su, per baciare quello squarcio umido e perfetto. Avrebbe passato la vita, così. Che importava del cloth, che importava di Mitsumasa Kido, che importava di tutto… Quanto più bello sarebbe stato rimanere lì, nella sua terra, con le uniche persone al mondo che amava, sua madre e il suo maestro…
Quasi non si accorse che le mani di Camus avevano aperto la patta dei suoi pantaloni, e adesso erano dentro l’orlo e premevano per tirarlo giù. Sorrise, ricambiandogli il favore. Era stanco di lasciargli fare tutto… non era mai stato un allievo pigro.
Con calma piegò una gamba, intenzionato a sfilarsi lo stivale, ma Camus lo fermò. “Non ti spogliare” mormorò. “Congelerai, dopo.”
“Maestro, sono abituato…”
“No.”
Hyoga fece una smorfia, spazientito. “Allora come…”
Il maestro gli chiuse la bocca con la sua, evidentemente trovandolo un metodo molto più efficace di qualsiasi spiegazione. La sua mano sinistra scivolò giù, nella penombra incandescente tra i loro corpi, e strinse l’allievo alla radice della sua esistenza. Hyoga gemette tra le sue labbra.
“Ricorda l’addestramento…” sussurrò Camus, accostandosi al suo orecchio. “I Greci… cosa ti viene in mente?”
Ma non gli diede modo di scavare nella memoria, e del resto ne sarebbe stato incapace, perché subito si insinuò nello spazio caldo e stretto tra le sue cosce, stringendosi alla sua carne bruciante, e così facendo gli fornì la risposta.
Hyoga gli sorrise, estasiato. “Ma se solo tu volessi…” iniziò.”
“Non voglio” mormorò il maestro.
“Perché?”
Una luce di rimpianto attraversò gli occhi di Camus dell’Acquario. “Nessuno è mai stato innocente quanto lo sei tu adesso… Non ti priverò di questa innocenza, non io…”
Con un sospiro tenero, Hyoga lo strinse a sé. “Innocente…” sussurrò.” Io sarei felice, se tu volessi…”
Camus si tese, strofinandosi contro di lui, e togliendogli ancora una volta la parola. Non aveva intenzione di discutere, era chiaro. Hyoga si rassegnò senza rimpianti al piacere intensissimo di quel contatto. Lasciò scivolare giù la sinistra “era mancino “e senza altre parole si unì al maestro nel modo che aveva voluto lui, quello che gli era sembrato più puro. Per il suo allievo non faceva alcuna differenza… pur di averlo “possederlo sì, in quel momento era padrone di Camus dell’Acquario come nessun altro lo era stato mai “pur di averlo avrebbe fatto qualsiasi cosa.
“Hyoga…” ansimò Camus, inarcando la schiena. L’interno delle sue cosce era un fuoco. Il ragazzo sentì distintamente i muscoli della piccola apertura contrarsi e rilassarsi, rapidamente, al suo passaggio. Anche per lui non c’era molto tempo. Accelerò insieme al maestro.
Camus si piegò su di lui, fremente. Nell’istante in cui unì la bocca alla sua, con un sospiro gli inondò di seme il bacino e i calzoni. Hyoga si tese, allungandosi sotto di lui, gli conficcò le unghie della mano libera nella schiena e lo seguì dopo un istante.
E l’aria d’intorno fu improvvisamente fredda, la lastra sotto la sua schiena tornò gelida com’era sempre stata, il corpo del maestro unito al suo ancora caldo, ma di un calore normale, umano. Inspirò, riprendendo fiato.
La guancia del suo maestro poggiava sul suo petto, una cascata di mossi capelli scuri ne copriva l’epidermide. Gli sfiorò la fronte. “Non… non lo diremo a nessuno, vero?” mormorò, esitando, perché non voleva che Camus pensasse di lui che aveva paura o vergogna di ciò che avevano fatto, solo era stato troppo bello e intimo perché qualcun altro ne venisse a conoscenza.
“No” mormorò il maestro. “Io non lo farò.”
“E… lo faremo altre volte?”
“Finché resterai in Siberia, sì.”
Hyoga pensò subito che Camus gli aveva dato il motivo principale per non tentare mai la prova, ma se ne vergognò immensamente, e arrossì. L’altro parve indovinare il suo pensiero. “Solo se svolgerai il tuo compito.”
“Non hai bisogno di parlarmi così” replicò, piccato. “Ti ho già detto che lo farò.”
Camus sorrise, un sorriso vero, stavolta, che non stonò con tutto il resto. “Volevo solo accertarmene. “E stringendogli il capo tra le mani, le dita affondate nel mare biondo dei suoi capelli, lo baciò per l’ultima volta.”

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“Finché resteremo in Siberia, eh?” Lo prese in giro Ryoga.
“Mi sembra che poi tu ti sia contraddetto…”
“E’ stata la prima volta in vita mia che ho cambiato idea” rispose lentamente Camus.
“La prima e l’ultima” aggiunse.
“Ma ne è valsa la pena” concluse concedendo l’ombra di un sorriso a Hyoga, che si sentì felicissimo. Non aveva bisogno d’altro, gli bastava averlo vicino.
“Yu-uuuuuuuuuuuuuuuuuuuuh!” strillò Goku in quel momento.
La bottiglia infatti si era voltata verso di lui.
Iniziando a saltellare su e giù sulle ginocchia del povero monaco, Goku iniziò a raccontare con voce concitata.

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*Saltando a una festa*

POV Goku

Guarda tu quanta gente! E che bel posticino…però, si trattano bene questi governatori, eh? Cosa stanno festeggiando? Ah, già…la figlia del capo…mi pare d’aver capito che ha appena compiuto 21 anni…beata lei, chissà ora quante più cose le sarà permesso di fa /
-cibooooooooooooo!-

POV Sanzo

Tsk. E’ vergognoso. Potrei essere in albergo ora, a fumarmi una sigaretta in santa pace. Possibile che non si possa avere un po’ di tranquillità? No, logicamente no. Specialmente se hai due marmocchi a cui badare, e un collega troppo permissivo. Mi aspettavo di più da parte di Hakkai. E invece anche lui lì a tapparmi la bocca per impedirmi di rifiutare l’invito…traditore. Pfui. Accidenti…ma quante cavolo di persone ci sono qua dentro?! Ridicolo…Bah. Ehi…dove sono finiti quei tre deficienti? Mi guardo un attimo intorno. Il kappa e il traditore sono su una poltroncina, bevendo qualcosa di indefinito. E Goku? Giro un altro po’ la testa, localizzando una scimmia impegnata a ingozzarsi al tavolo del buffet. E che m’aspettavo? Faccio per raggiungerlo, e nel mentre comincio a tirar fuori il mio harisen da battaglia, ma degli ostacoli mi impediscono di portare a termine la missione. Si tratta del governatore e…beh, questa specie di babbuina rosa al suo fianco dev’essere la figlia. E inizia con la tiritera…
-Venerabile Sanzo! Sono contento che abbiate alla fine deciso di partecipare a questo umile party…mi scuso immensamente per la confusione, ma la scelta è stata della mia piccola Kanna (scusate se il nome fa letteralmente schifo, ma non mi veniva in mente nient’altro =____=)…questa birboncella ha voluto a tutti costi evitare un ricevimento più ordinato…l’abbiamo lasciata fare, sa com’è, è il suo momento…il giorno in cui diventerà signorina!-
-La ringrazio per il suo invito. Buon compleanno a lei, Kanna. Scusatemi, devo andare.-
Tsè…vorranno mica attaccare a cianciare? E’ già tanto che mi sia fermato…Il padre ha una faccia così idiota che vorrei prenderlo a pugni, lei invece sembra sollevata…ma ora lo scopo prioritario è il recupero-animaletto. Torno a dirigermi verso il punto coi viveri, ma dove prima c’era la figura della mia scimmietta, ora una folla di gente protesta con un cameriere a causa dell’assoluta mancanza di cibo. Mmm…sento che sto per innervosirmi…calma. Inspira….espira…ok. Dev’essere ancora qui in giro…Facendo una panoramica dei dintorni lo posso vedere sulla pista da ballo, nel mezzo di un gruppo di ragazzi scalmanati, mentre osserva in giro e saltellando a braccia alzate tenta di imitare le loro mosse…sciocco. Non lo capisci? Per quanto tenti di somigliare a loro tu sarai sempre più energico…più sensuale…più bello…e anche il più irrimediabilmente fuori tempo. Scuoto la testa. E va bene…arrivo! Con istinti suicidi che non rispolveravo più da tempo mi butto nella ressa, tirando gomitate a chiunque mi si avvicini, quasi faccio sputare il fegato a uno che sta per palparmi il culo…no…non potete coalizzarvi così…no! Sono bloccato! Mi sento talmente pigiato che non riesco ad abbassare un braccio per prendere la pistola, ne ad alzarlo per utilizzare il sutra…persone che mi spingono in avanti, altre all’indietro…non riesco ad avanzare! Aaaaaaargh!

POV Goku

Mamma mia…mi sa che è meglio se mi fermo…tutto questo movimento mi sta scombussolando lo stomaco, ed ora che sono finito vicino alle casse la musica mi ferisce tantissimo le orecchie…mi lascio cullare per un po’ dai movimenti degli umani che mi stanno intorno …mi piace questa sensazione…si sta bene in questo calduccio, e posso tranquillamente appoggiarmi agli altri senza che nulla mi venga rimproverato…però…sbaglio o qualcuno me lo sta toccando? Oh cacchio …mica male ‘sto tipo! Comunque…è decisamente meglio tornare indietro. Tolgo la mano inopportuna, osservando un po’in giro per vedere chi era…ma stanno tutti guardando verso il palcoscenico…boh! Mentre ancora spazio con lo sguardo, vedo, illuminato per un attimo dalle luci psichedeliche, il mio koi che avanza…come mai quelli dietro di lui si tengono tutti lo stomaco con una mano? Che strano…improvvisamente, la marcia del mio amore si arresta…forse è il caso che lo raggiunga io, mi sembra un po’in difficoltà…

POV Sanzo

Non. E’. Possibile. Ormai come diamine faccio?! E questo sarebbe un party?! Altroché, sono finito in un blocco di cemento!…Chissà che farebbero questi qui se trovassero Goku…Gulp! Goku! Che fine avrà fatto? Starà bene?…Non faccio in tempo a formulare i pensieri corrispondenti a tutti i possibili scenari che già mi sono apparsi nella mente, che vengo trascinato via da qualcuno…meglio così! Una volta che avrò libere le mani, potrò disfarmi di tutti questi pervertiti e tornare a cercare la mia scimmia…ma a quanto pare lui ha già trovato me…apro la bocca, e ritorno me stesso.
-Si può sapere dove sei stato?! Baka-saru che non sei altro! Non c’è bisogno di trascinarmi così! So camminare da solo, sai?!-
-Uffaaaaaaaaaaaaaa…potresti anche ringraziarmi, visto che t’ho tirato fuori da quel gruppo di pazzi, no? E poi sto cercando un posto più…intimo-
Sono io o c’era una certa nota maliziosa nella sua voce? Che me la sia immaginata o meno, sento che se continua a stringermi così gli salto addosso qui, anche dovesse apparire quel bacucco di Kanzeon Bosatsu…

***

Arrivarono, un po’ spintonandosi e un po’ camminando abbracciati, fino a una parete della grande sala, incespicando sui gradini che all’oscuro non si vedevano, e riuscirono a conquistarsi un tavolino, completamente al buio, buio che diventava appena penombra quando le luci sgargianti si muovevano da una parte all’altra, raggiungendoli a malapena. A tentoni trovarono delle sedie, buttarono giù tutto quello che vi trovarono sopra, e finalmente si accomodarono.
Alcuni ragazzi intorno a loro li guardarono male per l’usurpamento dei posti, ma non ci fecero caso, e se ne stettero tranquillamente a parlare tenendosi per mano sotto il tavolo, indifferenti, giocando a sfidarsi e sfiorarsi leggermente…ma dovevano trattenersi. Tutto quel movimento certo li aveva stimolati, ma non era proprio il caso di mettersi lì a dare sfogo ai propri istinti…
Con un’ultima colpo alla batteria si concluse la canz…la mus…insomma, il coso, il distruttore di timpani!
Guardarono verso il palco, e insieme a loro l’intera folla diresse la sua attenzione alla figura che stava salendo sul palcoscenico. Era la babbuina in rosa, la figlia del governatore.

POV Goku

Ah…è la tipa di prima…l’ho vista poco fa mentre ra…rassicurava un signorotto con dei…mh…baffoni enormi e lo…lo convinceva a uscire per sbrigare i suoi…affari…lui me lo ricordo perché puzzava talmente tanto di si…ih!…garo da intossicarmi il na-naso…
"E’ quella che compie gli anni, no?"
"Sì, ho sentito che aveva organizzato qualcosa di particolare…magari ha invitato un fotomodello!"
Così è lei la nuova ventun…nenne! Chissà cosa combinerà…

***

Mentre pensava questo, il demone salì ancora un po’ con la mano, finita ormai sotto il kimono del suo Sanzo, e solleticò perfidamente l’interno coscia avvolto nei pantaloni di pelle nera, mentre il bonzo si mordeva le labbra e stringeva ancora di più la presa su una natica della scimmia, anche lui carezzando sadicamente la liscia rotondità…
"Sentite ragazzi…vi ringrazio davvero di aver partecipato, è stato il più bel compleanno della mia vita, ma può ancora migliorare…per questo vi ho preparato un sorpresa."
All’improvviso, a un suo schiocco di dita, fu il buio completo. Non c’era più una luce accesa, a parte qualche candela sul palco per permettere alla banda di continuare a suonare, ma non era il fracasso di prima, bensì una melodia molto più dolce, composta dalle note contrastanti di un flauto traverso e un clarinetto spuntati chissà come tra quegli strumenti metallici……una sinfonia sibillina di poche note, fuggevoli e cristalline, seguite poi dal suono più basso e rilassante di una scala, come in risposta…e, in sottofondo, il ritmico, dolce battere di un tamburo…
Si sentirono dei fruscii, dei passi: quasi tutti erano scesi in pista per ballare quel liscio così particolare. Di nuovo risuonò la voce di Kanna, più vellutata e soffiata rispetto a prima, nonché chiaramente affannata: "Dedico questa mezz’ora agli innamorati, perché ogni momento è buono per ricordare di esserlo, e anche a coloro che non lo sono ancora, perché ci sono questa e tante altre occasioni per scoprire cosa succede quando il cuore batte, quando l’unica cosa che rimane è il desiderio di trovare la luce in un’altra persona…"

Goku e Sanzo si girarono l’uno verso l’altro, cercando di scovare nei loro occhi quella luce di cui s’era parlato…e la scoprirono, mentre brillava in quelle pupille emozionate. Le palpebre si abbassarono a coprire morbidamente l’ametista e l’oro, e questa volta furono le labbra ad incontrarsi, in un bacio casto carico di promesse.
Poi ci fu la passione, acuita da quell’atmosfera sensuale, e ci fu il calore, che passava da un corpo all’altro portando con sé intenti facilmente indovinabili…

Tre quarti d’ora dopo…
I riflettori a incandescenza tornarono alla vita pian piano, illuminando la sala e i suoi occupanti, che strinsero gli occhi contro l’inaspettata luminosità.
La festeggiata salì di nuovo sul palco, con un sorriso tenero che le attraversava il volto.
Guardò i visi felici intorno a sé, gli occhi brillanti, le labbra gonfie, le mani restie a staccarsi…fece per parlare, ma in fondo alla stanza vide una coppia un po’… come dire… in disordine?
Arrossì violentemente, mentre il respiro le si mozzava in gola davanti a quella scena, e decise:
"Altri 10 minuti, che forse è meglio…-
E ritornarono nell’oscuro."

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“Ehehehehehehehehehehehehehe” sghignazzò stupidamente il demone, stampando un bel bacio sulle labbra sottili di Sanzo.
Il monaco, con aria rassegnata, lo attirò a sè per approfondire il bacio, ma prima che le loro labbra si toccassero Goku colpì la bottiglia, che puntò decisa verso Ryoga, che quasi si soffocò con lo spicchio di mandarino che stava mangiando. Lo inghiottì intero, e poi, guardando Ranma, parlò.

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*Stringendoti al petto*

Erano mesi che Ryoga mancava da casa Tendo.
“Meglio così, una seccatura in meno” rispondeva asciutto Ranma se qualcuno glielo faceva notare, ma in realtà gli mancava. Gli mancava quel testone cocciuto e casinista.
Ma non lo avrebbe mai ammesso.
Nel frattempo era arrivato l’autunno, e le giornate si accorciavano mentre il calore del sole estivo lasciava il passo al soffio gelido del vento di ottobre.
La notte calava rapidamente, era ora di tornare a casa.
Ranma sedette su una pietra per rimettersi le scarpe e poi fece per asciugarsi il sudore con l’asciugamano bianco di spugna, ma una folata dispettosa glielo strappò dalle mani mandandolo in un fosso poco distante. Il ragazzo saltò in piedi, e con due passi lo raggiunse. Quando lo ebbe afferrato, scoprì un corpicino nero e tremante raggomitolato in fondo a quello stesso fosso.
Era P-chan.
“Ryoga?” chiamò piano, non ottenendo risposta.
“Ryoga!” gridò, più forte, afferrandolo. Era freddo e intirizzito.
Chissà da quanto era lì.
Ranma lo strinse al petto, accarezzandogli la testolina, e continuando a chiamarlo. Dopo pochi minuti che a lui sembrarono un eternità il porcellino aprì stancamente i grandi occhi scuri, posandoli su di lui. Non appena lo mise a fuoco, gli morse il braccio.
Colto di sorpresa, il moro lo lasciò cadere, riprendendolo però in extremis con il collo del piede e riportandoselo al petto. La fronte dell’animaletto scottava, e questo si muoveva debolmente, per sciogliersi da quell’abbraccio forzato senza risultato.
“Stai buono, Ryoga, non voglio farti del male. Solo curarti.” Poi un pensiero gli attraversò la mente e con un sorriso amaro si corresse: “Ma forse preferisci che sia Akane a farlo. Dai, andiamo a casa, così potrai rivederla.” L’idea gli faceva male. Strano, pensava che ormai con Akane fosse tutto chiarito; avevano rotto il loro fidanzamento dopo che avevano provato a fare l’amore e lui… beh… non era riuscito ad eccitarsi. Lei non se l’era presa. “Era da un po’ che l’avevo capito, Ranma” gli aveva detto semplicemente. E quando lui aveva chiesto cosa esattamente avesse capito (visto che invece per lui era tutto confuso e indecifrabile) Akane aveva risposto “Lo devi scoprire da solo, zuccone.”
Mentre pensava, si era avviato lentamente verso la palestra. Il maialino si era riaddormentato, col naso schiacciato contro il suo petto muscoloso, visto che lo aveva infilato nella sua canotta per tenerlo al caldo. Il respiro soffice e il suono cadenzato che produceva nel sonno erano qualcosa di davvero tenero, si trovò a constatare il ragazzo. Capiva perché ad Akane piacesse tanto dormirci assieme. E la fitta di poc’anzi si ripresentò, stavolta più forte. Ma cosa diavolo gli stava succedendo?! In quel momento, probabilmente perché stava sognando, il porcellino mugugnò qualcosa e si agitò, trovandosi poi con il musetto a pochi millimetri dal capezzolo roseo di Ranma. Quando si calmò e riprese a respirare normalmente, un brivido serpeggiò lungo la schiena del moro, che si fermò di botto. Quell’aria tiepida che gli accarezzava la pelle era…e come se non bastasse, l’animaletto riprese a mugugnare, movendogli la linguetta sul petto. Con sua immensa vergogna, Ranma sentì l’erezione premergli nei boxer. Oh Mio Dio! Si era eccitato per Ryoga!
Come un razzo raggiunse la palestra, ripetendosi che non appena fosse arrivato avrebbe sbolognato il mostriciattolo ad Akane e tutto sarebbe andato a posto.
Eppure, quando si trovò davanti alla porta, non ce la fece.
Gridò che prima di cena aveva bisogno di un bagno caldo, e schizzò per le scale prima che qualcuno si accorgesse del dolce fardello che nascondeva.

***

Ryoga, dopo aver vagato nel bosco per giorni, alla fine si era arreso. Si era perso. Era lontano chissà quante miglia da qualunque centro abitato, e ormai le forze lo stavano abbandonando. Uno scroscio temporalesco lo aveva sorpreso tramutandolo in porcellino, il che gli impediva anche di accendere un fuoco o prepararsi da mangiare. Non riusciva neppure a tirarsi dietro il suo zaino d’addestramento, così l’aveva abbandonato e aveva proseguito. Non aveva più con sè neanche la foto di Akane per farsi coraggio. Vero era che ormai non la tirava fuori più da mesi, ma il sapere che era lì bastava a confortarlo.
Un pomeriggio le sue zampette non ressero più, e il piccolo animaletto crollò in un fosso, non riuscendo più ad alzarsi.
Chiuse gli occhi.
Il suo ultimo pensiero, prima di perdere i sensi, fu che non avrebbe più potuto sfidare Ranma. ‘Non sono mai riuscito a batterlo’ si disse, perdendosi nel buio.

***

Ranma aveva riempito la vasca di acqua calda, immergendovi il maialino, che subito riprese le sue sembianze. Com’era dimagrito! Il moro avrebbe voluto mettersi nella vasca con lui, ma temeva la sua rabbia al risveglio nell’accorgersi che era stato il suo mortale nemico ad aiutarlo. Ponderò l’idea di trasformarsi, scartandola subito visto che Ryoga aveva bisogno di stare al caldo.
Alla fine decise di rischiare.
Si spogliò e s’infilò anch’egli nella vasca, sedendosi con le spalle contro il bordo, e tirò l’altro ragazzo contro il suo petto. La testa mora abbandonata fra le sue braccia gli risvegliò qualcosa di sconosciuto sotto la pelle, e lui si ritrovò a stringerlo protettivamente, mentre con una spugna lo insaponava piano.
Le sue dita si soffermarono sui suoi capezzoli, e li accarezzarono con curiosità, ricordando la reazione che avevano avuto i suoi poco prima. Una volta che si furono inturgiditi, le carezze si allargarono agli ampi pettorali allenati, per poi risalire a perdersi nei capelli setosi e sugli zigomi pronunciati.

***

Quando si era sentito chiamare, Ryoga aveva aperto gli occhi. Cosa ci faceva Ranma lì?! Meglio morire che essere di nuovo in debito con lui! Ma quando questi lo strinse per scaldarlo, si disse che forse poteva rimandare a dopo l’orgoglio e godersi il momento. In fondo, non c’era niente di male a lasciarsi andare, per una volta.

***

“Uhmmmmmm…” Sbattendo più volte le palpebre il bell’addormentato riprese coscienza.
Si trovava in un bozzolo di calore, simile a quello che gli dava l’abbraccio di Akane, eppure c’era qualcosa di più. Una tenerezza e un senso di appartenenza totalmente nuovo per lui.
Voltando appena il capo, si trovò davanti il viso imbarazzato del suo rivale.
Strillando si staccò da lui di scatto, ma una forte vertigine lo costrinse a sdraiarsi di nuovo.
“Mi gira la testa” protestò debolmente.
“Non preoccuparti” lo tranquillizzò Ranma “Ti sei mosso troppo in fretta. Prenditi qualche minuto e sarai come nuovo.” Gli sorrise, stringendolo appena. Quando si accorse di quello che stava facendo però si staccò arrossendo.
Notò che l’altro non si muoveva.
Disse qualcosa, ma con voce tanto bassa che non riuscì ad udirlo.
“Cosa?” chiese pertanto.
“Non spostarti…stringimi” sussurrò Ryoga, appoggiando la schiena sul suo petto, senza però guardarlo in faccia.
Ranma tornò a cingerlo con le braccia.
“Sono sicuro che preferiresti ci fosse Akane al mio posto, eh?” disse con un tono che voleva essere allegro ma suonava forzato.
Ryoga scosse lentamente il capo.
“Tu mi uccideresti prima di permettermelo” constatò.
Con una smorfia, il ragazzo col codino gli raccontò in breve gli ultimi avvenimenti, tralasciando il motivo che aveva causato la separazione.
“Come hai osato lasciare Akane?” tuonò Ryoga, furibondo.
“No, ecco, vedi…”
“Ah, ti ha lasciato lei perché ha finalmente capito che non vali niente!”
“No” concluse secco Ranma “l’abbiamo deciso insieme. Fine della storia.” E lo allontanò da sè iniziando a insaponarsi i capelli, come a sottolineare che la questione era chiusa.
Akane è libera, ora, si disse Ryoga. Questo vuol dire che se voglio, posso stare con lei. Ma allora perché vorrei solo tornare tra le braccia di Ranma come poco fa?! Cosa mi sta succedendo?!
Guardò per un istante l’altro ragazzo, e un pensiero lo colpì.
Silenziosamente rientrò nella vasca e gli si avvicinò.
“Che vuoi ancora?!” sbottò quello acidamente.
Si aspettava di tutto, insulti, prese in giro, forse anche un pugno, ma non il timido sfiorare di labbra che gli venne offerto. Con le guance deliziosamente arrossate, Ryoga si scostò appena, studiando la sua reazione. Boccheggiava come un pesce fuor d’acqua, senza riuscire ad articolare parola.
“Sai” gli disse Ryoga sorridendo “Stare sul tuo petto è diverso che stare su quello di Akane. Sul tuo mi sento a casa…” e mentre parlava lo abbracciò facendo aderire i loro petti perfettamente e scatenando nell’altro ragazzo la stessa sensazione di poco prima.
“Vuoi sapere perché io e lei ci siamo lasciati?” chiese Ranma con voce roca.
L’altro annuì.
“Non sono riuscito ad eccitarmi. Eravamo quasi nella stessa situazione, ma io non mi sono eccitato. Abbiamo pensato che fosse dovuto al nervosismo, ma il dato di fatto era che non lo volevo fare con lei.”
Gli occhi nocciola di Ryoga sembravano immensi.
“E… con me?” chiese titubante.
Ranma, arrossendo a sua volta, gli afferrò la mano e la portò sulla sua virilità, dura e pulsante come non l’aveva mai sentita in vita sua.
“Direi che il problema non sussiste” sottolineò quindi.
La mano di Ryoga allentò la presa sul membro del compagno, ma non lo lasciò. Il suo pollice si sfregò dolcemente sulla punta turgida, rubando un gemito al moro.
“Co… cosa fai?”
“Ti ringrazio di avermi salvato” rispose lui, iniziando a far scorrere su e giù il suo pugno chiuso.
“Non… ah… fermarti… sì… così… mmmmmh…” Ranma era quasi in estasi.
Nel frattempo aveva scoperto i testicoli di Ryoga ed aveva preso ad accarezzarli, scatenando suoni inarticolati in risposta.
Con l’altra mano esplorava lentamente il solco tra le natiche sode dell’eterno disperso, che ora però sembrava sapere perfettamente dove fosse e cosa stesse facendo.
Alla fine, masturbandosi a vicenda, vennero con un grido soffocato, mentre si baciavano con passione.
Ryoga gli crollò addosso, e Ranma lo strinse nuovamente.
“Mi… dispiace, Ranma…” ansimò il primo. “Vorrei fare… l’amore con te, ma… non ce la faccio…”
“Sta’ tranquillo, ‘P-chan’ “ lo prese in giro Ranma leccandogli il lobo dell’orecchio “Avremo tempo, vedrai…”

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“Beh, ora però tocca a me!” esclamò Makoto.
E senza aspettare il responso della bottiglia, iniziò a raccontare, facendo l’occhiolino a Ryu.

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*Io lo farei…lo farei…lo farei…*

Osaka.
Pioveva a dirotto nonostante fosse ormai la fine di marzo, e faceva freddo, tanto da ricoprire le finestre di uno strato di condensa, dal quale scivolavano giù goccioline d’acqua, che tracciavano sui vetri percorsi casuali, quasi ipnotici.
Il quartiere si era svegliato sotto quella scarica inattesa e la delusione aveva pervaso le prime ore della mattinata…gli ultimi giorni erano stati caldi, illuminati da un sole generoso che sembrava annunciare ogni mattina la prossima fioritura dei ciliegi e degli altri alberi da frutto disseminati nei viali e nei parchi.
Le gemme già schiuse a metà avrebbero sicuramente atteso almeno un’altra settimana, se non una decina di giorni, prima di aprirsi con rigoglio, srotolando al sole i petali delicati.
Il ticchettio insistente e penetrante della pioggia faceva da lieve sottofondo a quel pomeriggio un po’ monotono e nostalgico, uno di quelli in cui non c’è nulla da fare e in effetti non si ha molta voglia di fare nulla.
I Doremidan avevano appena terminato di posare per un servizio fotografico, per cui erano ancora truccati e vestiti come nelle loro migliori apparizioni in pubblico.
Nella sala accanto, parte della troupe fotografica stava ancora smontando il set.
Ryu, uno dei chitarristi, era scomparso subito dopo la partenza dei fotografi e della giornalista dell’ennesima testata musicale, senza neanche cambiarsi.
Normalmente, anche se durante le interviste parlava poco, si divertiva nell’eterno gioco della domanda e della risposta, gli piaceva ascoltare gli sproloqui di Makoto, e segretamente si chiedeva se Ken sapesse dire più di due o tre parole di seguito.
D’altra parte, quando la ‘primadonna’ partiva con i suoi deliri era davvero difficile infilare una frase.
Ma quel giorno pioveva, e visto che lui apparteneva alla sfortunata fetta di umanità che soffre per ogni cambiamento climatico, il suo umore da irritabile si era trasformato in orribile, così aveva deciso di togliersi dai piedi, per evitare di litigare con qualcuno.
Ken, l’altro chitarrista, era seduto sul largo davanzale di una finestra, tutto raccolto su se stesso con la frangia bionda che gli spioveva sugli occhi.
Alternativamente si fissava le unghie dipinte di nero o, attraverso la finestra, guardava il panorama esterno, bagnato e luccicante di pioggia.
Come al solito, non era particolarmente eloquente.
Era passata alla storia una partecipazione del gruppo a un programma televisivo in cui Ken aveva detto soltanto la parola ‘sayonara’.
Ken si era unito al gruppo da poco, e mentre tutti ormai conoscevano l’atteggiamento sempre sopra le righe e schizoide di Makoto, con il suo comportarsi come una damigella in pericolo, nessuno sapeva se quello di Ken fosse solo un modo per fare scena in pubblico o se fosse così davvero anche in privato.
Mentre Makoto e Reika erano amici da tempo, gli altri erano arrivati da circa un anno. Era normale mantenere ancora un po’ di diffidenza e di distacco, per quanto potessero andare d’accordo in studio.
Ken rimaneva un mistero. Parlava pochissimo e si nascondeva dietro un trucco macabro e eccessivo.
Vederlo ridere – spesso per ragioni imperscrutabili – era quasi spaventoso.
Reika, il batterista, era andato a cambiarsi, mentre Makoto e Maya aggiornavano il sito ufficiale della band.
Era spassoso starli ad ascoltare: nonostante Makoto gestisse un suo diario sul sito ufficiale della band, non era poi espertissimo di computer e aveva bisogno di continua assistenza.
Spesso combinava disastri sul computer dello studio e per questo si sorbiva delle tremende sgridate da Maya, che ci teneva al perfetto funzionamento del sistema e che se la cavava molto meglio in questioni di natura informatica.
Quando litigavano, e questo accadeva in media una volta ogni due giorni, gli altri – anche se non lo mostravano apertamente – cercavano di restare nei paraggi, poiché il litigio si risolveva sempre in una scenetta divertente.
Questo valeva quanto meno per Ryu – che anche se a volte si mostrava insofferente nei confronti di Makoto in realtà lo apprezzava anche più di quanto si sentisse di ammettere a se stesso – e per Reika, che sapeva che Makoto lo faceva apposta, a far infuriare Maya.
Su Ken nessuno scommetteva.
Fatto sta, che se soltanto Makoto faceva il gesto di accendere il computer, Ken si staccava dalla sua contemplazione del momento e non perdeva una sola sillaba del dibattito.
Ma come ho già detto, nessuno sapeva cosa davvero gli passasse per la testa.
Quel pomeriggio Maya cercava di spiegare a Makoto perché mai, dopo aver scritto più di una pagina di diario online gli si fosse cancellato tutto premendo un semplice tasto. Purtroppo, non poteva farlo usando i termini specifici, così doveva trovare un modo semplice per spiegare all’ignaro Makoto prima i termini in questione e poi il modo in cui fare quello che voleva fare.
“Vedi?” disse Maya, movendo il puntatore del mouse da un punto all’altro della pagina, “devi prima finire di scrivere quello che stai scrivendo e poi premere enter, se premi backspace si cancellerà tutto e dovrai scrivere daccapo. Ti converrebbe scrivere prima con un text editor e poi…”
Ma Makoto non l’ascoltava più. A parte il fatto che comunque non aveva capito nulla di quello che Maya aveva detto, se ne stava col capo leggermente inclinato verso sinistra, come in ascolto di un suono lontano ed impercettibile.
“Torno subito!” gridò, lasciando Maya davanti al pc, a osservarlo correre via.

***

La chiave girò nella serratura, la porta si chiuse. Silenzio attonito e poi…
“Makoto?”
Nessuna risposta.
“MAKOTO?”
Silenzio.
“MAKOTOOOOOOOO, CHE CI FANNO QUI TUTTI QUESTI GATTI?”
Finalmente Makoto apparve sulla soglia, sbadigliando e stiracchiandosi.
Quando si strofinò gli occhi assonnati si rovinò del tutto il trucco già sbavato – rossetto blu e fondotinta bianco – ma le ciglia finte non si mossero di un millimetro.
Maya era andato via e lui si era addormentato davanti al pc acceso.
L’urlo di Ryu l’aveva svegliato di soprassalto mentre sognava che la luna aveva la faccia di Gackt Camui.
Assurdo.
“Che succede?” borbottò con voce sonnolenta.
“Come che succede?” sbottò Ryu con aria furiosa, “da dove sono usciti tutti questi gatti?”
Makoto si appoggiò allo stipite della porta, come troppo stanco per stare in piedi e osservò i gatti accampati nell’ingresso come se non li avesse mai visti prima e non fosse stato lui a farli entrare perché fuori pioveva a dirotto e li aveva sentiti piangere.
Si potevano dire molte cose, e non tutte piacevoli, sul conto di Makoto, ma certo non che avesse un cuore di pietra.
Certe volte perdeva così tanto tempo con le bestiole che faceva spazientire chiunque.
Intanto Ryu, che era allergico al pelo di gatto, starnutiva a raffica.
Quando rialzò il viso, in mezzo al quale troneggiava il naso arrossato per i molti starnuti, Makoto scoppiò a ridere.
“Come sei buffo!” disse, scavalcando un grappolo di gatti per avvicinarglisi.
Fu un grosso errore: quel giorno, oltre a un kimono blu e nero ipertecnologico e a una gonnellina nera a pieghe, portava degli alti sandali geta di lacca rossa, che gli facevano guadagnare una decina di centimetri in altezza, ma che lo rendevano molto meno agile di quanto fosse normalmente.
Appena appoggiò il piede a terra la cinghietta infradito del geta decise di rompersi, e come tutto risultato Makoto cadde rovinosamente sul pavimento.
Disturbati dal rumore e dall’urto, i gatti saltarono in piedi e iniziarono a soffiare, con le schiene curve e il pelo irto, mentre Ryu non sapeva se sbattere la testa contro il muro, starnutire, o ridere per l’imbranataggine di Makoto.
Come se non bastasse, Ken era apparso sulla porta e li fissava con un sorrisetto enigmatico e inquietante, senza dire una sola parola.
“Sei un disastro,” disse Ryu dopo un ennesimo starnuto, mentre si chinava e tendeva una mano per aiutare Makoto – che lo fissava con enormi occhi lacrimosi che avrebbero fatto la gioia di ogni autrice di fanfic slash – ad alzarsi.
“Ti sei fatto male?”
Mentre Makoto scuoteva la testa e s’alzava faticosamente in piedi – si era tolto i geta e ora era scalzo sul pavimento, i piedi dalle unghie dipinte di rosso sangue quasi del tutto nascosti dagli scaldamuscoli dello stesso colore – il resto della troupe fotografica arrivò nell’ingresso dai recessi dello studio, informandoli del fatto che avevano smontato quasi tutto, tranne il letto a baldacchino, e che il giorno dopo sarebbero tornati col furgone a recuperare anche quello.
Quando la porta si chiuse dietro l’ultimo dei tecnici, furono soli.
Finalmente soli.
Oh beh, eccettuato Ken, che probabilmente era tornato alle sue silenziose osservazioni dalla finestra.
Quando si erano messi insieme per la prima volta, qualche mese prima, Ryu già sapeva della storia già terminata da tempo fra Makoto e Reika, una storia che era finita per suo naturale esaurimento e che non aveva lasciato conseguenze.
Nonostante ciò, avevano tenuta nascosta la loro unione al resto del gruppo, e non perché non si fidassero di loro, ma proprio per non creare alcuno scompiglio.
Era già successo una volta che gli screzi dovuti alla turbolenta relazione con Reika portassero l’intero gruppo a mancare un impegno importante.
Anche se lo facevano divertendosi, non bisognava dimenticare che per i Doremidan alla fine quello era un lavoro, da non confondere e turbare con la vita privata.
Con l’ovvia eccezione di Ken, che poteva sapere tutto o nulla, ma che comunque non avrebbe detto nulla, Ryu e Makoto erano riusciti a tenere gli altri all’oscuro, mantenendo un atteggiamento del tutto neutrale in presenza di altri e abbandonandosi alle effusioni soltanto quando era possibile e non v’erano scomodi testimoni.
Non gli riusciva difficile: dall’inizio dell’anno avevano avuto degli alti e bassi, che si erano concretizzati in un tira e molla continuo, ma nonostante questo l’atteggiamento di Ryu nei confronti di Makoto e viceversa era sempre lo stesso.
Finalmente libero di lasciar trapelare l’attrazione che continuamente l’avrebbe spinto verso di lui, Makoto fece un passo avanti, la differenza d’altezza tra lui e Ryu accentuata dal fatto che ora era scalzo e quindi sprovvisto del supporto notevole dei tacchi, e si sporse sulle punte, per baciarlo sulla bocca a titolo sperimentale.
Ryu non rispose, e quando Makoto si staccò e si allontanò per fissarlo meglio in viso mantenne un’espressione immobile, assente, come se fosse concentrato su un particolare lontano e sfuggente.
Come se pensasse a altro.
“Ryu?” mormorò Makoto, vagamente irritato per non aver riscontrato alcuna reazione.
Ma Ryu non rispose.
Makoto fece un passo indietro, trattenendo a fatica la delusione e la rabbia, che gli faceva stringere gli occhi in fessure che sprigionavano lampi minacciosi.
Cosa pensava di risolvere con quel comportamento?
“Ryu?” disse stavolta, con le mani saldamente piantate sui fianchi.
Ryu aprì la bocca, ma Makoto non gli diede il tempo di dire nulla: “Oh, insomma, quante storie, dimmelo se non vuoi che ti baci, no?”
Ma le sue proteste si persero nel sonoro starnuto che Ryu aveva cercato di trattenere fino a quel momento, non reputando particolarmente gentile né romantico starnutire in faccia al suo ragazzo.
“Ma – ma – ma” balbettò Makoto, con gli occhi più sgranati del solito, senza riuscire a mettere insieme due parole in fila.
Ryu non disse ancora nulla, e dopo aver recuperato un fazzoletto dalle profondità della tasca ed essersi soffiato il naso, finalmente sorrise.
“Melodrammatico” disse.
Prima che Makoto potesse dire altro, Ryu l’afferrò per le spalle, spingendolo perché si appoggiasse alla parete e gli chiuse la bocca con un bacio.
“Come puoi pensare che io non ti voglia, eh?” gli sussurrò Ryu nell’orecchio.
Ora che erano vicini era difficile nascondere l’attrazione, il desiderio di essere una cosa sola.
Fino a quando c’era qualcos’altro da fare e altra gente in giro la finzione era semplice, quasi divertente, ma ora…ma ora era tutto diverso.
“Io ti voglio sempre, in ogni momento, in qualsiasi luogo…” continuò, lasciando libere le sue mani di riabituarsi a quel corpo che avrebbe voluto poter toccare più spesso, anche senza intenti licenziosi.
Con gli occhi lucidi e le guance arrossate, Makoto lo zittì.
“Smettila di chiacchierare tanto e dimostrami quello che dici,” disse la primadonna, gettandogli le braccia al collo.
Ryu non se lo fece ripetere due volte. Lo sollevò di peso e lo trasportò senza problemi fino al set in cui era ancora montato il letto a baldacchino della seduta fotografica.

***

Dopo un quarto d’ora circa erano ancora lì sul letto a baldacchino, con le tende in parte tirate e le coperte un po’ in disordine, ma ancora completamente vestiti.
La lunga attesa giustificava una certa ritrosia a procedere, bilanciata dall’aspettativa e dal desiderio.
Quel lungo attimo era servito a ritrovarsi, a riabituarsi, a ricordare cosa fosse maggiormente gradito all’altro e perciò anche a sé, poiché è sommo e tanto più dolce il piacere che nasce dalla soddisfazione dell’altro, tanto più se ne si è l’artefice.
Ma ora non si poteva più aspettare.
Fu Makoto che, steso sul gigantesco materasso che rispondeva con un sonoro cigolio a ogni sollecitazione, con la gonnellina ormai tutta raccolta intorno alle cosce e le caviglie saldamente incrociate dietro la vita di Ryu, si puntellò sul gomito e iniziò a spogliare il suo uomo, impaziente di assaggiare carne fresca.
Chi si fosse fatto ingannare dalla sua piccola statura e dalla corporatura minuta, dai lineamenti delicati del viso che portavano la maggior parte delle persone a scambiarlo per una ragazza, non avrebbe mai immaginato l’energia e il dinamismo che lo pervadevano in quegli attimi, o forse sì, visto che era scatenato a letto come lo era sul palcoscenico.
“Piano…piano” mormorò Ryu, accaldato e senza più respiro. Costrinse Makoto a fermarsi. Nella posizione in cui erano, se si fosse mosso ancora un po’ tutto sarebbe finito troppo presto.
Makoto rallentò fino a fermarsi, lasciandosi sfuggire un sospiro vagamente seccato.
“E dai, stai buono” lo blandì Ryu, accarezzandogli il viso.
Ma Makoto fece una smorfia e lottò per liberarsi dal confuso intrico di arti.
“Cosa c’è ora, eh?”
Ryu sapeva di non doverci cascare, perché quella era soltanto una nuova interpretazione della primadonna Makoto Kanzaki in persona, ma non poteva farci nulla…il suo destino era sottomettersi ai capricci di quel piccolo tiranno che sapeva fare e disfare a suo piacimento.
Con buona pace delle solite autrici di fanfic slash, che probabilmente al solo vederlo – piccoletto, con grandi occhi sbrilluccicanti – gli avrebbero affibbiato in eterno il ruolo di uke.
Sì, figuriamoci.
“Niente” fu la prevedibile risposta.
Makoto ora sedeva in mezzo al letto, con la gonna alzata e il ‘kimono’ aperto fino all’ombelico – il ritratto di una ‘cattiva ragazza’ con l’aria imbronciata e gli occhi luccicanti di malizia.
“E dai, dimmi che c’è…andava tutto così bene…”
Makoto fece una smorfietta come per dire ‘per te forse’, e iniziò a mordicchiarsi un dito.
“Vuoi saperlo davvero?” disse dopo un po’.
“Ma certo”
Makoto agì velocemente: in un attimo fu in ginocchio e l’attimo seguente c’era Ryu steso sulla schiena, gravato dal peso del suo ragazzo, a cavalcioni su di lui.
Si stese un poco, avvicinando il viso a quello di Ryu, per sussurrargli in faccia:
“Voglio farti piangere”
Ryu avvampò. Se Makoto entrava in modalità ‘black’ il giorno dopo non sarebbe riuscito a muovere neanche un arto, neanche un dito. E quel che è peggio diceva incredibili sconcezze mantenendo quell’aria innocente e candida!
Ma Black Makoto era già in azione, e chiuse ogni possibile esitazione di Ryu incollando la bocca alla sua, mentre le sue mani scendevano sinuosamente più in basso, slacciando bottoni e coprendo di baci ogni centimetro di pelle esposta.

E non molto più tardi gli occhi di Ryu si riempirono davvero di lacrime, lacrime salate, lacrime di quel dolore misto a piacere che costituisce il riassunto ideale del dualismo del cosmo, dello yin e yang.
Makoto catturò con un bacio una di quelle lacrime dolci, si fermò un attimo, per chiedere con un’aria innocente tradita dal make-up ormai squagliato e dalle guance arrossate: “Dou?”
“…motto”

E non molto più tardi lacrime tanto simili a quelle di Ryu tracciarono scie umide sul viso di Makoto, mischiandosi al rimmel sciolto.
Come in tutto quello che faceva, Makoto non perdeva occasione per comportarsi come un bambino capriccioso.
“Itaiiiiii” strillava, ma poi si contraddiceva da solo, sussurrando malizioso “fukaku…motto fukaku”

Fino a quanto non fu tutto semplicemente troppo, e collassarono nel sonno rigeneratore, senza neanche una parola in più, o una carezza.
C’era tempo, dopo.

***

Ryu sognava di essere sul palco, ma la sua chitarra non emetteva alcun suono. Gli altri continuavano a suonare al doppio delle loro energie, ma non potevano coprire la traccia mancante.
Se la fece cambiare da un’assistente di scena, ma lo stesso non funzionava, e comunque ormai la canzone era finita.
Mentre una folla di lolite gridava e vociava, Ryu iniziò a provare un forte prurito al naso.
“Oh no!” pensò, “non posso mettermi a starnutire mentre suono!”
Ma era più forte di lui…mentre iniziava a starnutire s’accorse che il pubblico non era formato da ragazzine…ma da ragazze-gatto vestite da lolita, con brillanti occhi azzurri o verdi muniti di pupilla verticale e morbide orecchie pelose e appuntite.
La follia di tutto ciò stava per fargli saltare i nervi quando… un terribile starnuto lo svegliò dal sogno, o meglio, dall’incubo, catapultandolo nella realtà che, da quello che poté constatare nei primi attimi del suo risveglio, era molto peggiore.
Innanzitutto c’era un maledetto gatto appollaiato sul suo cuscino.
In sé per sé, era un gatto molto carino, un cucciolo marrone con due enormi occhi grigi sempre spalancati che lo faceva somigliare vagamente a Makoto, e Ryu in linea di massima non odiava i gatti per quello che erano, ma per ciò che gli causavano.
E un gatto sul cuscino era garanzia di allergia grave per una settimana.
Come se tutto ciò non bastasse, seduto ai piedi del letto c’era Ken, con un gatto in braccio e uno sulla spalla, che con la zampina giocava con una ciocca dei suoi capelli biondo platino.
“Ken?!” esclamò Ryu, strofinandosi gli occhi assonnati.
Che diavolo ci faceva Ken a casa sua di primo mattino, già truccato e vestito e con tutti quei maledetti gatti intorno?
E poi… BAM! Ad un tratto tutto gli tornò alla mente.
Non era a casa sua e non era mattina presto.
Si era addormentato nel letto a baldacchino del set fotografico e ora doveva essere sera…e i gatti erano quelli che Makoto aveva portato dentro mentre pioveva… MAKOTO! Dove era andato?
Ryu si alzò a sedere di soprassalto, guardandosi intorno con aria frenetica e stralunata.
Ma Ken, che si era accorto di tutte queste manovre, fece il suo sorriso standard – che lungi dall’essere consolante o rassicurante era particolarmente diabolico – e iniziò ad accarezzare lentamente il gatto che aveva in grembo.
“E’ andato al mart” disse, con quella sua voce lenta, che nessuno sapeva se fosse così realmente o facesse parte della sua personalità ‘pubblica’, del ruolo che interpretava sul palco.
Ryu sbatté le palpebre, sempre più sorpreso. Forse non era davvero sveglio, forse quello era un incubo all’interno di un altro incubo.
Tanto per accertarsene, si diede un pizzico, senza alcun risultato valido, se non quello di scoprire, per suo grande ed eterno orrore, di non essersi rivestito prima di piombare addormentato accanto a Makoto.
Ma Ken non sembrava darsene alcun peso.
Rimase a fissare il vuoto per qualche secondo, mentre il gatto n.1 faceva le fusa e il gatto n.2 aveva ormai preso a mordicchiargli i capelli, poi acchiappò i due felini – sempre con gesti lentissimi – e lasciò il set.
Ryu si era ormai vestito – ma non si sentiva meno sconvolto di prima – quando la porta d’ingresso dello studio s’aprì e, insieme a una ventata di aria gelida e umida di pioggia, che però portava la promessa della primavera e dei fiori ancora non schiusi, entrò Makoto.
Conosceva il suo passo, con o senza tacchi, era lui per forza.
I passi si fermarono per qualche secondo nell’ingresso – Ryu era certo che si fosse fermato ad accarezzare i gatti, il che gli avrebbe come minimo causato allergia per il resto della sua vita – poi proseguirono, avvicinandosi sempre di più.
Anche se era sera e fuori una luna innocente splendeva in alto, un raggio di sole entrò con lui nella stanza, tanto scintillava di allegria.
Si era struccato, ma anche così l’illusione era perfetta: anche vestito semplicemente come era, con dei vecchi jeans con le toppe e una normale maglietta senza scritte, più di una persona scambiava Makoto per una ragazza.
Le ragazze, che ne sanno sempre una in più, invece, restavano imbambolate a guardarlo, perché era troppo ‘kawaii!’.
Si guardò intorno e colse Ryu che stava terminando di vestirsi. Gli sorrise, ma Ryu fece una faccia offesa.
“Come hai osato” iniziò, “lasciarmi addormentato qui, da solo e in quelle condizioni? Sai chi è venuto a svegliarmi?”
Makoto scosse la testa per dire che no, non lo sapeva, ma la malizia nei suoi occhi la diceva lunga sulla realtà dei fatti.
“Cos…?” riprese Ryu, ma si frenò nel suo slancio “sei stato tu a mandarlo? Mi ha fatto spaventare a morte!”
Si slanciò verso Makoto, che lasciò cadere la busta di plastica con i recenti acquisti, e lo strinse forte da dietro, facendogli il solletico.
“Oh, lasciami Ryu, eri così buffo addormentato con quell’aria soddisfatta. Su, smettila!”
Ryu smise di fargli il solletico, ma non lo lasciò andare.
Dopo aver scaricato la tensione di tanti giorni d’attesa, era piacevole stare così, vicini in modo affettuoso, condividendo il reciproco calore.
Le parole che Ryu sussurrò all’orecchio di Makoto lo fecero arrossire dolcemente.
Reclinò il capo all’indietro, sulla spalla di Ryu, sorridendo.
“Boku mo”

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“Orha bashta!”
La voce impastata apparteneva all’ex capitano del Ryonan, Akira Sendoh.
Evidentemente aveva apprezzato fin troppo il limoncello italiano comprato dal rossino per l’occasione.
“Cosha credete…hic! Che sholtanto voi posshiate…hic! Raccontare?”
“Ma…Akira…noi…non abbiamo mai…” lo interruppe imbarazzato Koshino.
“Guarda che io…hic! Avevo una vita anche prima di shtare con…hic! Te…”lo interruppe il porcospino scoccando uno sguardo strano a Mitsui, che non tentò neanche di fermarlo.
Chinò il capo e si coprì il volto con le mani. Poteva solo sperare che Kogure non si arrabbiasse troppo…

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*Lo farei con te*

POV SENDOH

Sono sempre stato un ragazzo solare, fin da piccolo molto orgoglioso, difficilmente ho mai ammesso le mie paure, ma c’è una cosa che mi terrorizza, l’unica che possa mettere in pericolo il mio sorriso… [un bel pugno sui denti? NdHana]…
“Avanti il prossimo.” la voce asettica della segretaria mi fece sussultare spaventato; l’uomo seduto accanto a me si alzò sparendo dietro ad una porta azzurra.
Il viso più pallido del solito, le labbra tirate dal nervosismo, le mani intrecciate in grembo e una rivista, che avevo spiegazzato per l’agitazione, sul tavolino di fronte a me.
Mi chiesi come potevo trovarmi, in un giorno di vacanza, nel luogo che più odiavo al mondo.
“Avanti il prossimo.” mi guardai attorno. Ero solo. Toccava a me… deglutii a vuoto e mi diressi a passo incerto verso la porta celeste; poggiai la mano sulla maniglia e… a momenti una portata non mi prese in piena faccia! L’uomo in camice bianco mi guardò strabuzzando gli occhi
“Scusami, ragazzo, fra poco sarò da te… intanto entra e accomodati, c’è il mio assistente…” così dicendo l’uomo sulla cinquantina corse via.
Meccanicamente entrai nel piccolo ambulatorio dentistico, adagiandomi sul lettino troppo corto per me
“Il dottore ha avuto alcuni problemi privati, sarà di ritorno il prima possibile…” un ragazzo bruno voltato di spalle stava armeggiando con delle carte
“Ok, beva questo e faccia dei risciacqui, poi sputi, NON ingoi, signor…?”
“Sendoh” mormorai, cercando di fermare il tremolio della mia mano per bere il collutorio che mi aveva passato l’assistente del dentista
“Sendoh?!” gracchiò il ragazzo allibito, voltandosi a guardarmi per la prima volta
“M-mitsui?!” balbettai scoprendo chi avevo di fronte, dovetti ammettere che il camice bianco alla E.R. gli donava molto –non avevo idea che fossi parente del dentista Mitsui-san!” esclamai, piacevolmente stupito di ritrovarmelo lì, una presenza conosciuta mi avrebbe tranquillizzato
“È mio padre.” spiegò conciso il giocatore dello Shohoku “ora è uscito perché mia sorella minore s’è sentita poco bene all’asilo e lui è dovuto andarla a prendere; io non ho la patente…” chiarì prendendomi di mano il bicchierino di carta, da cui avevo bevuto, gettandolo via.
Smise di sfogliare la mia cartella medica, dando un’occhiata fugace alle piccole lastre dei miei molari.
“Dentatura perfetta, Mr Smile!” mi sfotté con un ghigno divertito, l’ho già detto che in camice bianco era veramente sexy?!
“Da quello che mi ha raccontato Sakuragi la tua non lo è altrettanto, invece…” risposi allegro, sapendo che un paio dei suoi denti erano venuti a mancare in seguito ad una rissa
“Tsk. Sakuragi parla sempre troppo.” mormorò innervosito riordinando alcuni attrezzi, mentre un silenzio carico di tensione calò sulla stanzetta
“Tra quanto hai detto che tornerà tuo padre?”
“Non te l’ho detto, ma penso che tra circa un’oretta dovrebbe arrivare!”
“Stai scherzando, vero?” domandai con nocetta acuta, messo in allarme dalla prospettiva di passare tutto quel tempo nel mio personale tunnel degli orrori.
“Non sto scherzando! Una volta portata a casa mia sorella dovrà aspettare che arrivi qualcuno che le badi… e mia madre non sarà a casa prima delle 11.30…” guardai l’orologio, erano solo le 10.20… pensai veramente di scappare, come tra l’altro mi era già capitato di fare, ma la visione di Hisashi in versione George Clooney, il pediatra che avevo sempre sognato, mi fece desistere dall’intento…
“Bè, Sendoh… come va la vita?”
“Mmm… non c’è male… e il basket, lì da voi allo Shohoku?”
“Nella norma… le solite risse tra Rukawa e Sakuragi e Miyagi che sbava dietro ad Ayako, la manager, nulla di nuovo, insomma…”
“Sarà faticoso per te cercare di recuperare l’allenamento perduto in questi anni, vero?” osservai accomodandomi maggiormente sul lettino, cercando di non pensare a dove ero
“Tsk, abbassa le penne, porcospino! Sarò ancora un po’ fuori forma, ma posso batterti come e quando mi pare… rimango sempre l’MPV Hisashi Mitsui!” mi ringhiò irato a due millimetri dalla faccia.
Meno di due secondi dopo eravamo entrambi incatenati in un bacio passionale.
Le sue labbra si muovevano suadenti e passionali sulle mie, morbide come mai me le ero aspettate; cominciò a succhiarmi il labbro inferiore con voracità crescente;
“Non mi batteresti mai…” sussurrai una volta che ci fummo staccati
“Come, prego?”
“One o’ one?” a questa mia proposta vidi i suoi occhi neri accendersi di una fiamma di passione ardente
“D’accordo, istrice, vediamo chi è il vero asso, tra noi due…” sorrisi sornione alla sua risposta e con un repentino scatto di reni invertii le posizioni, ritrovandomi a cavalcioni sul suo stomaco
“Allora, anima ardente… tutto qui il tuo talento?” domandai ironico, mente lui provvedette a tapparmi la bocca con la sua; mentre le sue mani mi accarezzavano leggere la nuca, iniziai a spogliarlo, anche se a malincuore, del camice bianco, per poi levar di mezzo anche la maglietta nera che indossava
“E questa come te la sei fatta?” chiesi, passando i polpastrelli su una cicatrice lunga circa cinque centimetri che segnava gli addominali scolpiti
“Una stupida rissa…” mugolò, staccandosi controvoglia dal mio collo
“Anche questa?” mormorai leccando avido la piccola cicatrice accanto al mento
“Un… un tizio con…. Un coltello…” biascicò con voce sensibilmente più rauca; con le labbra scesi più in basso, mordicchiando la giugulare pulsante e le clavicole sottili, con il leggero profumo di Hisashi che mi inebriava i sensi, disegnai sui pettorali con la lingua dei cerchi concentrici, sempre più vicini al capezzolo bronzeo e finalmente udii il primo gemito uscire da quelle labbra impertinenti, piegate in un sorriso divertito e malizioso allo stesso tempo; salii fino ad esse per impossessarmi di quel sorrisetto, Mitsui allacciò le braccia strette attorno al mio collo, per approfondire il bacio, mentre con un movimento fluido del bacino portava le nostre virilità risvegliate a contatto, nel farlo il lettino su cui eravamo sdraiati uno sopra l’altro cigolò sinistramente, mi domandai se avrebbe retto i nostri pesi, ma le dita fresche di Hisashi che accarezzarono la mia eccitazione da sopra la stoffa ruvida dei jeans, mi fecero perdere la cognizione di dove ci trovavamo e mi chinai nuovamente sulle sue labbra, affamato del suo sapore, dando vita ad un bacio mozzafiato in cui lui si rifiutò di cedere il “comando”
“Ottima difesa, non c’è che dire…” bisbigliai guardandolo negli occhi, per poi scendere a scontrarmi con l’orlo dei pantaloni da ufficio che indossava –vediamo se resisterai anche a quest’attacco..” ammiccai divertito dall’indifferenza alle mie cure che tentava di mostrare; sbottonai con studiata lentezza i calzoni, facendoli scivolare lentamente lungo i fianchi stretti di Hisashi
“Ti dai una mossa, istrice?” ringhiò il diretto interessato, a quanto pare il suo tentativo di rimanermi indifferente stava cedendo…
“Che c’è, sei così impaziente di avermi?” gli chiesi a bruciapelo con un sorriso smaliziato
“No, sinceramente è perché fra poco mio padre tornerà…” lo guardai incendiato dalla sfida… e così non voleva proprio arrendersi, eh? Con un movimento fluido mi alzai in piedi, staccandomi di malavoglia dal suo calore.
“Ehi! Cosa fai?” spalancò i suoi occhi neri come l’inchiostro stupito
“Bè, interrompo prima che arrivi tuo padre, no?” feci ironico, dandogli le spalle e chinandomi per raccogliere la mia maglietta che aveva lanciato lontano poco prima.
Sentii le sue braccia circondarmi la vita, mentre la sua bocca mi accarezzava sensualmente le spalle.
“Vuoi ritirarti?” sussurrò roco, mentre mi accarezzava il petto con i palmi aperti
“Mai.” e con uno scatto mi girai nel suo abbraccio, spingendolo nuovamente sul lettino e strappandogli letteralmente i pantaloni, non ancora completamente calati; con urgenza inumidii con la lingua due dita, penetrandolo delicatamente, aumentando progressivamente il numero di dita, quando lo sentii spingere contro la mia mano le sostituii con qualcosa di più grande.
Là, in quel corpo stretto che pareva non volersi mai piegare al mio, come quel sorrisino divertito sul suo volto, persi qualcosa di me; un qualcosa che nonostante sia rimasta là, da quel giorno è sempre con me… è un ricordo dolce, così dolce da essere doloroso nella memoria, di quelli che ti fanno spuntare un sorriso melanconico sul volto, senza che nemmeno te ne accorga…
Come per scacciare quella sensazione che mi mordeva la bocca dello stomaco presi a spingere a fondo in quel corpo sottile tra le mie braccia; Hisashi si mordeva una mano per evitare di gemere, con gli occhi d’inchiostro spalancati nei miei, gli afferrai la mano segnata di rosso dai denti, sostituendola con le mie labbra, come per nutrirmi dei suoi gemiti…
Mentre le dita di una mano erano saldamente intrecciate alle sue, con l’altra scesi ad accarezzare con vigore la sua virilità tesa, mentre le spinte si facevano sempre più profonde ed entrambi trattenevamo persino il fiato per non distrarci da quel piacere immenso, per non sprecare nemmeno un millesimo di secondo. Il primo a venire fu lui, e io lo seguii dopo un’ultima spinta, accasciandomi sul suo petto che si alzava e abbassava a ritmo frenetico, ascoltando il ritmo accelerato del suo cuore all’unisono col mio…
Quando sentii il mio respiro regolarizzarsi sorrisi, alzando i miei occhi nei suoi, fissi su di me, ed allungando le labbra ad accarezzare le sue, per scendere poi a succhiare la sottile cicatrice alla sinistra del mento.
“Lo sai che ho vinto io, vero?” domandai scherzoso, continuando a baciargli il collo; sentii i muscoli della mascella di Hisashi tendersi.
“Come, prego?” mi chiese, inarcando le sopracciglia disegnate.
“Certo! Questo era uno one”on”one, giusto? Sei venuto per primo e quindi hai perso, no?” chiarii ammiccante, con un sorriso divertito.
“Bè, l’ultimo ad attaccare sei stato tu… quindi adesso tocca a me, attaccare per l’ultima volta…” mi propose risoluto Mitsui, punto nell’orgoglio [questa frase è presa direttamente dal cap 192 di slam dunk, nello ono-on-one tra mitchi e ru…ndA]
“Le tenti tutte pur di vincere…” mormorai, attirato dalla luce di sfida che brillava in quello sguardo scuro, come una falena dal fuoco…
“Sendoh… io non accetto mai una sconfitta, ma soprattutto io non perdo. MAI.” chiarì invertendo le posizioni e portandosi a cavalcioni sopra di me, fermandomi i polsi sopra la testa con una mano e rapendo le mie labbra in un bacio; con leggeri morsi sul labbro inferiore chiese l’accesso alla mia bocca, per poi passare a stuzzicare la mia lingua con la sua con possessività. Ci staccammo qualche secondo per osservarci negli occhi e poi risprofondare in un altro bacio passionale…
continuando a tenermi i polsi fermi Mitsui scese lentamente lungo la mia gola, mordicchiando goloso il pomo d’adamo, succhiando l’incavo tra le due clavicole fino a farlo arrossare per poi risalire a baciarmi le spalle; dal canto mio gemevo una lunga litania di lamenti che stentavo a riconoscere come miei, troppo rapito da quel corpo caldo semisdraiato sopra il mio e dalla sua virilità a contatto con la mia.
Finalmente mi liberò le mani, lasciandomi maggiore campo d’azione, ma dovetti usarle per tapparmi la bocca, quando senza preavviso si accucciò tra le mie gambe e accarezzando con la lingua tutta la lunghezza della mia erezione.
“Che c’è, amore… sono troppo bravo per te?” scherzò con un sorriso sornione e facendomi l’occhiolino, ma non ribattei alla provocazione, stupito dal tono dolce con cui aveva pronunciato il nomignolo “amore”, caldo e familiare come mai avrei pensato che l’avrebbe fatto suonare la voce di Hisashi…
Quella a cui diede vita Mitsui fu una vera e propria tortura a mie spese, con un ghigno che non presagiva nulla di buono si chinò nuovamente sul mio membro leccandolo delicatamente, per poi staccarsi, dare un paio di morsi all’interno coscia e poi ridedicarsi alla mia virilità, accarezzandola con la lingua morbida e poi abbandonandola nuovamente, dedicandosi ai miei addominali… il tutto con estrema calma e delicatezza, costringendomi a ridurmi a pregarlo per avere di più…
Ma il mio aguzzino non parve intenerirsi, anzi, continuò col suo tormento, iniziando ad accarezzarmi con un dito, mentre con l’altra mano cominciava a stimolare la mia apertura; ero così teso che avrei potuto spezzarmi, ma sapevo che anche lui era al limite e non avrebbe resistito a lungo, difatti sentii penetrarmi il primo dito. Feci leva sui gomiti e mi sporsi, catturando le sue labbra sensuali.
“Sbrigati, perché non ce la faccio più…” gli sibilai all’orecchio, mordendone il lobo; lo sentii irrigidirsi sul mio corpo, prima di iniziare a penetrarmi con lentezza, per cercare di non farmi male.
Una volta che fu completamente dentro di me avvertii nuovamente quella sensazione di perdita e completezza allo stesso tempo, che mi aveva sfiorato quando lo possedetti per la prima volta.
Venni dopo poche spinte, poco prima che lui si riversasse in me.
Quando fece per staccarsi dal mio corpo lo bloccai abbracciandolo stretto.
“Ti prego… restiamo ancora un attimo così…” gli sussurrai sulle labbra, prima di nascondere il volto nell’incavo della sua spalla.
“Ti farò male, dopo. Idiota. E io non voglio…” mormorò, accarezzandomi le tempie con le labbra "e poi… questa volta ho vinto io!” esclamò divertito, alzandosi in piedi, guardandosi intorno alla ricerca dei suoi vestiti.
“Guarda che abbiamo concluso in parità… ci vorrebbe una rivincita…” ammiccai malizioso, infilandomi i boxer, lui non rispose alla mia provocazione, finendo d’allacciarsi i pantaloni per poi cominciare a pulire il disastro che avevamo lasciato sulla poltroncina plastificata in religioso silenzio.
“Bè, signor Sendoh… noto che con l’aiuto di mio figlio la sua leggendaria paura per il mio studio dentistico le è passata!!!!!!!” la voce ironica del dentista Mitsui-san ci fece sobbalzare entrambi, era decisamente arrabbiato…

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“…e quello che shuccesshe dopo…hic! Non è poi tanto interesshante… vi bashti sapere che…hic! Hisashi non ha più messho piede nello studio di suo padre…” non riuscì neanche a finire la frase, che il suo koibito, con gli occhi pieni di lacrime di rabbia, gli tirò un ceffone poderoso per poi scappare correndo.
Lo schiaffo ebbe il potere di far tornare sobrio il malcapitato giocatore di basket, che scotendo il capo per mettere a fuoco la situazione guardò di nuovo Mitsui, che stava discutendo animatamente con Kogure, e poi rincorse Koshino gridandogli qualcosa.
Anche Kogure si alzò, ma con la voce ferma e secca disse “Andiamo a casa, Hisashi. Ne parliamo poi.”
Salutati gli altri ospiti, quindi, la coppia lasciò la casa.
“Che dite, ci andiamo a prendere un gelato?” propose Hanamichi, ridacchiando. Sapeva che quei quattro avrebbero fatto la pace, non si preoccupava affatto. E ormai il sole stava tramontando, lo scopo era stato raggiunto.
“Noi andiamo” si scusò Camus “Abbiamo un duro allenamento, domani.”
“L’anno prossimo organizziamo da noi” propose Ranma stringendo la mano del rossino “ora ci avviamo anche noi; non voglio arrivare col buio altrimenti rischio di perdermi, grazie al senso dell’orientamento di questo testone…” disse smentendo il tono canzonatorio con la carezza che fece sulla guancia del ragazzo che sbollì subito la rabbia.
Come loro anche Makoto, Ryu, Mana e Klaha lasciarono Kanagawa: il giorno successivo avevano chi un concerto e chi una seduta di registrazione.
Goku invece aderì con entusiasmo alla proposta: “Per il cibo c’è sempre tempo” disse con tono che non ammetteva repliche per zittire le proteste di Sanzo.
Hanamichi e Rukawa afferrarono le giacche, spensero la luce e uscirono.
Mentre chiudeva la porta, il rossino esclamò “Comunque neanche se scrivessero per cento anni arriverebbero mai ad immaginarsi tutto quello che noi siamo in grado di fare, vero kitsune?”
“Do’hao” fu la risposta seccata del volpino.
Il rumore dei loro passi si spense.
il silenzio calò nella stanza.
Dopo qualche istante, però…
“…Sys?
Sys?”
“Sono qua, Lucy! nell’armadio!”
Una ragazza castana con degli occhiali piuttosto spessi scivolò fuori da sotto il divano, pulendosi le ginocchia.
Poi si avvicinò all’armadio e lo aprì, permettendo così ad una formosa moretta di uscirne.
“Coff, coff” tossicchiò lei “Quanta polvere! Si vede che non c’è una ragazza in questa casa. Hai fatto?”
“Of course, Team Master!” rispose l’altra con un sorriso furbetto, mostrandole il registratore tascabile che stringeva in pugno.
“Benissimo!” approvò lei.
Poi si spostò al centro della stanza e chiamò “Ragazze! Team Mates, venite fuori, dai!”
Rispondendo al suo richiamo, da dietro una tenda, da sotto il tavolo, dal soppalco della cucina, dal ripostiglio sotto le scale, dallo stanzino delle scope, dalla dispensa e dal cortile apparvero altre sette fanciulle, vestite di nero e con un passamontagna.
“Aurora a rapporto!”
“Mercedes a rapporto!”
“Chikara a rapporto!”
“Ki-chan a rapporto!”
“Aimi a rapporto!”
“Fiorediloto a rapporto!”
“Olga a rapporto!”
“Ditemi ragazze, tutto ok?”
Si fecero avanti Fiorediloto e Mercedes, la prima con una Polaroid digitale e l’altra con una videocamera ad alta definizione.
“Fotografato tutto, Team Master!”
“Ripreso tutto, Team Master!”
“Beh, allora possiamo tornare a casa” approvò la ‘capa’.
“Datemi tutto il materiale, così scriverò la ficcina per Najka in quattro e quattr’otto!”
Lucy le si avvicinò e le bisbigliò qualcosa all’orecchio.
“Hai ragione, sys!
Sentite, dato che ho gli esami incipienti…che ne dite se ne scriviamo un pezzo per una? Tanto avete i vostri registratori, quindi non dovrebbe essere difficile. poi mi mandate tutto, io incorporo la mia parte e ta-daan! Il regalo è servito!”
Le ragazze accettarono con gioia.
Uscirono di soppiatto dalla finestra una dopo l’altra, con la testa già piena di idee per il proprio pezzo.
Marty, la Team Master, rimase per ultima.
Lucy la chiamò da sotto il cornicione.
“Arrivo, sys! Solo un momento!”
Entrò in cucina e, con un grosso pennarellone indelebile rosso, scrisse qualcosa sulla pagina del calendario relativa a marzo.
Sogghignando, seguì le altre via dalla casa.
Avrebbe dato qualunque cosa per esserci, quando Kaede ed Hanamichi fossero rientrati ed avessero trovato scritto a caratteri cubitali “GRAZIE DELL’AIUTO! CI VEDIAMO L’ANNO PROSSIMO! Le Team Mates”… ma sarebbe stato tentare troppo la sorte. Decisamente troppo.

*OWARI*


NOTE RINGRAZIAMENTI & DEDICHE CONCLUSIVE

Spero ti sia piaciuta, Najkuccia…
Noi ci abbiamo messo tutto l’amore possibile.
Ed ecco qua i messaggi aggiuntivi delle Team Mates.

CHIKARA (sotto il sole) : Postilla della beta della AkaUoz: “Per correggere questa parte ho fatto appello a tutto il mio stomaco, che solidale, nonostante l’immenso sforzo, non mi ha abbandonata. Per fortuna erano passate molte ore dall’ultima volta in cui avevo mangiato.” Ma è questo il ‘bello’ della fic” no? Chiedo perdono a tutti per questa follia soprattutto a Naika e prometto che non lo farò mai più…

MERCEDES (in mezzo alle viole): Ok. Prima ficci in assoluto che scrivo sul DIVINO Mana. Mi vergogno da morire e se fosse per me l’avrei già distrutta…ma spero che vi possa piacere^_-.
Ad ogni modo, NIENTE di ciò che ho scritto è veramente avvenuto (che io sappia), e sia Mana che Klaha non hanno niente a che fare con i miei deliri. Per quel che ne so, potrebbero essere entrambi sposati e con figli (NON TRA DI LORO! Eheh;P).
Inoltre, come ben sapete, non guadagno nulla dalla scrittura di questa ficci…se non la vostra eterna ammirazione;PPPP scherzavo>_>. Quindi non disturbate l’avvocato, anche perché non otterreste nulla da me-_-…
Come potrei esimermi dal ringraziare la mia specialissima commare per avermi aiutato nel momento nel bisogno, per avermi teso una mano amica, per avermi aiutato a risalire dal pozzo nero della depressione e, sopratutto, avermi aiutato a superare una temporanea crisi di ispirazione? Questa ficci esiste solo grazie a lei, che tra l’altro ne ha scritto il 50% ^^;;…… e ci tengo a far notare che ne ha scritto il 50% più difficile, e che se io ci ho messo i personaggi e l’ambientazione, la LEMON l’ha scritta lei^_-…Insomma, Fiore, mia amata, mi prostro ai tuoi piedi e ti ringrazio di tutto!^_^… p.s. dubito che Mana-sama leggerà mai ‘sta cosa… cmq ci tengo a precisare che mi vergogno da morire;PPPPP, scusa Mana-sama;_;”
Kedakaku saite, utsukushiku chiru: è un verso della sigla d’apertura di Versailles no Bara, ‘Bara wa Utsukushiku chiru’. Ci stava troppo bene in quel pezzo^_-.
Maiko: apprendista geisha.
Geta: i sandali di legno tradizionali giapponesi.

KI-CHAN (sulle scale): Augurissimi Najka!

FIOREDILOTO (sul pedalò): Allò, su questa ficci non c’è niente da dire perché è una discreta ciofecuccia, spero che siate clementi e riponiate le pale e i picconi… pietà, non mi ammazzate!!! Comunque sono contenta di averla scritta perchè è una Mitko (*____________* HISAKIMI FOREVER), cioè in assoluto il mio pairing preferito di SD……..!!!!!!!! Avrei voluto metterci un po’ più di pucciosità, ma… sapete com’è… il rating chiama!!! Questa la dedico alle raga del Comitato, bacini baciò a tutti quanti e alla prox (eh eh) lemon furiosa, dal titolo “Ser Uozumi e i suoi piccoli schiavi”!!!
Sendoh, Koshino, Fukuda… e tutti gli altri: AAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!

LUCY (sotto una galleria - in piscina): Tantissimi auguri a Najka-padroncina-seinsei!!!^O^
Grazie per essere mia amica, sei una ragazza fantastica e ti auguro con tutto il mio cuore tanta felicità!! Inoltre grazie per essere la mia padroncina *__* ti voglio bene!!!
Spero accetterai queste due scene lemonose, e non pensare male, me essere stata punta dalla hentaite acuta!!!ç__ç
Per il momento dovrai accontentarti, per la tua ficci di compleanno beh, dovrai aspettare un pochettino… devo terminarla oggi, se ci riesco!! Tanti auguri ancora!!!^O^
I miei ringraziamenti vanno alla mia splendida sys: grazie per tutto quello che fai, grazie per farmi sentire meno strana di quello che sono… grazie per volermi bene!!!^O^

OLGA (mangiando una mela): ringrazio la mitica team Master che ha sopportato i miei ritardi, Naika che come un faro nella notte illumina la mia totale incapacità nello scrivere scene hot e per questo mi sprona a fare meglio (grazie mia dea) e le altre team mates….qualcuna ha consegnato dopo di me …ç__ç son commossa…^^ La dedico inoltre a Eny, Masha, Urd (tesò), Himeko (amò), Kieran e Denise (mi mancate), soffio_chan, enlil, Yu-destiny (amore),Tesla, Witch etc..etc..ho dimenticato qualcuno di sicuro fustigatemi…l’idea di base cioè della sbronza ( che poi s’è trasformata in ‘sto casino) l’ho presa dall’ultimo film di Almodovar….Quant’è figo Gael *////////*

FIOREDILOTO (in alto mare): Hola! Questa è la mia seconda ficci su Saint Seiya e la prima in assoluto sul pairing (bellissimo *ç*) CamusxHyoga. Spero che vi sia piaciuta, un bacino concorde a tutte le sbavanti ammiratrici del biondissimo duro&puro!!! Contento, Hyo?
Hyoga: *__*
Maestro Camus?
Camus: *___* (poi si ricompone) cioè… volevo dire… ah-ehm… ^_^ <-------- sorrisetto alla Sendoh in versione dopo-funerale!!!

AURORA (saltando a una festa): Allora…io volevo fare un augurio a Naika con la speranza che scriva ancora taaaaaaaante ff melossoso-lemonose…Buon compleanno Divina *_______* Grazie a Mercy, che ha commentato la mia parte in anteprima… E baci stratosferici a Marty-chan, la nostra team-master privata! ^ O ^ Sei stata bravissima, per cui meriti uno spazietto di ricordi imperituro, se non altro per non dimenticare mai quanto profondamente sadica sei stata con le tue sottoposte ç___ç

MARTY_TEAM_MASTER: Allora, in primis ringrazio tutte le team mates per lo sforzo profuso e per la pazienza con me…grazie davvero, anche per avermi accompagnata in quest’avventura! E’ stato davvero bello ç__ç mi mancherete!
Grazie soprattutto a Mercedes, Lucy e Lalla che hanno scritto ben due lemon per riempire i posti vacanti di coloro che avevano aderito e poi hanno disertato…male, male, male! Vi siete perse qualcosa di grande!
Ah, Fiorediloto…ti adoro ^O^
Un bacio a Najka e augurissimissimi per il suo compleanno! Spero davvero che ti piaccia questo pensiero…la fic che ti avevo promesso la scriverò comunque, tranquilla!

MERCEDES (lo farei…lo farei…lo farei): Salve^^ beh, che ne pensate?
E’ la prima storia che scrivo su questo gruppo musicale, anche se non è la prima che scrivo su dei cantanti, ma è la prima slash in assoluto su un gruppo giappo^^
E’ stato un po’ difficile perché conosco il gruppo da poco tempo e ho dovuto intuire se non addirittura ‘inventare’ il carattere dei componenti. Mi sono basata soprattutto sulle foto che ho preso da internet (e che vi posso passare se volete^^) e su una intervista in TV che ho registrato in Japan mentre ero lì a Marzo.
La loro musica è molto carina, divertente e energica. Qualcuno l’ha definita ‘circus rock’, un rock solare e un po’ schizoide che vi fa venire voglia di saltare!^^ non ho ancora potuto dare un’occhiata ai testi (non si trova molto in siti inglesi, dovrò avventurarmi in quelli giappo) delle canzoni…ma non fa niente^^
Un’altra cosa che me li rende cari è che vengono da Osaka, una città nella quale ho letteralmente lasciato il cuore…sigh ;__;
A parte questi sproloqui, spero che vi sia piaciuta^^ progetto di scrivere altro su di loro ^^ adoro Makoto ^^ è così carino che mi viene voglia di morderlo O_O se poi pensiamo che al 100% sono più alta di lui…O__o
1)Il programma televisivo che nomino a un certo punto l’ho registrato da una tv giappo mentre ero a Osaka. Non so se l’intervista sia effettivamente passata alla storia, però mi sembrava uno spunto divertente^^
2)Non ho idea di come si chiami Makoto di cognome, poiché in nessun sito compaiono i loro nomi completi. In realtà non è che me ne importi moltissimo, così ci ho messo un cognome che piace a me^^
3) Note sulle parole giapponesi: ‘Dou’ significa ‘Come va?’ o ‘Come stai?’ in questo contesto. La parola da sola significa ‘Come?’ ^^;
Motto’…significa ‘di più’ *ç* /me si vergogna O_O
Più avanti, ‘itai’, pronunciato da Makoto con un miliardo di ‘i’, significa né più né meno ‘mi fai male’ ^^;;
Mentre ‘fukaku’…ehm…vuol dire ‘più a fondo’ O_O
Ringraziamo Gackt per avermi fatto imparare queste dolci parole O_O
Boku mo, come molti sapranno grazie all’intelligentissima pubblicità della Fiesta (la merendina), significa ‘anche io’. ^_^


AIMI (lo farei con te): grazie alla team master perchè è stata brava, buona e paziente….grazie per avermi fatto partecipare a questo progetto anche se ti ho fatta disperare!!!!!!!!!! sei troppo brava!!!!!!!


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