DISCLAIMERS: date alla Rowling quello che è della Rowling e a Tes quel che è di Tes..

DEDICHE:tutti i riferimenti a Ron/Hermione sono puramente voluti e dedicati interamente a Taty XD, santa donna che mi sopporta… l’Harry/Draco è per Silvia T. che ha fortemente voluto questo seguito J… Ta-daaaaan! E per Amanda J: un bacione immenso, tesora! Spero solo che non vi sentiate male dopo averlo letto O_O’’’…

DEDICA DEL CAPITOLO: la fic in generale già le è dedicata, ma senza il suo supporto morale e i suoi incoraggiamenti (e devo dire anche senza le sue minacce XD) non sarei mai andata avanti... grazie mille, Silvia, è tutto per te!

NOTA IMPORTANTE: non ho ancora letto il sesto libro e non so assolutamente nulla su di esso e non voglio sapere nulla su di esso finchè non finisco questa maledetta fic, o potrei rimanerne TROPPO influenzata, e la storia come l’ho creata andrebbe a farsi benedire-_-…

-_- la storia  è nata 2 estati fa mentre aspettavo Seimei  da Spizzico; ci ho lavorato sopra due anni e si prospetta la cosa più lunga e complicata che io abbia mai scritto o immaginato… ora se riesco a scriverla sarebbe una cosa stupenda XD, perciò Harry, Draco, Blocco dello Scrittore: collaborate-_-, vi prego!

 

RINGRAZIAMENTI: Grazie a Ninnichan *_* e Kieran*_* e la Nipo love love *_* di esistere, a Pam e Saku per le risate ,a Crius del suo stupendo commento su SFIDA *_*! 

RINGRAZIAMENTO SPECIALE: a tutte le persone che stanno commentando VISIONS: grazie mille di cuore (_ _), siete gentilissimi/e !

NOTA AL CAPITOLO: ehm... dopo un anno,ecco qui il capitolo... ^^''''' qualcuno si ricorda ancora questa storia?

 ”buona” lettura!...^^’’’’ spero…


 
 
 
VISIONS

di Tesla

capitolo XIV di XVII

 

 

FUGA DAGLI ABISSI

 

 

Ci sono morti ovunque, lì nella sala comune dei Grifondoro.

Ron, Neville e Zacharias Smith avanzano piano, con gli occhi sbarrati e una smorfia inorridita incagliata sui visi a quella vista… corpi di goblin ustionati o deformati dagli incantesimi e corpi di studenti con squarci al petto, alla testa, alle gambe, gettati uno sopra l’altro come scatole di latta vuote in una discarica. È tutto un ammasso di mobili ribaltati, di morti e ferite, creature senza più respiro e identità cosparsi di sangue come ruggine su una vecchia ringhiera corrosa dalla salsedine.

Zacharias si piega in due in preda ad un conato, tenendosi la pancia e cercando di rigettare in un punto sgombro di corpi; Neville indietreggia di scatto, sbatte contro la parete e scoppia in singhiozzi silenziosi, coprendosi gli occhi con i palmi delle mani.

Ron avverte tutte queste cose, ma le registra solo passivamente. Davanti a quello spettacolo, non si sente più né disgustato né disperato.

Solo disgustosamente, disperatamente impotente.

Qualunque speranza che quello in infermeria fosse un attacco isolato è stata stroncata nel modo più duro.

“Siamo arrivati troppo tardi” pensa istupidito dallo shock. Ginny, Hermione, Dean, Seamus… sono tutti scomparsi.

Il suo sguardo si posa sui corpi degli studenti morti; avanza piano, i piedi pesantissimi, facendo attenzione a non scivolare sulle chiazze di sangue scuro sul pavimento.

 

(Ginny ed Hermione sono morte, Ron… non le vedi solo perché sono sepolte sotto qualche altro cadavere)

 

“No…no…” pensa, e all’improvviso incomincia a sollevare corpi e spingerli di lato per cercarle, per trovarle, con il respiro che diventa sempre più rauco e affannoso e il cuore che batte così forte da far male. Il suo sguardo sfreccia nel panico nella sala, in cerca di un ciuffo di capelli rossi o di una ciocca cespugliosa e castana.

-          Ginny.. Herm… Herm… - bisbiglia frenetico rovistando tra i morti e sporcando le bende della mano rotta fino all’avambraccio; si passa distrattamente una mano sulla fronte per tergersi il sudore, e sulla tempia gli rimane uno sbaffo rosso cupo.

-          Ginny… Herm… Herm…

“Lo avrei sentito se fosse capitato loro qualcosa… lo avrei sentito” cerca di costringersi a pensare, e continua a frugare con lo sguardo, con il respiro affannoso.

Poi, mentalmente conta i corpi.

Quando realizza, si interrompe di colpo e si volta verso Neville e Zacharias.

-          Non sono tutti! N-non… non sono tutti i Grifondoro!!! EHIIII, C’È QUALCUNO?- grida con voce gracchiante rivolto alla sala comune. – EHIIIII?

Neville sussulta, e allontana le mani da viso, mesto.

-          Ron, non c’è nessuno qui- bisbiglia con un filo di voce.

-          Nev, contali!- sbraita Ron,- conta i morti! N-non ci sono neanche un… un quarto dei G-Grifondoro che sono rimasti al castello per le vacanze!

Ed è vero, deve ammettere Neville ad una seconda occhiata. Sono perlopiù alunni dei primi anni; l’unico volto che riconosce, prima di distogliere lo sguardo, è quello di Kenneth Towler.

-          Gli altri devono essere vivi! Devono essere… ah!- Ron scivola su una chiazza di sangue a terra e si aggrappa ad una poltrona ribaltata appena in tempo per non cadere sul cadavere di una ragazzina .

 

(Fa che Ginny ed Herm stiano bene, ti prego)

 

Si rimette in piedi e rialza il viso, la pelle verdognola e sudata.

-          EHIIIIII!

-          Chi siete?- strilla una voce tremante dai piani superiori. Ron impiega qualche attimo a riconoscerla.

-          JACK! JACK, SONO IO, RON WEASLEY!

-          Ron!

Sentono dei passi scendere rapidamente le scale, e poi Jack Sloper e Vicky Frobisher appaiono oltre l’arco della rampa. Sloper ha la testa fasciata e diverse piccole ferite al torace; Vicky invece è indenne.

-          Ron! Neville! Siete vivi!

Si gettano su Ron e Neville per abbracciarli, ma Ron afferra Jack per una spalla e lo scrolla, pallido in volto.

-          Ginny. Dov’è mia sorella?

 

(Perché non è scesa con loro? Perché non gli è venuta incontro?)

 

(Fa che sia viva, fa che sia viva, ti prego)

 

-          Calmati, Ron…

-          DOV’È MIA SORELLA?!?

-          Sta bene, Ron!- si affretta a rassicurarlo Vicky . – Sta benissimo. Si era tagliata un labbro, ma il sangue si era già fermato quando è andata a controllare i Corvonero con gli altri.

-          Hermione è con lei? Hermione dove… dove…

Vicky e Jack si scambiano un’occhiata.

-          Non lo sappiamo. Non era nella torre quando ci hanno attaccato.

Ron emette un gemito angosciato: cinque Dissennatori, un Mangiamorte e forse altri goblin, Hermione è scomparsa e le ultime parole che le ha rivolto sono stati insulti urlati con odio. E se le succedesse qualcosa, se solo…

“No, no, no” pensa inghiottendo indietro la paura. “Lei è viva, lo sento”.

Si passa una mano rossa tra i capelli per schiarirsi le idee, e le ciocche rimangono compatte e appiccicose di sangue.

-          Dove… sono tutti gli altri?- chiede Neville a mezza voce.

-          Sono su nei dormitori, ci sono un sacco di ragazzi feriti. Alcuni io non so se p-possono farcela. Ora ci stanno pensando Andrew, Patricia e Lavanda.

-          Ci hanno attaccato all’improvviso- mormora Jack Sloper come in tono di scuse. – Prima che potessimo reagire avevano… ucciso… un sacco di ragazzi.

-          E Ginny…. Ginny è andata dai Corvonero, giusto? – domanda Ron.

-          Si, si- si affretta a dire Vicky,- ma stava benissimo. Benissimo. Calì era spaventata a morte per la gemella che sta lì, ed è voluta andare per forza. Con lei sono andati Ginny, Dean, Seamus, Katie Bell e i due Canon. Ginny non ha voluto nessun altro, ma stavano tutti messi bene.

“Ha voluto solo gente addestrata a combattere” riflette Ron. “Gente che è stata nell’ES e di cui si può fidare in uno scontro”.

È il turno di Ron, Neville e Zacharias di raccontare ciò che è successo; Vicky e Jack ascoltano in silenzio, e i loro volti vanno sbiancandosi per la preoccupazione.

-          Come ha fatto un Mangiamorte ad entrare a Hogwarts?- domanda in un bisbiglio Jack.

-          Come hanno fatto i goblin?- gli risponde di rimando Neville.

Ron si stringe nelle spalle, sgomento. Non lo sa. Quello che però lo preoccupa, e che non dice a Vicky e Sloper, è che non sa neanche che fine abbiano fatto Tonks e Kingsley, e questo, non sa perché, lo spaventa ancora di più. Due Auror al loro fianco possono fare la differenza, ma saranno ancora vivi?

-          Sentite- dice infine Ron, - io vado a cercare mia sorella, forse hanno bisogno di aiuto. Voi restate qui e aspettateci, e non abbassate le difese: sono entrati una volta, possono rifarlo.

 

(Già, Ron, ma come hanno fatto? Chi ha tradito?)

 

-          Quando torniamo, troveremo un modo per uscire tutti insieme dal castello. Ok?

Vicky e Jack annuiscono.

Ron si dirige verso il buco d’ingresso e si issa goffamente fuori dalla sala comune; Neville lo segue, le guance ancora umide di lacrime.  Dopo un attimo di incertezza, con una smorfia disgustata Zacharias raccoglie da terra una bacchetta magica sfilandola dalla presa di un morto, la pulisce dal sangue e, dopo un piccolo cenno di saluto con il viso pallidissimo, segue Ron e Neville oltre il ritratto della Signora Grassa.

 

Raggiungono la torre di Corvonero più in fretta che possono. Il quadro di ingresso, Gandalf con la faccia appoggiata su una pergamena nella biblioteca di Minas Tirith, è spostato di lato, lasciando scoperto il buco d’entrata; il mago è stato Schiantato, come tutti gli altri dipinti, e sta sciogliendo la testimonianza di Isildur sull’Unico Anello con la saliva che gli cola dalla bocca.

Non hanno fatto che pochi metri quando arrivano Ginny e gli altri dall’estremità opposta del corridoio, grigi in volto; hanno un’espressione cupa, inquieta, ma nessuno di loro sembra ferito in maniera seria, e il cuore di Ron ha un sussulto violento di gioia.

I membri della squadra di salvataggio parlottano fitti tra loro, poi Ginny distoglie lo sguardo  dal viso di Calì, lo sposta davanti a sé e vede Ron.

-          GINNY!

-          RON!

Fratello e sorella si corrono incontro, si stringono fra le braccia a lungo, tremando e ridendo allo stesso tempo, fuori di sé dal sollievo.

Ron ignora il dolore al braccio, che per con tutto quel movimento sta diventando sempre più lancinante; ora è importante che Ginny stia bene, e sia accanto a lui.

-          Stai bene?- le domanda quando finalmente riesce a ritrovare la forza di parlare.

-          Si, sto bene- dice lei sorridendo. -Tu?

-          Bene. Quasi bene, ora.

-          Ron! Ron la tua mano! Che hai fatto?- sussurra Ginny spaventata quando vede la forma contorta delle dita sotto le bende lerce di sangue. – Aspetta, te le aggiusto io.

Elimina il vecchio bendaggio ed esegue un nuovo “Ferula”; la mano pulsa ancora dolorosamente, ma quelle bende pulite, non sa perché, sono per Ron come un segno di speranza.

-          Hermione?.

Lui scuote la testa, perso.

-          Nessuno l’ha vista, e non era nella torre prima dell’attacco.

-          È viva- mormora Ginny decisa, e sembra convinta di ciò che dice… almeno quasi del tutto. – Si,  è viva, lo sento.

Ron annuisce e non dice nulla, perché ha la gola stretta in un nodo gelido. “Fa che stia bene” continua a ripetere nella sua testa, “fa che stia bene”.

Dean, Seamus e gli altri si avvicinano con un sorriso tirato, e Ron e Neville non possono fare a meno di ricambiarli; hanno tutti fatto parte dell’ES, sono tutti amici, e sono di nuovo riuniti. Se solo ci fossero anche Harry ed Hermione lì con loro…

Salgono su per il buco oltre il ritratto e raggiungono i Corvonero sopravvissuti nei dormitori. Nella sala comune, i cadaveri sono stati nascosti con lenzuola e coperte, e in diversi punti il tessuto è talmente zuppo di sangue da risultare quasi trasparente. Il primo dormitorio che incontrano è quello dei maschi del secondo anno; dentro vi sono stipati numerosi studenti, e tra gli altri, Ron scorge Cho Chang, Michael Corner, Terry Boot ed Anthony Goldstein.

Ron si affretta a raccontare loro del Mangiamorte in infermeria, di Madama Chips, Ernie e dei Dissennatori  al quinto piano. Ginny e gli altri impallidiscono alle parole di Ron, ma la cosa non sembra prenderli completamente alla sprovvista.

-          Sospettavamo la presenza di un Mangiamorte – gli spiega Dean. – Abbiamo trovato la Cooman morta, su nella sua torre, senza segni di ferite. E… altri tre ragazzi- deglutisce, abbassa lo sguardo - di Corvonero, nel corridoio per andare in guferia. Di Avada Kedavra.

-          Chi?- interviene Terry trattenendo bruscamente il fiato.

Dean lo guarda, ma non riesce a rispondere subito; aggrotta le sopracciglia e si volta verso Padma, confuso, in cerca di aiuto, ma la ragazza è stata portata in un angolo del dormitorio da Calì, che le sta prestando le prime cure.

-          Io non so i nomi…

-          Stewart Ackerley e Lisa Turpin- dice Katie lentamente, e Terry geme angosciato. – E una ragazza con i capelli castani, lunghi fino alle spalle, dal nome strano… Marian- tenta dubbiosa, -o Moiran…

-          Morag- suggerisce infine Michael Corner, e dopo un attimo Katie annuisce. Dall’altra parte del dormitorio, una ragazza scoppia in singhiozzi affranti.

-          Lei no, lei no, era mia amica…

Un paio di studentesse le si avvicinano e le bisbigliano qualcosa all’orecchio per cercare di calmarla; Ron stringe il pugno nervosamente.

“Fa che Hermione stia bene” prega angosciato, “fa che sia in salvo”. Ma per salvarla, pregare non è sufficiente, lo sa bene. Tutto l’amore che prova per lei è inutile, se non è pronto ad impugnare la bacchetta magica e andare a cercarla… ma lo è? Ora che ha trovato Ginny, è pronto a perderla di nuovo?

-          C’è qualcos’altro, Ron- dice Seamus con una smorfia sul viso.- Hanno appiccato fuoco alla guferia. Gli uccelli forse si sono salvati, ma quelle fiamme devono essere magiche, bruciano i muri di pietra come se fossero di legno. Quando le abbiamo lasciate, erano arrivate alla fine delle scale.

-          E avete abbandonato i corpi di Morag e degli altri lì?- urla una voce scandalizzata.

-          E cos’altro potevamo fare?- sbotta Ginny furiosa.

-          Riportarli indietro, ecco cosa dovevate fare!!!- grida un altro, oltraggiato.

Ginny serra la mascella e ruota su se stessa, come per capire chi ha parlato, ma ci sono troppi visi in quel dormitorio, e la guardano con una tale ostilità negli occhi…

-          Adesso basta- esclama Neville, e la sua voce è sorprendentemente chiara e pacata, nonostante il faccione pallido e contratto. – Portavamo quei corpi qui, e poi cosa? Vorreste trascinarvi tutti i ragazzi che sono morti  in spalla fuori di qui? Saremo già fortunati se riusciremo a trasportare i feriti! Non so se vi rendete conto della situazione, ma ci sono Dissennatori, forse più di un Mangiamorte e chissà quanti altri stramaledetti goblin, all’interno di Hogwarts, e …

-          Dobbiamo uscire!

-          Non possiamo restare qui!!!

-          Infatti! – esclama Ron cercando di riportare tutti alla calma, - infatti! Non possiamo! Però al terzo piano c’è un passaggio per Hogsmeade. È dietro la statua della strega orba, sapete tutti dov’è, no?

-          Ron, come arriviamo fino a lì?- chiede incerta Padma. – Voi siete riusciti a stento a bloccare cinque Dissennatori, avete detto… ma se ora la scala è tornata a suo posto? O se ci fosse più di un gruppo di Dissennatori? Insomma, quanta gente tra noi è in grado di lanciare un Patronus in grado di scacciare anche un solo Dissennatore?

Nel dormitorio cala il silenzio.

Nessuno si muove per un lungo momento, poi alzano la mano Ron, Dean, Katie, i Canon, Calì e Zacharias, ma tutti con aria dubbiosa; ad eccezione di Neville, nessuno di loro è certo di essere in grado di evocare un Patronus in caso di bisogno, e Neville, di suo, non ha alzato la mano: sa già che il suo cane lupo può a malapena trattenere i Dissennatori per qualche secondo.

Ron si passa la mano sinistra tra i capelli, impotente. Il tempo passa, ed Hermione è da qualche parte del castello, da sola. Il tempo passa, e lui ha sempre meno secondi per andare ad aiutarla.

Zacharias Smith conta mentalmente le mani alzate, poi sul suo volto si disegna una smorfia di disprezzo, che può essere anche di terrore.

-          Mi state dicendo che siamo tutti morti?

Ginny, fino a quel momento pensierosa, alza la testa e incrocia lo sguardo con Dean, poi Ron, poi ancora Dean. All’improvviso, una luce di comprensione si accende sul viso di Dean Thomas.

-          Toglitelo dalla testa- sussurra scuotendo il capo, ma Zacharias lo afferra per un gomito, come per zittirlo.

-          Che c’è?

-          Credo ci sia un solo modo- dice Ginny risoluta, e il colore va annacquandosi sulle sue guance. – Un piccolo gruppo… un piccolo gruppo dovrebbe fare da esca. Attirare i Dissennatori e qualunque altra cosa ci sia nel castello lontano dalle scalinate e dal terzo piano.

Deglutisce, e la sua faccia si contrae come se avesse mandato giù un boccone particolarmente amaro.

-          Ascoltatemi- continua,- tra Corvonero e Grifondoro abbiamo due ottime squadre di Quidditch; penso che i… Cacciatori e i Cercatori debbano prendere le scope migliori che abbiamo, attirare l’attenzione dei Dissennatori e portarli via…

-          No!- grida Ron scuotendo furioso la testa, - è una idiozia!

-          Ron, dobbiamo! È l’unico modo per salvarci tutti! Siamo troppi per usare i passaggi segreti, ci sentirebbero, e se finiamo rinchiusi lì è la fine, non avremmo via di scampo. Così invece ce la possiamo fare!

Ron la fissa a lungo, tremante.

-          Allora vengo anche io. Faccio parte anche io della squadra.

-          No, Ron- dichiara Ginny decisa. – Nessun Battitore, nessun Portiere, sareste troppo lenti. I Cercatori e i Cacciatori sono gli unici ad essere abbastanza veloci e abili su una scopa per riuscire ad uscirne vivi. Ragiona, Ron! Ragionate tutti: siamo abituati a fare bruschi cambi di direzione, virare all’ultimo secondo, evitare i Bolidi e i giocatori delle squadre avversarie. Siamo gli unici che possono farcela!

-          NO!!!- strilla Cho Chang in piedi davanti ad uno dei letti, il volto paonazzo e bagnato di lacrime. – Forse tu sei così stupida da rischiare la tua vita, ma non coinvolgere gli altri! Non coinvolgere me! Vuoi andare ad ammazzarti?- urla gesticolando furiosa verso la porta. – Bene, VAI! Ma non puoi obbligarmi ad andare incontro a quei mostri!

-          Ma… Ma Cho- mormora Ginny, - noi siamo giocatori di Quidditch, sappiamo volare…

-          PENSI CHE FACCIA DIFFERENZA LÀ FUORI? DAVANTI AI DISSENNATORI SIAMO TUTTI UGUALI!!!

-          ADESSO BASTA, CHO! – grida Michael Corner. – Vado io al posto tuo, ok?- dice deglutendo, poi si volta verso Ginny, e la guarda, serio in volto. – Io sono il Cercatore di riserva. So volare bene, lo sai. Mi hai visto.

Ginny esita, poi annuisce piano con il capo: nelle condizioni in cui è Cho, è probabile che non riesca neanche ad alzarsi dal suolo; e poi non può obbligare nessuno a seguirla, no?

-          Va bene. Dove sono i vostri Cacciatori?

Michael si volta verso una ragazza piuttosto minuta e piena di lentiggini, che fa un passo in avanti. È talmente pallida e sudata che sembra sul punto di rimettere l’anima… di certo quando aveva partecipato ai provini per entrare in squadra, ad inizio anno, non poteva immaginare che di lì a qualche mese avrebbe rischiato per questo la vita.

-          Orla è qui. Bradley e Chambers sono… di sotto.

 

( In sala comune, coperti da un lenzuolo bianco con margherite di sangue)

 

-          Oh, ok- sussurra Ginny annuendo e deglutendo a fatica. – Orla, te la senti?

Orla Quirke non apre bocca, ma fa un cenno affermativo con la testa.

-          Katie?

Anche Katie Bell fa segno di sì.

-          Bene. Chiederemo a Patricia quando ci riuniremo con gli altri nella nostra torre.

Il suo sguardo si sposta sui visi smunti dei ragazzi, si posa su Zacharias Smith, e lì si ferma.

-          Smith, tu sei il Cercatore dei Tassorosso. Te la senti?

C’è una pausa lunghissima, e Zacharias si fissa le scarpe, accigliato. Quando Ginny fa per voltarsi verso gli altri, arresa, Smith alza lo sguardo verso di lei.

-          Eravamo nell’ES insieme, ci siamo preparati per questo. Ok. Ok, d’accordo, sono dei vostri – dice con voce ferma, anche se l’espressione sul suo viso è tutt’altro che entusiasta. – Ginny ha ragione, possiamo farcela. E se riesco a seminare i Dissennatori, con una scopa potrò andare più velocemente ad avvertire gli altri Tassorosso.

Per un istante, Ginny ha l’impulso di fargli notare che molto probabilmente a quest’ora i suoi compagni di Casa si saranno accorti da soli dei goblin dentro Hogwarts… ma è un attimo che passa subito. È inutile farlo agitare ulteriormente.

Gli studenti si infilano nelle tasche le bacchette e i loro animali, ed aiutano a trasportare  i feriti. Mentre percorrono i corridoi verso la torre di Grifondoro, Ginny prende la mano di Dean e la stringe forte. Dean la guarda in silenzio, incapace di trovare le parole.

-          Ti rendi conto anche tu che è l’unico modo per farcela.

-          Sì- risponde Dean, la voce flebile ridotta quasi ad un sussurro non udibile.

-          E sai anche che moriresti, se ti unissi a noi. Non sei mai stato bravo a volare. Invece mi devi aspettare, hai capito, Dean?- dice Ginny, e cerca di sorridergli tranquilla, anche se si sente gli angoli della bocca tremare. – Aspettami. Perché io tornerò.

 

***

 

L’errore più grande che Hermione e Luna possono commettere, l’unico che fanno, è credere che l’ufficio di Silente sia sicuro.

Serve  la parola d’ordine per entrare lì dentro, come per le sale comuni delle quattro Case, gli spogliatoi ed i bagni; per quanto ne sanno, in quei posti sono salvi, ed è per questo che non degnano la stanza in cui entrano che di una rapida occhiata per individuare il camino.

La scatola di Polvere Volante è sulla mensola; Hermione la afferra, scivola sulle ginocchia coperte dalle vesti zuppe di pioggia davanti ai ciocchi di legno, la apre e vi infila dentro la mano.

Ma la Polvere non c’è.

Nell’agitazione del momento,  impiega qualche istante a realizzare che le sue dita grattano il fondo pulito del cartone. Niente Polvere. Non era preparata ad una eventualità del genere, non nell’ufficio del preside.

-          Perché ti sei fermata?- le domanda Luna, china su di lei.

-          Non c’è…- inizia Hermione voltandosi, ma si blocca di colpo quando scorge qualcosa

 

( Qualcuno)

 

con la coda dell’occhio dall’altra parte della stanza. Raccoglie la bacchetta e si volta, muovendosi così rapidamente da strappare un urletto di sorpresa a Luna, ma l’altro mago è più veloce.

-          Silencium- recita una voce calma e profonda, e dalla bocca di Hermione non esce alcun suono. La mano della ragazza scatta verso la gola, pizzicottando un lembo di pelle sul collo, come per scollare tra loro le corde vocali, ed è tutto ciò che può fare mentre Kingsley Shacklebolt avanza, la bacchetta alzata e stretta tra le dita.

Luna apre la bocca per lanciargli contro una fattura ma Kingsley le ha già raggiunte, e forse perché teme di non bloccare il suo incantesimo in tempo, l’Auror rifila a Luna un manrovescio così violento da scagliarla contro la scrivania e farla cascare oltre il bordo con uno schianto. E a terra rimane, Luna, immobile.

Dal punto in cui si trova Hermione, è possibile scorgere le dita spuntare da dietro la gamba della scrivania; ma Hermione non le vede, si è lanciata di lato per evitare la presa  di Kingsley.

Si getta verso la porta e resta con la schiena umida di pioggia schiacciata contro il legno; sul fianco, la molle pressione del Mantello dell’Invisibilità appallottolato in tasca; nel petto, il respiro gelido come spilli di ghiaccio.

“Non può essere… non può aver tradito l’Ordine” pensa tremando. Fissa sgomenta l’enorme nero che le aveva fatto i complimenti per la sua nomina di Prefetto, l’Auror che aveva insistito per far parte della scorta che avrebbe portato Harry a Grimauld Place, e che era venuto in loro soccorso nell’Ufficio Misteri. È un mago altamente addestrato,  e lei non può ricorrere alla magia, ora che è priva di voce, e non può neanche fuggire. Luna è a terra, e abbandonarla ora vorrebbe dire ucciderla.

 

(Kingsley)

 

(Un Auror)

 

Il cuore si Hermione salta un battito nel petto contratto. Sono stati Kingsley e Tonks

 

(Ha tradito anche lei? Persino lei?)

 

a fornire alla McGrannitt le indicazioni sul presunto rifugio di Piton a Londra. È stata solo una trappola per allontanare da lì gli insegnanti? E da quanto hanno tradito? Quanta gente possono avere ucciso, da allora?

 

(Kingsley e Tonks)

 

(No, non lo farebbero mai)

 

Kingsley si scaglia all’improvviso verso di lei. Hermione sussulta e fa appena in tempo a schivare; lui incanala la spinta rimbalzando sul muro, e sfrutta la velocità guadagnata per sferrarle un calcio. Il tacco dello stivale la raggiunge alla natica destra, ed Hermione viene proiettata con forza verso il trespolo vuoto di Fanny; lo rovescia con uno schianto, e l’asta di metallo del trespolo la colpisce al petto, strappandole con un grido muto tutta l’aria dai polmoni. Boccheggia,cercando di risucchiare gelide palate d’aria, le mani premute sul seno e gli occhi inondati di lacrime.

 

(No, Kingsley e Tonks non tradirebbero mai Silente)

 

Kingsley le si accosta senza fretta. Afferra Hermione per un lembo della manica, ed Hermione scarta di lato, strattonando con forza per liberarsi dalla presa; il tessuto si lacera con un crepitio, e tutto quello che rimane in mano al mago è un cilindro di stoffa inzaccherato. Kingsley lo osserva per un attimo, poi sogghigna e lancia via la manica. Sembra divertito dalla resistenza di Hermione, felice di vederla rannicchiata a terra davanti alla scrivania, rossa in viso e ansimante, gli occhi sbarrati.

Hermione deglutisce a fatica attraverso una gola grossa e grassa di paura. Geme in silenzio, avvolta dal sottofondo tenue della pioggia.

Kingsley avrebbe sacrificato la vita per Silente e per l’Ordine, e il suo cuore non accetta che siano passati dalla parte di Voldemort… ma questo, lascia spazio ad una sola spiegazione.

La Maledizione Imperius.

Da quanto è così? Da quanto è prigioniero del proprio corpo e costretto a passare informazioni ai Mangiamorte?

Ricorda il racconto di … Harry… sulla cattura di Jugson . Era stato Kingsley ad insistere per tenere il Mangiamorte sotto controllo, una richiesta che era quasi costata la vita ad Harry, ed era successo tutto al loro ritorno da Hogsmeade. Tornati, ma fedeli a chi? Possibile che la cattura di Jugson fosse stata una recita per arrivare abbastanza vicini a Silente, o ad Harry? Possibile…

Troppi dubbi, e questa volta, quando Kingsley le si slancia contro, lei non è abbastanza svelta. Le dita scure le si serrano in una morsa appena sotto l’osso della mandibola;  Kingsley la solleva in aria, a sbatacchiare i piedi nel vuoto, fa un paio di passi e la sbatte contro l’armadio, senza un attimo di esitazione nella presa. Hermione boccheggia e strabuzza gli occhi, fissandolo negli occhi; le sue dita graffiano il dorso della mano di Kingsley, cerca di infilare le falangi nella stretta dell’Auror per allentarla, e i suoi piedi scalciano con più violenza, e il suo cuore scarica battiti nelle sue orecchie come raffiche di pioggia, e la vista le si offusca, e appanna, e stinge… e le dita infilzate sotto la mandibola,   e i polmoni… bruciano… svuotati…

 

(“Non so se quello a cui è andato incontro Harry Potter era il destino che gli astri avevano prescelto per lui” )

 

(POTREBBE ESSERE ANCORA VIVO!!!)

 

Era stato il ricordo di Ron, giù nella rimessa, a salvarla dai Dissennatori, ed è il pensiero di Harry che ora le dà la forza di tentare. Smette di cercare di allentare la morsa e ficca un pollice dritto nell’occhio di Kingsley; la resistenza è minima, e poi non c’è più, e il dito AFFONDA, inondato da fiotti di un qualcosa di rancido e semiliquido che Hermione non ha il coraggio di guardare.

Kingsley lancia un latrato devastato dal dolore e la lascia andare, si porta le mani all’occhio spappolato mentre Hermione scivola sul pavimento, boccheggiando e risucchiando aria, sfiorandosi col palmo sudato la gola gonfia, gli occhi inondati di lacrime; il suo petto, le sue spalle, sono scosse da singhiozzi violenti impacciati, ma ancora dalla sua bocca non esce alcun lamento.

Riesce ad allontanarsi di un metro scarso prima che senta mani sollevarla, una per la cintura, l’altra per il retro del colletto. Cerca di sfuggire con una torsione del busto, ma non ha più forze. Kingsley emette un altro urlo e scaglia Hermione contro una teca a lato della scrivania. La ragazza la colpisce col fianco, mandandola in frantumi con un colpo che le strappa l’aria dai polmoni; è più doloroso il secondo impatto, quando ricade sul pavimento cosparso di vetri rotti, e sono fitte violente alle mani, agli avambracci, allo stomaco, alle cosce, quando i cocci le aprono nuovi tagli.

Il mondo intorno ad Hermione si appanna, e c’è il dolore, e gli scricchiolii dei vetri infranti sotto le suole degli stivali di Kingsley mentre si avvicina… ma c’è anche qualcos’altro. Qualcosa di lungo e piatto, e una specie di forma a croce ad un’estremità. Hermione impiega qualche istante a schiarirsi la mente e realizzare cosa sia.

Kingsley avanza sui vetri rotti, singhiozzando e ringhiando in un ansimare roco; Hermione non si muove dal punto in cui si trova,stesa contro il lato corto della scrivania. Non osa spostarsi, o Kingsley potrebbe notare la cosa che lei ha appena impugnato.

Gli scricchiolii cessano, ora Kingsley è dritto davanti ai suoi piedi; una mano copre l’occhio maciullato, le dita così pregne di sangue da sembrare inguainate da un guanto di lattice rosso; l’altra mano punta la bacchetta contro Hermione, pronta a terminare il loro scontro.

Forse per il dolore all’occhio, forse perché non si aspetta che lei ponga resistenza, non riesce a reagire in tempo quando Hermione stringe più salda la presa intorno all’elsa della spada di Godric Grifondoro e la fa roteare in un arco inclinato davanti a sé, tagliando in due la bacchetta di Kingsley. La punta della bacchetta monca vomita schizzi di scintille multicolore, quasi eruttasse di dolore, ma Hermione non ci fa caso, la sua attenzione è altrove: non è riuscita a fermare in tempo lo slancio della spada dopo aver tagliato la bacchetta; ora la lama è conficcata di taglio nella scrivania, e lei non riesce a disincastrarla, soltanto alzarla di qualche centimetro.

Kingsley urla, ed Hermione reagisce di istinto. Colpisce con violenza gli stinchi di Kingsley poco sopra le caviglie e gli fa perdere l’equilibrio; contemporaneamente afferra l’impugnatura con entrambe le mani e spinge verso l’alto. L’impatto del corpo di Kingsley che cade sull’elsa è una scossa che le risale giù sullo sterno e le spalle ferite; la spada si abbassa di colpo sotto il peso dell’Auror, l’estremità inferiore dell’elsa si ferma quasi a sfiorare il fianco di Hermione; ma c’è spazio sufficiente perché Hermione possa sgusciare via dal cadavere trafitto al ventre, ansimando e singhiozzando muta, incapace di distogliere lo sguardo. Le gambe di Kingsley sussultano e picchiano il pavimento, e dalla sua gola esce un gorgoglio acquoso. L’attimo dopo vomita un fiotto di sangue sul pavimento. Volta piano gli occhi verso di lei, mentre si porta le mani elsa che sparisce nella carne morbida del suo stomaco, e c’è qualcosa di diverso nelle sue iridi, Hermione se ne accorge subito.

Hermione rabbrividisce, nel ricordo di un istante che l’accompagnerà per sempre.

Sente gocce di pioggia scivolarle dai capelli giù per la fronte, e guance, e collo, come se anche il suo corpo piangesse; si rannicchia sulle ginocchia e prende a dondolare con la schiena curva, con le mani premute sopra le orecchie e gli occhi serrati. Piange in silenzio, accompagnata dal fruscio dei vestiti zuppi che sfregano contro il pavimento e il tamburellare leggero della pioggia contro i vetri della finestra. Il vento non è ancora calato, ulula le sue sofferenze alla luna tonda e bianca nel cielo; Hermione ne può quasi vedere la sagoma, tra i veli di nuvole scure che vanno sfaldandosi come ovatta bruciata.

Passa un minuto, forse di più, prima che Hermione trovi il coraggio di mettersi carponi e avvicinarsi al corpo esanime di Luna Lovegood. È così certa che la ragazza sia morta

 

( È colpa mia, Dio, è solo colpa mia)

 

che impiega qualche istante a notare il suono del suo respiro; ha un bernoccolo sulla fronte, un livido enorme sulla guancia e all’interno delle falangi della mano sinistra, ma non sembra aver riportato ulteriori danni. Come per voler compensare, le ferite di Hermione prendono a bruciare con intensità crescente. Si strofina sulla divisa la mano sporca del sangue di Kingsley, si asciuga le lacrime che le bagnano la guancia con l’altra.

Non può lanciare un “Innerva ” su Luna perché l’effetto dell’Incantesimo Tacitante è ancora attivo, e allora prende a scrollare Luna per le spalle, e poi con più energia quando la ragazza non fa cenno di risvegliarsi. Rafforza gli scrolloni, e alla fine gli occhi di Luna si socchiudono lenti, intorpiditi. Fa per alzarsi, guaisce, e si porta la mano sul bernoccolo  sulla fronte.

-          La mia…. La mia testa….

Lo sguardo di Luna si posa su Hermione, lorda di sangue, tremante. I ricordi di come è finita lì a terra l’assalgono all’improvviso, e i denti si serrano in uno schiocco.

-          Lui dov’è?- mormora spaventata.

Hermione punta un dito alle sue spalle, verso il lato opposto della scrivania. Luna intuisce, o forse legge sul viso di Hermione ciò che è successo, e non insiste oltre. Fa cenno di alzarsi, ma Hermione la scrolla delicatamente per la spalla e si indica la gola, poi la bocca aperta, e scuote la testa.

-          Ah, la tua voce, sì. Ci penso io.

Il primo verso che esce dalla gola di Hermione è un lamento roco che fa accapponare la pelle delle braccia di entrambe.

-          Tutto bene?- chiede Luna, ma è una domanda stupida, e non se la prende quando Hermione le lancia un’occhiataccia e non le risponde. Scrolla le spalle. – Dai, finiamo ciò che siamo venute a fare e poi raggiungiamo gli altri.

-          Non possiamo- biascica Hermione impastandosi la pelle del collo con una smorfia tesa, - non c’è Polvere Volante. Devono averla tolta per paura che contattassimo qualcuno.

Luna la guarda,  gli occhi bulbosi fissi nei suoi.

-          Che facciamo, allora?

Hermione inizia a scuotere la testa, persa, ma poi si irrigidisce all’improvviso.

-          C’è un passaggio, su al terzo piano! Ci può portare a Hogsmeade, dobbiamo… AH!!!

Hermione caccia un urlo, sorpresa e Luna si volta si scatto, solo per ritrovarsi a guardare Nick Quasi-Senza-Testa  portarsi l’indice alle labbra per indicar loro di fare silenzio.

-          Nick!

-          Vi ho trovato finalmente- dice il fantasma sollevato, fluttuando verso di loro. – Ti ho cercato ovunque, - continua rivolto ad Hermione, - Ron…

-          Come sta? Sta bene? Dov’è? – lo interrompe Hermione agitata, ma Nick le fa cenno di stare zitta.

-          Lo sto cercando, ma i ragazzi di Grifondoro mi hanno detto che stava bene prima che si separassero; Ron li aveva mandati in un corridoio del terzo piano perché c’era un passaggio per Hogsmeade.

-          Sì-, conferma Hermione, - è dietro la statua della strega orba, è la nostra sola possibilità.

-          No, non lo è- mormora Nick scuotendo la testa addolorato, - il passaggio è bloccato.

-          B-bloccato? – bisbiglia incredula Hermione.

Nick annuisce mestamente. Luna si mette a grattare distrattamente la punta della bacchetta con un’unghia.

“Sapevano del passaggio e lo hanno eliminato, come hanno fatto con la Polvere Volante”pensa Hermione angosciata. Ma chi poteva sapere di quel passaggio? Poi riflette e capisce: qualcuno che conosceva la scuola come Sirius… qualcuno che aveva contribuito a disegnare la Mappa del Malandrino o almeno assistito alla sua creazione.

Codaliscia.

-          Maledizione! – esclama rabbiosa.

-          Che facciamo?- chiede ancora Luna.

-          Dovete riunirvi agli altri al più presto! Uscite e raggiungete Hogsmeade…

-          NO!- grida Hermione inorridita.- Nick, li devi fermare, non devono uscire! Là fuori ci sono giganti, e i Dissennatori!

-          I Dissennatori sono anche all’interno del castello, Hermione.

-          Cos… - mormora, e sente la pelle delle braccia e delle cosce accapponarsi.

-          Sono dentro- ripete Nick.- I Cacciatori e i Cercatori delle squadre di Quidditch hanno fatto da esca per attirarli lontano dalle scale e permettere agli studenti di raggiungere il terzo piano. Non potete restare nel castello, non potranno trattenere i Dissennatori a lungo.

-          Non possiamo uscire nel parco- cantilena Luna con voce surreale e sognante,- non possiamo restare nel castello. Dove andiamo? Dove andiamo?-  Attacca a ripeterlo, più e più volte, ma non sembra terrorizzata.

-          Noi non … noi… -balbetta Hermione in cerca di una via di scampo, ma è difficile ragionare con freddezza con Luna Lovegood che le canticchia accanto e una  voce che le urla nella testa : “PENSA! RIFLETTI! RICORDA, MALEDIZIONE!” .

Ricordare? Ma ricordare cosa? Cosa deve ricordare, che può aiutarli ad uscire dal castello senza passare per il parco o dai passaggi segret…

La risposta arriva qualche istante dopo, ed Hermione spalanca gli occhi, e il battito le si triplica all’interno del petto. Ricordi, sì… ricordi di un libro letto… e la confessione di Harry, l’estate alla fine del loro secondo anno di scuola.

-          Nick! Credo di sapere come possiamo scappare, tutti quanti. Ma ho bisogno dell’aiuto di voi fantasmi. Dovete dire a tutti gli studenti di andare al secondo piano, nel bagno di Mirtilla! È lì che devono andare tutti, capito, Nick?

Nick la guarda, confuso da quelle istruzioni, ma Hermione scuote la testa in un cenno spazientito.

-          Tu fallo e basta, ok? Luna- prosegue ora rivolta alla compagna, - io e te dobbiamo andare al settimo piano, nella Stanza della Necessità.

Luna smette di canticchiare e annuisce con un sorriso. Poi, prendendola a braccetto e dirigendosi verso la porta, riprende a cantilenare sognante.

 

Si separano da Nick alla base della scalinata e prendono un passaggio dietro un paio di grosse armature rugginose.  Corridoi e scalini si succedono ad una rapidità impressionante nell’oscurità illuminata a stento dalla luce delle bacchette, ma sembra comunque un’eternità quando sbucano dietro l’arazzo di Barnaba il Babbeo Bastonato dai Troll.

Hermione e Luna percorrono avanti e indietro per tre volte la parete nuda del corridoio davanti all’arazzo di Barnaba, e c’è un solo pensiero che invade la mente di Hermione, e lo bisbiglia tra sé e sé, così concentrata da non accorgersi di ripeterlo ad alta voce.

-          Dacci qualcosa per entrare nella Camera dei Segreti… Dacci un modo per aprire il passaggio nel bagno di Mirtilla….

Quando si gira l’ultima volta, c’è una porta al centro del muro, e la stanza che le si presenta davanti quando entra non è quella ampia e fittamente arredata delle lezioni dell’ES, ma piccola, e fornita solo di un tavolino, due sedie e qualche torcia. Sul piano del tavolo, un libro. Hermione si avvicina abbastanza per poterne leggere il titolo sulla copertina: “Lingue della Magia Oscura”.

Nella sua mente riappare un ricordo, nitido come se appartenesse al giorno prima… un serpente nero pronto a colpire Justin Flitch-Fletchley al Club dei Duellanti, e Harry avvicinarsi e parlare al rettile… non con parole, ma con strani sibili sinistri… e il serpente calmarsi, e ritrarsi lentamente…

-          Sì- dice Hermione, e Luna sussulta al suo della sua voce, profonda, ADULTA. – Questo ci basterà.

Lei e Luna sono in grado di imparare l’incantesimo in tempo.

Hermione si avvicina al tavolo e si siede; qualche attimo dopo, Luna la raggiunge. Poi, insieme, iniziano a cercare ciò di cui hanno bisogno.

 

***

 

Tutto il mondo intorno a Ginny è una macchia sfocata di mattoni, e porte, e quadri; ma un passo oltre la punta della sua scopa e non sono più un ostacolo al suo volo, ed è con questo pensiero che svolta un angolo in una curva così stretta che i suoi capelli rossi frustano gli spigoli dei mattoni come fiammate di una torcia.

E ancora corridoi.

E ancora porte.  

Niente più che ricordi vecchi ed insignificanti, perché  è il presente che la insegue alle spalle, che l’ha agganciata all’inizio del corridoio del quinto piano e ha fuso l’ombra con la sua. È a solo un paio di metri di distanza, e forse neanche quelli… il suo inseguitore, dietro di lei.. e il gelo, DENTRO di lei.

I ricordi.

Cattivi pensieri, che sgorgano dalla sua mente come champagne da una bottiglia appena agitata selvaggiamente.

 

(RiddleRiddlenellaCameraetufermaimmobilenelbuioepiangevipiangevipiangevi) 

 

Ginny digrigna i denti e rovescia le labbra; le dita si avvolgono intorno al manico di legno in una stretta spasmodica.

Curva. Corridoio.

Angolo.

 

(Riddlehavistochiseiinrealtàhavistoicattivipensiericattivipensiericattivipensieri)

 

La Tornado è una buona scopa e la sua docilità nelle manovre è l’unica cosa che impedisce a Ginny di schiantarsi contro un muro. Ma una Tornado non è una Firebolt, e neanche una Nimbus. Non sarà mai in grado di seminare il Dissennatore dietro di lei.

 

(Riddlechesachehavistoituoidesideripiùsporchiecarnalielatuavigliaccheriarupugnante)

 

“Torna da Dean” si ripete Ginny più e più volte per scacciare il ghiaccio che le invade il cuore. “ Torna da Dean, e Ron, e Bill. Torna da Fred, e George, e Percy. Torna da mamma. Torna da papà”. Cerca di scacciarla, ma la voce non passa.

 

(Riddlechetihasceltaperlatuaanimasporcaanimadavigliaccavigliaccavigliacca)

 

Sotto il fischio dell’aria nelle orecchie sente il frusciare del mantello del Dissennatore. Può vedere la sua mano imputridita, con l’occhio della mente. Vicina. Così vicina.

Svolta l’angolo e la strada è finita, c’è solo un lungo corridoio con tre porte e una finestra chiusa all’altra estremità. Fine dei giochi, Ginny.

Senza riflettere, strappa via la bacchetta dalla tasca e la scopa beccheggia; per un attimo o due è certa che perderà l'equilibrio, che farà un ultimo volo prima di schiantarsi sul pavimento. Ma poi aggancia meglio le ginocchia alla Tornado, si china sul manico e urla contro il vetro:

-          Alohomora!

La finestra si spalanca appena in tempo, e Ginny sfreccia all’esterno, sotto la tempesta. L’acquazzone si è calmato in una pioggia sottile, ma il vento non ha perso nulla di quella violenza con cui ha fatto precipitare Harry nel lago.

Ginny si assicura meglio alla Tornado e getta un’occhiata alla finestra da cui è appena uscita; il Dissennatore è affacciato, con i lembi del mantello nero che ondeggiano fluttuanti ad un ritmo che nulla ha a che fare con il vento. Osserva Ginny famelico, ma lei è ormai fuori dalla sua portata.

 

(AgiscidapazzaperscapparedallavergognadellaveritàGinnychenonmeritaHarrynonmeritaDean)

 

Ginny trema e si allontana inconsciamente, cercando di recuperare il respiro e mettere più spazio possibile tra lei e

 

(scappidallaGinnyundicennedentroditestupidaGinnychenonmeritachevergognaepuoiscapparedamemanondallaveratestessa)

 

il Dissennatore; poi, geme e si arrende, distoglie lo sguardo dalla figura incappucciata. I suoi occhi si abbassano… e subito si spalancano.

Giganti, e goblin, e uomini, e Mangiamorte… lì, nel parco di Hogwarts, pronti ad attaccarli.

Ginny li osserva, con la bocca spalancata dall’orrore. Deve raggiungere gli altri, deve avvertirli di sbrigarsi con quel maledetto passaggio segreto…

Dà una rapida occhiata al castello per orientarsi e trovare la finestra più vicina al corridoio con la statua della Strega Orba, la apre e sfreccia all’interno, il cuore che le sussulta in gola come un Boccino impazzito. “Attenta, concentrati” si ammonisce mentalmente, perché i Dissennatori sono ancora lì sparpagliati tra i piani, e lei deve trovare gli altri studenti prima che…

Svolta nel corridoio principale e frena bruscamente, perché non è certa di avere ormai la prontezza per schivare i ragazzi assiepati intorno alla statua.

Il corridoio, però, è completamente vuoto.

Non c’è nessuno lì.

Ginny smonta dalla Tornado e si guarda intorno attonita.

“Dove sono tutti?” pensa disorientata. La risposta le arriva una ventina di secondi dopo, sottoforma del pesante cigolio dei cardini del portone d’ingresso e del vociare fitto dei ragazzi. Stanno uscendo all’esterno… lì, dove li aspettano i giganti.

-          NO!- grida Ginny. Salta in sella alla scopa e sfreccia per i corridoi, e poi giù a capofitto per la tromba delle scale, fino alla grande scalinata di marmo accanto alla Sala Grande. Il portone di quercia è spalancato, e gli studenti si stanno riversando fuori in una corrente di divise nere e volti spaventati.

-          No!- urla ancora Ginny terrorizzata, - Non uscite! Tornate indietro, tornate indietro!!!

Ma sono solo una decina le facce che si accorgono di lei e si fermano. Anche Lavanda si gira, ma è troppo vicina al portone, e viene spinta in avanti e poi all’esterno dal gruppo compatto degli altri studenti, che continuano ad uscire e correre fuori.

-          NON USCITE, SONO LÀ FUORI! CI STANNO ASPETTANDO! NO! NO!

Gli occhi di Ginny sfrecciano nella massa, e non vede i capelli rossi di Ron né la pelle scura di Dean. Delle esche, i ragazzi che LEI ha convinto a sfidare i Dissennatori, scorge solo Katie.

 

( “PENSI FACCIA DIFFERENZA LÀ FUORI? DAVANTI AI DISSENNATORI SIAMO TUTTI UGUALI!!! ”)

 

(Sono morti perché cercavi di pensarti migliore di come sei… perché dimostrassi a tutti che non sei più la stupida e vigliacca undicenne che ha portato Tom Riddle nel cuore… che lo ha amato… e che è stata scelta da lui per la sua anima facile da annerire… )

 

Patricia, Zacharias, Orla, Michael… sono tutti morti, lo sente. Morti per colpa sua. Il suo corpo viene scosso da una fitta allo stomaco così dolorosa che impiega qualche istante ad accorgersi delle vibrazioni sotto i piedi. Il terreno trema.

TREMA.

-          I gig…- urla Ginny. Ma è troppo tardi ormai.

I giganti in carica si abbattono sulla massa di studenti nel parco in un boato frastornante, ed è  un massacro. Uccidono quei corpi, piccoli come bambole per loro, con colpi di clava, o manate, o semplici colpetti dati col taglio dei loro piedi deformi e immensi, lanciando urla di guerra e ridendo sguaiatamente. Da lontano, i goblin abbattono i fuggitivi con arco e frecce.

Gli studenti più vicini al portone spingono all’indietro per poter rientrare al sicuro, schiacciano gli altri compagni nella morsa di un panico ottenebrante; contemporaneamente, i ragazzi all’interno premono contro  il portone per chiuderlo al più presto. Ma ci sono ancora ragazzi e ragazze fuori… così tanti… e sono come onde di una risacca, teste e corpi che vanno avanti e indietro pigiando e strillando in correnti oscillanti. Il portone si smuove, ruota sui cardini spinto da decine di mani.

-          NO! FERMI! FERMI!- strilla Ginny gettandosi contro gli studenti e cercando di infiltrarsi per bloccarli. – NON POTETE...

 

( Perché no? Avresti fatto anche tu lo stesso. Pur di non morire, pur di continuare questa dolce vita)

 

-          …LASCIARLI FUORI!

Jack Sloper e Susan Bones sono più avanti, spintonano ed allungano le braccia per ricacciare indietro gli studenti e riaprire il portone.

 

(Lascia che richiudano il portone, è questo che desideri veramente, no?)

 

Katie urla, un po’ più in là, cerca di lottare e convincere i ragazzi intorno a lei a darle una mano, ma è inutile, Ginny se ne rende conto.

 

(Volevano uscire per primi e mettersi in salvo, mentre tu eri di sopra a rischiare la vita per loro. Schifosi!)

 

Smette di

 

( Lascia che chiudano il portone e restino fuori, meglio loro che noi, meglio loro che te)

 

provare a penetrare nella mischia e fa un paio di passi indietro, osservandosi stordita intorno, nell’aria surreale che invade la scena. Bocche si aprono in silenzio. Lacrime scorrono e scavano solchi di pelle su guance rosee di sangue.

Niente ha più senso.

Niente è REALE:

-          Uniti e compatti resister dobbiamo, se il crollo di Hogwarts veder non vogliamo- canticchia una voce, e Ginny sussulta nel rendersi conto che la voce proviene da LEI. Il Cappello Parlante li aveva avvertiti, consigliato di formare legami di amicizia tra le Case, Grifondoro, e Tassorosso, e Corvonero, e …

È un ragazzino di Serpeverde l’ultimo ostacolo alla chiusura della porta.

Sembra già un cadavere, con il volto bianco di terrore e i riccioli incrostati di pioggia e sangue, ma c’è ancora vita nel suo corpo, e tutta la forza di chi vuole sopravvivere disperatamente. Spinge contro la porta e il battente si scosta dallo stipite lo spazio sufficiente perché il ragazzino, minuscolo com’è, possa sgusciare dentro senza problemi. È entrato quasi per metà quando una mano, poi un’altra lo respingono all’esterno, schiacciandogli il naso, graffiandogli le guance sporche di lacrime; altre mani si aggiungono e gli spintonano le spalle, e il collo, strattonano con violenza vestiti e capelli per sbarrargli il passaggio.

-          Serpeverde!- gli ringhiano contro, - Serpeverde!

Andrew Kirke cerca di raggiungerlo, “ È solo un bambino!” sta urlando, ma è troppo distante perché possa fare alcunché se non cercare di spingere via corpi che spingono a loro volta con furia. 

È un altro ragazzo dalle orecchie a sventola

 

(è un Grifondoro, Ginny lo riconosce, anche se non ricorda il nome)

 

che riesce a farsi strada fino al ragazzino e a tendere una mano verso di lui, spingendo da parte gli altri. Per un attimo sembra che voglia aiutarlo ad entrare, ma poi gli schiaccia le dita contro il viso e spinge con violenza, e il Serpeverde scompare oltre la porta dalla vista di Ginny. Ma lei vede altro. Vede il Grifondoro perdere l’equilibrio per il contraccolpo e scivolare in avanti… vede il braccio teso con cui aveva spinto via il ragazzino infilarsi tra battente e stipite… e vede gli altri studenti impazziti dal panico schiacciarsi in una massa compatta per chiudere il portone.  E poi non vede più il suo braccio, ma sente le sue urla inarticolate di dolore.

-          IL MIO BRACCIO!!!! UAAAAAAA, IL MIO …. AAAAAAAAAAH!

-          C’È MIO FRATELLO, LÀ FUORI,- strilla piangendo una ragazza aggrappata ad una delle armature contro la parete. - VI PREGO, FATELO ENTRARE, È RIMASTO FUORI!

-          SERPEVERDE! SERPEVERDE!- continua ad urlare la folla impazzita.

Ginny si guarda intorno intontita… osserva quell’accozzaglia di elementi così assurdi da non potere per forza appartenere alla realtà. Poi, prima che possa rendersi conto di ciò che fa, raccoglie meccanicamente la Tornado da terra, entra in Sala Grande e si dirige verso la porticciola dietro il tavolo degli insegnanti che Hagrid usava sempre. Esce all’esterno, si sigilla la porta alle spalle e avanza nel parco, con la pioggia sottile che le scorre sulla pelle come sudore gelido e lo stomaco serrato in una morsa .

I giganti sono ad una trentina di metri da lei, troppo impegnati con gli studenti che fuggono per accorgersi di Ginny.

“Non mi hanno ancora vista”pensa, e  allora sente di nuovo quella voce, scura e torbida come l’oscurità del Dissennatore da cui è sgorgata.

 

(Ora basta, torna dentro, sono morti, sono morti, hai fatto la coraggiosa… ma loro sono morti e tu ancora no, loro sono mo…)

 

Morti, no, ancora no, ci sono studenti che scappano e corrono, e Ginny realizza che deve essere passato meno tempo di quanto credesse dal momento in cui il portone ha iniziato a chiudersi. Tre minuti, forse quattro.

“Non arriveranno a sei, se non faccio qualcosa”.

Ginny distoglie lo sguardo dal massacro e scuote la testa. Le mani le tremano vistosamente in movimenti così spasmodici che la Tornado non le sfugge di mano per un pelo. Indietreggia di un passo verso il castello. Poi un altro. Un’altro ancora.

 

(Così, torna indietro)

 

Cammina lentamente a ritroso verso la porticciola, e contemporaneamente, nella sua testa, si vede avanzare all’interno della Camera dei Segreti verso Tom, che la osserva soddisfatto. Alza una mano e la tende verso di lei, come ad invitarla a prenderla, ad intrecciare dita romanticamente…

E a quella vista, Ginny si ferma di colpo, nella sua testa e nella realtà.

“Ho sbagliato quando avevo undici anni a seguire Riddle, lo so”pensa, e si umetta le labbra, innervosita. Ha sbagliato tante volte, e se ne rende conto da sola. Ha finto di essere qualcun’altro, ha finto che l’undicenne incapace, la parte più ignobile di sé, non fosse mai esistita, e invece di farla maturare l’ha gettata negli abissi della sua anima; lì da dove il Dissennatore l’ha fatta riemergere, spezzando la patina di pensieri felici.

 

(E ora cosa farai, Ginny?)

 

Crede di sapere cosa deve fare. Capisce, mentre rialza lo sguardo verso i compagni e serra la mascella.

È così facile morire, riflette indispettita. Ma i ragazzi non dovrebbero mai morire. Mai. Specie nei posti in cui si sentono più sicuri.

Non loro.

Non Harry. Harry, che l’ha salvata dagli abissi della Camera dei Segreti.

 

(E ora cosa sei disposta a fare, Ginny?)

 

“Ora? Ora mi riscatto”.

Alza la mano che impugna la bacchetta e urla:

-          SAGITTAX!   

Dalla punta schizzano saette argentee che colpiscono un gigante al viso e un altro all’inguine, facendoli urlare dal dolore. Gli altri Giganti interrompono il massacro e si guardano intorno; poi, uno ad uno, tutti gli occhi cisposi si posano sulla figuretta di Ginny, con i vestiti scossi dal vento e il cuore che sputa battiti come salve da un fucile inceppato.

I giganti rovesciano la testa all’indietro e urlano versi inarticolati con tutta la potenza dei loro polmoni grossi come buoi; i goblin si arrestano ad osservare allarmati la scena.

-          AVANTI!- grida a sua volta Ginny. – AVANTI, GROSSI FIGLI DI PUTTANA! SONO QUI! AVANTI, VENITE A PRENDERMI! COS’È, NON AVETE ABBASTANZA TESTOSTERONE NEI VOSTRI CAZZETTI MOSCI PER AFFRONTARE UNA RAGAZZA SOLA?!?

Adesso persino alcuni degli studenti sopravvissuti si bloccano, increduli; gli altri si precipitano verso il portone d’ingresso, battono sul legno implorando i ragazzi all’interno di farli entrare. Per come è la situazione al momento, è ancora una mossa inutile: possono affrontare i goblin, ma finché i giganti saranno lì nello spiazzo, quel maledetto portone non si aprirà.

Ma come fare? Come allontanarli dal parco?, riflette Ginny febbrile.

L’idea le arriva subito, nel suono innaturale e raschiante del vento tra le fronde degli alberi alle sue spalle. Li porterà nella Foresta Proibita e lì… lì si vedrà. Anche se non riuscisse a seminarli o a farli perdere, avrebbe comunque guadagnato tempo sufficiente per far metter in salvo gli altri.

Prima, però, deve convincerli ad inseguirla. La parte piacevole del piano.

Colpisce un Gigante con l’Incantesimo Conjunctivitis e altri due con un “Sagittax” ben piazzato, e l’aria viene invasa da grida di dolore. Qualche istante dopo, il terreno irregolare viene scosso da tonfi così assordanti che Ginny sente i denti tintinnarle in bocca; deglutisce una boccata di saliva secca come carta vetrata mentre osserva i Giganti che partono in carica verso di lei.

Tanto le basta.

Inforca la scopa e si dà una spinta con i piedi; la pozzanghera melmosa in cui è immersa le risucchia una scarpa, ma è l’ultimo dei suoi pensieri. Schizza verso la Foresta e si azzarda a gettarsi un’occhiata alle spalle solo a livello del capanno di Hagrid. Tutti i Giganti la stanno inseguendo.

Bene.

Chissà perché, quella vista la fa chinare di più sul manico della scopa, nel tentativo di eliminare il più possibile l’attrito con l’aria.

Vola più avanti. Più avanti ancora.

Fino a tuffarsi nell’oscurità della Foresta Proibita.

 

***

 

È da sola, ora.

Non ci sono più studenti, o Tom, o Dissennatori accanto a lei, immersa in un paesaggio spettrale così fuori dalla realtà da sembrare quasi affondato negli abissi del mare.

Mai si è inoltrata così a fondo all’interno della Foresta Proibita, e né Ron, o Hermione, o … Harry… le hanno voluto raccontare cosa vi avevano visto oltre i centauri. Silente aveva da sempre vietato l’ingresso alla Foresta, ma non le sembra ci sia veramente qualcosa di rischioso là dentro. “Niente, oltre il pericolo di perdersi”, ragiona. “ E l’immaginazione delle persone”. In questo, Ginny la pensa esattamente come Draco Malfoy, che in questo momento è piegato in due da colpi di tosse cavernosi mentre rabbrividisce nel suo corpo febbricitante: la paura… cosa poteva far vedere la paura in una piccola ombra. Lì, nella Foresta Proibita, il mondo stesso si è ridotto ad un’unica infinita ombra, ma il pericolo reale è alle sue spalle, intento ad aprirsi un varco sradicando e spezzando alberi e cespugli per inseguirla.

L’oscurità va infittendosi e gli occhi di Ginny si adattano, e tuttavia alza lo stesso la mano che impugna la bacchetta e grida : “Lumos!”; più che di andare a sbattere, ha paura che i Giganti perdano d’interesse e tornino indietro. Ha dato abbastanza tempo agli altri per sconfiggere i goblin e rifugiarsi nel castello? Non lo sa, non riesce a tenere mentalmente nota del tempo che passa, e allora deve resistere, almeno un altro po’. Forse, se riesce a farsi inseguire nella profondità della Foresta e cambia spesso direzione, potrebbe riuscire a farli smarrire all’interno. A quel punto sarebbe facile spegnere la luce, sfondare il tetto degli alberi con un Incantesimo Reductor e tornare al castello costeggiando le fronde.

“Ce la farò”, pensa fiduciosa, anche se i ventricoli del suo cuore si sbatacchiano a vicenda nel petto come gatti aggrovigliati in una lotta furiosa.

Il frastuono alle sue spalle cresce, versi disumani e voraci che si trasmettono da foglia a ramo, sino alle ossa delle sue mani.

 

(Sei sicura che fossero i giganti ad emettere un suono simile?)

 

Stringe la Tornado con più violenza e si china maggiormente sul manico; la Foresta si infittisce e Ginny non ha più pensieri in testa che non siano concentrati sul percorso davanti a sé. Riesce a schivare con facilità i tronchi scheletrici, quasi scortecciandoli, ma rametti e spine prendono consistenza solo quando le schiaffeggiano spalle e viso, e il taglio delle foglie, affilato come rasoi dalla velocità, le apre nuove ferite sulle guance. Una ciocca di capelli le si impiglia nel nodo di un ramo e viene strappata via. Ginny urla ma reprime le lacrime, non può permettersi che la vista le si appanni.

Continua a volar, perché è l’unica cosa che può fare.

Sfreccia, e gira, e cambia ancora direzione, lì in quell’oscurità solida che odora di disfacimento e decomposizione. Ci sono alberi, alberi, alberi, uno contro l’altro, e poi Ginny curva bruscamente, e si ritrova a sfrecciare in una radura spoglia se non per un masso disposto quasi al centro dello spiazzo. C’è qualcosa che non va, in quel blocco di pietra, qualcosa di innaturale, ma la luce è poca e la fretta è tanta. Grida quando non riesce ad evitare in tempo un ramo e le estremità puntute le sferzano con violenza il seno, ma poi è di nuovo nell’irrealtà, ingoiata nell’abisso della Foresta, e la sua  concentrazione torna sul volo.

Ben presto realizza che la direzione che ha preso non va bene: gli alberi si stanno infittendo troppo, e volare tra di essi quasi impossibile. Curva ancora e la coda di saggina della Tornado strappa boccoli verdi da un cespuglio mezzo arruffato.

I giganti, alle sue spalle, guadagnano terreno.

Ginny continua a volare, con il respiro affannoso che inizia a procurarle fitte al fianco e ai polmoni, e il corpo trema, per paura e freddo, e il dolore delle ferite. Volta a sinistra e vede che davanti a lei gli alberi si diradano, spandendosi in maniera sgraziata sul terreno irregolare. Le fronde sono ancora tanto fitte da impedire di vedere squarci di cielo, ma c’è spazio sufficiente tra i tronchi perché lei possa volare tranquilla. Il terreno trema ancora, e i rami sussultano, lasciando cadere foglie e tocchi di corteccia marcia a terra.

È strano… è come se i giganti fossero molto più vicini ma il loro peso si fosse alleggerito notevolmente… come se fossero diminuiti di numero, o …

PUF, Ginny va a sbattere contro qualcosa a mezz’aria, una sorta di telo di lino, o velo, non riesce a capire bene, teso tra due alberi in maniera irregolare.

L’impatto le strappa via l’aria dal petto, ma in uno sbuffo più per la sorpresa che per il dolore, perché l’oggetto che ha colpito è elastico, morbido, e smorza la velocità a cui Ginny è arrivata in pigri movimenti oscillatori. Pochi secondi, e lei si ferma lì, sospesa ad una manciata di centimetri da terra. L’odore di piante selvatiche e sporcizia le aggredisce le narici con violenza.

“Che diavolo è stato?” pensa Ginny stordita .

Prova a girare la testa in cerca della Tornado e della  bacchetta, ma il velo la trattiene. È strano, appiccicoso e resistente anche se sembra fatto di zucchero filato; ne vede i riflessi  biancastri con la poca luce che la punta della bacchetta sprigiona, a terra a pochi metri da lei.

Proprio zucchero filato, sembra, o ovatta per imbottire i pupazzi, tirata e strapazzata…. e bianca di polvere, come se fosse stata appesa lì da secoli.

No, non appesa.

Tessuta.

“ Oh no, oh no, è una ragnatela enorme!!!” realizza Ginny sgranando gli occhi; e allora si dimena, scalcia e agita le braccia, torce il busto nella speranza di spezzare i fili e liberarsi.  Ottiene solo che il velo le si attorcigli maggiormente intorno alle dita, ai capelli, a tutto il corpo. Lo sente su di sé, vischioso e soffice, incollato su ogni grinza dei vestiti bagnati.

E poi Ginny si ferma improvvisamente, quando sente un rumore, uno schioccare di rami. Davanti a lei.

La lingua guizza fuori a umettare le labbra, e le scopre aride come sassi lisci e caldi per il troppo sole. Il cuore batte più forte.

Poi, il suono si ripete, qualche metro più avanti.

C’è qualcosa nascosta lì nel buio che si muove e avanza verso di lei… finché la luce fievole che si irradia dalla bacchetta non si riflette nell’oscurità di occhi neri sospesi nel buio.

Grappoli d’occhi.

“No…oh no… Oh no...” pensa Ginny realizzando, e poi la sua capacità razionale si blocca, tutto il TEMPO si blocca, quando dalle tenebre opache emergono figure tutt’intorno a lei.

Ragni.

A decine.

Sono ovunque, spuntano dall’oscurità tra i tronchi massicci, piccoli come un polpastrello o enormi come automobili, e avanzano verso di lei, con movimenti sonnacchiosi e schiocchi di chele.

La radura viene invasa dai corpi gonfi e pelosi, gli addomi tumidi che strusciano sul terreno spoglio; invadono l’aria con un tanfo soffocante, un miasma di carne purulenta che proviene dall’interno dei ragni, il puzzo di tutte le carogne di animali che hanno divorato, e il veleno nelle sacche umide dei loro stomaci, e la lordura che in secoli si è cheratinizzata sulle loro corazze pelose.

I ragni schioccano le chele inzuppate di nastri di bava e schiuma, e poi Ginny sente qualcosa che la raggela, le stronca il respiro in petto come se fosse stata colpita con violenza da un Bolide: ragnetti minuscoli che nel primo impatto le erano sfuggiti le si arrampicano le gambe, risalendole, con le loro zampette di setole luride che strusciano sulla pelle sempre più pallida di Ginny.

Oltre, la sua mente non regge più.

Strilla, ricolma di un orrore ottenebrante che le divora l’anima; strilla, urla e si dimena, cercando di scrollarsi di dosso i piccoli ragni; ma questi resistono, aggrappandosi ai brani di ragnatela in cui Ginny è imprigionata e risalendo sempre più, e mordendo, e graffiando… e Ginny continua a strillare a squarciagola, con tutta l’aria che riesce a risucchiare nei polmoni, perché si ritrova sempre più imprigionata nel bozzolo appiccicoso della ragnatela, e i ragni le si stringono intorno, la circondando, e schioccano le chele, con quei sinistri grappoli d’occhi che brillano come sfere nel buio.

Gridano qualcosa con lei, e Ginny impiega qualche secondo a comprende cosa:

-          Carne!- stanno urlando. - Carne!

I ragnetti si arrampicano e le risalgono l’addome; uno si smarrisce nel nugolo di fiamma dei suoi capelli rossi, e Ginny se lo sente zampettare nell’incavo della schiena. Urla più forte, tra schiocchi e scoppiettii di chele schiumanti.

Uno dei ragni più grandi avanza e si ferma davanti a lei, le giunture scricchiolano in quei movimenti goffi e sonnacchiosi, quasi pigri, e il ventre sproporzionato e rigonfio sfrega contro il terreno ai suoi piedi, strappando via brani di ragnatela intonacata di muffa.

L’Acromantula la fissa negli occhi, ed è solo un attimo, un secondo in cui Ginny può vedere in un’istantanea di fredda lucidità le setole pelose che ricoprono le mascelle della creatura, e il pallido bagliore in quei grappoli bulbosi; il ragno si accovaccia sulle zampe posteriori e si inarca davanti a lei, con movimenti a rallentatore, pigri, quasi non avesse fretta di finire tutto.

Poi dal nulla un tronco di pino si abbatte sul ragno, spappolandolo nel centro.

L’albero trapassa l’Acromantula e urta con così tanta violenza il suolo che uno dei fili a cui è appesa la ragnatela che imprigiona Ginny si stacca, le ricade addosso e si ripiega su stessa, inglobandola sempre più nel suo bozzolo. Qualche ragnetto viene sbalzato via nell’impatto; altri, più resistenti, morsicano la carne di Ginny in cerca di un appiglio.

Ginny strilla, in preda al terrore…

… e una voce gutturale le grida di rimando:

-          Hermyyyyy?

Dalle ombre della Foresta Proibita emerge la sagoma deforma e immensa di un gigante, più piccolo di quelli che hanno attaccato gli studenti davanti al castello. I piccoli occhi cisposi sono fissi su Ginny. Tra le manone stringe il tronco di pino sradicato, e lo alza e manovra contro i ragni, sbalzandoli via come se fosse un’enorme scacciamosche. 

-          Hermyyyy? Hermyyyyyy?

Ma Ginny strilla e si dimena, strattona la ragnatela cercando di liberarsi mentre gli occhi sgranati sfrecciano intorno a lei, frenetici. Il Gigante scalza via un ragno ad un passo dall’allungare le chele su Ginny e lo lancia lontano come se fosse uno gnomo da giardino.

-          Hermy, no paura Grop!- grugnisce aprendo una bocca sdentata in una bozza di sorriso. – Me ‘iuta!

Grop continua a brandire il tronco e a pestare i ragni, che saltano, e si aggrovigliano, e lo circondano.

Dopo qualche istante, però, qualcosa cambia. I ragni fanno schioccare le chele in maniera più rapida, un ticchettio che perfora la mente di Ginny e le fa sanguinare i pensieri. È solo allora che si accorge del rumore di schianti che si avvicinano, e urli; gli altri giganti raggiungono la radura e si gettano all’attacco dei ragni.

La lotta è così inumana che Ginny interrompe i suoi tentativi di liberarsi e si guarda intorno, impigliata nella ragnatela a mezz’aria . Acromantule e giganti sono aggrovigliati in una massa indistinta di sangue e versi di dolore.

Un ragno delle dimensioni di un San Bernardo trotterella schiumando verso Ginny, ma Grop lo afferra per una zampa e lo scaglia in alto con così tanta forza che la creatura sfonda le fronde degli alberi; Ginny lo sente atterrare sui rami, e intravede qualcosa tra le foglie che orlano il buco, un corpo gonfio rivolto con lo stomaco verso il cielo, e scure zampe che si contorcono nell’aria.

-          Me ‘iuta!- ripete Grop con il suo sorriso sbilenco; afferra Ginny in una presa straordinariamente delicata e la libera dalla ragnatela. Ginny ricambia lo sguardo cisposo di Grop, ammutolita e tremante, il proprio corpo come un blocco di ghiaccio inerte.

L’attenzione di Grop è su Ginny, e si accorge troppo tardi delle due Acromantule dietro di lui; i ragni gli saltano alle spalle e affondano le mandibole schiumanti nel petto e sotto un’ascella. Grop lancia un urlo di dolore, lascia la presa su Ginny e si contorce allungando le braccia dietro la schiena, cercando di strapparseli via, piangendo e gridando.

Ginny cade di schiena a terra e l’impatto le svuota i polmoni. Rimane boccheggiante, gli occhi chiusi, il corpo tremante.

“ Basta. Basta, non ce la faccio più” pensa sfinita, consumata. Ha pagato il suo debito verso se stessa…

 

(Avanti, Ginny, alzati)

 

… tutto quello che ha potuto…

 

(GINNY, MUOVITI!)

 

Non è la voce del Dissennatore e non è la voce di Dean: è la voce di sua madre, il tono furioso che assume quando la scopre ancora a letto a mezzogiorno inoltrato.

-          Eccomi, mamma- biascica con una smorfia, e quando riapre gli occhi e cerca di alzarsi carponi, scorge la sua bacchetta magica a poco meno di un metro da lei.

E allora Ginny ignora tutto il resto, il corpo indolenzito, il suo cuore paralizzato, la battaglia intorno a lei. Avanza a quattro zampe sul terreno, allunga la mano, afferra la bacchetta; senza lasciarsi il tempo di pensare, la punta verso il buio e mormora:

-          Accio Tornado!

La scopa supera il corpo decapitato di un gigante e si sofferma davanti a lei, vibrante a mezz’aria. Ginny vi sale sopra, digrignando i denti, ma alza il viso solo quando sente qualcuno piangere accanto a lei, singhiozzi profondi e rauchi. Si volta e cerca inconsciamente con gli occhi Grop; il Gigante è riuscito a liberarsi di un ragno, ma l’altro gli rimane ancorato all’ascella sanguinante, avvinghiato con le zampe pelose intorno ai fianchi.

-          Sagittax!- urla Ginny, e l’Acromantula viene scagliata via dalla potenza dell’incantesimo. Le ginocchia di Grop cedono e il gigante si accascia a terra; la fronte è lucida di sudore e gli occhi sono vitrei. Le ferite vomitano sangue che inzuppa il terreno su cui è inginocchiato.

Si guardano a lungo negli occhi, lui e Ginny.

La ragazza fa un passo verso di lui, prova ad avvicinarsi, ma lui allunga un braccio e lo scuote in un gesto di diniego. Altro sangue sgorga dallo squarcio all’ascella. Il petto si solleva e si abbassa con fatica.

-          Vai, Hermy- borbotta con le guance bagnate di lacrime.

Ginny scuote  incerta la testa, e allunga una mano verso di lui, il corpo che trema per il dolore, e il terrore, ma non solo quelli. Avanza di un altro passo.

-          VIA!- grida Grop, e lascia ricadere il braccio a terra. – VIA! VIA! ‘AI VIA!!!

Ginny si guarda intorno confusa; ci sono ragni e giganti morti a terra, ma altri sono ancora vivi, intenti a combattersi. Grop sarebbe un nemico fin troppo facile da uccidere, nello stato in cui è ridotto.

-          Io… - mormora Ginny, ma Grop non la lascia andare oltre, rovescia la testa all’indietro e lancia un urlo disumano.

Ginny sussulta e scatta a cavalcioni della Tornado. Quando la vede, Grop si lascia andare ad un sorriso sghimbescio; non sembra più accorgersi del sangue che gli scorre tra le dita sopra le ferite.

-          O’a vai. E dici Hagger che lui Grop dice ‘iao.

Ginny annuisce tremando pur non capendo;  si passa una mano sugli occhi e strappa via le lacrime dalla pelle delle guance, perché ha bisogno di lucidità per volare.

Un ultimo sguardo a Grop, poi si dà una spinta con i piedi, si alza in aria e sfreccia verso il buco tra le fronde degli alberi. Schiva di poco le zampe del ragno sul tetto di rami, lì dove Grop lo ha lanciato, e si dirige verso Hogwarts. La pioggia è ridotta ad una acquerugiola, ma il vento è più forte, le raffiche quasi le strappano via la scopa dalle mani.

Ginny si abbassa costeggiando il tetto di rami per limitare la resistenza, ma Hogwarts, con le sue torri in fiamme, è ancora troppo distante, non resisterà di questo passo; e allora, quando i rami iniziano a diradarsi nuovamente, Ginny si rituffa giù nella protezione degli alberi, verso la luce che si rispecchia sul lago, la fine della Foresta Proibita e la capanna di Hagrid in lontananza.

 

***

 

Ron avanza e loro lo seguono, perché è l’unica cosa che Neville, Dean e Seamus possono fare per non perdere un altro amico.

Stanno cercando Hermione, questo lo sanno senza aver avuto bisogno di chiedere, e Ron procede spedito attraverso i corridoi, a volte quasi correndo. Non parla da quando le esche sono partite nella loro mossa diversiva,  si guarda in giro frenetico… sembra quasi che, ora che Ginny si trova fuori dalla sua portata, cercare Hermione è tutto ciò che può aiutarlo a tornare a contatto con la realtà…tutto ciò che importa,  non più respirare, non più riflettere…

Ma non possono andare avanti così a lungo.

-          Ron… Ron, aspetta!- esclama Seamus acciuffandolo per il gomito e fermandolo.- Girare così a caso non serve, rischiamo solo di … - si interrompe, deglutisce, riprende, - … beh, di metterci nei casini. Cerchiamo di partire da un punto, ok? E da lì ci muoviamo.

-          Siamo già partiti da un punto, Seamus. Dalla Torre di Grifondoro – gli fa notare atono Ron, continuando a guardarsi intorno frenetico come se Hermione si fosse mimetizzata tra le pietre del muro e bastasse solo strizzare un po’ di più gli occhi per scorgerla.

-          Beh, lì non c’era, no? Siamo qui per cercare lei, ma visto che in giro per il castello ci sono Dissennatori, e goblin e… e chissà quale altra merda, mi pare una stronzata girare così a casaccio, non serve a nulla! E non aiuta Hermione- aggiunge scrollando le spalle stanche.

Neville sposta nervoso il peso del corpo da un piede all’altro.

-          Dobbiamo ragionare come Hermione- suggerisce cupo in volto.

-          Esatto- conferma Seamus. – E in una situazione come questa, lei cosa farebbe?

Dean fa per rispondere, ma Ron è già  partito al trotto verso le scale, scende i gradini due a due stringendosi il braccio ferito al petto. Dean, Seamus e Neville, dopo un attimo di sbigottimento, lo seguono, e non hanno bisogno di chiedergli dove va .

Sono ad un solo piano dalla Biblioteca.

 

Lo spettacolo che li attende in una Biblioteca scura e piena di ombre è così irreale che rimangono lì sulla soglia quasi per un minuto, sbattendo gli occhi e guardandosi intorno increduli.

La maggior parte dei tavoli sono ribaltati e alle sedie sono state strappate via le gambe, gettate a casaccio tra i volumi sparsi sul pavimento Una delle librerie è appoggiata sbilenca al muro ed è spaccata al centro, come se qualcosa vi avesse impattato contro con violenza; uno degli angoli della scaffalatura ha colpito la vetrata laterale, sfondandola: il vento che entra ha spento le torce e ora gira le pagine dei libri caduti, gonfiati dall’umidità e dalla pioggia come grosse enciclopedie. L’unica luce che illumina la sala è quella della grande luna che penetra dalle finestre.

Dean trasale, gli occhi sgranati su un punto preciso; Ron segue il suo sguardo e vede la scopa spezzata sul pavimento. Una Tornado. Come quella di Ginny.

Il suo cuore impasta i movimenti in un battito terrorizzato

“Ginny!”

Qualche istante e lo raggiunge alle orecchie un rantolo, e Ron segue il suono con gli occhi, quasi fosse un filo visibile teso nell’aria… che lo porta sino al Dissennatore intento nel suo Bacio .

Ma non è Ginny quella tra le sue braccia.

È Zacharias Smith.

Le mani decomposte del Dissennatore sorreggono Smith per le spalle, il volto chino sul suo. Zach non sembra curarsene, o forse non può più; i suoi occhi sono sbarrati, e il volto è grigio di pallore.

Poi, senza preavviso, il rantolo si interrompe, e Zacharias scivola inerte a terra; tutto quello che segue accade ad una velocità impressionante, almeno per Ron.

Il problema è il mugolio che sfugge a Dean al tonfo sordo che fa il corpo di Smith colpendo il pavimento. Il Dissennatore alza il volto incappucciato e si volta verso di loro. Li vede.

“Lancia un Incanto Patronus” pensa Ron, ma il suo corpo è di tutt’altro avviso, il freddo che lo assale è come un principio di congelamento che gli invade tutto il braccio destro, le ossa rotte, la pelle spaccata e lucida, le unghie rosse di sangue secco.

 

(SonomorteGinnyedHermionecolvisonelfangoedasolecomecanimortemortemorte)

 

Indietreggia, e Dean con lui, ma non Seamus: impugna la bacchetta con entrambe le mani e la punta verso il Dissennatore, ma dalla sua bocca esce un guaito disperato, e niente più. Le dita tremano in scossoni violenti, quasi il legno della sua bacchetta fosse attraversato da una forte corrente elettrica.

-          No…. No…- lo sente bisbigliare Ron con un filo di voce… e Dean mugola ancora portandosi la mano al petto e piegandosi su se stesso….Ron indietreggia….

…Il Dissennatore scivola verso Seamus in un nugolo di stoffa fluttuante intessuta di male, allunga una mano, sfiora il viso del ragazzo, china il volto verso il suo...

E poi Neville grida:

-          Expecto Patronus!

Dalla punta della bacchetta schizza fuori la figura argentea del suo cane lupo; ma non è, Ron lo vede subito, la sagoma nebbiosa che ha soccorso lui, Nev e Smith solo un’ora prima: è solida, reale, e così definita che può vedere le increspature sulla pelliccia argentea.

Il Patronus attacca il Dissennatore e affonda le zanne nella carne putrefatta del braccio; la creatura lancia uno strillo inumano e cerca di scrollarselo di dosso artigliandogli il muso con le dita, ma il cane lupo serra con più violenza le mascelle, morde. Quando il Dissennatore riesce a liberarsi e scagliarlo lontano, il Patronus fa una mezza piroetta in aria e atterra ai piedi della libreria sfondata; il muso argenteo è incrostato e gocciolante di sangue scuro come catrame.

È una visione sufficiente per il Dissennatore: scivola via e scompare oltre la porta sul retro.

La sensazione di irrealtà scompare, il tempo torna a scorrere alla sua cadenza solita; Ron rilascia il fiato trattenuto sino a quel momento in uno sbuffo e constata una cosa stupenda: sono ancora vivi.

Seamus si accascia a terra con un gemito di sollievo.

Il Patronus trotterella verso Neville, leccandosi via dal muso il sangue scuro, creando un contrasto così violento tra questo e il manto argenteo che sembra quasi abbia il pelo incrostato di ombra viva. Neville allunga una mano tremante e lo accarezza, e si sorprende di quanto risulti solido sotto le sue dita.

-          Bravo, ragazzone- mormora grattandogli dietro un orecchio. – Sei stato proprio un bravo cane.

Il Patronus inizia a dissolversi, con la mano amorevole di Neville sulla testa e occhi negli occhi fino all’ultimo. Poi il ragazzo si volta verso gli altri.

-          Coraggio, dobbiamo andare- dice, asciugandosi le guance coperte da sudore gelido.

-          Qua…Qualcuno potrebbe darmi una mano a rialzarmi?- domanda Seamus con un sorrisetto imbarazzato. – Non mi reggono le gambe.

Dean si avvicina, si passa il braccio dell’amico dietro la testa, lo issa su e raggiungono insieme Neville e Ron; si raccolgono tutti e quattro in cerchio, fissandosi negli occhi.

Poi, senza scomporsi, Seamus posa una mano sulla spalla di Neville e con tutta la serietà di cui è capace dice:

-          Giuro, Nev, in questo momento potrei baciarti!

-          Cosa?- esclama Neville colto alla sprovvista, e la sua espressione da tesa diventa esterrefatta, gli occhi tondi come galeoni. Ron e Dean osservano lui e Seamus per qualche istante, poi scoppiano a ridere istericamente.

-          Baciarti!- ripete Seamus, ma ora sorride anche lui. – Mi hai salvato, sei il mio eroe! Il mio principe azzurro! Sei il mio….

Neville balbetta d’istinto:

-          I-io non ho alcuna intenzione di b-baciare un irlandese!

-          Io sono inglese, posso?- interviene Dean, e lui e Ron si lanciano in un altro latrato di risate sguaiate, abbrancandosi l’un l’altro per non perdere l’equilibrio e non cadere a terra tra schegge di vetro e sbaffi di sangue scuro .

-          Dico sul serio, Nev!- continua imperterrito Seamus gettandogli le braccia al collo. – Saremo solo io e te, due cuori e una capanna! Faremo sesso selvaggio tutti i giorni e ce la spasseremo alla grande!

Ma Neville finalmente capisce che lo stanno prendendo in giro, e tira un sospiro di sollievo così sincero che gli altri scoppiano di nuovo a ridere.

-          Deficiente - lo rimprovera, e sorride…poi corruga le sopracciglia, in apprensione: si è accorto solo adesso di come tremi il corpo di Seamus, scosso da brividi violenti; di come sia  ghiacciata la sua pelle, e coperta da un velo di sudore acido… di come siano spiritati i suoi occhi, cerchiati da ombre nere di paura

Neville strizza goffamente l’amico in un abbraccio, cercando di calmarlo senza che Ron e Dean se ne accorgano, ma non può impedirsi di sussultare quando le braccia di Seamus si stringono intorno a lui in una presa spasmodica, come un naufrago ai resti di una zattera in un mare in tempesta.

Un battito di ciglia, però, e Seamus si scioglie dall’abbraccio e riaggiusta il ghigno sul viso, come se nulla fosse successo. Accade tutto così rapidamente che Neville si chiede per un secondo o due se l’abbia solo immaginato… ma no, sente ancora il sudore gelido di Seamus addosso là dove la loro pelle nuda si è toccata.

Odore di paura.

Odore di terrore.

 

(Cosa ha visto Seamus sotto quel cappuccio?)

 

-          Ehi, - esclama Seamus fingendosi oltraggiato per lo sbuffo precedente di Neville. - Io ti confesso la mia prima e innocente cotta gay e tu mi spezzi il cuore così?

-          Giurerei di averti sentito pronunciare la parola “innocente”, dopo “sesso selvaggio”- sghignazza Dean, e Seamus si interrompe un attimo, preso in contropiede.

-          Beh, sì, il sesso selvaggio verrebbe in una seconda fase, - dice,- dopo il corteggiamento e tutto…

Ma Ron non lo ascolta più.

 

(“Io ti confesso la mia prima cotta gay e tu mi spezzi il cuore così?”)

 

Un pensiero improvviso gli contrae lo stomaco, e la risata gli muore in gola.

 

(“Ron, non poteva, non capisci? Non capisci di chi era innam…”)

 

(E se il segreto che Harry non ti voleva confessare fosse questo?)

 

Innamorato di un ragazzo, e non di una ragazza. Non certo di lui, Ron se ne sarebbe accorto, ma di un maschio.

Ma no, sembra assurdo; Harry non può essere morto per non aver confessato una cosa così stupida.

Che importanza poteva avere per lui di chi fosse innamorato Harry, se maschio o femmina? Gli bastava che fosse felice. Lo atterrisce credere che Harry pensasse diversamente… e realizzare che non avrà mai la possibilità di convincerlo del contrario.

Seamus e Dean stanno ancora ridendo, l’isterismo nella loro voce che si incrina sempre più di follia.

No, Ron non lo trova più un suono contagioso.

Improvvisamente, risulta agghiacciante.

E non sembra il solo a pensarla così.

-          Si, ok, ne riparliamo dopo, eh? Ora rimettiamoci in marcia- dice ansioso Neville. Indica con gli occhi a  Ron un punto oltre le spalle di Dean Thomas, il volto tirato.

-          Sì, meglio andare- concorda Ron quando i suoi occhi si posano sul cadavere di Madama Pince seduta alla sua scrivania. Il cuore ha solo un lieve sussulto prima di tornare a battere quasi regolarmente, e Ron nota con quanta rapidità si stiano assuefacendo ai morti. – Usciamo in fretta da qui.

Non si voltano a guardare Madama Pince, non si voltano a dare una seconda occhiata a Zacharias Smith, così prontamente cancellato dal loro cervello esausto; non sono in grado di sopportare anche questo, perché avvicinarsi e controllare… vorrebbe dire accettare di fare qualcosa,

 

(Ucciderlo, forse, per non lasciarlo in questo stato? È l’unica cosa)

 

ed è oltre la loro sopportazione mentale. E allora via, i loro occhi non si soffermano, il pensiero scivola oltre. Tanto è grande il potere del cervello umano.

Dean e Seamus tornano seri, e tutti e quattro sono di nuovo in cammino, tendendo le orecchie per qualunque suono sospetto. Nick Quasi-Senza-Testa non ne fa quando spunta da dietro il ritratto di una famiglia Schiantata e si blocca davanti a loro con l’espressione terrorizzata.

-          Dissennatori, nascondetevi!

Seamus geme, Dean si umetta le labbra.

-          Quanti?

-          Sono troppi da affrontare. Stanno venendo verso di voi, sbrigatevi!

Ma dove? Dietro di loro c’è solo la Biblioteca, e non ci sono nascondigli lì.

-          Siamo al quarto piano, qui – dice Ron con voce atona, - c’è lo specchio.

-          Che c’è?- chiede Neville confuso.

-          Zitti e seguitemi!

Ron spicca una corsa, ma Dean, Seamus e Neville rimangono disorientati quando realizzano che, invece di fuggire dai Dissennatori, Ron sta andando effettivamente incontro a loro.

-          Ron!

Non c’è tempo per pensare, gli corrono appresso; lo ritrovano appena oltre l’angolo, in mezzo al corridoio. Stringe goffamente la bacchetta con la mano sinistra e la batte contro una sezione della cornice lucida. Per qualche istante non succede nulla, poi la superficie metallica si sposta di lato, rivelando l’antro buio di un passaggio segreto. Ron fa segno loro di muoversi, ed è sempre lui che, con un tocco di bacchetta, fa scivolare la cornice al suo posto, lasciandoli nel buio. Nick non è con loro.

-          Ron, questo cos’è?- domanda Dean recuperando fiato.

-          Era un passaggio segreto per Hogsmeade.

Era questa la sua vera funzione, anche se lui ed Hermione lo avevano sfruttato per altro; ripensa alla prima volta che erano finiti lì, in cerca di un po’ di privacy. Harry non aveva mai scoperto che gli aveva sgraffignato la Mappa del Malandrino per un intero pomeriggio, ed è troppo tardi per chiedere scusa; lo è anche per pensare alla Mappa: ormai le fiamme avranno raggiunto la Torre di Grifondoro.

-          Cosa?- sbotta Seamus. – Perché non l’hai detto prima? Lo…

-          Perché non lo possiamo usare- spiegarono, e digrigna i denti trattenendo un brivido.

La corsa gli ha mandato in fiamme la mano rotta, che ora è gonfia e tumescente sotto le bende troppo strette e sporche. Chissà perché cose come queste non comparivano in nessuno dei volumetti di “Le avventure di Martin Miggs, il Babbano matto” in suo possesso; quando Martin si rompeva la mano, il massimo che otteneva era farsi infilare quella specie di cilindro di un bianco immacolato che chiamavano “gesso”… nulla a che vedere con le sue bende lerce di sangue, sudore e sporcizia, avvolte sfatte intorno ad una mano sproporzionata e bitorzoluta e grande quanto il libro di Aritmanzia di Hermione. E che fa un male infernale.

Tira un sospiro per cercare di calmarsi.

“Respira”, si ripete, “respira”; rifaranno il bendaggio, quando avranno un attimo di pace, ma non è questo il momento.

Inghiotte un boccone di saliva acida e continua.

-          È bloccato più in là, c’è stata una frana o qualcosa del genere. C’è un altro passaggio che porta a Hogsmeade, ma è sotto il Platano Picchiatore, ed è troppo pericoloso. Poi…

-          Scusate, ma perché siamo al buio?- realizza Seamus all’improvviso. – Lumos!

La luce illumina il corridoio (eccola sì, la parete crollata) e i loro volti stanchi. Seamus sussulta quando vede quanto rosso e sudato è quello di Ron, quasi glielo avessero schizzato con acqua bollente.

-           Ron, stai…

Ron lo ignora.

-          Il solo passaggio che ci rimane è quello dietro la statua della Strega Orba. E quando … quando avrò ritrovato Hermione e Ginny …

-          Avremo- lo corregge Dean, e i suoi occhi parlano chiaro: ama Ginny come e più di lui. Neville e Seamus sono estranei a quella disperazione, non possono capire, ma Ron non lascerà lui, Dean, da parte. Cercheranno Ginny insieme.

È tale l’intensità muta del loro scambio di sguardi che Neville fa inconsciamente un passo verso Seamus, come a volersi fare da parte. Seamus gli lancia un’occhiata in tralice e si abbraccia il petto, innervosito

-          Ragazzi, forse dovremmo fare silenz….

Ma Ron lo ignora ancora un volta. Regge lo sguardo di Dean ancora un po’, poi annuisce.

-          Avremo, sì, certo. Le troveremo insieme.

Una sensazione spiacevole gli attraversa tutto il lato sinistro del corpo di colpo, come se l’avesse immersa in acqua gelata; per un attimo pensa che sia l’effetto dei Dissennatori, ma è solo Nick che è comparso dal retro della cornice e lo ha attraversato.

-          Sono andati?- bisbiglia Neville.

 Nick annuisce col capo.

-          Io e il Frate Grasso siamo riusciti a distrarli e ad attirarli su al quinto piano. Non ci sono più studenti lì.

-          Come lo sai?

-          Perché ho controllato, vi stavo cercando- aggiunge. – Ron,- dice il fantasma volgendosi verso il ragazzo, – ho visto Hermione.

Ron si irrigidisce, la mascella si serra in uno schiocco lì nel suo viso arrossato.

-          Sta bene?

-          Sì. E ….

Ma Ron non lo ascolta più. Oltrepassa Nick, Neville, Seamus e Dean e si incammina per un paio di metri nel corridoio; poi, continuando a voltar loro le spalle, si accoscia e si porta il braccio sano al viso. Le sue spella iniziano a sussultare in singhiozzi silenziosi.

-          Ron…

-          Sto bene- bisbiglia Ron, e la sua voce è arrochita dalle lacrime. – Datemi solo… solo un attimo.

Impiega quasi un minuto per riprendere il controllo; alla fine si rialza, si asciuga il viso umido con la mano e torna dagli altri.

-          Scusate – bisbiglia. Nick gli sorride comprensivo, Dean gli stringe la spalla. Neville invece ha gli occhi fissi a terra.

-          Hai detto che hai visto Hermione- cerca di riprendere il discorso Ron.

-          Sì, e ho un messaggio per voi. Ha detto di lasciar perdere il passaggio dietro la statua della Strega Orba, perché è bloccato, - e qui i ragazzi sussultano, -e andare invece al bagno delle ragazze al secondo piano.

-          Vuole che andiamo nel bagno di Mirtilla?- domanda, e il fantasma annuisce. Ron si umetta le labbra, che sono bollenti e salate di lacrime. – Sa come aprire la Camera dei Segreti?

Nick trasale, e lo guarda confuso.

-          Non  lo so, non ha parlato di… quel posto. Solo che avrebbe pensato lei a tutto.

Tanto basta a Ron. Si fida del cervello di Hermione.

-          Allora è lì che andremo.

Fa per muoversi, ma Seamus lo trattiene, mandandogli inavvertitamente una scarica di dolore su per il braccio ferito.

-          Aspetta, Ron, ho un’idea. Nick, ci sono ancora studenti dal quinto piano in su?

-          No, abbiamo avvertito tutti, nessuno dalle Torri fino a qui, eccetto voi. Noi fantasmi stiamo setacciando piano per piano per avvertire tutti.

-          Persino Pix?- domanda incredulo Neville.

-          Oh beh, sì, più o meno; almeno finchè Katie Bell non lo ha visto andare a sbattere contro un Dissennatore e scomparire con un grido. Nessuno l’ha più visto da allora.

Nella galleria cala il silenzio.

-          Nick, i Dissennatori sono su al quinto piano? Tutti quanti?

-          Credo… credo di sì; almeno quasi tutti.

Seamus scrolla le spalle,

-          Ci dovrà bastare.

-          Cosa hai in mente?- domanda Dean.

-          Distruggere le scale che collegano quarto e quinto piano; le facciamo saltare in aria con l’Incantesimo Reductor e quei fottuti Dissennatori rimangono bloccati lì ad arrostire!

-          Mi piace come piano- sorride Neville.

E a questo si attengono. Aspettano che Nick dia loro il via libera, poi raggiungono il pianerottolo di collegamento e lanciano tutti e quattro l’incantesimo contro le scalinate per il quinto piano; i gradini esplodono sotto l’impatto della magia, e le macerie crollano giù per la tromba delle scale in un boato riecheggiante. Della rampa non rimane che un mozzicone di pietra sbrecciata attaccato al pianerottolo, e lungo appena una decina di centimetri.

Ron sente Seamus bisbigliare a voce bassissima:

-          E ora friggete tutti, figli di puttana!

“Mai stato più d’accordo, fratello” pensa.

 

L’ingresso aperto per la Camera dei Segreti nel bagno di Mirtilla Malcontenta è come un occhio fatto di buio che li osserva. Neville e Seamus si sporgono oltre il bordo per vedere meglio, poi si ritirano e scuotono la testa.

-          Non si vede nulla là sotto. Sei sicuro che Hermione intendesse proprio questo passaggio?- chiede Neville.

Ron annuisce distrattamente col capo.

-           Sì, è questo, è da qui che io ed Harry siamo passati quella volta.

Nessuno, nota Ron, trasale al nome dell’amico; hanno visto troppi morti nelle ultime ore per soffrire per una singola persona. Nella morte, Harry Potter ha trovato l’uguaglianza che desiderava. Ora tutti loro hanno almeno una cicatrice sul loro corpo per ricordare. Tutti loro sono Sopravvissuti.

Almeno per ora.

Gli altri studenti sono raccolti a capannello intorno a loro, ma a distanza, e i loro occhi passano da loro quattro all’imboccatura del tubo tra i lavabi sbrecciati. Sono solo una parte dei ragazzi ancora in vita, perchè il bagno è troppo piccolo per poterli raccogliere tutti, ma la stanza risulta comunque molto affollata.  Mirtilla non si vede da nessuna parte, e questo sorprende Ron: davanti a quella invasione di territorio, si era aspettato di vederla appollaiata sullo scarico del gabinetto a piagnucolare e lamentarsi.

Scrolla la testa. Non ha tempo di pensare a fantasmi rompipalle vecchi di cinquant’anni.

Susan Bones e Justin Flitch-Fletchley sono qualche passo più avanti rispetto agli altri, ma non sembrano aver intenzione di avvicinarsi ulteriormente. Hanno i volti scavati e rugosi di sfinimento, e lordi di sangue e ferite; ma hanno ancora negli occhi un barlume di speranza mentre lo osservano… Lui, che ha fatto tornare sani e salvi Neville, Seamus e Dean. Lui, che si è già calato una volta in quell’occhio scuro tra i rubinetti. Lui, il migliore amico di Harry Potter.

Lo guardano come un capo, e non va bene, perché lui non è Harry, non è forte abbastanza. Il suo corpo trema per il dolore alla mano destra e il suo cuore trema per la paura…

Ginny ed Hermione non sono lì.

Susan si è affrettata a raccontargli di come Ginny abbia salvato tutti portando i giganti nella Foresta, e di come Herm e Luna abbiano aperto l’ingresso alla Camera dei Segreti parlando in una lingua strana e siano poi andate a cercare Fiorenzo giù nei sotterranei; parla come se le sue parole potessero mettere il cuore in pace a Ron, nessuna è in serio pericolo, ma sono solo un mucchio di stronzate. Non sono lì con lui… merda, non sono con lui, non può premere due dita sui loro polsi e sentire il battito rassicurante di un cuore vivo.

-          Nessuno ha provato ad entrare?- domanda Seamus sporgendosi nuovamente, una mano appoggiata contro il muro per osare un po’ di più. Neville lo tira via per la spalla.

Justin impallidisce.

-          No, no… Hermione ha detto di aspettarti, Ron, che ci avresti portato nella Camera dei Segreti.

-          E come, in braccio?- ringhia sarcastico Ron alzando il braccio fasciato.

Justin impallidisce ancora, e Ron trattiene il respiro per cercare di calmare il panico che gli percorre le vene intrise di sangue. La mano destra continua a pulsare ininterrottamente in fitte lancinanti da quando ha corso verso lo specchio, e per la prima voltarono si domanda se non la stia sforzando troppo, se non la stia compromettendo fino al punto di dover

 

(Cosa? Amputarla, Ron?)

 

ricorrere a soluzioni drastiche.

 

(Dovresti sopravvivere fino a quel momento, Ron. Un passo alla volta, pensa all’Adesso)

 

-          Dovete scivolare giù per il tubo, non vi farete del male; poi seguite la galleria principale.

-          Tu non vieni?- domanda allarmato Seamus.

-          No, devo cercare Ginny. Ora è lei quella in maggior pericolo.

-          Io vengo con te- dice Dean, e Ron annuisce; non aveva neanche messo in dubbio la cosa.

-          Cosa? NO!- grida Justin afferrandolo per il bavero della divisa. – No, no, no! Dobbiamo scendere nella Camera dei Segreti, Hermione ha detto che ci avresti guidati!

-          Io non vado da nessuna parte senza di loro!- digrigna i denti Ron scrollandoselo di dosso. – Senza Hermione non potremmo comunque entrare nella Camera, serve qualcuno che parli serpentese, ma potete incamminarvi. Noi cercheremo lei e Ginny e vi raggiungeremo dopo.

-          Ma perché devi cercare Ginny? Ha una scopa, capisci? Può volare! Ed è in gamba! Se la caverà!

-          Vuoi una risposta? – urla Ron. -Bene, eccola: perché è mia sorella!

Ma come fanno a non capire? Non è sufficiente una scopa per salvarsi la vita. A Smith non è bastata.

Justin indietreggia e si porta le mani al viso, sfinito; Susan gli passa un braccio dietro la spalla in un timido gesto di conforto.

Ron medita se portare con sé Neville e Seamus, ma rinuncia subito: loro non sono legati a Ginny come lui e Dean, non possono capire… e poi qualcuno deve rimanere per guidare gli altri.

Si osservano negli occhi in silenzio, lui, Dean, Seamus e Neville. Poi Seamus sbuffa innervosito.

-          Al diavolo, vado io avanti!

Si infila la bacchetta tra i denti come una ballerina di tango con una rosa e si siede sul bordo dell’apertura, le gambe penzoloni nel vuoto; poi si dà una spinta con le mani e scivola giù inghiottito dal buio.

Si avvicinano di istinto all’apertura e tendono l’orecchio per un segno di Seamus. Non devono attendere molto, solo un tonfo e uno sciacquio.

-          Sono arrivato, tutto ok!- rimbomba la voce di Seamus. – Scendete, si atterra nell’acqua!

“Acqua?” pensa Ron confuso. Non ce n’era quando lui ed Harry erano entrati, ma questo risale a quattro anni prima; forse la pioggia torrenziale degli ultimi giorni ha allagato i condotti sotto la scuola… ma come? Semplici infiltrazioni non sarebbero sufficienti.

Non senza l’aggiunta di altra acqua da un collegamento con l’esterno.

 

(Un passaggio per condurli fuori di lì)

 

“Non pensarci ora”.

Gli studenti iniziano a calarsi titubanti giù per l’apertura, e Neville si inginocchia all’imboccatura per aiutarli a scendere.

-          Noi andiamo, Nev.

Neville serra la mascella, pallido, ma non alza il viso. È solo quando sono arrivati alla porta che la sua voce li raggiunge.

-          Tornate interi- dice, e Ron sorride stanco.

-          Ok.

E ha tutte le intenzioni di mantenere la parola data.

 

Seguono inconsciamente lo stesso percorso di Ginny. La testa di Dean fa capolino da uno spiraglio della porticciola di servizio dietro il tavolo degli insegnanti in Sala Grande, occhieggia a destra, a sinistra, in cerca di una minaccia. Non vede nessuno, il prato fangoso è deserto.

“ La prima cosa che non va storta oggi” pensa con una smorfia Dean, e deve ringraziare Ginny: è stata lei a trascinare i giganti via da lì.

Ginny, che ancora non è tornata.

Scaccia via con un brivido i ricordi delle visioni date dai Dissennatori. “È  viva”, si ripete, “sta bene”.

-          C’è qualche problema?- ansima Ron alle sue spalle.

-          No- dice Dean uscendo e tenendo la porta aperta per l’amico. – Stai solo attento al braccio, c’è un vento della malora.

Quasi a voler sottolineare l’affermazione di Dean, una folata di corrente  violenta strappa la maniglia dalle mani di Dean e il ragazzo riesce a riafferrarla appena prima che colpisca Ron. Si scambiano uno sguardo allarmato; sanno entrambi che l’urlo di Ron avrebbe attirato tutti i goblin nei paraggi dritti su di loro.

-          Piano, ora- mormora Dean, ma invece di incamminarsi verso il capanno di Hagrid si ritrova a fissare imbambolato i lembi della fasciatura sfatta intorno alla mano di Ron, poi il suo sguardo risale al viso congestionato e madido di sudore. - Non hai l’aspetto di una persona che sta bene, amico.

-          Non sto bene, mi fa male- ammette Ron serrando le labbra  in una linea pallida. – Muoviamoci.

Dean esita un attimo. Sa che  la cosa più saggia sarebbe convincere Ron a tornare dagli altri, non è nelle condizioni di andare in giro con il braccio destro ridotto i quelle condizioni; ma sa anche che sarebbe fiato sprecato. E che lui, al suo posto, farebbe la stessa cosa.

Procedono con cautela tenendosi il più vicino possibile al suolo e cercando la copertura degli alberi per essere meno visibili; non sono sicuri di quanto sia utile, però: la luna piena in cielo è come un grosso occhio di bue che illumina l’acquitrino melmoso e qualunque cosa vi cammini sopra come fosse fosforescente. Dean avanza a passo svelto, e sente il respiro serrato di Ron, e i mugoli di dolore che cerca di reprimere. Stringe i pugni preoccupato; Dio solo sa se non lo è già abbastanza per Ginny.

Non sono neanche a metà strada quando si leva nel cielo l’ululato di un lupo. Dean si ferma di colpo, e Ron va quasi a sbattergli contro.

-          Perché ti sei fermato?- domanda brusco; alza una mano tremante a detergersi i capelli madidi di sudore, l’altro braccio tenuto raccolto al petto per proteggerlo dalle folate.

-          Hai sentito?- domanda Dean,e i suoi occhi sgranati schizzano lungo il confine della Foresta Proibita.

-          Sentito cosa?

Dean gli fa segno di tacere e tende l’orecchio al vento… ed ecco, un suono c’è. Ma non è il verso di un animale.

Qualcosa sibila nell’aria e si pianta con violenza nel terreno accanto a lui; Ron e Dean sussultano e fanno un balzo indietro, e il contraccolpo manda una scarica lacerante su per il braccio rotto. Ron urla, strizza gli occhi e si china in avanti per recuperare il fiato; passa una manciata di secondi prima che li riapra, ma l’asta della freccia conficcata nella pozzanghera sta ancora ondeggiando.

Dean osserva stupito il lungo bastoncino di legno, le piume all’estremità scosse dal vento.  

-          Ron,- dice stupito, come se faticasse a credere ai suoi occhi,- è una freccia.

Ron si volta verso il castello di scatto, e per la prima volta la paura che implode nel suo cuore fa passare in secondi piano il dolore alla mano: ci sono goblin lì davanti al portone di ingresso, e hanno gli archi puntati verso di loro.

I goblin rilasciano le corde tese e altre frecce sibilano verso di loro; ma il vento è troppo forte perché i tiri possano essere precisi, e  non colpiscono né Ron né Dean. Ma ci sono andate vicino: quattro frecce sono conficcate nella fanghiglia in un raggio di cinque metri intorno a loro.

-          CORRI!!! – grida a Dean con tutte le sue forze.

Il vento gli strappa via le parole, ma Dean capisce comunque. Anzi, è così lesto ad obbedire che per qualche istante Ron rimane a fissare imbambolato la sua schiena che si allontana. È necessario lo sfrigolio nell’aria di un’altra freccia perché Ron si risvegli. Solo a un metro di distanza, questa volta, perché i goblin si stanno avvicinando e perfezionano i lanci.

Si getta a perdifiato dietro Dean, con i piedi che sguazzano a fatica nell’acquitrino melmoso in cui la pioggia degli ultimi giorni ha trasformato il parco. Il corpo sussulta ad ogni passo, e ondate di dolore agghiacciante gli risalgono nelle ossa rotte come se fossero in fiamme; improvvisamente, l’idea di farsi amputare la mano assume attrattive sinistre.

Alle sue spalle, l’aria ha smesso di sibilare, ma i grugniti dei goblin si fanno più forti man mano che si avvicinano, li stanno raggiungendo.

“Pensa, maledizione, pensa!” si sforza Ron, ma non c’è nulla veramente che possa fare; lui e Dean sono un bersaglio troppo scoperto per i goblin, ma dove possono nascondersi? Sia il castello che il capanno di Hagrid sono distanti… non riusciranno mai a raggiungerli in tempo, realizza freddamente Ron.

Un sussulto più violento e gli occhi gli si velano di lacrime per il dolore; strizza gli occhi e serra le labbra, non deve urlare, non deve sprecare fiato. Quando riapre le palpebre gonfie, la vista è ancora appannata, ed è per questo che non riconosce subito la cosa che è sbucata dalla Foresta Proibita e viene loro incontro.

Poi il terreno paludoso del parco viene investito dai fasci luminosi di due fari, e li raggiunge il prolungato strombettare rauco di un clacson.

Lanciata in loro soccorso e azzurra come il principe delle fiabe… davanti a loro, la Ford Anglia perduta di Arthur Weasley.

 

***

 

La distanza che la separa dal castello appare alla mente di Ginny immensa come una traversata transoceanica, e allora la suddivide in tappe, piccoli obiettivi lontani una decina di metri l’uno dall’altro che appaiono rassicuranti nella loro vicinanza: un cespuglio contorto pieno di fiori gialli… un grosso sasso muschiato… ed eccolo lì davanti a lei, il limite della Foresta Proibita. Vede il capanno di Hagrid oltre il tronco di un albero segato in due, e il castello dietro di esso; le fiamme hanno divorato le torri e hanno iniziato ad intaccare il settimo piano, e il riflesso del fuoco si rispecchia nelle pozzanghere e sulla superficie del lago screziata dal vento…

Con la coda dell’occhio Ginny percepisce un movimento, e volta la testa appena in tempo per vedere un braccio massiccio e peloso slanciarsi verso di lei. Intravede qualcosa di umanoide, e grosso, e con zanne, e poi una mano afferra la punta della sua scopa e gliela strappa via dal corpo.

Ginny viene catapultata in aria e atterra di schiena in una larga pozzanghera limacciosa. L’impatto è così forte che le sradica tutta l’aria dai polmoni, e per parecchi secondi non pensa più all’attacco, ai giganti, ai ragni; la schiena è un unico grumo di dolore, con fitte lancinanti che le risalgono il dorso sino ai denti serrati.

Rimane immobile, incapace di muoversi se non per boccheggiare nel tentativo di risucchiare l’aria sufficiente a convincere i suoi polmoni a riprendere a funzionare. La pioggerella sottile le cade nella bocca aperta, nelle narici, nelle orecchie, negli occhi; geme, e nota per la prima volta chiaramente quanto è grande in cielo la luna.

Luna piena.

Qualcosa ringhia dentro di lei.

Non ha fretta di girarsi, e anche volendo non ne avrebbe la forza; rotola sullo stomaco, poi puntella mani e ginocchia nel fango e si issa carponi. Impiega quasi una ventina di secondi per raccogliere il coraggio necessario a guardare.

C’è un lupo mannaro lì davanti a lei. Nella posizione in cui si trova lo può vedere bene, luce di luna e luce di fiamma ad illuminare la figura massiccia coperta di fitta pelliccia color terra bruciata. È accovacciato sulle zampe posteriori e ha il busto chino in avanti; le fauci sono spalancate su zanne scheggiate, la lingua a penzoloni tra le labbra orlate di schiuma. Gli occhi neri e vitrei sono fissi su di lei.

Il lupo scatta e Ginny si appallottola a terra coprendosi con le braccia, in un gesto così brusco che le spedisce una scossa su per le costole doloranti. Sente lo schiocco di mascelle che si serrano, ma è aria quella che inghiottono, non carne.

-          Non così in fretta- lo rimprovera la voce di un uomo, incurante del ringhio gutturale in risposta. 

Raspare di unghie nel fango.

Ginny si costringe di nuovo a guardare.

Il mago è alle spalle del lupo mannaro e ha la bacchetta puntata contro le scapole coperte di pelliccia; la creatura è in piedi con la schiena inarcata, come se stesse tentando di scappare ed un guinzaglio invisibile lo trattenesse per il collo. Cerca di strattonare con più forza, ma il viso butterato del mago si increspa in un ghigno crudele, e torce appena la bacchetta all’indietro. Il lupo mannaro guaisce e retrocede.

Dolohov riporta la sua attenzione su Ginny.

-          Ci si rivede, ragazzina.

Ginny lo osserva, istupidita dallo shock; sente il corpo intero tremare, e i capelli sulla nuca si rizzano come gli aculei di uno Knarl.

“Non è giusto… non dopo i ragni… non dopo…”.

Dalle labbra le sfugge un lamento rauco.

Il lupo mannaro balza nuovamente in avanti e Dolohov trattiene la presa su di lui per un pelo. Ginny si ritrae istintivamente e si rovescia sul sedere; cerca di rialzarsi, ma non è ancora riuscita a mettersi in piedi che il mondo le oscilla davanti agli occhi, barcolla, geme e piomba a pancia in giù in una pozzanghera. Dolohov scoppia a ridere divertito.

Ancora raspare di unghie nel fango.

Ginny si issa sui gomiti e arranca ansimando sino all’albero spezzato in due accanto all’orto delle zucche, come a cercarvi riparo; preme la schiena contro il tronco scortecciato sino al midollo, e le schegge di legno sui bordi le si insinuano tra i capelli come denti di un pettine spettrale.

Dolohov la segue, trattenendo il lupo mannaro con la bacchetta come se fosse un innocuo cagnolino. Lancia un’occhiata estasiata al castello, riporta lo sguardo su Ginny e sorride.

-          Lo vedi, traditrice della tua stessa gente, cosa accade a chi si mette contro l’Oscuro Signore? Ogni cosa sta andando come Lui aveva previsto.

Ginny scalcia con i talloni nel fango per accucciarsi tra le radici; sente ciocche di capelli rossi appiccicate dal sudore sul viso come rivoli di sangue. Non ha la forza per alzare la mano e scostarli. Ne ha a stento per respirare.

-          Vorrei che Silente fosse qui- mormora Dolohov in soprappensiero. – Vorrei vedere l’espressione sul suo viso davanti alle carcasse dei suoi tanto amati Mezzosangue.

Il lupo mannaro si protende verso di lei e artiglia l’aria con una mano unghiuta. Ginny sussulta; è ancora troppo distante per colpirla, ma se Dolohov lascia la presa anche solo per un po’… se solo…

Ma all’improvviso né il Mangiamorte né il lupo mannaro stanno pensando a lei: i loro occhi sgranati sono fissi su un punto alle sue spalle; l’espressione sul volto di Dolohov è una maschera di orrore misto ad incredulità.

Ginny tende le orecchie e la avverte avvicinarsi; sente l’erba schiacciarsi sotto il peso di qualcosa di pesante, gli schiocchi acquosi di piedi

 

(zampe)

 

che affondano e riemergono dalla poltiglia fangosa del terreno.

Sferragliare di catene.

Poi si ferma.

Lì, accanto a lei.

 

( Non girarti, Ginny. Non farlo)

 

“Va bene” pensa. E prima di poter obbedire, volta lentamente la testa di lato, là dove sono puntati gli occhi strabuzzanti di Dolohov.

L’adrenalina le pulsa a fiotti nelle vene, e Ginny vede ogni cosa, ogni dettaglio… e qualunque voce razionale nella sua mente ammutolisce di colpo quando scorge il muso da insetto della Torliopa Uncinata a distanza di bacio da lei.  Scorge il suo riflesso negli occhi neri e grossi come mele della mantide religiosa, mentre la creatura fa schioccare le chele simili a cesoie. Osserva Ginny, l’enorme insetto gigante, verde, alieno, col carapace lucido di pioggia; Ginny ricambia lo sguardo con le palpebre sbarrate. Dalla gola le sfuggono pigolii tremanti senza che possa fare alcunché per fermarli. Non sente più il cuore. Non sente più i polmoni. È persa nella profondità ipnotica degli occhi della mantide.

Il lupo mannaro rovescia la testa all’indietro e lancia un ululato, con un movimento così brusco che lancia per aria filamenti di saliva catturata subito dal vento;  volge il muso verso la Torliopa e spalanca le fauci in una chiostra di zanne. La Torliopa Uncinata riporta l’attenzione  su di lui. Avanza pigra sulle quattro zampe insettoidi.

Dolohov sbianca e punta la bacchetta tremante contro il lupo mannaro.

-          Ammazzalo! Imperio!

Il lupo mannaro si scaglia contro la Torliopa Uncinata e diventano un unico insieme furioso di artigli, e zampe, e chele, e denti, e sferragliare metallico, e ringhi, e stridii; si abbarbicano l’uno all’altro con ferocia animalesca, azzannandosi, contorcendosi, scalciando.

Poi la testa della Torliopa scatta all’indietro, e dalla bocca le parte un getto di liquido nerastro che colpisce l’avversario tra gli occhi. Pelo e carne iniziano a sfrigolare, a sciogliersi; il lupo mannaro lancia un latrato di dolore e solleva le mani unghiute al viso. Le zampe affilate come rasoi della Torliopa mulinano in due rapidi fendenti, e il lupo mannaro guaisce e la ricaccia indietro con una zampata. Quando le due creature si allontanano abbastanza per tornare ad essere due essere distinguibili, Ginny vede che la pelliccia tra le braccia pigiate contro lo stomaco è inzaccherata di liquido scuro e denso,  rigagnoli di sangue grumoso inzuppano l’erba e si sfumano in sbaffi nella pozzanghera ai suoi piedi. Il muso è ridotto ad una sagoma calva e ustionata di carne viva, coperta di bollicine sfrigolanti.

Il lupo mannaro ansima e si lascia andare ad uggiolii carichi di pena e dolore; perde la forza e crolla all’indietro, e quando le braccia pelose scivolano di lato, Ginny vede che la Torliopa lo ha sventrato fino alla spina dorsale. Osserva il fumo che esce dallo stomaco aperto per qualche istante, prima che una folata violenta di vento lo disperda via.

Ginny osserva tutto con distaccata curiosità. Non sente più nulla, inebetita.

 

( Torna in te, Ginny, dannazione, torna in te!)

 

“Ho pagato il mio debito, adesso basta” pensa sfinita, ma sussulta comunque quando la voce di Dolohov urla:

-          Avada Kedavra!

L’aria viene illuminata da un lampo verde, e la Torliopa crolla a terra, morta; la pioggia leggera lava via il sangue che le ricopre le zampe affilate.

Dolohov si dirige zoppicando verso l’orto di Hagrid, e Ginny nota che è ferito ad uno stinco; il Mangiamorte si siede su una zucca con delicatezza e sospira di sollievo quando rilassa la gamba ferita. Punta la bacchetta verso Ginny e urla:

-          Vieni qui! Imperio!

Non si accorge degli effetti della Maledizione Senza Perdono, non subito, almeno. Ma poi il suo corpo prende a muoversi da solo: si issa in piedi, fa un paio di passi, le gambe cedono di schianto e Ginny finisce in ginocchio a terra. Nuovi schizzi di fango la raggiungono al viso. Forse ha perso l’altra scarpa.

Tutto, non importa.

Appoggia anche le mani e cammina carponi verso Dolohov.

“Mi sono riscattata, ho pagato”pensa meccanicamente mentre avanza. “ Ho pagato, ho pagato, ora basta, ho…”

-          Crucio!

Ogni nervo di Ginny scoppia in fiamme. È il dolore più devastante che abbia mai provato, come immergere il corpo nella calderai un vulcano, come strofinarsi le vene con l’acido corrosivo della Torliopa Uncinata. Si inarca e si irrigidisce di colpo, i tendini che sbalzano in rilievo sotto la pelle… è troppo da sopportare, è…

Il dolore cessa, di colpo.

Dolohov la guarda tremare e annaspare da sopra la bacchetta alzata, con un ghigno soddisfatto cesellato sulle labbra.

-          Lo vedi, ragazzina? Questa è la speranza di Silente, la speranza del mondo magico decaduto: tu, una traditrice dei tuoi avi, e i tuoi schifosi amichetti Mezzosangue. – Dolohov inspira e si riempie i polmoni. – Ma l’Oscuro Signore ripulirà l’umanità dalla debolezza e da scarti come voi. E premierà noi, i suoi servi più fedeli che…

Lo sente solo Ginny perché Dolohov è troppo distratto a parlare: uno scalpiccio, ticchettare di tonfi sordi, come qualcosa che zampetta sui gusci delle zucche… chele che schioccano.

Ginny è così certa che il suono provenga dalla Torliopa Uncinata che i suoi occhi schizzano sgranati sul corpo steso nel fango; ma nulla, non si muove. Deve essersi sbagliata.

O forse no.

Riporta l’attenzione su Dolohov appena in tempo per vedere la testina di una mantide religiosa, poco più grande di un cucciolo di cane, affondare le chele nella carne cedevole del collo di Dolohov. Dolohov assume per un istante un’aria sorpresa, poi il suo volto si accartoccia in un’implosione di dolore; emette un grido gorgogliante che lancia fiotti di sangue nell’aria a brillare sotto la luce delle fiamme. Cerca di strapparsi la creatura di dosso, continuando ad urlare, ma il piccolo di Torliopa gli si arrampica sulla schiena come uno zainetto; le zampe uncinano la pelle appena sopra i capezzoli e poi scattano, tagliano e affondano nella giuntura del collo. Il corpo di Dolohov ha un sussulto e la testa si stacca come una cerniera, tenuta unita al resto appena da un fascio di tendini.

“Sembra Nick Quasi-Senza-Testa ” pensa Ginny, e le risale in gola una risatina intessuta di follia. Brividi di gelo le attraversano il corpo e le accapponano le pareti spompate del cuore; il muso insettoide del piccolo di Torliopa scatta e morde

 

(“Oh no, no no no”)

 

la strisciolina di carne attaccata al capo ciondolante. La testa cade con uno schiocco flaccido in una pozzanghera, a faccia in giù nel fango; il resto del corpo ha un ultimo scossone prima di seguirla.

 

(Non guardare. No, Ginny, chiudi gli occhi)

 

Ma Ginny non riesce. Osserva paralizzata la piccola mantide saltare goffamente a terra e zampettare verso il cadavere, il verde del carapace ora imbrattato di sangue e grumi carnosi; risale annaspando sulla protuberanza adiposa del fianco ed emette un gorgoglio soddisfatto.

Poi cala la testa ed inizia il suo pasto.

L’urlo rimasto ingabbiato nella gola di Ginny da troppo tempo esplode all’improvviso, graffia le corde vocali, e la gola, e i polmoni, un grido per trattenere la sua sanità mentale, perché l’orrore… l’orrore…

Ginny si rimette in piedi e caracolla verso il castello in preda al panico; va lenta, troppo lenta, con il peso dei vestiti zuppi che la trascinano a terra e i piedi scalzi che affondano nel terreno melmoso.

 

(viaviaviaviaviaviaviavia)

 

Immagini senza senso le sfrecciano nella mente impedendole di

 

(scappascappascappascappascappascappascappa)

 

pensare; Ginny brancola con i bulbi oculari che le vorticano nelle orbite, inciampa, cade, affonda, si rialza, riprende il cammino. Il terrore è come una fascia di flanella che le fodera occhi e bocca, gettandola nel buio.

Ma in quella oscurità, un suono attraversa la notte e la riporta alla realtà.

Un clacson.

E la voce di Dean.

-          Ginny!!!

Da dietro il capanno di Hagrid le viene incontro la Ford Anglia di suo padre, arrugginita, ammaccata e piena di fango; Dean è sporto per metà dal finestrino, si porta le mani a coppa intorno alla bocca e grida:

-          GINNY!!!

Deve ritrarsi  nell’abitacolo di scatto, però: una freccia lo liscia di poco e Ron, alla guida, sterza bruscamente a destra. Lanciati al loro inseguimento ci sono un gruppo di goblin e dei giganti feriti, agitano le armi e gridano; sono ancora distanti, ma guadagnano terreno. Devono sbrigarsi.

La Ford Anglia si ferma a stento; Dean spalanca lo sportello, acciuffa Ginny per un polso e la tira dentro sulle ginocchia. La ragazza non ha ancora sollevato il secondo piede dal terreno che Ron ha già pigiato sull’acceleratore lanciando l’auto ad una velocità folle.

Dean è pallido e la tiene stretta a sé con un braccio solo

 

(ma quanta forza, in quell’abbraccio, quasi a spezzarla),

 

mentre l’altra mano è chiusa sulla leva del cambio, muovendola a casaccio tra le marce.

È l’aspetto di suo fratello che però la spaventa: ha l’aria di una persona infilata a forza in un tritacarne e poi ricomposta e sagomata in una formina difettosa, nel tentativo fallito di fargli riprendere la forma originaria. Guida chino sul  volante con una mano sola, le dita così strette da sbiancare le nocche. L’altro braccio è ripiegato al petto. Il viso è rosso e madido di sudore, le labbra serrate. Gli occhi sono gonfi per quante lacrime stanno versando. Ma anche così, Ron va avanti lo stesso.

Dean volta il busto all’indietro e lancia un’occhiata oltre il sedile per vedere i loro inseguitori, poi martella il palmo della mano sul cruscotto per esortarlo a muoversi.

-          Vai verso il Platano Picchiatore, li seminiamo lì, vai vai vai!!!

“È una follia ” pensa Ginny, perché il Platano non farà certo distinzioni tra studenti e nemici e ….

Un’ombra enorme cala su di loro con uno scricchiolio minaccioso di giunture legnose, ma la Ford Anglia scarta a destra appena in tempo, e Ginny si chiede come sia possibile, perché suo fratello ha girato a sinistra, non destra. Sinistra. Non le ci vuole molto per capire che non c’è alcuna corrispondenza tra come Ron gira il volante e la direzione che la Ford Anglia prende, ed è un bene, perché Ron è talmente accecato dalle lacrime che andrebbe a schiantarsi dritto contro il tronco del Platano Picchiatore.

L’auto procede zigzagando in una gincana alla cieca, mentre i rami cercano di colpirla, sollevando ondate di fango che investono sportelli e finestrini come onde di un oceano di catrame; i tergicristalli ondeggiano frenetici, restituendo oltre i vetri un mondo incomprensibile striato di lordura. Le ruote sobbalzano violentemente per i contraccolpi sul terreno, e ogni sussulto è accolto da un piagnucolio sommesso di Ron.

-          Manca poco, dai- lo incoraggia Dean voltandosi nuovamente a guardare il lunotto posteriore, e anche se Ginny non è certa se si rivolga a se stesso, la macchina o a Ron, sa che ha ragione: alle loro spalle li raggiungono le urla dei goblin arrivati a tiro del Platano Picchiatore.

Nello stesso istante, la Ford Anglia si ferma così bruscamente che Ginny quasi va a sbattere contro il cruscotto. Un’occhiata alla loro destra, e scoprono di essere arrivati al portone di ingresso del castello.

-          Oh- gemono, più per la scoperta che per il dolore. – Ce l’abbiamo fatta.

Ma non è vero, non sono ancora in salvo; l’intelaiatura dell’auto scricchiola e sussulta sotto i colpi di tonfi che vanno avvicinandosi, e Ginny ne ha sentiti abbastanza nella Foresta Proibita per sapere che i giganti li stanno raggiungendo.

Scendono dall’auto e spiccano una corsa verso l’ingresso, superando grandi sacchi di stracci; i goblin sono ancora troppo occupati con il Platano per usare gli archi e Dean si concede un’occhiata prima di richiudere il portone… e il suo cuore salta alcuni battiti. Il parco di Hogwarts, le scale, sono pieni di cadaveri di studenti. Con i finestrini appannati di fanghiglia devono averli confusi con massi, e può essere che li… che li…

 

( che ci siate passati sopra con l’auto, Dean. Ma almeno erano già morti)

 

-          DEAN!- lo richiama Ron alla realtà.

Dean trasale e si affretta a chiudere il portone e a sigillarlo con un “Colloportus”. Poi si gira, poggia la schiena contro il legno massiccio, e si abbassa di scatto istintivamente; la freccia si conficca là dove era la sua testa un paio di secondi prima, e il goblin che l’ha lanciata si prepara ad incoccarne un’altra, fermo sulla soglia della Sala Grande.

Ron e Dean si scambiano lo sguardo di un attimo, e nelle loro pupille è dipinta la stessa consapevolezza: non hanno sigillato la porticciola da cui sono usciti per cercare Ginny.

-          Stupeficium!- grida Ginny alzando la bacchetta, e il goblin cade a terra Schiantato; altri però stanno arrivando, e Ron si muove senza pensarci.

E per la prima volta da quando l’attacco è iniziato, l’istinto lo tradisce: invece di salire la scalinata di marmo per il bagno di Mirtilla, le sue gambe si dirigono da sole verso i gradini che portano ai sotterranei dei Tassorosso e delle cucine, li scendono, sfrecciano lungo i corridoi.

-          Ron! RON!!!- lo richiama angosciato Dean inseguendolo con Ginny, ma Ron non si ferma, non si volta, continua a correre avvolto nel bozzolo di dolore in cui è calato ormai da tempo. Non pensa, non respira, il braccio destro è l’unica parte viva in lui, e che sente.

Poi, il muro davanti a lui. Il corridoio è finito. E nessun posto in cui nascondersi.

Ron rallenta, si ferma, posa la mano sinistra contro la parete e si gira ansimando pesantemente. Dean e Ginny si avvicinano piano a lui, cercando di recuperare il respiro. Dean è cereo in volto, lancia occhiate disperate al corridoio dal quale sono venuti e stringe la bacchetta in una presa spasmodica; Ginny, invece, rivolge al fratello uno spettro di sorriso e gli stringe dolcemente la mano sana, come a voler dire: “Non fa nulla”. Ma non è vero, Ron lo sa: nella morsa del panico, li ha portati dritti in trappola.

 

(Troppo tardi per i rimpianti, ora, Ron)

 

La sua mente vola ad Hermione, ma Ron cerca di scacciarla: nello stato d’animo in cui è, lo farebbe solo crollare. Eppure, mentre sentono il vociare dei goblin e il loro scalpiccio avvicinarsi, Ron non riesce ad impedire ai suoi pensieri di rivolgersi a lei, a Harry, ai suoi genitori e ai suoi fratelli, e all’aspetto che assume La Tana quando è colpita dai raggi obliqui del sole al tramonto.

Ma c’è sua sorella ora con lui, e Dean.

“Niente rimpianti” si ripete. Gli ci vuole ogni rimasuglio di forza di volontà e coraggio per lasciarle la mano dopo aver ricambiato la stretta, poi le dita scivolano in tasca ed estraggono la sua bacchetta magica. Cerca di ricambiare il sorriso ma non ci riesce, e allora si china su di lei e le posa un bacio sulla fronte sporca.

-          Andrà tutto bene- mente Ron, e gli angoli delle labbra di Ginny si sollevano più su, in una linea tremolante.

-          Lo so- risponde lei facendo finta di credergli. Poi si affiancano a Dean ed attendono.

Sentono i goblin venire verso di loro, non manca loro perché girino l’angolo e li trovino.

“Sono troppi perché possiate farcela” gli dice una voce razionale nella sua mente, e Ron lo sa benissimo da solo. Il braccio gli fa male, ma il dolore è stranamente lontano, attutito. Niente sembra avere più importanza, adesso che la fine è arrivata; vorrebbe solo che Ginny e Dean non fossero a morire lì con lui.

I goblin si fanno vicini, e più vicini ancora. Ron, Dean e Ginny si lanciano un’occhiata di intesa, alzano le bacchette e voltano l’angolo decisi a portar dietro con sé più nemici possibile. I goblin hanno già le frecce incoccate, dirigono gli archi verso di loro e….

CRACK… CRACK… una serie di scoppiettii come mortaretti invade l’aria, e i goblin e Dean strillano sorpresi alla vista della tripla fila di Elfi Domestici Materializzatisi in mezzo al corridoio come una barriera vivente tra i due gruppi; tra le loro manine rifulgono palle di energia grosse come sfere da divinazione, che irradiano una luce spettrale e sembrano dar vita alle ombre intorno a loro.

Dobby avanza di un passo e ringhia ai goblin:

-          Voi non farete del male agli studenti di Hogwarts!

E poi, come se fossero un’unica entità, il fronte degli Elfi Domestici lancia i globi pulsanti di energia verso il nemico. Le sfere entrano in contatto con i goblin ed esplodono con un boato, il corridoio si riempie di urla di dolore e del fragore del rivestimento in pietra delle pareti che scoppia quasi avesse innesti di dinamite tra le giunture.

Dean aggancia Ron e Ginny per i gomiti e li trascina al riparo dietro l’angolo, tossendo soffocati dalla nuvola di polvere e calcinacci. E nonostante il frastuono che aggredisce loro le orecchie, riescono comunque a sentire il momento in cui Hagrid lancia il suo ruggito di rabbia e si lancia all’attacco.

Passano un paio di minuti che sembrano ore, e Ron rimane pigiato sopra Ginny per proteggerla; dopo un po’, sente infine la pressione della mano di Dean sul braccio per fargli segno di alzarsi. Lentamente, i tre girano l’angolo.

I goblin sono morti, portandosi dietro qualche Elfo Domestico; giacciono tra detriti di pietra e schizzi di sangue e membra nell’aria appestata di polvere, in uno scenario apocalittico da bloccare il cuore. Hagrid ha posato la mazza che impugnava e sta aiutando due Elfi a liberarsi da un grosso pezzo di muro franato loro addosso; è ferito gravemente e i suoi vestiti sono laceri e zuppi di sangue, anche se Ron è convinto che la maggior parte non sia suo.

Dobby trotterella verso di loro con un sorriso stanco sul volto e si piega in un inchino così profondo da sfiorare il pavimento con il naso a matita.

-          Ron Weasley, signore- bisbiglia stanco.

A differenza di Hagrid, Dobby non ha neanche un graffio; ha i diversi strati di calzini intrisi di sangue di goblin e deve aver perso la teiera che usava come copricapo durante lo scontro, ma a parte questo, è il Dobby di sempre. Ron riesce a fatica a collegare la creaturina davanti a lui con quella che ha guidato i compagni al massacro di una massa di goblin.

“ Se Voldemort si fosse alleato con loro, a quest’ora saremmo tutti morti” pensa Ron con un brivido.

-          Dobby…

Un tonfo, lontano, ripetuto.

Hagrid volta di scatto la testa verso l’alto.

-          Ron, tocca spicciarsi- lo avverte brusco. – Cercando di sfondare la porta, e non so quanto quella regge.

Dean si lascia sfuggire un gemito stanco e stringe Ginny a sé.

-          S-sì, ok-. Ron riporta l’attenzione su Dobby, e si ritrova senza sapere cosa dire. Sta scordando qualcosa di importante, ma cosa? Scuote la testa con forza, si morde il labbro per non urlare dal dolore quando il contraccolpo fa scontrare le ossa rotte e la mente torna finalmente lucida.

Ancora tonfi dal piano superiori.

-          RON!- lo richiama Hagrid allarmato.

-          Un attimo!- lo prega Ron, poi torna a rivolgersi all’Elfo Domestico. – Dobby, ascoltami:dovete avvertire il Ministero della Magia, mi hai capito? Hagrid avrà già avvisato Silente, ma tu devi informare Caramell e gli Auror, raccontare quello che è successo e dirgli che noi saremo a Hogsmeade. Ok?

-          Noi forse possiamo aiutarvi, Ron Weasley signore.

-          È troppo tardi, Dobby, ci aiuterai di più avvertendo il Ministero. Lo farai? Per favore!

-          Dobby farà come il signore chiede- si arrende l’Elfo con un sospiro. Fa per riunirsi ai compagni, ma Ron lo richiama.

-          Dobby… Grazie. Grazie veramente-. Deglutisce con uno sforzo e pronuncia una frase che gli fa montare addosso il bisogno lacerante di accasciarsi e piangere. Una frase che però sa essere vera. – Harry sarebbe fiero di ciò che hai fatto.

Sul viso di Dobby appare un’espressione di orgoglio e di tristezza infinita; poi tutti gli Elfi raccolgono i feriti, si inchinano un’ultima volta e si Smaterializzano nell’aria polverosa.

-          Forza, sbrighiamoci!- li esorta Hagrid inquieto.

Risale di corsa le scale insieme agli altri, stringendo i denti e soffocando i singhiozzi. Il portone di ingresso scricchiola e sussulta violentemente sotto i colpi dei giganti; pezzi di assi e bulloni si staccano e schizzano sul pavimento sotto la forza dell’assalto.

“Più veloce” pensa Ron con gli occhi offuscati dalle lacrime, “più veloce”. Il portone sta cedendo. È questione di secondi ormai.

Neville è sul pianerottolo del secondo piano ad attenderli, il corpo tremante per la tensione. Tende la mano verso di loro, ma si rifiuta di incrociare lo sguardo di Ron, e Ron intuisce la verità senza bisogno di parole: Hermione non è lì.

Dalle labbra gli sfugge un lamento di disperazione.

L’attimo dopo, lo raggiungono tre suoni diversi in rapida successione: lo schianto del portone di ingresso che esplode sotto i colpi dei giganti. Il rumore di zoccoli che martellano contro il marmo degli scalini. E la voce di Hermione che urla spaventata:

-          Più veloce!

-          HERMIONE!- la chiama Ron incredulo.

Poi lo raggiunge un quarto suono, agghiacciante… il frastuono di gradini che crollano.

E grida di dolore.

 

Si stringe più forte alla vita di Fiorenzo e sente che Luna fa altrettanto; il centauro ha il torso madido di sudore per lo sforzo di risalire le scale con loro due in groppa, e il respiro è rotto e ansimante.

Hanno appena superato la prima rampa di scale che il portone esplode con uno schianto fragoroso e una nube di polvere, e nella Sala d’Ingresso iniziano a riversarsi goblin e giganti. Il rumore degli zoccoli di Fiorenzo echeggiano e rimbalzano nelle sale del castello come una mandria di cavalli; ci vogliono pochi secondi prima che i goblin si accorgano di loro e partano all’inseguimento.

Fiorenzo li sente e accelera , ed Hermione lo vede tentare di risucchiare aria nella sua gola contratta dallo sforzo, ed avverte il battito del suo cuore, come impazzito. Devono sbrigarsi. I goblin stanno risalendo verso di loro.

-          Più veloce!- esclama Hermione spaventata lanciandosi un’occhiata alle spalle. Ancora niente, ma li può sentire, il loro scalpiccio, i loro versi in lingue incomprensibili, il clangore metallico delle loro armi.

“Manca poco… manca poco…”

-          HERMIONE!

Hermione sussulta e guarda verso l’alto: Ron e gli altri sono sul pianerottolo davanti a lei e …

All’improvviso sparisce il sostegno sotto gli zoccoli di Fiorenzo, letteralmente, ed Hermione e Luna vengono catapultate contro gli scalini. Ha un attimo di lucida freddezza mentre si rovescia in aria, un attimo in cui comprende cos’è successo, mentre la raggiunge un urlo lacerante di dolore: il gradino fasullo a metà rampa. Fiorenzo non l’ha saltato.

Colpisce con violenza gli scalini e l’impatto le spezza il respiro nel corpo ancora indolenzito dallo scontro con Kingsley. Ron e Neville si precipitano ad aiutarla mentre Hagrid, Dean e Ginny vanno da Luna e Fiorenzo; l’aiutano a rialzarla, ed in fretta, perché i goblin e i giganti si fanno più vicini.

-          Stai bene? Stai…Stai…- farfuglia Ron ansioso, ma poi Neville trasale, ed Hermione e Ron seguono il suo sguardo.

Fiorenzo è afflosciato scompostamente sulla scalinata e ha una delle zampe posteriori affondata sino alla coscia  nello scalino finto; gli occhi sono opachi dal dolore, scuote la testa debolmente e ansima con difficoltà.

Hagrid è chino su di lui ad esaminargli la ferita; alza il volto con una smorfia impotente e si scosta, permettendo agli altri di vedere. Una sezione dello scalino penetra nel muscolo e lo attraversa per intero. Non c’è modo di estrarre da lì Fiorenzo senza strappargli via anche la zampa.

Hagrid si lascia andare ad un pesante sospiro, si rialza, impugna la mazza, scende di qualche gradino le scale e lì si ferma.

-           Ron, andate- mormora, e le sue parole sono udibili nonostante il gemere febbrile di Fiorenzo e il frastuono di goblin e giganti che si avvicinano.

Sono ad una rampa di distanza, finalmente in vista.

Arrivano.

-          Hagrid, no!!!- grida Hermione angosciata, capendo le sue intenzioni.

-          Hagrid – dice Ron smarrito, e non sa che fare. Non possono lasciare Hagrid e Fiorenzo, non possono… - Insieme… insieme possiamo farc…

-          NON ESSERE FESSO! ANDATE! CI PENSO IO A QUESTI!!!

-          Hagrid….

Ma Hagrid urla e si lancia contro i goblin, bloccando loro il passaggio e falciandoli con la mazza; Ron esita ancora, e sono Neville e Dean ad agire: prendono Ginny e Luna e le aiutano a risalire di corsa verso il bagno di Mirtilla. Ron rimane lunghi istanti in piedi sulle scale, lo sguardo che va da Hagrid a Fiorenzo, e di nuovo ad Hagrid.

Hermione gli posa la mano sulla spalla, e Ron si volta verso di lei.

-          Andiamo, Ron- bisbiglia piangendo,- o morirà per nulla.

 

(Non c’è più nulla che puoi fare qui)

 

Nulla.

Nulla per Harry, nulla per Hagrid.

Ron ha imparato ad odiare con tutto se stesso questa parola, ma i suoi sentimenti personali non possono cancellarne la verità.

Spicca una corsa con Hermione e raggiungono il bagno, adesso vuoto; anche da lì sentono le urla e i rumori dello scontro… Hagrid, che sta morendo per loro.

Hermione soffoca un singhiozzo e aiuta Ron a sedersi sul bordo del grande tubo tra i lavandini sbrecciati, prima di sedersi a sua volta; ora è lei ad esitare, continua a lanciarsi occhiate alle spalle nella speranza di vedere Hagrid correre verso di loro. Sa benissimo che non accadrà, che non lascerà Fiorenzo a morire da solo.

Ron le stringe dolcemente la mano.

-          Hermione…

Riporta lo sguardo su Ron e vede che sta piangendo anche lui. Annuisce mesta.

Aggancia il braccio intorno alla vita di Ron e bisbiglia in serpentese:

-          Chiuditi.

I bordi dell’apertura iniziano a restringersi, ma c’è spazio a sufficienza perché loro due possano scivolare giù nel vuoto. Hanno già preso velocità quando li raggiunge il grido di morte di Hagrid; poi il passaggio si chiude, spezzando a metà la sua voce.

Ma da qualche parte, nella loro testa, quell’urlo sarebbe riecheggiato per sempre.

 

Ron sa che l’atterraggio farà male.

Ha tutto il tempo per realizzarlo, mentre scivola giù per il tubo, nel buio, per un tempo che sembra infinito; l’attrito e i sussulti, anche solo lo sferzare dell’aria data dalla velocità, sbatacchiano fra loro i bordi delle ossa rotte della mano, e Ron digrigna i denti e contrae i muscoli, e si sente i testicoli ridotti alle dimensioni di acini d’uva.

Farà male, ed è pronto al peggio… ma anche così, la sua mente non è in grado di immaginare la reale intensità del dolore, perché quello che prova quando schizza fuori dall’apertura e impatta col braccio sull’acqua… quel dolore è al di là di qualsiasi scala di valore.

Ron affonda nell’acqua e lancia un grido disumano, espellendo fiotti di bolle d’aria con tanta violenza dalla bocca da forarci una lastra di metallo. È come se il braccio gli fosse esploso e le schegge d’osso si fossero conficcate in tutto il suo corpo; bulbi oculari e testicoli pulsano in spasmi, il cervello vaga tramortito.

Due paia di braccia lo agganciano sotto le ascelle e lo tirano su; Ron spacca il pelo dell’acqua, aspira aria e la risputa in un nuovo grido di dolore. Lo spazio intorno a lui si riempie degli echi rimbalzanti delle sue grida, moltiplicandoli, in una sinfonia cacofonica spettrale.

-          Neville, tienilo fermo! Tienilo fermo!- urla una voce femminile.

Qualcuno cerca di aggiustare la presa sul suo torace ansimante per immobilizzarlo; Ron rovescia la testa all’indietro e tenta di ricacciarlo, la stretta è troppo forte, non riesce a respirare…

-          SUBLATUS!

Il dolore scompare, di colpo.

Ron spalanca gli occhi e smette di lottare, rimane immobile e boccheggiante a risucchiare grosse boccate d’aria. I muscoli lentamente si rilassano, il corpo smette di tremare.

Nella galleria, gli echi delle sue urla vanno affievolendosi in lontananza.

-          Ce l’hai fatta, Hermione!- bisbiglia sollevato Neville rilasciando Ron.

Ron abbassa la testa e la vede, Hermione davanti a lui,  ferita, spaventata e sporca… ma viva. E di nuovo con lui.

-          Herm…- bisbiglia, ed è tutto ciò che riesce a dirle prima che lei gli getti le braccia al collo e lo stringa a sé. Lui ricambia goffo, i movimenti ancora incerti; riesce ad usare solo il braccio sano, quello destro non risponde, è come un’appendice separata dal corpo. – Stai bene? – le chiede, la voce rauca per aver strillato tanto.

-          Sì, sì, sto bene, ora sto bene… ti amo, Ron.

Alza il viso e lo bacia, nonostante il freddo per essere immersi in acque gelide fino alla cintola, e la pelle sia così calda da sembrare febbricitante.

-          Ti amo- mormora Ron, e la stringe a sé; può sentire il cuore martellarle furioso in petto sotto i vestiti zuppi e gocciolanti.

“Viva”, pensa incredulo. Ce l’hanno fatta.

-          I-il braccio come lo senti?

-          Non sente nulla- risponde sinceramente Ron, e non lo sorprende il tono sollevato nella propria voce. Niente dolore.

-          Mi spiace… Oh, Ron, Madama Chips lo avrebbe aggiustato subito, ma io non conosco un incantesimo Risanante. Ne ho dovuto usare uno Anestetizzante, ma non puoi usarlo, mi dispiace…oh, se solo avessi studiato di più…

-          Shhhh- la zittisce dolcemente con un altro bacio. – Buona adesso, sei stata bravissima.

Hermione si scosta da lui e cerca  i suoi occhi, poi quelli degli altri studenti intorno a loro. Sono stretti gli uni contro gli altri, feriti e tremanti e con i loro animali tra le mani o nei taschini, e forse può essere uno scherzo degli occhi, ma sembrano comunque centinaia. Le luci fioche delle loro bacchette sono come lucciole immobili nell’aria, e sono così tante che Ron non riesce a contarle.

“Non ci avete ammazzati tutti, bastardi” pensa Ron serrando la mascella.

-          Sentite tutti- inizia Hermione, e la sua voce è abbastanza salda da attirare l’attenzione di ognuno. – So che siete stanchi, ma vi chiedo di ascoltarmi . C’è… c’è un passaggio, nella Camera dei Segreti, che ci porterà fuori da qui. Sappiamo che il Basilisco è stato ucciso,- e qui Hermione si ferma, si umetta le labbra, continua, - ma non sappiamo cos’altro ci aspetta. Niente, credo, ma è meglio rimanere all’erta, ok? Abbiamo avuto già abbastanza sorprese per oggi.

La cosa che stupisce di più Ron è che tutti accettano le spiegazioni di Hermione senza battere ciglio; non sembrano neanche lontanamente le stesse persone che avevano attaccato Ginny e gli altri su nella Torre di Corvonero… ma quello era all’inizio dell’attacco, e ancora troppe morti dovevano venire. Ciò che cercano adesso è solo qualcuno a cui credere.

-          Ron, Ginny- si rivolge loro Hermione. – Voi siete gli unici ad essere già entrati nella Camera. Guidateci.

Ron esita un attimo prima di annuire, poi prende per mano Hermione ed insieme si incamminano verso il fondo del tunnel; studenti e animali (Colin Canon fa loro un cenno di saluto con Grattastinchi tra le braccia) si scansano per lasciarli passare, come una folla assiepata ai lati della strada per assistere ad una sfilata. Poi, lentamente, li seguono.

Ron si trova più volte a lanciarsi alle spalle occhiate sconcertate verso quel gruppo di ragazzi che sembrano giovanissimi, e sperduti, e sotto shock, feriti e sanguinanti; pensa che solo il giorno prima lui stesso era felice e tranquillo, con entrambe le mani sane e funzionanti. Come può essere successo tutto quello? Come può realizzarsi una tale distruzione in così poco tempo?

È come se con la morte di Harry fosse scattato un conto alla rovescia verso la fine delle cose…

 

(Animo, Ron, hai cose più importanti a cui pensare)

 

Sì, le ha. Un dubbio per cui chiedere spiegazioni, ed è per questo che si allontana lo spazio sufficiente per non essere ascoltati… non molto, in effetti, tra il chiacchiericcio sciacquettante dei loro corpi che fendono l’acqua, e il gocciolio costante, e il vento che ulula senza sosta tra le gallerie.

-          Hermione, sei sicura che esista questo passaggio?- mormora, e si rende conto solo dopo aver richiuso la bocca di quanto coraggio abbia richiesto porre quella domanda. Perché se Hermione si è sbagliata, non ci sarà bisogno di giganti o Dissennatori per ammazzarli. Rimarranno bloccati lì per sempre.

Ma la risposta di Hermione lo spiazza completamente.

-          Riempiti i polmoni, Ron.

-          C-come, scusa?

-          È l’aria la soluzione, non capisci? Hai difficoltà a respirare?- domanda, e l’attimo dopo oscilla bruscamente di lato quando mette un piede su una pietra scivolosa; Ron la acchiappa al volo e rimane stupito quando lo scatto violento non gli manda il braccio destro in fiamme. È inutilizzabile, e pende lungo il fianco con mano e avambraccio immerso sotto il pelo dell’acqua. Ma non fa male…ed è incredibile con quanta velocità il ricordo del dolore scompaia dalla sua testa.

-          Ron- lo richiama Hermione, e lui sussulta.

-          Sì, scusa. No, non ho problemi a respirare.

Come per voler confermare la sua affermazione, inspira a fondo; l’aria sa di terra e di umidità, ma per il resto è normalissima.

-          È per il ricambio d’aria con l’esterno. Se la Camera fosse sigillata, Harry e Ginny sarebbero morti asfissiati; invece non avevano problemi. E poi…

Hermione si interrompe di colpo quando vede la parete di roccia franata davanti a loro; è una visione così inaspettata che la mente di Ron fatica un attimo

 

(Siamo bloccati! Siamo topi in trappola!)

 

prima di ricordare che era stato Allock nel tentativo di cancellare la memoria a lui e Harry a provocare la frana… e che lui era riuscito ad aprirvi un varco per far uscire sorella e amico.

-           Cerca l’apertura- si affretta a dire Ron prima che Hermione e gli altri studenti cadano nel panico. – C’è un buco lì in mezzo.

Ma non lo vede da nessuna parte, la parete sembra compatta ed indistruttibile; il gocciolio costante che echeggia nell’aria sembra quasi schernirli. Poi Ginny si fa spazio tra loro e avanza fino al muro di detriti; si piega per immergere meglio il braccio e prende a tastare le pietre sotto il pelo dell’acqua.

-          Trovato!-dice inespressiva voltandosi verso gli altri, e mentre i ragazzi intorno a lui si lasciano scappare gemiti di gioia e Grattastinchi soffia schifato all’idea di bagnarsi, Ron sussulta quando incontra gli occhi di sua sorella: sono vitrei e imperturbabili, quasi nulla di tutto questo le stesse accadendo veramente.

Per la prima volta, si domanda cosa abbia visto Ginny nella Foresta Proibita per ridurla così.

L’apertura è proprio sotto la superficie dell’acqua; uno a uno si immergono e sgusciano nel passaggio trattenendo il respiro. Ron tiene gli occhi puntati verso la volta del soffitto, tremando intirizzito dal freddo. “Ora crolla, ora crolla”, pensa senza riuscire a impedirselo, ma anche l’ultimo studente passa, e loro sono ancora vivi; soffoca a stento la voglia di lanciare un grido di gioia… meglio non sfidare la sorte.

Svoltano la curva e questa volta Hermione non esita quando trova il passaggio bloccato da una porta con due serpenti scolpiti; sibila qualcosa in serpentese e la porta si spalanca aprendosi in due.

 

(Eccola, la Camera dei Segreti)

 

Entrano in una sala lunga e stretta, con un soffitto che si perde nel buio infinito e acqua stagnante e nera come catrame; sulla superficie galleggiano come piccoli nei i cadaveri gonfi di alcuni topi affogati.

Gli studenti bagnati si stringono gli uni contro gli altri in un movimento inconscio, procedono lanciandosi intorno occhiate atterrite, i nervi tesi fino allo spasmo.

Ginny invece sembra tranquilla, nonostante quella sala le riservi ricordi orribili; Ron la sente addirittura sghignazzare mentre si guarda intorno e bisbiglia:

-          Niente ragni qui!

Innervosito, Ron si riavvicina ad Hermione.

-          C’è un altro motivo per cui credi che esista il passaggio, vero?- le domanda, ed Hermione annuisce piano, staccando con difficoltà gli occhi dalle sinistre colonne serpentine e riportandoli su di lui. Si sfrega con forza le mani per scaldarle.

-          È per una cosa che mi ha detto … Harry, l’estate del secondo anno.

Due linee di lacrime le solcano le guance già umide e sporche, e Ron le sfrega via con delicatezza. Hermione abbozza un sorriso di gratitudine e intreccia le dita goffe ed intirizzite con le sue.

-          Che ti ha detto?

-          Di aver sentito una corrente d’aria nuova, quando la bocca della statua si era aperta per far uscire il Basilisco. E un odore di alberi e fiori sotto quello di acqua stagnante e sporcizia. Credo… credo ci sia più di un passaggio per uscire da qui, e uno si trovi proprio dietro la bocca di Serpeverde. Anche se sinceramente non riesco ad immaginare dove possa sbucare. Spero non lontano da Hogsmeade,- Hermione lo guarda e si umetta le labbra, - altrimenti non credo che ce la faremo.

Le bacchette illuminano la sagoma tozza e semisommersa di enormi piedi di pietra; la luce si riflette sulle screziature dell’acqua e lancia bagliori incorporei sui bordi della tunica scolpita, quasi fosse tempestata di strass.

-          Ecco la statua di Serpeverde – commenta Ron con un sospiro.

Alle sue spalle, Ginny si lascia sfuggire un’altra delle sue risatine agghiaccianti.

-          E ancora niente ragni!

Ron rovescia la testa all’indietro per cercare di vedere la testa del mago, ma il buio è così fitto che le bacchette illuminano a malapena fino a metà dei polpacci di pietra. Sospira ancora e riporta lo sguardo a terra.

-          Vorrei che Harry fosse qui- mormora triste.

Hermione sussulta violentemente.

 

(“Non so se quello a cui è andato incontro Harry Potter è il destino che gli astri avevano prescelto per lui”)

 

-          Ron – inizia, ma poi la frase le si spezza in un sussurro muto. Non trova il coraggio di continuare.

-          Cosa?

 

(Non puoi essere sicura. Non dargli speranza senza certezza. Ne morirebbe)

 

-          Nulla, non importa.

Seamus e Neville li raggiungono sguazzando, con i capelli bagnati uniti in ciuffi ispidi. Gocce d’acqua gli pendono dai lobi come orecchini.

-          Perché ci siamo fermati?

Ron gli indica con un cenno del mento i piedi enormi.

-          Il passaggio è là in cima, nella bocca della statua.

Seamus si mastica pensoso il labbro inferiore per qualche istante.

-          Hermione, potresti farmi levitare fin lassù?

-          Cosa?- chiede la ragazza presa in contropiede. – Oh, sì, sì, certo.

-          Seam, sei sicuro?

-          Tranquillo, amico- sogghigna Seamus rassicurandolo, ma poi i suoi occhi diventano incerti, e lancia un’occhiata in tralice verso Neville; Neville intercetta il suo sguardo e i due si fissano per un lungo istante, seri, prima che Seamus riporti con uno sforzo la sua attenzione sulla ragazza. Stringe forte la bacchetta illuminata e le fa cenno con la testa di procedere.

-          Wingardium Leviosa!  

Seamus sguscia verso l’alto lanciando schizzi di acqua scura, e sfreccia risalendo la statua, luminoso nel buio come una stella cometa. Supera ginocchia, ventre, spalle di pietra; arrivato al collo, Hermione ne rallenta la salita fino a sospenderlo all’altezza della bocca. Seamus si aggrappa alle narici e poggia i piedi sulle labbra chiuse.

-          Ehi, è chiuso! – li avverte Seamus allarmato.

-          Lo so, ora lo apro!- si affretta a tranquillizzarlo Hermione. – Spostati da lì e aggrappati  a qualcosa .

La ragazza aspetta qualche secondo prima di emettere lunghi sibili serpenteschi che fanno rizzare i peli sul corpo zuppo di Ron. E illuminata dalla bacchetta di Seamus, la gigantesca bocca di pietra si spalanca.

Prima che Ron, Hermione e Neville possano tirarsi indietro, vengono investiti in pieno dall’ondata d’acqua che sbuca da dietro le labbra  e precipita su di loro con la violenza di una cascata, quasi il vecchio Salazar Serpeverde avesse esagerato con il Whisky Incendiario e adesso stesse rimettendo l’anima. Riemergono sputacchiando e tossendo appena in tempo per sentire Seamus urlare entusiasta:

-          C’è una corrente d’aria fresca qui! E odore di fumo… non tanto, ma c’è.

Gli studenti scoppiano in grida di speranza, qualcuno inizia a piangere; le gallerie si riempiono degli echi rimbombanti delle loro voci, ma per una volta non è un suono spaventoso. Ron si scrolla via i capelli zuppi dagli occhi e vede che la cascata si è ridotta ad un rigagnolo che annerisce la tunica del mago quasi fosse una inserto di gessato; lui, Hermione e Neville devono essere stati investiti in pieno dall’acqua che si era accumulata dietro la bocca chiusa, ma ora il flusso si sta esaurendo.

 

(Un passaggio per l’esterno. Adesso non più solo una speranza, non più)

 

Si volta verso gli altri e richiama la loro attenzione con la mano sinistra.

-          Ragazzi, manca poco. Là in cima c’è il passaggio, ma molti tra noi sono troppo feriti per lanciarsi da soli un Incantesimo Levitante, perciò dovremo aiutarli.

“Uniti e compatti resister dobbiamo, se il crollo di Hogwarts veder non vogliamo” cantilena il Cappello Parlante nei suoi ricordi; Ron scrolla la testa e si prepara a far levitare i primi feriti.

“È troppo tardi per Hogwarts” pensa amaro, “ma noi possiamo ancora salvarci”.

Vanno avanti a lanciare “Wingardium Leviosa” finchè cervello e mascelle e polsi scricchiolano per l’esaurimento. Lì dov’è, mentre gli studenti sopravvissuti risalgono la statua, Ron realizza che, se anche l’attacco non ha sterminato tutti i ragazzi, ne ha uccisi quasi la metà. Ci sono tanti volti amici che cerca e non trova, in quel flusso di facce… Lavanda… Patricia Stimpson… Michael Corner… Hannah Abbott…

“Morti” pensa, ma è troppo stanco per piangere ancora.

Convince Hermione a levitare prima di lui, ma è Neville quello che chiude la fila di stelle comete, lasciando le acque della Camera dei Segreti per ultimo.  Quando supera le labbra di pietra si ritrova in una sala enorme con le pareti ricoperte di grossi serpenti di pietra scolpiti, da cui gli studenti si tengono alla larga; in fondo si apre un passaggio buio sbarrato da pali di ferro rugginoso, ed Hermione e Ron si affrettano ad aprire la grata con un sibilo e addentrarsi nella nuova galleria.

Neville sosta sul bordo delle labbra in attesa che la sala si svuoti, lancia un’occhiata giù oltre i grossi baffi di pietra ma non vede nulla, è troppo buio, e lo spazio si moltiplica nell’oscurità con una sensazione da dare il capogiro. Seamus gli si affianca e rivolge un sorriso sarcastico ai baffoni di pietra e al resto della sala, e scuote la testa incredulo.

-          Salvati proprio dal fondatore dei  Serpeverde. Senza parole…

Neanche Neville le ha, e rimangono lunghi istanti a fissarsi, con i capelli umidi impiastricciati sul viso, e i menti gocciolanti, e i corpi tremanti intirizziti dal freddo.

-          Grazie per avermi salvato la vita, in Biblioteca – mormora Seamus all’improvviso. Fa una pausa, e poi aggiunge con un sorriso timido – Non ci crederai, ma l’ho veramente apprezzato.

Neville ricambia.

-          È stato un piacere.

A quelle parole il sorriso di Seamus diventa malizioso, le labbra si assottigliano a mostrare una mezzaluna di denti e un paio di fossette ai lati.

-          Ah, beh, vorrei vedere! Sei rimasto colpito dalla mia proposta sessuale, non hai resistito!

Neville, di suo, non si sforza neanche di rispondere: emette uno sbuffo esagerato di finta rassegnazione e volta gli occhi al cielo.

-          Chi disprezza compra, mio caro, è inutile che fai il timido!- sghignazza Seamus passando un braccio dietro le spalle di Neville e arruffandogli i capelli bagnati.

Il tono di Seamus è scherzoso, ma il suo corpo trema ancora, Neville lo sente chiaramente, vicino com’è; trema, sì, e non solo per il freddo: può vedere il ricordo del Dissennatore in ognuno di quei brividi.

Ancora una volta, Neville cerca di trasmettergli conforto, sicurezza... “Andrà tutto bene”, vorrebbe rassicurarlo, “ce la faremo”; ma le sue labbra non si muovono, forse perché fiutano una bugia troppo grande in quelle parole. La verità è che non sa neanche lui se ce la faranno. Non sanno cosa li aspetta là fuori.

E allora non dice nulla a parole, e comunica tutto con quel sorriso.

Seamus comprende, si tormenta un labbro con i denti, annuisce.

-          Dai, raggiungiamo gli altri- dice infine.

Riprendono il cammino, ma il braccio di Seamus non si muove dalla spalla di Neville; per quanto siano dei Grifondoro, ne hanno viste troppe per abbandonare quel piccolo conforto dato dal contatto fisico.

Qualcuno degli altri lancia loro un’occhiata, qualcuno li imita, ma nessuno commenta, perché capiscono. Non è un’avventura che puoi affrontare da solo, quella, e se Dean ha Ginny, e Ron ha Hermione, loro due, Neville e Seamus, ora si sono trovati. Sono l’uno il sostegno dell’altro, in quella notte che sembra senza fine.

Va bene così, sì. Ognuno cerca di essere forte per sé. Ognuno cerca  di essere forte per l’altro… Neville sta cercando di esserlo con tutto se stesso, ed è strano come gli riesca facile, con Seamus da proteggere.

Camminano nella galleria, seguendo quell’aria che sa di pioggia, e terra, e fumo.

Ovunque li porterà.

La loro unica speranza.

Avanzano.

 

***

 

Gli occhi della capitansirena Murcus sono gialli e selvaggi, e non lo lasciano un istante; il tritone che lo ha scortato sin lì dalla cella lo pungola alla schiena con la lancia, come per ammonirlo a non fare mosse false. Harry lo ignora e cerca di sostenere lo sguardo di Murcus al meglio che il suo cuore contratto gli concede. Il sangue batte violento nei polsi legati.

Non prova più la disperazione cieca che lo ha sommerso al suo risveglio, anche se palmi e polpastrelli delle mani bruciano ancora per aver picchiato con violenza contro le pietre spigolose dei muri, in cerca di una via d’uscita; le ore che ha passato rinchiuso nella sua cella hanno piegato l’angoscia in una rabbia pulsante, in una lucida freddezza.

Da quanto tempo è lì, non lo sa. Ha provato a calcolarlo attraverso i pasti che i tritoni gli hanno passato, ma non ha impiegato molto prima di capire che le ciotole con le pallottole di alghe gli venivano portate senza uno schema preciso o a orari fissi.

Potrebbe trovarsi lì da tre ore, come da cinque giorni.

Ma il tempo per pensare è stato tanto. Tanto.

La sala in cui ora si trova puzza di pesce ed è grande, con pareti incrostate di alghe e conchiglie; come nella sua cella, strani sassi fosforescenti sono legati al soffitto, e riflettono un fioco chiarore verdastro e spettrale. L’atmosfera è onirica, confusa, nebulosa, come se qualcuno avesse passato un po’ di gommapane su un mondo fatto a carboncino per sfregarne via i contorni. L’assenza degli occhiali non aiuta; deve averli persi nella caduta, ma i ricordi di quei momenti sono ancora confusi…

Ad un certo punto, prima di perdere i sensi deve aver provato a lanciare un Incanto Brancheus, e ha funzionato, anche se solo in parte: ha ancora bianche e rugose mani da umano, ma le branchie dietro le orecchie lo hanno tenuto in vita. Il resto del corpo è dolorante per l’impatto con l’acqua, e gelato da un freddo che il pigiama che indossa non può certo scacciare.

“Reggi il suo sguardo, non cedere”si ripete Harry, e serra i denti per trattenere la rabbia sotto controllo; sta perdendo tempo inutilmente, lo stanno bloccando lì, quando il suo posto è altrove. “Calmati!” gli urla una voce nella testa, ma come può calmarsi? Come può farlo, dopo quello che ha sognato?

Draco morto nella cella di Azkaban… ed Harry lì con lui.

Non più spettatore inerme, non prigioniero, ma fantasma dotato di un corpo, con cinque sensi per sentire e gambe per inginocchiarsi e chinarsi su Draco. Avverte ancora le dita sfiorare la carne fredda e rigida del viso di Malfoy, e vede ancora i suoi occhi come biglie di piombo opaco, e percepisce ancora il palmo della mano premuto contro quel petto muto.

L’ha sentita ADDOSSO, su di sé, intorno a sé, la morte dell’unica persona che abbia mai amato in tutta la sua vita.

Morto.

Da solo e in una cella che puzza di marcio, con gocce di sangue raggrumato sul viso e squarci nella carne infestata di larve.

Draco… morto.

Morto.

Ma non ancora.

Murcus sembra soddisfatta del suo esame, e scarta la testa all’indietro lasciando ondeggiare il groviglio di capelli verdi in una nuvola filacciosa.

“Avanti”, la esorta mentalmente Harry fremendo.

-          Tu – grugnisce Murcus,- hai minacciato noi con magia nella prova dei maghi.

Harry si irrigidisce di colpo.

È vero, aveva minacciato i tritoni con la bacchetta quando avevano cercato di impedirgli di salvare la sorellina di Fleur, insieme a Ron, nella seconda prova del Torneo Tremaghi, ma aveva sperato che dopo tutto quel tempo lo avessero dimenticato.

E non è che lui rappresenti una gran minaccia per loro, adesso, visto che la sua bacchetta è persa chissà dove in fondo al lago.

Stringe i pugni e si ripete ancora: “Resta calmo”.

-          Non l’ho usata, però- prova a dire Harry contratto, e la sua voce esce in un fiotto di bollicine, comprensibile a stento sott’acqua.  – Non ho usato la magia contro di voi!

-          E noi per questo non ti uccidiamo- ringhia selvaggia Murcus. – Tu non sei pericolo, per noi, ma tu neanche amico. Non puoi andare via.

-          NO!!!- grida Harry rabbioso, e una nuova, grossa bolla d’aria gli sguscia via dalle labbra. – Non potete trattenermi qui! Devo andarmene da qui!!! Devo…

 

(salvare Draco)

 

Harry strattona la corda d’alghe che gli lega i polsi in un tentativo disperato di liberarsi, ma una coppia di sirene sbuca allarmata dall’oscurità e gli punta le lance contro il petto; il tritone alle sue spalle gli preme la lama della sua arma tra le scapole e lo pungola per avvertimento. Harry smette di dibattersi, e riporta lo sguardo su Murcus, tremando di furia cieca, e panico.

 

(Quanto tempo ha ancora Draco? Quanto tempo, Harry?)

 

-          Lasciatemi andare, non sono un vostro nemico- ringhia a fatica Harry, le mascelle così serrate da indolenzirgli le giunture. Ma la capitansirena Murcus non cede sotto il suo sguardo.

-          Se tu eri amico, Silente adesso qui con noi. Ma lui non viene a cercarti. Tu puoi essere spia  o solo ragazzo, ma noi crediamo in Silente, non in tua parola. Non in tempo come questo.

 

(“Noi crediamo in Silente, non in tua parola. Non in tempo come questo.”)

 

Un pensiero gli sfiora la mente, sfreccia così rapido che Harry non riesce ad afferrarlo consciamente

 

( Che tempo è questo? Perché è cambiato?)

 

(Guerra. Siamo in guerra)

 

prima che un altro lo sostituisca, e catturi la sua attenzione e la sua rabbia: perché Silente non è ancora venuto a salvarlo? Se ha avuto la forza di liberare la Umbridge dai centauri, perché non può trovarla per Harry?

 

(Perché forse non pensa ne valga la pensa, Harry)

 

(Perché forse non gli importa nulla)

 

Un nuovo odio mischiato a rancore assale Harry e lo riempie, un odio che è rimasto assopito per tutto quel tempo fin dalla morte di Sirius. È colpa di Silente se il suo padrino è morto e se qualcosa è successo a Lupin. È colpa di Silente se Draco…

….Draco….

 

(No, Harry, non pensarci)

 

Ma non può realmente impedirsi di immaginare le conseguenze della sua reclusione. È come se Silente stesse aspettando avendo a disposizione tutti i giorni del mondo… ma Draco non ha tutto quel tempo.

Draco morirà, se Harry non arriva in tempo.

Sente l’angoscia colargli come melassa lungo le vene, ostruirgli e otturargli i pori della pelle come una patina viscida di impotenza; non c’è più ossigeno nei suoi polmoni, non riesce a respirare… 

 

(“Non puoi scegliere la persona per cui sfideresti la morte”)

 

…per la disperazione, e il terrore…

 

( quell’unica persona per cui sacrificheresti la vita, perché è LEI la tua vita)

 

Dio, ha così tanta paura per Draco.

“Non è qui che dovrei stare” pensa Harry. Non lì, negli abissi del lago nero, ma in volo verso il castello dei Malfoy, o Azkaban stessa.

E allora Harry bisbiglia una richiesta, un mormorio che è quasi una supplica.

-          Lasciatemi andare.

Ma già mentre pronuncia quelle parole, si rende conto che è inutile. Murcus non avrà pietà di lui; non può capire quanta disperazione possa dare la visione di pallidi capelli argentei macchiati di sangue.

I capelli di un morto.

 

(Ma non ancora, Harry, non ancora)

 

(È  ancora vivo)

 

(Ma per quanto tempo lo sarà?)

 

(Quante ore, prima che muoia?)

 

Ha paura, Harry, ma non si farà vedere debole, non piangerà… in tempi di guerra, le lacrime vanno bene solo sulle guance delle vedove. Non puoi comprarti la libertà con il pianto. Non servirà ad aiutare Draco.

Alza il mento verso Murcus e la guarda dritta negli occhi, odiando lei, odiando Silente… odiando se stesso. Ma ormai il loro dialogo è concluso.

La capitansirena emette un grugnito con un gesto brusco del capo, e il tritone alle sue spalle scosta via la lancia dalla schiena di Harry e lo strattona verso l’uscita con la corda che gli lega le mani. Una sezione della fune di alghe copre il bracciale di Malfoy, premendoglielo con tanta forza contro la pelle da sentirlo mordere la carne morbida del polso; la catenella d’argento, nel chiarore verdastro della sala, sembra quasi fatta di rame ossidato.

Harry tiene gli occhi fissi sul braccialetto mentre esce dalla stanza, in parte trainato dal tritone, in parte spingendosi sui piedi che scivolano sulla sabbia del fondo, sollevandola e intorbando l’acqua. Lo guarda, e ritrova un po’ di calma. Deve solo aspettare… anche se non sa veramente come farà a scappare da lì.

D’un tratto si fermano senza avvertimento, la corda smette di tirarlo. Harry rialza lo sguardo, e non impiega che un paio di secondi per capire il motivo di quella sosta improvvisa: una sirena ha fermato il tritone di guardia ad Harry e ha iniziato con lui una fitta conversazione in sirenesco.

Harry scuote la testa per liberarsi dal torpore che lo ha colto e inizia a lanciarsi occhiate frenetiche intorno; deve approfittarne di quella pausa, deve cercare di memorizzare più particolari che può, per orientarsi meglio… dopo. Se c’è anche una sola possibilità di fuggire da lì, non vuole rovinare tutto solo perché era troppo impegnato a piagnucolare per cercare l’uscita.

Non hanno fatto molta strada, però, da quando sono usciti dalla sala di Murcus: sono ancora nel lungo corridoio principale, e più avanti Harry intravede la biforcazione e la svolta a destra per la galleria che conduce alla sua cella. Una serie di grossi buchi, coperti con grate fatte di alghe intrecciate su una intelaiatura di legno, spuntano cadenzati lungo tutta la parete sinistra.

Lanciando un’occhiata distratta oltre le inferriate rudimentali dell’apertura più vicina a lui, Harry vede quella che sembra essere una piccola dispensa, con vasi di pietra e contenitori impilati gli uni sopra gli altri.

“Un buon posto per nascondersi in caso di bisogno” giudica Harry freddamente. “Potrei….”

Ma non riesce a terminare il pensiero.

I  suoi occhi oltrepassano distrattamente un oggetto adagiato su uno scaffale tra due vasi, sgranano, tornano indietro increduli… e quando Harry  realizza concretamente di cosa si tratta, il suo cuore salta un battito.

Non si è sbagliato, non è un miraggio.

È una bacchetta magica, quella che vede oltre le maglie di alghe intrecciate

 

(Non è possibile, Harry, lo sai che non può essere)

 

Lancia un’occhiata ansiosa alla coppia di maridi, per vedere se si sono accorti di qualcosa, ma i due sono troppo assorti nella loro conversazione per prestargli attenzione.

Harry riporta lo sguardo alla dispensa, con il cuore che batte martellante nelle orecchie. Sì, è veramente una bacchetta magica, anche se non è certo sia la sua. L’unica cosa si cui è sicuro è che non sarebbe mai stato in grado di scorgerla, tra miopia e semioscurità, se non si fossero fermati proprio lì davanti.

Una bacchetta, lì a meno di un metro e mezzo da lui. Deve prenderla, ora, prima che il tritone lo riporti nella sua cella; potrebbe non avere una seconda opportunità.

“Ragiona! RAGIONA!” pensa Harry sforzandosi di calmare il battere frenetico del suo cuore e il tremolio delle sue mani. La bacchetta è troppo distante perché possa sperare di prenderla facendo passare il braccio nel reticolato d’alghe, e non c’è possibilità di aprire la grata senza che il tritone e la sirena se ne accorgano. Deve metterli fuori gioco, è la sua unica possibilità… e deve agire in fretta, perché dai movimenti che stanno facendo, intuisce che la loro conversazione sta volgendo al termine. La tensione gli chiude lo stomaco in un nodo doloroso. Le tempie pulsano in fitte acuminate.

 

(Sbrigati, Harry, si stanno salutando)

 

Fruga freneticamente con lo sguardo il fondale della galleria in cerca di un sasso, un pezzo di legno, o qualunque altra cosa possa usare come arma,  ma vede solo alghe e sabbia, niente che possa servire.

Alza appena in tempo la testa per vedere il tritone fare un piccolo inchino galante alla sirena; quando sente tendersi nuovamente la corda, Harry si muove di istinto: poggia i piedi contro il muro, si slancia contro il tritone, carica il colpo con le braccia e lo colpisce con una gomitata sul viso con tutte le forze che gli restano.

Dopo una frazione di secondo si rende conto del suo errore di calcolo. Sono in fondo ad un lago, non sulla terraferma: l’acqua ha rallentato parecchio i suoi movimenti, e se il colpo è abbastanza potente per ferire il tritone, non lo è abbastanza per fargli perdere i sensi.

In un tentativo disperato, Harry cerca di oltrepassarlo e guadagnare l’uscita, sfruttando almeno l’effetto sorpresa; è ben poco però quello che può fare, senza pinne e con le mani legate. Non è arrivato neanche a livello della biforcazione del corridoio che il tritone riacciuffa l’estremità libera della corda e lo strattona indietro, mandandolo a sbattere con violenza contro una parete. L’impatto gli strappa via l’aria dai polmoni in una sferzata di bollicine.

Il tritone gli serra una mano grigiastra intorno al collo e lo avvicina a sé ringhiando, ed Harry si ritrova quel viso inumano a pochi centimetri dal suo, e sente il tanfo di pesce marcio del suo alito, e vede pezzi di carni bianche e alghe incastrati tra i denti spezzati, e la barba verde scuro che fluttua intorno alle loro teste.

Emette una scarica di stridii in sirenesco che Harry non capisce, ma l’espressione feroce sul suo volto non ha bisogno di parole per farsi comprendere: “Non provare a rifarlo, se ci tieni alla vita”.

Come per volersi assicurare che il prigioniero abbia recepito il messaggio, Harry sente qualcosa pungerlo allo stomaco, e la presa del tritone si allenta appena perché lui possa abbassare lo sguardo e vedere la lancia puntata contro di lui, lo spunzone appuntito dell’arma calcato sulla stoffa del pigiama appena sopra l’ombelico.

Il tritone gli dà uno scossone come ultimo avvertimento, e Harry riporta lo sguardo su di lui, fissandolo con intensità rabbiosa.

Tutto il suo corpo trema, ma non per la paura… o almeno, non è paura per se stesso.

 

(Draco)

 

È il pensiero di quella bacchetta a non farlo impazzire. Il pensiero che ancora non tutto è perduto.

Il maride stride qualcosa alla sirena, forse una scusa, poi fa segno a Harry di nuotare davanti a lui verso la sua cella. Harry si spinge avanti a fatica lungo il corridoio, cercando di tenere i propri nervi sotto controllo; sente la punta della lancia scavare appena dentro la carne e digrigna i denti, ma non fa un verso, mantiene il volto impassibile.

Quando arrivano davanti alla porta aperta della cella, il tritone fa voltare Harry e gli passa la lama tra i polsi per segare la corda; esegue tutto con un movimento quasi distratto, scorticando leggermente i palmi, ma non è questo che fa mancare improvvisamente il fiato a Harry: uno spigolo della punta dell’arma si incastra nel bracciale di Malfoy, e per un attimo sembra che il tritone voglia liberarsi dell’inconveniente strattonando la lancia e spaccando la catenella… e quello, Harry lo sa, gli farà infrangere quella fragile barriera che è riuscito a costruire per bloccare il terrore per Draco.

Contro i suoi timori, il tritone torce invece il polso squamoso di lato e la lama si disincaglia senza difficoltà; poi lo volta verso la porta, lo spintona all’interno della stanzetta e lo colpisce alla spalla con l’estremità non puntuta della lancia, con abbastanza forza da strappargli un grido di dolore e una grossa bolla d’aria. Ma ad Harry va bene così.

Le dita nuovamente libere sfrecciano ad accarezzare amorevoli la catenella dentellata; è intatta, non sembra danneggiata dalla lancia. Chiude gli occhi, e con un sospiro tremante di sollievo la porta alla bocca e vi preme le labbra contro in un bacio disperato.

Riapre gli occhi e ritrova il paesaggio nebuloso, spoglio e familiare della sua cella, e del bracciale a pochi centimetri dal viso. Solo che ora c’è qualcosa di diverso: una sezione del bracciale brilla, colpita da una luce argentata proveniente dalle sue spalle… una luce che prima non c’era. E Harry ha appena iniziato a voltarsi che una voce esclama delusa e stupita:

-          Ma tu sei vivo!

Harry rincula addosso al muro per lo spavento, trattenendo a stento un urlo; gli occhi verdi sgranano, increduli, quando incrocia quelli sbarrati di Mirtilla Malcontenta dalla parte opposta della cella.

Mirtilla affiora tra i mattoni del muro dall’ombelico in su, inclinata leggermente in avanti come la testa di un animale impagliato; la bocca è aperta in una grossa O, quasi stesse stonando un pezzo lirico e qualcuno le avesse lanciato contro un Incantesimo Tacitante.

Harry rimane a fissarla sorpreso, senza riuscire veramente a parlare; ha una mano premuta contro il cuore, come se lo stesse coccolando per convincerlo a tornare a battere ad un ritmo accettabile. Mirtilla invece si riprende in fretta dal colpo, svolazza all’interno della stanzetta portandosi dietro il resto del corpo.

-          Così è qui che stavi- commenta in tono tetro il fantasma, lanciandosi un paio di occhiate intorno prima di tornare su Harry.- Pensavo fossi offeso con me, visto che eri morto e ancora non eri venuto a trovarmi.

Ora che lo shock va attenuandosi, Harry nota sconcertato che Mirtilla ha cambiato pettinatura: i capelli sono raccolti in un codino alto e laterale che non le dona per niente; è come se avesse tentato di aggiustarsi per far colpo su qualcuno, anche se Harry non riesce a immaginare chi possa essere.

Qualcos’altro sul viso lugubre di Mirtilla attira però la sua attenzione; è come se fosse turbata, indignata, per qualcosa che Harry non riesce a capire. Possibile che sia offesa perché Harry non è morto? Ma no, non può essere, o almeno non completamente.

L’aveva già delusa quando era riemerso dalla Camera dei Segreti ancora in vita, ma stavolta è diverso, è come… come se…

 

(Che diavolo vuoi che importi, adesso? Piantala di perdere tempo e dille di avvertire gli altri al castello!)

 

Harry apre la bocca di scatto per parlare, ma per un secondo è così intenso, il suo bisogno, che il cervello si rifiuta di collaborare.

Sono confusi e vorticosi, i mille pensieri nella sua testa, allora Harry si avvicina a Mirtilla, le mani che accarezzano inconsciamente il bracciale di Draco per cercare di calmarsi e riuscire finalmente a comunicare con lei… ha BISOGNO che lei vada da Silente e gli dica di venirlo a prendere, perché il tempo continua a scorrere, e Azkaban per Draco si fa sempre più vicina.

Ma nel momento in cui Harry ritrova la lucidità sufficiente, Mirtilla parla.

-          Sono contenta però che non sei morto, per il momento… non avrei potuto ospitarti nel mio bagno, ora che quegli orrendi goblin lo hanno occupato.

Il cuore di Harry salta un battito.

Con la testa sgombra per la prima volta dopo tanto tempo da pensieri su Draco, Murcus e bacchette magiche, fissa ad occhi sbarrati Mirtilla e riesce a pronunciare una sola parola:

-          Goblin?

Mirtilla non si accorge dell’ombra di terrore incredulo che incrina la voce di Harry, e continua a raccontare con aria bellicosa.

-          Goblin, goblin! Oh, avresti dovuto vederli, Harry… sono entrati tutti tronfi, grugnendo e sbatacchiando armi tutte sporche di sangue. Le hanno agitate verso di me, INSENSIBILI! Oh, ma tanto a loro che importa se Mirtilla Malcontenta non ha più sangue da versare, eh? – aggiunge con aria di lugubre offesa. - Mostriamo le armi a Mirtilla,  mostriamo quanto siamo forti, scacciamola via dal suo bagno, tanto è solo MIRTILLA! E  a chi importa un TUBO di MIRTILLA?!?

Harry non fa segno di muoversi, di parlare.

Non è paralizzato dal terrore… è più come se non riuscisse a realizzare ciò che Mirtilla gli sta dicendo. Vede la cella intorno a sé, e la luce verdastra delle pietre sul soffitto e quella argentea che emana Mirtilla; sente la sabbia contro le piante dei piedi , e il pigiama che gli ondeggia intorno al corpo scosso dalla corrente; annusa l’odore di pesci morti, e incrostazioni di conchiglie, e alghe. Prova tutto quello ma in modo distaccato, come se anche Harry avesse lasciato il suo corpo e stesse fluttuando, puro spirito incorporeo.

Riesce a vederli con gli occhi della mente, i goblin, mentre sfondano la porta del bagno di Mirtilla ed entrano in file serrate…

 

(Tra la Sala d’Ingresso e quel bagno ci sono due piani, Harry. Per arrivare fino a lì devono aver attraversato il parco, e aule, e scale, e la Sala Grande )

 

(E c’era sangue sulle loro armi. Da dove veniva? Da quali corpi?)

 

( Ron )

 

( Hermione )

 

“No. Dio, ti prego, loro no!”

-          Hanno… attaccato il castello?-domanda, e le viscere sono contratte in una morsa di dolore tanto gelido da dargli la nausea. È come se avesse usato la Remnomanzia per toccare il corpo di un malato terminale di cancro allo stomaco e fosse piombato nel suo corpo… la sensazione di essere divorato, corroso dall’interno…

Mirtilla annuisce con aria cupa, abbassando il tono della voce a un bisbiglio di confidenza.

-          Sì, c’erano un mucchio di goblin. Mi annoiavo qui sotto, così dopo un po’ ho provato a dare una sbirciata al parco, per vedere se la situazione si era un po’ calmata, e invece era tutto pieno di figure enormi e tizi ammantati. E una delle torri era in fiamme.

 

(“Noi crediamo in Silente, non in tua parola. Non in tempo come questo.”)

 

(Tempo di guerra)

 

( Tempo di morti)

 

Il panico sfonda le barriere e travolge Harry con la forza di un’esplosione, perché adesso non si tratta più solamente di Draco… Ron, Hermione, Ginny, Hagrid, tutte le persone a cui vuole bene…

“Fa che stiano bene, ti prego… ti prego…” pensa angosciato. Si porta una mano al viso come per spingersi gli occhiali su per il naso; ha un attimo di sconcerto quando il polpastrello tocca la radice del naso senza incontrare il ponticello che unisce le lenti. “ Ah, li ho persi” ricorda, e si ritrova a guardare stordito la mano tremante, come se fosse un’appendice a sé, appesa lì per un caso fortuito come un incarto di gelato rimasto attaccato alla suola di una scarpa.

Trema convulsamente, la mano.

Harry tutto, trema.

Il respiro si fa più rapido e raschiante, rilasciando dalla labbra collane di bollicine. Un pensiero sfreccia e rimbomba nella sua testa, e più forte, e più forte.

 

(Perderai tutti quelli che ami, stanotte)

 

Nella sua testa si riversano immagini, spezzoni dal retrogusto vellutato di ricordi.

Ripensa a Ron, ai pomeriggi passati a farsi dare batoste spettacolari da lui a scacchi, o mentre volteggiava intorno ai pali del campo da quidditch con la divisa  di Grifondoro e i capelli rossi che brillavano al sole…

… e ripensa a Hermione, intenta a sferruzzare a maglia calzini e berretti per liberare gli ultimi Elfi Domestici rimasti schiavizzati a Hogwarts, o a dargli consigli su Cho, scuotendo la testa e trattenendosi a stento dall’alzare gli occhi al cielo mentre ascoltava i suoi racconti…

…Ripensa alle notti passate ad ascoltare il russare di Neville, e a Dean che agitava le mani imitando la Cooman, e a Seamus che si guardava in giro con le sopracciglia bruciacchiate, cercando di capire cosa avesse sbagliato nel lanciare l’incantesimo…

…Ripensa a Ginny che gli diceva: “Quando sei cresciuta con Fred e George dopo un po’ cominci a credere che sei hai abbastanza fegato tutto è possibile”, e a Hagrid che guardava con occhi amorevoli da mamma Norberto il drago o la Torliopa Uncinata…

…Ripensa alle lezioni con la Cooman, alla prima volta che la McGrannitt si era trasformata in gatto davanti a loro, ai voli sulla Firebolt, alle coppe di Quidditch vinte…

…Ripensa a come gli era apparsa Hogwarts la prima volta che vi aveva posato gli occhi sopra, occhi da undicenne insicuro e spaventato, e alle sue mille luci e torri che si ingrandivano man mano che le barche fendevano le acque dirette verso la terraferma.

“Il castello è sotto attacco” realizza Harry

 

(E la torre brucia. Quale torre, Harry? Quale torre?),

 

e allora finalmente i suoi sensi tornano a fuoco, e tremano con lui.

Mai la sua mente è stata così lucida. Mai così spaventata.

 

(Devi uscire da qui)

 

Sì, deve.

Sente che Mirtilla lo sta chiamando, ma non riesce a prestarle attenzione, nella sua mente c’è solo la visione del castello in fiamme che si alterna pulsante a quella di Draco morto ad Azkaban, lottano una battaglia per l’attenzione di Harry, per il predominio nel suo terrore. E poi una voce nella sua testa ripete : “ Il castello è sotto attacco”, e l’immagine di Draco viene coperta dalla visione del castello come deve essere apparso a Mirtilla affiorando dal lago, con le fiamme che si riflettono sulla superficie screziata delle acque e il parco pattugliato dall’esercito di Voldemort.

Ma come è possibile che Silente lo abbia permesso?

A meno che…che non sia morto anche lui.

 

( Come Ron ed Hermione)

 

( Come tutti )

 

Ancora immagini, scene inedite che la sua fantasia monta  insieme come un film dell’orrore…

…vede Hermione, Ron e Ginny con le spalle al muro, e i goblin che si preparano ad ucciderli…e i cadaveri sparsi in Sala Grande e nelle aule distrutte, e il corpo della McGrannitt trafitto da lance così simili nella sua mente a quelle dei maridi, e il sangue sul pavimento, in tali quantità da penetrare tra gli interstizi delle pietre e gocciolare dal soffitto del piano inferiore…vede il cadavere di Hagrid squarciato in due nel suo capanno, e la testa mozzata di Thor scagliata tra le zucche dell’orto…

Li vede tutti quei morti invisibili. Scorge ogni dettaglio, ogni…

“Sei noioso, Potter” gli sibila una voce strascicata nella mente, ed è una voce che ricorda, anche se non gli è più familiare; in fondo sono passati quasi sei anni da quel giorno da Madama McClan, e il suo primo incontro con Draco Malfoy undicenne. “Noioso”, ribadisce. “ Dai alle loro vite almeno il beneficio del dubbio; forse puoi ancora trovarli vivi, se la smetti di fare l'isterico e ti tiri fuori da qui. Sai come fare, no?”.

Sì, certo che lo sa. La bacchetta.

-          Mirtilla?- chiama, ma il fantasma non si vede da nessuna parte. Deve essersene andata via offesa quando si è accorta che Harry non le prestava più attenzione.

“Non un danno irreparabile ormai, eh, Potter?”lo canzona Malfoy mentre registra distrattamente un cigolio ovattato. “Non serve più avvertire quel vecchio pazzo babbanofilo di Silente”.

“Adesso vedi di piantarla, razza di idiota” gli ringhia contro Harry quando le parole di Malfoy gli riattizzano  nel cuore le braci della sua rabbia. “ Ora ti….”

Ma non termina la frase, non riesce. Il pensiero si spacca in cocci quando gli occhi verdi si posano su qualcosa che non ha senso; i suoi polmoni si contraggono in uno spasmo.

“ Cosa, Potter? Che mi fai? Stupido san Potter, con le sue minacce e le sue…”

“Shhhh” lo zittisce Harry in maniera distratta, non prestandogli attenzione. “Non parlare”.

“ Ah sì? E perché dovrei?”

“Perché…” inizia Harry incerto, e ha bisogno di avvicinarsi per essere sicuro che i suoi occhi non lo stiano ingannando, che la miopia non gli abbia giocato uno scherzo crudele. Non lo ha fatto. Finisce il pensiero. “… Perché la porta è aperta”.

Ce l’ha davanti agli occhi, non può più dubitare; è socchiusa, e il telaio di legno è separato dalla pietra viva della parete da un sottile spiraglio. Non era così, fino a pochi minuti prima.

“ Se sono venuti a portarti da mangiare, Potter, direi che questa è l’occasione migliore per evadere. A meno che tu non abbia intenzione di guadagnarti l’uscita rosicchiando la porta come un castoro…”

Harry lo ignora e si avvicina cauto all’uscita, pronto a dar battaglia.

Aspetta…

    …ma l’attesa si prolunga senza che nulla accada.

Harry trattiene il respiro ed infila un dito tra stipite e battente della porta, la apre di scatto. Nulla. Il tritone di guardia è sparito. Il corridoio è vuoto.

“Che diavolo significa?” si chiede confuso. Esce dalla cella e tende l’orecchio, pronto a nascondersi in caso di pericolo; rumori ce ne sono, ma solo in lontananza, stridii e canti sireneschi che fanno ribollire il suo sangue di odio.

Harry avanza nel corridoio nuotando goffamente, il respiro spezzato, ansimante, che non riesce a calmare del tutto nonostante gli sforzi. Arriva alla biforcazione con la galleria principale, e i suoi occhi scorrono lungo le aperture coperte dalle grate d’alghe; ha un attimo di panico quando non riesce a ricordare in quale dispensa deve cercare, ma poi esala un respiro profondo, fruga nella memoria, e finalmente ricorda.

“Piano, ora, Potter, la sala di quegli animali è qui vicino”lo ammonisce Malfoy in un mormorio. La sua voce ha perso parecchio della sua baldanza, influenzata dall’atmosfera spettrale del corridoio; anche Harry la subisce, con i peli delle braccia che si rizzano come aculei e il bernoccolo sulla nuca che pulsa al ritmo frenetico del suo cuore. Va avanti comunque, senza concedersi pause per pensare; immagini di cadaveri e torri in fiamme danzano sul fondo della sua mente, in attesa di una distrazione per poter riemergere.

La serratura della grata è rudimentale, un cappio annodato di alghe impigliato in un gancio di metallo innestato nelle pietre, muffoso di alghe come la barba di un tritone. È molto semplice, ma anche così Harry impiega un tempo che sembra infinito nel disfare il nodo, mentre il suo cervello continua a rimanere all’erta per nuovi rumori; le dita sono legnose ed intorpidite per il freddo, e non sembrano del tutto convinte di voler seguire i comandi. Tremano ancora, e forte.

Poi la grata si apre, Harry si intrufola nella celletta e si affretta a chiudersi dentro dopo un’ultima controllata al corridoio.

Fruga in giro con lo sguardo in cerca della bacchetta, e nell’angoscia del momento, la paura scaturita da un pensiero

 

(E se si fossero accorti dei tuoi sguardi e l’avessero spostata?) ),

 

ogni rumore che emette lo raggiunge alle orecchie centuplicato, quasi avesse megafoni cosparsi lungo i pori della pelle ad amplificare ogni suono.. e il raspare dei granelli di sabbia che grattano l’uno sull’altro sotto il suo peso diventa il frastuono di una frana, e il guizzo di bollicine che sfugge dalle sua labbra ad ogni respiro quello di un’eruzione vulcanica.

Il panico sommerge Harry, veramente, quando il suo sguardo sfreccia tra le pile di vasellame senza scorgere la bacchetta magica.

È solo al quinto passaggio di occhi sbarrati che la vede; da quella angolazione, con quella oscurità, l’asticella di legno è inghiottita dall’ombra di un bacile di pietra.

Harry allunga una mano, la raccoglie con dita intorpidite, l’avvicina al volto, la riconosce. Non ci sono dubbi, è proprio la sua bacchetta. “Ma come è possibile che sia qui?” si domanda Harry meravigliato, divorandola con gli occhi e non riuscendo a capacitarsi di averla ritrovata.

Come la porta della sua cella, l’assenza di guardie nei corridoi… un altro mistero. Cosa…

Le sue orecchie registrano un suono, un fruscio, come una pinna che sfrega contro un muro.

Senza pensarci due volte, Harry si nasconde accanto ad un grosso vaso dietro la porta, accoccolandosi contro quel riparo angusto, grande a stento per coprirlo.

Ancora una volta, quel fruscio.

E poi la porta si spalanca, in un movimento così improvviso che strappa un sussulto silenzioso a Harry. Attraverso le maglie di alghe, Harry lo vede, il tritone, la sua guardia. In quell’oscurità, riesce a scorgere solo una mano, parte del braccio e alcune ciocche sottili della chioma verdastra; oltre essi, affiora la sagoma acuminata di una punta di lancia.

E allora Harry realizza.

 

(Non hai chiuso il nodo della serratura. Ha visto la porta socchiusa ed è venuto a controllare)

 

“Non importa”pensa gelido Harry, “sono armato ora”.

“Già, Potter, ma cerca di non aver bisogno di un secondo incantesimo” commenta perfido Malfoy. “Se fa in tempo a dare l’allarme, come pensi di affrontare un intero villaggio di sirene da solo?”

Non lo sa, ma il pensiero non lo turba: vorrebbe dirsi trovare nelle stesse condizioni di Ron e degli  altri, e non inerme in una cella e al sicuro, come un vigliacco. Fare qualcosa, finalmente.

Se dovesse accadere… ci penserà sul momento.

Stringe più forte la bacchetta e si prepara a colpire, mentre la testa del tritone, intento a controllare la stanza con lo sguardo, si sta voltando verso il punto in cui è nascosto Harry.

 

(Uno Schiantesimo manterrà la stessa forza anche se lanciato sott’acqua, Harry?)

 

(Pochi dubbi ora, Harry )

 

Harry serra la mascella per la tensione.

Poi, un attimo prima che possa lanciare l’incantesimo, sente uno stridio prolungato dal corridoio, come un saluto. Il tritone si volta, fa un cenno col capo, riaccosta la porta e nuota via.

Harry rimane imbambolato, incredulo; è solo dopo qualche istante che rilascia il respiro trattenuto in uno sbuffo e si affloscia su se stesso.

Sente la roccia bitorzoluta premergli contro la carne della schiena, raggrinzita come una prugna albina per essere rimasta immersa per troppo tempo in acqua, ma non fa cenno di muoversi. Rimane accosciato con la testa poggiata sulle ginocchia serrate; i muscoli del collo e delle spalle si rilassano con un brivido, mentre Harry sospira allentando la tensione.

Attende un altro minuto buono prima di muoversi; è fin troppo consapevole che il tempo a sua disposizione è contato, ma se non si costringe a riottenere almeno parzialmente il controllo su se stesso rischia di commettere un altro sbaglio, e potrebbe non essere una seconda volta così fortunato.

Posa l’orecchio contro l’intreccio di alghe, ma lo raggiunge solo il canto delle sirene in lontananza, nessun rumore che possa indicare un pericolo imminente. Aspetta per precauzione qualche altro secondo, poi sguscia fuori dalla celletta e nuota goffamente lungo il corridoio principale; si muove inquieto, in un paesaggio nebbioso che emerge dall’oscurità e altrettanto rapidamente viene inghiottito alle sue spalle.

Procede così per una decina di metri, poi Harry si scopre a vedere più chiaramente intorno.

Poco distante da lui, nella parete alla sua sinistra, si apre un grosso buco circolare che dà su una stanza; dall’interno proviene un leggero bagliore argentato, ed è grazie a quello che Harry scorge l’uscita, lì al termine della galleria; le assi del portone non sono ben accostate, e tra gli interstizi tra le tavole di legno vede le sagome dei due tritoni appostati di guardia.

 

(L’uscita, Harry)

 

Il cuore ha un nuovo sussulto, e prende a battere più forte. Esita un momento prima di avanzare.

 

(Nessun errore, da adesso in poi)

 

Harry rafforza la presa sulla bacchetta e si avvicina con cautela verso la stanza, anche se i suoi occhi non perdono di vista le strisce di schiene squamose tra le assi dell’ingresso. Riporta lo sguardo sul passaggio circolare solo un attimo prima di affacciarvisi, perché sa che se ci fossero maridi, non vedrebbe quella luce argentea che ogni studente di Hogwarts ha imparato a conoscere fin dalla sua prima sera al castello.

No, Mirtilla Malcontenta non ama il popolo delle sirene.

Quasi avesse sentito i suoi pensieri, Mirtilla sceglie proprio quel momento per sghignazzare divertita; sembra quasi esortare qualcuno sottovoce, ma chi può tenerle compagnia, lì in fondo al lago?

 

(Forse c’è un altro prigioniero, Harry )

 

È questo pensiero che gli fa abbandonare ogni cautela. Corre a sporgersi dall’apertura, ma basta un’occhiata per accorgersi che quella non è una cella  ma un altro deposito, pieno di assi di legno e blocchi di pietra non lavorati.

Mirtilla è seduta a gambe incrociate sul fondale, sotto una finestra che dà sull’esterno; è curva in avanti, assorta a guardare qualcosa sulla sabbia fina poco più in là delle sue ginocchia. Harry non riesce a vedere cosa, e inconsciamente si sporge spingendosi con le mani sui bordi dell’apertura… e distratto com’è da Mirtilla, non si accorge dell’ombra scura che gli si abbatte contro l’attimo dopo.

È un istante fulmineo, e il suo campo visivo viene ostruito da una nuvola di capelli verdi che si avvolge intorno al suo viso, alle spalle, come tentacoli di una piovra vorace; mani grigie lo strattonano all’interno per il pigiama, ed Harry rotola dentro, soffocando a stento un urlo. Perde la presa sulla bacchetta, e allora lotta con quello che ha, Harry, scalciando e tirando pugni alla cieca con la ferocia di una bestia in trappola.

Non dura molto: il maride gli assesta una colpo con la coda in pieno stomaco, ed Harry finisce contro il muro; dalla bocca gli sfugge una bolla d’aria silenziosa.

Harry fa per scattare nuovamente, alza lo sguardo e si accorge che il suo avversario non è un tritone, ma una sirena… la stessa sirena che si era fermata a parlare con la sua guardia dopo il colloquio con Murcus.

Prima che il ragazzo abbia il tempo di muoversi, la sirena si porta l’indice alle labbra per intimargli di star zitto, in un gesto così poco sirenesco che Harry sgrana gli occhi e obbedisce senza accorgersene; poi la sirena allontana il dito dalla bocca e lo usa per scrivere nella sabbia sul fondale una sola parola.

Un nome.

“Tonks”.

Harry la guarda, incredulo. Per tutta risposta, la sirena increspa le labbra e gli fa l’occhiolino.

Poco più in là, Mirtilla bisbigliare ridacchiando:

-          Avanti, stupido pigrone, muoviti!

-          Tonks?- domanda incredulo Harry, e scuote inconsciamente la testa. Dopo tanto tempo… non riesce a credere che siano veramente venuti a salvarlo.

La sirena gli fa segno con la mano unghiuta di abbassare la voce, poi indica con un gesto del mento la finestra.

-          Abbassa la voce, Harry, possono sentirci- mormora Tonks, e con un colpo della coda pinnata raggiunge il fondale, raccoglie la bacchetta e gliela restituisce. Anche lei impugna una bacchetta. – Non potevo destare sospetti, e con quel tritone alle costole ho dovuto agire di soppiatto… ma ero certa che saresti stato in grado di arrivare qui da solo, con un po’ di aiuto.

E tutto torna alla mente di Harry, ogni particolare trova il suo posto: lei ha fermato il tritone davanti alla dispensa il tempo sufficiente perché lui si accorgesse della bacchetta; lei ha allontanato la guardia e aperto la porta della sua cella; lei ha richiamato il tritone dalla dispensa prima che scoprisse Harry.

Harry alza la propria bacchetta e guarda Tonks.

-          L’hai messa tu lì? L’hai ritrovata nel lago?

Lei annuisce.

-          Incantesimo di Appello- spiega laconica, e Harry pensa: “Avrei dovuto immaginarlo”. Ma perché avrebbe dovuto? Aveva cose ben più urgenti a cui pensare… cose come l’origine del sangue sulle armi di quei goblin, e le fiamme nelle torri di Hogwarts.

 

( E i cadaveri di Ron ed Hermione )

 

( E Draco morto ad Azkaban )

 

Harry sente il panico lì sul bordo, pronto a sopraffarlo di nuovo, e allora stringe la mano attorno a una pietra sulla mensola della finestra sopra Mirtilla, e sente gli spigoli graffiargli polpastrelli e palmo, e le sommità puntute delle conchiglie perforargli leggermente la carne raggrinzita della mano. È un dolore utile, però, che lo aiuta a tornare lucido.

Mirtilla sghignazza ancora, e Harry, ora che è più vicino, vede due granchietti zampettare su percorsi paralleli davanti alle ginocchia trasparenti, in una gara di velocità improvvisata sul terreno sabbioso. Poco più in là, accasciato contro una trave, c’è il corpo privo di sensi della guardia di Harry. Quella vista gli fa venire in mente un’altra domanda.

-          Da quando parli il sirenesco?

-          Non lo parlo. L’incantesimo Babelus è una delle prime cose che ti insegnano a Occultamento e Travestimento al corso di addestramento per Auror- spiega lei con un sorriso tirato.

Un fruscio di coda argentata e raggiunge Harry, e insieme si affacciano furtivi alla finestra, che dà sulla piazza del villaggio.

L’edificio in cui sono lui e Tonks è circondato da un giardino di lunghe alghe fluttuanti, e ci sono quattro tritoni a pattugliarlo, due davanti al portone d’ingresso, due accanto al recinto. Al centro della piazza campeggia la rozza statua di un enorme tritone, alla cui coda erano stati legati gli ostaggi dei Campioni nel Torneo Tremaghi. Tutto lo spazio intorno è affollato da tritoni e sirene, come fosse prevista una assemblea imminente, ed Harry capisce alla prima occhiata che non possono passare da lì: sono troppi da affrontare, anche con l’aiuto di un Auror.

Accanto a lui Tonks bisbiglia qualcosa sull’usare Mirtilla per cercare un’altra via, ma Harry lo registra distrattamente; la frustrazione ha aperto una nuova crepa nella sua barriera per bloccare il panico crescente…

… stanno perdendo così tanto tempo, così tanto…

“Ma perché sono tutti riuniti?” si domanda Harry agitato. Ricorda le parole di Murcus

 

(“Noi crediamo in Silente, non in tua parola. Non in tempo come questo”),

 

e l’immaginazione cesella mille visioni di Ron ed Hermione morenti, e il ritratto del cadavere di Draco assume contorni più netti che mai.

Li perderà tutti.

Il corpo di Harry trema in maniera convulsa.

Tutte le persone che ama… le perderà tutte, se non si sbrigano ad uscire da quell’abisso.

“Però Tonks ha ragione” pensa febbrile Harry, “Mirtilla potrebbe conoscere un’altra strada”.

-          Mirtilla- inizia girandosi bruscamente verso di lei, ma ricorda troppo tardi che la sua mano è ancora chiusa intorno alla pietra sulla mensola.

La pietra gli sfugge via dalle mani e scende dondolando; Harry fa per riprenderla, ma calcola male le distanze e riesce solo a colpirla con le dita, scagliandola su Mirtilla.  Il sasso attraversa il corpo del fantasma e atterra con uno sbuffo attutito ai suoi piedi, sollevando una gran massa di sabbia che intorba l’acqua.

Rimangono tutti e tre pietrificati.

Quando la sabbia inizia a depositarsi di nuovo, Harry vede che i granchi hanno approfittato della cortina fumogena per svignarsela; questo, o sono rimasti schiacciati. Mirtilla rimane ad osservare il punto in cui sono scomparsi strabuzzando gli occhi; poi accartoccia il viso in una smorfia indignata e strilla scoppiando in lacrime:

-          I granchi! I MIEI GRANCHI!!!

Harry e Tonks sussultano, e voltano il capo appena in tempo per vedere i tritoni nel cortile gettarsi verso di loro; alle loro spalle ne arrivano altri.

Non aspettano un attimo di più.

Nuotano fuori dalla finestra e attaccano a lanciare incantesimi contro tutto ciò che si avvicina abbastanza da diventare una minaccia, ma è inutile, vengono circondati in fretta… e adesso le sirene non hanno più l’ordine di non far loro del male, come due anni prima. No, non in tempi come questi.

I tritoni volteggiano nervosi intorno a loro per lunghi istanti, gli occhi gialli fissi sulle bacchette; la prima raffica di fatture è riuscita a tenerli lontano, ma non li ha fatti fuggire terrorizzati come sperava Harry.

Con la schiena premuta contro quella di Tonks, Harry respira affannosamente e punta la bacchetta verso di loro, il braccio teso davanti a sé. Poi, da un punto imprecisato della massa sirenesca qualcuno scaglia una lancia.

-          Reducto! – grida Harry facendola esplodere a metà strada, ma quel secondo di distrazione è ciò che occorre ai tritoni per attaccarli. Si gettano in schiere serrate contro di lui, graffiandolo, strattonandolo, ferendolo, in una grandinata di colpi che lascia Harry senza fiato.

Sente Tonks urlare : “Relascio!”; l’incantesimo schizza un getto di acqua ustionante contro il muro di tritoni, e vi apre un varco sufficiente perché Harry possa sfuggire.

Due piccoli maridi lo afferrano per le caviglie e lo strattonano verso il basso, un terzo artiglia con violenza l’acqua, passando con le unghie gialle ad un centimetro dai suoi occhi. Harry rincula all’indietro e assesta un paio di calci verso il basso centrando in pieno i piccoli, che lo lasciano stridendo; schiva una seconda artigliata, poi il tritoncino si lancia in avanti per tentare un terzo colpo, e Harry lo acchiappa con riflessi allenati dal Quidditch per la coda; si volta di scatto e lo usa come scudiscio per frustar via una sirena sul punto di attaccarlo. Il suono dell’impatto gli strappa dalla gola un grugnito di soddisfazione animalesca.

-          Tonks!- chiama Harry colpendo un altro tritone con un Incantesimo di Ostacolo.

Lascia la presa sulla coda pinnata e cerca con lo sguardo l’Auror, ma non riesce a distinguerla in quella massa guizzante. “Non ce la faremo” pensa disperato, ed erutta una grossa bolla d’aria quando una sirena lo colpisce forte ai reni. “Non…”

All’improvviso, dalle profondità dell’abisso oscuro li raggiunge un cigolio immenso, così potente e cupo da far vibrare le ossa nella loro imbottitura di carne. È come il gemito metallico e rimbombante di una nave da guerra, ma non è di ferro, la creatura che si avvicina.

È di carne, il suo corpo.

Qualcosa di enorme passa a velocità sopra le loro teste, ribalta Harry all’indietro con la semplice forza della corrente a quel passaggio; la poca luce che filtra dall’altro scompare, il paesaggio si oscura.

I tritoni lanciano urla stridule e schizzano da tutte le parti, ma Harry non riesce a muoversi, rovescia la testa all’indietro e guarda… e vede qualcosa che è un animale, il corpo rivestito di pelle viscida macchiato da incrostazioni di conchiglie e piccoli pesci deformi…

Sì, vede, ed è qualcosa di così GRANDE che Harry fatica a realizzare. Rimane senza fiato, quasi l’Incanto Brancheus avesse terminato i suoi effetti e dovesse respirare con i suoi deboli polmoni da umano sotto tutte quelle tonnellate d’acqua.

È la piovra.

La piovra gigante di Hogwarts.

Tentacoli larghi quanto autostrade sbucano dal buio spettrale e si abbattono sui tritoni urlanti, disperdendoli; ma questi tornano alla carica dopo qualche istante, in gruppi più piccoli e agili, scagliando le lance contro la piovra e schizzando via da una parte all’altra per non farsi colpire.

Harry rimane a guardare, sconvolto, ma Tonks sfreccia verso di lui, lo aggancia per l’incavo del gomito e lo traina via di peso, muovendo con violenza la coda pinnata per allontanarsi il più in fretta possibile. Sono appena fuori portata delle lance quando la piovra passa all’azione decisiva: arrotola un tentacolo gigante intorno alla cosa della statua al centro della piazza, la spacca via dal suo supporto con un frastuono assordante e la scaglia con vaga indolenza contro gli edifici del villaggio, frantumandoli. Tonks approfitta di quei momenti di caos e urla per precedere Harry e liberare la via da altri ostacoli.

Non ci vuole molto perché Harry la perda di vista.

I suoi piedi non sono in grado di tenere il passo, e lui non è un gran nuotatore; risale con immensa fatica verso la superficie, guardando la luce aranciata che scivola nel lago e gli serra lo stomaco in un doloroso presagio.

Continua a scalciare come un forsennato, pagaiando con le braccia; ogni tanto si lancia un’occhiata alle spalle, ma nessuno lo segue: il villaggio delle sirene e la piovra sono stati nuovamente inghiottiti dal buio.

Adesso che le ondate di adrenalina vanno spegnendosi, Harry inizia a sentire la stanchezza in tutta la sua potenza, lo aggredisce, lo sommerge… i polmoni sono in fiamme per lo sforzo, i fianchi trafitti da fitte lancinanti… i muscoli di tutto il corpo urlano dal dolore…ed Harry scalcia, si dimena… è stanco… stanco…

 

(Draco. Ron, Hermione)

 

(Le gambe…. Che male, le gambe, che male…)

 

Poi Tonks si materializza dalle nubi di luce ramata in cima al lago, accorre in suo aiuto con sinuosi colpi di coda… tende la mano per tirarlo su… lui la afferra…

E per la prima volta dopo tanto tempo, Harry Vede.

 

***

 

C’è la testa di un Mangiamorte, lì tra le fiamme verdi del camino.

Spunta tra i mattoni come un teschio dissotterrato ai piedi di una lapide, e ha dipinta sul volto scarno un’espressione di disgusto mal celato; guarda Harry con superiorità, ed Harry ricambia il suo sguardo, disorientato, stordito dal cambiamento repentino di situazione.

Prova a muovere le braccia, ma il corpo di Tonks, in cui è calato, non risponde ai suoi ordini, rimane inginocchiato davanti al camino.

Harry può solo osservare.

Harry può solo sentire.

E le parole che Harry si sente pronunciare in tono inespressivo sono sufficienti per imbottirgli le viscere di piombo.

-          L’attacco a Hogwarts ha avuto inizio, come nei piani.

La testa di Mulciber annuisce.

-          Bellatrix ha già avvisato, sono pronti ad attaccare le torri. Kingsley è al suo posto?

-          Sì - conferma Harry - è salito nel suo ufficio, sta sgombrando la zona dagli adulti.

-          Bene, procedete. Eliminate tutti, anche gli studenti… Mezzosangue o Purosangue, non importa; i loro genitori hanno scelto da che lato schierarsi, è arrivato il momento che ricordino cosa significhi mettersi contro l’Oscuro Signore. Fate solo in modo che non possano comunicare con il Ministero.

-          Sì, leveremo la Polvere per i camini – dice Harry. Punta la bacchetta contro il vaso di Polvere Volante sulla mensola e lo fa Evanescere.

Nella testa di Harry, intanto, una frase di rimbalza come impazzita.

 

(“Eliminate tutti, anche gli studenti”)

 

(Tutti… tutti…eliminateli tutti)

 

-          Il ragazzo è già con il Padrone, non vede l’ora di rivedere quell’altro- mormora Mulciber; le sue labbra si spaccano in un ghigno da teschio. – Il suo contributo segnerà questa notte con il trionfo dell’Oscuro Signore!

 

(Quale ragazzo, Harry?)

 

(“Eliminate tutti, anche gli studenti”)

 

(Harry… e se fosse…)

 

(… e se fosse…)

 

***

 

È lo shock che lo coglie nel momento in cui infrange la superficie dell’acqua a riportarlo alla realtà, quando tira fuori la testa dal lago e l’ossigeno viene a mancargli di colpo; raffiche di vento si insinuano nelle branchie e gli bruciano i polmoni dal gelo, quasi gli avessero gettato manciate di granatina giù per la trachea.

Harry si porta le dita alla gola rantolando, puntella la mano contro la spalla di Tonks per immergersi nuovamente, ancora shockato.

Poi ricorda la sua Visione.

 

(“Eliminate tutti”)

 

(“Mezzosangue o Purosangue, non importa”)

 

Meccanicamente, il braccio di Harry scivola e si piega ad angolo retto; poi torce il busto di lato e assesta a Tonks una gomitata allo sterno.

-          Ehi, attento, Harry!- esclama lei, che non sembra essersi accorta di nulla. – Mi hai… AHI!

Le scappa un gridolino quando il gomito di Harry la colpisce di nuovo, questa volta al mento.

-          Harry, che cavolo…

Ma non termina la frase. Ha finalmente riconosciuto la luce di odio che brilla in quegli occhi verdi.

-          Sporca traditrice!- grida Harry rabbioso.

 Le si scaglia contro in una furia di calci, manate e morsi; ha ancora la bacchetta stretta in mano, ma è dimenticata: le cinque dita sono chiuse in un pugno con cui Harry cerca di raggiungere ogni punto visibile di Tonks.

Vuole farle… MALE.

Vuole ucciderla.

Tonks cerca in un primo tempo di immobilizzarlo, poi inizia a rispondere ai suoi colpi; si dibattono con violenza nell’acqua, sollevando ondate di schiuma dorata sul lago increspato dal vento.

-          Ci hai traditi tutti! Ci hai traditi, ti ho Visto… Puttana!- strilla Harry gonfio di rabbia.

Allunga una gamba per tirarle un calcio, ma Tonks gliela strattona di lato spalancandogliela, fa una capriola all’indietro sott’acqua e lo centra con un possente colpo di coda in mezzo alle cosce. Il dolore ai testicoli è lancinante. Harry emette un rantolo e si accascia su se stesso, semisvenuto.

Tonks grugnisce soddisfatta e lo trascina a riva. Harry la lascia fare, stordito; è solo quando la sente arenarsi sulla spiaggia che digrigna i denti e riapre gli occhi, ancora immerso in acqua.

Tonks sta riprendendo la sua forma umana. Alle sue spalle, il castello, la Foresta e il campo da quidditch sono divorati dalle fiamme. Harry riesce a vedere sin troppo bene la situazione, anche senza occhiali. Non possono esserci sopravvissuti. Non in quell’inferno.

Tonks lo afferra meglio per l’avambraccio e lo tira su di peso fuori dal lago. Harry si dimena, cerca di liberarsi per tornare nel lago, ma la presa di Tonks è ferrea, e lui troppo debole; lo trascina boccheggiante ancora per un paio di metri, lo lascia a pancia in su, gli punta contro la bacchetta ed esclama:

-          Finite Incantatem!

Le branchie si saldano, scompaiono. Harry inarca la schiena e spalanca la bocca, e si rimpinza di un’aria carica di cenere. Tossisce, scuote la testa, respira ancora.

Aria.

Aria.

Una Tonks alla rovescia lo fissa dall’alto verso il basso, i piedi ai lati della testa di Harry; Harry si ritira di scatto e rotola a quattro zampe. Mani e piedi gli diventano ben presto insensibili per il freddo, il vento gli sferza la pelle scoperta con aghi di ghiaccio. I suoi occhi sgranati schizzano da Tonks alla scuola, e di nuovo su Tonks quando lei si muove, girandogli intorno.

Harry si rialza a fatica, battendo i denti per il freddo, anche se in realtà se ne accorge a stento, è una sensazione lontana… Riesce soltanto a fissare l’Auror, che si è fermata con la schiena rivolta al castello; il sole è tramontato, ma c’è abbastanza luce perché Harry riesca a vederla bene comunque: le fiamme delle torri svettano divorando la pietra, e la luna è piena e tonda nel cielo.

Da qualche parte, non lontano da lì, li raggiungono lunghi ululati.

Harry lancia un’occhiata scossa alla Foresta Proibita

 

(Hai riconosciuto cosa sono, non è vero, Harry?),

 

ma riporta in fretta l’attenzione su Tonks. Il vento gli strappa via ciocche di capelli dal viso gocciolante, gli sbatacchia addosso il pigiama zuppo. Sta gelando, Harry.

E prima che abbia il tempo di pensare, la sua bocca si muove da sola.

-          Dimmi che sei sotto la Maledizione Imperius!

Quale altra spiegazione può esserci? L’ha vista parlare con Mulciber, ma non può averli traditi, non può crederlo… non Tonks, che si divertiva a trasformare il proprio naso secondo le richieste di Ginny ed Hermione, o che inciampava sempre in quella stupida zampa di troll a Grimauld Place.

Tonks sorride dolcemente, ma non c’è traccia di conforto sul suo viso.

-          Unisciti a Tu-Sai-Chi, Harry.

-          MAI! – ringhia lui.

Il suo sguardo scivola sulle fiamme che bruciano la scuola, il suo dormitorio, il campo da quidditch, i tre pali attorno a cui volava Ron nella sua divisa scarlatta.

Ron, Hermione, Hagrid, la McGrannitt… non ci sono più.  Non può più negarlo, adesso che lo vede con i suoi occhi.

-          Unisciti a lui, Harry. Draco lo ha già fatto, e ti aspetta.

Il corpo di Harry si paralizza di colpo; per un attimo, la sua vista si sdoppia, si appanna. Ruota la testa fino a lei con la lentezza di un carrello su binari mal oliati.

-          Draco?- mormora, orripilato, incredulo.

 

(“Il ragazzo è già con il Padrone”)

 

-          Tu e il Signore Oscuro siete legati, Harry; sapeva che non eri morto, per questo ha mandato me a salvarti. Il tuo Draco lo sta aiutando a tornare al potere. Lo serve… con tutto se stesso. – Il sorriso di Tonks si muta in un ghigno sarcastico. – Sono al Maniero dei Malfoy, nel Wilthshire, adesso, e aspettano te, Harry.

 

(“Il ragazzo è già con il Padrone, non vede l’ora di rivedere quell’altro”)

 

Ha tradito… Draco lo ha tradito, riesce solo a pensare Harry.

-          Non può averlo fatto- pensa, e sussulta quando si accorge di averlo detto ad alta voce.

 Il ghigno di Tonks si allarga.

-          Draco ti aspetta. Lo conosci meglio di me, sai di cosa è capace… conosci la forza che scorre nel suo sangue puro.

“No, no, no, Draco non può aver fatto tutto questo” pensa Harry atterrito. Ma prima che possa convincersene, gli torna alla memoria la voce di Draco in una sua Visione.

 

(“Ci sarà sempre una parte di me che lo odierà a morte per quello che ha fatto a mio padre. Una parte di me che lo vorrà far soffrire per tutto il dolore che mi provoca, e che vuole distruggere tutto ciò che ama e che lo tiene lontano da me”)

 

-          Vieni via da qui, Harry- insiste Tonks cercando di sembrare ragionevole, - non c’è più nulla per te in questo posto.

Harry porta lo sguardo a terra, cerca di riflettere, ma non riesce a capire, pensare; è come se il suo cervello stesse andando a fuoco come Hogwarts, con i suoi mattoni, e i suoi ricordi.

-          Sono tutti morti, tutti i tuoi amici…

-          No- bisbiglia incredulo Harry, - no….

Tonks lo afferra brutalmente per il polso e lo trascina verso la scuola, inoltrandosi nel parco. Il calore delle fiamme in quel punto è quasi soffocante, e gli occhi di Harry prendono a lacrimare; ma anche così può vedere i cadaveri sparsi sull’erba.

 

(Li hanno massacrati, senza pietà )

 

Harry si guarda intorno con gli occhi sbarrati, e dilata le narici, e tenta di respirare quell’aria pregna di cenere, e il fumo gli arrossa li occhi, e il vento glieli secca… eppure la voglia di piangere passa di colpo. Lo riscalda la rabbia, un furia profonda che pompa fuoco nel suo cuore… e odio.

Tutta la sua anima pulsa… di… ODIO.

È un sentimento intenso, che sovrasta la disperazione, vi si sedimenta sopra, la soffoca.

Ancora ululati, in lontananza. Non gli strappano neanche un sussulto.

-          Guarda, Harry!- grida Tonks, e la sua voce supera a stento il boato dell’incendio. – Sono morti… TUTTI MORTI!

Harry la spintona via urlando. Tonks riacquista l’equilibrio, riporta lo sguardo su Harry e sbianca, perché finalmente l’ha vista, la bacchetta che Harry le punta contro.

E l’odio, nei suoi occhi… la voglia viscerale, che gli scava dentro, di ucciderla.

-          Har…

-          Avada Kedavra!

L’aria viene illuminata da un lampo di luce verde, e dalle labbra di Harry sfugge un gemito.

È come se il suo corpo venisse immerso bruscamente in una vasca di ghiaccio fuso, e il mondo perde i suoi colori, e scompaiono gli odori, e svanisce la sensibilità tattile, e i suoni si fanno ovattati.

Il cuore di Harry smette di battere…

…e poi riprende.

Il cadavere di Tonks è steso nel terreno fangoso, illuminato dalle fiamme. È tutto ciò che serve perché quell’odio feroce scivoli da parte, e riemerga la disperazione, l’angoscia.

La mano di Harry trema convulsamente, ancora stretta sulla bacchetta; lui tutto trema, e non solo per il freddo. Il petto sussulta sotto i colpi di polmoni che respirano febbrili.

Barcolla, Harry, e cammina nel parco in uno stato allucinato, come alla deriva… e supera corpi, ancora corpi.

 

(“Il tuo Draco lo sta aiutando a tornare al potere”)

 

-          Draco, gran figlio di puttana, che cosa hai fatto?- mormora con la voce incrinata.

Adesso sa per quale crimine finirà ad Azkaban, lo sa bene, mentre Hogwarts viene divorata dal fuoco e nell’aria si spande il tanfo dei morti e del sangue e delle fiamme.

Li ha traditi tutti, ha consegnato Hogwarts a Voldemort.

Non c’è più niente lì per Harry, ha perso tutte le persone che amava.

Tutte.

Tranne una.

-          Sto venendo per te, Draco.

Harry cammina, zoppica ansimando verso la Foresta Proibita. Un Thestral, è questo che cerca, il solo mezzo per raggiungere Draco… però come lo troverà, in quell’inferno?

Ma non c’è bisogno che si addentri nella Foresta, perché l’odore del sangue dei morti ha attirato i Thestral nel parco; Harry li vede, cavalli scheletrici sfumati e confusi, chini sui cadaveri ed impegnati in un macabro banchetto. Il respiro si fa via via più rapido, finchè non ne raggiunge uno.

Non abbassa lo sguardo per vedere il volto del corpo sbranato; si accosta invece all’animale e tende una mano. Poi si blocca, scosso da un pensiero.

 

(Cosa Vedrai se lo tocchi, esausto come sei?)

 

Non vuole saperlo, è stanco di Vedere. Tremando, si lancia un Incantesimo Tagliuzzante su una manica del pigiama, e ne ricava delle bende con cui si fascia con cura le mani. È così che si accosta di nuovo al cavallo, lo afferra per il collo e cerca di allontanarlo via con la forza dal cadavere nella pozzanghera, ma il Thestral sbatte le ali e si scrolla di dosso Harry con un gesto infastidito. Harry si rialza e ricomincia a tirarlo, batte un pugno contro le costole in rilievo sotto il manto scuro, scalcia, grida frustrato.

-          Avanti, Avanti, vieni via!- grida, e all’improvviso scoppia a piangere, e il suo corpo viene scosso da singhiozzi disperati, e carichi di rabbia.

È una così amara beffa della sorte questa, perché è come per Sirius, ha nuovamente bisogno di un Thestral per andare incontro alla morte di una persona che ama… o credeva di amare.

Harry ascolta un attimo il suo cuore e ricaccia la bugia: no, ama. Implacabilmente ama.

Ma questo non lo fermerà.

Continua a tirare il Thestral finchè la bestia non desiste e lo segue, docile. Harry salta goffo in groppa al cavallo, con il corpo ancora scosso da singhiozzi violenti; sente le lacrime scorrergli lungo le guance, in righe bollenti che il vento tenta di strappargli via. Le lascia scorrere, a stento se ne accorge… non in quel momento, mentre guarda per l’ultima volta Hogwarts, e pensa a Ron, Hermione, Ginny, Neville, e a tutti i suoi amici… La sua nuova famiglia, morta lì.

Reso orfano per la seconda volta.

Sì, adesso conosce il motivo per cui Draco finirà ad Azkaban… e il motivo per cui lui lo ammazzerà prima che possa arrivarvi.

Chiude gli occhi, esausto.

-          Al Maniero dei Malfoy, nel Wilthshire- mormora al Thestral. – Portami da Draco.

Il Thestral spalanca le ali di cuoio e si alza in volo, con un movimento così brusco che Harry viene spinto in avanti e riesce e tenersi a stento in groppa. Si china sul busto scheletrico e si aggrappa meglio con dita intirizzite e fasciate, ma non apre gli occhi. Il suo addio al castello lo ha dato già.

È arrivato il momento di un ultimo viaggio.

E accompagnare Draco ovunque andrà.

 

 

***

 

-.- Fine capitolo...

 

^^’’’ siete ancora svegli? Complimenti a chi è arrivato fino a qui ^^’’’’… eventuali critiche costruttive o commenti possono essere fatte all'indirizzo tesla_vampire@yahoo.it ^^, grazie!

 


 

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