Note: se la leggete ascoltando “Hold me, Thrill me, Kill me” degli U2 fa più effetto.

PS: non voglio nessuna responsabilità per questa fic!! Prendentevela con Pippis!!


Virtual game

di Naika

 

Pianeta Kanagawa.

Venerdì 30 aprile 4004

 

 

Pow Hanamichi

 

Un altro venerdì sera.

Una pioggerellina sottile e fredda  ricopre d’umidità le spaziomobili allineate lungo il marciapiede spingendomi a rabbrividire nonostante lo spesso cappotto che indosso.

Lo stringo di più contro il corpo, con un sospiro infastidito.

Odio le serate umide come queste.

Mi chiedo perchè non me ne sono rimasto in centro, nel mio lussuoso appartamento.

Avrei potuto scegliere un amante dal catalogo della PayLove come faccio di solito e farmelo recapitare direttamente a casa.

Sarebbe stato certamente più comodo.

Ma sono stanco.

Sono stanco del mio appartamento troppo accessoriato dove  non devo fare assolutamente nulla perchè i computer fanno già tutto per me, dove la plastica è così tanta che a volte mi sembra che, a forza di stare lì dentro, diventerò di plastica anch’io.

Quanto ai compagni virtuali... bhe sono accondiscendenti, scodinzolanti e stupidi come il più falso e ipocrita dei lecchini.

Non ne posso più di loro.

Per questo ho preso un taxi e mi sono fatto accompagnare alle soglie della città maledetta.

La legge ha proibito ormai da anni il sesso fisico per impedire il diffondersi di malattie pericolose.

Ora, il ‘fare l’amore’ si limita ad un visore virtuale collegato alla testa, che spara, immagini, sensazioni e piaceri direttamente al cervello.

Un paio di moto schizzano, rombando, sopra la mia testa riportandomi al presente mentre mi guardo distrattamente in giro.

In questo quartiere camminano tutti velocemente, a testa bassa, per evitare di dare nell’occhio, ci sono parecchi ladri da queste parti, dicono, e nessun poliziotto si spingerebbe mai fino a qui.

“Hey straniero!!” cinguetta una voce femminile facendomi voltare distrattamente il capo. Di fronte alla soglia di quello che pare un anonimo portone, leggermente sbrecciato, fa bella mostra di se una ragazza dai capelli fuxia, tagliati in maniera assurda.

Mi sorride ammiccando verso l’interno, di quello che dev’essere un bordello, con fare malizioso.

Scuoto il capo piano “Spiacente preferisco un altro genere di compagnia...” le dico, senza tuttavia negarle un sorriso.

Infondo è fuori al freddo con questo tempo umido e infido.

Lei accetta la mia dichiarazione con un sospiro e un lampo di dispiacere negli occhi verdi prima di tornare a sfoggiare un sorriso.

“Allora gira per quella strada, due porte sulla destra, in fondo al viale, c’è L’inferno!!” mi consiglia.

“Grazie...” mormoro sollevando una mano in segno di saluto prima di cambiare direzione, seguendo quella indicatami da lei.

Il vicolo è buio e pregno dell’odore dell’acqua stagnante.

Storco un po’ il naso prima di fermarmi dinanzi ad una porticina anonima che una volta probabilmente era laccata di rosso.

L’antisonante scritta ‘Inferno’ a malapena si legge.

Tempo fa, probabilmente, era un’insegna luminosa ma il neon si dev’essere bruciato da anni e manca la ‘e’ centrale, che penzola malamente ancora attaccata alla ‘f’ solo da un garbuglio di piccoli cavi.

Spingo la porta che cigola, infastidita, lasciandomi tuttavia entrare nel locale.

Bhe.. locale è una parola grossa.

C’è qualche divanetto, un bancone e qualche seggiola.

Il luogo è pressochè deserto a parte il barista, un cameriere e qualcuno sprofondato nei divanetti, laddove le ombre si addensano concedendo loro un po’ d’intimità.

 

Una topaia.

 

Ma ormai sono qui e non ho voglia di tornare fuori al freddo.

Prenderò qualcosa da bere e poi mi rimetterò in strada.

O forse me ne tornerò a casa.

Questa serata non sta andando esattamente come l’avevo programmata.

Mi avvicino al bancone dal quale il barista mi fissa con sguardo torvo e sospettoso, ignorandolo mi sfilalo il cappotto e lo getto su uno sgabello vuoto, accanto a me.

Lo sguardo dell’uomo scivola per un momento sulla mia figura fasciata da una leggera maglia, senza maniche, bianca, e da un paio di semplici jeans, strappati, con un lampo di approvazione, prima di chiedermi quasi scocciato: “Che bevi?”

Scuoto le spalle con indifferenza “Fa tu...” mormoro.

Tanto qualsiasi cosa va bene per annebbiare un po’ la mente.

Prende una caraffa colma di uno scuro liquido rosso e un grosso bicchiere a coppa riempiendomelo abbondantemente prima di tornare ad occuparsi dei suoi bicchieri, lanciandomi di tanto in tanto qualche occhiata bieca.

Si deve vedere proprio tanto che vengo dalla città ed evidentemente la cosa non gli va a genio.

Passo una mano tra le ciocche rosse facendo dondolare pigramente il liquore.

L’ho assaggiato.

Non è un gran che, ha un sapore troppo forte e vagamente sabbioso, però va dritto dritto al cervello.

La testa mi si alleggerisce e la vista mi si appanna ma va bene così.

E’ esattamente ciò che volevo.

Non ho voglia di ubriacarmi del tutto così mi limito ad osservare il restante contenuto del mio bicchiere dondolare, le lunghe onde rosse che s’inarcando contro il vetro trasparente, lambendolo con le loro labbra carminio per poi accasciarsi le une sulle altre.

L’orologio scalcinato, appeso con il fil di ferro, ad uno scaffale dietro il bancone, segna le venti e diciotto.

Fuori non è ancora buio ma la luce sta scivolando lentamente via.

 

Mi sento vagamente triste.

 

Il giorno era un party colorato ricco di suoni e musica ma ora... la festa giunge al termine e gli invitati stanno infilando ad uno ad uno il loro capotto.

Si vestono e se ne vanno lasciando la casa vuota e silenziosa.

Non resta che spegnere la luce e andare a dormire pensando che, domani, dovremo pulire.

 

Così mi fa sentire la sera.

 

Lei porta il silenzio laddove prima c’erano chiasso, risate e colori.

Porta l’oscurità laddove c’era luce.

 

Non mi piace.

 

Il mio lavoro è faticoso e stressante ma almeno non mi consente di pensare.

La sera invece... devo tornare nel mio appartamento dove non c’è nessuno che mi aspetta.

 

Nessuno che mi sorride.

 

Sempre che io non paghi per un ghigno di plastica e uno sguardo olografico che non mi regala nessuna sensazione nemmeno a stimolarla con la maschera virtuale.

Mi passa persino la voglia di prepararmi qualcosa di decente così finisco per sbattere nel microonde la prima scatola che trovo nel congelatore. Il cibo si scalda in pochi minuti ma ha ugualmente il sapore della plastica surgelata.

Il liquore ondeggia nuovamente e una voce divertita mi riprende: “di solito si beve... non si guarda...” mi fa notare, riscuotendomi dalle mie cupe considerazioni.

Sollevo lo sguardo incontrando un paio di occhi scuri.

Castani.

Il ragazzo moro, proprietario dei suddetti occhi si siede accanto a me appoggiando il suo bicchiere sul bancone prima di tendermi la mano.

“Ryo...” si presenta.

 

Niente cognome.

Niente grado.

Niente di niente.

 

Ryo.

 

E basta.

Ricordo l’ultima volta che sono stato ad un ricevimento nella capitale.

Ci ho messo dieci minuti buoni solo per presentarmi.

 

E’ obbligatorio identificarsi.

 

Fra un po’ ci attaccheranno un codice a barre sulla schiena e quando entreremo in un locale ci passeranno con una penna ottica per segnarci nella lista dei visitatori.

Qui invece è rimasto tutto come molto tempo fa.

Osservo il moretto tranquillamente.

Non è bello come gli accompagnatori virtuali.... ma è vero.

“Hanamichi.....” mormoro stringendogli la sua mano nella mia.

“Sei solo?” continua il tipo.

 

Sta cercando di abbordarmi?

Non ero io quello a caccia stasera?

Riderei se ne avessi voglia.

Ma stasera non ho voglia di niente.

 

“Hn..” borbotto lasciando che il mio sguardo scivoli nuovamente sul bicchiere.

“Sei un tipo di poche parole eh?” chiede lui, apparentemente per nulla scoraggiato.

Mai affermazione fu più lontana dal vero.

“Ti va se andiamo a sederci sui divanetti...” propone, avvicinandosi al mio orecchio con fare calcolato.

Come tecnica di corteggiamento lascia un po’ a desiderare, in compenso se la cava bene con le mani a giudicare dalla carezza ipnotica che sta facendo scorrere sulla mia schiena.

 

Chissà quanti se n’è portati a letto.

 

Meglio così.

Adesso questo è esattamente quello di cui ho bisogno.

 

Sollevo il bicchiere e scivolo giù dallo sgabello prima di voltare il capo per guardarlo, lui salta giù dal suo e presomi per un gomito mi accompagna in un angolo riparato.

Il tempo di deporre i bicchieri e lui ha già fatto scivolare le mani su di me.

Chiudo gli occhi e riverso il capo all’indietro.

Probabilmente lui crede che mi stia abbandonando alle sue cure.

 

Stupidaggini.

 

Sono stanco e ho sonno.

Il fumo mi annebbia la vista, la musica mi ottenebra la mente.

 

Non ho voglia di pensare.

 

Cercavo un po’ di fascino del proibito ma qui non c’è niente di esaltante.

Forse la mia mente è così abituata agli stimoli della maschera virtuale che ormai non è più in grado di reagire a quelli reali.

Ryo comincia a baciarmi il collo e io lascio che faccia, inarcando un po’ la schiena quando uno spiffero freddo, proveniente da una finestra rotta mi spinge a cercare un po’ di questo suo calore.

“Sei delizioso tesoro...” mi ansima contro, portando una mano tra le mie gambe, slacciandomi la cerniera dei jeans.

Gli afferro il polso e lo allontano senza nemmeno aprire gli occhi.

Questa situazione comincia ad infastidirmi.

Questo posto è freddo, puzzolente e cadente.

Non ho voglia di stare qui e nonostante in un’altra occasione probabilmente sarei anche riuscito ad eccitarmi per le carezze di questo ragazzo adesso mi sento solo stanco.

La mia vita falsa e splendidamente plasticata o questa realtà decadente e tumefatta?

Possibile che non sia rimasto altro?

“Vieni, ho capito, ci vuole altro per te...” sussurra lui, afferrando i miei pensieri, leccandomi languido il collo.

“Ti porterò in un posto che ti piacerà...” mi promette tendendomi una mano.

Ho i miei dubbi ma lo seguo.

Stasera mi sono ripromesso di non pensare a nulla.

Se anche domattina dovessero ritrovarmi sgozzato in un vicolo... poco m’importerebbe.

Qualsiasi cosa, anche la morte pur di sfuggire all’apatica monotonia che ormai mi ha incatenato a se.

Mi spinge verso un corridoio che non avevo notato, fino ad un’altra porta, di spesso metallo nero, leggermente ammaccata.

Ci batte contro due volte e nella parte superiore si apre uno spioncino.

“Parola...” chiede il tipo oltre la soglia.

“Fire...” mormora Ryo e il tizio richiude brusco lo spioncino.

 

Sembra uno di quegli scadenti film di ganster.

 

Una serie di sfrerragliamenti mi avvisa che la parola d’ordine era quella giusta e che il gorilla oltre la soglia ha deciso che possiamo entrare.

Sempre che riesca ad aprire questo rottame di porta.

Infine con un ultimo sonoro clangore l’uscio si apre verso l’interno con un cupo cigolio.

Il buttafuori mi lancia un’occhiata da testa a piedi e io scuoto con indifferenza il capo, sotto il suo esame, lasciando che la luce fioca scivoli sulla mia figura abbronzata.

Negli occhi dell’energumeno si accende l’approvazione mentre ci indica l’ennesimo corridoio.

Ryo mi accompagna davanti ad un ingresso celato da una spessa tenda rosso scuro.

“Benvenuto all’Inferno...” sussurra lui, un largo sorriso malizioso sul volto, nel scostarla per me.

 

E io resto senza fiato.

 

Quello che ho davanti deve essere un vecchio deposito merci.

La struttura metallica, che sorregge le spesse pareti di nudi mattoni, fa assomigliare la struttura al ventre di un enorme mostro addormentato, le viscere illuminate dalla luce di miliardi di candele accese, appoggiate dovunque vi sia un supporto.

La cera candida è colata sugli architravi metallici ricoprendoli di rigonfiamenti bianchi tramutando le rigide spranghe di ferro in bitorzolute ossa bianche.

Dal soffitto pendono intere ramificazioni di candelieri scuri, riempiendo la volta nera di milioni di piccoli occhi luminosi e ondeggianti.

A terra, enormi bracieri sono sistemati casualmente per la sala, le loro fiamme si alzano in lunghe lingue calde che illuminano con la loro luce instabile e scaldano con il loro calore bruciante.

Per il resto non c’è nulla.

Nessun arredo a parte un’infinità di tappeti e cuscini su cui decine di giovani, nudi, stanno languidamente sdraiati, sfiorandosi gli uni con gli altri, divisi in coppiette o addirittura gruppi.

Risatine, sospiri e qualche gemito rincorrono il crepitio delle fiamme intrecciandosi alle lievi spirali di fumo profumato che salgono dai bracieri per poi disperdersi nell’oscurità soffusa e ipnoticamente ondeggiante.

 

“Ragazzi qui, quelli, sono vietati...” sussurra una ragazzo passandoci accanto con un largo vassoio pieno di bevande colorate.

 

Cerco di comprendere a che cosa si riferisce quando capisco che indica i vestiti.

In effetti non c’è una sola persona che indossi qualcosa qui, se si fanno esclusione per qualche bracciale e collarino di cuoio o il fulard di seta che copre gli occhi di una ragazza, che sta giocando ad una specie di mosca cieca con i suoi amici, cercando di indovinare di chi si tratti dopo aver messo una mano tra le loro gambe.

Gli stessi camerieri portano solo un cerchiellino su cui sono montate due piccole corna che si accendono di un’intermittente luce rossa.

Ryo si libera dei vestiti e io faccio altrettanto consegnandoli ad una ragazza che stava allegramente pomiciando con la sua collega, poco oltre la porta, accanto a quello che dev’essere il guardaroba.

“Non vi do un numero perchè ovviamente non saprete dove metterlo....” sussurra maliziosa riponendo gli abiti, accuratamente piegati, in un ampio scaffale dove fanno già mostra di se altri capi di vestiario.

“Oh... ma io un’idea... ce l’avrei...” mormora l’altra allungando una mano per accarezzarmi il fondoschiena prima di farmi l’occhiolino.

La prima ragazza ride per poi tornare a fissarci “Ricordati il numero 10 mia bella fenice...” sussurra “...e visto che è sicuramente la prima volta che vieni qui, sappi che la regola da ricordare è solo una: puoi fare tutto quello che vuoi se i tuoi compagni sono coscenzienti” mi avverte.

Annuisco prima di seguire Ryo che mi tende una mano per trascinarmi tra le varie coppie stese o sedute qua e là.

Qualcuno ci offre di unirci a loro ma il mio accompagnatore scuote le spalle con un: “dopo magari...” salutando di tanto in tanto qualcuno con un cenno del capo o della mano.

Mi guardo distrattamente attorno mentre ci avviamo verso un angolo libero.

Non è facile trovarlo nonostante questo posto sia dannatamente grande.

“Andiamo lì...” mormora Ryo facendomi strada tra i corpi più o meno allacciati.

 

Strano... noto che nessuno si spinge più in la di baci o carezze.

 

Che sia proibito fare sesso?

Il mio accompagnatore pare comprendere la mia perplessità perchè scuote il capo e ride, indicandomi un palco che prima non avevo notato.

E’ l’unica zona avvolta completamente dall’oscurità ma aguzzando lo sguardo noto comunque che sopra la piattaforma nera spicca un enorme letto matrimoniale.

 

Questo che c’entra con il fatto che nessuno è ancora andato fino in fondo?

 

“Il primo ‘ballo’ spetta al proprietario....” mormora Ryo malizioso.

“Ballo?” ripeto io stranito.

Lui annuisce e mi tira a sedere su un grosso materasso punteggiato da cuscini colorati.

La stoffa ha un profumo forte, alcolico, ma non mi da fastidio.

Forse perchè le mie percezioni sono troppo annebbiate per farci caso.

Comincio a chiedermi che cosa brucino in quei bracieri, c’è un odore dolce e speziato nell’aria che ipnotizza i sensi e mi fa girare la testa.

Probabilmente per effetto delle droghe afrodisiache che bruciano tra le fiamme rosse dei bracieri o forse semplicemente grazie alla sensualità dello scenario che ci circonda, quando le mani di Ryo riprendono ad accarezzarmi io gemo piano, trattenendo a malapena un tremito.

Lui mi sorride facendomi sdraiare “Va meglio ora...?” chiede divertito senza tuttavia lasciarmi rispondere, nel chiudermi le labbra con le sue.

Un mugolio leggero si fonde tra le nostre bocche ma il mio è un suono così leggero che soffoca tra gli ansiti e i sospiri che salgono in dense spirali, attorno a noi, intrecciandosi con la bassa sinfonia che spiraleggia tra i cuscini.

Ci devono essere delle casse che non ho notato, da qualche parte, nascoste ad arte.

La musica è un semplice intrecciarsi di bassi suoni primordiali che arricchisce il sussurro delle fiamme e il mormorio degli amanti attorno a noi di calde note, dense di calore.

Ryo mi bacia il collo succhiandomi la pelle mentre io lascio che le mie mani scivolino sulla sua schiena seguendo i contorni del suo corpo, serrandosi sulle sue natiche.

Me lo tiro contro e lui solleva il volto per fissarmi soddisfatto prima di abbassarsi a chiudere le labbra su un mio capezzolo.

Inarco la schiena e socchiudo gli occhi notando che accanto a noi ci sono due ragazze che ci guardano.

La più piccola delle due è seduta tra le gambe dell’altra, la schiena appoggiata contro i seni prosperosi della mora, che la sta accarezzando dolcemente mentre le sussurra qualcosa all’orecchio.

Con una mano le sfiora il seno con l’altra le accarezza i morbidi riccioli biondi allungando, tra una parola e l’altra, le labbra, per mordicchiarle l’orecchio.

Gli occhi della sua amante sono roventi e si socchiudono di tanto in tanto quando le carezze della sua compagna le provocano un brivido profondo, senza tuttavia staccarsi da noi.

 

Trovano eccitante guardarci?

 

Che guardino allora.

Sorrido loro facendole arrossire

Una cosa così assurdamente innocente in una situazione simile.

 

Mi piace guardarle toccarsi.

 

E’ evidente che quello che le lega non è la scopata di una sera mentre giocano con il loro corpo guardandoci.

Ribalto le posizioni spingendo Ryo sotto di me ergendomi su di lui con un sorriso malizioso e la schiena eretta perchè possa guardarmi bene.

 

E noto stupito che non è l’unico.

 

I miei amanti virtuali si sono sempre prodigati in complimenti sulla mia bellezza ma quello era il loro lavoro e non ho mai creduto ad una delle loro parole.

Ma ora... la muta ammirazione che leggo negli occhi celati dalle ombre, il desiderio che scintilla nello sguardo di Ryo, sotto di me... queste non sono emozioni costruite.

E per la prima volta in vita mia mi sento attraente davvero.

 

Ryo allunga le mani per afferrarmi i fianchi riportando la mia concentrazione su di lui quando uno basso sibilo e una valanga di vapore avvolgono il palco poco lontano.

Un fascio di luce accecante taglia le tenebre soffuse esplodendo sul grande letto in una cascata di scintillii che tramuta le morbide onde pallide in spumeggianti nuvole d’oro.

Le volute candide si tendono verso l’alto per un momento prima di schiudersi in petali trasparenti rivelando nel loro abbraccio la creatura più bella che io abbia mai visto.

E’ un ragazzo dalla pelle candida come quel vapore che ancora si struscia languido contro di lui, lambendogli con lingue impalpabili i muscoli scattanti, attorcigliandosi al suo petto scolpito prima di disintegrarsi di fronte al suo sguardo gelido.

I suoi occhi blu sono due abissi senza fondo in cui le tenebre sembrano fondersi in un nulla assoluto.

Lo vedo sondare la sala mentre gli amanti interrompono i loro giochi.

Qualcuno mormora ‘il proprietario’.

 

Un ragazzo così giovane?

 

Mi sembra di essere finito in uno di quegli strani romanzi di vampiri.

Catapultato in una dimensione senza senso o legge.

 

Gli occhi blu attraversano la sala prima di fermarsi su di me.

 

Sfido quegli abissi scuri che tentano di sondarmi l’anima senza chiedere il permesso e lui sorride, lievemente, tendendomi una mano, in un muto ordine.

 

Mi sollevo piano lasciando Ryo, che non fa nulla per trattenermi, avvicinandomi a lui.

Salgo lentamente  i gradini che portano al palco e al suo letto fermandomi ad un passo da questa divinità perfetta eppure reale.

Tendo la mano e lui la afferra tirandomi a se mentre nella sala esplode un applauso eccitato.

“La regola vuole che sia il re ad aprire le danze...” sussurra lui prima di spingermi sul letto.

Monta a gattoni sul materasso candido, risalendo il mio corpo con il proprio, lasciando che il suo sguardo scorra su di me in un silenzioso esame che ritrova nel suo sorriso malizioso una muta approvazione.

“Mi concedi questo ballo?” sussurra abbassando il capo fino a sfiorarmi le labbra con le sue.

Allargo le gambe accogliendolo contro di me e mormorando un: “Mostrami cosa sai fare...” carico di sfida.

I suoi occhi scintillano e la sua bocca chiude vorace la mia.

La sua lingua scivola nella mia bocca come un lungo rettile umido, accarezzando la mia, che si allunga ad accoglierla nella propria casa con piacere.

Muove le labbra contro le mie spingendomi il capo indietro sui cuscini, premendo con forza quasi volesse dimostrarmi quale errore ho commesso nel tentarlo.

 

Ma io non ho paura di lui.

 

E mentre le sue mani salgono sui miei fianchi stringendo la mia pelle come se volesse togliermela, io inarco la schiena strofinando il ventre contro il suo.

“Non avere fretta...” ansima lui, staccandosi da me per bruciarmi con uno sguardo elettrico.

Sfidandomi, con gli occhi, a non muovermi comincia a scendere sul mio petto. Lo lecca, lo mordicchia con i denti mentre entrambe le sue mani scivolano tra le gambe a imprigionare il mio membro.

La sua bocca succhia avida la mia pelle lasciandovi indistinti aloni rosati mentre le sue dita candide toccano, violano, scivolano, salgono e scendono in una lenta, estenuante, carezza.

Ansimo inarcando la schiena allargando le gambe per lasciare a quelle mani tutta la libertà di cui hanno bisogno.

 

Voglio di più.

Voglio lui!

 

Ma il mio carnefice accoglie il mio corpo che s’inarca per lui, con un remoto sorriso, mentre la sua mano destra scivola più a fondo tra le mie gambe.

Il polso strofina contro il pene  strappandomi un ansimo spezzato mentre le sue dita lunghe s’infilano tra le natiche.

Gemo quando l’indice mi stimola l’apertura ma lui si stacca da me ritraendosi.

Socchiudo le palpebre fissandolo e lui mi indica con un cenno del capo la sala.

“Non stiamo facendo il nostro dovere...” sussurra prima di afferrarmi per le braccia, costringendomi ad alzarmi.

Mi ritrovo seduto tra le sue gambe esattamente com’erano messe le due ragazze prima, la sua bocca sulla mia spalla nuda, che succhia la pelle, le sue mani di nuovo tra le mie gambe.

“Aprile di più, fatti guardare...” sussurra e io lo assecondo inarcandomi un po’, appoggiandomi contro il suo petto mentre le sue mani riprendono a salire e scendere, scendere e salire.

Gemo cominciando a muovere piano i fianchi, ansimando quando sento una terza mano sfiorarmi incerta la punta del pene.

Un ragazzo è salito sul palco e fissa il mio membro con occhi liquidi di desiderio.

Rukawa scosta le sue mani, appoggiando la destra alla base del mio membro.

Un candido vassoio su cui poggia il mio sesso abbronzato, in una muta offerta sacrificale per colui che abbiamo di fronte.

Il ragazzino si inginocchia davanti a me, guarda di nuovo Rukawa quasi ad accertarsi di avere davvero il permesso di toccarmi prima di allungare la lingua e assaggiare la prima goccia perlacea del mio piacere.

“Fallo godere...” sussurra la volpe, non so se a me o a lui, mentre le sue mani scivolano a tenermi le cosce divaricate e il ragazzo, con il fiato corto e le guance accese di emozione, si abbassa di nuovo su di me.

La sua bocca e morbida e calda nell’accarezzarmi, la sua linguetta mi assaggia deliziata mentre ansiti e gemiti si sollevano dalla sala e qualche voce roca lancia suggerimenti.

Kaede mi serra le cosce e dolcemente preme il suo sesso contro le mie natiche spingendomi il bacino in avanti.

Il ragazzo accoglie il suggerimento prendendo il mio membro in bocca mentre io non posso che gettare indietro il capo, con un ansito violento.

Rukawa allora libera le mie cosce, certo ormai che non tenterò di fermare il giovane angelo che mi sta torturando, per portare le dita candide tra i capelli del ragazzo imponendogli un ritmo denso e profondo che spinge i miei gemiti ad alzarsi vorticosamente finche non lo stacca di scatto da me, un secondo prima che il piacere mi esploda nelle carni.

Grido frustato e nella sala qualche voce mi fa da eco mentre il moretto sparisce nelle ombre, che avvolgono il pavimento, per tornare da dov’era venuto.

“Non ancora do’aho.. non ancora...” mi blandisce il mio signore, sfiorando con dita curiose il mio membro congestionato quando mi agito insoddisfatto tra le sue braccia.

Lo sento muoversi e staccarsi dalla mia schiena mentre dolcemente mi obbliga a voltarmi, facendomi sedere davanti a lui. Tiene le gambe divaricate in modo che io possa sedermici nel mezzo mentre le mie gli cingono i fianchi in una posa che mi ricorda vagamente un disegno del kamasutra che avevo visto tanto tempo fa.

I nostri sessi si sfiorano dolorosamente così.

I suoi occhi scintillano mentre le sue mani scivolano lungo la mia schiena e poi giù, sui glutei.

Me li divarica cercando la mia apertura con le dita.

Spingo il bacino indietro nascondendo il volto contro la sua spalla, intaccando la sua candida bellezza con il segno dei miei denti, quando lui fa scivolare un dito dentro di me.

La sala ansima seguendo il suo lento farsi strada nel mio corpo e io soffoco un rantolo contro la sua pelle.

Non ce la faccio più.

Estrae l’indice e poi lo riaffonda piano facendomi gemere di frustrazione.

“Prendilo!” urla qualcuno con voce così roca e distorta da sembrare soltanto vagamente umana.

 

Ma Rukawa non sta torturando solo me.

Anzi...

Io sono solo lo strumento che gli consente di calamitare i loro occhi sulle sue mani.

Se il suo compito è farli impazzire ci sta riuscendo.

 

D’altronde... un simile Inferno non poteva che avere un così splendido Lucifero.

 

E io che in questo sadico gioco incarno la vittima non posso che graffiargli la schiena con le unghie e leccare la sua pelle chiara mentre lui si limita a continuare il suo lento entrare ed uscire aggiungendo un secondo dito quando ormai non sento più il primo.

Gemo e ansimo con una voce che stento ormai a riconoscere come mia.

 

Sembrano i lamenti di una creatura morente.

 

Ma è esattamente ciò che sono.

Le sue mani mi stanno uccidendo.

La luce che mi lascia vedere ma che non mi permette di toccare mi chiama con la sua voce melodiosa disidratando la mia anima con il suo calore, in una lenta, bruciante, agonia.

 

Spinge anche l’anulare nel mio corpo e io mi tendo piano, con un gemito di dolore.

Il mio corpo non ha mani conosciuto intrusioni di questo genere.

Finora l’unico piacere che ho sperimentato era stato proiettato direttamente nel mio cervello dalla maschera virtuale o introdotto delicatamente nel mio corpo da un vibratore perfettamente lubrificato per lo scopo.

“Rallenta...” ansimo contro il suo collo e lui è probabilmente abbastanza esperto in queste cose per capire.

Allunga una mano verso il pubblico e una figura che non vedo gli porge quella che ha tutta l’aria di essere una bottiglia di crema al cacao.

La svuota tra le mie scapole facendomi sfuggire un urlo per la sorpresa e il freddo mentre sento il liquido denso scivolare lungo la mia spina dorsale. Lui sfila le dita separandomi con delicatezza i glutei lasciando che il liquido scuro scenda tra essi bagnandomi completamente lì dove sono più sensibile.

Ansimo contorcendomi violentemente strofinando i nostri sessi, troppo lontani per darmi appagamento, troppo vicini per permettermi di ignorarlo.

“Rilassati...” mi sussurra contro le labbra accarezzandomi il volto con dolcezza prima di attirare il mio mento verso di lui e chiudermi le labbra con le sue.

La presenza che ha porto la bottiglia al mio demone personale si sposta dietro di me e si china dietro di me, poggiando le sue mani sui mie fianchi.

 

Il suo tocco è leggero e delicato.

 

O è un ragazzo molto giovane o è una donna.

Ogni pensiero si infrange quando ciocche leggere di capelli mi sfiorano la schiena prima che labbra morbide prendano a leccare voluttuosamente la crema mentre la bocca di Rukawa raccoglie i miei gemiti intrecciandovi la lingua con diletto.

Sento le labbra sconosciute percorre le vertebre una ad una, lentamente, finchè non arriva alla base delle natiche.

 

Esita e si ferma sollevando il capo.

 

Rukawa si stacca dalle mie labbra per gettare uno sguardo oltre le mie spalle e io piego un po’ il capo riuscendo ad intravedere qualche familiare ricciolo biondo.

Scorgo con la coda dell’occhio il volpino farle un cenno d’assenso con il capo prima che i suoi occhi tornino a divorare i miei e le sue mani scivolino sulle mie natiche per divaricarmele.

Le labbra che mi avevano abbandonato tornano a posarsi, bollenti, sulla mia pelle bagnata di cioccolato liberando una lingua calda che si infila tra i miei glutei, disegnando con lappate umide il contorno della mia apertura prima di spingersi curiosamente a fondo, raccogliendo tutto il cioccolato che riesce a lambire mentre il mio respiro si spezza con violenza e i miei fianchi si tendono allo spasimo.

Lascio che un tremulo “...ti prego...” mi sfugga dalle labbra insieme ad un sospiro quando lei mi lascia per andarsene, così com’è venuta.

Rukawa mi mette due dita sotto il mento costringendomi a sollevare il volto, mi cerca le labbra in un lungo bacio prima di stendermi contro il letto.

“Pronto?” sussurra facendo scorrere con riverenza le mani sui miei fianchi.

Annuisco distrattamente lo sguardo totalmente perduto nei suoi occhi.

 

Voglio solo che mi prenda.

 

Lui sembra soddisfatto perchè si stacca da me e lo vedo chiamare con uno sguardo qualcuno dal pubblico.

Ryo sale sul palco fissandomi con occhi colmi di piacere e il membro eretto in bella mostra.

Rukawa mi aiuta ad alzarmi e mi spinge tra le sue braccia e lui mi stringe obbedientemente, facendoci gemere entrambi per il contatto tra i corpi nudi.

“Tienilo fermo...” mormora la volpe prima di posarmi le mani sui glutei.

Ryo mi solleva le braccia facendomele allacciare al suo collo e poi mi posa le mani sui fianchi spingendomeli un po’ in dietro in modo da offrirli al nostro signore e allo sguardo della platea.

Rukawa si posa contro di me premendo la punta del suo pene contro i miei glutei per un lungo, eterno, secondo mentre tutta la sala trattiene il respiro.

Poi con un unico colpo affonda.

Il suo sesso spinge nel mio corpo facendosi strada con prepotenza mentre mi aggrappo disperatamente al mio sostegno lanciando un grido che mi esce dalla gola con un roco lamento.

Rukawa fa scivolare le sue mani su di me sostenendomi e trattenendomi al contempo prima di assestare un’altra spinta.

Noto distrattamente che hanno spento la musica.

Ryo trattiene il fiato, incapace di muoversi, limitandosi a fissare l’ondeggiare del mio corpo ogni qualvolta Kaede scivola dentro di me.

Tutta la sala risuona del suono basso e soffocato con cui il mio corpo accoglie il suo sesso mentre i mie ansimi diventano respiri spezzati e poi gemiti finchè con quello che si potrebbe definire solo come un grido animale, vengo violentemente, bagnando il ventre e il sesso di Ryo, che si stacca da me con un rantolo, venendo a sua volta quando il mio seme caldo bagna il suo membro eretto, accasciandosi poi in ginocchio, con occhi sgranati di meraviglia e stupore, davanti a me.

Lo osservo distrattamente, le palpebre pesanti, ogni singolo muscolo del mio corpo rilassato e stanco al contempo.

Solo il braccio destro della volpe, scivolato possessivamente attorno alla mia vita e il suo sesso piantato nel mio corpo mi tengono ancora in piedi.

Rukawa mi libera delicatamente del suo membro prima di spingermi contro il letto.

Quando a pochi passi da esso mi scioglie dal suo abbraccio semplicemente mi accascio tra le lenzuola, esausto e incredulo.

 

...

 

Stacco il visore dal mio volto ansimando pesantemente mentre Rukawa slaccia con tranquillità la sua maschera.

“Tu.. tu.. io... noi...” ansimo a fatica.

“Do’aho...” mormora piano lui, divertito.

Ma per una volta.. ha ragione!

Kaede lavora nella mia azienda da anni ormai.

Ci siamo incrociati per i corridoi un paio di volte e l’ho sempre visto con quella faccia di marmo congelato e lo sguardo cupo.

Non ho mai sopportato poi che tutte le ragazze dell’azienda gli sbavino dietro come lumache in calore.

Che cosa c’è di così magnifico in un ghiacciolo ambulante?

Così quando oggi ci siamo ritrovati per caso, sullo stesso campo di basket aziendale, durante la pausa pranzo, e lui ha ignominosamente vinto la sfida che io gli ho lanciato, non ho potuto fare a meno di dirgli tutto quello che pensavo di lui.

Tra i vari ‘aggettivi’, se non ricordo male ho commesso l’errore di mettere ‘frigido’.

E’ stato allora che la volpe  ha raggiunto la sua borsa e mi ha porto la maschera virtuale sussurrando un: “Sta a vedere...” carico di sfida.

 

E sia mai che il Tensai rifiuta una sfida!!

 

Ho collegato la maschera lasciando che lui facesse altrettanto, appoggiando la schiena contro la parete con un ghigno sul volto.

 

Quali fantasie poteva avere una volpe surgelata?

Al massimo mi avrebbe mostrato qualche bella donna nuda...

 

Non ero preparato.... non ero pronto per... l’inferno.

 

Il suo sguardo scintilla proprio come quello del demone pallido che mi ha manipolato durante la nostra visione mentre mi fissa, alzandosi con grazia da terra.

Lo guardo immobile, ai suoi piedi, i nostri sguardi che si incrociano in silenzio.

E alla fine lui sorride, lievemente, tendendomi una mano.

La afferrò lasciando che mi aiuti, e mi accorgo solo ora che ho i pantaloni bagnati e non per il sudore.

In compenso i suoi non sono da meno.

Rukawa mi attira a se e mi scosta, indietro, una ciocca di capelli, mentre l’altra mano scivola dentro i miei pantaloncini, ad accarezzarmi i glutei.

Ansimo piano ritrovando nel suo tocco tutto il piacere dell’amplesso appena provato mentre lui abbassa la bocca a mordicchiarmi l’orecchio prima di sussurrare piano: “Allora do’aho... me lo concedi questo ballo?”

 

 

fine...

 


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