Dedica: Saya-seme. Buon compleanno, Natale e felice Anno Nuovo! ^_^ Spero ti piaccia questa piccola trama. Lo sai che l’italiano non e’ il mio forte, ma almeno posso dire con il cuore in pace di avercela messa tutta. TT.TT;;
Note: In realta questa e una specie di original ambienta nel mondo pensato da Saya... per cio’ per meta e’ una fanfic? Boh X_X. Insomma non la faccio lunga perche potrebbe stare anche da sola come storia, le avrei rubato (e menzionato) solo un paio di PG, e cioe Blix, Cherno, Belo, Sasha e Audolf. E lei naturalmente XD Oh divina Saya! *ride* (mi sento presa per il culo u.u;;; ndsaya)

I nomi che ho usato dovrebbero essere queste le traduzioni:
Vidar ~ guerriero della foresta (Oh poveruomo, manco l’aveva vista una foresta in vita sua XD)
Peteri ~ roccia (insomma potrebbe essere ‘Pietro’)
Tuuli ~ vento
Ilja ~ colui che puo scegliere
Arnika ~ e un fiore di montagna
Lara ~ ... boh. Ho pensato a Dr. Zhivago? *fischietta il theme*

Il titolo invece...e più o meno un attacco di umorismo di pessimo gusto XP Perché lo definisco tale lo scoprirete leggendo. Sempre a messo che osate farlo, visto che questo e’ il mio secondo omogeneo testo in italiano (che poi sarebbe la mia quarta lingua...) ^_^; Mentre Seme non ha scelta, deve leggerlo visto che e un regalo! XP Se invece c’e chi si offre da beta gli sarrei grata per sempre. *_*

Un ringraziamento speciale va ad AshLynx per aver avuto la pazienza di coreggela storia.


Via Col Vento
Cronache del altro mondo capitolo 3
di Kitsune Aoi

“Qualche volta ti sento, sono sicuro~ sei tu,
Il tuo profumo col vento arriva fino a quassù...”
(Via Col Vento, Daniele Silvestri)

La riunione era finita abbastanza bene, o almeno cosi riteneva Vidar, ed era incoraggiante che anche i suoi consiglieri lo pensassero. Molti erano gli occhi posatisi su di lui in approvazione, e sapeva che non era solo per via del suo intelletto, palpabile dietro ogni sua parola. In fondo, però, lui ormai aveva capito che la diplomazia era poco più di una favola e, fintantoché fosse riuscito a piegare i senatori in favor suo, voltava pagina per un lieto fine.

Chiuse la porta del suo ufficio dietro di sé con un leggero sospiro. Gli davano un po' fastidio gli occhi vogliosi del presidente del commercio – il vecchio aveva almeno il triplo della sua età e, comunque,...non era il tipo da lasciarsi fare. Va bene che era presidente solo da qualche ciclo, ma teneva cara la sua dignità. Il suo nuovo assistente invece... già, l’assistente...

Sorrise maliziosamente andando, con passi lunghi e pensierosi, dietro la sua scrivania a posare il suo sguardo blu- zaffiro sulla grande piazza di sotto. La stanza era illuminata per bene, il cristallo – Hionyx – importato a tonnellate ogni anno dal deserto, era della specie più rara, bianco. Si diceva che risaltasse i colori come neanche la luce del sole poteva. Oltre ad essere raro, era anche, come ogni gemma che si rispetti, costoso ed il resto del popolo, come anche l'illuminazione stradale, era strappato dalle grinfie del buio molto più vagamente, con cristalli impuri. In fondo, però, era proprio quello il bello della capitale del popolo dei Kitsune, Kaikei, perché essa – come anche il resto delle volpi- era situata sotto terra.

Con un gesto assente, Vidar girò la sua sedia, lasciandosi cadere tra le sue morbide vesti, mantenendo lo sguardo sulle case del popolo che l’aveva scelto e riposto tutte le sue speranze in lui. La sua coda, più liscia della seta stessa, rifletteva la luce del Hionyx in raggianti strisce di bronzo per tutta la sua lunghezza, da quando sbucava dalla sua uniforme color rubino, sino a dove il suo pelo era tagliato bruscamente in una grande ciocca bianca. Di bronzo sembravano anche i suoi capelli, dal taglio corto per risaltare i lineamenti lisci del suo viso, come anche il piazzamento e la forma delle sue orecchie che, anche loro di puro bronzo, terminavano in identiche macchie color nero- inchiostro. Le ciglia lunghe e delicate battevano regolarmente, tenendo umide e protette le pupille a mandorla piantate in due identici zaffiri.

Si tolse i guanti bianchi sospirando. Per quel giorno poteva pure prendersela comoda visto che non aveva impegni urgenti. Guardando di sotto, posò il resoconto della riunione sulla scrivania dietro di se. Il senato era piazzato, come in ogni capitale che si rispetti, al centro della città, affacciato alla piazza centrale e, come in ogni città dei Kitsune, la piazza supportava l’obelisco d’argento, un piedistallo costoso, oltre che antico, elegante e decorato a volontà, che portava con sé la storia di ogni rispettiva città. Anche quell'anno l’incisione dell’accaduto era costato caro al governo, ma andava fatto. Infondo, la ricchezza, una delle più note virtù del popolo delle volpi, oltre ad essere incavata per sempre nella ballata che scorreva per le mura del piedistallo, si rifletteva in ciò che esso portava. In cima al colosso, in un abbraccio di vigne d’argento, risplendeva la pietra più grande mai trovata, Hionyx purissimo, la quale scacciava il buio dalle strade della capitale ed illuminava la grotta intera.

Erano anni ormai, però, che, a causa dei delicati incontri con i popoli del sole (specie a Tani), la piazza era aperta solo durante gli orari del senato; oltre ad esso alte barriere di metallo e magia tenevano lontano i malintenzionati. Sì, oltre alla ricchezza, le volpi si vantavano della loro astuzia, che, naturalmente, era sia la fonte del loro stato finanziario, come anche la nota di eterno mistero attribuito alla loro razza in genere. In realtà, come ogni altra virtù, c’era chi ne aveva di più e chi di meno e, certe volte, come spesso Vidar si ritrovava a sospirare, l’eccesso di essa risultava frustrante, non di recente, però. Tenendo gli occhi fissi sul brillio del Hionyx di Kaikei, si chiese per quanto ancora la pace sarebbe durata, e alla fine sorrise, rilassandosi e lasciandosi immergere nella soffice sedia. Per ora era ottimista.

Lo rimase, comunque, solo per poco. Un'urgente bussare lo fece drizzare sulla sedia. Si girò con far leggermente infastidito, intrecciando le dita sulla scrivania di marmo prima di chiamare, con una voce incantevolmente bassa e autoritaria, l’autore del suono. “Avanti.”

Composto ma notevolmente desolato, fece il suo ingresso un rossiccio volpino elegante. Inchinandosi appena per salutare il suo capo tradì il suo nervosismo. “Presidente...!”

“Sì, Peteri?”

A guardarlo così nervoso e incontenibile, di primo impatto il presidente si fermò ad osservare i lineamenti del suo corpo, tenuti stretti e coperti dalle vesti da ufficio, congratulandosi del fatto che questo assistente fosse proprio un buon acquisto....

“Presidente, mi dispiace darle la brutta notizia, ma...”

A quelle parole la sua espressione languida e piacevolmente volpastra si gelò con una realizzazione di terrore. “No... non mi dire,” lo fermo, aggrappandosi alla scrivania per sostenersi “si tratta di Tuuli, vero?”

Aggiustandosi i delicati occhiali tondi per rispecchiare il verde smeraldo dei suoi occhi sulla faccia di granito del presidente, il rossino annuì lentamente, morsicandosi il labbro. “Sì, è scappato di nuovo.”

La volpe di bronzo trattenne l’istinto di martellare il pugno sulla superficie della sua scrivania. Non andava bene arrabbiarsi di fronte ai subordinati...specie perché normalmente non lo faceva mai. Erano solo le fughe di quel sfacciato del suo fratellino a fargli perdere la calma. Sospirando a fatica per placare almeno un po’ la sua rabbia, fissò il tavolo con dedicazione. “E dov’è Blix? Non doveva fargli da guardia?”

Riempiendo un bicchiere di acqua fredda, il rossino, ormai preoccupato, lo portò alla furiosa volpe, mantenendo comunque le distanze, non perché ne avesse paura- il presidente era sempre così gentile nei suoi confronti- ma perché era timido di natura. Alla domanda posò subito gli occhi sul pavimento e disse, con una vocina piena di rimorso, anche se non poteva essere colpa sua in nessun caso:

“L’ha mandata a Namida, ricorda? La grande assemblea della pace questo ciclo si tiene a Mirai...”

Il presidente beve in silenzio. In fondo era stata solo questione di tempo. Posando i suoi due zaffiri, mossi dalla notizia ma allo stesso tempo preoccupati, nel verde specchiato in quei grandi vetri lucidi, l’assistente arrossì leggermente, infatuato di quel suo animo gentile che traspirava l’affetto di un fratello maggiore.

“Peteri” sospirò il presidente, rassegnato “grazie per avermi informato.” Un leggero sorriso tinse le sue labbra, vago e preoccupato, ma bastò per intensificare il colorito del rossino. Cullando il bicchiere tra le mani, lo guardò seriamente. “Sai cosa fare a questo punto?”

L’assistente annuì subito, salutando. “Sara fatto, signor presidente!”

* * * * *

Il proprietario della locanda, ridotta piuttosto male e mantenuta con sforzo, continuava a strofinare talmente vigorosamente il bicchiere che sembrava volerlo rompere. Ovviamente tardava a rispondere di proposito. Sapeva bene chi era il ragazzo di fronte a lui: c’erano ben poche volpi con il pelo color bronzo intenso. Ma, anche se egli non fosse stato chi lui riteneva fosse, non sarebbe comunque valsa la pena rischiare.

“Mi spiace” disse dispersivamente, scuotendo con la sua coda marrone- scuro una mosca fastidiosa che gli ronzava intorno, uccidendola con una precisione innata “non abbiamo camere libere.”

Il ragazzo socchiuse gli occhi, gelidi e chiari come il ghiaccio. Sapeva molto bene che stava mentendo, ma in fondo era proprio questo che lo divertiva delle piaghe più povere della città. In un modo o nell’ altro era sempre il popolo la parte più divertente. Ognuno, in qualche modo, sopravviveva, perché era ciò che rientrava nelle loro vene sin dal tempo degli antenati. Tra tutti i popoli mai accennati, le volpi erano sempre così, sole e ingegnose, chiuse sottoterra con tutti i loro segreti e le loro ricchezze.

Buttò sul bancone un altro paio di monete. Le orecchie del uomo vibrarono per un momento al suono metallico, ma nient’altro. Continuò a pulire il povero bicchiere come se niente fosse. Intanto, nel angolo remoto della locanda, attraverso il fumo e le voci degli sbronzi, aleggiava la canzone di un bardo. Era avvolto in stracci, con una chioma lunga e grigia, chiaro segno degli anni che si portava dietro. Il liuto che gli riposava in grembo era altrettanto vecchio, ma tenuto con cura, prova dell'affetto di un musicista. Nessuno sembrava ascoltare le sue note, ma quando iniziò a cantare, calò un silenzio rispettoso. Successe perché cantava la Ballata Della Dea.

Ode a Lei che ci amò
Che accese le stelle dei sogni.
In un tempo lontano, Lei il sole chiamò
Dalla luce dei suoi occhi.
Con amore nel petto il cuore inconsueto
Diede vita a sei eredi;
Sei prescelti, sei sepolti
Per fiorire un mondo nuovo.

Kitsune la saggia, la quarta figlia
Apprese l’invocazione degli altri
Chi cielo chi acqua, chi fiori chi sole
Tutti volevano estati
Astuta, Lei invece, entrò sotto terra
Cercando il sole in sé
Nell'oscuro abbraccio Lei tenne la luce
Non chiedendosi mai il perché

Trovando la via, saggezza e tesori
Il suo cuore brillò di purezza
La dea, la madre, pianse di dolore
La lacrima della vita eterna
Macchiò la figlia, macchiando la terra
Fiera del sacrificio.
La Stella della Dea, il cuore di Kitsune
Lei posò sul piedistallo d’argento... (*Kitsu muore dalle risate* ....fa veramente schifo... ¬_¬;; Nd_Vidar Zitto! Sono io la tua dea! *ancora ridendo* Nd_Kitsu … ma sicuramente meglio di quelle dedicate a me ndSaya)

Il ragazzo si girò di nuovo verso il proprietario, che intanto aveva cambiato bicchiere, ma non abitudine – infatti strofinava il vetro con un certo nervosismo. Gettando sul banco un’altro paio di monete, il ragazzo alzo le sopraciglia verso l'uomo, aspettando cortesemente. Gli pareva ovvio che esso sapesse che ne aveva di più, ma aspettò parecchi minuti prima di aggiungere alla somma qualcosa. Questa volta, però, non erano monete, ma parole.

“É la mia ultima proposta.”

Guardando il denaro sul banco, l'uomo fece fatica a resistere. La sua era solo una locanda di basso rango e quel denaro gli andava a fagiolo per non poche ragioni. Ma il rischio era, lo stesso, troppo grande. Decise con visibile fatica.

“Non abbiamo posto per i ricercati,” ringhiò sottovoce, guardandolo in quegli occhi di ghiaccio, che, alla sua esclamazione, rotolarono annoiati. Con il denaro in mano, il ragazzo lasciò il banco, accompagnato da sempre più occhi, molti di quali semplicemente abbagliati dalla sua presenza, mentre gli altri comprensivi della sua identità. Con la coda restatagli dietro, si fermò solamente di fronte al bardo. Gli fece uno stretto sorriso e stava per lasciare i soldi nel capello del uomo, quando egli l’aggrappò per il polso.

“La Ballata Della Dea non va pagata,” disse il bardo con voce bassa e decisa. Era una sentenza che diceva spesso, si sentiva. (Infatti, faceva vomitare. Nd_Vidar Ma vai a farti gli affari tuoi... cioè, Peteri. =_= Nd_Kitsu °////° Nd_Peteri)

Il ragazzo non si lasciò dissuadere. Gli occhi di giaccio brillarono di malizia, quella genuina delle volpi, e aprì il pugno, lasciando le monete tintinnare tra le altre nel capello. “Ma chi l’ha sentita la Ballata? Io ti pago per la magia che fai con il liuto. Vedi di comprarti da bere e da mangiare per poter cantare al tuo meglio anche domani.”

Il vecchio lo fissò per parecchi momenti, non distogliendo né lo sguardo né la mano. C'era qualcosa d’intenso nel modo in cui lo fissava, qualcosa di inafferrabile... ma il ragazzo continuò a sorridere leggermente. Incredula, la vecchia volpe accostò le sopracciglia, in confusione. “Tu, ragazzo, vedrai la Luce di Saya” disse, come incantato. (oddio… <o< non voglio essere sempre tirata in mezzo ndSaya)

Voltando la testa, il giovane sorrise. “Certo.” Rilasciato il polso, lo salutò con un leggero “Stammi bene eh, nonnino” e si immerse subito tra la folla.

* * * * *

Aveva finalmente trovato un’altro locale, uno nel quale non era mai stato prima. Stava per entrarci, pregando Saya affinché non vi fosse ancora giunta notizia della sua fuga, anche se sapeva che ormai suo fratello se n’era accorto da un bel pezzo. In effetti c’erano molte pattuglie per le strade, ma erano tutte volpi pigre ed annoiate, sempre le stesse, che trovavano le sue fughe non poco spiritose. Con dei persecutori cosi distratti era uno scherzo restare nascosto.

Aveva camminato l’intero giorno ed era finalmente giunto alla periferia della capitale. Ormai l’Hionyx era grande poco più del suo pugno e la sua luce lanciava ombre lunghe e oscure. Più ci si allontanava da essa e più la città perdeva colore, ma non era affatto scoraggiato. Questa era la volta buona, se lo sentiva.

Lo riportò al buco in cui si trovava il suono di una solida frustata. “Ehi! Vuoi muovere le chiappe?”

Si girò di scatto, stupito. Pensava si trattasse di uno squallido mercante che maltrattava il suo daregar, ma non era così. Sgranati, i suoi occhi fissarono sì un uomo con la frusta, ma chi stava frustando non si poteva definire una bestia... anche se, per dire la verità, non aveva mai visto un essere simile.

Chioma bianca, una volta tagliata corta, abbracciava il viso, nascondendolo, ma, ciononostante, si capiva che non era una volpe. Le orecchie che ci spuntavano, piegate indietro dal dolore, erano molto più corte e appuntite e la coda parecchio meno prosperosa. Le spalle, strette a ripararlo dalle frustate, parevano forti, e forse sarebbero potute essere ancora più larghe, perché davano l’idea che non fossero ancora cresciute del tutto. Il colorito, scurissimo, quasi di bronzo, era macchiato di sangue quasi ovunque e presto si sarebbero aggiunte altre cascate di sangue a discendergli la schiena, ma... la volpe non esitò oltre.

“Fermo!” grido, afferrando la mano del frustatore prima che potesse calare a far altri danni, “Perché stai sporcando la strada con il suo sangue?”

Il mercante, una volpe piuttosto tonda di pelo nero e piccoli occhi severi, cercò di liberarsi il polso, invano. “Lasc-iami, ragaz-zino!” Al quarto strattone, comunque, due occhi di ghiaccio penetrarono i suoi, gelandolo sul posto dalla sorpresa.

“La domanda” ordinò il ragazzo, alzando le sue sopraciglia di bronzo pazientemente, ma il pugno che stringeva il polso del mercante non dava l’idea di volerlo lasciare senza una valida ragione. Continuava a stringerlo, piuttosto, finché le dita dell’uomo non si irrigidirono per la mancanza di flusso, lasciando cadere la frusta sul granito della strada.

“Che vuoi che sia, non mi ubbidisce affatto!” sputò il mercante, per metà intimidito ormai, “Merita di essere frustato come ogni schiavo che non sente il proprietario!”

La volpe di bronzo guardò lo schiavo, pensoso. Sembrava in condizioni pessime, ma era piuttosto robusto, poteva farcela ancora a camminare. “Non sarà che... non ti capisce?”

“Come?!” gridò il mercante, incredulo. Lasciandolo liberare il polso dalle sue grinfie, il ragazzo lo guardò afferrare il volto dello schiavo per il mento, voltandolo con forza verso di sé e... riprese fiato a fatica dalla sorpresa. Era forse della sua età, magari poco più, oppure solo dava l’idea di essere più grande per via della struttura corporea più robusta. I suoi occhi invece erano di un colore che non aveva mai visto su nessuno, nemmeno trovato nei testi in biblioteca... erano grigi-nebbia.

“Ehi!” gli gridò il mercante in faccia “Schiavo! Capisci la nostra lingua?”

Silenzio. Lo schiavo lo guardava con un’espressione per metà stupita e per metà annoiata. In effetti sembrava non avesse capito una sola delle parole che l'uomo aveva detto.

“Maledizione!” gridò il mercante, lasciandogli il mento furia e sbattendo il piede sulla strada, ovviamente frustrato “Cosa cavolo me ne faccio di uno schiavo che non capisce quello che gli ordino?!” Era incazzato nero per essersi fatto fregare così alla leggera. Il fatto che un ragazzo così robusto ed esotico valesse così poco gli era sembrato un affare, ma avendolo comprato dagli Briganti al confine avrebbe dovuto aspettarsi qualche trucco. In fondo, chi comprava gli schiavi di solito non ci parlava, limitandosi a portarseli via con un vago ‘vieni’. Ponderò se valesse la pena fargli vedere tutto ciò che doveva fare, visto che per lui il tempo era denaro... poi decise che la soluzione migliore fosse rivenderlo a un altro idiota...

“Lo compro.”

Il mercante si girò verso la volpe di bronzo, stupito. Aveva notato che i suoi capelli erano trattati e corti, accarezzandogli il viso in strisce abbastanza scompigliate, e con un pettine avrebbero incantato le sue guance alte, esaltando quegli occhi gelidi affinché sembrassero dei cristalli. Anche i suoi vestiti davano l’idea di un nobile, pantaloni corti e stretti fino a coprirgli le ginocchia, bianchi, che finivano in larghe strisce di seta blu. Le scarpe erano raffinate, in pelle robusta, con tacchi e punte di metallo, alte quasi fino ai pantaloni. Il giaccone che portava, cinto con fili d’argento, era rivestito in seta, ma si vedeva che l'interno era di pelle. Sulle spalle teneva un mantello lungo e scuro, che quasi gli nascondeva una sottile spada curva, una scimitarra, forgiata con smeraldi che gli pendeva dal fianco. Sì, aveva tutta l’aria di un nobile, e non solo... gli ricordava qualcuno, specie il colore bronzeo del suo pelo, ma proprio non gli veniva in mente chi...

In effetti, era giovane, non sembrava ancora adulto. Era per quello che probabilmente era stato abbagliato dall’aria esotica dello schiavo, non pensando al suo uso interesse. Forse aveva molti soldi e semplicemente voleva un nuovo giocattolo... in ogni caso, era quattro volte la somma di quello che aveva pagato lui, ma era il prezzo dei suoi nervi perduti.

Il ragazzo, prima apparentemente piuttosto stupito dallo schiavo, sembrò riattaccare i piedi per terra in un baleno. “Sei scemo? Chi comprerebbe mai uno schiavo che non lo capisce per quel denaro?” rise “Te ne do tre.”

“Va bene, visto che eri tu a dirmelo, ti faccio lo sconto” mormorò il mercante, alquanto scontento “Quindici.”

“Col cavolo. Ho detto tre monete d’oro,” rispose il ragazzo, impassibile.

“Con tre monete non copro nemmeno quello che ha mangiato nella scorsa settimana!” ringhiò il uomo, “Dodici!”

“Guarda che non sono stupido,” rispose il nobile, senza guardarlo: era piuttosto distratto ad aggiustarsi il guanto “Lui non ce l’hai da più di tre giorni. Come lo tratti sarebbe morto per un'emorragia. Ma va bene, va... facciamo quattro, perché é carino.”

“Dieci monete!” esclamò il mercante, rosso per essere stato scoperto a mentire.

“Quattro. È la mia ultima offerta.”

“Non posso lavorare con quattro monete, ragazzo!”

“Quattro o l’affare non si fa.”

Con il cuore in gola, il mercante si irrigidì. Per come il ragazzo mercanteggiava, sembrava un esperto...magari era truffatore di schiavi pure lui? In quel caso non aveva scampo, avrebbe detto a tutti che lo schiavo esotico non poteva parlare la loro lingua e così non avrebbe avuto nemmeno un compratore. Lo teneva in pugno. “Va bene” sospirò, aprendo il palmo della mano davanti al ragazzo. “Sono quattro monete allora.”

Ne ricevette venti. “Vestimelo. E poi voglio delle bende” gli disse il ragazzino, alquanto divertito. Lasciò il uomo, stupito e a bocca aperta, a guardare il suo palmo pieno. Andò dallo schiavo e gli tese la mano, guardandolo con gentilezza. Per un momento gli passò per la mente che forse mordeva, ma ormai era troppo tardi. Gli occhi grigi lo guardavano con un’attenta dignità e sembrava fosse troppo fiero per accettare la sua mano, ma... di scatto, come se l’avesse deciso in quel momento, l’afferrò con grinta.

Una volta alzato, la volpe dovette ricredersi. Lo pensava alto quanto lui, forse poco più, ma mai si sarebbe aspettato che gli arrivasse a malapena alla punta del naso. Non l’aveva spaventato, non era poi così tanto più grosso di lui, ma la sorpresa gli fece fare un passo all'indietro. Per sfortuna, però, inciampò nel suo mantello. Stava per perdere l’equilibrio, quando la mano che stringeva la sua si strinse con forza, attirandolo a sé e risparmiandogli la figuraccia.

Un sorriso un po’ stupito passò le labbra della volpe, ma non ci fece caso più di tanto, anche perché quegli intensi occhi grigi facevano diventare l’atmosfera molto calda. Stava per slegarlo interamente quando il mercante gli si avvicino.

“Ecco qua” disse con voce più gentile di prima. In fondo aveva fatto un affare con i fiocchi. Buttò di fronte a loro un sacco con delle bende di seconda mano, pulite, dei pantaloni lunghi e scuri, una camicia semplice e il capotto lungo di pelle che aveva comprato assieme allo schiavo. Gli stivali che già portava erano fatti bene, fatti con chiodi e rivestiti di pelliccia per restare caldi.

“Grazie mille” sorrise il volpino, dando il sacco all'ormai suo schiavo. Con un cenno del capo si diresse alla locanda, buttandosi l’evento dietro le spalle. Si era trattenuto nella capitale più del dovuto e, se voleva passare il confine prima che vi giungesse la notizia della sua fuga, avrebbe dovuto correre l’intera giornata di fronte a lui. E poi, tra l’altro, nemmeno lo sapeva come raggiungere il confine.

Il problema era che le volpi, oltre ad essere ricche e astute, erano anche piuttosto tirchie. Racchiudevano gelosamente tra le loro mura tutto quello che possedevano – in fondo nessuno, a parte Saya, li aveva mai aiutati ad ottenerlo. Era un comune modo di pensare, radicato in loro da generazioni, perciò nessuno sentiva il desiderio di lasciare il sacro abbraccio della terra. Erano poche le volpi che lo lasciavano, solo le più fidate, ed anche loro uscivano solo per occorrenze inevitabili. Come Blix. L’incontro degli ambasciatori era importante per tutti i paesi e così anche Blix era dovuta andare a Namida per onorare la pace che Saya in persona aveva richiesto. Sapeva del traffico di Hionyx, ma quella rotta portava solo al deserto e, per una creatura nata nel buio, quel clima battente, senza anni di addestramento, significava morte certa.

Casomai, la rotta alla quale mirava il volpino portava a Nord. Da lì molti abitanti dell’esterno cercarono di entrare per scoprire il segreto del popolo delle volpi, ma pochi vivevano abbastanza per raccontare il gruzzoletto di informazioni che erano riusciti a strappare. Le loro morti non erano affatto frutto del sete di sangue delle volpi, però: era solo molto facile perdersi nei milioni di tunnel che reticolavano il suolo. Da quel labirinto, in qualche modo, lui doveva uscire.

Si rese conto solo all’entrata della locanda dei passi pesanti che lo stavano seguendo. Voltandosi curioso, si ritrovò guardare gli occhi grigio- nebbia dello schiavo. Sorpreso a vederselo quasi sbatterglisi in faccia per la brusca fermata, sorrise. Certo, in fondo non gli aveva ancora detto di andarsene...

“Senti, amico” sorrise il più gentilmente possibile “Non ti ho comprato per averti come schiavo. Sei libero di fare di testa tua.”

L’espressione del schiavo si tinse di sorpresa. Prendendolo come segno di incomprensione, pescò cinque monete e gliele mise in mano, gesticolando per la strada.

“Sei libero” gli disse seriamente. Lo schiavo restò a guardarlo, ancora più stupito, ma presto i suoi occhi si chiusero, e la testa si inchinò. Sorprendendo la volpe, intonò chiaramente una sola parola.

“Grazie”

Saltando un miglio, il volpino indietreggiò sino al muro. “Ma tu ... tu parli... tu capisci-...”

“Poco sì” affermò lo schiavo. Posò il sacco per terra, tirandone fuori il suo cappotto di pelle. Non gli piaceva andare in giro a petto nudo, ma con la schiena sanguinante non se la sentiva di sporcare la camicia.

Guardandolo fare, il volpino dovette ammettere che quel ragazzo non poteva essere un semplice contadino persosi nelle caverne e venduto dai brigadieri. C’era qualcosa di imperiale nel modo in cui si muoveva, anche se dava l’aria di averne passate di cotte e di crude. “Allora perché non hai ubbidito all'uomo, se sapevi cosa voleva da te?”

Abbottonando la giacca, un sospiro di rilievo lasciò il suo petto. Aggiustò la coda affinché passasse all’aperto tra la linea tagliata nel capotto, che lo divideva in due dal fondo alla radice della sua schiena. Pescò dalle tasche dei guanti senza dita neri, se li infilò e solo dopo posò di nuovo lo sguardo sulla volpe. “Io non sento chi usa schiavi.”

Che aria da duro, pensò con contemplazione annoiata il volpino. Staccandosi dalla parete, gli si passò d’avanti, interessato. “Ed ora dove andrai?” gli chiese, notando che abbottonato per bene sembrava piuttosto autoritario.

“Ovvio, a casa” disse, fissandolo con un espressione impassibile, se non direttamente fredda, che in un certo senso gli si addiceva. “Fuori da qui.”

“Fuori?” le orecchie del volpino si drizzarono con interesse. “Alla superficie?” lo schiavo mosse la testa lievemente. Afferrandolo per le spalle, il volpino lo giro verso di sé, estasiato di punto in bianco.

“Allora saremo compagni di strada,” gli disse con un sorriso entusiasta. Gli lasciò le spalle per offrirgli la mano. “Il mio nome e Tuuli” disse raggiante, però subito dopo la sua voce si moderò a un mormorio un po’ irritato, occhi posati sul suolo per l’imbarazzo. “Il nome di famiglia non importa, tanto non ne facevo mai veramente parte...”

“Ilja,” rispose lo schiavo, stringendogli la mano con forza. Si sentiva che non gli andava a genio tutta quella confidenza, ma in fondo il volpino se lo aspettava. Ciononostante, tutti e due sapevano che insieme avevano più possibilità di riuscire a trovare la strada, anziché ognuno per conto suo. Entrarono insieme nella locanda ~ avrebbero imparato a conoscersi quella sera.

* * * * *

“Ecco fatto!”

Ilja girò la spalla tentando dei movimenti. Il volpino non era un esperto di bende: si vedeva che era uno che dava l’aria di esserlo, e che poi si arrangiava in un modo o nell'altro. In fondo le ferite erano coperte, no? Se solo fosse stato a casa, sarebbe stato medicato per bene, guarito al sorgere dell'alba, di sicuro. Mentre qui sotto non riusciva ad adottare una tecnica per tener conto del tempo. La luce era sempre uguale, le ombre sempre le stesse e le strade erano sempre piene di gente. Si ritrovava a pensare che magari le volpi non dormivano nemmeno, ma se cosi fosse stato, cosa se ne facevano delle locande, come quella nella quale si trovava? Se erano costruite per gli abitanti del popolo esterno potevano anche chiudere subito, visto il numero di turisti...

“Allora?”

Ilja alzo lo sguardo con fare un po’ confuso, vedendo il volpino bronzeo indossare un espressione persuasiva e anche piuttosto sarcastica. Non trovandone ragione, appellò al suo ‘padrone’ un delicato sopraciglio bianco alzato. “Allora cosa?”

Il volpino gli si posò di fronte, guardandolo in basso, seduto sulla sedia. Lo sentii venirgli vicino, un passo piccolo, ma invasivo, fatto precisamente all'interno delle sue cosce aperte, quel ginocchio elegante toccò il legno della sedia, a pochi centimetri dal suo corpo. Ilja si irrigidì. Non era allarmato, in fondo la volpe non era armata – la scimitarra riposava sul comodino dall’altra parte della stanza- ma, piuttosto, stupito. Si era già accorto che le volpi non si davano problemi in quanto a tocchi e a manate, erano in effetti persone molto fisiche, salutandosi con abbracci e baci a volontà. Quant’erano diversi da tutto ciò che conosceva...

“Qual è la parola magica?” gli chiese il volpino, piuttosto divertito della reazione del nuovo ‘amico’. Era scattato in modalità "attenzione in un baleno", con gli occhi grigi, prima nebbiosamente languidi e pensierosi, ora limpidi e solidi come il granito. Sentiva che era teso, ma che cercava in tutti i modi di non farglielo notare. Era comunque una battaglia persa in partenza, visto che Tuuli era un esperto, questa volta seriamente, e non solo per vanto, di empatia. Era ciò che lo aveva salvato numerose volte dalle situazioni più assurde. Situazioni un po’ come quella. Chi se l’aspettava che avrebbe fatto da ‘master’ a un bellimbusto come quello? E, inoltre, era piuttosto sicuro che fosse un'ombra di rossore quella che aveva passato il volto del ragazzo. “Suvvia, non te la sarai dimenticata? L’avevi detta poco fa’...”

Gli ci volle un po’ per capire che parlava delle bende. Era piuttosto difficile pensare con una distrazione tutta bronzo e seta tra le gambe, ma alla fine Ilja si compose. Avrebbe saputo come affrontarlo la prossima volta, bastava star attenti. “Grazie” disse freddamente, forse per raffreddare un po’ il flusso di sangue che, per qualche ragione a lui ignota, aveva incominciato a ribattere a suon di tamburi nelle sue orecchie.

Tuuli ormai ne era certo: era proprio arrossito. Che strano questo ragazzo esotico. Era piuttosto repressivo e, sembrava, anche deliziosamente invitante, specie per quella delicata striscia di pelo bianco che invitava lo sguardo a seguirla dall’ombelico, piantato in una vallata di solidi addominali, attraverso quel poco visibile dello stomaco inferiore, fino a nascondersi nel solido abbraccio dei pantaloni, stuzzicando i sensi e la curiosità. Come sarà fatto li? Tutti i maschi erano uguali, malgrado la razza? Di che razza era lui, comunque? Senza alzare lo sguardo, Tuuli imbronciò le labbra, morsicandole inconsciamente. “Potresti almeno cercare di sembrare grato...”

C’era qualcosa nella voce del volpino che infiammava i sensi, anche più dello sguardo. Non se n’era accorto prima, ma ormai era troppo tardi ~ si stava drizzando. Era un'indignazione vera e propria. Non solo aveva passato due giorni vagando per le gallerie delle volpi, ma era stato pure assalito e venduto come schiavo, per essere portato alla capitale e rivenduto ancora, con un corpo che tra il dolore e stanchezza aveva anche la forza di reagire a un ginocchio posato quasi alle sue parti intime. Un ginocchio che poi apparteneva pure ad un maschio, raffinato o meno che sia. É proprio una settimana indimenticabile, pensò miseramente. Se mai sarebbe tornato a casa non ne avrebbe parlato ad anima viva.

“Ho cambiato idea” disse il volpino improvvisamente, facendogli alzare gli occhi e rialzare le difese. “Sì, ho cambiato idea” sorrise e, ancor prima che Ilja potesse reagire, un palmo soffice, rivestito do seta, gli alzo il mento. Guardandolo direttamente negli occhi, gli disse con voce incantevolmente leggera; “Non ti lascio andare libero, perché...” sorrise caldamente, “per essere sinceri, non mi fido di te.”

Ilja trattenne il fiato, ma il suo sguardo si fece nuovamente di granito e Tuuli si ritrovò a scegliere le sue parole con cura. “Perciò, fino a quando non troveremo l’uscita da questa tana, voglio che tu stia attento a non sottovalutarmi.”

Lo lasciò andare e, passandogli affianco con passi lunghi ed eleganti, gli strofinò il fianco con la coda bronzea, in quello che sembrava un ovvio messaggio di aver percepito la situazione all'interno di quei pantaloni rigidi. Si appoggiò al muro accanto alla finestra, continuando a guardarlo. Un po’ sorpreso nel trovarlo a sostenere il suo sguardo, sorrise lievemente, ma il suo tono rendeva ovvio che il tempo delle battute era finito. “Voglio stringere un patto con te.”

“I patti stretti con i Kitsune hanno sempre un secondo fine,” annotò Ilja, infilandosi la camicia, ma lasciandola aperta. In un certo senso qualcosa gli diceva che non era il solo ad essere distratto da ciò che vedeva e sentiva, anche se doveva ammettere che non era un istinto al quale era abituato, ma qualcosa che un po’ derivava dalle circostanze che l’avevano spinto a conoscere le volpi e un po’ dalla sua natura stessa. Era come se ora sapesse a cosa prestare attenzione. “La vostra diplomazia puzza di affari loschi, non vedo come potrei favorire una proposta del genere.”

“Ma guarda” ridacchio Tuuli, “a quanto pare non sei cosi ignaro della nostra lingua...”

Ilja appoggio i gomiti sulle cosce, intrecciando le dita. Di sotto comunque la situazione si rifiutava di calmare, piuttosto scalava... Magari era colpa di quei stretti pantaloncini di seta, ma cercava di non pensarci. “Da dove vengo io la modestia è una virtù,” alzò gli occhi grigi per fissare i ghiacci del volpino. Non andava bene accarezzare con lo sguardo quelle gambe invitanti... ma perché le riteneva tali? “Come lo è anche l’onesta.”

“E l’onore allora? Avete anche quello?” chiese alquanto divertito il volpino, contentissimo di vedere il ragazzo annuire. “Ma che popolo pieno di virtù! Allora di certo non puoi negare che ti ho appena salvato la vita, vero?”

“... sarei scappato comunque,” ringhio Ilja, non gli andava a genio il tono gongolante ed insinuate della volpe.

“Ma non l’hai fatto...Ilja, giusto? E per questo, mio caro, mi sei debitore” concluse beatamente il volpino, scuotendo la coda in una danza invitante, fino ad essere sicuro di placare i pugni che Ilja aveva stretto alla rivelazione.

“Ti ritenevo nobile,” gli disse irritato, ma non si alzò dalla sedia. Il tono, in qualche modo, riuscì a ferire il volpino. Di scatto la sua giocherellona natura si placò per lasciare spazio a un ragazzo serio, rigido quasi quanto un adulto.

“Io non voglio essere nobile” disse con voce solida e bassa, che portava con sé la rivelazione che, invece, lo era. La sua nobiltà era palpabile in tutta la sua presenza. Il modo in cui parlava, in cui camminava, come scuoteva la coda...era raffinato e ben educato, intelligente e carismatico... oltre che testardamente ribelle. Il ché avrebbe suscitato domande da chiunque altro, ma Ilja capì al volo. In un certo senso erano uguali, di razze e caratteri diversi, ma uguali lo stesso.

Tuuli si girò a guardare fuori dalla finestra, leggermente irritato. Il suo era sembrato il dibattito di un cucciolo capriccioso, ma non era più un cucciolo, vero? Vidar pensava di sì. Per lui tutti avevano un ruolo nella vita; i ministri, i senatori, gli amanti e gli assistenti... come anche i familiari. Secondo Vidar, Tuuli doveva restare il suo piccolo fratellino per l’eternità.

Dopo l’attentato alla loro madre, la prima dama del governo si era ritirata dalla sua posizione e anche quando si era scoperto che si era trattato solo di una piccola organizzazione interna ribelle, lei aveva comunque rifiutato di tornare. “Se c’è qualcuno che deve richiedere a maniere cosi forti per farsi sentire, significa che non gli avevo prestato orecchio prima. Non sono stata una buona presidentessa” disse, ma, alla fine, avevano scoperto che la ragione principale per non tornare, era la malattia. Arnika Ketonnen era defunta da tre anni ormai, ed era allora che Vidar aveva deciso di seguire le sue rotte. Il popolo lo accolse con braccia aperte, in fondo era sistematico, bello, e deciso come lo era sua madre. Ma Tuuli...

“Qual é il patto?”

Il volpino lanciò un occhiata al ragazzo ancora seduto sull’unica sedia nella stanza. “Voglio che tu non mi tradisca” disse ancora serio, ma completamente risoluto, malgrado i ricordi che l’avevano colpito appieno. In fondo era una questione vecchia. “Non come schiavo, ma come amico.”

Ilja socchiuse gli occhi. C’era lo stesso qualcosa sotto, ma aveva la sensazione che valesse la pena rischiare. Se non altro, ora aveva in tasca un piccolo asso per ferirlo, se necessario. Il fatto, comunque, lo disgustava. Aver passato pochi giorni sotto terra lo aveva fatto diventare cosi indegno? Scosse la testa. “Avevi appena detto di non fidarti di me” annotò guardandolo, coperto dalla seta che lo abbracciava in tutte le parti più invitanti. Affacciato fuori dalla finestra, sembrando migliaia di miglia lontano, bello e intoccabile.

“Mi fido, però, del tuo onore,” rispose mentre un sorriso deciso gli tinse le labbra, piene e raffinate anch'esse “è per questo che voglio la tua parola. Ti conviene darmela, perché so come arrivare alle gallerie prima di domani sera.”

Calò un silenzio fitto tra di loro. Sotto, in strada, una carrozza passò la loro finestra. Nella locanda un bardo stava cantando una ballata d’amore più vecchia di loro due. C’era un qualcosa nell’aria che profumava d’inizi e cambiamenti. In un susseguirsi di pensieri che sembravano intrecciare i loro sguardi, Ilja alla fine decise. In un futuro lontano, più della metà del secolo avanzante, quella promessa sarebbe ancora stata la più importante della sua vita.

“Accetto” disse alzandosi dritto a sedere.

Il volpino si girò a guardare sulla strada di sotto. “Bene. Allora dormi.”

Sdraiandosi sul letto di fieno, singolo, Ilja si rese conto di quanto fosse veramente stanco. Nonostante il dolore delle ferite, la sensazione dei suoi muscoli rilassanti lo assonnava rapidamente. Riuscii comunque a registrare un ultimo pensiero.

“E tu? Dove dormirai?” Non c’erano altri letti nella stanza.

Tuuli si girò con un sorriso un po' sorpreso, ma che presto muto in quella giocherellona allegria accattivante. “Noi volpi non abbiamo bisogno di dormire.”

Ma, quando Ilja si svegliò in quella che riteneva fosse la mattina seguente, trovò accanto al suo, il corpo del volpino che l’aveva tenuto caldo per tutta la notte.

* * * * *

Circa una seconda dozzina di miglia dalla locanda che i due ragazzi avevano lasciato quella mattina, Vidar camminava nervosamente nel ufficio. Non ne poteva più di starsene seduto con le mani in mano ad aspettare il rapporto mattiniero del capo delle guardie. Ricreò il litigio avuto con il suo fratellino il giorno prima, l’ultima volta che l’aveva visto...

Era mattina presto e stavano facendo collazione nella loro dimora, con la solita apertura della posta. Bollette, richieste, cartoline di fine Ciclo di Saya... sembrava una mattina come tutte le altre. Almeno finche Tuuli non aprì un pacchetto indirizzatogli da Namida. “È di Blix!” esclamo il volpino, estasiato, leggendo di fretta la cartolina accostata. “dice che tornerà entro il fine settimana...” ma Vidar l’ascoltava solo a metà. Era immerso nel testo che doveva presentare alla riunione del senato del commercio. Doveva complementare il fiorente traffico di Hionyx e già sapeva che il vecchio che lo rappresentava lo spogliava con i occhi ogni volta che lo vedeva. Perciò, in fin dei conti, era una riunione abbastanza difficile. Doveva concentrarsi sul testo, almeno rileggerlo una seconda volta...

Ma suo fratello scoppiò in risate di punto in bianco. Distratto dal testo ormai, e alquanto irritato (il vecchio gli dava i brividi solo a pensarci), gli lanciò un occhiata tetra attraverso il tavolo, lungo e apparecchiato con posate d’argento. “Cosa c’è?”

Sostituendo la risata con un sorriso languidamente provocante, Tuuli alzò dal tavolo un'anfora piccolissima con delle iscrizioni rosso- fuoco. La tenne delicatamente, con due dita soltanto, affinché suo fratello potesse vederla bene. Era comunque un tavolo molto lungo, e anche tale gesto risultò inutile.

“Cos’é?” chiese Vidar, non avendo la minima intenzione di alzarsi ad andare a vedere. Blix, essendo un’ambasciatrice esterna, mandava sempre una marea di piccoli souvenir. Li mandava per posta, perché così non la ostacolavano al confine. Erano sempre regalini assurdi, dei piccole oggetti esotici del mondo esterno. Anche quando andava per la medesima volta in un paese, trovava sempre qualcosa di nuovo, bizzarro. Faceva parte della sua natura. Tutti quei viaggi avevano condito il suo caratterino, già bollente, di spezie più varie.

Tuuli sorrise a trentadue denti. “Lubrificante di primo grado. Tipica specialità dei Beduini di Namida. Dice di usarlo bene.”

“... in un futuro lontano, sì,” concluse Vidar. Faceva meglio a non chiedere, l’informazione l’aveva messo ancora più in ansia, come se non bastasse la riunione. Iniziò a rileggere il testo, cercando di trovare dov’era stato interrotto, ma non passò oltre la prima riga.

“Ah sì?” Tuuli ribatté con un tono che risuonava con leggera alterazione dello stato d’animo, “e chi ti da il diritto di decidere della mia vita sessuale?” Vidar stava per aprire bocca, ma il volpino lo anticipò bruscamente. “Oh, ma che domande faccio? Te lo dai da solo, visto che sei il presidente!”

Una cresta di rabbia gli sbatté in faccia, ma riuscì a placarla, esperto di manipolazione come era. “Tuuli,” disse con una calma superficiale, che prometteva tutti i nove inferi di Dante in caso di ripetizione del tono usato, “sono comunque io il responsabile per te quindi vedi di non rompere.”

Il volpino, comunque, non se ne stette zitto e buono. Vidar dovette essere non più un ottimista, ma un eterno sognatore, per poter sperare che l’argomento fosse chiuso. Con un tono sbarazzino e fintamente piagnucoloso, Tuuli diede prova che non aveva proprio peli sulla lingua, quando decideva che essa avrebbe tagliato come rasoio. “Ma è noioso farsi le seghe da soli ogni notte...” Passò le dita attraverso le pareti del suo bicchiere per indicare come lo faceva esattamente.

Vidar sbatté il foglio sul tavolo, facendo tremare le posate. “Non essere osceno di prima mattina!”

Con tono sbarazzino, Tuuli sembrava contentissimo ad aver indotto il fratello a prestargli attenzione. “Non ci posso fare niente, sono in calore...”

Ricomponendosi, Vidar prese dal suo mucchio di posta il giornale. “... La stagione arriva la settimana prossima,” disse dispersivamente. Non andava bene perdere la calma prima della riunione. Doveva conservare i nervi per quello sciagurato del capo del commercio. “ Il ché, ovviamente, non significa che possa fare quello che dice Blix. Né ora né allora.”

Suo fratello aveva aperto il giornale e, normalmente, con quello il discorso andrebbe finito, ma Tuuli era un po’ su di giri quella mattina. “E chi me lo impedisce? Tu no di certo, te ne stai tutto il giorno in ufficio!”

“Si chiama Morale, caro il mio fratellino” rispose il giornale, visto che suo fratello non aveva la minima intenzione di lasciar perdere la faccenda, né di guardarlo in faccia, “hai sedici anni-“

“Quasi diciassette-...” annotò il volpino.

Suo fratello non si fece persuadere comunque. “... sedici anni e per questo mi consegnerai quella bottiglietta-“

“Anfora. E no, non te la consegnerò. É mia.”

A quella sentenza il giornale si piegò. Vidar era seriamente arrabbiato. “Ho il diritto di confiscarla fino a che non diventerai adulto.”

“Già, è facile fare l’ipocrita” mormorò Tuuli, meno focosamente di prima, “tu che ti fai il tuo assistente sulla scrivania ogni giorno...”

Il più grande arrossì in un baleno fino alla punta delle orecchie. L’immaginare Peteri con gambe aperte che gridava il suo nome mentre se lo impallava di continuo... oh Saya. “No, l’assistente nuovo ~”

“Sempre a caccia di prede nuove, eh fratellone?” Era una domanda piena di rimostranza quella di Tuuli, con l'aggiunta sottovoce di ‘se tu scopi cosi tanto, perché io non posso farlo?’.

Fu l’ultima goccia. Sbattendo il giornale su tavolo, sopra il foglio per la riunione, Vidar ringhiò, completamente furibondo. “Tuuli! Porta quel pacchetto qui, immediatamente! Non voglio sentire un’altra parola!”

Lanciandogli uno sguardo che prometteva vendetta, il più piccolo si alzò, prendendo la scatola tra le dita e posandola delicatamente sul piatto, ancora vuoto, del fratello. Senza voltarsi uscì dalla stanza.

Una ventina di minuti dopo il testo per la riunione era stato perfettamente memorizzato. Uscendo di fretta, Vidar prese la scatolina in mano. Gli sembrava piuttosto leggera e, discendendo le scale, decise di darle un occhiata. Era vuota. Con un sospiro pesante, la rimise nella borsa. A quanto pareva il discorso sarebbe stato chiuso quella sera, pensava, non sapendo che circa un'ora e mezza dopo la loro dimora sarebbe rimasta vuota.

Vidar in verità non era il tipo di persona che aveva chissà quali rimorsi, ma durante quell’ora in cui aspettava il rapporto, cercava di analizzare se fosse stato giusto aver reagito in quel modo. Cosa avrebbe fatto la loro madre in una situazione del genere? ... molto probabilmente non si sarebbe trovata mai in tale situazione. Non pensava che Tuuli le avrebbe mai parlato di seghe notturne solitarie...

Un bussare alla porta lo fece saltare di un miglio. Aprendola di scatto, si ritrovò di fronte al scioccato rossino, che sembrò aver perso il dono della voce per la sorpresa. Era abbottonato per bene nelle vesti da ufficio, ma niente poteva contenere le affascinanti linee del suo corpo... come neanche il rossore tanto adorabile che gli tingeva le guance se solo Vidar posava gli occhi su di lui.

“Sì, Peteri?” disse alquanto rassegnato. Pensava di spendere quegli ultimi giorni prima della stagione dell'accoppiamento corteggiandolo, ma lui sembrava così timido che ora non era più così sicuro di riuscirci. Certo che suo fratello aveva sempre un tempismo perfetto per sparire...

“I- il rapporto, signor presidente...?” continuò Peteri, ancora ghiacciato sul posto.

“Ah, sì. Che cosa dice?” sospirò il presidente, prendendolo dalla mano rigida dell’assistente, sicuro di accarezzarla il più casualmente possibile. Si sentiva piuttosto meglio ora...ma in fondo c’era da aspettarselo: Peteri gli rallegrava sempre le noiose giornate d’ufficio.

“Suo fratello... non l’hanno ancora trovato...” le guance gli si infiammarono ancora di più, fino ad imitare il colore del suo pelo, e gli occhi smeraldo si posarono subito per terra, come se ciò potesse rendere la sensazione di stare così vicino al presidente meno intensa. Non che volesse che diminuisse, ma in circostanze come quelle... sarà sicuramente preoccupato per suo fratello...

Infatti, Vidar sospirò, ma Peteri sapeva che la situazione non si sarebbe placata. Le notizie cattive non erano ancora finite.

“Ehm... presidente... ci è arrivata un’accusa dal sovrano di Tani” continuò il rossino, desolato come se fosse stata colpa sua. Ma cosa poteva fare? Gli pesava così tanto dire delle cose così problematiche a una persona così cara...

“Cosa?!” Vidar sgranò gli occhi, “Cosa diamine vuole quel lupo in un tempo come questo?!”

“E un’accusa di sequestro, presidente.” Peteri si aggiustò gli occhiali. Stava per piangere a vedere il presidente così perplesso. Infatti, l’accusa era piuttosto grave... poteva anche portare alla guerra...

* * * * *

“Ma tu non ti stanchi mai?” chiese Tuuli, angosciato. Era completamente senza fiato ed ad ogni passo che faceva gli sembrava di aumentare di peso di una tonnellata. E pensare che aveva pure dato la borsa con le razioni a quello sbiancato di coda- corta...lo stesso sbiancato che scalava la salita che portava alle gallerie come se lo avesse fatto tutti i giorni...

Ilja non rispose, intento a continuare a scalare. Nemmeno la borsa piena di cibo non sembrava essergli d'ostacolo.

“Molto loquace, eh? Anche questa è una virtù del tuo popolo?” questa volta Tuuli lasciò scappare nella domanda anche un po’ della rabbia che gli bolliva nelle vene. Guardò con fare irritato Ilja, che, una decina di metri sopra di lui, aveva raggiunto un piccolo spazio pianeggiante. Il terreno non era così impossibile, ma abbastanza faticoso, ma era l’unica strada che potevano permettersi, visto che le pattuglie che lo cercavano erano sempre più fitte sulla strada principale.

Scalò con fatica quei pochi metri rimasti, sorpreso, ma grato, della mano di Ilja che lo tirò sulla sporgenza alla fine. Non era, invece, grato del commento che aveva accompagnato tale gesto. Ancora tenendo la sua mano, come il giorno prima quando si erano conosciuti, ma con la situazione rovesciata, Ilja parlò per la prima volta dall'inizio della scalata.

“Se non spendessi tutte le tue energie in chiacchiere, ti stancheresti meno pure tu.”

Improvvisamente incazzato, Tuuli staccò la mano dalla sua. Con passi rigidi lo colpì di proposito con la spalla, superandolo per sedersi su una roccia ad appoggiare la schiena alla parete. Non aveva la minima intenzione di muoversi per quel giorno e la sua postura lo dava a vedere molto ovviamente.

Restò seduto anche quando Ilja iniziò a pulire la sporgenza, posizionando le rocce in modo da formare una specie di piattaforma, anche se era piuttosto stretta. Tuuli lo vide sdraiarcisi sopra, rilasciando un respiro di sollievo, decidendo che era abbastanza grande per dormirci. Si alzo a sedere lentamente, distendendo il suo capotto sulla roccia sotto di se. I loro sguardi si incrociando per un silenzioso istante che sembrò allungandosi per parecchi minuti, fitto ma non invadente. Era un momento di studio, osservazione e riflessione. Erano davvero così diversi sotto l’aspetto esterno, da non andare d’accordo? Allora perché si erano incontrati? Loro due che sembrarono uniti dal destino per percorrere la stessa rotta? Che intenzioni aveva Saya? (le vie di saya sono misteriose moccioso ndSaya)

“... hai fame?” chiese Ilja alla fine, rompendo quel ciclo di sensazioni e distogliendo lo sguardo per pescare qualcosa dalla borsa. Optò per un abbondante pezzo di pane nero. Non aveva idea di che cosa fosse fatto, ma era denso e pesante. Sembrava che potesse saziare entrambi. Ne offrì un pezzo al volpino.

Senza doverci pensare, o fare complimenti, Tuuli si alzò, sedendosi poi accanto a lui, sul capotto disteso. Era abbastanza confortevole e morbido. Oppure era solo che gli faceva comunque male il sedere dalle rocce. Morsicando il pane, per la prima volta da quando era scappato di casa si ritrovò a pensare nostalgico al suo letto di piume. Anche quello di fieno della locanda della sera prima andava bene... lanciò un'occhiata curiosa al compagno. Non era detto che questo ragazzo l’avrebbe fatto dormire sul suo cappotto, comunque, e neppure sulla piccola piattaforma che aveva costruito; in fondo l’aveva detto lui stesso che lo voleva accanto come amico, non come schiavo. Il ché in un certo senso era vero, ma comunque non necessariamente convenevole. Se l’avesse tenuto come schiavo, magari ora avrebbe potuto dirgli di farlo dormire con lui...

Arrossì di scatto. Dormire con lui? Ma cosa andava pensando... Tuuli si ritrovò a pensare all’anfora che gli aveva regalato Blix. Gli pesava sul petto: l’aveva legata attorno al collo con una catenina d’argento prima di partire. Partire incontro a nuove esperienze. Non pensava esse riguardassero un ragazzo, ma alla fine non era sicuro che le cose fossero state diverse se avesse incontrato una ragazza... anzi, forse sarebbe stato peggio. Almeno quel bellimbusto sembrava forte e rendeva il viaggio parecchio più facile.

Che tipo strano che era, però! Taciturno e dannatamente pratico. E poi quel colorito abbronzato e i capelli tutti bianchi come il Cuore di Kitsune, gli occhi grigi come la nebbia d’autunno e quel nome che rotolava dalla lingua come una promessa di speranze mai pronunciate...e quella voce bassina che intonava per metà con un sospiro trattenuto. Già, che ragazzo strano. Interessante. Attraente. “Da dove sei?” gli chiese, prendendo un altro morso di pane.

Ilja tardò a rispondere. Masticò molto più lentamente e alla fine decise che non poteva nasconderlo comunque. “Rinji.”

“Rinji?” ripeté il volpino, in un tono indefinibile. Sembrava comunque molto più teso e attento.

“Rinji. Le capitale di Tani.” Ilja prese un altro morso senza guardarlo, anche se si sentiva addosso quell'intenso sguardo color ghiaccio.

“Sì, lo so” deglutii il volpino, dimenticandosi completamente del pezzo di pane ancora in mano. Senza pensarci, le sue dita si intrecciarono nella sua chioma bianca. Ilja si irrigidì, come la sera prima, e come allora un’ombra di imbarazzo gli attraversò le guance, ma Tuuli lo notò appena. I suoi capelli non erano settati e soffici, ma lisci e forti... e caldi. Passò ancora, con fare stupito, il pollice attraverso l’arco dell’orecchio. Era solido e coperto di un pelo molto più corto ma altrettanto fitto, però più di tanto non poté percepire, perché Ilja si scansò dal suo tocco, stringendolo dietro allo scalpo. Ricomponendosi, Tuuli ritirò la mano, dedicandosi subito al pane. Sentendosi leggermente in debito di una spiegazione per quell’atteggiamento, intonò quella che pensava fosse una scusa plausibile. “Allora e così che sono fatti i lupi...”

Questa volta Ilja era davvero in imbarazzo. Cosa pensava questa volpe, che lui fosse il rappresentante del suo popolo? Bhe, in effetti, molti si aspettavano che lo sarebbe diventato, suo zio compreso. Non il rappresentante completo, ma il secondo successore, vista la posizione sociale... “Non esattamente...” mormorò, “non hanno tutti il pelo bianco ~”

“E gli occhi grigi? L’immaginavo, ma pensavo alle tue orecchie e alla coda” sorrise Tuuli, voltandosi per guardarlo di nuovo. Doveva ammetterlo: era proprio una visione niente male... “sono più compatti, il ché vi facilita l’accumulo di forza fisica, vero?” toccò la sua spalla delicatamente, sentendo il brivido di attenzione che ciò scosse, intrigato. “Non credo di aver mai incontrato una volpe con una statura solida e compatta come la tua...”

Ilja strinse la mano in un pugno. Gli prudeva da matti, curiosa di toccare quella chioma bronzea per sentire se era davvero così soffice come sembrava. Era una sensazione vergine, ancora mai provata, quella di voler toccare qualcuno con tanto desiderio, e ciò un po’ l’allarmava. Lo accarezzò con gli occhi, comunque, seguendo quelle soffici linee accennate, quella dei occhi a mandorla, delle labbra mediamente carnose, dei capelli sbarazzini, delle cosce soffici e dei fianchi leggermente più larghi per aiutare a sopportare il peso della coda, lunga quasi quanto le gambe... “Voi volpi...” iniziò, deglutendo poi con forza, perché la sua gola era completamente secca dal fiato che, prima non l'aveva nemmeno notato, si era rafforzato. “Voi volpi compensate in agilità, potete usare la coda per variare il centro di gravità. L’ho notato nel come la usavi mentre scalavi.” Cercò di distogliere lo sguardo, capendo che aveva appena confessato di averlo osservato, ma non ci riuscì. C’era qualcosa in quegli occhi ghiacciati che bruciava come legna d’inverno, quella che suo padre tagliava sempre la mattina del Ciclo Vecchio. “E poi... le vostre orecchie sono più grandi, sentite molto meglio dei lupi. Noi ci appoggiamo più sul fiuto.”

Già, il fiuto. Ora che ci faceva caso... c’era odore di sangue. Tuuli guardò perplesso come Ilja iniziò a tracciare quell'aroma, annusando l’aria attentamente. Proveniva... dalla volpe? Si girò a guardarlo di scatto, sorprendendolo. “Stai sanguinando.” Non era una domanda.

Stupito, il volpino indietreggiò vagamente, sorpreso nel trovare il lupo a seguirlo, avanzando. “Ho solo... graffiato il fianco... mentre scalavo” disse, sentendo, alla fine, la parete di roccia contro le sue spalle.

“L’odore di sangue mi irrita,” mormorò Ilja, scendendo lungo la linea del suo corpo, quasi disteso ormai, fino a fermarsi allo stomaco. “Dov’è?” chiese.

Era un tono molto basso, quello di Ilja, ed emanava vibrazioni palpabili che riempivano di brividi la pelle del volpino più di quanto potessero farlo delle mani. Un po’ lo spaventava l’espressione ferrea fissa sul volto del compagno, facendolo rispondere automaticamente. “Il fianco sinistro...”

Con un gesto appena, la cintura del volpino si disfò e il primo bottone dei pantaloni di seta fu il successivo a soccombere. Tirando il fazzoletto bianco agganciato all’intimo, Ilja rivelò la ferita. Sanguinava ancora, ma non era profonda. Doveva essere colpa di qualche ramo, perché, ora che guardava bene, anche i pantaloni erano un po' rovinati. Il fazzoletto aveva assorbito abbastanza sangue, ma non poteva certo fare da benda o pulire la ferita. Senza pensare chissà cosa, il lupo vi accosto le labbra, leccando delicatamente.

Ilja forse non se rese conto, ma le sue dita si agganciarono all’intimo, tirandolo in giù per esporre la ferita e pulirla per bene. Tuuli trattenne il fiato e il gemito che esso portava a fatica; quelle dita si erano piazzate così in basso, nella ciocca di pelo bronzeo che precedeva le sue parti più intime. La lingua scorreva sul suo fianco formando disegni complessi, incantevoli... eccitanti. Era cosi liscia che quasi non sentiva il pizzicorio della ferita e, con una scorrevolezza del genere, sembrava che avrebbe potuto scivolare senza fatica un po’ più in giù, un po’ più a destra, laddove i suoi aperti pantaloncini di seta si stavano inarcando notevolmente...

Sospirò pesantemente, riposizionandosi leggermente, scivolando più in giù, verso Ilja, che ormai era sdraiato tra le sue gambe. Con la mano, quella che non stava sfiorando la radice della sua eccitazione, si era aggrappato alla sua coscia esterna, quasi cullando in mano le parte più bassa del suo sedere... e quella lingua non si fermava mai, leccando con un ritmo più lento, più intenso, più... focoso. Non avrebbe resistito allungo, non poteva resistere ~

Ilja si riprendete in un baleno al gemito estasiato del volpino. Non era forte o sonoro, ma bastò per fargli rendere conto che stava esagerando. Si alzò di fretta, tirando le dita fuori dall'intimo della volpe, arrossendo nel sentire la ciocca di pelo accarezzargli le dita. Cosa diamine aveva fatto?! Si rese conto, guardandolo riprendere fiato, che era comunque più composto del compagno, ma i suoi occhi scesero ad ammirare l’inconfondibilmente rigido contenuto dei suoi pantaloni, che inarcava la seta a più non posso. Era come se tutto quello che si era perso nei pochi istanti nei quali pensava soltanto a medicarlo, a farlo stare meglio, lo colpisse in un solo istante, facendogli ribollire il sangue nelle vene.

Tuuli lo lasciò alzarsi a sedere, imbarazzato come non lo era mai stato in vita sua. Rigido, si alzò sui piedi e senza una sola parola comincio a camminare nel buio. Aveva un Hionyx con sé nella borsa, ma la borsa era piazzata al fianco di Ilja... e non si voltò per andare a prenderlo. Sentiva quegli occhi grigi accompagnarlo finché non girò una roccia e sparì dalla sua traiettoria visiva.

Ma non da quella del suo fiuto. Annusando prima un leggero odore di urina, Ilja quasi si sentì in colpa per starlo spiando. Chissà perché, poi, voleva farlo, voleva... averlo. Non era mai stato un bambino capriccioso quando si trattava di beni fisici, ma doveva ammettere che nessuno di quei beni era cosi fisico come Tuuli. L’aveva toccato, era stato quello il primo desiderio del suo corpo, no? Allora perché, a quel punto, non era soddisfatto? Perché voleva anche... possederlo?

Un odore parecchio più marcante gli riaccese il fiuto. Chiuse la borsa, rimettendo dentro i resti del pane, e la posò alla parete dietro la sua schiena, sdraiandosi sopra il suo cappotto. Sapeva bene cos’era quell’aroma. Era forse più esotica e accentuata di quella che conosceva, ma era la stessa. Prendendo respiri profondi, cercò di calmarsi, ma il cuore continuava a martellargli nelle orecchie. Con un gesto assente si ritrovò a tirare il mantello di Tuuli sopra di lui, perdendosi nel profumo della volpe. Un pensiero vago, ma straziante, si rese conto che quel profumo gli sarebbe mancato più dell’aria da quella sera in poi.

Quando Tuuli tornò, il rossore delle sue guance non era più lo stesso, non era più frivolamente imbarazzato, ma distrattamente colpevole, sorpreso quando trovò Ilja avvolto nel suo mantello come fosse una coperta, ma quando quello sguardo grigio l’invitò a sdraiarsi accanto a lui non esitò a lungo. Perché, anche se imbarazzato, indignato e riluttante, Tuuli non era stupido. Presto il freddo invernale sarebbe calato sulla grotta e lui non l’avrebbe certo aspettato in una giacca di pelle e gambe fasciate in seta.

Sistemandosi, però, voltò le spalle al lupo, il quale non si mosse quando lui indietreggiò fino al suo petto, anche se ne avrebbe avuto una valida ragione, come scoprì Tuuli molto presto, precisamente quando un'erezione rigida gli si poso sul sedere, tenuta stretta da quei pantaloni pesanti, ma comunque evidente. Lo fece stare meglio, anche sentendo il tremante sospiro sul collo. Non era solo.

* * * * *

La mattina seguente Tuuli era meno sarcastico e anche piuttosto taciturno. Mangiarono della frutta e i resti del pane, rincominciando poi la salita. Circa due ore più tardi arrivarono a ciò che Ilja indicò come un tunnel. Sembrava essere simile a quello nel quale era entrato più di una settimana fa. Dovevano essere arrivati alle gallerie.

Il terreno qui era molto più solido, roccia pura e umida, ma anche parecchio mento sicuro. I due ragazzi si scambiarono un occhiata di approvazione; da qui in poi non era più questione ne di forza, ne di agilità, ma di puro istinto. C’era chi invadeva le gallerie dall’interno e chi dall’esterno, perciò bastava trovare una combinazione di tracce utili. Come ci sarebbero riusciti però, non ne avevano idea.

Qui, al lato estremo Nord della grotta di Kaikei, il Hionyx della capitale era poco più di una stella nel buio della notte. Pescando la piccola pietra dalla borsa da viaggio, pendente ancora dalle spalle di Ilja, Tuuli prese testa all'escursione, lanciandosi un ultimo sguardo dietro le spalle. Forse aveva ragione ad andarsene, forse no, ma comunque ormai era troppo tardi. Magari un giorno sarebbe ritornato, specie se il mondo esterno non fosse stato così bello come lo descrivevano le ballate.

Avevano già trascorso diverse ore girando angoli e tracciando gallerie, si erano pure fermati a mangiare due volte di già, quando Ilja intonò la domanda che si stava chiedendo dalla sera in cui si erano incontrati. “Perché stai scappando?”

Tuuli non si fermò a rispondere. I suoi fianchi pronunciati continuarono dondolare nel suo cammino, accennando il mantello fitto ad ogni estremità. La luce grigia che fioriva dal suo palmo danzò per le mura silenziosamente, rispecchiandosi umilmente di tanto in tanto. Ilja ormai pensava che non avrebbe risposto affatto e, infatti, quando alla fine scacciò il silenzio, non era una risposta quella che intonò.

“Cosa ti fa pensare che io stia scappando?”

Il lupo strinse i denti. Una marea di cose. Com’era stato attento nel parlare con il locandiere, non guardandolo mai in faccia, per non attirare interesse, com’era restato sveglio la prima sera ad osservare la strada, nascosto dietro le tende... com’era stato attento a stare sempre nascosto tra la folla al mercato la mattina seguente... e poi come qualche volta si voltava di scatto come se si sentisse osservato da un incomprensibile qualcosa. Era in ansia. Tutte le parole e scatti di carattere era solo una truffa ben pensata per nascondere il suo reale stato d’animo. L’aveva percepito anche prima, ma quella mattina, avendo bucato chissà quale difesa la sera prima, quella truffa era molto meno fitta. Era quasi evidente, a quel punto.

Ora era Ilja a non rispondere. Restò in silenzio, perché in un certo qual modo sentiva che esso pesava sul volpino. Anche se truffa, il contatto verbale per lui era abitudine. Più o meno, almeno per quello che il lupo aveva capito in quella settimana a Zaisan, tutte le volpi vivevano con almeno un’altra faccia, ma spesso non se ne accorgevano neanche.

Cercò di analizzarlo, questo ragazzo volpe tanto reticolato. Non poteva essere uno fuorilegge, era un tantino troppo raffinato e abituato alla buona vita. Non poteva essere nemmeno uno scolaro, era troppo giovane e non avrebbe saputo arrangiarsi fuori dalle aree urbane nemmeno in teoria. Sapeva parlare e manipolare a suo piacimento, ma fisicamente era abbastanza debole. Contato tutto, anche il negoziato quella sera alla locanda, sembrava proprio un nobile in fuga. Continuò a guardarlo, sapendo che poteva sentire il peso del suo sguardo. (Mazza, sono un sociologo... o_o; Nd_Ilja ^_^;;;; L’avevo gia menzionato che dopodomani do l’esame? Nd_Kitsu vai a studiare ndSaya)

Le spalle di Tuuli si irrigidivano man mano che il tempo passava e alla fine rispose davvero, con una voce seria che tralasciava un fatto, completamente priva di sarcasmo. “Perché sono un fratello ingrato” disse “perché non ho mai chiesto ciò che mi era stato imposto.” Si fermò, voltandosi a rivelare una sincerità che prima Ilja non aveva mai visto nei suoi occhi ghiacciati da quando si erano incontrati. L’aveva percepita a momenti, ma non era mai così direttamente evidente. “Ti basta come spiegazione?”

“No” rispose il lupo, calmo e composto. Non gli bastava, era vero, ma non perché non avesse capito. Era questione di voler conoscerlo, di conoscere i particolari. Magari anche il fratello di Tuuli aveva così tanti piani in tasca per lui quanti ne aveva il suo. “Ma non ti chiederò oltre. Non sono affari miei.”

Quei occhi blu tanto limpidi si gelarono di stucco. “Già. Non sono affari tuoi.” Tuuli si girò sul cammino di nuovo, parecchio irritato. “Anche se chi mi perseguita mi trovasse, non sarebbero comunque affari tuoi. Ti lascerebbero libero d'andare a casa.” Era proprio un tipaccio quel lupo ~ proprio quando sembravano andare d’accordo diceva sempre qualche stupidaggine e rovinava il momento. Era ciò che lo rendeva impossibile da manipolare e per Tuuli era una situazione nuova, quella di sentirsi sottoporre alle regole di comportamento di qualcun altro.

“Non ho intenzione di andare a casa.”

Tuuli drizzò le orecchie dalla sorpresa, ma resistette l’impulso di girarsi. Continuando il suo cammino, ponderò su come la voce normalmente alquanto impassibile di Ilja sembrava quasi risuonare di determinazione. “Ma come” sentì quel tipico sarcasmo infiltrarsi nelle sue parole, “non ti manca il tuo popolo pieno di virtù?”

“Privare della liberta della scelta non è una virtù.” Erano parole fredde e decise.

Tuuli non rispose, anche perché quella di Ilja non era una domanda. Camminarono nel buio della galleria seguendo le tracce che avevano scelto a caso, sperando ciecamente che l’istinto non li tradisse, si rese conto di un fatto molto tetro e inevitabile. Cosa avrebbe fatto una volta sulla superficie? Come avrebbe preso la luce del sole? Quale strada avrebbe percorso? In un certo qual modo non ci aveva mai pensato. Le ballate dicevano che il mondo era tondo e infinito, che si poteva scegliere una strada qualsiasi perché tutte portavano a una meta. Era comunque un concetto che sembrava più una favola che realtà, specie per qualcuno nato nel buio delle gallerie di Zaisan, dove c’erano sentieri prescritti. Tutto il resto era roccia, non c’era mai un’alternativa vera e propria.

Ma lì fuori le alternative c’erano. O almeno ci dovevano essere, e molte, secondo tutte le canzoni e le favole dei bardi. Allora perché la gente si limitava lo stesso? ... non sapeva a cosa si riferiva il lupo, ma il pensiero di dover incontrare dei principi rigidi dove si aspettava un’infinita liberta era deprimente. A cosa andava incontro, dunque?

I passi di Ilja si fermarono dietro di lui. Girandosi d’istinto, lo vide annusare l’aria piuttosto allarmato. “C’è qualcuno” mormorò. Sembrava preoccupato, perciò Tuuli non tardò a rimettere in tasca l’Hionyx, lasciando che il buio li avvolgesse. Una mano decisa lo prese per il polso, ma era un tocco che ormai conosceva e si lascio guidare verso quello che in un secondo momento riconobbe come la parete della galleria. Sul collo sentì il fiato umido del lupo, come anche sentiva tutta la sua presenza avvolgere la sua, e presto un petto solido lo tenne stretto al muro.

“Trattieni il fiato quando passano” gli disse quella voce bassa, un sussurro nel suo orecchio. D’istinto, Tuuli l’afferrò per la vita, nascondendo le mani nel capotto di pelliccia di chissà quale animale sul quale aveva dormito quella notte. Abbracciato ad Ilja come lo era in quel momento. Le sue orecchie registrarono un tamburio di passi pesanti e veloci, ancora lontani, ma che avanzavano rapidamente. Erano in molti e più vicini di quello che sembrava, come se fossero esperti a mutare il suono. Cos’erano invece, Tuuli non ne aveva idea. Non potevano essere volpi, nessuna volpe poteva muoversi con tale velocità. Ed erano pesanti, inquietanti.

Ilja si coprì con il cappuccio del suo capotto, stringendosi a Tuuli, guidato dalle sue mani come a posare il proprio corpo. La borsa con le razioni l’aveva lasciata affianco, sperando che Tuuli l’avesse chiusa abbastanza bene dopo l’ultimo spuntino. Sapeva ormai che il fiuto delle volpi non era acuto come il suo, ma valeva lo stesso essere prudenti, perché, al contrario di Tuuli, lui sapeva bene chi stava per raggiungerli. I Briganti. Il loro odore era lo stesso. Marcante. Ripugnante. Venivano dalla direzione opposta e, a loro favore, sembravano avere anche fretta.

Tuuli iniziò a tremare. Non era un codardo di natura, era piuttosto coraggioso, appoggiandosi sempre sulla sua genialità, ma in quel momento fatico dovette ammettere che l’atmosfera che era calata per accogliere gli autori dei passi, prometteva la morte. Era certo che in quel buio pesante, se solo uno di loro si fosse accorto che erano lì, sarebbero morti tutti e due. Le braccia di Ilja lo tennero stretto, stringendolo sempre di più quando quei passi inquietanti diventarono prossimi. Non se ne rendeva conto, ma il suo fiato iniziò a rafforzarsi man mano che aumentava la sua paura. Voleva trasmetterlo ad Ilja, dirgli che non poteva più calmarlo, che sarebbe stato troppo tardi per tutti e due, ma non osava intonare una sola parola. I passi ormai erano meno di dieci metri da loro, e in pochi secondi sarebbero stati al loro fianco. Sentiva un urlo traditore percorrergli la gola, terrorizzato.

Ma l’urlo non riuscì a uscire dalla sua bocca. Delle labbra soffici ma determinate lo trattennero. Il rombo della legione scura face tremare la roccia sotto i loro piedi, la roccia rigida tagliò la sua spalla attraverso la sua giacca, il mondo sembrò girare di trecento sessanta gradi in un baleno, ma tutto quello che Tuuli riuscì ad apprendere in quel momento fu che Ilja lo stava baciando. Si aggrappò a lui al tocco, aprendo le labbra, bloccando in testa tutto il resto, per la sorpresa. Nel momento che seguì la sua sorpresa si approfondì ~ si ritrovo a muovere le labbra sulle sue.

I passi stavano ancora passandogli accanto, rombanti e terrificanti, quando le loro lingue si incontrarono per la prima volta. Fu un tocco elettrificane, e nessuno capì chi l’avesse incominciato, ma in un certo senso non importava. La situazione era assurda, potevano assaporare il terrore l’uno del altro, l’inesorabile paura che qualcuno li scoprisse, che potessero diventare vittime di quella promessa di morte che echeggiava tutt'intorno, proveniente da quei passi vorticosamente veloci. Sentivano il cuore dell’altro battere in ritmi assurdi dalla paura, il fiato soppresso dell’altro sulle guance. Eppure si baciavano con una passione incontenibile, un bacio tutto labbra e lingue e sospiri trattenuti con forza.

La legione di passi passò. In pochi minuti furono al sicuro in un silenzio calante che prometteva una pace innaturale, ma si stavano baciando ancora. Magari era per calmarsi, per rassicurarsi che ce l’avevano fatta, che erano salvi, o almeno ancora vivi, anche se possibilmente persi nelle gallerie come prima. Ora Ilja lo teneva stretto a se. I piedi di Tuuli non toccavano nemmeno più il suolo. Le sue ginocchia erano avvolte da quel capotto fitto, cosce tese, ma aperte, tanto che abbracciavano la vita del lupo. Con la schiena dritta, il suo bacino combaciava perfettamente con quello dell'assalitore e gemiti piccoli, ma completamente incontrollabili, morivano in silenzio ammortizzati completamente dalle labbra di Ilja. Sentiva, dura ed insinuante, l’eccitazione che si muoveva sulla sua, trascinandolo verso quello che poteva essere il paradiso di Saya e Tuuli mosse i fianchi per accoglierla, abbracciando quelle spalle solide a sé. (concordo… il mio paradiso è yaoi ndSaya)

Chissà come sarebbe finito quel bacio se la pietra luminosa, il piccolo Hionyx grigio, non fosse caduto per terra ai loro piedi, illuminando loro e la grotta scura, riportandoli con i piedi per terra.

Ilja si strappò da Tuuli in un unico, forte gesto, facendogli quasi perdere equilibrio. I loro sguardi si incontrarono, mentre la ragione dominava gli istinti. Era una comunicazione non verbale, ma talmente confusa che alla fine Ilja si girò, mandando giù il sapore della volpe che aveva ancora in bocca, riallacciandosi il capotto. Cosa... aveva appena fatto? Oppure peggio, cosa stava pensando di fare? Perché non poteva controllarsi quando la volpe gli veniva vicino?

Lo sentì muoversi dietro di lui, piccoli passi fatti in direzione del Hionyx. Decidendo che comunque era meglio non pensarci, si girò di nuovo per raccogliere la borsa. Finora erano stati fortunati, ma niente al mondo durava, gli avevano insegnato, tanto meno la fortuna, perciò sarebbe stato meglio pensarci una volta usciti da quella buca...

Tuuli camminava appena, le sue ginocchia era completamente morbide. Era stato baciato un paio di volte sino ad allora, ma mai cosi. Non aveva mai provato un vortice come quello di poco prima, passione pura senza alcuna ragione, senza barriere o pensieri. Una libertà assoluta. Tremando, si inchinò a raccogliere la pietra. Non sapeva se esserle grato o meno, o se fosse un Segno di Saya o no. Era comunque qualcosa di grande, perché sentiva che adesso il loro rapporto sarebbe mutato.

Prese la pietra tra le dita, sorpreso di trovarla sommersa in una sorta di gelatina freddissima. Era anche umida, sembrava quasi ghiaccio tritato in piccolissimi pezzettini. Guardandosi intorno ne vide parecchi mucchietti sparso lungo la galleria. Prima non c’erano, ne era sicuro. “Ilja” chiese, un po’ allarmato “cos’è questa roba?”

Il lupo, con la borsa in spalla, si avvicinò con passi pesanti per controllare cosa intendesse la volpe. Il cuore gli martellava ancora, ma quando vide la gelatina senza colorito i suoi occhi si accesero con la rivelazione. “É... neve!” esclamò, stupito.

“Neve?” chiese il volpino, confuso. Si alzò a guardarlo ancora con la pietra in mano, non capendo.

“Sì, neve” sussurrò il lupo, con la mente affollata di pensieri volanti. Era caduta dalle spalle dai Briganti, e non era ancora del tutto sciolta, il ché significava che non erano lontani dall’uscita. Ma non solo, se i briganti venivano dall'esterno, bastava seguire le loro tracce. Con quella fretta di certo non erano riusciti a coprirle.

Afferrò la volpe per il polso iniziando a correre all'impazzata, ignorando le grida di protesta. Mezz’ora dopo il suo fiuto acuto avrebbe registrato il primo aroma di aria fresca.

* * * * *

Nel frattempo i problemi di Vidar si erano aggravati.

Cosa stava pensando Koll? Non era restato all'esterno, a Rinji, proprio per prevenire situazioni come l’attuale? Perché non era riuscito a prevenirlo, a calmare lo zar? Avevano stipulato il trattato di pace richiesto dalla dea Saya in persona per onorare la morte dei suoi figli. Sospirò nuovamente e si portò le mani alle tempie. Il presidente di Zaisan sentì che gli stava venendo un feroce mal di testa.

Rilesse il documento d’accusa, pergamena tipica di Tani, timbrata e firmata dallo zar in persona. Un'accusa di sequestro, leggeva, di Ilja Chernov Stolijevski, chiunque quest’individuo fosse. Però dal nome di famiglia Vidar riteneva fosse parente diretto dello zar, o fratello o figlio o nipote, comunque qualcuno di importante. L’accusa diceva anche che era stato avvistato nelle vicinanze delle vecchie gallerie e che era stato visto assalito a delle volpi vestite di nero. Diceva anche che una legione era stata mandata ad accoglierlo al confine e, se non fosse stato restituito in tre giorni, la legione avrebbe ricevuto l'ordine di entrare a Zaisan ad andarlo a prendere con la forza.

Vidar sospirò. Era già passato un giorno da allora. Aveva già replicato che nessuno dei capi di guardie aveva citato nei loro rapporti di aver avvistato un lupo, e che, se gli avesse dato una settimana, avrebbe mandato delle squadre di professionisti a cercare questo lupo perso. Era la verità, ma sapeva già che lo zar Cherno non l’avrebbe ritenuta tale. Mandò, perciò, anche lui delle truppe al confine, pregando Saya affinché la guerra non scoppiasse. Di nuovo.

Sua madre era ottima in quanto trattati di pace. Anche quando alla fine le cose non andavano bene, le volpi se la filavano liscia, in un modo o nel altro, grazie a lei. Magari era questo ciò che suscitava problemi con i lupi tuttora: a costo di trattare per un fine che non gli piaceva, non trattavano affatto. Il popolo, invece, si aspettava che lui calmasse la situazione; anche il giornale lo avrebbe detto la prossima mattina. Quello che gli chiedevano, però, era un miracolo. Gli occhi vogliosi del presidente del commercio e le riunioni interne con testi prescritti...quello sì che lo poteva fare, ma essere a capo delle forze militari? Non ne era più così sicuro.

Si alzò dalla sua sedia, lasciando la pergamena sul tavolo. Con passi pensierosi e solenni si incamminò verso il ritratto di sua madre, che pendeva dal muro, grande e colorito, dipinto ad olio da un pittore che l’ammirava dal profondo del suo cuore. Due anni da quel momento pieno di ansia e il pittore che l’aveva fatto sarebbe morto d’infarto e Vidar avrebbe scoperto che era il loro padre, ma che non aveva voluto esporre sua madre a polemiche interfacciali. Era meglio far pensare alla gente che Vidar e Tuuli fossero figli di Saya, donati ad Arnika; tutti e due con la sua stessa splendida pelliccia bronzea, e quegli occhi incomprensibilmente blu, quando quelli della madre erano neri cenere.

La fissò, esausto. “Cosa devo fare?” le chiese, non aspettandosi una risposta, ma semplicemente immaginando che lei fosse ancora lì, a sorridergli, a dirgli che l’unica rotta da seguire era quella di Saya. Gliel’aveva detto anche quella sera. Gli aveva chiesto di farla alzare dal letto per vedere la sua città per l’ultima volta. L’aveva aiutata a salire sulla terrazza del palazzo nel quale vivevano, lasciando Tuuli addormentato nella sedia accanto al letto, rattristato nel sentire sotto le sue mani quanto debole sua madre fosse in verità.

Arnika sospirò nell’aria di Kaikei, in quella brezza giunta dalla grotta con la freschezza. Profumava di mattina. “Non ho mai messo piede fuori da questo mondo, figliolo” gli disse, stringendosi a lui “e adesso Saya mi chiama a raggiungerla.” Lo guardò con un sorriso dolce su quel viso quasi derubato della vitalità, ma nei suoi occhi neri brillava una scintilla che Vidar non poté definire, era una luce forte e chiara. “Ho fatto cose di cui magari non dovrei essere fiera, ma sono contenta di averle fatto lo stesso“ disse. “Vi lascio indietro con il cuore in pace, tesoro, perché so che non andrà in paradiso. Resterà qui, nella città che amo, a vegliare su di voi.” Poi si girò per guardare l’Hionyx e con un piccolo sorriso mormorò tutta pensierosa “Sai già che sono stata sempre una volpe curiosa” e ridacchiò, ma presto il suo riso mutò in una tosse violenta. A Vidar si strinse il cuore ma ritirò le lacrime con sforzo.

“Baciami, figliolo,” gli chiese, sorridente ancora, ma molto più debole ormai. “E bacia il cucciolo da parte mia, non mi andava proprio di svegliarlo.”

Si inchinò a baciarla. Il suo pelo, appena accennato con qualche filo argentato, gli accarezzò il viso. La sua guancia era tesa in sorriso quando le sue labbra vi si posarono, e sentì una lacrima percorrerla ad incontrarle, ma forse era solo una sensazione. Arnika Ketonnen non aveva mai pianto. Sentì le sue braccia deboli, abbracciandolo attorno al collo, mancare di peso, come anche la sua guancia perdeva tatto. Cercava di resistere all’istinto di aprire gli occhi, ma non ci riuscì. Sua madre spariva dalle sue braccia in un mare di lucciole che quel venticello si portava dietro a disperderle per la città. Stava ancora sorridendo.

Quando ritornò nella stanza, si inginocchiò di fronte alla sedia nella quale dormiva suo fratello. Dormiva beato e in un certo senso l’invidiava, ma forse era meglio così, era meglio che fosse stato lui a tenere tra le braccia la loro madre. Ed era sempre più convinto che anche lei la pensava così. Lo baciò sulla fronte, dolcemente, facendogli aprire quei due zaffiri di ghiaccio, ancora assonnati. “... Vidar?”

Il più grande l’afferrò per la vita, nascondendo il viso e di colpo Tuuli capi. Vidar lo sentì girarsi a guardare il letto accanto vuoto ed allo stesso tempo si rese conto che stava piangendo. Tuuli l’abbracciò forte, piangendo a tutta gola, mente Vidar restò con le lacrime che andavano ad asciugarsi nella camicia del suo fratellino ed intonava delle parole, sempre le stesse, volte e volte ancora. “Era contenta, Tuuli. Era contenta.”

Ed ora? Era ancora contenta di come si stavano svolgendo le cose?

Tracciando il sottosuolo del quadro toccò con il dito una piccola leva. Un macchinismo ad orologio scattò, facendolo aprire con un lento dindillio di catenine, nascoste nel muro, finché il quadro non espose una cassaforte. Con gesti assenti, conosciuti a memoria, Vidar l’aprì. Sotto la campana di vetro che si rivelò, luccicò la leggenda più vecchia di tutte, ma vera ~ la lacrima che Saya pianse per il sacrificio di Kitsune. I bardi cantavano che chi l’avesse avuta, sarebbe stato baciato dalla fortuna. Come l’avesse avuto sua madre, Vidar non ne aveva idea. Chiudendola dietro il ritratto di colei che le volpi amavano tanto, prego Saya di far sì che li aiutasse tutti in quella situazione tetra.

Qualcuno bussò alla porta, ma Vidar tardò a rispondere. Era ancora perso nella sua preghiera. Alla seconda bussata però, una vocina desolata e un po’ preoccupata lo fece sorridere.

“Si- Signor Presidente?”

“Avanti, Peteri.”

Il rossiccio volpino entrò di fretta, con lo sguardo desolato per terra, chiudendo la porta dietro di sé con fare nervoso. Aveva altre brutte notizie da dare al signor Ketonnen e di certo l’idea non gli piaceva, ma gli avrebbe preparato un bel the caldo dopo, aveva deciso prima di bussare. Un bel the caldo con le spezie calmanti. Gli avrebbe anche detto che l’ammirava e che credeva in lui e che gli sarebbe restato a fianco indipendentemente da come sarebbero andate a finire le cose... se solo ne avesse trovato il coraggio.

Alzò lo sguardo per pronunciare quelle brutte notizie, ma tutti i fogli che portava in mano, tra l’altro anche il rapporto serale delle guardie, inutile anche quello, gli scivolarono dalle mani, perchè dovette usarle entrambe per coprirsi la bocca per non urlare dalla sorpresa. Dietro il quadro, in una cassaforte aperta, su un cuscino di seta rossa, brillava La Lacrima di Saya. La riconobbe subito. Essendo un sognatore nel tempo libero (e anche non a volte) conosceva molte leggende e favole.

“Oddio, mi scusi...” mormoro, desolato, scioccato, pronto ad uscire dalla stanza di fretta, ma prima che riuscire ad afferrare la maniglia della porta, Vidar gli prese il polso. Guardò in su, in quei occhi blu densi e scuri, ma calmi, composti. Il presidente non era arrabbiato? Non lo sembrava, anche la mano che gli teneva ancora il polso si era ammorbidita e lo stava attirando a quella cassaforte aperta, passo dopo passo. Peteri dovette concentrarsi per respirare regolarmente ~ questa era la prima volta che il presidente lo toccava di proposito!

Una volta alla cassaforte, Vidar girò lentamente il volpino ad ammirarla. Gli si posizionò dietro e tutti e due osservarono la gemma che mai nessuno aveva mai potuto analizzare di quale minerale fosse fatta. C’era chi la chiamava d’argento, chi di cristallo, ma nessuna delle due ipotesi era fondata. Era... vera in qualche modo. Una gemma viva. “Conosci” chiese Vidar nell'orecchio del volpino rossiccio, apprezzandone la vista ancora di più ora che c’era anche il suo assistente “la Lacrima di Saya?”

Il rosso annuì, deglutendo. “Ce ne sono sei in tutto” disse, tremante, ma stupito dalla gemma, “Piante da Saya per ognuno dei suoi figli.” Non l’avrebbe detto se non l’avrebbe saputo a memoria, perché aveva la mente completamente vuota. Mai nella sua vita si era sognato di vedere un suo sogno realizzarsi, specie uno irraggiungibile come vedere una Lacrima.

“Si dice che porti fortuna,” confermò Vidar, guardando la lacrima di nuovo, pensieroso, “e sarà per quello che io non ce l’ho” sospirò. “Quella lacrima era di mia madre e lei non aveva mai detto di lasciarmela.” Già. Avrebbe potuto dire una cosa del genere quell’ultima sera, ma non l’aveva fatto. Era defunta in silenzio, portandosi dietro misteri e risposte a domande che continuavano ad accumularsi man mano che il tempo scorreva. Forse voleva che la lacrima fosse di Tuuli. O forse non poteva scegliere, avendo due figli. Ma forse... forse non le importava. Forse era convinta che Saya avrebbe dato fortuna a chi se la meritava. (cattivo Vidar non credi in me ç_ç ndSaya …=O= ndVidar)

Peteri restò in silenzio, ascoltando la sua voce bassa e dolce risuonare con riluttanza. Lo sentiva vicino, più di quanto potessero mai esserlo stato fisicamente anche nelle fantasie più spinte. E il suo animo era triste, tanto triste, ma forte lo stesso.

“Però, nonostante tutto, credo di aver capito perché il popolo ha scelto lei e le sue idee democratiche” continuò, fissando la lacrima con determinazione. “Era per il popolo che lo faceva.” Si girò di scatto, la sua coda bronzea accarezzò il rosso delicatamente, e andò ad appoggiarsi al fianco del tavolo, mostrando la pietra a Peteri, che ora si era voltato in silenzio.

“È per questo che non voglio più vivere nella sua ombra, ma accanto ad essa ~ o in altre parole,” sorrise a quei occhi verde smeraldo, il sorriso più sincero che aveva mai fatto in quel ufficio, “la dono al popolo. Voglio che le volpi vivano baciate dalla fortuna. Quindi, Peteri,” ridacchiò “non devi sentirti in imbarazzo. Un po’ è anche tua, no?”

Il rossino si voltò ad osservarla, bella e fredda, ma calda lo stesso. Il suo sogno divenuto realtà, la conferma che esisteva. Ed ora la condivideva con tutto il popolo, perchè in fondo era stata dedicata a loro tutti da Saya. Si senti fortunato, fortunato di essere nato volpe, di essere stato un sognatore tutta la sua vita anche se preso in giro a volte perché non astuto come gli altri. Si sentiva felice di aver finito solo la scuola preparatoria per gli assistenti d’ufficio, fortunato ad essere stato scelto dal Presidente per aiutarlo. Si sentiva fortunato di essersi innamorato di una persona cosi splendida.

Si girò verso il presidente, occhi verdi lucidi e sinceri. Non aveva bisogno della lacrima, sua o meno che sia. Era gia stato fortunato a volontà. Che pure il resto fosse per chi ne avesse più bisogno di lui. “Signor Presidente” sussurrò, ma il suo tono era sicuro.

“Dimmi, Peteri,”

E poi glielo disse, arrossendo, ma con tono determinato, guardandolo riprendere fiato dalla sorpresa.

* * * * *

Saya aveva intenzioni grandissime per lui, penso Tuuli, le doveva avere, perché nel momento in cui i suoi occhi si posarono sulla vallata alpina piena di alberi scuri con cappucci di neve fresca, sommersa da una coperta tutta bianca, argentea nella luce della luna piena, se ne innamorò a prima vista. Le sue ginocchia rifiutarono di tenerlo in piedi, forse per via dalla stanchezza, ma in quel momento Tuuli non avrebbe potuto chiudere i occhi anche se lo avesse voluto con tutte le sue forze.

Qui il vento era forte, era freddo e vorticosamente fresco, la valle era chiara, il cielo limpido e stellato come se pieno di frammenti di Hionyx più puro. Stentò a credere che stesse vedendo tutto quello per davvero. Non poteva essere così bello il mondo. Ci doveva essere qualcosa sotto, decise.

Ilja lo guardò, prima confuso, ma poi con un piccolo sorriso stampato in faccia. Era esattamente la stessa espressione che aveva fatto lui una volta affacciato a Kaikei. La capitale gli sembrava come la catacomba del re più ricca della terra, illuminata in fasce arancione, rosa, grigie e bianche, con quel cristallo immenso in centro che dava luce a volontà da tutte le parti, con un soffitto immenso quasi come di una cattedrale gigantesca. Avrebbe preferito godersela più con calma, ma si rendeva conto che era stato proprio fortunato. In più modi.

Fece un paio di passi fuori dalla caverna, lasciando che la luce della luna gli baciasse la pelle. Gli era mancato quel freddo. Gli erano mancati la luna, la neve e gli alberi, l’aria fresca e il fumo proveniente dal villaggio sul fondo della valle. Le sue pupille si accesero da un grigio spento in un oro luccicante, e sentì una ondata d’energia esplodergli nel petto. Lanciò un forte ululato alla luna, guardandola con quegli occhi raggianti. Sentiva la luna più di ogni altra cosa. La adorava.

“Ilja...” lo chiamo la volpe. Si girò, con un sorriso beato sul viso, con una vitalità nelle vene che l’aveva rinfrescato completamente. Guardo la volpe dal pelo di bronzo osservarlo con un’espressione sorpresa, occhi blu molto più chiari in quella notte stellata.

“Si?” Rispose, girandosi a fronteggiarlo, lì dov’era crollato a sedersi per terra a cause di tutte le cose nuove che aveva visto.

“Ilja, non riesco a muovermi...”

Il lupo lo guardò un po’ confuso, ritornando al suo fianco lasciando tracce pesanti nella neve. L’oro dei suoi occhi si placò in quel vecchio grigio spento appena rientrò sotto il cappuccio della caverna. Prese la volpe per le spalle, guardandola cercando di capire se per caso le volpi in qualche modo fossero legate con la magia a Zaisan, ma non era un esperto nel campo. Più che altro gli pareva che Tuuli tremasse dal freddo. Stava per dirgli di abbottonarsi bene, ma un odore vecchio, conosciuto, giunse dal tunnel accanto al quale erano usciti. “Aspettami qui” disse alla volpe, scomparendo nel buio.

Nei pochi secondi che seguirono, Tuuli pensò che Ilja non sarebbe mai più tornato, ma poi decise che avevano fatto la promessa, e che ciò gli sarebbe dovuto bastare. Girandosi a guardare quel paesaggio da favola, guardò le scarpate di Ilja che l’avevano sfiorato. Intrigato prese in pugno una manata di neve. Incantato, continuo a guardarla sciogliersi in acqua. I suoi guanti erano bagnati, e le dita gli gelavano, ma ne prese un’altra. Era troppo assurdo per essere vero.

Non sapeva quanto tempo dopo, Ilja ricomparve. Si portava dietro una spada netta, forgiata dai simboli regali di Rinji e Tani, ma Tuuli non trovò la voce per chiedergli niente. Lo guardò posizionare la spada, nuda, dietro la schiena con una corda, accanto alla borsa con il cibo, e poi il lupo si chinò su lui. Senza avvertenze lo prese in braccio, camminando nell'abbraccio della luna affinché le sue pupille non diventarono d’oro di nuovo.

“Come fai a portare tutto, le razioni, quel spadone e me compreso... ?” mormorò Tuuli, stupito.

“Perché sono tutte cose importanti” fu la risposta. Ma Tuuli si chiese se lui ci rientrasse a causa della promessa e, in un certo senso, l’idea lo rattristò. Fino a trovare un domani, magari avrebbero preso strade diverse.

* * * * *

Un’ora dopo, Tuuli aveva gia deciso un’altra cosa. All’aria fresca si arrivava alle conclusioni più in fretta, a quanto pareva, e questa conclusione era che non gli piaceva quel freddo. Lo pensò quando Ilja chiuse dietro di loro la porta della stalla che aveva trovato. Non potevano fare altrimenti, la locanda ormai era chiusa e sarebbero morti di freddo. Con il cielo limpido e stellato le notti erano sempre più fredde di quelle nuvolose. Non che non l’avrebbero sentito il freddo lì, nella stalla.

Erano tre i daregar che avevano svegliato; due neri e uno grigio, e tutti li guardavano con un'aria piuttosto interessata. Erano animali mediocri, delle belve di passaggio che la gente teneva come merce. Gli animali forti, usati per tirare carrozze e lavorare la terra, quelli che restavano a casa, erano di certo custoditi meglio che con un semplice lucchetto di metallo. Ma comunque andavano benone, perché avrebbero mantenuto un po' di calore.

Tuuli cercò di muovere i piedi da dove Ilja l'aveva posato, per starsene a disparte finché non finiva con la porta. Le sue ginocchia sembravano voler fare concorrenza ad un budino, ma lo reggevano comunque. Doveva essere stata la sorpresa, sì, non c'era altra spiegazione. Ma comunque era bastata a fargli fare la delicata figuraccia di bagnarsi i pantaloni. Neve, aveva chiamato Ilja quella strana granita trasparente, acqua venuta dal cielo e congelata. Si ricordava di averne letto qualcosa da qualche parte, ma temeva di essersi ricordato troppo tardi che magari dei pantaloni bagnati di essa non rappresentavano di certo un alloggio confortevole.

Aprì la cintura lasciandola cadere per terra con un leggero rumore di metallo. Accucciarsi per slacciarsi gli stivali era un processo rischioso con quelle ginocchia morbide, ma non risultò tanto difficile o imbarazzante quanto sembrava sarebbe stato, forse un pochino fastidioso, visto che le sue dita erano congelate e rigide. Lasciò i pantaloni di seta, umidi e gelanti, in un umido mucchietto bianco e blu scompigliato ai suoi piedi, sospirando. Che sensazione piacevole essersene liberati!

Si sbottonò la giacca, gettandolo per terra, e stava per disfarsi anche della camicia, quando l'istinto felino che era in lui gli sussurrò di prestare attenzione a ciò che lo circondava. Alzò lo sguardo d'istinto, nemmeno tanto sorpreso nel trovare Ilja in piedi, immobile, a guardarlo, stupito però a trovare quella intensa natura dello sguardo. Stava mezzo-nudo e congelando ma di stucco senti un calore scaldarlo dall'interno.

Già, Ilja l'aveva baciato nelle gallerie, l'aveva sbattuto alla parete. Gli aveva alzato le gambe attorno alla vita, strofinandosi sulla sua erezione. Poteva averlo fatto come gesto di disperazione, come qualcosa che un disperato fa alla vigilia della catalessi. Ciononostante, ora lo stava guardando con una fame carnale, appoggiandosi con una mano alla porta ormai chiusa. Lasciò che quello sguardo tracciasse la linea delle sue cosce candide, dei fianchi pronunciati, della vita snella e agile, del petto esile e delicato... sentendo accendersi in lui una marea di sensi dormienti. Era piacevole, incontenibilmente... scaldante. Quegli occhi intensi lo stavano accarezzando al posto delle sue mani. Un po’ come la sera prima, solo che questa volta la natura dello sguardo pareva radicalmente diversa e parecchio più intensa.

I loro sguardi si incontrarono e, come la sera prima, Ilja sembrò riprendersi in un baleno. Tuuli lo vide arrossire, posare lo sguardo per terra e far finta di riesaminare il lucchetto. Tuuli si avvolse nel suo mantello, distendendo i pantaloni e la giacca su un vecchio tavolo pieno di equipaggio per i daregar, per poi sdraiarsi sul mucchio di fieno nell'angolo. Il suo sguardo, concorrenza perfetta della neve che in quella notte stellata rifletteva la luce della luna, non lasciò il lupo per un solo istante. Non era né voglioso, né confuso, ma una via di mezzo, capendo solo che, in un certo senso, doveva essere qualcosa di grande quello che li aspettava in un futuro prossimo.

Ilja era teso. Sin dalla prima sera il suo corpo reagiva da matti alla volpe. Quella percezione innata, come sussurri muti che gli rubavano l'attenzione affinché non si accorgeva di come quella seta stringeva quel corpo elegante, come di mattina quei capezzoli piccoli si irrigidivano nel freddo, come quei fianchi dondolavano nel suo cammino...non era certo andato a Zaisan con queste intenzioni, ma... per Saya, che esseri invitanti erano i Kitsune. Oppure aveva soltanto colto il fiore più bello, bronzeo, cresciuto sotto il cielo di pietra di Kaikei?

Lasciò la porta. Ancora con la borsa in spalla superò i tre daregar, che sbatterono le loro ali. Magari sentivano la forza del suo spirito, del desiderio che cercava tanto di placare. Non andava bene infatuarsi di qualcuno che non era nemmeno della propria razza, lui che avrebbe dovuto salire al trono e dare degli eredi. O almeno così doveva essere. Arrivata la Stagione, pochi giorni distante ormai, si sarebbe dovuto svegliare accanto all'erede della provincia Est, Lara. Ma del fatto che Lara avesse posato gli occhi su una certa Blix (chiunque essa fosse, ma aveva sentito dire che era una femmina) sua madre non ne voleva sapere. Gli zar erano sovrani, perciò facevano gesti da sovrani ~ anche se ciò consisteva nello sposarsi senza amore.

Molti sapevano che Cherno aveva un amante, ma sembrava che suo madre voleva negare l’evidenza, eppure aveva visto anche lui quello che succedeva ogni notte. Era un lupo bianco quello che si infiltrava nelle sue camere di nascosto, molto bello e molto maschio. Ed erano anche gemiti pieni di passione quelli che dopo uscivano dalla stanza chiusa a chiave. Altro che impotenza, Ilja era convinto che suo zio dovesse essere bello potente visto quanto sonoro era il suo compagno notturno. E con uno zio, fatto zar allo sboccio della sua mascolinità fino al presente, intento a fare come meglio gli pareva, Ilja doveva fare gesti da sovrano e sposarsi al posto suo? Per di più con una lupa che, anche se affascinante e incantevole, posava gli occhi su un'altra ragazza? Col cavolo.

Si sedette accanto alla volpe sul fieno, guardando quelle orecchie vistose drizzarsi con interesse. Il mantello lo copriva per bene, ma una coscia candida restava comunque molto visibile. Teneva in pugno qualcosa appeso a una catenina d'argento che gli pendeva attorno al collo. Sembrava alquanto divertito, ma allo stesso tempo attento... forse un tantino giocherellone, a giudicare da come la coda bronzea restava sul fieno.

"Come va la ferita?" gli chiese, giusto perché fare conversazione, pensava, avrebbe fatto l'atmosfera più respirabile. Per non farlo arrivare a conclusioni affrettate, anche se ovviamente giuste, si chinò a pescare del pesce essiccato dalla borsa.

"Oh! Molto meglio" sorrise la volpe, aspettando pazientemente che lo guardasse di nuovo prima di continuare "é sparita del tutto, come per magia! Guarda..." Scoprì il fianco, coperto ormai solo dall'intimo. Lo piegò ingiù, con gli occhi di ghiaccio focosi e attenti ad ogni sua mossa, specie al respiro, che arrivò a mancare non appena la pelle morbida venne scoperta.

Ilja cerco di ricomporsi, ancora con il pesce in mano e con le nocche bianche dalla forza con cui lo stringeva. Non aveva che passato gli occhi su quel fianco perfetto, ma il suo sguardo grigio accarezzava un'eccitazione evidentemente scalante, anche a vista d'occhio. In un certo senso si aspettava che quella volpe fosse esibizionista. Come in ogni altra situazione, doveva sempre avere il ruolo principale. Esperto di bende, navigatore, o manipolatore... non era nemmeno tanto impossibile vederlo fare il seduttore. "È per via della saliva. È curativa come quella dei cani, ho sentito dire..." rispose automaticamente, ancora guardando a volontà.

Tuuli si sedette sul mantello, stupito, e questa volta sinceramente. "Cavoli! Davvero?!"

Ilja si girò, mordendo la carne come se si fosse ricordato solo allora di averla in mano. "... non vedo come potrei mentirti se hai visto e sentito con i tuoi occhi che la ferita non c'e più" mormorò. Evitava di guardarlo, ma non poté fare a meno di farlo quando il volpino lo afferrò per le spalle, girandolo verso di sé.

"Allora perché non me l'hai detto prima?" insinuò, sopracciglia tese in un arco arrabbiato.

"Non..." Ilja deglutì per la sorpresa. Era veloce questa volpe! Oppure era lui che l'aveva lasciato intrufolarsi sotto le sue difese? "Non me l'avevi chiesto"

Con un alta occhiataccia di ghiaccio, Tuuli iniziò a spogliare il lupo. Prima gli tolse il cappotto, poi la camicia e, infine, le bende ancora sanguinanti. Ilja, stupito, lo lascio fare, ricordandosi malapena di masticare il pesce che aveva in bocca. "Ti rendi conto" sospirò Tuuli una volta tolta l'ultima benda "che ti saresti potuto risparmiare parecchio dolore? La tua schiena poteva essere guarita il giorno dopo!"

Imbronciandosi di suo, Ilja lo fissò con un espressione leggermente offesa. Nessuno gli dava dell'idiota cosi alla leggera, eccitante e mezzo nudo che sia. "Non posso esattamente leccarmi la schiena. Sono i gatti quelli che si piegano a piacimento..."

Tuuli girò gli occhi, per poi posarli di nuovo sul lupo, intonando più delicatamente: "Pero io posso farlo per te" (hai la mia benedizione u.u ndSaya)

Si guardarono per un momento di imbarazzo riluttante. Avendo scavalcato le gambe del lupo per spogliarlo, Tuuli si rese conto che egli non lo stava respingendo, anzi... ora quegli occhi grigi sembravano brillare nel buio della stalla, il contorno delle pupille era acceso da un cerchio d'oro. Le sue labbra erano socchiuse e invitanti, apprensive che mirava a loro e, avanzando verso di loro, Tuuli man mano perdeva la lotta con la ragione... ma non la curiosità. Lo bacio di scatto, sentendolo afferrargli la vita, passando quelle labbra ruvide dal freddo, ma tenere al tocco con la lingua, affondando in quella cavità curativa.

Ilja cerco di baciarlo, chiudendo gli occhi alla sensazione, ma come era arrivato, il tocco sparì in fretta, e gia Tuuli stava scivolando via dalle sue mani. Lo vide sorridergli per un istante, per poi posarglisi dietro. Con quelle dita esili, prive di guanti di seta questa volta, l'afferrò per le spalle come per tenerlo fermo e poi quelle labbra incantanti discesero a seguire i segni delle frustate.

Chiuse gli occhi al tocco, incantato ormai, morsicandosi il labbro. Forse era colpa della luna, forse della Stagione avanzante, ma ad ogni tocco, la sua pelle prendeva vita, infiammandosi. Si svegliò da quel pensiero solo quando la volpe gli girò il mento per rifornirsi di saliva curante, baciandolo e stuzzicandolo vagamente.

Al sesto bacio però, Ilja non resistette più. Si girò sul posto, afferrando la volpe per la nuca prima che potesse sfuggirgli. L'assalì con la lingua, baciandolo a volontà come l'aveva fatto ore prima nella caverna mentre la legione di briganti li oltrepassava. Allora pensava che sarebbe morto, o, almeno, di essere catturato e rivenduto per finire chissà dove sotto terra e magari non avrebbe più rivista la volpe di bronzo... la seducente, desiderabile volpe di bronzo...

Quando si ritrovò a riprendere fiato era sdraiato sopra Tuuli, tra le sue cosce aperte. Cosa andava fatto in quel momento non ne aveva idea, ma voleva avere quella volpe, senza esitazioni.

"Non ho ancora finito..." mormoro Tuuli, ma le sue labbra vennero assalite da una marea di baci ad ali di farfalla.

"Non importa"

E presto anche Tuuli dovette ricredersi e dargli ragione, precisamente quando tutto ciò che importava si restrinse al petto solido del lupo appoggiarsi al suo, con un'altra solidità pronunciata che iniziò a muoversi su di lui, tracciando l'arco del suo intimo, ormai pienamente rigido pure esso. Quello che doveva importargli ormai era riprendere fiato, il ché risultava sempre più difficile tra gemiti e baci. Ma la mancanza d'aria lo spingeva sempre di più in quel vortice che provava per la seconda volta in vita sua. Era una sensazione indescrivibile quella di avere un corpo caldo e solido muoversi sul proprio.

Tracciò con le dita quelle orecchie corte, trovandole anche ad occhi chiusi e invase le labbra, girandole tra le dita. Al tocco, Ilja ansimò nella sua bocca, mordendolo impazientemente, mentre il suo bacino sbatté contro il suo molto più violentemente, facendogli bollire il sangue dal piacere. Tuuli ripeté estasiato, toccando le orecchie ancora di più, passandogli le dita tra i capelli. Lo stava stuzzicando, lo sapeva, ma era tanto divertente, per non dire eccitante, quando il lupo gli sbatteva i fianchi contro con forza... il suo gioco, però, non duro molto allungo.

Baciandolo un ultima volta, Ilja si strappò dalle sue mani, ma questa volta non aveva intenzione di lasciarlo cosi. Tirando all'intimo, rivelò l'eccitazione della volpe, dura e rigida, scattando allo stomaco appena liberata. Guardandolo con occhi incredulamente vogliosi, le cosce divaricate e stomaco teso, con una splendida erezione promettente, quella che la sera prima aveva sfiorato, quella che Tuuli aveva toccato dopo finché non era venuto, da solo nel buio tra le rocce. Il profumo era lo stesso, ma molto più forte, intossicante, di un eccitazione impossibile. Si sputò in mano, afferrandolo e poi pompando lentamente. Voleva sentirne di più.

Tuuli cercava a trattenere la voce, ma continuò a singhiozzare, tremante. Il palmo di Ilja era caldo, grande e robusto, come quello di uno spadaccino d'armi pesanti. Era una sensazione nuova quella di essere toccato da qualcun'altro, un po’ allarmante e imprevedibile, ma pienamente vogliosa. Trattenne l'istinto di inarcarsi, però, anche se i suoi fianchi tentavano di tradirlo a più non posso. Piuttosto, afferrò la cintura del lupo, tirandola con frustrazione quando non volle aprirsi.

Aveva sentita quell'ascia dura un paio di volte ormai, ci si era gia strofinato contro nella caverna, ma non l'aveva mai vista, e voleva che questo fatto cambiasse il più presto possibile. In fondo, se era stato spogliato lui, perché il lupo se ne poteva stare con i pantaloni? Era curioso di vedere come finiva quella delicata linea di pelo bianco, quella che scendeva dall'ombelico. A fatica riuscì ad aprire i pantaloni, liberando un inguine dritto e rigido e alquanto bisognoso di attenzione, da come emanava un trasparente richiamo che in un futuro prossimo avrebbe risultato bianco e denso. Estasiato, volle toccarlo, sentirlo strusciare contro il suo palmo, ma non ce la fece.

Ilja lo prese per i fianchi, mordendolo sulla spalla. Sembrava manovrato dalla voglia. Gli aprì le cosce con forza, cercando ciecamente di entrare, strusciando la sua erezione sotto la sua. Allarmato, Tuuli cerco di reagire, ma lo teneva talmente stretto che non riuscì a muoversi più di tanto. E anche quando si muoveva, quelle braccia forti l'immobilizzavano ancora di più. "Ilja...!" lo chiamo, ma in vano. Quella punta grande era ormai posata sulla sua entrata, cercando di entrare. "Ilja aspetta!!" ringhiò, ma il lupo non ne volle sapere. Sembrava non sentiva una sola parola in quella febbre di passione.

Tuuli strinse i muscoli posteriori, bloccando il passaggio con forza. Gli faceva male come il lupo persisteva ad entrarci, ma anche se quel lato selvaggio lo eccitava, il volpino non se la sentiva di dover subire delle cure li sotto. Liberando una mano, afferrò il lupo per la gola, non soffocandolo, ma spingendolo via da se. "Ti ho detto di aspettare!"

Riprendendosi appena, Ilja si sedette sulle gambe, con l'erezione puntata in alto e una nebbia di passione negli occhi. L'istinto di possedere qualcuno non era mai stato così forte in lui, ne era certo. Non riusciva a pensare assolutamente che all'affondare nella volpe, marcarlo, averlo completamente. Si stava giusto rendendo conto che forse lo aveva ferito, ma Tuuli non sembrava in chissà quale dolore. Era piuttosto rosso in faccia, ma sorridente... divertito. Si era tolto la catenina d'argento e stava cercando di aprire una piccola bottiglietta che vi dondolava.

Lo lasciò fare, afferrandogli piuttosto una coscia candida per controllare se l'aveva ferito. Non l'aveva penetrato, ma in un certo senso lo voleva fare... era un istinto indiscutibile il suo. Però se il passaggio era cosi stretto... magari bagnandolo un po’ poteva aiutarlo. Si inchinò a leccare l'anello stretto di muscoli, sentendo la volpe ansimare dalla sorpresa.

In un secondo momento fu lui a trattenere il sospiro, sorpreso altrettanto. Tuuli lo stava toccando, dita agili spalmavano una manata di liquido fresco sul suo sesso rigido. Alzò lo sguardo, mordendosi il labbro per contenere la voce. La volpe aveva aperto quella bottiglietta esotica ed un olio netto e trasparente che profumava di vaniglia ora luccicava sulla sua erezione, appiccicandone alcuni peli bianchi. In una situazione normale Ilja si sarebbe chiesto come mai la volpe la possedeva e se quella sostanza fosse nociva alla salute, ma allora come allora non poté pensarci affatto. Lo bacio lungo la coscia che teneva ancora in aria, e le sue labbra accarezzarono il pacco della volpe. I suoi occhi, normalmente grigi, ormai erano quasi completamene d'oro.

Guardando e sentendolo amministrare le sue parti più intime con la lingua, Tuuli cercò disperatamente di mantenere la calma. Portando la bottiglietta al sedere, versò il resto del contenuto dentro di sé. Pregò Saya che questo olio di Namida fosse tanto buono quanto diceva Blix, anche perché non poteva certo aspettare oltre. Anche se per una notte soltanto, voleva sentire questo lupo venire dentro di sé, questo sbiancato con la coda corta e gli occhi d'oro... "Dai..." sussurrò "mettilo dentro ora..." (*la dea prende i pop-corn felice ndSaya)

Ma Ilja esitò. Baciò prima quell'entrata, umida e scivolosa ormai, assaggiando il dolce sapore dell'olio. Con gesta calme scalò lungo il suo corpo, poi, vi piantando un bacio dopo l'altro, finché non arrivo a sfiorare le labbra. Forse... forse adesso un po’ capiva suo zio. Quando aveva scoperto che il suo amante era un uomo, non riusciva a capirlo affatto, essendo stati allevati tutti e due nel desiderare alle femmine affinché potessero dare eredi. Ma anche se, in fondo, Ilja non aveva mai veramente voluto una femmina come voleva Tuuli, non pensava fosse una questione di genere. Erano gli occhi quelli che l'avevano attirato a sé, l'odore esotico, il fare talmente diverso, forte e giocherellone. L'insieme di tutto quello che era.

Lo baciò profondamente, posizionandosi. Scavalcando una coscia e tenendo l'altra in aria gli si spinse contro con grinta. Ancora baciandolo, si ritrovò ad inghiottire un urlo di sorpresa, staccando poi le labbra dalle sue, preoccupato, ma completamente incapace di fermarsi a questo punto: la punta era scivolata all'interno.

Tuuli cercava di respirare regolarmente. Sopra di lui, Ilja vegliava con un'espressione per metà perplessa e per meta completamente estasiata. Non gli faceva poi così male finché restava concentrato a rimanere rilassato. Bastava placare le rivulsione condizionata che cercava di spingere fuori l'intrusione. Però che sensazione indescrivibile, quella di sentire qualcuno muoverglisi dentro...! Era intrigante come, nonostante di razze diverse, il suo corpo continuasse ad accogliere l'eccitazione del lupo.

Dopo quello che sembrava un eternità, ma dovevano essere minuti, Ilja chiuse gli occhi. "E... dentro..." informò la volpe, cercando di riprendere fiato. Non si era nemmeno reso conto di averlo trattenuto.

Accarezzandolo con i sui occhi di ghiaccio, caldi ormai, Tuuli dovette sorridere. Era bellissimo, così, con muscoli tesi e quei capelli bianchi come la neve scompigliati e appiccicati sulle guance dal sudore. Poteva sentire ogni muscolo sul suo corpo, teso e pronto a continuare l'escursione. C'era qualcosa di indomabile in quel lupo, qualcosa che però ora si chinava a lui, un affetto intento a farlo stare bene. Gli venne voglia di stuzzicarlo, pizzicare quel suo lato indomabile, ora che finalmente era dentro di lui per eccellenza. Lo prese per i gioielli di famiglia, muovendo i fianchi per sentirlo gemere basso nella gola. "Sì... ti sento"

Il lupo non poteva più starsene fermo, nemmeno se fosse stata questione di vita o di morte. Muovendo i fianchi affondò nella volpe, volte e volte ancora, sempre più vigorosamente, cercando di mantenere la sanità. Stava facendo l'amore. Per la prima volta. Con la creatura più incredibile che aveva mai visto in vita sua. Chissà perché i lupi e le volpi si odiavano tanto, sembrava tutto così triviale tra le braccia di Tuuli...

"Forza" ansimò la volpe muovendosi per accogliere i suoi assalti, sentendolo penetrare sempre più profondamente, "... più forte!" Gli sembrava che con ogni spinta l'erezione dentro di sé si ingrandisse, esplorandolo a fondo. Ma non gli bastava mai. Iniziò a spingersi verso il lupo, ignorando i risuoni che la loro pelle nuda continuò a fare. Decise che sarebbe anche potuto arrivare a dipendere dalla sensazione di essere riempito così, continuamente.

Attirando a sé la coscia della volpe, Ilja ne bacio il ginocchio. Per un momento aveva quasi perso l'equilibrio e quando sembrò averlo ritrovato, si sbatté dentro da un angolo migliore, o almeno cosi pensava, perché di colpo, Tuuli sembrò impazzire di piacere, attirandolo a se con dita trasformate in unghie.

"Si!" gemeva, senza un controllo "Oh Saya~ si!" (Ma perché non urla il mio, di nome? =_= Nd_Ilja Stai zitto e scopa, vedrai che arriva anche il tuo turno. ^.~ Nd_Kitsu Si, continua che se no ti meno! >o< Nd_Tuuli o.o||| Nd_Ilja o_O; Mazza, sei un uke mostruoso, Tuuli... Nd_Kitsu Tale uke quale autrice, cara mia! ^_^ Nd_Tuuli Gh~ !!...touche'. =.=;;;; Nd_Kitsu O_O ma non il mio nome… su urla nome di Ili-chan ndSaya_con_popcorn)

Era di nuovo duro, gocciolando quel fluido trasparente, prova di quanto eccitato fosse veramente. "Toccami" ansimò, senza fiato, occhi blu tinti della più pesante delle passioni, "vienimi dentro...dai!" E, come infiammato dalle sue parole, anche se piuttosto incredulo che il volpino le stesse dicendo per davvero, Ilja l'afferrò per la vita, tenendolo fermo per muoversi e penetrarlo a piena forza. La sensazione era insopportabilmente deliziosa, così intensa da esplodergli dal ventre attraverso tutto il corpo, estinguendo ogni traccia di pensiero. Stava cercando di massaggiarlo sul membro eretto, ma non riusciva a tenere il ritmo con l'incredibile senso di essere avvolto cosi strettamente, volte e volte ancora, sempre più intensamente.

Ormai sbatteva i fianchi sui suoi senza alcuna ragione, uscendo fluidamente fino alla punta per poi infilarsi di scatto sino alla radice, sempre più forte. Lo vide aggrapparsi al fieno, cercando di reggere quel ritmo assurdo, invano. L'ultima cosa che registrò il lupo fu che stava per venire. Per la prima volta stava venendo completamente immerso dentro qualcun'altro, un qualcuno senza il quale non avrebbe più voluto vivere senza svegliarcisi accanto.

Un flusso caldo, quasi bollenti, colpì Tuuli appieno e subito dopo i movimenti di Ilja si rallentarono, spruzzando dentro di lui sempre di meno, finché il lupo non gli crollò addosso. Era una sensazione piacevole, calda... completa in qualche modo. Tutto quello che mancava era che lui non era ancora venuto. Voleva giusto toccarsi, quando il lupo scivolò lungo il suo corpo, uscendo fuori da lui, e prese in bocca il suo membro duro.

"N~ a- Il... jaa~" gemette, afferrandolo per il capo. Le labbra del lupo erano rilassate e lo prendevano in bocca completamente. Iniziò a muoversi quando il volpino gli si spinse dentro, esclamando il suo nome con tutta la sua voce, per poi venire violentemente e perdere coscienza a causa di quel susseguirsi di momenti paradisiaci. Altro che la sua mano sotto le coperte, pensò ritornando lentamente in sé, cellula dopo cellula, respirando a pieni polmoni come se stesse rinascendo.

Ilja stava giusto lappando le ultime gocce del suo succo personale,che gli erano scappate, quando i loro occhi si incontrarono. Quelli di ghiaccio di Tuuli, completamente sciolti per via della sensazione provata, sorrisero al lupo, che teneva le braccia aperte per invitarlo a sdraiarsi accanto a lui. E, abbracciandolo, Ilja distese il suo capotto sopra di loro. I suoi occhi, di nuovo grigi e pesanti, si chiusero in un baleno, facendogli abbracciare un sonno intenso e senza sogni.

Anche Tuuli stava per soccombere, ma non prima di sussurrare al soffitto della stalla. Se con l'alba si fosse svegliato da solo, sarebbe comunque stata una notte che avrebbe tenuto con affetto nel cuore. Accoccolandosi al lupo, pensò al fratello che tanto gli aveva vietato di fare l'amore; cosa avrebbe fatto se l'avesse saputo? Che faccia avrebbe fatto nel trovarli così? In un certo senso non gli importava più. Vidar ormai era lontano, pensava.

Forse valeva per la parte fisica, ma nel pensiero, Vidar era accanto a Tuuli.
Abbracciato da lenzuola di seta nella sua dimora a Kaikei, dove le quinte brezza danzava nel venticello mattiniero, il presidente di Zaisan pensava al suo adorato fratellino. Dov'era, cosa faceva? Il suo sguardo notturno si posò sulla bottiglia di vino sul comodino, riflettendo i raggi del Hionyx che sfuggivano alle quinte dense. Con un sospiro pesante abbracciò la figura dormiente accanto a se e posò un bacio affettuoso tra i suoi mossi capelli color fuoco.

Dopo la vigilia del terzo giorno del trattato, Zaisan e Tani si sarebbero svegliate in guerra.

* * * * *

La mattina seguente non fu affatto romantica. Una volta svegliatisi, i due ragazzi non seppero dove guardare o cosa fare con le mani. In un certo senso era come se la notte scorsa fosse stata solo un sogno avuto in comune, che suscitava domande e dubbi riguardo ciò che riservava loro il futuro.

Ilja si alzò a vestirsi e Tuuli pensò di fare altrettanto, ma appena si mise a sedere un dolore straziante lo fece irrigidire sul posto. Mordendosi il labbro per non vocalizzarlo, fissò il pavimento un po’ allarmato. Era tutto bene, li sotto? Ora che si era seduto, sentiva un fluido denso fuoriuscire dal suo posteriore e pregò Saya che fosse il succo del lupo e non sangue. Tardava ad alzarsi perché temeva di scoprire se le sue preghiere fossero state inutili. Infondo, però, ormai quel che era fatto era fatto. Sangue o meno, si rendeva conto che comunque non poteva spendere la sua vita seduto su quel fienile. Non era certo scappato da Zaisan per mettere radice a un miglio dal confine.

Con i pantaloni allacciati e la camicia abbottonata a metà , ad Ilja sfuggì un occhiata verso la volpe. Si era appena alzata e stava inginocchiato ad ispezionare il fieno con dedicazione, ancora nudo, coperto solo dalla camicia aperta. La curiosità ebbe la meglio su di lui e i suoi stivali di pelle lo portarono al suo fianco. Una volta visto l'oggetto dello studio, però, arrossì imbarazzato. Quelle dita esili stavano esaminando il fieno sporco del suo sperma, ormai scremato, panna bianca aromatica.

Notandolo, Tuuli lo guardò in alto, stupito ed estasiato allo stesso tempo. "Ma ti rendi conto?" chiese, sorridendogli.

Ilja non sapeva dove guardare. Arrossendo a più non posso strinse i pugni, desolato. "Scusa"

Il volpino si alzò a guardarlo, inarcando un sopracciglio. Per cosa si stava scusando quello sciocco di un lupo? Per essergli venuto dentro? Ma era stato lui stesso a chiedergli di farlo! "No, non intendevo biasimarti!" ridacchiò "Intendevo dire che era la mia prima volta e non c'e traccia di sangue!" Ignorandolo, poi, perché la sue mente si era già fissata su altre questioni, andò a raccogliere la bottiglietta vuota, trovandone accanto anche il tappo. Profumava ancora di vaniglia.

Tutto d'un tratto seppe cosa fare e dove andare. Quel dubbio pesante era sparito con la luna e con la culla della notte. Si rimise l'anfora attorno al collo, vestendosi lentamente per non sentire dolore. Doveva fare attenzione a come muovere la coda, perché con essa si muovevano anche i muscoli doloranti del suo sedere. Allacciato e avvolto negli abiti, si girò a guardare il lupo bianco, sorprendendolo a contemplare il fieno sul quale avevano fatto l'amore. Era inespressivo, pensieroso.

"Ilja?" lo chiamò, lasciandogli il tempo d'alzare quegli occhi grigi-nebbia su lui. Gli doleva dirlo, ma era meglio avere i patti chiari, piuttosto che dei rimorsi e dubbi. I tre daregar li guardavano dal loro angolo, annusando l'aria fresca della mattina nella stalla semi- buia. Era una mattina come tutte le altre, una nella quale il mondo rinasceva e girava come lo aveva sempre fatto , inesorabilmente. Anni dopo, comunque, il popolo lo avrebbe riconosciuto come un giorno importante.

"Ilja" il volpino sorrise lievemente, ma era un sorriso vago, lasciando spazio a un'espressione gelida e seria, mentre quei occhi di zaffiro divennero nuovamente di ghiaccio. "Mi hai aiutato a raggiungere la superficie in cambio della navigazione. Mi hai curato, mi hai salvato la pelle, rischiando la tua stessa vita, e per questo te ne sarò eternamente grato" sospirò pesantemente, guardandolo solennemente. "Non ho più né metodi, né diritto di trattenerti, perciò il nostro patto d'amicizia termina qui"

Le spalle del lupo si tesero, anche se la sua espressione non mutò, tanto era inespressiva. "Gli amici non fanno quello che abbiamo fatto la notte scorsa"

Arrossendo lievemente nel ricordarsi l'espressione passionale del lupo, così intensa come non l'aveva mai vista da quando l'aveva conosciuto, Tuuli posò lo sguardo per terra. "Sarà anche vero" sospirò "ma io parlavo della decisone fatta in partenza..."

"La vita non si può decidere in avanti!" ringhio il lupo di punto in bianco, mentre la su solita inespressività veniva tradita dalla rabbia che gli bolliva dentro. Cosa pretendeva quella volpe? Che si girasse e lo lasciasse lì, magari ringraziandolo per la bella notte passata? Se era così che facevano a Zaisan, era grato d'esserne uscito.

La sentenza scosse Tuuli. Alzò lo sguardo, incredulo di se stesso. La sua fuga era incominciata proprio perché suo fratello cercava di costruirgli la vita davanti a lui. Ma se era fuggito da quel controllo totalitario... perché cavolo ora lo stava imitando? Era arrabbiato per essere stato il secondo a notare un suo difetto, specie quando il primo era quel lupo. In un certo senso lo feriva il doppio quando Ilja sembrava pensare male di lui.

"Non intendevo questo!" voltò indietro, scoprendo i canini, anche se sapeva bene che in quanto ad un affronto fisico non avrebbe avuto speranze di vincere. "Stavo solo dicendo che abbiamo raggiunto la meta prestabilita e..."

Il suono di una tromba militare scosse entrambi. Si guardarono in silenzio per un sorpreso istante, scattando poi insieme verso la porta. Ilja la raggiunse primo e la aprì di scatto. La luce fortissima accecò il volpino. Gridando dal dolore, Tulli si coprì gli occhi indietreggiando nella stalla per ripararsi nelle ombre. Preoccupato, Ilja si girò verso di lui, vedendolo inciampare e cadere all'indietro. Fu in un baleno al suo fianco, reggendolo tra le braccia e ispezionandogli il capo, ma gli sembrava che non l'avesse sbattuto molto forte. "Cos'hai?" gli chiese con ansia palpabile nel tono della sua voce.

"La...la luce!" mormorò il volpino con denti stretti dal dolore. Se solo cercava di aprire gli occhi, strane macchie d'inchiostro danzavano dappertutto. Era come se quella luce invadente, così incomprensibilmente chiara, gli avesse scottato la via sino al cervello. Sentì delle lacrime macchiargli il viso e sperò che esse avrebbero placato almeno un po’ il bruciore dei suoi occhi.

Ilja sentì dei passi, di cavallo e uomini armati, passare accanto alla porta aperta della stalla, ma non l'allarmarono quanto fece la voce bassa ed autoritaria che sentì.

"Avanti, appena raggiunto il confine accampatevi!"

Sgranò gli occhi, gelato sul posto. Era... ma come poteva esserlo? ... non era possibile che ~ ... eppure ne era certo. Quella che aveva sentito era la voce del braccio destro, e amante, dello zar. La delegazione di guerra era lì, al confine, alle sue costole, e con tutta la forza militare. Ma in fondo era logico... gli ambasciatori di tutte le razze erano a Namida, come anche Sasha. Se c'era il lupo dai capelli argentei allora suo zio non avrebbe agito di testa sua... mandando Belo che era noto per portare a termine ogni richiesta assurda dell'amante.

"Comandante" chiese una voce più umile, sconosciuta a Ilja. Doveva essere un qualche soldato. "Attaccheremo all'alba?" Le loro voci sembravano allontanarsi e morire tra i passi che echeggiavano nel granito della strada, ma Ilja sentì comunque la risposta.

"Solo se non ci consegnano il nipote dello zar."

Il mondo sembrò tremare sotto i suoi piedi alla realizzazione. Abbracciando la volpe, che piangeva in silenzio, pregò Saya di vegliare con occhi attenti su di lui. La libertà era davvero un desiderio tanto impossibile?

Senza muoversi, aspettò che i passi morissero nel silenzio, quando l'armata dello zar attraversò il villaggio continuando per la strada che portava alle montagne che confinavano con Zaisan. Solo allora ritrovò il dono della voce. "S-stai bene?" Chiese alla volpe, afferrandola per le spalle per farla sedere. Quegli occhi di ghiaccio lo guardavano attenti, muovendosi e cominciando a guardarsi intorno, rossi per lacrime, ma la volpe sembrava vederci ancora.

"Lo spero" deglutì Tuuli, ancora aggrappato a lui. I colori erano così forti anche nel ombra! Non osava nemmeno pensare a come sarebbero stati alla luce. Già, la luce! Aveva visto la luce di Saya. L'aveva scottato, ma era bellissima, più pura del Cuore della Dea, più brillante, accecante persino. Tutti i popoli vedevano quella luce a volontà, magari senza nemmeno accorgersi della sua bellezza, mentre alle volpi ciò non era dato? Blix si era abituata, però. E se lei ci era riuscita, anche lui ce la poteva fare, no? Magari un giorno avrebbe potuto vederla per davvero.

Ilja lo alzò in piedi. Lo vide prendere le loro spade e appendersi poi la borsa con le razioni attraverso la schiena. Gli venne, poi, vicino di nuovo, sfiorandolo con un sospiro, sfilandosi la sciarpa che portava. Con mani gentili, gli avvolse il capo aprendo le sue orecchie e mettendo gli occhi in ombra gli occhi e Tuuli dovette ammettere che era molto più facile guardarsi attorno ora.

"Tieni la coda nascosta nel mantello, intesi?" gli ordinò, ma Tuuli aveva altro per la testa.

"Cosa stavano dicendo quelle voci?" volle sapere, sentendosi di nuovo tirato verso la porta. Chiuse gli occhi d'istinto quando sentì la luce intensificarsi. Non aveva altra scelta se non aggrapparsi alla mano del lupo, una sentinella in quel mondo fatto di luce.

Ilja guardò avanti per la strada. C'era poca gente per via del freddo e le orme sulla neve fresca della strada, centinaia o migliaia, rendevano la strada ancora più inquietante, deserta in quella mattina d'inverno. Tirò la volpe sulla strada dietro di sé, avanzando a passi lungi e svelti nella direzione opposta alle montagne. "Era la delegazione di guerra di mio zio" disse con voce solenne "Attaccheranno Zaisan perché mi pensano prigioniero delle volpi"

Il volpino piantò i piedi per terra facendolo fare una brusca fermata. Annoiato perché aveva quasi perso l'equilibrio sul ghiaccio della strada, Ilja si girò e ringhiò sottovoce. "Che cosa c'è ora?"

Tuuli rimase serio e composto. "Perché i lupi arriverebbero a portare un battaglione al confine e attaccare uno stato ascoltando quello che dice tuo zio?" Non gli piaceva quello che la sua mente stava cercando di insinuare...

"Perché mio zio è lo za ~..." Ilja lo guardo un po’ perplesso, per poi rendersi conto che ormai si era rivelato da solo. Infatti aveva parlato ancor prima di pensarci, tutti i suoi pensieri erano rivolti a come lasciare il villaggio senza suscitare sospetto. Dannazione alla volpe. "È lo zar"

"Quindi ~ fammi ricapitolare" deglutì Tuuli, evidentemente rosso in viso anche se avvolto da quella sciarpa "ho minacciato, riscattato e scopato il successore al trono di Tani. In pratica ho appena commesso un reato internazionale" (... il tuo prossimo esame è Diritto Pubblico, vero? =_=; Nd_Tuuli Scusa tesoro, mi è sfuggita... XD Nd_Kitsu se non dice Saya che è un reato… non è un reato u.u amare non è mai reato ndSaya)

Ilja sbatté gli occhi in stupore, arrossendo un po’ di volta sua. Aveva proprio una linguaccia questa volpe, delicata solo quando serviva, mentre di natura era apparentemente alquanto tagliente. "Ma cosa dici, scemo" l'osservò con un piccolo sorriso stupito stampato in faccia "Ero scappato da solo"

Ma Tuuli non si lascio dissuadere. "Questo è quanto pensi tu" ribatté, una mano sul fianco e l'altra posata ad accarezzarsi il mento, pensieroso di punto in bianco. "Sono sicuro che se tuo zio non avesse avuto nulla da ridire, non avrebbe portato con sé tutta quella forza militare... sono in molti, vero? Sarà servita mezz'ora di marcia affinché passassero tutti..."

"Saranno sui diecimila, penso..." sospirò il lupo, cercando di tirarselo dietro come prima. Erano troppi per loro e lui non aveva la minima intenzione di affrontare Belo a quel punto, né tantomeno Cherno, come neanche Lara e le nozze disgraziate... no, era meglio lasciarsi tutti dietro e cavarsela da soli. Che diano pure prova di essere adulti e intelligenti visto che se ne vantavano così tanto... "Non sono comunque affari tuoi, non più. Hai lasciato dietro la tua patria, ricordi?"

Tuuli restò comunque sul posto, cocciuto. "Sono affari miei eccome!" gridò, liberandosi il polso dalla mano del lupo "Io sono il fratello del presidente Ketonnen e quindi..." il suo tono si placò in un sussurrò pensieroso, zittendosi dando vita ad un'idea tutta sua.

"E quindi?" deglutì Ilja. Cavoli, cos'era, il giorno delle rivelazioni?

"Quindi..." la volpe sorrise astutamente. Forse Tuuli non se ne rendeva conto, ma in quel momento era più simile a suo fratello come non mai, ma una cosa era certa: non si vergognava di più fare parte della famiglia, anche se essa conteneva solo due membri. Due dei quali, magari, non si sarebbero rivisti mai più. "Dobbiamo trovare un corriere"

* * * * *

Qualche ora dopo, alla dogana (legittima) che confinava Tani e Zaisan, era stata costruita una capanna militare provvisoria. Ad ogni parte dell'entrava vegliavano un soldato di ciascuna razza, una volpe e un lupo. I loro sguardi si incontrarono e in un certo senso capirono che anche l'altro non era lì per scelta propria, ma mantennero lo stesso le loro posture. Il trattato prima della guerra era un evento importante da sorvegliare.

Nella capanna, seduto su una sedia di legno a un tavolo improvvisato, un lupo bianco guardava la figura rossa seduta di fronte a lui. Era alto, con spalle larghe e dense pupille grigie che si diceva si accendessero in oro quando era arrabbiato. Era vestito con un'armatura nobile ma pesante, elegante e generalmente inquietante, sottolineando il fatto che era più che pronto all'assalto. Il fatto che non fosse armato, però, tranquillizzava Peteri.

Il segretario del presidente, al contrario, indossava le sue tipiche vesti da ufficio: uno smoking nero su una camicia bianca a collare largo, con un foulard di seta blu fatto a fiocco. Non era né vistoso, né provocante, ma piuttosto elegante e composto. Dentro, però, lo era un pochino meno di quanto desse a vedere. Accanto ad ogni rispettivo delegato sedeva un notaio. Di fronte ai due delegati mandati dai regnanti, però, c’erano due sfere che brillavano.

Da esse, poco dopo, emersero due figure. Una era vestita regalmente nel proprio ufficio, ed aveva un grande petto sul quale era poggiata la fascia degli zar. La seta bianca era in netto contrasto con la i capelli neri e gli occhi scuri come la notte del lupo, che con le braccia incrociate fissava di fronte… il presidente Vidar, che stava seduto comodo dietro la propria scrivania fissandolo, nascondendo la propria paura di non riuscire a fermare la guerra che stava per iniziare.

"Non vedo cosa ci sia da discutere, i patti erano chiari" rombò Cherno, deciso e notevolmente irritato, anche se la riunione era incominciata da pochi minuti. "Io non sono come mio padre. Se pensa di potermi trattenere qui a chiacchierare e a perdere tempo finché non mi arrenda si sbaglia di grosso" si appoggiò dietro sulla scrivania intrecciando le mani sul petto, armate di strisce di metallo dorato.

Vidar rimase impassibile all'imitazione e al commento. "Io, talvolta, non ho seguito per filo e segno le inclinazioni politiche di mia madre, perciò vedrò di arrivare al punto al più presto possibile" riprese fiato. Se anche fosse andava male, aveva comunque l’appoggio del proprio compagno, Peteri, che la sera prima gli aveva detto, guardandolo dritto nei occhi, senza nessuna esitazione, che credeva in lui e che sapeva che avrebbe fatto di tutto pur di preservare la pace che sua madre con difficoltà aveva ottenuto dallo zar precedente.

Posò gli occhi sul sovrano di Tani, calmi, blu e rassicurati. Ecco che apriva un varco al suo primo trattato di pace. "Voi ci sostenete colpevoli, ma le vostre fonti sono scorrette" gli disse passandogli un foglio riempito da una fitta scrittura nera. "Non erano volpi quelle che i vostri testimoni hanno visto, ma Briganti..."

Lo zar lesse il foglio con una velocità incredibile. Di primo impatto Vidar pensò che non l'avesse letto affatto, ma quando egli aprì bocca, si rese conto che quel lupo dai lunghi capelli neri, raccolti in una treccia che gli riposava sulla spalla per poi scendere lungo il fianco del suo vestiario bianco e d'oro, non era affatto un barbaro, anzi. Era intelligente e capace. Inoltre gli sembrava sinceramente arrabbiato.

"Sua madre aveva promesso che avrebbe messo fine a questa etnia nomade" disse il lupo.

"Questa etnia" continuò Vidar, un po’ scosso, ma lo stesso composto, "è formata da esseri misti, per metà volpi e per metà lupi, per questo si rifiuta di cooperare sia con noi che con voi" alzò il mento, attento a non sospirare.

"Comunque vive nel vostro territorio, quindi rimane un problema vostro... o almeno avrebbe dovuto rimanere vostro..." ringhiò il lupo, con le sopracciglia nere e dense inarcate in una premessa di vendetta. "ma visto che sapete chi è stato a sequestrare mio fratello, mi auguro che in tre giorni avrete anche avuto la grazia di andarlo a prendere..."

Vidar si appoggiò allo schienale della sedia. Doveva rilassarsi, ce l'avrebbe fatta, doveva solo avere fede nella Lacrima... come ce l'aveva sua madre. "Sospettiamo che tra i Briganti ci siano anche dei veggenti di Seimei, perché non appena la lettera dell'accusa è arrivata a Zaisan, loro se la sono filata a gambe levate" continuò a guardarlo, seriamente calmo. "Abbiamo cercato sia a Kaikei, sia nelle gallerie e lungo tutta la strada che le separava, ma.."

Cherno sbatté tutti e due i pugni sul tavolo. "Non ho intenzione di veder tornare i miei soldati a Riji a mani vuote" disse con voce impassibile, calma e odiosa "Troverò mio nipote a costo di doverlo andare a cercare personalmente!" Vidar sapeva più che bene cosa significava quello. "Non ho la minima intenzione di..."

Il campanellino che avevano posato fuori dalla porta per le emergenze esterne lo interrupe. Si sorprese parecchio, così Vidar ne approfitto per pronunciare un "avanti", ringraziando Saya e tutte le divinità sotto di Lei per questo intervento divino.

Entro la guardia dei lupi, desolata, anche se faceva solo il suo dovere. "Era un corriere dal villaggio" disse al suo sovrano "mi sono permesso di disturbare la riunione perché aveva questo... per Voi, sire" Diede in mano a Belo un foglio arrotolato con, al posto della benda, un anello regale argenteo, identico in forma a quello dorato che portava lo zar. Portava il simbolo regale di Tani. L'aprì consapevole che Cherno lo stava osservando; quello era l'anello regale di Ilja. Senza quel segno non era che un lupo qualsiasi in tutta Tani.

La guardia si girò poi verso Vidar, sorprendendolo quando consegnò una busta a Peteri, che la prese tra le mani e, con lanciando uno sguardo verso il presidente, l’aprì di scatto, per poi innalzare un oggetto e farlo vedere alla volpe, che era ologrammata. Il giovane presidente sgranò gli occhi, era quell'anfora tanto odiata, appesa a una catenina d'argento, il tappo era caduto, rivelandola vuota, ma ancora luccicante dall'olio che vi era stato contenuto. Incredulo continuò a fissarla. Questo significava che...che Tuuli...

Non si rese nemmeno conto d'essersi girato da un’altra parte, quando la voce dell'amato lo richiamò e si girò verso di lui. "Signor presidente... c'è una lettera all'interno..."

I fogli tra le mani dei due delegati sparirono e comparvero tra le mani del presidente e dello zar. Era qualcosa di strano, ma nessuno osò chiedere cosa fosse successo, eppure lo zar capì di chi era stata la magia appena compiuta.

Vidar prese il foglio tra le mani e stava per aprirlo, ma lo zar già aveva deciso e disse, macabro di punto in bianco, riportandolo all'atmosfera della riunione: "Ci ritiriamo" e, senza un'altra parola, la sua immagine scomparì nella sfera, che si spense.

Vidar guardò Peteri alquanto sorpreso, senza capire, ma quando lesse la lettera indirizzatagli, tutto si chiarì.

* * * * *

Al tramonto il sole non era più così battente e Tuuli riuscì ad ammirarlo per la prima volta in vita sua. Il sole era incomprensibilmente rosso, come se fosse avvolto da una coperta di fuoco, e dipingeva il cielo di un arancione scuro, che sempre più scuro finché non si perse nel blu denso che abbracciava le stelle, frammenti di Hionyx transitanti per la galassia. Era il suo primo tramonto fuori dall'abbraccio della terra ed ogni singolo che avrebbe visto da quella sera in poi l'avrebbe riempito di pace. Avrebbe imparato ad amare quel preciso momento del giorno, perché sarebbe risultato uno dei più sicuri e solidi fondamenti della vita che sarebbe fiorita attraverso le più varie avventure.

"Ci vedo" mormorò al lupo, che stava camminando accanto al daregar sul quale stava seduto, facendogli strada per la strada coperta di neve. Gli occhi grigi di Ilja sembravano ancora più densi in quel buio calante, dove tutta la natura perdeva colore. Il lupo, comunque, non si girò a guardarlo, ma continuò a camminare per la strada, avanzando verso ciò che pareva a Tuuli essere un incrocio.

Era incantevole come lì ci fosse così tanto spazio, però, nonostante ciò, c'erano strade rivestite di pietre e di granito dove la gente passava, senza girarsi né a sinistra, né a deastra. Avevano così tante scelte, così tante possibilità, e non se ne rendevano nemmeno conto. Tuuli aprì una dozzina di fogli piegati. Erano mappe del mondo, simili a quelle che aveva visto nella biblioteca di Kaikei. Allora aveva pensato che quelle fossero state disegnate solo a metà, indicando soltanto il mare e le strade, con i paesi e le loro capitali, perché, appunto, le volpi stavano sottoterra, ignare di tutto ciò che non riguardava loro o Zaisan, ma la realtà era un'altra, come spesso succedeva: in verità nessuno, nemmeno la gente dell'esterno, sapeva cosa ci fosse oltre le strade percorse fin dall'antichità.

Arrivarono all'incrocio e Ilja gli diede i remi del suo daregar, una splendida belva bianca che avevano comprato assieme al fratello grazie all'astuta manipolazione di Tuuli, perché il mercante non se ne voleva proprio separare. Il fratello in questione era una belva grigia come gli occhi del suo nuovo proprietario. Avevano comprato un'altro zaino e diviso le razioni, oltre che averne comprate delle nuove, fresche. Ilja si rimise in spalla la sua nuova borsa, allacciando la spada gigantesca, ormai infilata in una veste nuova, con i simboli di Tani e Rinji sciolti per essere dimenticati nel passato. Salì in groppa al suo daregar, accarezzandolo.

Il denaro per comprare tutto il necessario, questa volta, era dovuto a Ilja. Il volpino se ne stette in disparte, scioccato da come un piccolo anello d'argento, che il lupo teneva nascosto sotto la pelliccia dello stivale destro, potesse avere così tanta importanza. Quello che comprò dai contadini, lo fece annotare e timbrare con quell'anello, cosicché, quando sarebbero venute raccolte le tasse, quel contadino avrebbe pagato di meno. Sembrava una tattica molto efficace, e tutti i mercanti furono contentissimi di servirli.

Si guardavano così, ognuno sul suo destriero, in un tramonto che infiammava tutto ciò che toccava, neve, alberi, cuori. Era un silenzio fitto che voleva chiudere la faccenda quella mattina, perché, in un certo senso, il loro sembrava un addio.

"Bene" sospirò Tuuli "grazie di tutto" Avrebbe voluto dirgli grazie per averlo salvato, per averlo amato, per esistere. Un lupo bianco dagli occhi grigi che diventavano oro, che favola che era sembrata, come quelle che gli leggeva Blix prima di andare a letto quando era piccolo. Ma quelle favole finivano sempre con un lieto fine. La loro, invece, sembrava una ballata, un po’ come quella della Dea. Cosa diamine era andata a fare Kitsune sotto terra? ... forse anche lei, come Ilja, era andata dove l'aveva la curiosità?

Ilja restò a guardarlo, ormai vestito in pelle anche lui, senza nessuno traccia di quella seta vistosa. Era comunque ancora avvolto nella sua sciarpa e il lupo non aveva certo intenzione di richiederla indietro. "Dove andrai?" gli chiese, la sue voce, bassa e dolce, danzò nel venticello, che anticipò la notte ormai prossima.

Tuuli sorrise. I suoi gelidi zaffiri si posarono per terra, sulla la neve che il suo daregar stava pestando. "Voglio raggiungere Namida" disse alla fine "ho sentito tanti racconti su quel posto...specie sul suo clima caldo" Ridacchiò, ma si sentiva triste. Non voleva ancora dire addio al lupo. L'idea che il mondo fosse tondo e che, prima o poi, tutte le strade si rincontrassero, non lo consolava più. Se pur vera, non diceva quanto era grande il mondo o quanto tempo ci sarebbe voluto per vedersi di nuovo.

Alzò lo sguardo verso il lupo, coperto di pellicce varie come un guerriero delle montagne, ma calmo e rispettoso. Onorevole. "Cosa...hai scritto allo zio nella lettera, Ilja?" chiese a quegli occhi grigi "non mi pare che tu abbia potuto spiegare la situazione nelle due righe che gli hai mandato..."

Ilja continuò a guardarlo, impassibile. "... niente di ché. Di farsi gli affari suoi e di non lasciarsi abbindolare da mia madre"

Tuuli si morsicò il labbro. Più loquace di così il lupo non potava certo essere, lo sapeva bene che stava mentendo e che, invece, quelle parole valevano per lui. Era vero, doveva iniziare a farsi gli affari suoi. Anche perché, da quel giorno in poi, ne avrebbe avuti tanti altri se voleva scoprire il mondo aldilà delle strade... ma un grande affare sarebbe stato come dimenticare Ilja. Non aveva mai pensato di potersi innamorare in cosi poco tempo.

Girò il daregar verso la strada che portava a Sud, affrettato tutto d'un tratto. "Stammi bene allora, eh?" gridò, partendo al galoppo senza nemmeno girasi. Era meglio così, in fondo finché stavano insieme litigavano soltanto, giusto? Sbagliato. Litigavano finché non si capivano. Non erano comunque fatti l'uno per l'altro, sennò perché Saya li avrebbe fatti nascere di razze diverse, giusto? Sbagliato. I Briganti erano detti figli di lupi e volpi, perciò un amore come quello non era cosa nuova... ma allora perché avevano dovuto intraprendere strade diverse, alla fine?

Erano lacrime pesanti quelle che gli scesero lungo le guance, ma Tuuli continuò a ripetersi che stava bene. Che era stato solo l'inizio quello, che il mondo era bello e ansioso di specchiarsi nei suoi occhi. Che c'erano deserti d'oro e foreste di smeraldi e fiori di un rosso più intenso dei rubini. Che c'era il cielo più blu degli occhi di Vidar e che c'era tutta la vita, tutto il tempo del mondo, di fronte a lui. Cercava di credere in tutto ciò, ma in quel buio calante tutto quello che vedeva di fronte a sé era una notte fredda senza Ilja.

"Tuuli!"

Si girò sempre al galoppo, vedendo il lupo galoppare per raggiungerlo. Ma cosa diamine voleva adesso? Non gli sarà mica venuto dietro per riprendersi la sciarpa? Perché, se così fosse, lui voleva tenerla. Almeno quella gli sarebbe rimasta accanto, ma il suo daregar aveva già perso velocità e sarebbe stato raggiunto, decise, perciò, piuttosto di pensare a scappare, pensò d'asciugarsi le lacrime traditrici.

Il daregar di Ilja si era appena accostato al suo quando il lupo bianco afferrò la volpe per il viso e la baciò con passione. Si aggrappò a lui e rispose d'istinto, ma Tuuli non riusciva a capire... cos'era? Venuto a prendere il bacio d'addio? Poco a poco i daregar si calmarono del tutto, fermandosi nel mezzo di un bosco di pini fitti e con cappucci di neve che riflettevano la luna calante.

Ilja indietreggio dal suo viso abbastanza per guardarlo. "Gli ho detto che non sarei più tornato" disse, senza fiato, asciugando con le dita le ultime tracce delle lacrime da quelle ciglia lunge e umide. Quegli occhi gelidi lo guardarono con muta disperazione e le mani della volpe lo tennero stresso a sé con pugni stretti nel suo cappotto. "Gli ho detto che me ne andavo" continuò accarezzandogli il viso "... che me ne andavo via col Vento."

La volpe non reagì. Sembrava che stesse aspettando qualche soluzione alternativa, perché quello che aveva appena detto il lupo non aveva tanto senso...

"Via col Vento, Tuuli" sorrise Ilja "via con te..." stava per baciarlo di nuovo, quando uno schiaffo violento gli fece perdere equilibrio dalla sorpresa e lo fece cadere nella neve, a faccia stupita ingiù. Il daregar grigio si scansò da lui. Girandosi a guardare di nuovo la volpe, Ilja dovette ammettere che non aveva mai visto qualcuno così arrabbiato e contento allo stesso tempo.

"Potevi dirlo che avevi intenzione di venire con me!" gridò il volpino, rosso in faccia dalla rabbia per essere stato giocato in un modo così banale. "Cosa diamine volevi ottenere con uno scherzo del genere?!" Un gufo vicino decise che sarebbe meglio svegliarsi ad andare a caccia un po’ prima, perché tanto non sarebbe riuscito a dormire con quel fracasso.

Ilja si mise a ridere. "Era per tutte le bugie che mi hai detto" rise, prendendo fiato, "a partire da quella che le volpi non dormono mai..."

Tuuli arrossì ancora di più dalla rabbia. "Sei un gran pezzo d'idiota, lo sai?" ringhiò, partendo di nuovo al galoppo e lasciando il lupo a ridere nella neve.

E fu così che nacquero due dei più grandi esploratori del mondo di Saya. Viaggiarono in lungo e in largo, cercando sentieri che nessuno aveva mai percorso prima, trovando meraviglie che nessuno aveva mai scoperto. Lasciarono a chi li avrebbe succeduti delle mappe e dei racconti ricchi e unici, immortalando su carta tutte le bellezze di quella terra da favola. E, anni dopo, quando ritornarono a riabbracciare i loro rispettivi parenti, notarono che quella stalla non c'era più. Magari era crollata, magari l'avevano abbattuta di proposito, ma le ragioni non importavano affatto. Le memoria c'era ed era quella che importava davvero.

Fine.

Kitsu: *sfinita che dorme sulla tastiera*
Tuuli: ... Ma... sarà morta?
Ilja: *sfiora Kitsu con un bastoncino* Se sta male, mi spiace ma non la lecco. u.u
Tuuli: O_o; ma che cazzo dici?
Vidar: Svegliatela! Sciagurata! >o<
Peteri: Si- signor presidente... si calmi per favore!! (g).(g) *agganciato al braccio*
Vidar: Incapace! Deficiente di una femmina! >O< Non hai messo niente di salato e piccante per quanto mi riguarda! *prende Kitsu a calci*
Kitsu: *si sveglia, terrorizzata, nascondendosi tra le braccia di Arnika* I miei PG mi menano... TT_TT
Arnika: Eh già, la vita e dura, tesoro! ^_^ *l'accarezza*
Vidar: Mamma, consegnamela per favore, =_= devo menarla finché non scriverà quello che deve.
Kitsu: TT3TT non voglio scrivere di te, sei antipatico. Piuttosto m'interessa Lara e come mai é venuta alla luce...
Ilja: *sfiora Lara con il bastoncino* Se sta male anche lei, mi spiace di nuovo, ma non lecco nemmeno lei. *determinato* u_u
Tuuli: o_x; ma la vuoi finire?
Lara: Er. ^.^;; Non mi offendo mica. Io sto meglio solo quando Blix passa a vedermi...
Kitsu: Guarda che Blix è PG di Saya, non te ne infatuare prima di saperne cosa ne pensa la proprietaria, OK? o_o;
Cherno: Donna! Mi hai fatto sembrare un tiranno!! =____=
Kitsu: bhe.... si... ma guarda il lato positivo; hai una treccia da far sbiancare d'invidia Duo di Gundam Wing! *^_^*
Cherno: *sgrunt* =_____=
Kitsu: Vabbè, lamenti a parte, mettetevi in coro, così non la facciamo troppo lunga, visto che siamo comunque in ritardo...
Tutti: *ignorano*
Kitsu: .... Peteri? Un aiutino? ^_^;
Peteri: Oh? Si, certamente! *si gira verso gli altri* Signori? Vi mettete in coro per favore? *(^).(^)*
Tutti: *si mettono in coro senza ripetizioni*
Kitsu: TToTT||| non mi rispettano nemmeno un po’... sono una dea fallita...
Peteri: Pronti? Allora tutti insieme! *(^)o(^)*
Tutti: BUON COMPLEANNO, SEME-SAYA! TI AUGURIAMO TANTI BELLE FIC SCRITTE E LETTE!
Vidar: ... gia, e che siano più piccanti di questo. =.=
Ilja: *sfiora Saya con il medesimo bastoncino* Però se la divina Saya sta male, lei magari la leccherei... *_*
Tuuli: =o=; ...farò finta di non averlo sentito...
Kitsu: 45 pagine.... mah. Alla fine devo dire che questa fic può essere la più intelligente che io abbia mai scritto... o.o;;; Bhe, in ogni caso; FEEDBACK X FAVORE!
Saya: Adesso sono pagine 46 dopo che ci ho messo mano anche io… o meglio sono ancora 45 ma di più perché prima con tutto il siparietto erano 45 adesso sono 45 e mezzo…
Brishen: ma startene zitta
Saya: tu non c’entri qui vattene… cmq non sono vostro seme, sono solo seme di kitsu… e la ringrazio per questa bellissima fic *glomp kitsu*


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