Disclaimers: This characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

Ficcina per le feste divisa in sotto capitoletti…..fra le parentesi i pensieri reali dei protagonisti...

Ecco i titoletti….

*Uno strano incontro

*Il sorriso del manichino

*Una vetrina da …riempire

*Quando chi deve far desiderare desidera (e chi deve stare fermo si muove)

*I pensieri di un manichino

*Non plastica ma pelle (ed un cuore)

*Collezione inverno….collezione amore

 


...


Vetrine

di Mel



 

***Uno strano incontro***

 

 

 

Una mano delicata sistemò un po’ il collo del maglione.

Ripiegato a quel modo non si vedeva l’ elegante fila di perlina che impreziosiva l’ intreccio di rossa lana.

 

Quella mano nivea proseguì.

Aggiustando un lembo piegato, stirando con attenzione le numerose pieghe di quella gonna a grossi quadri scozzesi.

Scendendo in basso, tirò su una delle calze mentre lasciò così com’ era l’ altra, per darle un’ aria casuale e alla moda.

 

Le stesse dita bianche e lunghe, affusolate e dal gusto preciso, posarono infine lì accanto un piccolo biglietto.

 

 

 

‘Offerta promozionale **** yen’

 

 

 

Il ragazzo dai capelli d’ ebano si alzò, osservando compiaciuto il manichino che aveva appena finito di vestire.

Gli addobbi rosso fuoco, che aveva sparso sulle strette pareti, sottolineavano decisi al centro la figura femminile, fili argentati pendevano come stelle cadenti, l’ oro e il bianco creavano uno sfondo suggestivo contro il quale, il rosso, risaltava ricordando a chiunque passasse quale fosse il colore del Natale.

 

 

Il ragazzo annuì soddisfatto ed uscì dalla vetrina che aveva finito di allestire.

 

Quello il suo lavoro.

Preparare vetrine.

Renderle desiderabili allo sguardo.

 

Assicurare anche al proprio piccolo negozio la sopravvivenza.

 

Molti suoi conoscenti avevano fallito.

Le multinazionali continuavano a spadroneggiare, aprendo catene e catene di enormi centri commerciali, invitando con promesse lusinghiere di saldi e sconti continui le persone alla ricerca della convenienza.

 

E molti piccoli negozi tipici, non potendosi permettere ulteriori riduzioni di prezzo, senza disporre di altri capitali che non fossero quelli privati o addirittura pensionistici, fallivano miseramente sotto le ridenti, ghignanti luci al neon delle insegne dei grandi magazzini.

 

Uno dopo l’altro aveva visto  molti commercianti chiudere, arrendersi, perdere nell’ infame competizione del business.

Anziani signori, tranquille vecchiette, giovani pieni di speranza.

 

Senza più lavoro ormai.

 

Ma lui era riuscito ad andare avanti.

Aveva resistito anche quando la temuta costruzione del centro commerciale all’ angolo si era conclusa.

Il primo mese non aveva guadagnato niente.

Ma aveva scommesso con sé che ce l’ avrebbe fatta.

 

Se le multinazionali potevano permettersi contabili e pubblicitari di grande fama, lui avrebbe messo a frutto i suoi studi.

 

Aveva iniziato a prestare attenzione alla disposizione dei capi in vetrina, al loro accostamento, alla precisione degli addobbi.

Troppo spesso le vetrine di quei poveri commercianti erano state trascurate, si erano come…ingrigite….sempre uguali a sé stesse, prive ormai di qualsiasi fascino e attrattiva.

 

Ma lui non poteva perdere.

 

Aveva pensato, studiato, provato.

 

Oramai conosceva i gusti della clientela e rimaneva attento alle loro esigenze.

Alle esigenze di quanti più clienti possibile.

 

Ecco allora che non promuoveva sempre i capi per giovani, variava, spaziando dal classico all’ elegante, fino al casual.

Inseriva collezioni maschili, esponeva sempre i prodotti di migliore qualità, gli stili più recenti, pochi particolari che tutti insieme attiravano sempre  gli sguardi.

 

Se un capo costava troppo tendeva a non mettere in primo piano il suo cartellino, accentuava l’ interesse dei passanti creando vetrine a tema, ispirandosi spesso alla natura, alle stagioni, fino anche a settimane in cui si era lasciato ad ispirazioni orientaleggianti o hi-tech.

 

Era un ragazzo che non si perdeva d’ animo.

Riutilizzava ogni materiale.

Aveva un’ intelligenza creativa straordinaria.

 

Ed un buon gusto veramente notevole.

 

Ogni particolare veniva curato, osservato e analizzato.

Per rendere al meglio.

 

Per catturare gli sguardi.

 

Per assicurargli almeno un altro mese di affitto, per sé ed il proprio gatto.

 

E s’ impegnava.

Sfruttava ogni materiale, ogni idea, ogni possibilità.

 

Cambiava la vetrina anche più di una volta a settimana.

Sapeva creare aspettativa nei passanti che, spesso costretti a fare quella strada per andare al lavoro, osservavano incuriositi la fantasia al di là di quel sottile vetro e cominciavano ormai a domandarsi cosa dovessero aspettarsi il giorno dopo.

 

E molti di quei passanti poi trovavano il tempo di entrare.

E quello che non riusciva a fare la vetrina lo faceva lui.

 

I suoi sguardi di ringraziamento valevano più di mille sorrisi d’ ipocrita cortesia.

 

I suoi occhi azzurri come il cielo d’ estate conquistavano la fiducia.

 

 

 

A sei mesi dall’ inaugurazione del nuovo centro commerciale il suo negozietto al centro della vecchia strada era ancora aperto.

 

 

 

Nel poco tempo libero che aveva aiutava altri commercianti a preparare le loro vetrine.

Di poche parole, ma disponibile.

Così dicevano di lui.

 

Ed era così corteggiato poi.

Tutte le ragazze che lo vedevano sembravano innamorarsi di lui.

Lo cercavano al negozio e per farsi notare compravano spesso e volentieri qualche abito.

 

Sospiravano per uno sguardo, facevano a gara ad aspettare l’ apertura della sua piccola boutique, portavano amiche e conoscenti.

 

Ma lui non le trattava con troppo riguardo.

Aveva deciso di farcela.

Ma con il merito della propria bravura, non con quello della propria bellezza.

 

Voleva clienti serie, interessate ai vestiti che acquistavano non ai suoi occhi.

 

Era umiliante per lui avere il negozio pieno di ragazzine petulanti.

Tutte loro certo non perdevano tempo a guardare com’ era allestita la sua vetrina, cercavano subito lui, tentavano di salutarlo, di scambiarci più del solo e unico ‘Grazie e arrivederci’ che lui riservava loro per pura cortesia.

Quel ragazzo dai capelli neri voleva una clientela affezionata al suo negozio, non alla sua bellezza.

La bellezza se ne sarebbe andata prima o poi.

Se non faceva qualcosa per donare una fama alla propria boutique come poteva sperare di riuscire a resistere negli anni a venire?

 

Si sarebbe svegliato solo e vecchio un giorno, senza il suo negozio.

Senza una ragione.

Sì, perché era quella la sua ragione di vita.

 

Amava il suo piccolo negozio.

Sì, quel bellissimo vetrinista amava il suo lavoro.

 

Avrebbe dato il meglio di sé.

 

 

Perché Kaede Rukawa dà sempre il meglio di sé.

 

 

 

***

I giorni passavano.

Il suo nuovo lavoro lo soddisfaceva.

Il ragazzo dai fili rossi si passò una mano fra i capelli, sospirando.

 

Guadagnava ancora troppo poco.

Come poteva sperare di pagare tutte le spese?

 

Era rimasta solo lui, della sua intera famiglia.

 

Non si compativa certo, ma sentiva un grande vuoto.

Attorno a sé.

In sé.

 

Si strinse nelle spalle e continuò a camminare, le mani affondate nelle tasche.

 

Fra poco sarebbe stato Natale.

 

Si sorrise, dicendosi che almeno lui, al contrario di tutti gli altri, non avrebbe speso neanche uno yen per festeggiarlo.

 

Sì, perché festeggiarlo, quando non hai nessuno con cui dividerlo?

A chi sorridere?

A chi fare gli auguri?

Con chi brindare ascoltando il riso argentino dei bicchieri che si toccano?

 

Era solo ormai, da un bel po’.

 

Le feste non avevano per lui alcun significato.

Il Natale era solo un periodo di cui approfittare per lavorare un po’ di più.

Per mettere da parte i soldi, per non avere tempo libero durante il quale ricordarsi di essere solo, per non aver nemmeno un momento per guardarsi attorno e vedere le famiglie felici che passeggiano sotto la neve che cade solo per loro e che si riflette nei loro occhi felici.

 

Erano solo pochi giorni da passare senza voler pensare.

 

Affondò le mani nelle tasche alla ricerca di calore contro il gelo degli aliti di vento e si strinse nella sciarpa.

L’ unica che sapeva donargli un po’ di tepore.

 

Alzando il viso incontrò la luminosità di una vetrina.

Si avvicinò, sembrava un piccolo sole tanto erano abbaglianti quelle piccole luci, riflesse sapientemente da miliardi di goccioline d’ oro che rivestivano i grandi nastri a fiocco.

 

Al centro il manichino di una ragazza si ergeva, curatamene vestito di lana rossa e dorata, più in basso un manichino di ragazzo le stava appoggiato alla gamba.

 

Lui dai capelli rossi si accostò ancora un po’ di più al vetro

Che strano che era quel manichino accucciato in basso.

 

Strano e ..bellissimo.

 

Capelli neri, sicuramente di ottima qualità, sembravano veri e morbidi anche attraverso il vetro.

Occhi azzurri, intensi.

Difficile crederli dipinti.

 

Sembravano così profondi…e vivi.

 

Lui dai capelli color del tramonto appoggiò le mani contro la vetrina, voleva vedere meglio.

 

Osservare con cura quel bellissimo manichino.

Il più bello che avesse mai visto.

 

Nel gelo dell’ aria invernale il suo respiro caldo scivolò sul vetro appannandolo.

Con un angolo della sciarpa Hanamichi lo ripulì.

 

 

 

Fu un istante e gli occhi di quel manichino perfetto si girarono ad incontrare i suoi.

 

 

 

Il ragazzo dagli occhi nocciola si staccò dalla vetrina con uno scatto spaventato, mentre un sussulto lo scuoteva.

 

 

“Oh Kami è…è..vivo”gridò quasi

 

 

Il manichino dagli occhi azzurri si alzò, osservando un attimo il ragazzo spaventato davanti al vetro poi scese dalla vetrina sparendo nel negozio, cercando di nascondere agli  occhi di tutti un sorriso e di soffocare una risata.

 

 

La prima di una vita intera.

 

 

Mentre Hanamichi correva via per le strade.

 

 

 

 

***Il sorriso del manichino***

 

 

 

Pochi giorni.

Le feste si avvicinavano a grandi passi.

Dietro al suo bancone Kaede ripensò allo spavento di quel ragazzo dagli occhi enormi.

Lo aveva creduto un manichino e quando lo aveva visto muoversi si era preso paura.

 

Che buffo.

 

Con gli occhi sgranati, di quel nocciola dorato così simile al colore dei fiocchi nella vetrina, con quei capelli dalla ciocche rosse, nascosti da un berretto, le labbra socchiuse per lo spavento, coperte appena dalla sciarpa pesante.

 

Sorrise nuovamente, da solo.

 

Se ne accorse meravigliandosene poi il suo pensiero volò ai prossimi giorni.

Sarebbe dovuto rimanere aperto fino a tardi per poter sperare di competere con i centri commerciali.

Avrebbe dovuto lavorare duro.

Ma ce l’ avrebbe fatta.

 

 

***

 

Hanamichi si chiuse la porta alle spalle.

 

Che paura si era preso!

Quegli occhi di ghiaccio si erano girati lentamente verso i suoi , incrociandoli.

 

Abbassò lo sguardo, sospirando.

 

 

Che cosa cavolo ci faceva un manichino vivo in una vetrina????

 

 

Il sottile dubbio che non fosse un manichino lo sfiorò il giorno seguente quando passò nuovamente davanti a lui e alla sua vetrina.

 

Il suo datore di lavoro aveva cambiato sede.

Per andare a lavorare il ragazzo dai capelli rossi avrebbe dovuto fare quella strada almeno fino a Capodanno.

 

Non aveva mai fatto caso al piccolo negozio in mezzo alla via, fra le grigie pareti dei palazzi vecchi.

Pensava, con tristezza, che oramai tutti i negozi artigianali avessero chiuso dopo l’apertura del nuovo centro commerciale.

 

Invece quel piccolo negozietto c’ era ancora.

 

 

La mattina dopo Hanamichi passò presto per quella strada, camminando lontano dalla vetrina, quasi sull’ orlo del marciapiede, spiò attraverso il vetro con la coda dell’ occhio.

 

Il manichino era lì, intento a sistemare nuovamente la sua vetrina, le mani alzate a sistemare fili pendenti, in punta di piedi per raggiungere i ganci più alti.

I capelli ancora più neri di quanto li ricordasse, gli occhi di mare fissi e decisi.

 

Certo che era un bellissimo manichino.

 

Hanamichi si mormorò un’ offesa.

Che sciocco era stato a scambiare il vetrinista per un manichino.

Sicuramente la sera prima lo aveva visto mentre sistemava gli ultimi particolari vicino alle gambe della figura femminile ancora esposta.

 

I suoi occhi, disubbidienti alla sua volontà, si soffermarono qualche secondo di troppo ed incontrarono nuovamente quei lapislazzuli dalla forme allungate, belli e profondi come la prima volta che li aveva visti.

 

Un lieve rossore si diffuse sotto la bella sciarpa che copriva il viso di Hanamichi ed il ragazzo dai fili di porpora si allontanò velocemente.

 

 

***

 

La neve ancora non si decideva a scendere.

Il cielo grigio continuava ad annunciarla, ma lei preferiva far aspettare i suoi piccoli uomini, per acuire il loro desiderio.

Si faceva attendere come se stesse aspettando qualcosa.

Un evento che la rendesse degna di scivolare fino alla terra per magnificarne la superficie.

Avvolgendo tutto in un manto di pacifica purezza.

 

Il tempo sembrava rincorrersi sul calendario.

Saltando ore vuote e solitarie per poi arrestarsi a guardare anch’ esso quel ragazzo strano, dalla sciarpa sempre troppo grande, dagli occhi sempre troppo nocciola, dallo sguardo sempre troppo curioso che passava lì davanti.

La mattina ed il primo pomeriggio.

 

Sempre alla stessa ora.

 

Kaede si ritrovò a sorridere ancora una volta.

Lo guardava di proposito, per vederlo imbarazzato, rideva di nascosto notando come camminasse sempre molto più vicino all’ orlo del marciapiede che non alla sua vetrina.

 

“Do’hao…- mormorò fra sé -…..la mia vetrina non morde……”

 

 

 

***

 

Si guardavano attraverso quel vetro né spesso né sottile.

Ogni giorno, due volte.

 

Hanamichi morse la sciarpa tirandosela più su con la bocca, non aveva nessuna intenzione di tirare le mani fuori dalle sue calde tasche.

 

Il cielo s’ incupiva qualche minuto prima ogni sera in più che passava.

Le giornate estive si lasciavano rimpiangere.

Il profumo eterogeneo di vento caldo ed odori di fine primavera che spazza la strada, che risale sui muri e si fa respirare ad occhi chiusi.

 

Un brivido di freddo lo scosse leggermente.

Qualche altro mese.

 

E poi di nuovo estate.

 

Affrettò il passo, il vento si stava alzando, ma portava gelo, non il suono delle cicale.

La luce di una vetrina lo colpì.

 

Quella vetrina.

 

Rallentò percettibilmente l’ andatura.

Si allontanò dal vetro preferendo il sottile bordo del marciapiede e senza poterselo impedire alzò lo sguardo.

 

Il manichino dai capelli neri era dietro al suo bancone, lo sguardo rivolto alla strada, a lui.

 

Hanamichi si allontanò, dicendosi che l’ averlo visto sorridere lievemente e mormorare qualcosa era stata tutta immaginazione.

 

Troppo tardi per ingannarsi.

Quel sorriso di manichino gli era rimasto dentro.

 

***

 

Kaede lo vedeva passare, lo sentiva.

Quasi con fare programmato alzava lo sguardo verso la strada nel momento in cui lui passava.

 

Gli era rimasta dentro l’ immagine di quel ragazzo.

 

La mattina, mentre il rossino passava presto per la via, Kaede saliva nella sua vetrina e cominciava a sistemarla.

Avrebbe sempre potuto sistemarla più tardi o la sera prima.

No.

Si riservava quei momenti ogni mattina, alla stessa ora.

Per potersi avvicinare con discrezione alla strada.

 

Per poterlo vedere e sentirsi sulle labbra il sapore di un sorriso.

 

C’ era stato un giorno in cui non lo aveva visto arrivare.

Si era attardato nel sistemare un cartellino ingannando sé stesso.

Ma non lo aveva visto arrivare.

 

Era stato un giorno triste.

Nessun sapore sulle labbra.

 

 

Come si può sorridere senza motivo?

 

 

La mattina dopo era lì, in punta di piedi nel piccolo spazio della vetrina, ad addobbarla nuovamente.

 

E lui era passato.

 

Che buffo.

 

Decidere se è o meno una bella giornata solo per un ragazzo che passa sulla strada e ti sorride da sotto una sciarpa troppo grande.

 

 

 

***

 

Quella sera era stanco.

Troppi pensieri.

 

Il loro datore di lavoro li aveva avvertiti.

 

Se volevano continuare a lavorare per lui  si sarebbero dovuti accontentare di quello che poteva pagarli.

 

Ma lui come poteva sperare di farcela con quei pochi spiccioli?

 

Scosse la testa e abbassò il viso mentre le luci artificiali lo illuminavano.

Capì un attimo dopo che quella che aveva passato era la vetrina di quel negozio.

 

Troppo preso dai suoi pensieri per guardare attraverso quel vetro come ogni volta.

Troppo tardi per tornare indietro.

 

Dispiaciuto andò via lentamente.

Con addosso anche il peso di non aver sorriso a quel finto manichino.

 

***

 

Non lo aveva guardato.

Il viso basso, la testa china, immersa in chissà quali pensieri.

 

Kaede sospirò impercettibilmente.

 

Che sciocchezza.

 

A lui poi cosa importava?

 

Era solo un ragazzo che faceva quella strada.

Non gli doveva importare d’altro.

 

Né di quanto buffo e tenero sembrasse.

Né di quanto dolce fosse il sapore di un sorriso che solo quel ragazzo gli aveva fatto sentire sulle labbra.

 

Sapeva solo che il periodo delle feste era alla porte ormai.

Aveva bisogno di impegnarsi, di trovare il modo di attirare i clienti.

 

Voleva assicurarsi una vittoria anche quella volta.

 

***

 

Il giorno dopo.

Un continuo via vai di persone, nonostante il freddo i marciapiedi erano invasi.

E lui dai fili rossi fendeva quella massa di gente gioiosa, camminando quasi controcorrente.

 

I suoi problemi aumentavano.

Erano arrivate le bollette e l’ affitto da pagare.

Tutto insieme.

 

Non ce l’ avrebbe  fatta.

 

Sospirò.

 

In lontananza vide la vetrina.

Si disse che la sera prima era stato veramente un maleducato.

Si sarebbe dovuto ricordare del saluto che doveva a quello strano vetrinista.

Invece non aveva alzato lo sguardo, non lo aveva cercato.

 

Se ne vergognava perché nonostante tutto li aveva sentiti scivolare su di sé quegli  occhi, anche se non aveva guardato.

 

Salutarsi con uno sguardo e dei sorrisi nascosti.

Che cosa buffa.

 

Il buongiorno ed il buonasera più strani che avesse mai ricevuto.

 

In fin dei conti era un’ abitudine piacevole.

 

Sapere che un bellissimo manichino vivo ti regala un buongiorno con gli occhi ogni mattina.

 

Sorrise per incoraggiarsi e si avvicinò con circospezione.

 

Il piccolo negozietto era pieno.

Così pieno da far pensare che solo un’ altra persona lo avrebbe fatto scoppiare.

 

Il suo manichino era intento a servire molte persone.

 

Non poteva avere sguardi per lui.

 

Lentamente Hanamichi iniziò ad andarsene.

Se lo meritava.

 

Fu con la coda dell’ occhio che lo vide.

 

Uno sguardo rivolto a lui.

 

Lo aveva immaginato?

 

Fu un attimo.

Si accostò al vetro, come la prima volta.

 

E attraverso quella sottile lastra li vide.

 

Occhi azzurri rivolti verso di lui, attraverso tutte le persone che affollavano il negozio, attraverso tutti i colori, attraverso la vetrina stessa.

 

Uno sguardo, un saluto.

Come se non esistesse altro attorno se non l’ importanza di scambiarsi quell’espressione.

 

Poi il suo respiro appannò il vetro ed il ragazzo dai capelli rossi si perse il bellissimo sorriso del bellissimo manichino.

 

 

 

 

 

*** Una vetrina da …riempire***

 

 

 

Perché non provare?

 

Se lo era chiesto tante di quelle volte in quelle poche ore da perderne il conto.

 

Poteva essere la soluzione.

La bolletta dal gas parlava chiaro.

Conversava di notti passate al freddo se qualcuno non avesse pagato, mentre l’ avviso dell’ affitto discorreva di giorni senza un tetto sopra la testa.

 

 

Hanamichi si fece coraggio ed uscì.

 

 

***

 

Kaede finì di spazzare il pavimento di legno del suo negozio.

Alzò lo sguardo all’ orologio e tornò al suo bancone.

 

Era primo pomeriggio oramai.

E quel ragazzo sarebbe passato fra pochi minuti.

 

Lo aveva visto il giorno prima.

Esattamente come la sera del  loro primo incontro.

 

Appoggiato al vetro, lo sguardo stupito, il respiro caldo contro la sua vetrina.

 

Appoggiò un gomito sul legno, la guancia sulla mano.

Come in attesa (da quanto?da sempre?)

 

Un istante dopo il piccolo campanellino sopra la porta annunciò l’ entrata di un altro cliente.

Che seccatura.

Sperò solo di sbrigarsi.

Non voleva che qualcuno lo distraesse, si sarebbe potuto perdere il momento in cui lo avrebbe visto passare.

 

 

Lentamente Kaede si girò fino ad incontrare gli occhi del suo cliente.

Un paio di occhi nocciola che conosceva così bene.

 

 

 

Quel ragazzo che passava per la strada era entrato da lui.

 

 

 

 

***

 

Ora che era lì doveva farsi coraggio.

Portò una mano alla sciarpa, ma non la abbassò.

Doveva farlo se voleva parlare, ma preferiva tenerla.

Ora  il rossore del suo viso era troppo evidente per pensare di toglierla.

 

Se ne imbarazzò ancora di più mentre con voce bassa mormorava.

 

“S-salve”

 

 

Kaede lo guardò velando la propria sorpresa.

La sua voce.

 

Sentiva la sua voce.

 

La trovò bella.

E calda.

 

 

“Buonasera, cosa desidera?”rispose quasi automaticamente

 

Hanamichi lo fissò, gli occhi dorati  lievemente vergognosi.

 

 

“I.io mi chiedevo …se……..avevi..bisogno di una mano in negozio……nel pomeriggio….”

 

 

Un lavoro.

Cercava un lavoro.

 

 

Kaede sospirò senza farsi udire.

 

Era……delusione quella che sentiva in fondo al petto……?(sentimento mai provato, difficile riconoscerlo)

In un istante si chiese cosa avrebbe voluto sentirgli pronunciare……..

….in un altro istante si rispose che non lo sapeva…..

…e che poi non gli importava….(le bugie invece le riconosceva, ma sapeva ignorarle ormai)

 

Gli occhi grandi di quel ragazzo aspettavano timidi una risposta.

 

Ma lui si sarebbe potuto permettere un dipendente?

 

“Se non è così …non importa…...”mormorò distrattamente Hanamichi

 

Aveva girato per tutta la città, aveva letto tutti gli annunci e le offerte, ma non aveva trovato niente.

Niente di niente.

 

Ed ora anche la sua ultima possibilità si era estinta miseramente.

Si strinse nelle spalle.

 

Beh, in un modo o nell’altro se la sarebbe cavata.

 

Kaede lo guardò senza dire niente.

 

In un istante un miliardo di pensieri lo avevano attraversato.

La tentazione di assumerlo si era violentemente dovuta scontrare con la realtà del fatto che probabilmente non se lo sarebbe potuto permettere.

Non aveva che un guadagno di poco superiore alle spese e doveva mantenere sé ed il proprio gatto.

 

Assumerlo sarebbe stato un rischio.

 

Lo vide iniziare ad andarsene ed ancora non  aveva trovato qualcosa da dirgli.

Lo osservò un istante e rivide in un lampo quella sera in cui lo aveva visto passare a testa china davanti alla sua vetrina, triste.

 

Che fosse quello il motivo per il quale quell’ unica sera si era dimenticato di salutarlo?

 

La necessità di un lavoro che non riusciva a trovare?

 

Non sapeva perché, ma gli aveva fatto male non vedere i suoi occhi, non sentire il suo sguardo quella sera.

 

E qualcosa gli diceva, gli gridava, che se non lo avesse aiutato forse una mattina, sistemando la vetrina, si sarebbe accorto di non vederlo più passare.

Mai più.

 

Era questo che voleva?

Perdere il buongiorno più buffo e dolce della sua vita?

 

Le sue labbra fermarono dunque quel ragazzo.

 

 

“Va bene…….domani presentati puntuale….alle due”

 

 

***

 

Era ancora mattina.

Il tempo scorreva quieto.

Troppo lento, quasi.

 

Kaede sistemò ancora una volta la vetrina.

 

Lo aveva visto passare.

Come sempre.

 

Ed ora aspettava il pomeriggio.

 

Sapeva già cosa voleva farci con lui.

A cosa sarebbe servito.

 

Nel cercare il materiale si fece dunque pomeriggio.

 

 

***

 

Hanamichi varcò la porta facendo trillare nuovamente il piccolo campanellino.

 

Kaede lo guardò, nascose un sorriso vedendolo ancora avvolto nella sciarpa e si avvicinò.

 

“Allora…cosa devo fare?”chiese il ragazzo dai capelli rossi

 

Kaede si trattenne dal ridere.

 

“Beh…tanto per cominciare potresti toglierti la sciarpa”

 

Hanamichi arrossì imbarazzato e scoprì il viso ed il lieve colore rosato che lo imporporava.

 

“Bene, adesso seguimi, penserai da solo a toglierti tutti gli abiti”

 

Hanamichi avanzò di un passo poi si fermò.

 

“….togliere…..gli abiti?....”

 

Kaede gli piantò sul viso i suoi occhi stupendamente seccati.

 

“Certo, cosa credi ti pagherò a fare?”

 

Hanamichi arrossì ancora, ancora, ancora fino a sembrare un’ unica, imbarazzata, macchia rossa.

 

Kaede avanzò facendogli strada.

Il ragazzo dai capelli rossi  s’ impuntò, rifiutandosi di seguirlo.

 

“Forse …non …….io ti avevo chiesto un lavoro come aiutante in negozio……non certo…un…..”

 

“Allora ti muovi?Devo allestire la vetrina dopo”

 

Hanamichi raccolse tutto il proprio coraggio e si avvicinò per affrontarlo, per fargli capire che lui non si vendeva e che c’ era stato sicuramente un equivoco.

 

“Io non sono quel genere di persona…io….”

 

“Hn….si può sapere che stai dicendo…..?”

 

“Io….io…non  faccio certe cose a pagamento……..insomma…..”

 

Kaede alzò pericolosamente irritato un sopracciglio.

 

 

 

“Allora hai intenzione di lavorare o devo trovarmi un altro manichino?”

 

 

 

Un attimo di sorpreso stupore.

 

“…..manichino?.......”

 

 

“Tsk……certo ..cosa credevi……?”sbuffò Rukawa

 

 

 

“Io……gli  …abiti….avevi detto di toglierli …..pensavo tu …volessi……io….”

 

 

Kaede sorrise malizioso.

“Ah….capisco…….credevi forse che ti avessi preso per un gigolò di strada?”

 

Hanamichi arrossì nuovamente, senza riuscire a dire niente.

 

“Che do’hao che sei……..io non sono il tipo di persona che cerca compagnie equivoche ……..ricordalo”

 

 

Un attimo ancora e Kaede sparì nel retrobottega.

Ad Hanamichi non restò che seguirlo.

 

 

Il ragazzo dai capelli neri gli consegnò dei vestiti.

La nuova collezione inverno.

 

Poi uscì.

 

Qualche minuto dopo Hanamichi si presentò nel negozio, sotto l’ esame attento del suo datore dagli occhi blu.

 

 

“Gira piano su te stesso”mormorò Kaede

 

Un maglione a collo alto, di lana grossa, grezza, perfettamente aderente a quelle forme che Kaede aveva immaginato perfette fin dalla prima volta in cui lo aveva visto.

Pantaloni neri di velluto, che fasciavano stretti sui fianchi per poi ricadere morbidi sulle gambe fino ai piedi, coperti solo da calzini rossi come la maglia ed i capelli.

 

Gli occhi attenti di Rukawa scorrevano su quella figura, lentamente, con cura e precisione.

Soffermandosi su ogni più piccolo particolare.

 

Con calma Kaede si avvicinò a lui.

Inginocchiandosi a terra prese a sistemare la piega dei pantaloni, risalendo lungo le gambe fino all’ orlo della maglia, troppo  spiegazzato per i suoi gusti.

 

Hanamichi arrossì ancora una volta.

Ma scrutando l’ espressione seria e concentrata di quello sguardo rimase in silenzio.

 

Il ragazzo dai capelli neri risalì ancora, sfiorando con dita precise il colletto, dandogli una forma perfetta, incontrando, una volta alzati gli occhi, quelli caldi e imbarazzati del suo manichino.

 

“Adesso va bene”mormorò solo Kaede

 

Hanamichi sospirò sentendolo allontanarsi ed alzò il viso per chiedere.

 

“Adesso lo posso togliere?Non vorrei rovinarlo…….”

 

Kaede, che si era girato verso la vetrina, riportò lo sguardo blu ghiaccio su di lui.

 

“Togliere?”chiese enigmatico

 

“Si…..ora che hai visto come sta su una persona….”

 

“Tsk, non te lo toglierai fino a stasera”

 

Hanamichi lo guardò perplesso.

 

“Vuoi che serva i clienti vestito così……?”

 

Un attimo di silenzio.

 

Hanamichi sembrò riflettere, parlando da solo.

 

“In effetti…così chi entra può vedere anche la collezione inverno maschile ……non è una cattiva idea….non c’ è che dire ‘sto  manichino è furbo come una volpe……”

 

Kaede non poté evitare di sorridere.

Alzò lo sguardo su di lui.

Su quel ragazzo che faceva strane congetture, una mano sotto al mento, quegli abiti perfetti su di lui, la lana rossa che riprendeva il colore dei suoi magnifici capelli e che sottolineava con la sua grana grossa la semplicità del nocciola dei suoi occhi.

 

Perse il sorriso….ed un respiro.

 

Si avvicinò.

 

“A servire i clienti penso io ….il tuo posto è là”mormorò Kaede indicandogli la vetrina

 

 

 

 

 

 

“I.o……..ii.o….in ……………………………………………in….vetrina?”

 

 

 

 

 

Kaede annuì e si allontanò nuovamente.

 

Un paio di minuti dopo Hanamichi ancora fissava sconvolto il suo datore e la vetrina, la vetrina ed il suo datore.

Alternativamente.

 

 

“Allora?”chiese spazientito Kaede

 

 

Hanamichi lo guardò, con i suoi occhi enormi.

 

 

“Vuoi fare di me ….un manichino vivo che spaventa la gente attraverso la vetrina come te quella sera…..?Ma  non basti tu come manichino?” *

 

 

Rukawa si portò una mano alla fronte, esasperato.

 

Ma quant’ era do’hao!

 

Kaede si avvicinò ancora una volta.

Sottolineando le sue parole con un tono basso e serio.

 

“Primo non devi spaventare nessuno, secondo io non sono un manichino, terzo ed ultimo se non ti sbrighi ti licenzio e cerco un do’hao meno do’hao di te da mettere lì dentro. Muoviti!”

 

 

Un attimo solo e Hanamichi si decise a salire nella vetrina con Rukawa.

 

“Cosa devo fare?”chiese agitato il ragazzo dai capelli rossi

 

“Niente, proprio niente…devi restare fermo e farti guardare da chi passa”

 

“Fermo??!”

 

“Immobile”sottolineò lapidario Kaede

 

Hanamichi sospirò.

Non sapeva se ci sarebbe riuscito.

 

“Ci proverò”

 

“Si, proviamo…avanti… vieni avanti, appoggia una mano alla parete, con l’altra prendi il braccio della ragazza, incrocia i piedi….bene, rimani così…io scendo in strada”

 

Kaede uscì in strada e si fermò a qualche passo dalla vetrina.

Osservando le due figure in rosso.

 

Il manichino della ragazza e lui.

 

Perfetti.

 

Se non fosse stato per lo sguardo fisso ed attento su di sé di quel ragazzo.

 

 

“Non devi fissare i passanti, li spaventerai”sibilò irritato Kaede

 

Hanamichi seguì i movimenti di quelle labbra arrabbiate.

Anche senza sentire cosa diceva poteva capire che si era arrabbiato

 

Lo seguì mentre Rukawa ritornava nel negozio.

 

“Andava bene?”chiese lo stesso Hanamichi, speranzoso

 

 

“Certo che no, do’hao, se segui i passanti con lo sguardo li farai fuggire, ricordati che sei un manichino, non devi guardarli, sono  loro a dover guardare te”

 

 

Hanamichi arrossì poi sorrise.

Immaginò un istante i passanti curiosi che si avvicinavano alla vetrina e si ritrovavano il suo sguardo vivo addosso.

Chissà come sarebbero fuggiti di corsa.

 

Senza trattenersi scoppiò a ridere.

 

“Cos’hai da ridere adesso?”

 

Il ragazzo dai capelli rossi sollevò due occhi divertiti e lucidi di lacrime d’ ilarità.

 

Una visione che strappava almeno un sorriso, se non di più.

 

***

 

Quel vetrinista dai capelli neri gli stava insegnando tutto quello che c’ era da sapere.

Come mettersi, come valorizzare gli abiti che indossava, come fingere di essere un manichino, come evitare di fissare chi passava.

 

Si era addirittura messo lui stesso in vetrina, solo per fargli vedere come fare.

Ed Hanamichi era stato mandato in strada per vederlo da fuori.

Solo dopo qualche passo si era reso conto che il marciapiede era così gelato perché lui era solo in calzini.

 

Aveva riso ancora, saltellando per non congelarsi ed era rientrato dentro.

Altri rimproveri e qualche sbuffo.

 

Si era vestito meglio ed era stato rimandato fuori.

A guardarlo.

 

Come se non lo avesse mai visto.

 

Così bello, tanto da sembrare davvero finto.

Un manichino dalla delicata pelle di porcellana.

Le mani ferme a mezz’ aria, immobili.

 

Un’ immagine eterea di perfezione.

Di finzione.

 

Occhi azzurro lago fissi, ma pieni di vita, come fermati, ma vivi.

La tenue luce del giorno bastava ad accenderli di sfaccettature violette.

Ed ogni lampo in quegli occhi era un respiro che essi compivano.

 

 

Con pazienza Rukawa, quello il nome del vetrinista, gli insegnò il lavoro.

Tutto quello che sapeva.

Un pomeriggio intero.

 

Che avevano passato insieme esposti in una vetrina.

 

 

<’Non muoverti do’hao …sta passando una donna……..’      ‘Mi prude la schiena…’ ‘Non mi interessa….fermo’  ‘E’ passata, posso grattarmi ora?’

‘Do’hao’   ‘Ah sta tornando indietro…’ ‘Fermo….farai cadere…’    Stonk       ‘E’ caduta la manichina’ ‘Tsk…….risistemala accanto a te’

‘Scusa manichina ….non volevo’  ‘Hn’  ‘Oh la signora è scappata…..’ ‘Beh’…….un sorriso>

 

 

 

Fra sopracciglia alzate e risate soffocate e sorrisi luminosi (per uno sul viso, per l’ altro nel cuore).

 

 

 

 

 

*** Quando chi deve far desiderare desidera (e chi deve stare fermo si muove)***

 

 

Era stanchissimo.

Ora lo era davvero.

 

Erano passati ormai quasi sei giorni dall’ inizio di quel nuovo lavoro.

 

Certo non doveva fare niente, ma per uno come lui, abituato a muoversi, a darsi da fare, a ridere, a parlare era davvero difficile restare fermo in silenzio.

 

Più volte si era sentito riprendere per avere tossito o mosso un piede.

 

Come faceva poi quella volpaccia a vederlo?

 

Ma in fin dei conti era divertente.

 

Ma non era solo quello.

C’ era qualcosa di più.

Trovarselo all’ improvviso accanto, intento a sistemargli il colletto o una tasca, con quello sguardo serio e bellissimo così vicino.

Sentirlo parlare, anche solo dire ‘Buonasera’ ad un cliente, con quella voce profonda.

Sentirsi rimproverare per uno sbadiglio e poi vedersi concessi dieci minuti in più di pausa, magari anche un caffè caldo dietro al bancone.

 

Ogni giorno adesso finito con il suo primo lavoro correva lì, si infilava nel retrobottega trovando sempre gli abiti pronti da indossare, si vestiva e poi saliva in vetrina.

Tutto il pomeriggio fino alla sera.

Lottare contro il sonno.

La stanchezza di rimanere in piedi per ore.

La tentazione di stiracchiarsi le membra intorpidite.

La tentazione di spaventare un’ altra di quelle ragazze insulse che lo fissavano con occhi ‘desiderosi’.

 

Oddio…. tutte quelle ragazzine….non sapeva proprio come facesse quel vetrinista-volpe a sopportarle quando cominciavano a vociare con le loro tonalità acute ed insopportabili.

Ne vedeva entrare almeno dieci per volta.

E tutte compravano qualcosa.

Solo per farsi notare ovviamente.

 

E non potendo vedere il viso del ragazzo dai capelli neri Hanamichi si era soffermato spesso ad ascoltare il tono con il quale rispondeva loro.

Così diverso da quello che riservava alle anziane signore che si servivano da lui abitudinariamente.

Così diverso da quello che riservava agli uomini che entravano a provare una nuova cravatta.

Così diverso da quello che riservava alle mamme con i loro bambini.

 

Un tono seccato, insofferente.

Eppure ingraziandosele avrebbe potuto guadagnare molto, molto di più.

 

Hanamichi sospirò chiudendo un istante gli occhi.

 

Non la capiva proprio quella volpe alle volte.

 

Come quando lo vedeva sparire per un’ oretta e poi tornando a casa trovava una vetrina addobbata in un altro negozietto, magari quello del vecchio signor  Edoji o quello della vedova Riuma.

 

O quando lo trovava accanto a sé, a fingere per una mezz’ oretta (quella in cui avrebbe dovuto fare pausa )assieme a lui di essere solo un bel manichino.

 

 

Pochi altri giorni passavano…. così….

 

Costretto a rimanere immobile  Hanamichi imparò ben presto ad ascoltare ogni suono ed ogni parola mentre il cielo ogni giorno imbruniva sempre più velocemente.

Lui che non aveva mai ascoltato così tanto iniziò ad ascoltare ogni cosa.

Soprattutto, nelle sere di quell’ inverno, i respiri del suo vetrinista.

 

In un silenzio di manichino.

 

 

***

 

 

 

Divertente.

Quel ragazzo lo era così tanto.

 

I suoi occhi, il suo viso, i suoi movimenti.

Così buffi, a volte impacciati, spesso insicuri, ma buffi.

 

 

Alle volte provava strani sentimenti però.

Nei pomeriggi interminabilmente lunghi, quelli in cui i clienti si facevano desiderare per interrompere quella quiete tediosa Kaede si sentiva ‘ascoltare’.

 

Così come mai nessuno lo aveva ascoltato.

Profondamente, discretamente.

 

Lo sapeva, lo sentiva.

Quel ragazzo così buffo (quel manichino così bello) lo stava ascoltando.

 

Ed allora si girava.

E lo guardava.

 

E la solitudine non sembrò più pesargli.

Non come prima.

 

 

Avvertiva in lui la capacità di capirlo senza distruggere la sua bolla di tranquillità.

Lo pensava un ragazzo pieno di energie e lo era.

 

Ma apprezzava quanto sapesse controllarsi con lui, in quel lavoro così poco adatto alla sua indole.

 

 

Così tanto gli era entrata dentro quella figura che spesso si muoveva invece di rimanere immobile (sembrava quasi gli ricordasse nei pomeriggi più tetri e solitari che lui c’ era) da guardarla.

Spesso.

 

Da avvicinarla.

 

Anche con scuse banali.

 

Un piccolo cartellino da aggiungere, una sistemata veloce.

Una mezz’ ora con lui, fermi, in un riposante silenzio perfetto a fare da manichini, a guardare la città che si muove frenetica (mentre tu puoi restare fermo e sentire pace).

 

Era così.

Almeno lo doveva ammettere.

Iniziava a desiderare la sua compagnia.

 

 

Scosse la testa cacciando quel pensiero.

 

 

Incredibile che, proprio lui il cui lavoro era far desiderare, desiderasse.

Incredibile.

Che desiderasse proprio qualcosa che avesse a che fare con il suo manichino dagli occhi color castagna.

 

 

***

 

Un altro giorno.

La settimana di Natale si avvicinava a grandi passi.

Rukawa gli aveva comunicato che molto probabilmente i giorni precedenti alla vigilia avrebbero lavorato oltre l’ orario, posticipando la chiusura per permettere anche ai clienti ritardatari di fare spese.

 

Hanamichi aveva annuito senza dire niente.

Era d’ accordo.

 

 

Bene, almeno avrebbe avuto ancora meno tempo per pensare a quanto sarebbe stato solo a Natale.

 

Anzi sperava che quel vetrinista lo facesse lavorare anche nel giorno santo.

Meglio la vista di una città vuota, ma piena di luci, che quella di quattro mura tristi e abbandonate.

 

Niente alberi di Natale visti attraverso i vetri di altre case, niente rumore di brindisi non tuoi, che riecheggiano nel quartiere a monito per la tua solitudine, niente famiglie felici, elettrizzate dall’ atmosfera d’ aspettativa.

Famiglie non tue, calore non tuo.

 

Meglio, molto meglio la tranquillità di una vetrina e delle strade vuote.

Meno doloroso, infinitamente meno triste.

 

Si sorrise mestamente poi scorse in lontananza una passante e si immobilizzò per lavorare.

 

La donna diede un’ occhiata alla vetrina, lentamente, poi decise d’ entrare.

Hanamichi la osservò di sfuggita.

Una bella donna, capelli biondi, raccolti, bella ed elegante.

 

 

 

“Buonasera”

 

Un tono gentile, non quello riservato alle ragazzine petulanti.

Hanamichi sorrise di riflesso.

 

“Buonasera Rukawa-kun, come stai?”

 

“Bene la ringrazio signora  Yukio, lei?”

 

“Non c’ è male, guardavo la tua vetrina, splendida come sempre, sei un artista lo riconosco”

 

“Troppo gentile”

 

“Non schernirti….non ti si addice……hai un gusto impeccabile…….bellissimo manichino quel ragazzo………”

 

E Hanamichi arrossì.

 

Un complimento.

Per sé, da una bella donna.

 

Accidenti! Stavano passando delle persone, non poteva girarsi per vedere la reazione del vetrinista, tese le orecchie, ma non sentì niente se non un piccolo sbuffo.

 

Fu un istante.

Vinto dalla curiosità  Hanamichi si volse scorgendo per un attimo il sorriso affermativo che Kaede regalò a quella donna.

 

Mentre dalla strada un bambino additava stupito il manichino che si era mosso, cercando di attirare l’ attenzione della madre tirandole la gonna.

 

Ancora stupito Hanamichi si accorse solo dopo che lei era uscita, salutandolo con un lieve inchino davanti al vetro, che Kaede lo guardava.

 

Fissò quegli occhi scuri.

Vi lesse un rimprovero bonario per essersi mosso.

Vi lesse un lieve sorriso, ma nessun tentativo di negare quanto affermato in risposta a quella donna.

 

Certo, non si nega mica un sorriso con un altro sorriso…

 

Voleva dire che lui …..era bello….per quel vetrinista?

 

Mentre per strada quel bambino, tirato via dalla madre, si chiedeva come mai quel manichino avesse ora anche il viso dello stesso colore dei capelli.

 

 

***

 

 

Non avrebbe dovuto girarsi né vedere il suo sorriso in risposta.

Manichino do’hao!

Poi quando si era trovati puntati addosso quegli occhi nocciola così (caldi) stupiti, così (belli)sorpresi, desiderosi (d’ amore) di una conferma non aveva avuto il coraggio (la volontà) di negare, non voleva sentirlo chiedere perchè(ferirlo).

 

Sbuffò scuotendo la testa.

 

Ma perché quel maledetto manichino si doveva sempre muovere?

Lo osservava troppo, scopriva i suoi rari sorrisi e nel silenzio gli dava dei significati.

 

Così come mai nessuno aveva fatto.

 

Era così strano (bello) non sentirsi soli.

 

Lo scrutò lentamente, osservando le sue spalle ampie, il profilo dei suoi fianchi contro il mare luccicante di neon  oltre la vetrina.

In un istante desiderò irrazionalmente continuare a poter vestire quel corpo.

Per sempre.

 

Si riscosse da quel pensiero.

Forzatamente.

 

Fissò l’ orologio.

Era tardi, ma doveva ancora restare aperto.

 

Un paio di clienti nuovi entrarono acquistando qualche regalo.

 

Kaede pensò ancora a quel manichino mentre tagliava la carta colorata per l’ ultimo pacchetto.

 

Doveva avere fame….

 

Un manichino che ha fame….

Rise quasi al pensiero.

 

Consegnò il pacchetto e salutò l’ ultimo cliente.

 

Si fermò dietro al bancone.

Aveva fatto una buona scelta e nonostante tutto quel manichino aveva fatto un buon lavoro.

 

Aveva attirato molti clienti nuovi.

 

Si decise in un attimo.

Appese il cartello con la scritta ‘Closed’ e salì in vetrina.

 

Hanamichi rimaneva fermo, guardando verso la strada, perso in chissà quali pensieri.

 

Improvvisamente il borbottio dello stomaco di quel manichino così poco finto interruppe il silenzio.

 

Senza potersi trattenere Kaede rise a bassa voce.

 

Hanamichi arrossì portandosi una mano al ventre.

 

 

“Vieni – mormorò Kaede scendendo – è ora di chiusura” la voce nuovamente atona

 

 

Sorridendo Hanamichi lo seguì.

 

 

***

 

 

“A cena?”chiese stupito Hanamichi

 

Il vetrinista lo fissava mentre prendeva dalle sue mani gli abiti che il suo manichino si era tolto.

 

“Hn….nel retrobottega…”

 

Hanamichi sorrise.

Ed accettò.

 

 

La stanza era piccola, ma confortevole ed accogliente.

Un tipico retrobottega di un vecchio negozietto.

Pavimento di legno, un tavolino lucido, una lampada vecchio stile che mandava una luce tenue e riposante.

 

Un piccolo fornello, il suo vetrinista che stendeva una tovaglia bianca.

 

Mangiarono in silenzio.

Appoggiando le posate nel piatto Hanamichi sorrise.

 

Un vetrinista che dava da mangiare al suo manichino.

Rise piano facendo sollevare all’ altro lo sguardo.

Si fissarono in silenzio.

 

Kaede si scostò qualche filo nero dal viso, senza dire niente.

 

Lui dai capelli rossi pensò a come sarebbe stato passare le feste con qualcuno, anche solo una persona, che però per te valga come una famiglia.

L’ avrebbe mai trovata?

 

Sorridendo ancora si appuntò mentalmente di mettere quella richiesta in una  letterina per Babbo Natale.

 

Appoggiando il mento alle mani Kaede lo osservò.

Sorrideva spesso quel ragazzo.

 

Hanamichi si sentì osservare, provò imbarazzo senza sapere perché.

La profondità e l’ attenzione di quegli occhi lo confondevano.

Senza sapere cosa fare chiese.

 

“Lavoriamo anche il giorno di Natale?”

 

Kaede distolse lo sguardo da lui.

 

“Penso vorremmo passare la giornata con le nostre famiglie…..”rispose vago, ma gentile

 

Una palla di pelo grigio, ecco tutta la mia famiglia, si disse Kaede.

Beh almeno era una famiglia che riscaldava se la tenevi addosso.

 

Un lampo cupo attraversò lo sguardo di quel manichino dai capelli rossi.

 

“Beh….io posso darti la mia disponibilità…..se ti interessa…..non ho particolari progetti quel giorno……”

 

“Lo terrò  a mente…….”rispose mentre continuava a guardarlo per chiarirsi cosa fosse quell’ ombra scura nel suo sguardo

 

Hanamichi si alzò, ringraziandolo per la cena.

Poco dopo si separarono.

 

Nel buio accogliente della notte.

 

 

***

 

Fu il giorno dopo la loro cena assieme.

 

Sistemando il vetro da fuori Kaede guardò il proprio manichino sorridere alla strada, alle persone.

In quel modo tutto suo.

 

Immobile, ma con quegli angoli di bocca sollevati dolcemente.

Gli occhi luminosi.

 

A cosa stava pensando?

A chi.. per sorridere così?

 

Non provò nemmeno a calmarsi.

Rientrò nel negozio e salì in vetrina.

 

“Non sorridere – ordinò – i manichini non sorridono mai”

 

Un sibilo freddo, scostante.

 

Vide sparire quel sorriso e guardò i suoi occhi nocciola riempirsi di domande e velarsi di confusione (tristezza).

 

Scese e tornò al vetro, sicuro che nessuno oltre a lui avrebbe più visto quel sorriso.

Non voleva che tutti i passanti vedessero quel sorriso così (bello)finto, non (voleva) poteva permetterlo.

 

Una folata gelida lo costrinse a portarsi le mani alle braccia e lui sollevò lo sguardo al cielo mentre con fugacità lanciò un’ occhiata a quel manichino.

 

Non si capiva.

Possibile sentisse gelosia….?.. (difficile distinguere anche questa sensazione, mai provata prima)

 

Gelosia e desiderio.

Per cosa?

 

 

Il sorriso del manichino tornò alla sua mente.

 

***

 

 

Un altro giorno.

Ripensando a quella piccola cenetta insieme.

Ripensando a quegli sguardi che si erano scambiati.

 

Un mondo nuovo, al quale un manichino che per lavoro deve stare fermo aveva tutto il tempo per pensare.

 

 

Una sola frase lo aveva disturbato (ferito?)in quelle ore.

Si era permesso di mutare la proprio espressione, era felice di quei lavori, poteva mantenersi e quella cena insieme gli aveva portato piacevoli sensazioni.

Il dividere ancora una volta una tavola con qualcuno.

Uno sguardo.

 

Quel vetrinista……

Ed aveva sorriso.. mentre lo vedeva pulire il vetro fuori…

 

E poi quell’ ordine.

Senza senso.

 

‘Non sorridere’

 

Perché?

 

 

Sentì freddo, anche se il vetro spesso lo riparava dal vento, sentì freddo.

 

 

***

 

In un altro giorno tutto sembrò presto dimenticato.

O almeno messo da parte.

La vita correva verso i giorni di festa.

Attendendo paziente la neve, come ogni anno.

 

Kaede si prese tutto il suo tempo per osservare quel manichino.

Le ombre in quegli occhi sembravano aumentare.

 

S’ infilò nel retrobottega, a scegliere con cura gli abiti da fargli indossare nei prossimi giorni.

Voleva fosse perfetto.

 

Ogni mattina, quando lui dai fili rossi passava per strada, si salutavano ancora guardandosi.

 

In fin dei conti non si cambiano le buone abitudini.

 

Strinse i vestiti che aveva preparato per lui.

Non capiva.

 

 Eppure sentiva un desiderio vago... rafforzarsi….

 

 

Il suo sguardo….

..la sua compagnia..

…il suo corpo da vestire…

……….infine il suo sorriso….

 

Praticamente tutto.

E lo desiderava per sé quel tutto?

Lo aveva desiderato?

 

 

 

Un vetrinista può desiderare la sua creatura in vetrina?

 

 

 

 

 

***

 

Un sentire strano.

Hanamichi non lo comprendeva.

 

Sentiva vaghe sensazioni prendergli l’ anima ogni volta che incontrava quegli occhi.

Da un po’ sembrava tutto cambiato ..ed allo stesso tempo sempre uguale a sé stesso.

 

Il solo vederlo era un turbinare di lontani pensieri.

 

 

Lo guardava spesso.

Si guardavano spesso.

Non poteva non ammetterlo almeno con sé stesso.

 

 

Era così strano il loro rapporto.

Cambiato rispetto a prima, ma con l’ abitudine di sempre.

 

Guardarsi.

Silenziosamente.

 

 

Soltanto che adesso non erano più gli sguardi di un ragazzo che passa per la strada e di un bellissimo commerciante.

 

 

 

Erano irrimediabilmente diventati gli sguardi di un manichino e del suo vetrinista.

 

 

 

 

 

*** I pensieri di un manichino***

 

 

 

 

 

Kaede salì nuovamente in vetrina.

Il suo manichino stipendiato doveva inaugurare un nuovo capo.

 

Rukawa si soffermò a lungo nell’ osservarlo.

 

Una maglia pesante, una piccola serie di bottoncini che la aprivano su di un lato, gli orli dei polsini e sulla vita come macchiati di polvere dorata, il verde vischio spruzzato d’ oro, sopra un quanto mai casual jeans macchiato anch’ esso da schizzi dorati, i piedi scalzi, liberi, esattamente come la chioma rossa di quei capelli ribelli.

 

Kaede si avvicinò.

Lentamente cominciò a sganciare qualcuno di quei piccoli bottoncini, per lasciare alla vista un pezzetto in più di quella pelle ambrata, infilando le dita nel piccolo scollo per sistemarlo, accarezzandolo involontariamente.

 

Lo spinse indietro, contro la parete rivestita di foglie rosse di acero giapponese.

Il loro colore si sposava perfettamente con i fili ramati del suo manichino e con il verde di quella collezione inverno.

 

Lentamente alzò un suo braccio fino a farglielo poggiare sulla testa, scese con le mani spettinandogli quelle ciocche sediziose, tirandole indietro per poi lasciarle libere, davanti al viso, in piccolo sbuffi eleganti e selvaggi.

Prese il suo mento fra le dita, volgendolo di tre quarti, lasciandolo per seguire la linea della maglia su di un fianco e sistemarla.

Le sue dita veloci scesero all’ orlo dei jeans, tirandone i passanti per aggiustarlo, allargando di poco i piccoli strappi che ornavano le cosce, le gambe, fino a coprirgli i piedi con il risvolto, ora perfetto, di quella ruvida stoffa.

 

 

Toccarlo così.

 

 

Il pensiero che quello fosse più di un semplice manichino da vestire.

Il pensiero che quel manichino fosse vivo, che lo guardasse mentre si lasciava ‘sistemare’.

 

Kaede scese veloce dalla vetrina.

Le labbra stranamente riarse da un pensiero che non si lasciava afferrare.

Gli occhi pieni delle immagini di quel viso.

 

Mentre dalla strada la gente guardava quello splendido ragazzo vestito di verde, immerso in una cascata di piccole foglie rosse.

Solo lui e quelle foglie.

 

Abbandonato contro di esse.

Un occhio nascosto contro la mano del braccio, l’ altro aperto, immobile, languidamente perso in un pensare estremamente privato.

 

 

***

 

Era notte.

Avrebbe dovuto dormire.

Ed invece continuava a girarsi nel letto.

 

Sentiva uno strano calore, bruciarlo.

Risentiva sul proprio corpo quelle mani leggere, delicate, ma forti.

 

Affondò il viso nel cuscino.

 

Perché?

Perché ci pensava?

Perché le sentiva?

 

L’oscurità della sua stanza nascose persino a lui il suo rossore.

 

Lasciarsi sfiorare così.

 

A lui non era mai successo.

Mai.

 

Adesso invece….

Ogni giorno provava abiti diversi, saliva su quella vetrina e si lasciava preparare.

 

Vedeva quegli occhi, avvertiva quel respiro, sentiva quelle mani.

Lasciava a quel vetrinista ogni libertà.

Su ogni decisione.

 

La sua posizione, il suo aspetto………………………………………………………………(i suoi sentimenti?)

 

No.

No.

 

Era…era …

 

Dannazione, era così inebriante avere quelle mani addosso.

 

Da quando aveva quei pensieri?

 

Dal giorno in cui le aveva sentite infilarsi sotto la maglia per necessità di sistemare una spallina?

Dal giorno in cui le aveva sentite sulle labbra per sbaglio, in quella che gli era sembrata una carezza curiosa?

Dal giorno in cui erano scese fino alle sue cosce per mettergli due spille da balia?

Dal giorno in cui avevano stretto i suoi fianchi per infilargli una cintura, stringendo fino a sentire un suo gemito?

(Lo ricordava così bene l’ azzurro intenso di quegli occhi che si erano sollevati stupiti per quel mugolio così basso, anche al buio lo rivedeva)

Oppure era stato un pensiero  del giorno in cui le aveva viste per la prima volta quelle mani, insieme a quello sguardo e a quel sorriso raro?

 

Che avesse potuto davvero credere così piacevoli quelle mani solo guardando i suoi occhi ?

 

Arrossì ancora contro il cuscino.

 

S’ impose di non pensare, di dimenticare, d’ignorare.

 

E finalmente il sonno venne a prenderlo.

 

 

***

 

 

 

Kaede passò le mani fra quei fili rossi.

Gli piaceva doverli sistemare.

 

Non lo avrebbe mai ammesso, ma era così.

 

Nonostante tutto cercò d’ ingannarsi.

 

“Non riesci proprio a pettinarteli da solo la mattina?”sbuffò scocciato

 

Hanamichi si riscosse sussultando.

Quel carezzare così lento ed ipnotico.

 

Riposante.

 

Si era perso in una specie di dormiveglia.

 

Era stanco, non aveva quasi dormito ed ora doveva lavorare.

 

Arrossì senza dire niente e si lasciò preparare.

Le mani inerti lungo i fianchi, mentre avvertiva le dita del vetrinista sistemargli un polsino.

 

Si appoggiò alla parete, soffocando uno sbadiglio.

Poi Rukawa tornò in negozio a servire dei clienti e lui rimase in vetrina, in piedi, le mani in tasca, lo sguardo lontano.

 

Kaede lo vedeva tentare di soffocare gli sbadigli, di rimanere immobile e resistere alla tentazione di chiudere gli occhi.

 

Sbuffò ancora una volta.

Era pieno pomeriggio, quasi sera.

Fuori era già scesa l’ oscurità.

 

 

Approfittando di un momento di quiete fra un cliente e l’ altro Rukawa salì in vetrina.

 

Lentamente, senza dire niente, fece sistemare Hanamichi a terra.

Un ginocchio piegato, su cui appoggiare il viso, la gamba abbracciata dalle due mani, la testa reclinata di lato.

 

Una posizione comoda.

 

“Perché ……”cominciò col chiedere il ragazzo dai capelli rossi, ma venne interrotto

 

“Da troppi giorni sei quasi sempre nella stessa posizione, bisogna cambiare………puoi anche chiudere gli occhi se vuoi ...........”

 

E mentre Kaede scendeva per tornare in negozio Hanamichi lo ringraziò dolcemente, piano.

 

Intanto in strada la gente si fermava a guardare quella vetrina bellissima dove un manichino addormentato sorrideva.

 

 

***

 

Perché quel gesto?

 

Un’ altra notte di strane domande senz’ alcuna risposta.

 

Perché fargli cambiare posizione?

Perché farlo sedere?

Perché permettergli di chiudere gli occhi?

 

Che avesse visto i suoi sbadigli soffocati?

I suoi occhi che lottavano disperatamente per non chiudersi?

 

Non avrebbe dovuto far niente neanche dopo averli visti.

Quello era il suo lavoro.

 

Rimanere in piedi a farsi guardare.

Essere un manichino.

 

Perché quella gentilezza?

 

Perché adesso sentiva qualcosa alla bocca dello stomaco?

 

Come ogni volta che si lasciava toccare.

Come ogni volta in cui incontrava i suoi splendidi occhi azzurri.

Come ogni volta che sentiva le sue mani.

 

 

Un rimescolarsi stranissimo di sentimenti diversi lo prese.

Violentemente.

 

In un estenuante pensare a quegli occhi, li vedeva, davanti a sé.

Nonostante sapesse di essere solo nella sua stanza.

 

Sentiva il suo odore.

Di foglie, di carta da confezioni, di colonia leggera.

 

 

Hanamichi si coprì con le coperte fino alla testa, cercando di mandare via quegli occhi.

Quel profumo.

Quelle mani inesistenti che continuavano ad accarezzarlo dolcemente.

 

 

Strinse gli occhi ed una notte insonne venne a fargli visita.

 

 

***

 

Sapeva che non era necessario.

Eppure lo faceva.

 

Sistemava scolli perfetti, polsini già precisi, bordi già ripiegati.

 

Passava le mani fra quei capelli, li sentiva dannatamente morbidi fra le dita.

E così continuava a spettinarli, senza mai dargli una forma precisa.

 

Ottima scusa per poterli poi toccare ancora.

 

Lo guardava.

Sempre.

 

Continuamente.

Quando non poteva lo ascoltava.

Sapeva se si spostava, se soffocava uno sbadiglio (come l’ altra sera….aveva dovuto fare qualcosa…una morsa gli aveva soffocato il cuore a saperlo così stanco), se respirava ancora.

 

Che sciocca paura.

 

Quella di vederlo trasformarsi realmente in un manichino.

 

E allora tutte le volte in cui fingeva di sistemargli l’ etichetta dietro al collo solo per sentire il suo dolce respiro sulla pelle a cosa sarebbero servite?

 

E tutte le volte in cui decideva di mettere delle spille ben sapendo quanto perfettamente cadessero gli abiti su quel bel corpo anche senza?

 

Aspettava dietro al bancone.

Era un fine di mattinata di pensieri.

 

Fra poco lui sarebbe arrivato.

 

Il suo manichino.

 

 

Il primo manichino caldo che avesse mai accarezzato.

 

 

 

 

*** Non plastica ma pelle (ed un cuore)***

 

 

 

 

In silenzio Hanamichi entrò nel negozio.

Si scambiarono solo uno sguardo.

 

Uguale a quelli che lui dai capelli rossi si sentiva bruciare addosso ogni volta.

 

Non disse niente.

 

Sparì nel retrobottega e Rukawa subito lo raggiunse.

Gli porse gli abiti di quel giorno ed uscì.

 

 

Tutto come sempre.

 

I suoi occhi blu che gli toglievano quel poco fiato che un manichino non deve neppure avere.

Le sue mani come lava che insistevano nel volerlo rendere perfetto.

 

Lui non  lo era bello.

 

Perché ingannarsi credendolo?

Perché lavoraci sopra?

 

Non sarebbe mai stato un manichino bello quanto Rukawa.

Mai.

 

Nessun sorriso lo avrebbe mai convinto di questo.

 

Il pomeriggio scorreva lentissimo.

 

I pensieri avevano tutto il tempo di assediarlo, mentre soffriva nel non potersi girare.

Avrebbe voluto coglierli in flagrante quegli  occhi blu scuri.

Li sentiva.

 

Gli scorrevano addosso.

 

Voleva afferrarli proprio mentre lo percorrevano e farli vergognare e far vergognare quel vetrinista che si sentiva in diritto di ingannarlo, di illuderlo per poi ricordargli di essere solo un buffo manichino.

 

Perché era quello che era.

Quando quella donna bionda aveva detto che lui era bello si riferiva alla sua bellezza come manichino.

E per quello Rukawa aveva annuito.

 

I vestiti che gli metteva addosso erano belli.

Le scenografie che creava lo rendevano bello.

Tutto il tempo che usava per sistemarlo (prova di quanto fosse imperfetto da solo) lo rendeva bello.

 

Tremendamente arrabbiato, si sentiva inadatto a sperare….(cosa?)……..di piacere a quel suo vetrinista…..per come era…..

 

 

Poco prima di sera Kaede lo chiamò.

 

Lo  portò nel retrobottega.

E gli cambiò la maglia.

 

Spogliandolo.

Rivestendolo.

 

Hanamichi si chiese che bisogno ve ne fosse.

L’ aveva tenuta solo poche ore la precedente.

 

Si lasciò ricondurre in vetrina e non disse niente.

 

Altri minuti lenti che si accumulavano formando le prime ore dopo il tramonto.

Anche quella sera sarebbero rimasti aperti fino a tardi.

 

La settimana di Natale era cominciata.

 

Di nuovo sentiva quegli occhi su di sé.

Che lo toccavano quasi.

 

Senza permesso.

 

Senza permesso e senza spiegazione.

 

Non li capiva (in fondo lui era inadatto, perché guardarlo?)

 

Se prima li aveva sempre trovati belli ora lo spaventavano.

 

Gli sguardi di quel vetrinista dovevano essere spiegati.

Eppure un pensiero sempre lo fermava.

 

 

 

Un manichino può permettersi di domandare perché viene guardato?

 

 

 

Un paio di misere ore alla chiusura.

 

Di nuovo Kaede richiamò Hanamichi.

Il ragazzo dai capelli rossi lo seguì.

 

Un altro vestito.

Una camicia al posto della maglia.

 

Una camicia bianca.

Un gilet rosso.

 

Pantaloni chiari.

Rukawa uscì e rientrò mentre lui si stava infilando la cintura.

 

Senza dire niente Rukawa gli sfilò il maglione, appoggiandolo su una sedia.

Prese la camicia  e mentre la pelle ambrata di Hanamichi fremeva per il freddo lo vestì, abbottonando ogni asola.

 

Lo sguardo perso.

 

La stirò un po’ con le mani.

Lasciò risalire le dita fino al colletto.

 

Lo tirò su, completamente, avvolgendogli le braccia attorno al collo vi appoggiò un cartellino.

I capelli che si baciavano, le guance che si sfioravano appena.

Nuovamente quel profumo così buono che inebriava i suoi sensi.

 

Il suo respiro dolce e tiepido sulla pelle, mentre Hanamichi tratteneva  il suo.

(I manichini non respirano..no?Si diceva per spiegarselo)

 

 

Poi Kaede si inginocchiò.

 

Spolverò alcune pieghe e risalì con lo sguardo.

Fu un attimo.

 

Una mano bianca si posò poco sotto la cintura e tirò su la cerniera.

 

A quel soffice rumore Hanamichi si riscosse.

Abbassò lo sguardo e vide quel suo sorriso un po’ strano.

 

A metà fra il divertito e l’ ironico.

Con gli angoli pieni di una punta di malizia.

 

“Penso questa sia meglio chiuderla”un mormorio basso

 

Nell’ istante in cui le dita scivolarono via da lui Hanamichi corse in vetrina.

 

Arrossì soltanto quando fu solo.

 

Kami…oggetto di una carezza così intima……

 

Casuale…..?.........Voluta?

 

Oggetto di un tocco (innocente?)

 

‘..oggetto..’si ripeté

 

 

 

***

 

Non avrebbe dovuto.

Tutti quei cambi d’ abito non avevano senso.

 

Kami, era come se le sue mani dovessero toccarlo.

Trovare un modo, uno qualsiasi, per posarsi su di lui, per raggiungere la sua pelle.

 

Vestirlo.

Spogliarlo.

 

 

Quanto poco bastava alle sue mani per essere felici?

 

 

Era solo un manichino.

Un dannato manichino come gli altri.

 

(Che si muoveva, rideva……com’ era bello……..parlava e lo guardava…….caldo sotto le dita…morbido…..)

 

Che avesse saputo così caldo quel corpo fin dal giorno in cui lo aveva visto passare davanti alla sua vetrina?

 

Due occhi splendidi e dolci.

Colmi di un’ ingenuità gentile, mai fastidiosa.

 

Che strappava alle sue labbra, prima quasi aride, un sorriso diverso ogni volta.

 

Ma l’ ultimo era stato macchiato da una nota maliziosa.

 

Quella piccola, maledetta cerniera.

 

Non devo, si era detto.

Avrebbe dovuto semplicemente farglielo presente, come suo solito, con una vena d’ ironia magari.

Comunque distaccato.

 

No.

 

 

‘Dannazione è il mio manichino’ si era gridato contro ‘gli faccio quello che voglio’

 

 

Mio.

 

Poi aveva alzato lo sguardo e per cancellare il proprio imbarazzo aveva detto qualche parola inutile.

Ed aveva visto il fuoco in quegli occhi e su quelle guance, non più solo su quei capelli.

 

Un pensiero strano lo aveva preso allora.

 

‘Come è bello un manichino che brucia’

 

 

***

 

 

 

La pioggia batte piano, come un amante gentile, ma risoluto……mentre il vento geme ..e spira fuori.

Hanamichi si sentiva come scavare un solco nel petto …nonostante poi si fosse placato ogni suono  non per questo il suo cuore bruciava meno…..

 

Gonfio.

Pensava.

 

 

Le sue mani.

Addosso.

Come ogni volta le sentiva.

 

Ora in modo più intimo.

Le immaginava.

 

Rifiutandosi un simile immaginare si girò rannicchiandosi, le braccia a coprire il basso ventre.

 

Irato si mormorò sulle labbra.

‘Quante confidenze………ma come ti permetti?’

 

 

Ma quel vetrinista non poteva sentirlo.

 

Che diritto aveva di toccarlo?

Di decidere con le sue mani di quanto farlo arrossire quel giorno?

 

Lui non era una bella bambola da vestire.

 

Ma forse…sì..un po’ bambola….(era il suo lavoro)…...ma non certo bella…………..

 

Sentiva il cuore battere veloce, aritmicamente quasi, balzi continui e dolorosi.

Pensava al domani.

 

A come fuggire.

 

Non voleva più vederlo.

 

I suoi occhi erano …..soffocanti….

 

Si sentiva solo un oggetto quando veniva guardato così……si sentiva quel manichino che non aveva nemmeno il diritto di sorridere per finta…….

……perché ‘i manichini  non sorridono mai’……

 

Non voleva più vederlo, né condividere con lui i suoi sguardi.

 

Avrebbe dato tutto pur di non vederlo.

 

E forse lo avrebbe fatto.

Si sentì sollevato e s’ addormentò.

 

Un sonno senza sogni, come quello dei manichini.

 

 

***

 

 

Mancavano una manciata di minuti.

Pochi davvero.

 

Kaede sospirò irrequieto.

Fino a che punto si sarebbe spinto oggi?

 

Perché non controllarsi?

Doveva.

Doveva.

 

Eppure sapeva che ben presto avrebbe dimenticato ogni prudenza.

 

Aveva scelto con cura gli abiti, sapeva che gli sarebbero andati alla perfezione.

Già cominciava a pensare a quali difetti vi avrebbe potuto trovare.

 

Per passare su di lui le sue mani.

 

Sbuffò.

 

‘Da quando un vetrinista ha bisogno di scuse per vestire il suo manichino?’

 

D’ un tratto vide i suoi capelli rossi passare  davanti alla vetrina.

 

Un istante solo.

 

Hanamichi aprì la porta.

 

Le belle labbra coperte dalla sciarpa.

Come la prima volta.

 

 

Non entrò quasi.

 

 

 

 

 

 

 

“Io….mi licenzio………..grazie di tutto…..addio”

 

 

 

 

 

 

 

 

La porta si chiuse.

Il campanello suonò, atrocemente gioioso.

E Kaede riprese a scatti a respirare.

 

 

Mancavano solo tre giorni a Natale.

 

 

 

***

 

 

Aveva lasciato tutto.

Codardo.

 

 

Codardo, ma essere umano.

Non bambola.

 

Non manichino.

 

Non più.

 

 

 

 

Ed ora poteva piangere.

 

 

 

***

 

 

Rukawa non rispose nemmeno al saluto di un cliente.

Perso, mentre affondava le mani nelle stoffe e gli occhi su quella sedia che si intravedeva nel retrobottega.

Poggiati sopra abiti che lui rifiutava di togliere da lì.

 

 

Aspettava.

 

 

Che il suo manichino fuggito tornasse.

 

 

Lo sperava, mentre nel cuore piangeva.

 

E non lo vide passare.

Né la mattina dopo né durante il primo pomeriggio.

 

Non c’ era più.

 

Ora non solo il suo manichino.

Aveva perso anche quel buffo ragazzo che passava per la strada.

 

Fu solo la mattina dopo che, mentre si ingannava pulendo un vetro già lucido come uno specchio, guardando la strada con il fuoco negli occhi ed il sale nell’ anima (quello che non era uscito con le lacrime), che lo vide passare.

 

Non aveva cambiato strada.

Non aveva dovuto.

 

 

Perché si sa, le vie ne hanno due di marciapiedi.

 

E lui era su quello opposto.

Una macchia dolce.

Rossa.

Un po’ spenta, ma ….dolce e rossa.

 

Che non riusciva ad odiare.

 

Si girò per non soffrire, ma morì.

 

La vetrina vuota davanti a sé gli pugnalò il cuore.

 

 

***

 

 

Vigliacco.

Codardo.

Crudele.

 

Do’hao.

Do’hao.

Do’hao.

Do’hao.

Do’hao.

Do’hao.

Do’hao.

 

Tante volte quante erano state le ultime parole che aveva rivolto al suo vetrinista.

 

Sette come i peccati.

E la notte santa si avvicinava.

 

Cosa mai poteva sperare di ricevere in dono un peccatore come lui?

 

Paura.

Paura.

Paura.

 

Non aveva sentito altro.

Ed era scappato.

 

Da quegli occhi, da quel sorriso.

 

Da quelle  mani.

 

Vigliacco e codardo.

 

Do’hao, come gli ripeteva quella voce dolce quando lo sorprendeva a fare smorfie ai bambini fermi davanti alla vetrina.

 

Quella voce.

 

Hanamichi la sentiva.

Copriva il rumore assordante del cantiere in cui lavorava.

Copriva l’ allegria dei jingle che risuonavano alti nella strada.

Copriva il fluire incessante della gente felice sui marciapiedi.

 

 

Ma non copriva il lamento del suo cuore.

 

Perché da lì proveniva.

 

E corse per le strade allora.

Corse veloce, finito il lavoro.

E sembrava che la sera avesse deciso di arrivare di pomeriggio.

E la neve non cadeva, non purificava i cuori né il dolore sordo.

 

 

Era colpa sua.

Colpa sua.

 

 

Non riusciva ad ammettere neanche con sé stesso che adorava essere il manichino di quel vetrinista così bello.

Avere i suoi sguardi, le sue attenzioni (le mani sul corpo).

 

 

Codardo.

Vigliacco.

 

Do’hao.

 

 

 

***

 

Solo e tristissimo.

 

Perduta ormai anche la voglia di allestire la sua vetrina.

Come poteva.

Come poteva.

 

Non aveva più manichini.

 

Non aveva più lacrime.

Esauritesi nel non versarle, si erano inaridite nella sua gola.

 

Una piega amara mentre copriva di teli cartonati l’ interno del vetro.

Doveva comunque lavorare.

 

Non ne sentiva la voglia, né il desiderio.

 

Ma doveva almeno pensare a vincerla la sfida che si era fatto.

 

Avrebbe preparato l’ ultima vetrina dell’anno.

 

 

 

 

*** Collezione inverno….collezione amore***

 

 

 

 

Corre.

O vorrebbe.

 

Sente i rintocchi.

 

E’ quasi sera di vigilia.

 

La gente si affretta.

 

Cammina veloce.

Eccitata.

In aspettativa.

 

 

E lui soffoca in casa, fra quelle pareti che sanno rimandargli solo due immagini.

 

Occhi azzurri e mani grandi.

Come un televisore rotto.

Come quello nell’ angolo della sua stanza.

 

 

Esce allora di casa e corre.

Corre come non ha mai corso.

 

Si fa strada fra la gente, spinge, urta, ma sente sempre e solo male al cuore.

 

Vorrebbe gridare, ma non può.

 

Sente frasi e parole.

Auguri e inviti.

 

La gente sorride e lui piange.

 

 

Finalmente Hanamichi capì.

 

 

Cosa voleva essere.

 

 

 

 

Meglio di un essere umano solo, un manichino amato da qualcuno.

 

 

 

 

 

Ma non  da un qualcuno qualsiasi.

 

 

 

Solo un vetrinista può voler bene ad un manichino.

 

 

 

Corse verso quella vetrina.

Dal suo vetrinista.

 

 

 

 

Sapeva che era aperto.

Doveva esserlo.

 

 

 

Non incontrò nessuna luce.

Buio, era tutto buio.

 

 

 

Si sentì disperato e solo.

 

 

Si avvicinò.

Come la prima volta.

Con sospetto e agitazione.

 

No.

Sembrava.

Sembrava solo buio.

Non lo era.

 

 

Fogli di cartone sottile, quel colore beige che manda tristezza.

Davanti al suo vetro.

 

A coprire la vergogna di quel posto che lui aveva lasciato vuoto.

 

Si avvicinò e si lasciò andare contro quel vetro, stanco.

 

 

 

Kaede pensò di essersi immaginato un rumore.

 

 

Lo sentì, mentre vestiva la spoglia plastica sporca di una figura femminile.

Un suono basso, ripetuto.

 

Ancora.

Volse la testa senza capire.

 

 

In basso.

Risuonava ancora quel battere che sapeva di ….speranza?

 

 

Si accostò.

Tremanti……..(come lo erano state solo sul corpo di Hanamichi)……..le sue mani strapparono un pezzo di cartone leggero fissato con il nastro adesivo.

 

 

 

 

E li videro.

 

 

Gli occhi splendidi e grandi del suo manichino.

 

 

 

Dolci e intimiditi.

 

 

Kaede si lasciò scivolare a terra.

Vedeva il suo viso.

 

 

Le sue labbra che si muovevano.

Ma non poteva sentire niente.

 

Si concesse di immaginare cosa gli stessero dicendo.

Un solo altro attimo di dolcezza.

 

A sentire nella sua mente che pronunciavano scuse tenere e giustificazioni, per lui.

 

Mentre si avvicinava al vetro e tratteneva la gioia e le sue mani frenetiche ora staccavano la carta.

 

Hanamichi parlava.

Chiedeva scusa, gridando.

 

Pur sapendo che non lo avrebbe sentito.

Lo vedeva accostarsi, sempre più vicino, quegli occhi bellissimi e sconfinati, quei fili luminosi e neri.

 

Chiuse le labbra e non disse più niente.

 

 

Rimase così.

 

 

 

 

Mentre si sentiva di avvicinarsi ancora.

Come lui.

Insieme.

Per far capire che non avevano più paura dei loro sentimenti.

 

 

 

Entrambi senza respirare, per non appannare il vetro.

 

 

 

Guardandosi.

Senza fiato.

 

 

 

 

 

Il freddo di quella vetrina che li unì in un bacio.

 

 

 

 

 

Le labbra appoggiate contro il vetro, da una parte, dall’altra.

Gli occhi finalmente chiusi.

 

E non era poi così freddo quel vetro.

 

 

 

 

Non adesso, che assisteva, complice, al primo bacio fra un manichino ed il suo vetrinista.

 

 

 

 

 

Si separarono senza respiro.

Una nuvola bianca di condensa nascose la figura di Hanamichi mentre lui finalmente respirava.

Il campanellino trillò ancora.

Per l’ ultima volta quella sera.

 

 

Hanamichi entrò nel negozio.

Sorrise.

Mentre Kaede scendeva lentamente e lo prendeva per mano.

 

 

Gli abbassò la sciarpa e lo portò con sé nel retrobottega.

Prese con dolcezza gli abiti adagiati sulla sedia e glieli porse.

 

 

Hanamichi iniziò a vestirsi in silenzio, mentre lui dagli occhi di cielo portava rotoli di stoffa nella vetrina e risistemava i fogli di cartone sul vetro.

 

 

Kaede tornò da Hanamichi per aiutarlo.

Gli infilò una maglia rossa, grande e comoda, passando le mani sulla sua pelle.

 

Con ritrovata gioia, dopo ore d’ intensa aspettativa.

 

 

Lo vestì senza una parola.

Nuovamente mano nella mano salirono in vetrina.

 

 

Pantaloni bianchi, maglia porpora, piedi nudi, la sua sciarpa al collo.

Immerso in una vetrina ricoperta di morbidissimo pile cremisi.

Foglie di vischio gettate qua e là, con aria casuale.

Schizzi di oro e argento sui muri stretti, completamente rivestiti di stoffa rossa e morbida.

 

Al centro Hanamichi.

 

Le mani coperte dal maglione che gli scendeva largo.

Il viso sorridente velato dalla sciarpa.

 

 

Kaede si avvicinò.

Sistemò le maniche, affiancandolo.

Si prese cura dell’ orlo del pantalone accarezzando gentilmente quei piedi irrequieti.

 

Salì sui fianchi, agganciando un bottone ignorato, passò sul costato, tirando bene il tessuto e si fermò sul collo.

 

Posò un piccolo cartellino sulla sua spalla e continuò la sua salita, accarezzando con entrambe le mani i suoi capelli meravigliosi, avvertendo un sospiro di piacere.

Si fermò e poi riprese.

Con le dita gli teneva il viso, carezzando le orecchie, abbassandogli la sciarpa per non coprire quella bocca così bella.

 

E nel farlo scivolò con casualità sulle labbra con i polpastrelli.

 

 

Hanamichi schiuse quelle linee di pelle e baciò la punta delle sue dita.

Le dita del suo bellissimo vetrinista.

 

 

Kaede rimase incatenato al suo sguardo, arrossendo lievemente.

 

 

 

 

“Spogliami”mormorò Hanamichi

 

 

 

 

“Ti ho appena vestito”replicò Kaede stringendolo a sé

 

 

 

 

“E’ il tuo lavoro, no?”

 

 

 

 

Kaede sorrise semplicemente.

Spostò le dita dalla sua bocca e lo baciò.

 

 

 

 

Un bacio vero.

Caldo come il suo manichino.

Grande quanto il sentimento che portavano nel petto.

 

 

Proprio un bacio.

Di quelli in cui chiudi gli occhi mentre il viso del tuo amante si avvicina piano.

Di quelli in cui non sai cosa fare ed il fiato ti manca fin dall’ inizio.

Di quelli in cui non capisci più niente.

E tu diventi lui e lui diventa te.

 

 

 

 

Mentre il morbidissimo pile li invitava ed adesso sì che quel vetrinista doveva spogliarlo il suo manichino.

 

Gli era stato chiesto.

 

Che strano, non lo aveva mai spogliato un manichino disteso.

 

Né uno così sensuale e caldo.

 

Passò le mani piano su di lui, traendone un sospiro basso.

Le sue dita sapevano come fare.

 

Che si fossero preparate così a lungo, esplorando quel corpo, solo perché sapevano che sarebbero giunte a questo?

 

Troppe domande.

Non era più  il momento di pensare a quante assurde coincidenza avessero intrecciato i fili rossi delle loro vite.

 

Fino a portarli lì.

 

In una vetrina, la sera della vigilia.

 

 

 

 

A fare l’ amore.

 

 

 

 

Hanamichi si agitò sotto le cure di quelle mani.

Kaede scoprì il suo petto e scese sullo sterno

 

Sui suoi puntini rosa, suggendoli.

 

Hanamichi tremò.

E si dimenò impaziente.

 

 

 

“Il mio lavoro è spogliarti…….ricorda che il tuo è quello di stare fermo”

 

 

 

 

Hanamichi reclinò la testa mentre il suo amante passava sul collo con la punta della lingua.

Kaede incontrò la sciarpa che era scivolata sulla gola.

La scostò con i denti e la portò fin sulla sua bocca.

 

 

Scese a baciarlo incontrando la morbidezza della stoffa calda.

 

Un bacio attraverso quella sciarpa rea di avergli tante volte nascosto un sorriso.

 

 

Coprì innumerevoli volte quella bocca poi scostò la sciarpa gettandola a far compagnia alla maglia.

Affondò le mani nei suoi capelli e lo baciò ancora.

 

Con ardore sempre crescente.

 

Cercando la sua lingua, rubandogli gli aneliti di fiato ed il sapore buono che aveva.

 

Si staccò sentendolo gemere estasiato e lo fissò negli occhi.

 

 

“Il ………..mio….dolce ………….manichino…………..”mormorò

 

 

 

Si strinsero ancora, più forte.

Respirando l’ odore dell’altro, sentendosi.

 

 

Un attimo di silenzio.

 

 

“N.no.n  sono …….solo….un manichi.no”mormorò Hanamichi

 

 

 

Lui dagli occhi chiari gli regalò un altro sorriso.

 

Scese piano sulle sue labbra, le corteggio con attenta insistenza poi le chiuse con le proprie.

Si sollevò leggermente leccandosi le proprie, assaporando.

 

 

 

 

“Non sai affatto di plastica…..”

 

 

 

 

E sorrise, come non aveva mai fatto prima.

 

Hanamichi si sentì invadere dalla gioia e lo strinse.

Kaede lo rassicurò ancora.

 

 

“Tu…….tu sei fatto di pelle…….sei caldo….invitante………………………..vivo….ed io mi sono innamorato di te”

 

 

“Proprio di me…non del manichino che ….ero?”quell’ ultimo dubbio riluceva nei suoi occhi dolci

 

 

“Io vedo solo te in questa vetrina……..il ragazzo che mi passava davanti camminando sull’ orlo del marciapiede”

 

 

“Mfh…una vetrina…..davvero mai avrei pensato ad un posto più strano dove passare la mia prima vigilia felice”

 

 

Kaede si prese un attimo per guardarlo.

 

 

“Sei felice?”chiese con trepidante attesa

 

 

 

“Si”

 

 

 

Un sorriso bello, bellissimo.

Il suo.

 

 

 

“Sei bellissimo….meravigliosamente vivo ………..e ..mio” disse Kaede

 

 

E scese su di lui.

 

 

 

Il piccolo cartello alla porta.

‘Closed’

I fogli di cartone davanti al vetro.

 

 

La gente che passava per le strade, vedendo solo due ombre che si muovevano incastrandosi nella perfetta forma dell’ amore.

Nessuno si soffermò a guardarli, correvano anche loro verso casa, per avere amore dalla propria famiglia.

 

 

 

 

“Hai freddo?”

 

“No….ma…entra piano”

 

 

“Sì..”

 

 

“Aanh”

 

 

“Va ….b.bene…..?”

 

 

“S-si…………..è bello”

 

 

“..Dio ….bruci….dentro..…”

 

 

“Mi ami?”

 

 

“Si…ti amo…ah..”

 

 

“A-anch’ io”

 

 

 

 

 

 

 

Mentre la neve  finalmente cadeva a terra.

 

 

 

Davanti ad una vetrina coperta.

 

In quel calore ovattato, due ragazzi si stringevano.

Circondati dal rosso di una stoffa calda e morbida, seduti uno nelle braccia dell’altro.

 

“Ti va un po’ di vino?”chiese gentilmente Kaede

 

Hanamichi annuì, un po’ stanco.

 

Kaede lo lasciò un minuto per poi tornare, sistemarsi ancora dietro di lui, con le spalle appoggiate ad uno dei muri rivestiti, circondati dal vischio e dal rosso, dagli schizzi d’ oro e d’ argento.

 

Bevvero piano, in due piccoli calici corti.

Felici.

 

Kaede si piegò.

Regalò un bacio che sapeva di vino dolce all’ orecchio del suo amante e lo strinse.

 

 

 

 

In quella vetrina calda, dov’ era nato il loro amore, Kaede sorrise felice, mentre teneva il suo manichino fra le braccia.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

Pochi mesi dopo.

 

 

Vive con il suo vetrinista il manichino adesso.

Non si separano mai.

 

E diventano ogni giorno più belli assieme.

 

 

Finalmente Kaede può realizzare il suo sogno.

No, no, non quello di non essere più solo.

Quello lo ha realizzato a Natale.

 

Il più bel regalo.

 

Si dice che i regali più belli si trovino solo guardando attentamente le vetrine e così era stato.

 

Poi che importa se trovato in una vetrina o attraverso una vetrina.

 

Trovato in una vetrina, comunque.

 

Tornando al sogno, il sogno del vetrinista….(quale mai può essere il sogno di un vetrinista?)…

quello che lo aveva preso fin dalla prima volta che aveva visto il suo dolce amante..

 

 

Era tutto pronto.

 

 

Chiamò il suo amore e lo aiutò a sistemarsi al centro della vetrina, indugiando sempre un po’ troppo con le mani su di lui.

 

Hanamichi sorrise ricordando la  corte che quelle mani gli avevano fatto solo qualche tempo prima.

E che continuava ogni notte.

 

Si lasciò preparare guardandolo amorevolmente poi restò immobile.

 

 

Kaede uscì fuori, sulla strada.

E sorrise dolcissimamente.

 

Solo a lui.

 

 

Poi rientrò.

 

 

 

Li potete ancora trovare in quel negozietto, se vi serve qualcosa fermatevi.

Fra poco l’ inverno finirà, potreste aver bisogno di qualche vestito nuovo per la stagione che viene.

 

Loro sono lì.

Alle volte dietro al bancone insieme, a bere un tè dalla stessa tazza che sa dei loro sapori (che in fondo è uno solo).

 

 

 

Una bimba passò davanti a quella vetrina, poco dopo.

 

Un ragazzo bellissimo al centro.

 

Capelli color del fuoco, occhi di brace.

Il colore delle caldarroste che le piacevano tanto.

 

Le mani dietro la schiena, gli occhi rivolti al cielo.

 

Sotto un albero di splendida cartapesta, con tante foglioline verdi, che spuntava dal muro.

Su tutto l’ albero ricoperto di colla trasparente tantissimissimi petali rosa.

 

Mmh….dove li aveva già visti….?

 

Oh si, dove li avrebbe visti, era più corretto.

 

Fiori di ciliegio.

Quelli che sarebbero fioriti fra breve.

 

Batté entusiasta le manine e si decise ad aspettare presto la primavera, mentre salutava quel bel principe dei fiori con un sorriso.

 

 

Corse via e quel ragazzo rimase lì.

Appoggiato a quel tronco finto, con i piedi immersi nei petali, con i rami carichi sopra la testa, con quei piccoli, preziosi fiorellini anche addosso, sulla testa, sul bel viso, sui vestiti, sulla pelle.

 

Mentre dietro al banco un altro ragazzo sorrideva felice, incartando una confezione, guardando lui, di tanto in tanto.

 

 

Immerso nei petali.

 

 

 

 

Collezione primavera.

 

 

 

 

 

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

 

*Ora potrebbe sembrare strano un lavoro del genere, ma in realtà qualcuno che lo fa esiste. Soprattutto in America ci sono molte persone che per lavorare fanno i manichini nei centri commerciali o nelle vetrine dei negozietti privati come quello di Ru..una volta ho addirittura visto un film in cui due persone facevano questo lavoro e poi per caso assistevano ad un omicidio sulla strada davanti al vetro e poi quando il criminale di turno scopriva che non erano finti li rincorreva ……diciamo che qui nessuno rincorre Hana …anche perché lui mi serve vivo e funzionante per la semi lemon in vetrina …..^____^

 

**Altra annotazione la storia non è ambientata in nessun posto particolare, non pensate sia Giappone, potrebbe essere anche America o Inghilterra, decidete voi quale preferite ed immaginate sia quella……^_____^

 

I saluti e le dediche sono la parte che mi piace di più.

(Dopo la lemon, ovviamente ¬____¬ nd Hana e Ru………Zitti che tanto vi è andata male……^__^niente lemon……..non tutta almeno…….perché Lem è andata in vacanza dopo Il ritiro….lei a Natale non si fa vedere…..troppo cattiva………..nd Mel)

 

M:^_________________________________________________________^Buone feste a tutte le mie sorelline di mail……………..dovete sapere che sono stata così sciagurata da promettere a Naika che le avrei pagato tutti i ritardi di mail con una ff alla fine dell’ anno….pensavo fosse lontana la fine dell’anno…..ed invece ………ç__ç………così ecco qui una ficcina per pagamento…………….tipo canone annuale….che si paga a dicembre………….^___=

Un bacio Nai…….!

Un bacio anche ad Hyme che mi ha invogliato a scriverla mentre uscivamo dalla Yamato Video di Milano…………sei una fonte d’ ispirazione tesoro……..!!!!

Grazie per tutte le immy che hai condiviso con me…………..chu!

 

Un saluto speciale a Kadath, Lucy e Marty!!!!!Buone feste!

In rigoroso ordine alfabetico!!!!!

 

Bacione a Ria, buone feste anche a te puccina, speriamo di farcela dopo le vacanze……^__=

 

 

Un augurio a tutto il sito.

 

 

***************

Una nota speciale, per un avvenimento triste capitato in questi giorni.

Una persona a me cara ci ha lasciato.

Una persona eccezionale.

 

Il dolore di tutti è solo stato manifestazione di quanti ti volevano bene.

Questa ficcina è anche per te.

Una sola.

Per te.

 

La tua memoria mi accompagnerà per sempre.

I ricordi di quando volevi insegnarmi il rock’n roll.

I tuoi occhi verde mare.

La nostra frase.

 

Uno solo, come mi dicevi quando mi avvicinavo per darti un bacio, all’ americana.

 

Ti vorrò sempre bene.

 

***************

 

 

 

Baci

Mel

 

PS Ficcina corta, vero?(Rispetto alle altre ¬__¬)Meno male…..almeno so essere buona a Natale e non tedio nessuno troppo a lungo…..^_____=

 

 

Oh ultima sciocchezza!!!!!

L’ ultimo vero dialogo fra Ru e Hana manichino.

 <“Non vedo l’ ora sia estate….”

 “Perché volpina?”

 “Che domande ….per farti provare in privato la collezione estiva costumi ……..”>

 ^__________________________^