Disclaimers: i personaggi descritti in questa fanfiction non sono di mia inventiva; appartengono al loro autore: Inoue sensei.
Note: Le parti tra parentesi sono quelle 'pensate', dato che il formato txt mi cancella il corsivo non potevo fare altrimenti!!!



Vaniglia e cannella

parte I

di Chocolat


Prima parte
'Profumo di cannella'


Faceva davvero caldo, quel pomeriggio; era luglio, ormai. Una splendida giornata di luglio, assolata e limpida; nel cielo azzurro e terso sopra a Kanagawa non si vedeva nemmeno l'accenno di una nuvola e, nonostante un vivace venticello estivo tenesse lontana l'umidità, non era piacevole rimanere fermi, in piedi sotto il sole, ad aspettare qualcuno che se la
stava prendendo troppo comoda.
Certo, essere l'attrazione principale delle ragazzine che passavano di là e ridacchiavano, scambiandosi commenti all'orecchio dopo averlo guardato con occhi sognanti poteva risultare divertente. Per dieci minuti.
In ogni caso, continuava a sembrargli così strano. Non capiva questo interesse nei suoi confronti da parte delle ragazze.
Lui non si era mai sentito tanto... attraente. Certo, sapeva bene si essere bello: da quando aveva memoria, se lo era sempre sentito ripetere. Glielo diceva sua madre, glielo ripeteva la nonna; lo affermavano tutte quelle signore che gli riempivano le guance di buffetti quando, da piccolo, passeggiava con il papà; lo diceva la maestra dell'asilo, le sue compagne di classe delle elementari.
Era cresciuto abituandosi ad essere chiamato nei modi più svariati: 'bambolina', 'ninnolo di porcellana' , 'angioletto'; e, poi, quando aveva cominciato a crescere, conservando, tuttavia, quella bellezza androgina ed un po' efebica, erano arrivati i soprannomi crudeli, quelli che facevano ancora più male perché dati dai suoi coetanei, da quelli che avrebbero dovuto essere 'amici':  'femminuccia', 'principino'. 'checca'.
E lui aveva cominciato ad odiare quel fisico esile e minuto, quegli occhi grandi, troppo grandi anche per un ragazzo occidentale, con le ciglia lunghissime e folte; detestava quella voluttuosa bocca a forma di cuore, dalle labbra rosse e ben disegnate; non sopportava quei lineamenti delicati, l'ovale perfetto del viso, la pelle ambrata e levigata come quella di una ragazza.
Eppure, era consapevole del fatto che quel suo aspetto così poco mascolino faceva impazzire le ragazze; non solo. Lo rendeva interessante e seducente, anche agli occhi degli uomini.
Quando aveva cominciato a rendersene conto, si era sentito terrorizzato; ora, quello che lo spaventava di più era l'essere consapevole di approfittarne.
Si odiava, eppure usava questo suo potere con tutti: a scuola, con gli insegnanti; a casa, soprattutto con suo padre; in squadra, con i suoi compagni.
I suoi compagni. La sua squadra. Il basket. L'unica cosa in cui si sentiva forte; l'unico modo di dimostrare a se stesso e agli altri quanto valeva, quanto poco importava sembrare fragile e femminile, una volta in campo; l'unico modo per sfogare, in maniera costruttiva, tutta l'insicurezza e la paura che si portava dentro.
Il basket, il suo più grande amore.
Dopo un'ennesima occhiata all'orologio, Kenji Fujima sbuffò.
[E sono quasi venticinque minuti.]
Un rumore di passi affrettati, proveniente da dietro l'angolo, lo fece sussultare; non poteva sbagliarsi. Aveva ascoltato quei passi, aveva imparato a riconoscerli tra tanti, anche mischiati agli altri rumori tipici di una partita di pallacanestro, anche da lontano.
[Profumo di cannella.]
Prima ancora che riuscisse a girarsi, la persona che stava aspettando lo chiamò:
"Oi, Ken-kun! Scusa il ritardo, sono riuscito a sganciarmi più tardi del previsto!"
Fujima si voltò, cercando di controllare il rossore che sentì salire alle guance, non appena le sue orecchie udirono quella voce profonda, calda e sensuale, che aveva il potere di fargli cedere le ginocchia ogni volta che la ascoltava.
Il cuore gli balzò in gola, ma si sforzò di sorridere discretamente, come il suo solito.
"Maki-san. Cominciavo a disperare!"
Shinichi Maki era arrivato a destinazione trafelato, con i capelli scomposti, la cravatta slacciata sulla camicia della divisa scolastica e il fiato un po' corto. Teneva la giacca dell'uniforme piegata su un braccio e,con la cartella in mano, sembrava più un giovane manager con una ventiquattrore più che uno studente di diciotto anni appena scappato dall'allenamento quotidiano al club di basket cui apparteneva. 
Fujima non poté fare a meno di squadrarlo da capo a piedi, godendo dello spettacolo che gli si parava d'innanzi, mentre le narici gli si riempivano di quel caratteristico odore che, da quando lo conosceva, aveva associato a Maki: l'aroma allo stesso tempo intenso, dolce e speziato della cannella... 
"Eh, no! Almeno, niente 'san', se io ti chiamo per nome. Ken-kun." Maki pronunciò quelle due ultime parole lanciando al suo interlocutore un malizioso sguardo di sfida.
"Veramente, Maki, mi sembrava di averti detto che potevi chiamarmi Kenji. Il vezzeggiativo è una libertà che ti sei preso da solo!", scherzò Fujima, porgendo a Maki il palmo della mano sul quale il capitano del Kainan batté un cinque.
"Avevo proprio voglia di vederti, Kenji. E' da un sacco che non ci facciamo una chiacchierata! Non sono riuscito a liberarmi prima, purtroppo." Maki si passò una mano sulla fronte leggermente sudata.
"Sei perdonato. Che scusa hai dovuto inventarti, con Takato-sensei?" Fujima raccolse la cartella, che aveva appoggiato a terra; mentre parlava, sorrideva e due leggere fossette si disegnarono sulle guance morbide, mentre il sole giocava con il suo incarnato, svelando qualche lentiggine delicata sulla pelle chiara.
Maki deglutì, senza nemmeno accorgersene.
"Oh. Gli ho detto che dovevo andare dal dentista. Beh, ma lo sai, non mi rompe mai più di tanto. Dove andiamo?"
"Per forza, che non ti rompe. per quale motivo dovrebbe farlo? Sei il giocatore che ogni allenatore sogna. Ti va bene da Yukari?"
" 'Che ogni allenatore sogna' ? . Anche tu, Kenji? Comunque, se continui a portarmi nella créperie di tua cugina, finirò per giocare le partite nel ruolo di palla. Non sono esile come te!"
La risata cristallina di Fujima trillò come un campanellino nella calda aria estiva.
"Dai, figurati. Con tutto lo sport che fai!" Il giovane allenatore dello Shoyo afferrò Maki per un lembo della manica della camicia e cominciò a trascinarselo dietro, camminando velocemente.
Aveva bisogno di camminare. Aveva bisogno di muoversi.
[Maki no baka.]
Perché aveva fatto quel commento?!? 'Anche tu, Kenji?!?' Perché si divertiva a giocare a quel modo con lui? Maki era troppo intelligente, per lasciarsi sfuggire certe mezze frasi senza accorgersi dell'effetto che sortivano.
[Anche tu, Kenji?!?]
Quelle parole gli avevano fatto salire il sangue al viso, così violentemente che aveva creduto di svenire. Perché lo stuzzicava così? Non capiva che lo feriva?
[Maki.]
Maki. Tutto ciò che Fujima avrebbe voluto essere. 
I lineamenti marcati, gli zigomi pronunciati, la carnagione scura. I muscoli sodi e compatti, le spalle ampie e quelle mani così grandi. Il suo carisma, la sua fiducia in se stesso, la sua pacatezza. La sua innata capacità di farsi rispettare e ammirare da tutti, a prescindere da quello che faceva. 
Maki, il playmaker più in gamba della prefettura; quello con cui Fujima si era dovuto confrontare, quello che gli aveva strappato il titolo di MVP, quello che lo aveva battuto. Quello che gli aveva tolto anche la sola cosa che riusciva a farlo sentire rispettabile: la vittoria nel basket.
Maki, il migliore giocatore di Kanagawa; Maki, colui che doveva riuscire a battere per riprendersi la stima di se stesso; Maki, che era diventato quasi un'ossessione. No, non quasi. Lo era già, da un bel pezzo. Riempiva i suoi pensieri, i suoi desideri, il suo cuore.
Maki, il ragazzo a cui avrebbe voluto assomigliare; il ragazzo che gli aveva rubato quel po' di autostima che si era faticosamente costruito in tutti quegli anni, fin da bambino; il ragazzo che, non potendo essere, aveva cominciato a desiderare.
"Oi, rallenta! Mica ci corre dietro nessuno."
[E' il mio cuore che sta correndo all'impazzata.]
Avevano ragione i suoi compagni di classe delle medie, a rivolgersi a lui in quei modi poco simpatici. Si era innamorato di un altro ragazzo. Lui, uno dei giocatori di basket più corteggiati dell'intero distretto di Kanagawa, lui, che aveva anche già avuto un paio di fidanzatine ai tempi delle medie. 
Lui, il capitano, nonché allenatore della squadra dello Shoyo, si era innamorato di Shinichi Maki, il capitano del Kainan!
Non era stata la cosa in sé a rappresentare uno shock insuperabile. Si era già accorto di avere certe preferenze sessuali: quando si pratica uno sport e si ha l'occasione di vedere nudi i propri compagni di squadra ogni giorno, agli allenamenti, le reazioni del proprio corpo non possono certo passare inosservate. Ma proprio per  Maki-Uomo-Perfetto gli doveva capitare di perdere la testa?
"Scusa, hai ragione. E' che mi hai fatto aspettare un po' e mi sono già cucinato abbastanza sotto il sole. Avevo fretta di raggiungere un rifugio di malsana aria condizionata!" Fujima rallentò il passo, lasciando andare la stoffa che stringeva tra le dita come se avesse cominciato a scottare; portò anche quella mano sull'impugnatura della cartella, reggendola davanti alle ginocchia, mentre cercava di camminare un po' più lentamente e di placare i battiti del suo cuore.
[Ci è mancato poco che non l'abbia preso sotto braccio, prima. quando mi sta vicino, non ragiono davvero più.]
"Sai, non si trovano mai le parole adatte, per dire certe cose, ma. Mi dispiace davvero." La voce di Maki si era fatta ancora più profonda del solito e quasi inudibile, mentre aveva pronunciato quella frase. Aveva addirittura abbassato lo sguardo, come se non volesse incontrare gli occhi di Fujima.
[.Per non doverci vedere il mio imbarazzo. Sei sempre così  perfetto, Maki. 
Sai sempre come comportarti, in qualsiasi circostanza.]
".So che potrebbe sembrare una frase di circostanza, ma mi sarebbe davvero piaciuto confrontarmi  con te, se non durante il campionato nazionale, almeno nelle eliminatorie. Davvero, sai?" Maki aveva alzato gli occhi e, voltando la testa di scatto, si era messo a fissare Fujima con un'espressione tutta seria, fermandosi improvvisamente. L'amico l'aveva ricambiato con un timido sorriso.
"Lo so, Maki. So che ti dispiace. Ma non me lo ripetere più, mi fai stare ancora peggio di come già mi sento." Fujima ricominciò a camminare, sempre guardandosi la punta delle scarpe, mentre le sue spalle si incurvavano impercettibilmente sotto il peso del ricordo della sconfitta subita dallo Shohoku, che gli aveva precluso il campionato nazionale e la sfida con Maki. 
Il 'suo' Maki.

Maki che, dal canto suo, era sicuro di poter scorgere un ombra di broncio sul viso sereno e rilassato di Fujima; era come se dentro a quel guscio di grazia e apparente tranquillità si agitasse un pulcino spaventato ed indifeso.
Da quanto erano amici, lui e Kenji?
Sembrava una vita fa...
Era dai tempi delle scuole medie che si conoscevano, per lo meno di vista. 
Si erano osservati reciprocamente, studiati sul campo da basket, durante le partite... Senza avere però occasione di confrontarsi. E, infine, si erano presentati alla fine della prima partita disputata tra Kainan e Shoyo, durante il primo anno di liceo. Chissà per quale motivo, erano subito andati d'accordo. Troppo d'accordo.
Beh, qualche cosa in comune l'avevano: la passione per il basket, lo stesso ruolo in squadra, gli stessi modi garbati, quasi un po' sofisticati. Per tutto il resto, erano come il negativo di una pellicola fotografica: il buio e la luce su di una stessa superficie. Le loro stesse diversità li completavano a vicenda, avvicinandoli. Avvicinandoli sempre di più, in un modo che nessuno dei due avrebbe creduto possibile.
Avevano cominciato a vedersi ogni tanto, quando i rispettivi impegni scolastici e sportivi lo permettevano; si rinchiudevano in qualche caffetteria, parlando di tutto, raccontando loro stessi, condividendo idee, speranze, sogni. Parlavano per ore, senza nemmeno rendersi conto del tempo che passava.
Maki non aveva mai avuto un amico così. Forse, non aveva mai avuto un vero amico. O, forse, quello che c'era tra lui e Fujima. 
Maki scosse la testa, sorridendo tra se e se.
Quando avevano cominciato a frequentarsi, era rimasto un po' turbato da quello sguardo dolce e dai modi. seduttivi. Era come se si sentisse. 
attratto, da lui.
In più di un'occasione si era a stento trattenuto da scostare una ciocca di capelli ribelle dagli occhi di Kenji, o dal circondargli la vita con un braccio, mentre passeggiavano fianco a fianco.  E si era spaventato, per quelle strane pulsioni nei confronti di un altro ragazzo.
Non aveva saputo dare un nome a quello che provava per Fujima o, forse, non aveva voluto; era stato molto più facile convincersi che era il modo di comportarsi di Kenji a provocargli quelle strane sensazioni, in lui come in chiunque stesse vicino al quel bellissimo ragazzino dagli occhi enormi. 
Kenji aveva uno strano potere sulle persone... E l'esserci caduto, come tutti gli altri, infastidiva parecchio Maki.
D'altra parte, lui aveva il coltello dalla parte del manico. Lui sapeva di Fujima... Sapeva di essere una tentazione, per lui; sapeva che Fujima era tanto risoluto e sicuro di se su un campo da basket quanto fragile ed indifeso sul piano emotivo...
E Maki si divertiva a provocarlo; ogni volta che riusciva ad incrinare, anche impercettibilmente, quell'espressione di calma indifferenza dall'incantevole volto del capitano dello Shoyo, la soddisfazione che lo pervadeva era molto simile a quella provata a seguito di una vittoria sul campo da basket.
Quello era il suo modo di vendicarsi per la confusione che Fujima aveva portato nel suo cuore... Anche se, qualche volta, quella stesa confusione gli scaldava il cuore  e lo riempiva di dolcezza, confondendolo ancora di più. Ma, tutto sommato, tutto questo lo divertiva... E, senza ombra di dubbio, lui a Kenji ci teneva parecchio.
Quando l'aveva visto piangere, di fronte a tutti i suoi compagni, ai suoi avversari, al suo pubblico, al termine della partita con lo Shohoku, beh... 
Aveva dovuto fare forza su se stesso per non correre da lui, soffocarlo in un abbraccio e coccolarselo come un cucciolo.
D'altra parte, Shinichi Maki era un ragazzo maturo, intelligente ed equilibrato; perché mai avrebbe dovuto turbarsi più di tanto, sentendosi attratto da un altro ragazzo?
[Perché lo sarebbe chiunque... Ed io...]

"E sono felice per te, comunque"
Maki sbatté le palpebre; la voce di Fujima l'aveva riscosso dai suoi pensieri, anche se non era riuscito molto bene a cogliere il significato di quelle ultime parole.
"Eh?!? Cosa, scusa?!?"
"Maki!" Fujima si fermò in mezzo alla strada, riprendendo l'amico con una voce stizzita.
"Insomma, ma che hai, oggi? Non mi stavi nemmeno ascoltando!"
"Scusami, Kenji! Forse sono un po' stanco. Che stavi dicendo?" , tentò di riprendere il discorso, appoggiando gentilmente una mano dietro al gomito di Fujima, costringendolo così a riprendere a camminare.
"Stavo dicendo che mi fa davvero piacere che tu sia stato nominato MVP. Te lo sei meritato. Anche se non mi è andata giù l'eliminazione del campionato nazionale. E. E." Fujima si arrestò di nuovo e, aprendo la cartella, vi rovistò dentro per qualche secondo, sotto lo sguardo interrogativo di Maki; ne estrasse una busta che porse all'amico, senza una parola.
".Di cosa si tratta?!?"
".Ecco. Intendo presentare le mie dimissioni dal ruolo di allenatore del club di basket dello Shoyo."
Maki sollevò le sopracciglia, perplesso; prese la lettera dalle mani di Fujima, come in trance, poi scosse il capo e sorrise. ".Stai scherzando, vero?", domandò, fissando lo sguardo negli occhi nocciola dell'altro. 
"No. Insomma, non mi sento all'altezza di un ruolo tanto importante. Lo so cosa si dice di me, tra le squadre della prefettura. Lo so cosa ha detto Taoka-sensei del Ryonan al termine della nostra partita contro lo Shohoku. 
Se la mia squadra avesse avuto un allenatore capace, sicuramente non avremmo perso." Fujima aveva parlato tenendo gli occhi bassi, evitando accuratamente quel contatto che andava cercando il suo interlocutore; improvvisamente, la busta gli venne strappata di mano, facendogli alzare la testa di scatto.
Maki aveva appoggiato a terra la sua cartella e lo guardava con cipiglio battagliero, una mano appoggiata sul fianco, la giacca buttata sopra una spalla.
".Vuoi che te la strappi io, o la butti via da solo?" Il tono di Maki era deciso e la sua voce lasciava trapelare un'ombra di rabbia. Fujima sgranò gli occhi, sorpreso e, come ogni volta che Maki si ergeva su tutta la sua statura e lo guardava dall'alto in basso, anche un po' intimidito. Deglutì udibilmente, stringendosi al petto la cartella, ancora aperta, dalla quale aveva estratto la busta senta intestazione.
Maki si sentì travolgere da un'ondata di tenerezza, a quel gesto; gli ci volle tutta la sua ferrea forza di volontà per non desistere da suo proposito di far ragionare Fujima con una bella predica, invece che avanzare di un passo, un solo passo e.
[Quando assume quegli atteggiamenti, io.io...  Accidenti a lui!]
"Maki, io. Io. Non me la sento più! Ho fatto tutto il possibile, ma, evidentemente, non sono un granché né come giocatore, né, tanto meno, come allenatore. Non ho il tuo talento, nemmeno lontanamente, non sono mai stato alla tua altezza. Non avrei mai dovuto nemmeno sognare di potermi confrontare con te."
"Mettila via." Maki si allungò la mano e infilò la busta nella cartella di Fujima alla meno peggio. Il ragazzo richiuse la borsa, guardando timidamente l'amico, senza sapere che altro dire.
Maki lo stava fissando, scuro in volto; doveva averlo deluso, certo. Si era dimostrato un debole. Si sentì arrossire, avvertì il cuore accelerare i battiti e lo stomaco stringersi in un nodo. Era sempre così: non appena Maki, nell'ambito di una delle loro interminabili chiacchierate, esprimeva un'opinione anche solo minimente differente dalla sua riguardo a qualche argomento, ecco che lui si sentiva immediatamente uno stupido alla mercé di una specie di supereroe.
Osservò il compagno raccogliere la cartella da terra e risistemare la giacca sullo stesso braccio; il capitano del Kainan sopirò, chiudendo gli occhi e passandosi una mano tra i capelli, come per scacciare gli ultimi fastidiosi pensieri.
"Dai, andiamo dove possiamo parlare. Ma non da Yukari, voglio un posto tranquillo. Vieni." Senza nemmeno dare a Fujima il tempo di pensare, Maki aveva già afferrato un polso sottile con la mano libera, cominciando a camminare a passo sostenuto.
"M. Maki, aspetta! Hey! Dove stiamo andando?!?" Fujima arrossì di nuovo, anche se non oppose troppa resistenza; doveva quasi correre, per stare dietro all'andatura dell'altro.
"Al mare. Non siamo lontanissimi, da qui.", rispose Maki, senza neanche voltarsi a guardarlo.
"A. Al mare?!? Ma."
Fujima non sapeva bene cosa dire; Maki sembrava così strano, quel pomeriggio. lo sguardo gli scivolò sulle dita che stringevano il suo polso: la pelle scura risaltava sul suo incarnato color crema e la mano di Maki era così dannatamente mascolina, in confronto alla sua. Così forte, così calda, così.
Il cuore di Fujima quasi si fermò, quando sentì la presa attorno al polso allentarsi  e vide la mano che stava ammirando tanto scivolare verso la sua. 
Era stato casuale? Doveva essere così. Forse, Maki non si era nemmeno accorto che stava camminando  tenendo per mano un altro ragazzo. Forse, le dita gli erano scivolate casualmente più in basso, perché si era rilassato, e.
[Non prenderti in giro, Kenji. Ti stai illudendo. Lo sai che è impossibile.]
I due continuarono a camminare, anzi, quasi a correre, senza più scambiarsi una parola.
Fujima sentiva le guance scottare e la mano, stretta in quella di Maki, andare letteralmente a fuoco; aveva il fiato un po' corto a causa dell'andatura sostenuta, nonostante fosse ben allenato il caldo e il turbinio di emozioni che si stavano agitando dentro di lui lo facevano sentire stranamente debole.


fine prima particina! ^___^



 
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