TITOLO: Vai solo
AUTORE: Marty.
SERIE: Slam Dunk
PARTE: 1/1
PAIRING: Ru/Hana
RATING: songfic S/PG. Alternative Universe.
DEDICHE: alla mia dolce e tenera cuccioletta per il suo compleanno…
Ti voglio un bene immenso, MoSis, scusami se non c’è la lemon, ma non mi ci piaceva!
DISCLAIMERS: i personaggi sono di zio Takehiko e la song del mitico Filippo Neviani!!!
NOTE: tra gli asterischi i cambi di POV.
NOTE 2: ovviamente riferimenti temporali, storici, ecc sono totalmente inventati e campati per aria…
ARCHIVIO: non so se Ria la vorrà…!
Spero ti piaccia, Sys_Sil!
Marty
Vai solo
di Marty
Un sospiro nel buio.
Solo uno.
Ma un suono che a quelle pareti sembra alieno.
Il corpo sdraiato sul letto sfatto si agita, senza riuscire a trovare pace.
Le lenzuola, fresche di bucato, invece di dare sollievo all’arsura che gli
dà la calda e umida notte estiva, gli si appiccicano addosso, bagnandosi
impietosamente con il suo sudore, imbrigliandolo e aumentando il suo
nervosismo.
Si morde il labbro.
E finalmente si tira a sedere.
Tira indietro con le dita affusolate la ciocca di capelli corvini, madida
anch’essa.
E sospira, il volpino, sospira di nuovo.
Non sa cosa fare.
La luce della luna bagna d’argento il suo corpo sinuoso, mentre il ragazzo
si appoggia alla testiera.
Il suo sguardo cade sull’altro lato del letto.
È vuoto.
Allunga una mano, il cuscino è fresco.
Lo afferra, se lo porta al viso e respira a pieni polmoni il profumo deciso
ed intenso del suo compagno.
Per un istante gli sembra di essere tra le sue braccia, schiacciato contro
il suo petto.
Sente le dita sgraziate del rossino divenire tenere e delicate mentre si
intrecciano alle sue o mentre gli accarezzano i capelli, sente il suo respiro
regolarizzarsi quando si addormenta.
Riesce quasi a vedere il suo profilo rilassato accanto a lui, immerso nella
serenità di sapere che non si è soli.
Ma ecco che stringe i pugni, Kaede Rukawa.
Perché è solo.
Chi dovrebbe essere lì non c’è.
Sa bene che sta lavorando, per entrambi.
Sa bene quanto sia dura per lui, orgoglioso com’è, abbassarsi a fare
l’anonimo commesso di una paninoteca.
Ma d’altro canto, si è fatto licenziare dal lavoro precedente e a loro
serviva qualche entrata extra.
Per i biglietti.
Per l’America.
Quel sogno che finalmente sembra essere a portata di mano ha distrutto le
obiezioni di Hanamichi, che alla fine si è piegato per la loro felicità.
Kaede sorride appena, ricordando come doni al suo koi la divisa del
ristorante.
Pantaloni bianchi dritti che fasciano le gambe muscolose, la maglietta a
mezze maniche azzurra col nome sulla pettorina, il fazzolettone verde intorno
al collo, il cappello da baseball giallo e rosso che si sposa perfettamente con
il colore dei suoi capelli.
E se lo immagina con la cuffia microfonata mentre, affacciandosi alla
finestrella si sporge verso il cliente che dalla macchina ordina la sua dose di
grassi e calorie.
Fin qui non ci sarebbe nulla di male, ma…
********************POV RU*************************
Oggi che giorno
è
Se non potrò stare con te
Dannazione, questa lontananza forzata mi sta facendo impazzire.
È da stamane che Hana è rinchiuso nel tempio del fritto.
Gli hanno affibbiato due turni di fila, e lui ha accettato…
Bisogna dire che è cambiato molto, però.
È maturato.
Un tempo avrebbe dato in escandescenze e buttato all’aria il locale!
Beh, mi fa piacere, perché so che è merito mio, in parte.
Proprio come io devo a lui il mio sorridere e parlare un po’ di più.
Stiamo crescendo insieme, e non c’è nulla che mi renda più felice.
C’è solo una cosa che mi preoccupa.
Ti ho visto un po’ distante
Non lo sei mai
Quando ieri sera sono andato a prenderlo fuori dal locale, nei suoi occhi
nocciola non si sono accese le pagliuzze d’oro.
Sembrerà una sciocchezza, ma non lo è.
Sono state quelle pagliuzze a farmi innamorare di lui.
Com’è possibile che qualcuno sia stato capace di spegnere qualcosa che
neanche la morte del padre a cui era legato a doppio filo ha spento?
E non ha voluto parlarmene.
Mi ha baciato frettolosamente, camminando poi avanti, da solo, con le mani
in tasca, immerso nei suoi pensieri.
Era lì con me, è vero, ma la sua mente ed anche il suo cuore erano lontani
anni luce da noi due.
E stamattina mi ha chiamato per dirmi che gli avevano assegnato il doppio
turno.
Mi scuso mentalmente con lui, ma non gli credo.
Era troppo calmo.
Maturato si, ma non rimbecillito!!!!
Mi appoggio ad un gomito per osservare la sveglia sul comodino.
Sono solo le nove e un quarto.
Mi alzo e mentre mi vesto in fretta, penso a cosa possa averlo turbato
tanto.
Qualcosa mi dice che sto per scoprirlo.
************POV HANA*************************************
Ti ha buttato giù nuovamente
Guardo ancora l’orologio a muro.
Le nove e venticinque.
Non ha mai tardato.
Mi accarezzo le tempie, sono stanco morto.
Sto lavorando da circa dodici ore.
Ho cercato di lasciarmi tutto dietro con la fatica, ma non è servito a
molto.
Quasi mi pento di non averne parlato a Kaede.
Cosa avrebbe potuto capire, d’altronde?!
COME avrebbe potuto capire?!
Ma soprattutto come avrei potuto spiegargli cosa sento dentro quando lo
vedo varcare quella porta…
Come sta facendo ora…
Quando mi specchio nei suoi occhi stanchi, quando mi perdo nelle rughe che
affiorano implacabili intorno alle sue labbra a scandire il passaggio del tempo
su un volto su cui questo avrebbe dovuto essersi fermato cinque anni fa…
Sul viso di mio padre…
Sapere che tuo padre ha un’altra
(vita) ormai
Eccolo, è qui.
Con la sua camicia color verde prato, la cravatta bordeaux, l’orologio da
taschino e la mano insaccata nei pantaloni sportivi ma con quel tocco di
eleganza che lo ha sempre contraddistinto.
Con i suoi capelli castani spruzzati di grigio e i baffi imbiancati, gli
occhiali da vista che nascondono il suo sguardo penetrante.
Anche stasera, le sue dita sono intrecciate a quelle di una bimbetta sugli otto
- nove anni, che vuole il gelato.
Anche stasera viene dritto da me, mi sorride.
Io sorrido a lui, di rimando, mentre ingoio le lacrime di dolore e
tradimento che mi spingono agli angoli degli occhi.
La mia targhetta con il nome stretta in pugno.
Perché non mi riconosca.
Perché non si inventi stupide scuse per spiegarmi come diavolo è possibile
che lui sia qui, davanti a me, e perché io non debba trovare parole vuote per
spiegargli che l’ho seppellito e ho pianto per lui, che ho cercato di
raggiungerlo, che se non fosse stato per una volpe indisponente non avrei mai
ripreso a vivere…che ho bisogno di lui…
E questa sofferenza mi corrode dentro.
Così gli do il gelato, accarezzo una guancia di quella che non sarà mai mia
sorella.
Saluto.
Esce.
Io chino il capo sconfitto, e una lacrima approfitta della mia
disattenzione per disegnare un arabesco sulla mia guancia fino a cadere sul
pugno che stringe il regolo di plastica con i kanji del mio nome.
Ora basta, però.
Tiro su con il naso, ho finito il turno.
Tolgo il grembiule avvertendo che esco, e varco la porta a vetri.
Inspiro il caldo torrido che mi strappa un colpo di tosse invadendomi la
cassa toracica.
Mi stiracchio, mentre cerco di riprendermi, non voglio che Kaede mi veda
così.
Dovrei spiegare troppe cose, e stasera non me la sento davvero.
Mi incammino verso casa, eppure mi sento osservato.
Così mi volto di scatto: e lui è lì, che mi squadra serio.
“Stupido do’hao, vuoi dirmi che cosa cazzo sta succedendo?!”
Io sono nervoso, iroso, stanco, amareggiato, infelice.
E gli scarico tutto addosso.
************************POV RU*******************************
Ti ha ferito ma io non c’entro
niente
Una valanga, un torrente, una colata lavica di parole è quello che mi
vomita addosso.
Mi accusa di non capirlo, di essere solo un peso inutile, di credermi
migliore di lui solo perché non ho dovuto spaccarmi le braccia per costruire
ciò che ho.
Mi sta allontanando, mi sta spingendo fuori dal suo cuore e non riesco ad
impedirglielo.
Poi in quell’accozzaglia senza senso, afferro qualcosa.
E capisco.
Suo padre.
Quello che credeva morto, per cui è stato male e per cui si è
colpevolizzato per anni.
Quello che ha quasi annullato la sua capacità di legarsi a qualcuno.
La persona intorno a cui girava tutto il suo mondo.
Suo padre è vivo, sta benissimo ed ogni sera da circa una settimana va con
la figlia a mangiare al fast food dove lavora il mio amore.
Si sente tradito, non capisce più niente, tutto gli sembra falso e
menzognero.
Ma non è colpa mia!
“Hana, smettila!” grido, disperato.
Non so come aiutarlo, ma non credo che il rispondere ai colpi che mi sta
infliggendo sia la soluzione.
Così riesco a bloccargli i polsi contro il muro, e appoggio la testa sul
suo petto.
Ha la respirazione accelerata.
Sollevo la testa per guardarlo in viso, e sporgendomi a baciarlo gli
sussurro “Coraggio, do’hao…supereremo insieme anche questo…”
Ma lui si scosta un attimo prima che lo raggiunga.
Mi chiedi di lasciarti in pace e
vai
Con uno strattone si libera dalla mia presa e mi rivolge uno sguardo
glaciale che mi spaventa.
Sembra il mio.
“Non ho bisogno di te” mi sibila.
“Non ho bisogno di nessuno.
Sto bene da solo.
Sto MEGLIO da solo.
Sei fastidioso, lasciami in pace!” e mentre la voce sale d’intensità tanto
da diventare stridula sulle ultime parole, corre via.
***********************************************************************
Ma dove vai ora sei solo
Non fare così
Il rossino continuava a correre, mentre il dolore straripava dagli occhi,
dal naso, dalla gola, dal cuore ferito.
Singhiozzava, gridando, con il vento che gli frustava le guance.
Quando si era alzato il vento?
Improvvisamente, come aveva iniziato a correre, rallentò.
Si trovava di fronte ad un parco che conosceva bene.
Con un salto scavalcò il basso cancelletto arrugginito e si incamminò tra
le panchine un tempo laccate di rosso e ora sbiadite e scrostate.
Fece scorrere un polpastrello lungo le crepe che si erano formate sullo
scivolo azzurro che troneggiava al centro del piazzale di sabbia fine.
Accarezzò con lo sguardo i cavallucci di legno su molla, che erano sempre
stati il suo gioco preferito.
Poi fece due passi sulla destra e sedette su un’altalena.
Il sedile di plastica nera cigolò sofferente sotto il suo peso, ma si
adattò obbediente alla forma del suo corpo.
Le mani abbronzate di Hanamichi si strinsero attorno alle catene, iniziando
poi a dondolarlo lentamente.
Chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare dai ricordi e finalmente
lasciandosi andare.
Il suo petto non era più scosso, i lineamenti si erano rilassati, i denti
avevano smesso di tormentargli le labbra.
Si stava calmando: era perfettamente inutile che cercasse di combattere
quello che sentiva.
Si alzò, dandosi un paio di botte ai pantaloni della divisa per far cadere
le foglie che vi erano cadute portate dal vento.
Una però si era fermata prepotente in una piega della stoffa; così, mentre
camminava, la prese e la osservò curioso.
Gli si strinse il cuore: era una piccola foglia d’acero.
È dura se questa storia va in
malora
Era stato freddo e crudele, Kaede non meritava il modo in cui lo aveva
trattato.
Avrebbe dovuto chiedergli aiuto, appoggiarsi a lui, credere nel sentimento
che li univa.
Ma nel dolore era sempre stato solo, non era in grado di dividerlo con
altri, e poi non avrebbe sopportato di essere un peso.
In realtà, quello che aveva rinfacciato al volpino altro non era quello di
cui lui stesso aveva paura di essere incolpato un giorno o l’altro.
Kaede amava il suo vero io, quella parte che neanche lui conosceva a fondo.
Tutto ciò lo spaventava a morte.
Senza che se ne accorgesse, i piedi lo avevano portato nei pressi del loro
campetto, quello in cui si allenavano nei fine settimana.
Aggrappato alla recinzione, Hanamichi guardò il canestro cercando il
coraggio di chiedere scusa al suo amore.
Non poteva vivere senza di lui, lo sapeva bene.
Poi, un rumore di passi lo distrasse.
Chi poteva venire al campetto a quell’ora di notte?
La t-shirt color pervinca con il cappuccio calato sugli occhi, i
pantaloncini cremisi dell’Adidas che gli aveva regalato per il loro ultimo anniversario,
le sue scarpe da ginnastica preferite.
Era Kaede.
Con i suoi vestiti addosso e la palla in mano.
Un paio di palleggi, una finta di lato, un salto e…canestro.
La sfera arancione si insaccò nel canestro con un fruscio sordo.
Il moro era ricaduto dopo il salto, ma ora era inginocchiato a terra.
Batté il pugno sul cemento, mentre un raggio di luna illuminava la lucidità
del cobalto nei suoi occhi.
Chinò il capo, e sussurrò “Perché? Perché?
Perché mi fai del male, Hana?
Io ti amo…”
Tu scappi da chi?
La palla rimbalzò sull’impiantito, risvegliando il rossino dal torpore in
cui era affondato.
Fece due passi indietro.
Guardò ancora una volta la figura accoccolata al centro del campo: non gli
era mai sembrato così fragile.
Ed era stato lui a ridurlo così.
Non poteva tornare.
Sarebbe stato meglio così, si ripeté mentre si allontanava.
Ma dentro di sé sapeva che non era per questo che scappava, e neppure
perché non riusciva a vivere i suoi sentimenti: scappava via perché aveva paura
della persona che era quando lo aveva accanto.
*****************************POV RU****************************************
Vedi preferirei
Averli per me i problemi che hai
Sono passati tre giorni.
Il mio Hana non è tornato.
Ho provato a chiamare al numero della sua vecchia casa, ma risulta
inattivo.
Il cellulare è sempre spento, e le poche volte che lo accende non mi
risponde.
Allora oggi sono andato al locale, e lui era lì.
Sorrideva stanco, aveva delle occhiaie profonde e lo sguardo spento.
Ho provato un dolore acuto al vederlo star male senza poter fare nulla per
aiutarlo.
Darei qualunque cosa per cambiare la mia vita con la sua…ma che dico?
Darei qualunque cosa anche solo per vederlo sorridere di nuovo!
Non riesco a capire come può sentirsi, diviso com’è tra la gioia assoluta e
totalmente insperata di scoprire suo padre in vita e il dolore che gli brucia
per essere stato abbandonato e preso in giro per cinque lunghi anni…
Credimi anch’io le so
Le attese dietro a una finestra
Da quando più non ti ho
Ma capisco benissimo come si senta mentre aspetta che lui varchi quella
porta ogni sera.
Io ogni volta che sento dei passi nella strada corro alla finestra,
sperando di vedere i suoi capelli rossi…sperando che torni da me.
E un po’ di me si spegne ogni volta che non è lui.
Ma cosa posso fare?
Lui ha bisogno di stare solo, di decidere cosa fare della sua vita, se
ricominciare o proseguire, se fermarsi o partire di nuovo…
E non è giusto che io faccia pressioni al riguardo.
Ma solo Kami sa quanto sto pregando perché mi voglia al suo fianco in ogni
caso…
Non è giusto che gli errori suoi
Poi li paghiamo (solo) noi
Io non accetto che Hana si distrugga così.
Alla fine suo padre si è rifatto una vita, è felice, non sta soffrendo e
non si ricorda di aver lasciato un figlio adolescente che lo adorava.
Non gli importa.
E allora perché dobbiamo essere noi a fare le spese della sua
insensibilità?
Non è giusto!
Io aspetto te tu una carezza che
non c’è
Mentre sono accanto alla finestra, dopo l’ennesimo tuffo al cuore, guardo
una sua foto.
La prendo tra le mani.
È quella del matrimonio di Ayako.
Hana ha preso il boquet, quel giorno.
E la foto l’ho scattata a tradimento.
È una delle più belle che ho di lui, credo.
Con le guance rosse d’imbarazzo, i fiori bianchi tra le mani ambrate, il
completo gessato grigio fumo di Londra e la camicia con le maniche a sbuffo è
per me il ritratto della felicità.
La stringo forte al cuore.
E ripenso alla scena a cui ho assistito poco fa.
*FLASHBACK*
Quello è suo padre.
Ne sono sicuro.
Ha lo stesso fuoco nello sguardo, la stessa pelle abbronzata, le stesse
spalle possenti.
Ma soprattutto lo stesso sorriso che mi accelera il battito cardiaco.
Tiene per mano una giovane donna, esile, bionda, che ride divertita ad una
sua battuta.
Mentre sono in fila per ordinare, proprio davanti alla cassa cui è
assegnato Hanamichi, lui le sussurra qualcosa e poi le sfiora la guancia con le
dita.
Lei arrossisce timidamente per poi lasciarsi stringere forte.
Vedo un lampo ferito negli occhi del mio do’hao.
E capisco che l’unica cosa di cui ha un bisogno disperato è quella mano,
quello sguardo, quell’affetto.
In questo momento non è il mio amore che può aiutarlo.
Quindi me ne vado senza farmi vedere.
******
Appoggio la cornice sul comodino e apro la finestra.
Mi allaccio la vestaglia ed esco sul terrazzo.
Respiro a pieni polmoni il profumo di terra bagnata che sale dal giardino
appena innaffiato dall’irrigazione automatica.
Sorrido appena, perché insieme a quello mi arriva anche il profumo di
Hanamichi; per forza, la vestaglia è la sua!
Mi appoggio alla ringhiera e, guardando in alto, rivolgo una debole
preghiera rivolta al mio amore, sperando disperatamente che qualcosa di essa
possa raggiungerlo.
**********************************POV HANA********************************
È dura e mentre tutto va in
malora
Io ti voglio di più
Nonostante i buoni propositi sono venuto.
Mi maledico per essere qui, sotto casa della mia kitsune.
Perché allora ci sono venuto?
Beh, semplice: perché mi manca.
Perché ho bisogno di lui.
E perché stasera mi è sembrato di vederlo, al ristorante.
Per un attimo ho dimenticato mio padre e le sue carezze che oramai non mi
appartengono per sentire solo l’enorme mancanza di quelle di Kaede.
Ho accantonato il desiderio del passato per accarezzare quello del
presente.
Sono riaffiorati i sogni, i progetti, le lotte con i cuscini, l’amore con
lui…
E mi sono mancati tanto da schiacciarmi, tutti i nostri piccoli litigi e i
suoi difetti.
Per questo sono qui.
Per calmare un attimo il battito del mio cuore impazzito.
E quando lo vedo sul terrazzo, con la mia vestaglia troppo grande per lui
che gli si gonfia per la brezza notturna e una mano tra i capelli provo una
morsa allo stomaco.
Quello è il mio angelo, il mio compagno, la mia stella.
Poi Kaede guarda in alto. E sussurra qualcosa alla luna.
Sussurra.
Ma la notte è limpida, chiara e soprattutto immobile.
Quindi le sue parole mi raggiungono perfettamente.
“Hana, perché non torni?
Ho bisogno di te…
Ti prego, parliamone insieme!
Troveremo una soluzione!
Vederti soffrire mi uccide…
Voglio dividere con te anche questo momento!
Voglio dividere con te tutto…perché ti amo…senza di te non ci posso stare…”
Non capisco più nulla.
Mi attacco al campanello, e non mi importa se qualcuno si sveglierà o si
lamenterà per questo.
Corri, baka kitsune!
Aprimi!
Ti voglio addosso a me, sopra di me, dentro di me…
E giuro a me stesso e alla creatura che mi sta correndo incontro che non lo
lascerò uscire mai più.
***********************************************************************
Poi tuo padre avrà i motivi suoi
Prova a parlarci se lo vuoi
Abbracciati nella penombra della stanza, i due avevano parlato tanto.
Hanamichi aveva scoperto che parlare con Rukawa era molto più semplice di
quanto pensasse, perché il suo amore lo capiva fino in fondo, ascoltava anche
quello che lui non gli diceva.
Kaede lo amava in un modo così intenso da spaventarlo.
Ma aveva capito ormai che non doveva aver paura di tanta felicità, ma solo
viverla fino all’ultimo istante, per non avere niente da rimpiangere.
Stringeva convulsamente il cordless tra le dita, ma quando le labbra di
velluto del moro si appoggiarono sulla sua spalla nuda smise di tremare.
Aveva trovato nella tasca della divisa un biglietto da visita con un numero
di telefono.
Quella sera, prima di andare via suo padre l’aveva urtato.
Non poteva essere che un suo messaggio.
Solo che ora aveva una fottuta paura di incontrarlo.
La mano pallida di Kaede gli accarezzò la fronte.
“Coraggio, amore” lo invitò.
“Puoi farcela, io ho fiducia in te.
E tu hai bisogno di questa telefonata.”
Hanamichi annuì e, trattenendo il fiato compose velocemente il numero.
Uno squillo.
Due.
Poi il – click – che avverte che dall’altra parte qualcuno ha alzato il
ricevitore.
“Ciao, Hana” disse una voce calda.
“Vediamoci al parco tra mezz’ora, e saprai ogni cosa.”
Poi, il telefono si ammutolì.
Il rossino si abbandonò contro il petto del compagno.
Con gli occhi chiusi gli riferì l’appuntamento.
“Vuoi che venga anch’io?” chiese il volpino.
La verità ci aiuta a crescere lo sai
“No” rispose fermamente Hanamichi.
“Devo farlo io.”
******************POV KAZUMA********************************
Eccolo, mio figlio.
L’ho riconosciuto subito, all’istante, l’avrei riconosciuto anche se
Michiyo non mi avesse mandato le sue foto.
I capelli erano come i miei, il fisico atletico, gli occhi di Michiyo…
Se avessi potuto crearlo io, non avrei fatto di meglio.
Sono orgoglioso di lui.
Chissà come prenderà questa storia.
Mi è di fronte.
È alto poco meno di me, ma io del resto sono stato “aiutato”.
Gli sorrido, apertamente, e con la dolcezza negli occhi che ho dovuto
mascherare in questi giorni.
“Sei cresciuto” gli dico.
Lui trema appena, poi si tuffa fra le mie braccia, e piange.
Io piango con lui, mentre gli accarezzo piano i capelli.
Mi dice quanto gli sono mancato, quanto ha sofferto, quanto è stata dura…
Poi solleva il viso per guardarmi, e mi tocca la guancia, come per paura
che si tratti di un sogno.
Scuoto il capo.
“Non sono un fantasma Hacchan!” ridacchio.
Hanamichi sbuffa.
Gli prendo la mano e mi siedo su una panchina.
Si siede accanto a me e mi appoggia la testa su una spalla.
È in attesa.
Tocca a me parlare.
“Tua madre ti avrà raccontato che prima di sposarci lavoravo nell’esercito
come medico di campo.
Poi ho conosciuto lei, è stata la mia assistente durante la guerra in
Cecenia. Ci siamo innamorati, e ho deciso di lasciare la mia missione per un
lavoro più calmo e meno pericoloso.
Avevo una famiglia a cui pensare.
Gli anni sono passati tranquilli, finché un giorno non stando troppo bene
sono andato a farmi visitare dal mio medico, uno dei miei ex colleghi.
Mi ha fatto fare delle analisi, da cui sono emersi dati preoccupanti.
Anche il Ministero della Difesa le ha visionate, e mi hanno mandato a
chiamare.
Hanno rivelato che durante l’ultima guerra era stata usata a nostra
insaputa una nuova arma batteriologica, che però rimaneva in circolo per anni
manifestando i propri effetti dopo un periodo d’incubazione eccezionalmente
lungo.
Io sembravo stare bene, comunque, e così mi hanno lasciato tornare a casa,
tenendomi sotto controllo.
Quando ho avuto l’infarto, in realtà, sono caduto in coma indotto e vi
hanno fatto dire che ero morto, perché erano convinti che non me la sarei
cavata.
Mi hanno portato in una base segreta, dove mi hanno esaminato a fondo, e
dopo quasi due anni, finalmente sono uscito dal coma.
Ma per poter condurre una vita normale dovevo ancora guarire
completamente.”
È attonito.
Non riesce a credere, capire ed accettare contemporaneamente quanto gli sto
raccontando.
“Ma la mamma…” chiede titubante.
Sorrido.
“Michiyo sa tutto” rispondo, ricordando come scoppiò a piangere e ridere
insieme quando la chiamai.
“E perché non mi ha detto nulla?” giustamente, non si raccapezza.
“Mi hanno concesso di dire la verità ad una sola persona, e io ho scelto
tua madre.
Ci siamo scritti assiduamente, sai?
Mi ha mandato tue foto, mi ha raccontato dei tuoi successi sportivi e…del
tuo amore…
Poi, passato un altro anno, ho potuto tornare a vivere.
Ho girato un po’ il mondo, volevo scoprire cosa avevo rischiato di perdere.
In Danimarca ho conosciuto Yumi e sua figlia Asuka, il cui marito era morto
nella stessa guerra che aveva rischiato di uccidere anche me, il che ci ha
legato molto.
Così, quando ho deciso di tornare a casa, l’ho portata con me.”
Abbassa il capo.
Credo di aver capito.
“La considero una sorella, Hana” spiego.
“Non ho mai smesso di amare tua madre, è la donna che ho scelto e non me ne
sono mai pentito, neppure per un istante.”
Mi guarda con una nuova luce negli occhi.
Sta ricominciando a sperare.
“Allora…tu…”
“Sì, figliolo.
Sono tornato per restare.”
Non riesco a finire la frase che vengo travolto dal suo abbraccio, mentre
continua a ripetermi che mi vuole bene.
Poi un singhiozzo soffocato, seguito da una risatina.
Gli faccio alzare il viso: sta ridendo di gioia, con il volto rigato di
lacrime.
Tutto sua madre.
**************************POV HANA*****************************
È dura e mentre tutto va in
malora
Io ti voglio di più
Anche nei momenti peggiori, non hai smesso di sostenermi.
La tua mano non ha mai lasciato la mia.
Ti sorrido, mentre mamma porta in tavola il tacchino.
Credo di non ricordarmi un Natale più bello di questo.
Siamo tutti intorno alla tavola, coperta da una tovaglia di merletto, e ci
accingiamo a gustarci il cenone tradizionale della famiglia Sakuragi.
Da un capo della tavola ci sei tu, amore mio.
Io sono alla tua sinistra, accanto a mia madre, mentre alla tua destra sono
sedute Yumi e la piccola Asuka.
E all’altro capo della tavola…
C’è mio padre.
Mi sorride.
E io non riesco ancora a credere a tanta gioia.
Ti stringo la mano, sulla tavola.
Anche tu mi sorridi.
Chiudo e apro gli occhi un paio di volte, per paura che sia tutto un sogno,
ma sembra che possa rilassarmi: tutto resta uguale.
Abbraccio con lo sguardo questa stanza piena di calore e affetto sincero e
sento il mio cuore guarire dalle sue ferite.
Non sarò mai più solo, d’ora in avanti.
Mi bruciano gli occhi e tiro su rumorosamente col naso, sopraffatto da una
simile consapevolezza.
“Cosa c’è, do’hao?” mi chiedi preoccupato.
Ti schiocco un bacio sulla punta del naso.
“Niente, volpetta” rispondo.
“Sono solo molto felice”.
OWARI
Beh, tesoro, questo è tutto!
Posso solo sperare che ti piaccia.
Ci ho messo tutto l’affetto che potevo, tutto il mio cuoricino tenero per
augurarti buon compleanno…
Ti voglio un bene immenso, sorellina, e non dimenticarlo mai: tu sei il mio
tesoro più prezioso…
Un bacio…
Marty_sys