Note: Bla
bla bla i personaggi
non sono miei
Questa fic è un po’ diversa
dalle altre: niente basket (solo un accenno), niente Giappone.
Alla mia amica Akira14 per il
suo sospirato 18° compleanno, ti voglio bene.
Un incontro
voluto dal destino parte
VI
di Koibito8
Alla
cena di commiato Akira portava la cravatta.
Hiroaki
pensò che, dopo questo, niente potesse più sorprenderlo, ma si
sbagliava. La sera era piena di sorprese.
L’attico
di Akira, in cima a uno dei nuovi e lussuosi grattacieli vicino al Lincoln
Center, era più formale di quanto il giovane si fosse aspettato. Il suo
arredamento moderno color azzurro tradiva chiaramente la mano di un
eccellente architetto. Inoltre, Akira fu un padrone di
casa affascinante. Aveva adornato la tavola di fiori e di candele e
aveva preparato una cenetta squisita, completata di da un delizioso vino
francese, con il quale brindarono alla partenza di Hiroaki.
Al
termine della cena si trasferirono a bere il liquore sul terrazzo,
l’unico punto della casa arredato da Akira in persona.
Hiroaki
era affascinato. Il terrazzo era pieno di magnifiche piante, fra le quali
il giovane riconobbe la stessa varietà di quelle che lui gli aveva
regalato.
“Il
tuo regalo di benvenuto a casa”, mormorò, guardando estasiato le verdi
cascate di felci. “Erano … erano tue?”
Akira
annuì e sorrise di quell’implicito complimento.
“Dovresti
progettare giardini.”
“Devo
mantenermi in contatto con le mie radici e poi tutto questo non è solo
per bellezza. Quei vasi davanti a te, per esempio, sono dei pomodori.”
Hiroaki
alzò gli occhi. Era vero. Il giovane fece un giro fra i vasi e rimase a
bocca aperta davanti alla pianta che scendeva da un grande vaso sospeso.
Lesse la targhetta e, incredulo, esclamò: “Fagioli del Lago Blu?”
“Sono
stati i primi che ho imparato a coltivare. Puoi strappare un ragazzo dallo
Iowa, ma …”
“…
Ma non potrai mai strappare lo Iowa da un ragazzo.” Hiroaki fece il giro
del giardino di Akira e trovò verdura comunissima piantata vicino ai
fiori esotici più delicati. Quanta cura dedicava a quelle piante e quanto
amore… Akira rimpiangeva davvero così tanto le sue origini?
Oppure
dedicarsi al giardinaggio era solo uno sfogo per quell’amore che non
voleva rischiare di concedere a qualcos’altro?
Squillò
il telefono ed Akira, scusandosi, entrò in casa a rispondere. Hiroaki ne
approfittò guardarsi ancora intorno, notando quanto fosse sistemata
artisticamente la terrazza. I suoi vasi sospesi, le piante rampicanti e i
cespugli alti fornivano una privacy quasi completa. Nascondevano infatti
la vista e attutivano i rumori della città lasciando vedere solo una
striscia di cielo striato di arancione.
È
come stare in paradiso, pensò il giovane, sedendosi sul soffice divano a
doldolo, l’unico mobile della terrazza. Era comprensibile il motivo per
cui Akira passava tutto il suo tempo là fuori.
Questa
sua abitudine era evidente dai copioni di ‘Amore spericolato’, sparsi
su tutto il pavimento. Hiroaki notò anche una copia piuttosto malridotta
del Macbeth, oltre a diversi libri di critica su Shakespeare. Allora Akira
aveva parlato sul serio: stava studiando la parte di Macduff.
Quando
il giovane sollevò lo sguardo vide che Akira era in piedi sulla soglia.
“Chi era al telefono? Sembri quasi… stordito.”
L’uomo
uscì sul terrazzo. “Era il mio agente”, disse, finalmente. “Toru
Hanagata e Takenori Akagi vogliono che faccia ancora un’audizione per
Mcduff. Sarà la prima cosa che farò la prossima settimana. Ci sarà
anche Hisashi Mitsui che sta già tornando in aereo da Londra.”
“Allora
devono averti seriamente preso in considerazione, Akira!”
“Lo
so.” L’uomo si sedette accanto a lui sul grande divano a dondolo e si
passò la mano fra i capelli, in segno di incredulità.
“Beh,
congratulazioni”, disse Hiroaki, aggiungendo poi, impulsivamente:
“Vedo che stai studiando molto. La parte di Macduff ti interessa,
vero?”
“Si,
dannazione!” La voce di Akira si indurì. “Era molto tempo che non
desideravo tanto qualcosa.”
“Beh,
la tua vita cambierà.”
“Si.”
Non
sembrava che fosse particolarmente contento di questo. “Vorrei poter
essere qui il giorno della tua audizione, almeno per offrirti il mio
supporto morale. Però ho paura che il mio programma…”
“Lo
so. Devi partire domani mattina e io non ti vedrò fino a chissà
quando.” Sospirò “Quando uno scrittore diventa famoso, la prima cosa
che fa è correre per tutto il paese, abbandonando gli amici nell’ora
del bisogno.”
“Io
non ti sto abbandonando”, protestò Hiroaki. Il giovane notò che il
sorriso di Akira si era fatto meno spontaneo e sospettò che i continui
scherzi di quest’ultimo sul suo viaggio nascondessero un sincero
dispiacere per la partenza.
“Inoltre,
tu conosci le date delle tappe del mio viaggio e hai i numeri di telefono
di tutti gli hotel. Se avessi bisogno di me sai dove rintracciarmi.”
“Non
è lo stesso, Ricky. Io ho passato in viaggio metà del mio matrimonio e
conosco bene i rapporti a distanza.” L’uomo strinse nervosamente le
mani. “Quando Kenji e mio figlio morirono, la cosa più dura e difficile
fu pensare che avevo passato fuori casa la maggior parte del tempo, che
avevamo avuto per vivere insieme.”
“Sono
sicuro che loro capivano. Ti volevano bene.” Akira era perso nei ricordi
e Hiroaki se ne accorse.
Il
fatto che questo lo irritasse molto lo sconcertava. Era stupido essere
gelosi del compagno morto, ma d’altronde era stupido anche uscire a
comprare un nuovo vestito solo perché Akira l’aveva invitato a cena.
“Sembri
così lontano con la mente”, gli sussurrò, sentendolo molto distaccato.
Akira
si scusò subito. “Stavo pensando a Toru.”
“Oh
… Ti manca tanto vero?” Hiroaki lo aveva detto impulsivamente e,
cercando di riparare all’errore, aggiunse: “Dovresti avere altri
figli, Akira.” L’uomo divenne immediatamente triste e lui se lo
immaginò chino su una culla a coccolare un neonato o a prenderlo in
braccio. “Un giorno…”
“No.”
Il
suo secco diniego lo colpì con un’intensità che non si aspettava.
“Mai più?”, insistette Hiroaki, non volendo accettare quella
risposta.
Capiva
che sarebbe stato un vero e proprio peccato se Akira non avesse mai più
avuto un figlio.
“No.
Mai più.”
“Ma
perché no? Non dirmi che non vuoi dei figli, perché non sono cieco,
Akira. Vedo come guardi i bambini nel parco, quasi volessi caricarli sulle
spalle e portarli via.”
“Per
amor del cielo, basta!” Akira si alzò e si allontanò. “Non credi che
mi si spessi il cuore a pensare che non avrò mai una grande e vecchia
casa con un volto di bambino a ogni finestra?”
“Ma
perché no?”
“Perché
non sopporterei di soffrire ancora. Non è abbastanza chiaro? Ho chiuso
con l’amore, con gli impegni e le promesse, con tutto quello che può
far soffrire.”
“Ma,
Akira …”
Lui
ignorò la sua debole protesta e continuò: “E io non farei certo niente
di così pericoloso e criminale come adottare un figlio sapendo di non
potergli dare l’amore di cui ha bisogno. Questo è il diritto principale
di ogni bambino, Ricky, e io non posso proprio.”
“Forse
hai da dare più di quanto pensi”, lo interruppe Hiroaki. “Forse tu
stesso ne saresti sorpreso.”
“O
forse ho da dare meno di quello che pensi tu.”
Il
timbro della sua voce, di solito così forte, si era affievolito e il
giovane ne fu spaventato; mentalmente, si rimproverò per essersi spinto
così lontano.
“Mi
dispiace”, mormorò Hiroaki, accantonando l’argomento. “Non volevo
farti soffrire.”
“Tu
non capisci veramente quello che provo, vero?”
“Come
potrei? Posso solo cercare di indovinarlo ed esserti vicino.”
Ora
Akira era lontano da lui, con il corpo e con la mente. “Tu sembri così
dannatamente perspicace che certe volte mi sembra di appartenere a un
altro mondo.”
“Forse
in parte è così per me”
“E
come mai questo per te è un mistero così grande?” il tono casuale
della voce non nascose la curiosità negli occhi blu dell’uomo.
“Non
sei mai stato innamorato?”
“No”,
disse Hiroaki, immediatamente.
Akira
non disse niente, ma lo guardò con tanta intensità che Hiroaki arrossì
violentemente.
“Nemmeno
una volta?”
In
ritardo, Hiroaki ricordò di avergli parlato di Shinichi, anche se aveva
sorvolato sui dettagli più squallidi, lasciandogli capire che il loro
fidanzamento era stato rotto da entrambi di comune accordo. La verità era
troppo umiliante da raccontare.
Macome
avrebbe potuto spiegare quell’episodio, se non con l’amore? “Forse
una volta”, disse il giovane riluttante. Quelle parole avevano il sapore
del veleno.
“Del
tuo ex fidanzato?”
Hiroaki
annuì con tristezza e, facendo finta di niente, Akira gli chiese: “E’
stato l’unico uomo con il quale hai fatto l’amore?”
“Santo
cielo! Che domanda!” Hiroaki non riuscì a nascondere del tutto lo
sbalordimento.
Akira
faceva raramente domande così personali e mai riguardo la vita
sentimentale. Dopo aver deciso che la migliore difesa era l’attacco,
Hiroaki fece a sua volta una domanda indiscreta. “E Kenji è stato
l’unico uomo con il quale tu hai fatto l’amore?”
Rispondi
a questo, se ci riesci, penso il giovane.
“No,
ma è stato l’unico che ha avuto importanza per me.”
Hiroaki
non avrebbe mai immaginato di ricevere una risposta e meno che mai di
riceverla con tanta calma, come se Akira gli attribuisse il diritto di
chiedergli qualunque cosa. Visto il momento favorevole, Hiroaki osò:
“Sei stato con qualcun altro da quando lui è morto?”
Akira
arrossì, ma poi ammise di aver avuto alcune brevi avventure. “Sono
stati dei disastri”, disse francamente a Hiroaki, e il giovane non
dovette chiedere altri dettagli. “So che ci sono uomihi che vivono solo
di queste avventurette, ma io non sono uno di loro.”
“Lo
so.”
“E
tu?”, chiese lui, quasi casualmente.
“Avventure?
Io? Oh, cielo, no! Non voglio soffrire ancora. E poi a che servirebbe? Io
non sento nulla comunque.”
L’espressione
di Akira non cambiò, ma il suo corpo si tese. Era la prima volta che gli
succedeva e Hiroaki se ne stupì.
“Non
volevo impressionarti” gli disse Hiroaki.
Akira
mise le mani in tasca e fece una smorfia. “Perché hai detto che avresti
sposato quel tizi se lui non riusciva a renderti felice?”
“Io
ero felice” protestò Hiroaki. “Semplicemente non…” come poteva
esprimere un concetto simile? “… Non andavo in estasi.”
“Capisco”,
disse Akira. Con quell’unica parola si era fatto comprendere benissimo.
Hiroaki
arrossì. “Beh, pensavo che le cose sarebbero andate meglio, non
peggio.”
Al
giovane venne in mente il tempo che aveva passato con Shinichi e quel
ricordo, nitido come non mai, lo fece soffrire ancora.
Quella
sofferenza doveva essere stata espressa chiaramente anche dal suo volto,
perché Akira esclamò: “Mio Dio! Ti ha fatto soffrire tanto?”
Il
dolore fisico era stato il dolore minore. Era la sofferenza psicologica
quella che ancora non lo abbandonava. La consapevolezza di non essere
pienamente uomo lo angosciava e gli faceva temere il confronto con un
altro uomo e soprattutto con un uomo esperto come Akira.
“Shinichi
mi ha fatto soffrire in ogni modo possibile.”
Akira
imprecò a voce alta, poi gli chiese: “E tu pensi che avesse ragione sul
tuo conto?”
Hiroaki
rispose solo con gli occhi.
“Lo
pensi. Buon Dio, tu pensi di essere impotente!”
Ormai
era troppo tardi per rifugiarsi dietro l’orgoglio e Hiroaki non lo fece.
“Cos’altro posso pensare? Io non provo niente, Akira.”
“Mai?”
Dietro
quella parola si avvertiva un’eccitante sfida. Hiroaki la avvertì e gli
tornò alla mente quello che aveva provato fra le sue braccia, a baciarlo.
No,
non doveva ricordare.
“No,
mai” mentì il giovane spudoratamente. “Eppure ho cercato di cambiare,
credimi. Devo aver letto tutti i manuali di educazione sessuale mai
stampati. “ Il giovane pensò alle ore passate a leggere quel tipo di
pubblicazioni, studiando le risposte del corpo umano. I libri, però, non
l’avevano aiutato, ma gli avevano solo spiegato per scritto quello che
lui non riusciva a sentire.
“Ah”,
disse Akira. “Nei libri tu cerchi la soluzione a tutto.”
La
critica implicita gli diede fastidio. Ma cosa doveva fare, secondo lui?
Doveva saltare di letto in letto sperando in un miracolo?
“Voglio
risolvere i miei problemi a modo mio, anche se devo ammettere che quel
corso di studi non mi ha aiutato molto.”
Akira
rise dolcemente e si sedette di nuovo accanto a lui. “In genere
l’esperienza pratica serve.”
“Ti
stai forse offrendo come volontario per il bene della scienza?”, chiese
Hiroaki, impulsivamente.
L’uomo
non assentì ridendo, né rispose di no, come lui si aspettava. “Non
penso che sia una buona idea. Non vorrei farti soffrire.”
“Ma
tu sei mio amico e, se non posso fidarmi di te, di chi posso fidarmi?”
Hiroaki aveva volutamente ripetuto le parole che lui una volta gli aveva
detto.
Akira
esitava ancora e, se l’avesse rifiutato, se non avesse sopportato
neppure l’idea di baciarlo, anche per scherzo, qualcosa in Hiroaki
sarebbe morto per sempre.
Invece,
miracolosamente, Akira capì quello che lui non riusciva a dire. Si chinò
verso di lui e lentamente le sue dita gli presero il volto, sollevandolo.
Hiroaki
sapeva di avere un’espressione spaventata, perché Akira sussurrò: “Ssh”,
e gli accarezzò il viso prima di chinarsi a baciarlo. Le sue labbra
furono gentili ed il giovane capì che probabilmente lui voleva soltanto
fargli un piacere, dal momento che era tesissimo.
Cullato
da quel dolce contatto, Hiroaki si rilassò, mentre Akira gli accarezzava
le labbra con la lingua, costringendolo ad aprirle. In quel momento una
vampata di calore costrinse il giovane ad arcuare il corpo contro quello
di lui.
“È
bello” mormorò. “Perché non… lo fai di nuovo…?”
Quando
Akira lo fece, Hiroaki gli si avvicinò, stringendolo a sé.
“Così
va bene”, gli sussurrò Akira. “Vieni da me!” La sua lingua vinse le
ultime deboli resistenze e penetrò nella bocca di Hiroaki.
Non
ero mai stato baciato così, pensò il giovane, mentre l’esplorazione
erotica di Akira diventava leggermente più brusca. Hiroaki si arrese con
un gemito e imitò i focosi movimenti della lingua di lui.
Un
fremito scosse il corpo di Akira che bruscamente si tirò indietro e lo
guardò come fosse un marziano.
Anche
Hiroaki si tirò indietro e con le dita si toccò le labbra ancora calde
per il bacio. “Dio, mi sento strano.”
“Lo
credo. Mi sento strano anche io.”
Hiroaki
notò che il colorito di Akira era insolitamente vivace e, sorridendo,
disse: “Penso di voler essere baciato di nuovo.”
“Lei
sta giocando con il fuoco, professore.”
“No,
non è vero.” Baciò lievemente la guancia di Akira. “Sto solo
riscuotendo i miei debiti”
“Quali
debiti?”
Hiroaki
rise. “Oh, grossi debiti! Quando penso a tutte le sere passate a
guardarti giocare!”
“Ma
perché poi non venivi negli spogliatoi come tutti gli altri?”
“Perché
preferivo guardarti” gli disse Hiroaki, in tutta sincerità.
Akira
non se l’aspettava e fece un’espressione stupita.
“Non
l’avevi capito? Io pensavo che fosse ovvio che avevo avuto una cotta
enorme per te.”
Lui
non l’aveva capito e ora la sua timidezza tornava a riemergere in tutta
la propria forza. Akira abbassò lo sguardo e rimase in silenzio, un
silenzio rotto soltanto dal lieve scricchiolio del divano a dondolo.
“Non
volevo metterti in imbarazzo. Era solo un’infatuazione adolescenziale.
Ti giuro che era innocua e innocente.
Guardandolo,
però, Hiroaki si rese conto che quello che ora provava per lui non era
una semplice infatuazione. Era innamorato di Akira Sendoh.
Perdutamente
e con tutto se stesso.
Oh,
Dio, no! Pensò. Nessuna meraviglia che si fosse sentito imbarazzato ed
indifeso quando Akira gli aveva chiesto se si fosse mai innamorato. Certo
non poteva rispondere: ‘Sì ma solo di te’.
Il
dondolo oscillava un po’ troppo e così Akira si chinò dalla parte di
Hiroaki per cercare con la mano il meccanismo che bloccava il dondolio. La
momentanea pressione del corpo di Akira fece sussultare impercettibilmente
Hiroaki.
“Scusami,
ma mi dimentico sempre di innestare il freno…”
“Oh,
non mettere il freno per colpa mia”, disse lui, innervosito dalla piena
consapevolezza della natura del proprio sentimento.
Perso
nei suoi pensieri Hiroaki non si accorse che Akira lo stava fissando finché
lui non gli chiese: ”Perché sei così pensieroso?” mettendogli il
braccio sulle spalle.
Quel
semplice contatto mise tanto in agitazione Hiroaki che gli risultò
impossibile mentire.
“Oh,
stavo solo ricordando la prima volta che ti vidi, mandasti in visibilio
gli spettatori.”
Akira
sorrise. “Quello fu un anno molto fortunato.”
“Era
un sabato pomeriggio, io stavo tornando dal chiosco delle bibite con una
Coca-Cola in ciascuna mano e camminavo lungo il bordo del campo. Tu
cercasti di recuperare la palla da basket anche se l’ultimo tocco era
stato di un avversario. Forse volevi dare spettacolo.”
“Beh,
a quei tempi ero abbastanza esibizionista e volevo fare bella figura,
impressionando i tifosi.”
“Di
sicuro impressionasti me, visto che mi saltasti addosso.”
“E
recuperai la palla?”
Quello,
chiaramente, era ciò che più gli interessava.
“Si”,
mormorò Hiroaki, perso nel ricordo di quel momento, dell’attimo in cui
il corpo dell’uomo l’aveva fatto cadere a terra e lo aveva premuto per
un momento, nel tentativo di riacquistare l’equilibrio. Hiroaki non
aveva mai provato prima l’esperienza di avere su di sé il corpo di un
altro uomo. I capelli neri di Akira gli avevano sfiorato il volto, mentre
quegli occhi blu l’avevano guardato, riempiendo tutto il suo universo.
Il
corpo di Hiroaki aveva cominciato a essere scosso da misteriosi fremiti e
sotto la maglietta i capezzoli si erano irrigiditi; per la prima volta in
vita sua aveva capito quali effetti le carezze di un altro uomo potevano
avere su di lui. La sensazione era stata così improvvisa e inaspettata
che Hiroaki non l’aveva dimenticata.
Per
Akira l’incidente era stato solo una delle migliaia di palle recuperate
nella sua carriera di cestista, ma per Hiroaki … beh, lui ancora sognava
di tanto in tanto il corpo di Akira che si premeva sul suo.
“Immagino
che ti sporcai tutto di Coca-Cola. Mi dispiace.”
“Non
fa niente. Riuscisti a raggiungere la palla.”
“Non
ti mai … ringraziato.”
Come
era pericoloso ripensare a quel giorno! Hiroaki si diede dello stupido e
cercò di distogliere lo sguardo dalle spalle e dal petto di Akira.
“Se
non rovinai la tua maglietta preferita, allora perché mi guardi in quel
modo?”
“Perché
volevo toccarti. Sei stato il primo uomo che abbia mai desiderato toccare,
ma eri un mito. Non potevo toccarti.”
Il
volto di Akira era contratto e rivelava emozioni contrastanti. “Toccami
adesso”, gli disse.
Non
poteva dire sul serio! Eppure non era da Akira prenderlo in giro, almeno
non su quell’argomento.
“Vai
avanti. Non mordo… a meno che tu non mi chieda di farlo.”
Era
un invito al quale era impossibile resistere. Timidamente, Hiroaki sollevò
le mani verso i capelli di Akira e li accarezzò. Nonostante a punta i
suoi capelli frusciavano sotto le dita come seta.
Lentamente,
Hiroaki gli toccò le sopracciglia, gli zigomi e le mascelle, poi, quando
raggiunse la bocca, ebbe un attimo di esitazione, trattenne il respiro e
infine tracciò con la punta dell’indice il profilo delle labbra.
Akira
gli baciò il dito, indugiandovi sopra, delicatamente, con la lingua.
Quando Hiroaki trasalì, l’altro fece penetrare sensualmente il dito
nella bocca.
“Non
è corretto!”, esclamò Hiroaki, togliendo la mano.
“Mi
dispiace”, disse Akira. Il suo sguardo ironico, però, non ingannò
Hiroaki nemmeno per un attimo.
“Ti
comporterai bene?”
“Senz’altro.
Andiamo avanti, professore.”
Hiroaki
andò avanti e la propria audacia lo stupì. Sapeva che non era saggio
tentare il corpo di Akira con un’esplorazione più profonda, ma era
curioso di vedere fino a che punto si estendeva l’invito di Akira.
Fino a dove sarebbe arrivato? Quando il giovane incominciò ad
accarezzargli il corpo fu intrappolato dal suo stesso godimento. Era così
bello sentirlo sotto le proprie mani!
Incredibilmente,
Akira non fece nulla per stimolarlo, nemmeno quando il suo respiro divenne
chiaramente più affannoso.
Anche
il respiro di Hiroaki divenne più veloce, guardò Akira e pensò che
avrebbe voluto liberarsi di quella sua dannata cravatta! Ma non sapeva se
poteva osare svestirlo, anche solo di un simile indumento. Stava
aspettando un segnale.
Akira
non parlò, né si mosse.
Finalmente
prese a disfare il nodo della cravatta e gli ci volle un’eternità,
perché le sue dita tremavano moltissimo. Gettò il pezzo di stoffa di
seta a terra e si mise a slacciare la camicia di Akira. Prima il bottone
del colletto e poi, uno ad uno, tutti gli altri…
“Avevi
detto di non essere bravo in queste cose” disse Akira, quando la mano di
Hiroaki penetrò all’interno della camicia e accarezzò la soffice
peluria del petto.
“Devo
fermarmi?”
“Per
amor del cielo, no!”
Hiroaki
sorrise. Adorava sentire il calore e la forza del corpo di Akira, che gli
baciò i capelli e gli chiese: “Ora mi permetterai di toccarti?”
“No”,
gli rispose immediatamente. “No!”
Ma
Akira lo fece comunque, com nai leggere e delicate, e Hiroaki non se la
sentì di protestare. Era eccitante essere toccato da Akira con tanta
tenerezza. Sotto le mani esperte di lui fremettero parti del suo corpo che
Hiroaki non aveva mai sospettato potessero essere tanto erogene.
Poi
lui lo baciò delicatamente sul viso, sul collo e hiroaki reagì con pari
ardore finchè non reclamò sulle labbra la bocca di Akira.
“Ti
prego”, mormorò, gettandogli le braccia al collo. “Ti prego,
baciami.”
Akira
si chinò e posò le labbra sulle sue.
Hiroaki
fremette al contatto del corpo di Akira con il suo e gemette quando le
dita di lui si insinuarono sotto la stoffa della camicia. Il giovane arcuò
il corpo verso quello di lui, quasi chiedendo silenziosamente di essere
posseduto.
“Ricky,
guardami!”
Lui,
intimorito, alzò lo sguardo, mentre Akira cercava di riprendere fiato,
quasi per riottenere il controllo di sé.
“Va tutto bene”, gli disse con voce non troppo ferma. “Non ti
farò male.”
“Lo
so”, disse Hiroaki, mentre Akira gli sbottonava la camicia e gliela
toglieva.
Akira
lo toccò in modo particolarmente eccitante che gli fece cambiare
totalmente espressione e che gli strappò un gemito di piacere.
“Oh,
ancora!” mormorò. “Di più…” aggiunse.
Akira
continuò ad accarezzargli sensualmente i capezzoli irrigiditi, fino a
farlo sussultare di desiderio.
Hiroaki
voleva… non sapeva nemmeno lui cosa voleva. La sua mente si era
bloccata, ma il suo corpo continuava a muoversi. Attirò a sé Akira e il
contatto del suo petto nudo con il corpo di lui si rivelò incredibilmente
eccitante. Cedendo a un impulso represso troppo a lungo, Hiroaki si
strinse forte a lui.
“Mio
Dio, Ricky!”, gemette l’uomo. I suoi fianchi si muovevano con un
movimento molto seducente e solo allora Hiroaki capì dove li avrebbe
condotti quel gioco.
Lui,
però, non poteva arrivare in fondo. Non ne era capace.
“No!”,
esclamò Hiroaki,
irrigidendosi improvvisamente fra le braccia di Akira. Come poteva fare
l’amore con lui? Non avrebbe sopportato di vedere realizzarsi e poi
svanire tutti i suoi sogni.
Akira
gli lesse nel pensiero e sollevò subito il corpo dal suo, credendo in tal
modo di placare le sue paure; Hiroaki, invece, senza quel contatto si sentì
più solo e freddo che mai.
“Mi
dispiace”, mormorò Akira. Ormai non c’era più traccia di eccitazione
nella sua voce.
“Mi
sento così avvilito, Akira!” La freddezza che si era impadronita di lui
aveva ucciso la passione lasciando solo tanta sofferenza.
“Lo
so, piccolo, ma io ti sono vicino. Affidati a me.”
Hiroaki
appoggiò il volto al petto di Akira e lui, accarezzandolo con dolcezza,
gli mormorò parole di conforto che, a poco a poco, l’aiutarono a
vincere l’imbarazzo.
Si
sentiva così al sicuro fra quelle braccia che niente altro gli importava.
Così, quando Akira riprese a toccarlo con sensualità, lui continuò a
sentirsi tranquillo e, invece di protestare, chiuse gli occhi e godette di
quella sensazione di piacere.
Hiroaki
sapeva di dover fermare Akira, ma era convinto di poterlo fare anche in
seguito. Quando però lui gli sfilò del tutto la camicia e la maglietta,
il giovane capì che non gli era ormai rimasto tempo, anche perché Akira,
con dita esperte aveva
raggiunto il suo membro.
“C-cosa
stai facendo?”
“Ti
sto amando. Ti sto solo amando…” Tutte le timide obiezioni di Hiroaki
furono messe a tacere con una serie di baci che arrivarono fino ai
capezzoli.
Hiroaki
trasalì a quelle parole e sussultò ancora di più quando Akira gliene
baciò uno a lungo. Quel calore sul capezzolo era la cosa più dolce che
avesse mai provato nella sua vita.
“Oh,
Dio, è così bello! Non ti fermare…”
Akira
non si fermò, ma continuò ad alimentare il fuoco che si era acceso in
lui e che ardeva con sempre maggiore violenza, fino a fargli fremere tutto
il corpo. Il tocco di Akira sul suo pene aumentò di intensità ed Hiroaki
fu percorso da violenti fremiti di piacere e gemendo, mormorò il nome di
Akira più e più volte, mentre attorno a lui tutto scompariva, lasciando
posto solo al piacere intenso che provava.
Poi,
con dolcezza, Akira tolse la mano, prese Hiroaki fra le braccia,
aspettando che il respiro gli si regolarizzasse.
“Ricky,
guardami”, disse teneramente.
Hiroaki
sollevò la testa e nello sguardo di Akira lesse un’inconfondibile
soddisfazione. Solo allora afferrò in pieno il significato di quello che
gli era accaduto.
Insieme
a quella consapevolezza giunsero imbarazzo e sbalordimento. Hiroaki si
allontanò da Akira con le guance rosse dalla mortificazione. Non si era
mai lasciato andare tanto con qualcuno.
“No,
non allontanarti. Non sentirti dispiaciuto per una cosa tanto bella”,
gli disse Akira, con la voce rauca, prendendolo fra le braccia.
“Bella
per me, si”, rispose Hiroaki, tremando. “Ma …”
“Bella
anche per me”, lo corresse lui, con dolcezza. “Non sai quanto
desideravo farti godere…”
Hiroaki,
davanti a tanta franchezza, arrossì. “no…”
“Beh,
è così. È meraviglioso tenerti stretto e toccarti, facendoti provare
sensazioni che tu credevi di non essere in grado di provare.”
Hiroaki
trattenne il respiro. Si sentiva forse una specie di benefattore nel
volergli dimostrare che anche lui poteva provare piacere? Se era così,
ci era riuscito in pieno.
Dopo
tutto era stato lui a ricordargli che doveva pagargli un debito. Ciò
significava che lui gli doveva qualcosa per tutte quelle sere che aveva
passato ad adorarlo da lontano. Veramente Hiroaki non si aspettava che
Akira lo prendesse sul serio, ma forse quello era il suo metodo per
pareggiare i conti.
Peccato
che i conti non erano pari. Non ancora. “E tu?” la voce gli mancò.
Non osava fare quella domanda. “E tu non hai bisogno…”
“No”
disse lui immediatamente. “Non ho bisogno di niente, se non di vedere
quello sguardo appagato nei tuoi occhi.” Akira gli baciò la fronte.
“Ricorderò questo momento per tutta la vita.”
“Anche
io”, sussurrò Hiroaki. Ora però gli era chiaro che, nonostante quello
che aveva generosamente detto, anche Akira aveva bisogno di uno sfogo. Uno
sfogo che lui, ora, poteva dargli. Uno sfogo che lui non doveva temere,
almeno con l’uomo che amava.
Hiroaki
provò, immediatamente, una forte sensazione di libertà, si fece coraggio
e appoggiò la mano sulla fibbia della cintura dei pantaloni di Akira.
Lui,
però, gli tolse la mano con un gemito e quel gesto fece a Hiroaki lo
stesso effetto di uno schiaffo. “No, Ricky. Santo cielo, no!”
“Perché
no?” chiese lui, stupito da qual rifiuto.
“Non
posso.” Akira si alzò e lo lasciò solo e avvilito.
“Ma
io non ho paura. Davvero. Voglio…”
Anche
Hiroaki si alzò, lentamente. “Lascia che ti ami, Akira.”
“Non
posso, dannazione!” Quelle parole erano state dure e nel giovane morì
tutta la tenerezza appena sbocciata.
Hiroaki
si alzò, raccolse la maglietta e la camicia, infilandoseli con le mani
tremanti. “Perché no?”, chiese di nuovo, con voce insicura.
Passò
un’eternità, ma lui non rispose. Nella mente di Hiroaki si erano
avvicendate diverse possibili risposte, ma tutte si condensarono in
un’unica desolante realtà.
“Tu
non mi desideri”, disse, con calma ma pieno di orrore.
Poi
scappò via da lui.
Fine
sesto capitolo.
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