Note:
Bla bla bla i personaggi
non sono miei
Questa
fic è un po’ diversa dalle altre: niente basket (solo un accenno),
niente Giappone.
Alla
mia amica Akira14 per il suo sospirato 18° compleanno, ti voglio bene.
Un incontro
voluto dal destino parte
V
di Koibito8
“Potresti
scriverci: ‘A Faith con i migliori auguri?’”
Hiroaki
sorrise e sulla prima pagina del suo libro scrisse ciò che gli era stato
chiesto. Poi formò orgogliosamente con degli svolazzi che tradivano un
crampo sempre più forte alla mano destra.
Non
aveva mai pensato che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe avuto il
crampo alla mano per aver firmato troppi autografi!
Hiroaki
guardò la fila dei clienti in attesa che lui firmasse i loro libri e poi,
senza farsi notare, diede un’occhiata all’orologio.
Erano
le tredici e trenta. Ancora mezz’ora e poi sarebbe andato via.
E
pensare che, quando aveva accettato l’invito della prestigiosa libreria
della Quinta Strada, l’unica sua preoccupazione era stata che nessuno si
facesse vedere!
Firmando
un’altra copia sorrise. Almeno gli era stato risparmiato
quell’imbarazzo. I clienti erano apparsi in gran quantità e gli avevano
fatto molti complimenti, lusingandolo con le loro attenzioni. Hiroaki parlò
a uomini e donne , giovani e anziani, ricchi e non ricchi. Conobbe lettori
che avevano scelto il suo libro solo perché lui era lì e altri, suoi
fedeli ammiratori, che conoscevano i suoi precedenti romanzi così bene da
stupirlo con le loro domande attente e profonde.
Hiroaki
pensò che non aveva mai provato un’esperienza più piacevole e fu
allora, quando mancavano solo venti minuti alla chiusura, che vide Akira.
Il
giovane si agitò al punto di sbagliare a scrivere il proprio nome senza
accorgersene.
Cosa
faceva Akira lì?
Gli
aveva parlato solo di sfuggita di quell’impegno e lui non aveva mai
nemmeno accennato al fatto di volerci andare. Lui non aveva osato
chiederglielo direttamente, vista la gelida risposta al suo primo
impetuoso invito.
Eppure
Akira era lì.
Doveva
essere venuto direttamente dallo studio di registrazione, perché
indossava gli abiti del suo personaggio televisivo. Era la tenuta perfetta
per il giovane e ambiguo chirurgo che interpretava in ‘Amore
spericolato’ .
Così
Akira durante una pausa aveva attraversato New York nella confusione
dell’ora di unta solo per vederlo!
Hiroaki
arrossì di eccitazione e si allungò sul piccolo tavolo per vederlo
meglio. Avrebbe desiderato potersi alzare in piedi e salutarlo, ma non
poteva. Gli autori famosi devono comportarsi secondo una certa etica,
almeno in pubblico.
Dopo
aver firmato un altro libro, Hiroaki alzò di nuovo la testa e vide che
Akira si era avvicinato un po’ di più e che numerosi clienti lo
guardavano con curiosità. Il giovane non riuscì a trattenere un sorriso:
era orgoglioso, perché lui era lì a vederlo.
Akira
lo guardò negli occhi e sorrise, accennando con una mano un gesto di
saluti. Poi scomparve, senza nemmeno avergli parlato.
Hiroaki
si sentì profondamente deluso da qual comportamento. Sarebbe stato meglio
che lui non si fosse fatto vedere per niente, piuttosto che andare lì e
poi scomparire senza nemmeno dirgli una parola.
Era
come se lui avesse misurato l’importanza di Hiroaki su una scala
graduata: era abbastanza importante per un cenno di saluto, ma non lo era
abbastanza perché lui si avventurasse in un negozio affollato per
parlargli.
Il
buonumore di Hiroaki si trasformò ben presto in rabbia quando il ragazzo
uscì dalla libreria, Akira gli aveva rovinato quella bella esperienza.
Fino al momento in cui lui era entrato, Hiroaki era stato felice, poi non
era più riuscito a dimenticare quel rifiuto.
Beh,
ne aveva davvero abbastanza. Si avviò verso casa a piedi, nella speranza
che una lunga camminata placasse il suo tumulto interiore.
Però,
più camminava, più diventava nervoso e infuriato contro di lui. Quanto
era stato scortese e insensibile! D’altronde era tipico di uno come lui,
concluse tra se, dimenticandosi l’innata gentilezza di Akira.
Percorse
tutta la Quinta Strada, oltrepassò l’Hotel Plaza ed entrò nel Central
Park. Mentre si avvicinava al Lincoln Center, il suo pensiero ritornava
insistentemente al venerdì precedente. Akira si era confidato, avevano
scherzato e l’aveva baciato … come l’aveva baciato! Poi, però, si
era comportato come se niente fosse accaduto.
Hiroaki
ricordò con una smorfia il tremendo fine settimana che aveva passato
chiedendosi se lui l’avrebbe mai più richiamato.
L’unico
vantaggio in tutto ciò era che lui aveva convogliato tutte le proprie
energie nel manoscritto e, in uno scoppio di creatività, aveva finito il
primo capitolo del suo nuovo romanzo. Però sapeva bene perché
l’Inghilterra del periodo precedente la grande guerra fosse un rifugio
così ospitale per passare il tempo. Gli evitava di pensare ad Akira.
Il
lunedì era convinto che non l’avrebbe mai più visto; ma il lunedì
sera lui si era presentato a casa sua, portando una deliziosa cena cinese
e sorridendo. Lui aveva capito che erano tornati alla loro solita amicizia
e ne era stato contento, perché non sarebbe voluto partire senza prima
aver sistemato la questione.
E
ora questo. La sera prima avevano chiacchierato e riso da buoni amici e
lui ora si comportava di nuovo in modo distaccato, andandosene senza
nemmeno salutarlo!
Beh,
ne aveva abbastanza dei suoi umori imprevedibili. Hiroaki si diresse allo
studio di ‘Amore spericolato’ e bussò alla porta. Quando questa si
aprì, lui disse al tecnico stupito che l’aveva aperta che doveva vedere
Akira Sendoh. “E’ un’emergenza”, dichiarò.
Pochi
attimi dopo Akira apparve nel piccolo ingresso. “Ricky? George ha
detto…” l’uomo si interruppe quando vide la sua espressione. “Mio
Dio! Qualcosa non va?”
“Certo
che c’è qualcosa che non va”, disse Hiroaki con un tono di voce che
non aveva mai usato.
Akira
sospirò profondamente e, al tecnico rimasto a bocca aperta, borbottò:
“Se ha bisogno di me di’ ad Hazel che sono fuori.” L’uomo prese
Hiroaki per un braccio e lo portò in uno stretto corridoio nel quale si
apriva una porta. Fra due alte pareti di mattoni, erano in piedi l’uno
di fronte all’altro.
“Qual
è il problema?”
“Il
modo in cui mi tratti! Ecco qual è il problema. Dimmi, sei venuto fino
alla libreria apposta per rovinarmi la giornata?”
Akira
divenne pallido. “Ma cosa stai dicendo?”
“Non
sei stato tu a salutarmi innocentemente con la mano?”
“Sì,
ma …”
“Ho
già spiegato abbastanza. Dannazione, Akira, perché non mi hai lasciato
in pace? Dovevi arrivare a quel punto per rifiutarmi?”
“Rifiutarti?”
ora la rabbia stava crescendo anche dentro di lui. “Io non lo chiamerei
un rifiuto, visto che durante una pausa di soli tre quarti d’ora ho
corso per venticinque isolati solo per venire ad augurarti buona …”
“Ma
non lo hai fatto”, lo interruppe Hiroaki. “Non mi hai augurato
niente.”
Akira
mise le mani sui fianchi e lo guardò con ira. “Questo non è vero.”
“Oh,
hai agitato la mano, è vero! Che fatica! Ti sarebbe costato tanto
camminare ancora per quindici metri e venirmi a salutare?”
“No.”
“E
allora come pensi che mi sia sentito. Eh? Era chiaro che non volevi
preoccuparti di salutarmi. Ma se dovevi solo farmi soffrire, perché sei
venuto?”
“Farti
soffrire” oh, no, Ricky!” Akira gli passò una mano fra i capelli.
“Ti giuro che era l’ultima cosa che volevo fare.”
Nel
vedere il colto e l’espressione di Akira, Hiroaki gli credette. La sua
rabbia diminuì un po’, lasciando il posto alla curiosità e a un po’
di rimorso. “Allora perché sei venuto?”
“Per
vederti”, rispose lui, semplicemente. “Per assistere al tuo momento di
trionfo.”
Hiroaki
pensò al rapido cenno di saluto e al sorriso di approvazione. Beh, a modo
suo l’aveva salutato.
“Mi
dispiace proprio di essermi perso il tuo ricevimento di presentazione del
libro”, aggiunse l’uomo, con sua grande sorpresa. “Volevo fare
qualcosa per dimostrarti quanto sono orgoglioso del tuo successo.”
“È
stata la folla del negozio a infastidirti? Ho visto che tutti si voltavano
e so che tu odi essere riconosciuto ..”
“Non
è questo. È solo che non volevo offuscare il tuo successo. Era il tuo
grande giorno, non il mio.”
Hiroaki
scosse la testa. Dopo quella timida ammissione tutta la sua rabbia era
svanita. Aveva frainteso tutto. Aveva pensato che Akira non avesse affatto
tenuto conto dei suoi sentimenti e invece lui aveva solo voluto essere
discreto.
“Io
dividerò volentieri i miei momenti felici con te” gli disse Hiroaki,
con gentilezza. “Ovunque e sempre. Hai capito?”
Akira
annuì e quel sorriso rinfrancò il giovane. “Penso di sì. Mi
dispiace.”
“Anche
a me dispiace”, ammise Hiroaki. “Non avrei dovuto aggredirti così.”
“Ti
eri offeso.” Akira lo guardò attentamente e lui arrossì. “Senti
lascia che rimedi io.”
In
quel preciso istante la porta si aprì e una giovane donna con una
lavagnetta da regista richiamò Akira sul set.
“Solo
trenta secondi”, urlò lui, senza girarsi.
“Ma
siamo già in ritardo …”
“Trenta
secondi”, ripeté l’uomo. “E’ importante.”
La
giovane scrollò le spalle e scomparve.
Allora
Akira prese Hiroaki per le spalle e lo intrappolò, nonostante lui
cercasse di divincolarsi.
“Quando
partirai per il tuo viaggio, Ricky? Dopodomani?” lui annuì e Akira
disse: “Stasera ti invito a cena a casa mia. Per fare pace.
D’accordo?”
“D’accordo”,
sospirò Hiroaki, accorgendosi solo più tardi che Akira Sendoh l’aveva
finalmente e ufficialmente invitato a cena.
Fine
quinto capitolo.
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