Note:
Bla bla bla i personaggi
non sono miei
Questa
fic è un po’ diversa dalle altre: niente basket (solo un accenno),
niente Giappone.
Alla
mia amica Akira14 per il suo sospirato 18° compleanno, ti voglio bene.
Un incontro
voluto dal destino parte
IV
di Koibito8
“La
notte è ancora giovane, vero Signore?”
“Si,
è vero.” Hiroaki si appoggiò allo schienale del sedile posteriore del
taxi e si chiese come mai il suo buonumore si fosse tramutato in
malinconia. Il suo libro era stato accolto molto meglio di quanto si fosse
aspettato e la maggior parte degli invitati al ricevimento aveva espresso
commenti favorevoli sul suo lavoro. Hiroaki aveva superato la tanto temuta
occasione senza fare un passo falso.
Quella
era stata la serata più fortunata della sua carriera e lui avrebbe dovuto
essere felice, non insoddisfatto e scontento.
“Sono
agitato come un salice in mezzo a una tempesta e teso come un burattino
appeso a un filo.”
“Sarà
la primavera, eh?”, sentenziò con saggezza il tassista. “Che è
successo? Halitigato con la sua fidanzata?”
Fidanzata!
Certe cose non cambiano mai!
“No.”
Hiroaki sospirò e si chiese come sarebbe stato se anche Akira fosse stato
presente.
Non
che Akira fosse il suo fidanzato, però quella sera gli era mancato in
modo quasi fisico.
“Stasera
era lavoro” spiegò al tassista curioso. “Solo lavoro.”
Hiroaki
guardò l’elegante vestito che indossava e fu preso da una forte
sensazione di sconforto. Con l’aiuto di Hanamichi si era comprato tutta
una nuova serie di vestiti. E per quale motivo? Per il lavoro, non per il
piacere.
È
sempre la stessa storia, pensò il ragazzo con tristezza. Lui riusciva
bene in tutto, tranne che nell’essere uomo.
Intrecciò
le mani in grembo e ammise con se stesso che passava troppo tempo a
pensare ad Akira. Era un miracolo se aveva combinato qualcosa con il nuovo
libro, considerato tutto il tempo che passava a guardare il vuoto,
pensando alla voce sensuale e profonda di Akira o alla luce particolare
dei suoi occhi…
Ecco
che lo faceva di nuovo. Si raddrizzò sul sedile e si mise a guardare
fuori del finestrino, riproponendosi di non pensare assolutamente ad Akira
Sendoh.
Oltrepassarono
Lincoln Center e a un semaforo rosso lo agurado di Hiroaki si posò sulla
costruzione lunga e gialla dove venivano effettuate le riprese di ‘Amore
spericolato’.
Akira
era ancora a lavorare? Poteva essere. C’erano delle luci accese dentro
l’edificio.
Hiroaki
sospirò: non riusciva proprio a mantenere la promessa di non pensare a
lui!
Fu
in quel momento che vide un uomo attraversare la Sessantottesima strada in
direzione di Broadway. Anche a quella distanza e alla luce delle insegne,
Hiroaki riconobbe quelle spalle, quella testa, quell’andatura
particolare.
Prese
una banconota dalla tasca, la porse al guidatore, e uscì dal taxi.
Allora
Akira aveva lavorato fino a tardi quella sera! Era strano che ciò
significasse tanto, per lui.
“Akira!”
L’uomo
si fermò e si girò lentamente. Solo allora Hiroaki ricordò che non gli
piaceva essere riconosciuto in pubblico. Diventato improvvisamente timido,
il ragazzo si fermò a pochi metri da lui e arrossì. “Mi… mi sembravi
proprio tu”, balbettò.
“Ricky?”
Akira non si mosse e il suo sguardo si posò e indugiò a lungo su Hiroaki,
tanto che il ragazzo, sentendosi a disagio, cercò qualcosa che
giustificasse tanta attenzione: una macchia sulla giacca o sulla cravatta.
Poi
però si ricordò di aver allentato la cravatta e sbottonato il primo
bottone della camicia, una
volta salito sul taxi, con dita impazienti Hiroaki cercò di risistemarsi.
Akira
rise piano. “Bello” disse, avvicinandosi a lui. “Assolutamente
favoloso. E non mi riferisco al vestito.”
“Grazie”,
mormorò lui. “Anche tu stai benissimo.” Non aveva mai visto Akira
vestito in modo così formale. Indossava un impeccabile abito azzurro e
una cravatta di seta. Quest’ultimo accessorio era cos’ estraneo al suo
solito modo di vestire che Hiroaki dovette resistere alla tentazione di
strapparglielo.
“Oh,
questo. È uno dei miei abiti da ‘cena con produttore’.”
“Oh,
davvero?” Hiroaki si sentì subito irragionevolmente geloso del
produttore del quale ancora non conosceva il nome.
“Si.
Ho cenato con Toru Hanagata.”
Hiroaki
sapeva chi era Toru Hanagata e la sua curiosità fu alimentata
dall’eccitazione che vide negli occhi di Akira. “Che voleva? Puoi
dirmelo o sei vincolato da un segreto?”
“No.
Anzi, mi piacerebbe parlartene. Prima, però, voglio sapere come è andato
il tuo ricevimento. Devo pensare a un posto molto elegante se ti è
servito da scenario.”
“Non
essere sciocco”, disse Hiroaki. Poi, dal momento che erano ancora fermi
in mezzo al marciapiede, aggiunse: “E’ una serata così bella.
Facciamo due passi?”
Akira
scosse il capo. “Ho un’idea migliore. Che ne dici di bere champagne
sotto le stelle? Il bar al Lincoln Center è ancora aperto…”
“Perfetto.”
I due attraversarono Broadway e, a un certo punto, l’uomo mise
protettivamente un braccio sopra la spalla di Hiroaki.
“Champagne?
Hai per caso vinto alla lotteria?”
“Forse.”
L’uomo sorrise in modo sibillino, ma sembrava che gli interessasse molto
di più conoscere i dettagli del ricevimento di Hiroaki che parlare della
sua misteriosa cena con Toru Hanagata.
Seduto
a uno dei tavoli rotondi della piazza davanti all’Avery Fisher Hall, il
ragazzo stava bevendo la sua seconda coppa di champagne e aveva finalmente
terminato di raccontare gli episodi simpatici della serata.
“Non
mi stupisce che tu sia così raggiante” osservò Akira, brindando
insieme a lui.
“Anche
tu sei raggiante. Non hai smesso di sorridere per tutta la serata.”
“Ma
stavo guardando te. Come potevo non sorridere?” quell’osservazione e
lo sguardo dell’uomo fecero avvampare Hiroaki.
“Bugiardo”,
mormorò il ragazzo. In realtà era lui a godere di una veduta
meravigliosa: il cielo stellato, la facciata di marmo e vetro del Teatro
dell’Opera sullo sfondo, la fontana che illuminava tutto il cortile che
li circondava e, seduto al tavolo con lui, Akira sendoh sorridente.
Il
cuore di Hiroaki batteva forte. “Parlami di Toru Hanagata. Perché ti
vuole?”
Akira
esitò, come se il solo pronunciare quella frase e quel nome fosse troppo
ardito.
“Hai
sentito che sta allestendo la rappresentazione del ‘Macbeth’? Con la
regia di Takenori Akagi e Sir Hisashi Mitsui come attore principale?”
Il
tono di voce casuale di Akira non ingannò Hiroaki nemmeno per un attimo.
“Ma certo che l’ho sentito…. Akira! ‘Macbeth’? lui ti ha
chiesto… Akira! Mio Dio, è favoloso! Quale ruolo ti ha proposto?”
“Calma,
calma. È solo un’audizione, Ricky. Ci sono molti concorrenti.”
“Però…”
anche una piccola arte in una rappresentazione tanto prestigiosa sarebbe
stata un’ottima e ineguagliabile referenza per Akira. E lui,
d’altronde, con il suo talento, il suo portamento e la sua voce forte e
risonante sarebbe stato perfetto in qualsiasi ruolo. Forse
in quello di malcolm, il figlio del re assassinato….
“Che
parte?”
Akira
abbassò lo sguardo e le sue dita giocherellarono con il bordo della
tovaglia bianca.
“Macduff”,
rispose.
“Mio
Dio!”, esclamò Hiroaki. Mcduff? Era uno dei personaggi principali della
tragedia, quello che, alla fine, spinge Macbeth alla vendetta. Tutti i
giovani attori sognavano di esordire in una parte del genere. Le emozioni
di Mcduff percorrevano tutta la gamma delle emozioni umane e richiedevano
all’attore che lo impersonava una forza non comune, ma anche una
straordinaria tenerezza.
Le
migliori carriere di attore si basavano su opportunità del genere. Quella
era un’occasione preziosa.
“Akira!
È meraviglioso! Mcduff!” Hiroaki immaginò Akira che lottava con il
grande e intimidatorio attore Hisashi Mitsui.
“Sarai
assolutamente perfetto”, gli disse con entusiasmo.
“Sono
felice che la pensi così.” L’uomo bevve tutto lo champagne in un
sorso. “però io ho molta paura”.
“Beh,
non è strano. Recitare insieme a Hisashi Mitsui, metterebbe chiunque in
soggezione.”
“Dubito
di riuscire ad ottenere la parte. Infatti non era me che in un primo
momento avevano scelto per quel ruolo. Avevano già l’attore che doveva
impersonare Mcduff, ma poi quel poveretto si è preso l’epatite e non
potrà lavorare per molti mesi.”
“E
così è stato fatto il tuo nome, sono molto felice per te.”
“Ed
io sono molto felice che tu sia qui, Ricky.” Disse Akira con una voce
improvvisamente molto intensa. “Stasera ho davvero bisogno di
parlarti.”
“Davvero?”
i battiti del cuore di Hiroaki accelerarono senza un preciso motivo né
una logica.
“Certo.
Tu sei l’unico che può aiutarmi.”
“Farei
qualsiasi cosa per te”, sussurrò il ragazzo. La sua mano scivolò
dall’altra parte del tavolo e anò a sfiorare le dita tese di Akira.
“In che modo posso aiutarti?”
“Parlami
del Macbeth.”
Quelle
parole lo colpirono come uno schiaffo. “Cosa?”
“Tu
insegnavi letteratura inglese, vero? Quindi devi conoscere quella tragedia
meglio di chiunque altro.”
“Oh!
Capisco.” Hiroaki era seccato “Hai bisogno della mia esperienza
professionale.”
“Esattamente.
Aiutami.”
“Non
hai mai letto il Macbeth?” gli chiese, con atteggiamento indispettito.
“Al liceo, all’università?”
“Beh…
io… ho letto qualche appunto”, ammise Akira, con un certo imbarazzo.
“In questo momento ricordo solo le streghe, l’assassinio e Lady
Macbeth che diventa pazza e cammina nel sonno. Ho dimenticato
completamente Macduff e non riesco proprio a spiegarmi perché Hanagata e
Akagi abbiano preso in considerazione me per quella parte.”
“Oh!”
Hiroaki si rese conto solo in quel momento del motivo ovvio: la tragica
scena del quarto atto, quando Macduff
viene a sapere che sua moglie e suo figlio sono stati uccisi. Akira
aveva vissuto una scena del genere nella vita reale e le telecamere
avevano ripreso la sua angoscia, trasmettendola al telegiornale.
Se
Hanagata o Akagi avevano visto quel notiziario, avevano notato anche
l’espressione del volto di Akira.
“Hanagata
ha detto che ha in programma una spettacolare scena finale, quella in cui
Mcduff uccide Macbeth, in un combattimento a spade sguainate.”
“Probabilmente
spade scozzesi a doppio taglio”, confermò Hiroaki “Sono armi molto
grandi. Un’imitazione credibile peserà tantissimo.”
“Perciò
penso che abbiano bisogno di qualcuno con corporatura atletica che possa
affrontare la lotta.”
“Ma
Mcduff non è solo un atleta fanatico. È a lui che viene affidata la più
bella poesia di tutta la rappresentazione.” Hiroaki si fermò. Esitava,
perché non sapeva se parlare o no del misterioso accostamento della
vicenda di Macduff con quella della vita reale di Akira.
“Poesia.
È questo che non sono tanto sicuro di poter affrontare, altro che lo
spadone scozzese!”
“Stupidaggini.
Hai una voce meravigliosa, Akira.”
“Ma
la poesia? ‘Che luce arriva dallo spiraglio di quella finestra?’”
“Hai
sbagliato dramma.”
“Vedi?
Mi sto già coprendo di ridicolo.”
“E’
di questo che ahi paura? Di coprirti di ridicolo?”
L’uomo
scrollò le spalle. “Non sono molto preparato sui classici, Ricky.
Hisashi Mitsui mi caccerà dal palcoscenico.”
“Non
penso che tu debba preoccuparti di questo.”
Ad
Hiroaki tornò in mente la passione della voce di Akira quando lui gli
aveva raccontato di aver perso il compagno ed il figlio nel disastro
aereo. Rivide il suo sguardo tormentato e pensò che, se Akira avesse
espresso gli stessi sentimenti sul palcoscenico, neanche il grande Hisashi
Mitsui avrebbe potuto superarlo in bravura.
Ma
quanto gli sarebbe costato rivivere quel terribile dolore una sera dopo
l’altra? Hiroaki provò pena per lui e sentì una fitta al cuore.
Akira
tamburellava con le dita sul dorso della mano di Hiroaki. “Cos’è che
non mi vuoi dire, professore?”
Quell’uomo
era troppo astuto e perspicace.
Hiroaki
si guardò intorno, il locale cominciava ad affollarsi.
“Possiamo
andare in un posto più …… tranquillo?”
Akira
capì subito. “Certo. Camminiamo.”
Si
alzò, prese la mano di Hiroaki e insieme i due attraversarono in silenzio
l’affollato piazzale, inoltrandosi nel piccolo parco che circondava il
Teatro dell’Opera. Le foglie degli alberi li riparavano, dando loro
almeno l’illusione di essere soli.
Eppure
Hiroaki non riusciva ancora a parlare.
“E’
tanto brutto quello che devi dirmi? Mi stai mettendo paura, Ricky”,
mormorò Akira.
“Mi
dispiace”, sbottò Hiroaki, non riuscendo proprio a trovare altra via
d’uscita. “E’ Mcduff. Verso la fine del dramma sua moglie e suo
figlio vengono uccisi. Macbeth li ha assassinati.”
“Capisco”,
disse Akira, quasi impercettibilmente.
“C’è
una scena in cui Mcduff viene informato di quanto è accaduto alla sua
famiglia”, continuò Hiroaki. “E’ corta e si tratta di un bellissimo
pezzo di poesia, ma è davvero strappacuore. Io penso che … dire quelle
parole tutte le sere … potrebbe farti soffrire moltissimo.”
Hiroaki
alzò lo sgurado e vide nell’espressione di Akira che l’uomo stava
combattendo fra due opposti sentimenti: la rabbia e il dolore. “E’
questo il solo motivo per cui mi hanno chiamato a fare quell’audizione,
vero Ricky?” chiese, con amarezza. “L’esperienza che ho
attraversato. Che io sappia o no recitare,
è un altro discorso.”
“Questo
non è vero. Tu sei un grande
attore, Akira. Io non penso che questo sia l’unico motivo per cui ti
hanno proposto la parte.”
“Forse.”
Akira si sedette su un muretto che delimitava un’aiuola del parco. Le
dita erano strette contro il bordo e quello era l’unico segno esteriore
del suo dolore. Hiroaki lo guardò e non potè fare a meno di ricordare la
burrascosa notte di quasi quattro anni prima, quando un lampo si era
abbattuto sull’aereo che proveniva da Dallas, incendiandolo proprio
nelle vicinanze delle piste di atterraggio dell’aeroporto La Guardia.
Akira,
quella notte, stava aspettando il compagno ed il figlio adottivo enl
terminal dell’aeroporto; invece aveva assistito solo al recupero dei
loro corpi dai rottami del velivolo. Le telecamere avevano ripreso
fedelmente ogni istante della sua agonia e del suo dolore; lo stesso
dolore che stava riemergendo in quel momento nei suoi occhi. Hiroaki soffrì
per lui.
“Mi
dispiace, Akira, davvero mi dispiace, vorrei poterti dire qualcosa di più
ma …”
“Non
preoccuparti. Certe volte …. Il dolore si fa sentire di nuovo” disse
lui, con sincerità. “Ma posso sopportarlo.”
“Ora
si. Ma quando dovrai farlo tutte le sere? Davanti agli spettatori? Sei
sicuro di poterlo sopportare?”
L’uomo
rifletté per un momento, poi, sospirando, disse: “no, non ne sono
sicuro, ma penso che ci sia anche la possibilità che recitare la parte di
Mcduff ogni sera mi aiuti a dimenticare.”
“Ma
dopo potresti soffrirne ancora.”
“No.
È stata la perdita di Kenji e Chris a uccidermi.” La voce di Akira si
indurì. “quando morirono, dentro di me si congelarono tutti i
sentimenti, Ricky. Proprio come se fossi morto anch’io.”
“Ma
tu non sei morto”, protesto Hiroaki immediatamente.
“No,
non sono morto.” Il volto di lui divenne terribilmente teso. “Sai
perché te lo dico? Perché ho ricominciato a provare dei sentimenti e
ogni volta soffro terribilmente.”
Hiroaki
si voltò per lasciarlo solo e affondò le dita nella zolla erbosa
dell’aiuola che era dietro di loro. “Chissà se alla terra fa male
disgelarsi”, mormorò Hiroaki.
“Probabilmente
si”, disse Akira, dietro di lui.
Poi,
a voce bassa, recitò alcuni versi. “-aprile è il mese più crudele,
perché generando violette dalla terra morta…-“
“-…
mescola il ricordo e il desiderio -.” Hiroaki aveva la memoria ben
allenata e completò facilmente e automaticamente il verso della poesia di
Eliot. Poi, stupito, si voltò
verso Akira.
“pensavo
che tu odiassi la poesia.” Sussurrò.
“No,
io l’adoro, ma non so recitarla.”
“Non
sono d’accordo, Akira.”
Quest’ultimo
gli posò le mani sulle spalle ed Hiroaki avvertì il respiro di Akira sui
capelli, e pensò che, se avesse sollevato la testa, lui avrebbe anche
potuto baciarlo. Le sue labbra ardevano di desiderio.
Si
guardarono tanto a lungo e con tale intensità che ad Hiroaki mancò il
respiro.
All’improvviso,
però, Akira abbassò le braccia e disse: “Camminiamo.”
Hiroaki,
sopraffatto dalla delusione, perse completamente il filo del discorso.
Quando ritornò alla realtà, Akira stava parlando di Kenji.
“La
cosa più frustrante, in un disastro aereo del genere, è che non si può
dare la colpa a nessuno. Invece per Mcduff è diverso. Lui sa chi ha
ucciso sua moglie e gliela fa pagare. Dà molta soddisfazione poter fare
una cosa del genere.” L’uomo aveva detto queste ultime parole con una
violenza che sorprese Hiroaki.
“Una
catarsi?”, gli chiese.
“Beh,
forse.” Recitare il dramma di shakespeariano avrebbe potuto aiutare
Akira a guarire le sue ferite e gli avrebbe permesso di sfogare almeno in
parte la tensione racchiusa dentro di lui.
“Forse
in questo hai ragione.”
“Ma
adesso smettiamola di parlare dei miei problemi. Questa dovrebbe essere la
tua serata, Ricky. Dovresti festeggiare.” Poi, dopo qualche esitazione,
aggiunse: “Mi è dispiaciuto non poter venire al tuo ricevimento.”
“Perché?
Non ti sarebbe piaciuto.” Hiroaki era volutamente scorbutico, perché
cercava di combattere le pericolose sensazioni che sentiva crescere dentro
di se.
“Però
mi sarebbe piaciuto stare insieme a te.”
“Davvero?”
merda! Perché aveva fatto quella domanda? Sembrava uno scolaretto che
chiedeva di essere rassicurato!
Akira
sorrise e gli si avvicinò “Davvero” gli mormorò fra i capelli, e nel
farlo gli sfiorò l’orecchio con le labbra. Hiroaki fremette e il tocco
divenne più sensuale perché Akira, con la lingua, penetrò
nell’interno dell’orecchio. Hiroaki sentì il basso ventre tendersi,
scosso da un’eccitazione che lui aveva provato solo una volta in vita
sua.
Sapeva
di dover scappare via prima che fosse troppo tardi, ma il suo corpo, preda
del piacere, gli disubbidiva e si stringeva ancora di più ad Akira.
Hiroaki si crogiolava in quella deliziosa sensazione di piacere.
Akira
lo strinse a sé tanto forte da non farlo quasi respirare.
Un
nuovo desiderio, a quel punto, comparve in lui. Hiroaki alzò gli occhi,
confuso da un desiderio forte come il dolore. Ma non trovò quello che
cercava nello sguardo di Akira. Quel cambiamento lo spaventò, spingendolo
a divincolarsi e a dirigersi verso il viale.
“Dove
stai andando?”
“Vieni
e vedrai” gli rispose, camminando verso la piazza, verso la luce, verso
la sicurezza.
“Ricky
…”
Akira
sembrava spazientito e non c’era da meravigliarsene, pensò Hiroaki. In
tutta la sua vita qualcuno era forse mai scappato via da lui?
Quando
raggiunse la sicurezza dello spazio aperto della piazza, però, Hiroaki
dovette ammettere di non essere fuggito via da Akira Sendoh, ma se stesso,
dallo strano desiderio che si impadroniva di lui
quando Akira lo toccava. Era fuggito da quell’appagamento dei
sensi che, a causa dei precedenti fallimenti, aveva pura di raggiungere.
Hiroaki
pensò che era proprio una situazione ridicola. Prima si era lamentato
della mancanza di interesse di Akira nei suoi confronti e, quando la
situazione era cambiata, aveva fatto di tutto per tornare ad una semplice
relazione platonica. Stava addirittura giocando a rincorrersi con
quell’uomo, per amor del cielo!
Eppure
quel gioco innocente allentò la tensione esistente fra loro. Hiroaki fece
rapidamente il giro del monumento di marmo, inseguito da Akira.
L’uomo
lo mise in guardia. “stai attento. E umido lì intorno …”
“Non
scivolerò.” Promise Hiroaki, ma improvvisamente il piede gli slittò
sul bagnato.
Akira
fu pronto ad afferrarlo, mentre Hiroaki si piegava quasi in due dal
ridere.
“Piccolo
pazzo”, gli disse Akira, con affetto. “E’ un miracolo che tu non ti
rompa continuamente qualcosa.”
“Lo
so.” Hiroaki, per sorreggersi, appoggiò le mani alle spalle di Akira e
fu attratto dal volto ridente di lui come da una calamita. Lo toccò prima
ancora di rendersi conto di quello che faceva. Tracciò con le dita il
profilo della bocca sorridente, poi le passò fra i capelli morbidi e
scuri.
Quando
Akira lo cinse per la vita, si sentì venire meno. Poi Akira chinò la
testa e lo baciò a lungo; le sue labbra furono così pazienti, tenere e
dolci che Hiroaki smise di pensare a qualsiasi altra cosa all’infuori di
Akira.
Riuscì
solo a guradarlo e allora impallidì. Il rumore della fontana sembrava
quasi inesistente rispetto al pulsare del sangue nelle sue vene.
Akira lo guardava in modo molto strano, con il volto contratto da
un sentimento simile al dolore. Hiroaki alzò ancora di più il volto e
gli offrì istintivamente la bocca, schiudendo le labbra per permettere
alla lingua di Akira di invaderlo.
Il
corpo gli bruciava tutto dal desiderio e lui, stringendosi forte ad Akira,
gli si arrese completamente.
Quando
le loro lingue si incontrarono e lui cercò di ripetere l’elettrizzante
carezza, lo sentì fremere e mordergli il labbro delicatamente.
Hiroaki
arcuò il corpo verso quello di Akira mormorando “Fallo ancora…”
Akira
lo fece di nuovo e quando lo lasciò andare antrambi stavano tremando.
Akira indietreggiò e si passò la mano fra i capelli.
Hiroaki
guardò il proprio corpo come fosse quello di un’estraneo. Sapeva che la
pelle d’oca sulle braccia non era dovuta all’aria fresca della sera,
ma alla vicinanza di quell’uomo affascinante.
Akira
era rimasto sconcertato dalla reazione emotiva di Hiroali e disse piano:
“Dio, non volevo fare questo.”
“Capisco.”
Hiroaki fece del suo meglio per apparire freddo e impassibile. Non doveva
confidarsi con lui, perciò non aveva importanza se il suo cuore si stava
frantumando in migliaia di pezzi. “Va tutto bene”, borbottò. “Non
è stato niente, davvero.”
Niente,
a parte alcuni baci appassionati che lui non avrebbe voluto dargli. Erano
stati scherzi della luna, dello champagne e di chissà cos’altro.
“Forse
sarà meglio che io chiami un taxi.” Sussurrò Hiroaki.
Akira
non disse nulla.
Durante
tutto il solitario tragitto verso casa, Hiroaki non fece altro che pensare
a cosa avrebbe dato pur di sentire ancora i baci di Akira e pur di averlo
tutto per sé.
Fine
quarto capitolo.
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