Note: Bla  bla  bla  i personaggi non sono miei

Questa fic è un po’ diversa dalle altre: niente basket (solo un accenno), niente  Giappone.

Alla mia amica Akira14 per il suo sospirato 18° compleanno, ti voglio bene.

 


Un incontro voluto dal destino

parte IV 

di Koibito8

“La notte è ancora giovane, vero Signore?”

“Si, è vero.” Hiroaki si appoggiò allo schienale del sedile posteriore del taxi e si chiese come mai il suo buonumore si fosse tramutato in malinconia. Il suo libro era stato accolto molto meglio di quanto si fosse aspettato e la maggior parte degli invitati al ricevimento aveva espresso commenti favorevoli sul suo lavoro. Hiroaki aveva superato la tanto temuta occasione senza fare un passo falso.

Quella era stata la serata più fortunata della sua carriera e lui avrebbe dovuto essere felice, non insoddisfatto e scontento.

“Sono agitato come un salice in mezzo a una tempesta e teso come un burattino appeso a un filo.”

“Sarà la primavera, eh?”, sentenziò con saggezza il tassista. “Che è successo? Halitigato con la sua fidanzata?”

Fidanzata! Certe cose non cambiano mai!

“No.” Hiroaki sospirò e si chiese come sarebbe stato se anche Akira fosse stato presente.

Non che Akira fosse il suo fidanzato, però quella sera gli era mancato in modo quasi fisico.

“Stasera era lavoro” spiegò al tassista curioso. “Solo lavoro.”

Hiroaki guardò l’elegante vestito che indossava e fu preso da una forte sensazione di sconforto. Con l’aiuto di Hanamichi si era comprato tutta una nuova serie di vestiti. E per quale motivo? Per il lavoro, non per il piacere.

È sempre la stessa storia, pensò il ragazzo con tristezza. Lui riusciva bene in tutto, tranne che nell’essere uomo.

Intrecciò le mani in grembo e ammise con se stesso che passava troppo tempo a pensare ad Akira. Era un miracolo se aveva combinato qualcosa con il nuovo libro, considerato tutto il tempo che passava a guardare il vuoto, pensando alla voce sensuale e profonda di Akira o alla luce particolare dei suoi occhi…

Ecco che lo faceva di nuovo. Si raddrizzò sul sedile e si mise a guardare fuori del finestrino, riproponendosi di non pensare assolutamente ad Akira Sendoh.

Oltrepassarono Lincoln Center e a un semaforo rosso lo agurado di Hiroaki si posò sulla costruzione lunga e gialla dove venivano effettuate le riprese di ‘Amore spericolato’.

Akira era ancora a lavorare? Poteva essere. C’erano delle luci accese dentro l’edificio.

Hiroaki sospirò: non riusciva proprio a mantenere la promessa di non pensare a lui!

Fu in quel momento che vide un uomo attraversare la Sessantottesima strada in direzione di Broadway. Anche a quella distanza e alla luce delle insegne, Hiroaki riconobbe quelle spalle, quella testa, quell’andatura particolare.

Prese una banconota dalla tasca, la porse al guidatore, e uscì dal taxi.

Allora Akira aveva lavorato fino a tardi quella sera! Era strano che ciò significasse tanto, per lui.

“Akira!”

L’uomo si fermò e si girò lentamente. Solo allora Hiroaki ricordò che non gli piaceva essere riconosciuto in pubblico. Diventato improvvisamente timido, il ragazzo si fermò a pochi metri da lui e arrossì. “Mi… mi sembravi proprio tu”, balbettò.

“Ricky?” Akira non si mosse e il suo sguardo si posò e indugiò a lungo su Hiroaki, tanto che il ragazzo, sentendosi a disagio, cercò qualcosa che giustificasse tanta attenzione: una macchia sulla giacca o sulla cravatta.

Poi però si ricordò di aver allentato la cravatta e sbottonato il primo bottone della  camicia, una volta salito sul taxi, con dita impazienti Hiroaki cercò di risistemarsi.

Akira rise piano. “Bello” disse, avvicinandosi a lui. “Assolutamente favoloso. E non mi riferisco al vestito.”

“Grazie”, mormorò lui. “Anche tu stai benissimo.” Non aveva mai visto Akira vestito in modo così formale. Indossava un impeccabile abito azzurro e una cravatta di seta. Quest’ultimo accessorio era cos’ estraneo al suo solito modo di vestire che Hiroaki dovette resistere alla tentazione di strapparglielo.

“Oh, questo. È uno dei miei abiti da ‘cena con produttore’.”

“Oh, davvero?” Hiroaki si sentì subito irragionevolmente geloso del produttore del quale ancora non conosceva il nome.

“Si. Ho cenato con Toru Hanagata.”

Hiroaki sapeva chi era Toru Hanagata e la sua curiosità fu alimentata dall’eccitazione che vide negli occhi di Akira. “Che voleva? Puoi dirmelo o sei vincolato da un segreto?”

“No. Anzi, mi piacerebbe parlartene. Prima, però, voglio sapere come è andato il tuo ricevimento. Devo pensare a un posto molto elegante se ti è servito da scenario.”

“Non essere sciocco”, disse Hiroaki. Poi, dal momento che erano ancora fermi in mezzo al marciapiede, aggiunse: “E’ una serata così bella. Facciamo due passi?”

Akira scosse il capo. “Ho un’idea migliore. Che ne dici di bere champagne sotto le stelle? Il bar al Lincoln Center è ancora aperto…”

“Perfetto.” I due attraversarono Broadway e, a un certo punto, l’uomo mise protettivamente un braccio sopra la spalla di Hiroaki.

“Champagne? Hai per caso vinto alla lotteria?”

“Forse.” L’uomo sorrise in modo sibillino, ma sembrava che gli interessasse molto di più conoscere i dettagli del ricevimento di Hiroaki che parlare della sua misteriosa cena con Toru Hanagata.

Seduto a uno dei tavoli rotondi della piazza davanti all’Avery Fisher Hall, il ragazzo stava bevendo la sua seconda coppa di champagne e aveva finalmente terminato di raccontare gli episodi simpatici della serata.

“Non mi stupisce che tu sia così raggiante” osservò Akira, brindando insieme a lui.

“Anche tu sei raggiante. Non hai smesso di sorridere per tutta la serata.”

“Ma stavo guardando te. Come potevo non sorridere?” quell’osservazione e lo sguardo dell’uomo fecero avvampare Hiroaki.

“Bugiardo”, mormorò il ragazzo. In realtà era lui a godere di una veduta meravigliosa: il cielo stellato, la facciata di marmo e vetro del Teatro dell’Opera sullo sfondo, la fontana che illuminava tutto il cortile che li circondava e, seduto al tavolo con lui, Akira sendoh sorridente.

Il cuore di Hiroaki batteva forte. “Parlami di Toru Hanagata. Perché ti vuole?”

Akira esitò, come se il solo pronunciare quella frase e quel nome fosse troppo ardito.

“Hai sentito che sta allestendo la rappresentazione del ‘Macbeth’? Con la regia di Takenori Akagi e Sir Hisashi Mitsui come attore principale?”

Il tono di voce casuale di Akira non ingannò Hiroaki nemmeno per un attimo. “Ma certo che l’ho sentito…. Akira! ‘Macbeth’? lui ti ha chiesto… Akira! Mio Dio, è favoloso! Quale ruolo ti ha proposto?”

“Calma, calma. È solo un’audizione, Ricky. Ci sono molti concorrenti.”

“Però…” anche una piccola arte in una rappresentazione tanto prestigiosa sarebbe stata un’ottima e ineguagliabile referenza per Akira. E lui, d’altronde, con il suo talento, il suo portamento e la sua voce forte e risonante sarebbe stato perfetto in qualsiasi ruolo.  Forse in quello di malcolm, il figlio del re assassinato….

“Che parte?”

Akira abbassò lo sguardo e le sue dita giocherellarono con il bordo della tovaglia bianca.

“Macduff”, rispose.

“Mio Dio!”, esclamò Hiroaki. Mcduff? Era uno dei personaggi principali della tragedia, quello che, alla fine, spinge Macbeth alla vendetta. Tutti i giovani attori sognavano di esordire in una parte del genere. Le emozioni di Mcduff percorrevano tutta la gamma delle emozioni umane e richiedevano all’attore che lo impersonava una forza non comune, ma anche una straordinaria tenerezza.

Le migliori carriere di attore si basavano su opportunità del genere. Quella era un’occasione preziosa.

“Akira! È meraviglioso! Mcduff!” Hiroaki immaginò Akira che lottava con il grande e intimidatorio attore Hisashi Mitsui.

“Sarai assolutamente perfetto”, gli disse con entusiasmo.

“Sono felice che la pensi così.” L’uomo bevve tutto lo champagne in un sorso. “però io ho molta paura”.

“Beh, non è strano. Recitare insieme a Hisashi Mitsui, metterebbe chiunque in soggezione.”

“Dubito di riuscire ad ottenere la parte. Infatti non era me che in un primo momento avevano scelto per quel ruolo. Avevano già l’attore che doveva impersonare Mcduff, ma poi quel poveretto si è preso l’epatite e non potrà lavorare per molti mesi.”

“E così è stato fatto il tuo nome, sono molto felice per te.”

“Ed io sono molto felice che tu sia qui, Ricky.” Disse Akira con una voce improvvisamente molto intensa. “Stasera ho davvero bisogno di parlarti.”

“Davvero?” i battiti del cuore di Hiroaki accelerarono senza un preciso motivo né una logica.

“Certo. Tu sei l’unico che può aiutarmi.”

“Farei qualsiasi cosa per te”, sussurrò il ragazzo. La sua mano scivolò dall’altra parte del tavolo e anò a sfiorare le dita tese di Akira. “In che modo posso aiutarti?”

“Parlami del Macbeth.”

Quelle parole lo colpirono come uno schiaffo. “Cosa?”

“Tu insegnavi letteratura inglese, vero? Quindi devi conoscere quella tragedia meglio di chiunque altro.”

“Oh! Capisco.” Hiroaki era seccato “Hai bisogno della mia esperienza professionale.”

“Esattamente. Aiutami.”

“Non hai mai letto il Macbeth?” gli chiese, con atteggiamento indispettito. “Al liceo, all’università?”

“Beh… io… ho letto qualche appunto”, ammise Akira, con un certo imbarazzo. “In questo momento ricordo solo le streghe, l’assassinio e Lady Macbeth che diventa pazza e cammina nel sonno. Ho dimenticato completamente Macduff e non riesco proprio a spiegarmi perché Hanagata e Akagi abbiano preso in considerazione me per quella parte.”

“Oh!” Hiroaki si rese conto solo in quel momento del motivo ovvio: la tragica scena del quarto atto, quando Macduff  viene a sapere che sua moglie e suo figlio sono stati uccisi. Akira aveva vissuto una scena del genere nella vita reale e le telecamere avevano ripreso la sua angoscia, trasmettendola al telegiornale.

Se Hanagata o Akagi avevano visto quel notiziario, avevano notato anche l’espressione del volto di Akira.

“Hanagata ha detto che ha in programma una spettacolare scena finale, quella in cui Mcduff uccide Macbeth, in un combattimento a spade sguainate.”

“Probabilmente spade scozzesi a doppio taglio”, confermò Hiroaki “Sono armi molto grandi. Un’imitazione credibile peserà tantissimo.”

“Perciò penso che abbiano bisogno di qualcuno con corporatura atletica che possa affrontare la lotta.”

“Ma Mcduff non è solo un atleta fanatico. È a lui che viene affidata la più bella poesia di tutta la rappresentazione.” Hiroaki si fermò. Esitava, perché non sapeva se parlare o no del misterioso accostamento della vicenda di Macduff con quella della vita reale di Akira.

“Poesia. È questo che non sono tanto sicuro di poter affrontare, altro che lo spadone scozzese!”

“Stupidaggini. Hai una voce meravigliosa, Akira.”

“Ma la poesia? ‘Che luce arriva dallo spiraglio di quella finestra?’”

“Hai sbagliato dramma.”

“Vedi? Mi sto già coprendo di ridicolo.”

“E’ di questo che ahi paura? Di coprirti di ridicolo?”

L’uomo scrollò le spalle. “Non sono molto preparato sui classici, Ricky. Hisashi Mitsui mi caccerà dal palcoscenico.”

“Non penso che tu debba preoccuparti di questo.”

Ad Hiroaki tornò in mente la passione della voce di Akira quando lui gli aveva raccontato di aver perso il compagno ed il figlio nel disastro aereo. Rivide il suo sguardo tormentato e pensò che, se Akira avesse espresso gli stessi sentimenti sul palcoscenico, neanche il grande Hisashi Mitsui avrebbe potuto superarlo in bravura.

Ma quanto gli sarebbe costato rivivere quel terribile dolore una sera dopo l’altra? Hiroaki provò pena per lui e sentì una fitta al cuore.

Akira tamburellava con le dita sul dorso della mano di Hiroaki. “Cos’è che non mi vuoi dire, professore?”

Quell’uomo era troppo astuto e perspicace.

Hiroaki si guardò intorno, il locale cominciava ad affollarsi.

“Possiamo andare in un posto più …… tranquillo?”

Akira capì subito. “Certo. Camminiamo.”

Si alzò, prese la mano di Hiroaki e insieme i due attraversarono in silenzio l’affollato piazzale, inoltrandosi nel piccolo parco che circondava il Teatro dell’Opera. Le foglie degli alberi li riparavano, dando loro almeno l’illusione di essere soli.

Eppure Hiroaki non riusciva ancora a parlare.

“E’ tanto brutto quello che devi dirmi? Mi stai mettendo paura, Ricky”, mormorò Akira.

“Mi dispiace”, sbottò Hiroaki, non riuscendo proprio a trovare altra via d’uscita. “E’ Mcduff. Verso la fine del dramma sua moglie e suo figlio vengono uccisi. Macbeth li ha assassinati.”

“Capisco”, disse Akira, quasi impercettibilmente.

“C’è una scena in cui Mcduff viene informato di quanto è accaduto alla sua famiglia”, continuò Hiroaki. “E’ corta e si tratta di un bellissimo pezzo di poesia, ma è davvero strappacuore. Io penso che … dire quelle parole tutte le sere … potrebbe farti soffrire moltissimo.”

Hiroaki alzò lo sgurado e vide nell’espressione di Akira che l’uomo stava combattendo fra due opposti sentimenti: la rabbia e il dolore. “E’ questo il solo motivo per cui mi hanno chiamato a fare quell’audizione, vero Ricky?” chiese, con amarezza. “L’esperienza che ho attraversato. Che io sappia o no recitare,  è un altro discorso.”

“Questo non è vero. Tu sei un  grande attore, Akira. Io non penso che questo sia l’unico motivo per cui ti hanno proposto la parte.”

“Forse.” Akira si sedette su un muretto che delimitava un’aiuola del parco. Le dita erano strette contro il bordo e quello era l’unico segno esteriore del suo dolore. Hiroaki lo guardò e non potè fare a meno di ricordare la burrascosa notte di quasi quattro anni prima, quando un lampo si era abbattuto sull’aereo che proveniva da Dallas, incendiandolo proprio nelle vicinanze delle piste di atterraggio dell’aeroporto La Guardia.

Akira, quella notte, stava aspettando il compagno ed il figlio adottivo enl terminal dell’aeroporto; invece aveva assistito solo al recupero dei loro corpi dai rottami del velivolo. Le telecamere avevano ripreso fedelmente ogni istante della sua agonia e del suo dolore; lo stesso dolore che stava riemergendo in quel momento nei suoi occhi. Hiroaki soffrì per lui.

“Mi dispiace, Akira, davvero mi dispiace, vorrei poterti dire qualcosa di più ma …”

“Non preoccuparti. Certe volte …. Il dolore si fa sentire di nuovo” disse lui, con sincerità. “Ma posso sopportarlo.”

“Ora si. Ma quando dovrai farlo tutte le sere? Davanti agli spettatori? Sei sicuro di poterlo sopportare?”

L’uomo rifletté per un momento, poi, sospirando, disse: “no, non ne sono sicuro, ma penso che ci sia anche la possibilità che recitare la parte di Mcduff ogni sera mi aiuti a dimenticare.”

“Ma dopo potresti soffrirne ancora.”

“No. È stata la perdita di Kenji e Chris a uccidermi.” La voce di Akira si indurì. “quando morirono, dentro di me si congelarono tutti i sentimenti, Ricky. Proprio come se fossi morto anch’io.”

“Ma tu non sei morto”, protesto Hiroaki immediatamente.

“No, non sono morto.” Il volto di lui divenne terribilmente teso. “Sai perché te lo dico? Perché ho ricominciato a provare dei sentimenti e ogni volta soffro terribilmente.”

Hiroaki si voltò per lasciarlo solo e affondò le dita nella zolla erbosa dell’aiuola che era dietro di loro. “Chissà se alla terra fa male disgelarsi”, mormorò Hiroaki.

“Probabilmente si”, disse Akira, dietro di lui.

Poi, a voce bassa, recitò alcuni versi. “-aprile è il mese più crudele, perché generando violette dalla terra morta…-“

“-… mescola il ricordo e il desiderio -.” Hiroaki aveva la memoria ben allenata e completò facilmente e automaticamente il verso della poesia di Eliot.  Poi, stupito, si voltò verso Akira.

“pensavo che tu odiassi la poesia.” Sussurrò.

“No, io l’adoro, ma non so recitarla.”

“Non sono d’accordo, Akira.”

Quest’ultimo gli posò le mani sulle spalle ed Hiroaki avvertì il respiro di Akira sui capelli, e pensò che, se avesse sollevato la testa, lui avrebbe anche potuto baciarlo. Le sue labbra ardevano di desiderio.

Si guardarono tanto a lungo e con tale intensità che ad Hiroaki mancò il respiro.

All’improvviso, però, Akira abbassò le braccia e disse: “Camminiamo.”

Hiroaki, sopraffatto dalla delusione, perse completamente il filo del discorso. Quando ritornò alla realtà, Akira stava parlando di Kenji.

“La cosa più frustrante, in un disastro aereo del genere, è che non si può dare la colpa a nessuno. Invece per Mcduff è diverso. Lui sa chi ha ucciso sua moglie e gliela fa pagare. Dà molta soddisfazione poter fare una cosa del genere.” L’uomo aveva detto queste ultime parole con una violenza che sorprese Hiroaki.

“Una catarsi?”, gli chiese.

“Beh, forse.” Recitare il dramma di shakespeariano avrebbe potuto aiutare Akira a guarire le sue ferite e gli avrebbe permesso di sfogare almeno in parte la tensione racchiusa dentro di lui.

“Forse in questo hai ragione.”

“Ma adesso smettiamola di parlare dei miei problemi. Questa dovrebbe essere la tua serata, Ricky. Dovresti festeggiare.” Poi, dopo qualche esitazione, aggiunse: “Mi è dispiaciuto non poter venire al tuo ricevimento.”

“Perché? Non ti sarebbe piaciuto.” Hiroaki era volutamente scorbutico, perché cercava di combattere le pericolose sensazioni che sentiva crescere dentro di se.

“Però mi sarebbe piaciuto stare insieme a te.”

“Davvero?” merda! Perché aveva fatto quella domanda? Sembrava uno scolaretto che chiedeva di essere rassicurato!

Akira sorrise e gli si avvicinò “Davvero” gli mormorò fra i capelli, e nel farlo gli sfiorò l’orecchio con le labbra. Hiroaki fremette e il tocco divenne più sensuale perché Akira, con la lingua, penetrò nell’interno dell’orecchio. Hiroaki sentì il basso ventre tendersi, scosso da un’eccitazione che lui aveva provato solo una volta in vita sua.

Sapeva di dover scappare via prima che fosse troppo tardi, ma il suo corpo, preda del piacere, gli disubbidiva e si stringeva ancora di più ad Akira. Hiroaki si crogiolava in quella deliziosa sensazione di piacere.

Akira lo strinse a sé tanto forte da non farlo quasi respirare.

Un nuovo desiderio, a quel punto, comparve in lui. Hiroaki alzò gli occhi, confuso da un desiderio forte come il dolore. Ma non trovò quello che cercava nello sguardo di Akira. Quel cambiamento lo spaventò, spingendolo a divincolarsi e a dirigersi verso il viale.

“Dove stai andando?”

“Vieni e vedrai” gli rispose, camminando verso la piazza, verso la luce, verso la sicurezza.

“Ricky …”

Akira sembrava spazientito e non c’era da meravigliarsene, pensò Hiroaki. In tutta la sua vita qualcuno era forse mai scappato via da lui?

Quando raggiunse la sicurezza dello spazio aperto della piazza, però, Hiroaki dovette ammettere di non essere fuggito via da Akira Sendoh, ma se stesso, dallo strano desiderio che si impadroniva di lui  quando Akira lo toccava. Era fuggito da quell’appagamento dei sensi che, a causa dei precedenti fallimenti, aveva pura di raggiungere.

Hiroaki pensò che era proprio una situazione ridicola. Prima si era lamentato della mancanza di interesse di Akira nei suoi confronti e, quando la situazione era cambiata, aveva fatto di tutto per tornare ad una semplice relazione platonica. Stava addirittura giocando a rincorrersi con quell’uomo, per amor del cielo!

Eppure quel gioco innocente allentò la tensione esistente fra loro. Hiroaki fece rapidamente il giro del monumento di marmo, inseguito da Akira.

L’uomo lo mise in guardia. “stai attento. E umido lì intorno …”

“Non scivolerò.” Promise Hiroaki, ma improvvisamente il piede gli slittò sul bagnato.

Akira fu pronto ad afferrarlo, mentre Hiroaki si piegava quasi in due dal ridere.

“Piccolo pazzo”, gli disse Akira, con affetto. “E’ un miracolo che tu non ti rompa continuamente qualcosa.”

“Lo so.” Hiroaki, per sorreggersi, appoggiò le mani alle spalle di Akira e fu attratto dal volto ridente di lui come da una calamita. Lo toccò prima ancora di rendersi conto di quello che faceva. Tracciò con le dita il profilo della bocca sorridente, poi le passò fra i capelli morbidi e scuri.

Quando Akira lo cinse per la vita, si sentì venire meno. Poi Akira chinò la testa e lo baciò a lungo; le sue labbra furono così pazienti, tenere e dolci che Hiroaki smise di pensare a qualsiasi altra cosa all’infuori di Akira.

Riuscì solo a guradarlo e allora impallidì. Il rumore della fontana sembrava quasi inesistente rispetto al pulsare del sangue nelle sue vene.  Akira lo guardava in modo molto strano, con il volto contratto da un sentimento simile al dolore. Hiroaki alzò ancora di più il volto e gli offrì istintivamente la bocca, schiudendo le labbra per permettere alla lingua di Akira di invaderlo.

Il corpo gli bruciava tutto dal desiderio e lui, stringendosi forte ad Akira, gli si arrese completamente.

Quando le loro lingue si incontrarono e lui cercò di ripetere l’elettrizzante carezza, lo sentì fremere e mordergli il labbro delicatamente.

Hiroaki arcuò il corpo verso quello di Akira mormorando “Fallo ancora…”

Akira lo fece di nuovo e quando lo lasciò andare antrambi stavano tremando. Akira indietreggiò e si passò la mano fra i capelli.

Hiroaki guardò il proprio corpo come fosse quello di un’estraneo. Sapeva che la pelle d’oca sulle braccia non era dovuta all’aria fresca della sera, ma alla vicinanza di quell’uomo affascinante.

Akira era rimasto sconcertato dalla reazione emotiva di Hiroali e disse piano: “Dio, non volevo fare questo.”

“Capisco.” Hiroaki fece del suo meglio per apparire freddo e impassibile. Non doveva confidarsi con lui, perciò non aveva importanza se il suo cuore si stava frantumando in migliaia di pezzi. “Va tutto bene”, borbottò. “Non è stato niente, davvero.”

Niente, a parte alcuni baci appassionati che lui non avrebbe voluto dargli. Erano stati scherzi della luna, dello champagne e di chissà cos’altro.

“Forse sarà meglio che io chiami un taxi.” Sussurrò Hiroaki.

Akira non disse nulla.

Durante tutto il solitario tragitto verso casa, Hiroaki non fece altro che pensare a cosa avrebbe dato pur di sentire ancora i baci di Akira e pur di averlo tutto per sé.

 

 

Fine quarto capitolo.




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