Note:
Bla bla bla i personaggi
non sono miei
Questa
fic è un po’ diversa dalle altre: niente basket (solo un accenno),
niente Giappone.
Alla
mia amica Akira14 per il suo sospirato 18° compleanno, ti voglio bene.
Un incontro
voluto dal destino parte
III
di Koibito8
La cena con Akira fu
deliziosa, ma il dopocena si rivelò un disastro.
Una
forte sensazione di abbattimento si impadronì di Hiroaki nell’attimo in
cui il ragazzo entrò in casa. L’appartamento era invaso dall’odore di
vernice e ancora più imbarazzante era il fatto che, poiché il divano
letto sarebbe arrivato soltanto la settimana successiva, poteva far sedere
Akira solo sulle sedie attorno al tavolo.
Non
era certo una situazione romantica, pensò il ragazzo con tristezza. Cercò
di trovare a tentoni la lampada a stelo, ma scivolò su uno straccio
bagnato e inciampò in un barattolo vuoto di vernice. Akira lo sorresse
per un gomito, aiutandolo a rialzarsi e per un attimo rimasero entrambi
fermi in mezzo alla stanza, illuminati solo dalla pallida luce della luna
piena.
Quella
particolare illuminazione dava uno strano colore alla figura di Akira e
Hiroaki si soffermò a guardarlo. Poi lo sguardo gli cadde sulla bocca
dell’uomo e lui si chiese che sensazioni avrebbe provato nel sentire
quelle labbra sulle sue. La sola idea lo eccitò e per la prima
volta ammise a se stesso di aver voglia di baciare Akira, di
toccarlo, di essere toccato da lui.
Sconvolto
da quella razione del suo corpo, Hiroaki abbassò gli occhi. Non aveva mai
provato sensazioni del genere e quello non era certo il momento adatto per
incominciare. Certo non con un uomo al quale interessava solo
l’amicizia.
Maledetta
luna piena! Pensò il ragazzo, cercando disperatamente qualcosa da dire.
Eppure
al ristorante erano stati così bene insieme!
Perché
l’atmosfera era improvvisamente diventata così pesante?
“Sai,
il mio editore fra due settimane darà un ricevimento per la presentazione
de ‘L’irlandese ribelle’”, disse. Era la prima cosa che glie era
passata per la testa, ma qualunque cosa sarebbe stata meglio di quel
silenzio.
“Bene.
Devi essere molto ansioso.”
“E
nervoso. Non sono affatto un esperto di simili ricevimenti:”
“Andrà
benissimo.”
“beh,
forse. Però preferirei non doverci andare solo.” Hiroaki si immaginò
al ricevimento al fianco di Akira e quell’immagine fu per lui come una
droga. “Ti piacerebbe venire con me?”, chiese, impulsivamente.
Seguì
un imbarazzante silenzio ed il ragazzo si rese conto di ciò che aveva
fatto: aveva chiesto un appuntamento a Akira Sendoh. E oltrettutto a un
cocktail party, l’ultimo posto al mondo dove lui sarebbe voluto andare.
Avrebbe
rifiutato. Con galanteria, ma anche con decisione. Hiroaki lo aveva
immaginato già prima di sentirlo mormorare cortesemente che le
apparizioni in pubblico non facevano per lui.
Eppure
lo sapeva! Perché non se ne era ricordato in tempo?
Akira
aggiunse considerazioni sui suoi orari delle riprese di ‘Amore
spericolato’, ma Hiroaki lo fece tacere con un gesto e, dandosi mille
volte dello stupido, disse: “Certo. Capisco. Sono stato stupido a
chiedertelo.”
Lui
non lo contraddisse.
“Ah,
Ricky” gli disse piano, “la vita certe volte è così complicata!”
L’uomo allungò una mano e la passò fra i suoi capelli scuri.
Hiroaki
sentì il cuore battergli più forte anche se si rendeva perfettamente
conto che quel gesto non aveva alcun significato. Quindi si tirò
indietro, aprì la porta e, senza avere il coraggio di alzare lo sguardo,
disse molto formalmente: “Buona notte Akira. È stata una serata molto
piacevole.”
Prima
di andarsene, Akira si chinò a baciargli una guancia e più tardi Hiroaki
si ritrovò ad accarezzare il punto in cui lui l’aveva sfiorato con le
labbra, chiedendosi perché gli facesse tanto male sapere che lo
desiderava solo come amico.
“Sei
sicuro che voglia esserti solo amico?” Hanamichi aveva dei dubbi.
“Perché
questo ti sorprende? È la storia della mia vita.” Hiroaki mise il
detersivo nella vaschetta della lavatrice e chiuse lo sportello con
violenza. “Mi ha baciato sulla guancia, Mich. Proprio come avrebbe
baciato sua nonna.”
Hiroaki
prese una cesta di panni sporchi e i infilò tutti nella lavatrice.
“Ma
hai detto che è timido. Forse
ha bisogno di tempo.”
“Ha
bisogno solo di un altro uomo. Uno che sappia ciò che fa. Uno come te.”
“Non
ricominciare, Ricky. D’accordo io sono un genio, sono perfetto, ma non
c’è niente di sbagliato in te. Sei attraente e sensibile e qualunque
uomo sarebbe felice di averti. Quello che è successo con Shinichi è
stata una vera sfortuna.”
“Ah,
davvero?” la voce di Hiroaki era piena di amarezza.
“Certo.
Scommetto che Akira Sendoh è completamente diverso da Shinichi.”
“E’
un uomo e questo già basta.”
“Non
essere così prevenuto. Se non fosse un uomo non staremmo qui a
parlarne.”
Hiroaki
sorrise, ma il sorriso gli morì sulle labbra al pensiero
dell’esperienza di Akira con gli uomini e delle sue infinite possibilità
di conoscere nuovi ragazzi.
“Smettila,
Hanamichi. Se non sono riuscita a tenermi stretto Shinichi Maki, che
possibilità ho con un tipo come Akira?” Hiroaki scrollò le spalle
quasi per convincere se stesso che non gliene importava niente.
“Sai
di piacergli e questo è già un buon inizio.”
“Ma
certo. Anche a Shinichi piacevo e hai visto cosa è successo.”
Ripensando
a Shinichi Maki, Hiroaki ebbe una fitta allo stomaco. Come aveva potuto
aspettare tanto a dare il suo amore per poi concederlo a chi non lo
meritava?
Eppure
sembravano la coppia ideale.Lui e Shinichi avevano avuto esperienze simili
e aevano gli stessi interessi. Insegnavano persino letteratura inglese
nella stessa università! Shinichi era certamente un tipo interessante con
i suoi capelli castani e la sua aria arrogante; ma Hiroaki non si era mai
sentito insicuro come ora gli capitava con Akira, perché non si era mai
preoccupato di un’eventuale rivalità con altri uomini.
Con
Shinichi, Hiroaki si era sentito sicuro e aveva avuto ciò che desiderava:
un rapporto tranquillo, solido, con pochi rischi.
Quanto
era stato ingenuo a credere che la sua vita sarebbe trascorsa secondo i
canoni tradizionali: l’amore, il matrimonio, i bambini!
Ma
Shinichi aveva conosciuto un altro uomo e tutti i piani di Hiroaki erano
andati in fumo.
Nobunaga
era bello, appariscente, disgustosamente ricco e ben conosciuto negli
ambienti nei quali Shinichi era ancora un principiante. Sei settimane
prima del matrimonio di Shinichi e Hiroaki, lo sposo era scappato con
Nobunaga Kiyota.
Hiroaki
era uscito distrutto da quell’esperienza. Gli pesava soprattutto dover
continuare a insegnare nella stessa università di Shinichi e vederlo
continuamente. I pettegolezzi si erano diffusi con la rapidità del vento
e, passato l’amore, per il ragazzo era rimasta l’umiliazione di essere
stato abbandonato e di dover sopportare gli sguardi pieni di compassione
dei colleghi. Naturalmente non era riuscito ad aspettare la fine del
semestre per dare le dimissioni!
“Shinichi
ha sposato Nobunaga per i suoi soldi e lo sappiamo tutti”, insistette
Hanamichi.
“Oh,
sei gentile a dire questo, ma ti sbagli. Shinichi non è un mercenario.
Non avrebbe intrapreso la carriera universitaria se lo fosse stato.”
Dopo
un attimo di esitazione, Hiroaki confessò quello che il suo orgoglio
aveva sempre tenuto nascosto. “La verità è che a letto fra noi non
funzionava.”
Aveva
espresso il suo convincimento senza mezzi termini.
“Beh,
questo non vuol dire che fosse colpa tua.”
“Ah
no? Eppure ora Shinichi è felice, quindi doveva essere colpa mia.”
Non
c’erano stati dubbi su quel punto, perché era stato Hiroaki
l’inesperto, quello che aveva ancora tutto da imparare. E aveva fallito.
“Non
ho la tua predisposizione per certe cose. Forse quando andavamo allo
stadio e tu stavi con tutti quei ragazzi io avrei dovuto osservarti e
prendere appunti.”
“Beh,
se ti sei perso quello che succedeva sulle gradinate è stato solo perché
eri sempre intento a guardare giocare Akira Sendoh. Quindi è lui che ti
deve dare delle lezioni, non io.”
“Magari
fossi così fortunato.”
“Non
darti per vinto prima del tempo. Un’osservazione impulsiva non può
averlo spaventato per sempre, anche se è molto timido. Scommetto che lo
vedrai prima della fine della settimana.”
“Quanto
scommetti?”
“Dieci
dollari.”
“D’accordo,
ma ti avverto che andrai fallito.”
“Un
giorno, forse. Ma non ora. Aspetta e vedrai. Ora ti devo salutare, Kaede
si è svegliato, lo amo da morire ma è geloso anche della sua ombra, e di
te più di ogni altro.”
“D’accordo,
ciao. E ricorda a Kaede che non ho intenzione di minare il vostro
rapporto.”
“Non
ci penso nemmeno, mi piace tenerlo un po’ sulle spine.”
“Sei
davvero incorreggibile.”
Hiroaki
perse varie volte la scommessa fatta con l’amico, ma il piacere di
vedere Akira era attenuato dall’estemporaneità delle sue visite.
L’uomo non programmava mai in anticipo la sua attività. Chiamava
semplicemente Hiroaki e lo invitava a cena, a una festa o a una
passeggiata con lui nel parco…. Costringendolo a fare pazze corse per
prepararsi in tempo.
Questo
atteggiamento infastidiva molto il ragazzo, che più di una volta fu sul
punto di discuterne con lui. Poi, riflettendo, concludeva che tale
comportamento era dovuto a qualche motivo particolare che non aveva niente
a che fare con lui. Akira era molto sensibile e attento alle necessità di
Hiroaki.
Così
lui tenne la bocca chiusa e aspettò una spiegazione che non arrivò. Dopo
tutto, non aveva alcun diritto su Akira. Lui non l’aveva mai neanche
baciato. Hiroaki cercava di convincersi di essere contento di
quell’amicizia finché non arrivò la sera in cui lui ed Akira cenarono
con Jun Uozumi.
Quell’uomo
lo intimidiva un po’, perché era conosciuto per avere la lingua molto
tagliente. Inoltre, era il miglior amico di Akira: compagno di college,
padrino di Toru, il figlio di Akira, e, stando a quello che Akira stesso
diceva, era l’uomo che, dopo la fin della sua carriera sportiva, gli
aveva salvato la vita convincendolo a recitare.
Hiroaki
voleva fare una buona impressione su Jun Uozumi, ma quando lo guardò
negli occhi sentì che lui stava pensando e valutando ogni sua parola. E
quando Akira li lasciò soli per pochi minuti, l’uomo colse
l’occasione al volo e, squadrando Hiroaki da capo a piedi, borbottò:
“Sei molto diverso da Kenji.”
Hiroaki
lo sapeva. Kenji Fujima Sendoh era stato un uomo bellissimo, con un
sorriso smagliante, che aveva totalmente dedicato la sua vita al marito e
al figlio.
“Lo
so”, rispose il ragazzo seccato da qual paragone. “E allora?”
“Allora
non voglio che Akira soffra ancora. Ha un cuore d’oro e non voglio che
gli si spezzi un’altra volta.”
“Non
preoccuparti. Siamo solo amici.”
“Non
prendere in giro te stesso. Io capisco quando una persona si sta
innamorando…”
Akira
tornò in quel momento e trovò Jun Uozumi che annuiva saggiamente in
direzione di Hiroaki, rosso in viso e confuso.
Si
stava innamorando di Akira Sendoh?
Quell’idea
lo spaventava più di quanto ammettesse.
Un
giovedì sera di fine aprile, mentre passeggiava con Akira vicino ai campi
da gioco di Central Park, Hiroaki notò
che a una dele squadre mancava un giocatore. Prima che Akira potesse
protestare , il ragazzo l’aveva già trascinato in campo, offrendo il
loro aiuto.
Hiroaki
non avrebbe mai dimenticato l’espressione
dell’allenatore nel rendersi conto che il sostituto era nientemeno che
Akira Sendoh.
Quanto
si erano divertiti! L’aver giocato spesso a pallone da ragazzino tornò
molto utile a Hiroaki che si comportò benissimo, mancando i passaggi solo
due volte. Akira , naturalmente, giocò
in modo superbo. Quando la partita terminò, con una schiacciate vittoria
della loro squadra, Akira abbracciò Hiroaki con entusiasmo, poi si
sedette e passò mezz’ora a raccontare episodi della sua carriera
sportiva agli altri giocatori.
Hiroaki
non lo aveva mai visto così rilassato.
Il
suo sorriso caloroso sprigionava una forte simpatia.
Quando
finalmente decisero di andarsene, una folla di voci concitate li seguì.
“Noi giochiamo qui ogni giovedì sera. Tornerete a giocare con noi?”
Vedendo
l’espressione tesa tornare sul viso di lui, Hiroaki capì che Akira non
avrebbe fatto una simile promessa. Il suo piacere di giocare no era
materiale: non si sarebbe impegnato nemmeno in una cosa priva di
importanza come un partita di basket amichevole.
Il
ragazzo provò la voglia di dare un calcio a qualcosa.
“Sai,
non sarebbe la fine del mondo se tu dicessi che la settimana prossima
saremo qui.”
“La
prossima settimana potrei avere delle riprese televisive la sera.”
“Ah,
già, la scusa multiuso. ‘Mi dispiace, ma i miei orari sono
imprevedibili’…”
“Beh,
è la verità.”
“Certo,
per tua fortuna! Altrimenti dietro cosa potresti nasconderti? Per amor del
cielo, Akira, ti riesce così difficile fare una piccola promessa? Solo
per questa volta?”
“Va
bene. Io dico a questi ragazzi che possono contare su di me. E se poi devo
rimanere in studio? Oppure se il ginocchio mi fa tanto male da non
permettermi di giocare? Che succederebbe allora? Io non faccio promesse
che non posso mantenere. Così, soffro soltanto io.”
“Non
è detto.”
Akira
lo guardò e per la prima volta capì che la sua riluttanza a prendere
impegni poteva far soffrire anche lui. L’uomo si lasciò andare su una
panchina e nascose la testa fra le mani.
“Non
sono stato leale con te, vero? Mi dispiace, Ricky. Deve essere una
seccatura, per te, vedermi
arrivare all’improvviso, a tutte le ore del giorno e della notte.”
“Niente
affatto. Sei solo un amico un po’ imprevedibile.” Hiroaki si sedette accanto a lui e gli coprì una mano con la
sua. “Non intendevo lamentarmi.”
“Eppure
ne avresti ogni diritto.”
L’uomo
intrecciò le proprie dita con quelle di lui, provocandogli un fremito in
tutto il corpo.
“Tu
sei un uomo eccezionale, Ricky. Lo sapevi?”
Hiroaki
scosse il capo e pensò che quello era il primo complimento che lui gli
faceva.
“La
maggior parte delle persone esigono delle garanzie. Vogliono che le loro
vite siano programmate, prevedibili, chiare. Giovedì cena alle otto,
tennis ogni sabato mattina…. Tu invece no. Tu sei diverso, indipendente,
e questo mi piace molto. Non ho mai conosciuto una persona così
elastica.”
“Tu
mi stimi troppo. Non mi dispiacerebbe se fra noi ci fosse un po’ più di
prevedibilità.”
“No,
scommetto che non ti dispiacerebbe. Il fatto che io sia imprevedibile ti dà
fastidio?”
“Qualche
volta” ammise “non ti chiederei mai di cambiare….” Dopo la
promessa di matrimonio strappata a Shinichi, Hiroaki sapeva dove potevano
portare le promesse forzate. ”Vorrei solo sapere perché ti impegni
sempre così poco. Tu non fai mai programmi anticipati, vero?”
“Nella
mia vita privata no”
“Perché
no?”
“E’
inutile. Non ci si può basare su nulla. Prendo solo il meglio di ogni
giornata così come viene. Se viene.”
“Se
viene?”
“Ricky,
quando si seppelliscono tanti sogni come ho fatto io, si smette di contare
sul domani.”
Hiroaki
pensò alla carriera di lui e al compagno e al figlio adottivo, morti in
un disastro aereo.
“non
ti aspetti che nulla di ciò che ti piace possa durare, vero? È a causa
di quello che è successo alla tua famiglia?”
“Li
amavo tanto”, sussurrò Akira. “Poi, in una sola notte, li ho
perduti.” Hiroaki non osava guardarlo negli occhi; gli bastava sentire
la sua voce. “Ora non penso più al futuro, non faccio programmi. Non
voglio soffrire ancora.”
Il
fatalismo dell’uomo irritò Hiroaki. “Se non corri qualche rischio è
come se fossi morto anche tu. Inoltre, ti sbagli quando dici che non puoi
contare su nulla. Hai sempre la tua forza, il tuo coraggio, il tuo cuore,
la tua volontà…. Tu hai una grande forza di volontà Akira. La volontà
di vincere. Ecco perché, nonostante quello
che avevano detto i dottori, tu non cammini con le stampelle. Non ti sei
lasciato andare.”
“Penso
di essere molto testardo, testardo come un mulo.”
“Beh,
sei anche quello.” Risero insieme, poi si alzarono e si incamminarono
verso l’uscita del parco. Akira, quasi con noncuranza, posò la mano
sulla spalla di Hiroaki “Come fai a sopportarmi?” gli chiese.
“Oh,
è una fatica”, scherzò lui, “ma qualcuno
deve pur farlo.”
Passeggiarono
in silenzio per un po’ e poi Akira gli chiese se si ricordasse di un suo
compagno di squadra, un certo Fukuda.
Hiroaki
rifletté un istante, poi ricordò. “Quello bruttissimo? E chi può
dimenticarlo? Una volta l’ho visto fare due errori nella stessa
partita.”
“Quando
passò ai Twins, comprò una baita sul lago, nel Minnesota, e invitò
alcuni di noi ad andare a pescare di notte. Disse che si trattava del
miglior posto del mondo per quanto riguardava la pesca. Così…”
“Oh,
no!”, lo interruppe Hiroaki. “non dirmi che su una barca era una frana
come sui campi da basket”
“Anche
peggio, se è possibile. Ci fece rovesciare in mezzo a uno dei diecimila
laghi del Minnesota”
“Oh,
Dio! E faceva freddo?”
“Si
gelava. Ed era buio pesto. Non vedevamo la riva né riuscivamo a raddrizzare la barca. Passarono due ore prima che spuntasse
l’alba e ci venissero a salvare. Due ore in quell’acqua gelata,
aggrappati alla barca a chiederci se qualcuno ci avrebbe trovati.”
Hiroaki
gli passò il braccio intorno alla vita e lo sentì irrigidirsi.
“Ecco
come mi sento dopo la morte di Kenji”, ammise Akira a voce bassa “come
se stessi al buio nell’acqua gelida, a chiedermi se il sole sorgerà
mai.”
“Sorgerà”,
promise Hiroaki, avendo finalmente capito il senso di tutto il discorso.
“Sorgerà.”
Akira
strinse a sé il ragazzo e nascose il viso fra i suoi capelli. Gli stava
permettendo di dividere ilsuo dolore e, per un breve attimo, Hiroaki si
sentì così vicino ad Akira Sendoh come non si era mai sentito con
nessuno, in tutta la sua vita.
Fine
terzo capitolo.
Vai all'Archivio Fan Fictions |
Vai all'Archivio Original
Fictions |
|