Note:
Bla bla bla i personaggi
non sono miei
Questa
fic è un po’ diversa dalle altre: niente basket (solo un accenno),
niente Giappone.
Alla
mia amica Akira14 per il suo sospirato 18° compleanno, ti voglio bene.
Un incontro
voluto dal destino parte
II
di Koibito8
“E
puf! Akira è scomparso. Proprio così” si lamentò Hiroaki, parlando al
telefono.
“Hana,
praticamente quell’uomo è diventato di ghiaccio fra le mie braccia.
Come ho potuto fare l’errore di chiamarlo per nome?”
“In
quelle circostanze sarei stato sorpreso che tu ti ricordassi il tuo nome.
Ricky, se fossi stato io fra le braccia di Akira Sendoh, le mie funzioni
cerebrali sarebbero state sotto zero.”
Hiroaki
provò un attimo di invidia per l’amico. Oh, Hanamichi avrebbe
senz’altro saputo cosa fare! Probabilmente avrebbe guardato Akira con
quei suoi occhi niente affatto innocenti e avrebbe mormorato: ‘ma certo,
tutti sanno chi è Akira Sendoh’. La
rabbia dell’uomo si sarebbe dissolta in un sorriso.
“Ho
sprecato la mia unica occasione con l’uomo dei miei sogni.”
“Non
necessariamente”, obiettò Hanamichi. “Se Akira vive e lavora nel tuo
quartiere è probabile che tu lo incontri di nuovo.”
“Oh,
Dio, spero di no” disse Hiroaki, pensando a un incontro casuale
al supermercato o all’ufficio postale. “Morirei di vergogna”.
“Perché?
Tu stavi solo cercando di fargli un favore. Hai detto che era chiaro che
non voleva essere riconosciuto, giusto?”
“Giusto.”
“Allora perché mai
doveva prendersela se tu cercavi di assecondarlo? Non è corretto, Ricky.
Se io fossi in te, glielo direi senza mezzi termini:”
“Oh, certo”
rispose Hiroaki, scettico “Come?”
“E’ sull’elenco
telefonico?”
“E come faccio a
saperlo?”
“Vuoi dire che non
hai guardato? Beh, non importa, tanto probabilmente, il suo numero non ci
sarà. Però dovresti almeno andare allo studio televisivo e stare
fuori…”
“Sei pazzo? Non
potrei mai aspettare per strada, nella remota speranza di vederlo.”
“Perché no? Non ne
vale la pena? Non ti piaceva stare con lui?”
Hiroaki pensò che
gli era piaciuto anche troppo. Il ricordo di quei pochi attimi di contatto
era ancora vivo in lui e lo tormentava.
Oh, come poteva
perdersi facilmente! Era una fortuna che l’avesse offeso, perché il
rischio di innamorarsi perdutamente i lui era una complicazione di cui non
aveva bisogno.
Aveva un manoscritto
da terminare e un suo nuovo libro sarebbe uscito nei giorni successivi.
“Andiamo”, lo
spronò Hanamichi, “dimmi la verità. È veramente come sembra?”
“Anche meglio”
ammise Hiroaki “è un bene che se ne sia andato in quel momento, perché
non capivo più niente. Vorrei solo…”
“Vorresti cosa?”
“Che non pensasse
che volevo prendermi gioco di lui o intrappolarlo. Mi sento tanto
disonesto.”
“Questo è
ridicolo. Tu sei la persona più onesta che conosca, Ricky. Se Akira
Sendoh non ha capito che stavi cercando di fargli un favore… beh, allora
è uno stupido e non ti merita.”
“Grazie, me ne
ricorderò. E se cambia idea sa dove trovarmi.”
Ma lui non avrebbe
certo perso tempo ad aspettarlo.
Quando, a mezzogiorno
del giorno successivo, Hiroaki sentì quel suono, non lo riconobbe subito.
Si guardò intorno
nella stanza mezza imbiancata, poi sospirò. “E’ il citofono”,
borbottò.
Qualcuno voleva
entrare nel palazzo, ma certo
non per vedere lui!
“Probabilmente è
un pacco per uno dei vicini.”
Posò il pennello nel
secchio pieno di vernice e scese dalla scala. Si pulì frettolosamente sui
pantaloni le mani sporche di vernice, poi premette il pulsante del
citofono.
“Chi è?”
Nessuna risposta.
Accidenti, se l’avevano fatto scendere dalla scala per niente….!
“Chi è?” ripeté,
più forte.
“Il fioraio. C’è
una consegna per l’appartamento 14A”, disse una voce garbata.
“Va bene.” Che
mai gli mandava dei fiori? Premette un altro pulsante per aprire il
portone e sperò di non essere bersaglio di qualche scherzo.
Le sue perplessità
erano molto aumentate quando suonò il campanello della porta. Hiroaki aprì
con cautela, lasciando chiusa la catenella, ma, attraverso lo spiraglio,
le foglie appuntite di una felce gli solleticarono il naso.
Il ragazzo rise, e,
quando aprì completamente la porta, vide Akira Sendoh che teneva in mano
tre grosse felci.
“Akira?”
“Ciao. Posso
entrare? Ti ho portato un regalo per la casa.”
“Oh! Ma certo.
Naturalmente.” Stupito Hiroaki si fece da parte per farlo passare.
Akira andò a posare
le felci sotto la grande finestra del soggiorno e Hiroaki approfittò
dell’attimo in cui lui era voltato per togliersi il berretto di carta e
levarsi una macchia di vernice color avorio dalla punta del naso.
Maledetto Akira
Sendoh, pensò il ragazzo, mai che tu riesca ad arrivare in un momento in
cui ho un aspetto decente! Quel giorno indossava jeans sporchi di vernice
e una canottiera così risicata e sbiadita che non poteva più essere
messa per uscire.
Hiroaky notò
arrossendo che gli occhi di Akira indugiarono a lungo sul suo
abbigliamento, soffermandosi in particolare sui suoi pettorali.
“Mi dispiace”,
disse l’uomo interpretando in modo errato l’imbarazzo di lui. “Vedo
che sono arrivato in un brutto momento.”
“Niente affatto.
Stavo solo…. dipingendo la stanza:”
“Già. È un bel
colore. Beh, spero che le piante ti piacciano.”
“Oh, le adoro, ma
temo di non avere il cosiddetto pollice verde.” Santo cielo, si stava
comportano di nuovo in modo scortese?
“Grazie per aver
pensato a me. Farò del mio meglio per mantenerle belle. Sono
meravigliose.” Hiroaki si avvicinò alle piante e ne toccò alcune
foglie.
Con i pantaloni
chiari e la camicia a righe azzurre, Akira era molto elegante e
straordinariamente bello. “Non sono così difficili da tenere come
credi.” Akira accarezzò con un dito una foglia e Hiroaki sentì quella
carezza su tutto il suo corpo. “Hanno bisogno solo di un po’ di
incoraggiamento.”
“Come tutti, del
resto”, borbottò il ragazzo.
Perché Akira era
andato da lui? Non riusciva a non chiederselo, ma smise subito non appena
si accorse di fissarlo intensamente, nel tentativo di leggergli nel
pensiero.
Non doveva fare di
nuovo lo stesso errore. Se voleva sapere perché lui era lì, doveva
semplicemente chiederglielo.
Lo fece, senza
preamboli.
La risposta di Akira
lo sorprese. “Volevo scusarmi per essere scappato via, martedì. È
stato terribilmente scortese da parte mia e me ne dispiace.”
“Non ho mai saputo
di essere tanto spaventoso” Hiroaki non seppe resistere alla tentazione
di prenderlo un po’ in giro.
“Non lo sei. Sono
io che sono timido.”
Timido, con
quell’aspetto?
“Ho paura di non
saper amministrare bene il lato … pubblico della mia vita” continuò
Akira. “Odio essere riconosciuto.”
“Ma ormai dovresti
esserci abituato” osservò Hiroaki, impulsivamente. “Santo cielo, è
passato molto tempo!”
Hiroaki aveva visto
giocare Akira Sendoh dieci anni prima e a quell’epoca lui era già
famoso. Il ragazzo a quel tempo aveva diciassette anni mentre lui era già
un giovanotto di venti. I giornalisti sportivi lo giudicavano un fenomeno,
un vero campione.
Oh, Akira Sendoh era
stato famoso per un terzo della sua vita, perché, anche dopo il ritiro
dallo sport e il passaggio agli schermi televisivi, l’interesse del
pubblico per lui non era affatto diminuito. Come poteva la sua popolarità
metterlo ancora tanto a disagio?
“Non mi sono mai
abituato al fatto che gli estranei mi parlassero”, ammise Akira. “Ma
quando incominciai a recitare la parte di Scott Barrington in ‘amore
spericolato’, le cose mi sono davvero sfuggite di mano. Tutto a un
tratto mi sono trovato donne e uomini che sbucavano da tutte le
parti.....”
Lui si interruppe un
attimo e Hiroaki ne approfittò. “Immagino che tu riceva continuamente
delle proposte galanti.”
“Certamente e puoi
immaginare anche quanto imbarazzo mi provochino.”
Hiroaki immaginò
Akira assediato da un nugolo di donne, o anche di uomini, e gli venne da
ridere. Sarebbe arrossito, si sarebbe comportato bruscamente e poi se ne
sarebbe pentito, ma sarebbe stato comunque adorabile.
“Io pensavo che
un’idea del genere, per un uomo che sceglie di fare l’attore,
rappresentasse il paradiso. Frotte interminabili di donne e uomini
disponibili.”
“Non per me”,
disse Akira, aggiungendo poi con un candore tanto sorprendente quanto
interessante: “come potrei fare l’amore con un uomo diverso ogni sera?
Già ho abbastanza problemi nel tenere in piedi una conversazione..”
Hiroaki, leggermente
seccato, pensò che lui non sembrava davvero avere problemi in tale senso,
in quel momento; d’altronde lui non era affatto il tipo di uomo che
rende nervoso un altro uomo. Aveva ormai accettato da tempo il fatto che
gli uomini andassero da lui per parlare, e si rivolgessero ad altri per
soddisfare la propria passione. Il
buono, vecchio Hiroaki era il migliore amico di tutti.
E ora, davanti a lui,
c’era Akira Sendoh con lo stesso sguardo amichevole sul viso. Oh no! Non
anche tu, pensò Hiroaki, con il cuore in pezzi.
Ma lui desiderava
solo l’amicizia.
“Dopo la morte del
mio compagno ho avuto delle terribili esperienze con gli uomini e ora,
ogni volta che un uomo un po’ fuori dal comune mi sorride, io mi aspetto
il peggio e divento di ghiaccio.” Akira stava dando la sua spiegazione
con un misto di vergogna e di sfida. “Ho paura di essermi abituato a
scappare via. Immediatamente.”
“Come hai fatto
martedì, con me?”
L’uomo annuì.
“Ma ti prego, non prenderla sul piano personale. È solo un riflesso
istintivo.”
“Che strano
riflesso. Scappi via da mezzo mondo, Akira. Non ti senti terribilmente
solo?”
“Si. Martedì, dopo
averti lasciato, ho riflettuto molto… su di te. Su come ho vissuto dopo
la morte di Kenji. Ho capito improvvisamente quanto sono diventato freddo
e quanta parte del mondo ho tagliato fuori della mia vita.” L’uomo
guardò Hiroaki negli occhi. “Vorrei cambiare, se ci riesco.”
“E hai deciso di
incominciare da me?”
“Perché no? Sei
gentile e comprensivo. Se non posso fidarmi di te, di chi posso fidarmi?
Inoltre, è facile parlare con te.”
Un piccolo, ma acuto
dolore sostituì il desiderio dolce e pericoloso che si era impadronito di
Hiroaki. Spesso si era sentito dire quelle parole da uomini che gli
piacevano, ma che non riusciva ad attrarre. “Oh, ti ringrazio.”
“Figurati, però,
senti, c’è una domanda che vorrei farti”
“C…. cosa?”
“Come ti chiami? Tu
conosci il mio nome, ma io non conosco il tuo. Non è scritto nemmeno
sulla targhetta del citofono, al piano terra.”
“Ah. Questo.”
Hiroaki non si aspettava certo una domanda così innocua. “Mi chiamo
Ricky. Ricky Koshino”.
“Richard?”
“No. Hiroaki” il
giovane scrollò le spalle “Che posso dire? Non sei l’unico i cui
genitori hanno mantenuto viva la cultura del loro paese di origine.”
“Beh! Non è certo
un male, ma lascia che ti sveli un segreto, la mia sorella più giovane
non ha un nome giapponese, si chiama Penelope, davvero un nome
orribile.”
“Ce ne sono di
peggiori”
“Si, forse. Mia
sorella ed i miei genitori vivono ancora nello Iowa. Penny fa la
veterinaria.”
“Sei cresciuto in
una fattoria, con i campi di grano, una stalla rossa e tutto il resto?”
Hiroaki immaginò Akira, ragazzo, correre fra i campi seguito dalla
sorellina.
“La stalla più
rossa che tu abbia mai visto. Lo so bene, perché l’estate scorsa ho
aiutato mio padre a verniciarla e mi sono preso la peggiore scottatura
della mia vita.”
Hiroaki provò quasi
una sensazione di triste invidia perché lui non aveva una famiglia
affettuosa dalla quale ritornare. Il ragazzo voltò lo sguardo e lo posò
sulla scala con il pennello.
Li aveva dimenticati
e la vista della stanza dipinta a metà lo riempì di angoscia.
Akira notò
immediatamente la sua espressione. “Oh, mi dispiace! Ti ho fatto
chiacchierare mentre avresti dovuto dipingere. Se non fosse stato per me,
a quest’ora avresti finito.”
“Non dirlo neanche,
sono contento che tu sia venuto.”
“Ehi, perché non
lasci che ti aiuti a finire? Se
lavoriamo insieme non ci metteremo molto e ci divertiremo.”
“Divertirci?”
“Ma certo. È molto
tempo che non aiuto qualcuno a sistemare un appartamento.” Akira si
guardò intorno per valutare il lavoro ancora da fare, poi annuì
soddisfatto e si sbottonò la camicia.
“Non devi
preoccuparti, Ricky” lo tranquillizzò, vedendo la tacita reazione di
lui al suo gesto. “Se vuoi delle referenze, puoi telefonare a mio
padre…”
“Oh, sono sicuro
che sai dipingere.” Quando Akira posò la camicia su una sedia a Hiroaki
mancò per un attimo la voce. “Ma non ce n’è bisogno, Akira. Posso
fare da solo e poi ti
rovineresti i pantaloni.”
“Non fa niente.”
L’uomo salì sulla scala, prese il pennello e si mise a dipingere
la parete con professionalità.
Hiroaki sentì
improvvisamente una strana sensazione di impotenza, come se la vita stesse
sfuggendo al suo controllo,
“Allora? Ho
superato l’esame?”
“Naturalmente.
Diamoci da fare.” Il ragazzo si chinò e intinse un altro pennello nella
vernice.
Le poche ore
successive passarono meravigliosamente. In un primo momento i due
lavorarono in un piacevole silenzio rotto soltanto da qualche frase
sporadica, ma, a poco a poco, Akira si rilassò e arrivò persino a
raccontare alcuni curiosi retroscena della lavorazione di ‘Amore
spericolato’.
“Ora basta parlare
del mio lavoro. Parliamo di te. Come va il tuo nuovo libro?”.
“Oh, procede a
rilento” ammise Hiroaki. “Finché non avrò sistemato l’appartamento
non potrò concentrarmi completamente nella scrittura. Divento
terribilmente irritabile quando non posso scrivere. Soprattutto ora che è
imminente il giro di presentazione.”
“Il giro di
presentazione?”
“Già.
‘L’irlandese ribelle’ uscirà il mese prossimo e io dovrò
contribuire alla campagna promozionale. È la prima volta che lo
faccio.”
“È magnifico!”
“Vero? Naturalmente
non sono molto contento di rimandare il lavoro al mio nuovo romanzo, ma
spero di finire un capitolo prima di partire.” Hiroaki parlò degli
spettacoli ai quali avrebbe dovuto partecipare, dei ricevimenti e delle
lezioni nei college. “Non mi era mai successo qualcosa del genere,
prima. Sono un po’ preoccupato.”
“Lo capisco. Ben
presto diventerai famoso.”
Il ragazzo notò che
Akira non ne sembrava particolarmente compiaciuto e gli ricordò: “Beh,
sarà difficile che arrivi a eguagliare la sua notorietà, signor Sendoh.”
Una strana
espressione comparve e svanì subito dopo sul volto dell’uomo. “Dovrò
leggere il tuo libro quando esce”, disse semplicemente.
Subito dopo, Akira
terminò l’ultima parete e scese dalla scala. Hiroaki avrebbe dovuto
dipingere lo zoccolo, ma non vi riuscì, perché il suo sguardo era
attratto irrimediabilmente dalle braccia e dal torace muscoloso di Akira.
Che effetto avrebbe fatto passare le mani su quei muscoli levigati? Il
ragazzo ricordò il calore della pelle di lui contro la sua e il suo cuore
accelerò incredibilmente i battiti.
Dipingi, Ricky,
dipingi, raccomandò silenziosamente a se stesso. Chinò la testa, mentre
Akira camminava verso una sedia. L’uomo ad un tratto colpì
inavvertitamente il legno e piegò il ginocchio dolorante.
Una smorfia di dolore
gli comparve sul viso e Hiroaki, sconvolto, pensò che si era fatto male
di nuovo al ginocchio. Per lui. Per pitturare la sua stupida parete.
Non osava guardarlo,
così terminò in fretta l’ultimo pezzo di zoccolo e raccolse secchio e
pennello per portarli in bagno. Li gettò nella vasca e vi fece scorrere
l’acqua sopra, cercando di non ricordare quel giorno al campo da basket
dei Chigago Bulls , il giorno in cui la carriera sportiva di Akira Sendoh
era finita per sempre.
Quel giorno Hiroaki
era stato presente nel suo punto preferito: la tribuna centrale. I rumori
erano quelli che ricordava di più: le scarpe che sfregavano contro il
parquet, il rimbalzo della palla, poi il giocatore avversario che
letteralmente placcava Akira nel tentativo di fermare la sua avanzata a
canestro, che gli cadeva addosso e gli piegava il ginocchio di rovescio.
Gli sembrava ancora di sentire il gemito dell’uomo mentre cadeva, mentre
scivolava al suolo nell’opposta direzione della palla che gli era
scivolata di mano.
Hiroaki era balzato
in piedi ed aveva gridato dall’orrore. Poi anche gli altri ventimila
spettatori si erano alzati e, in funereo silenzio, avevano guardato il
barellieri portare Akira fuori del campo di gioco. Il suo allenatore,
impotente e sconvolto dal dolore, si era chinato a raccogliere la palla e
poi, strofinandola, quell’uomo anziano e duro aveva pianto.
In quel momento
Hiroaki aveva capito che Akira Sendoh non avrebbe più giocato a basket.
Ora che lui era
seduto sulla vecchia sedia, il passato e il presente si confondevano e il
ragazzo provò di nuovo una forte sensazione di pena e di impotenza,
insieme all’assurdo desiderio di consolarlo.
Dietro di lui la
porta del bagno si aprì improvvisamente ed Akira entrò, quasi
sorridente, con la camicia sbottonata e le mani sporche di vernice color
avorio ormai secca. “Sapevi che sono quasi le sette?”
“No. Mi dispiace.
Non volevo prenderti tanto tempo.”
“Il mio tempo è
anche il tuo tempo. Ora, però, sto morendo di fame. Vogliamo andare a
cena?”
“Insieme?”
“Perché no?
Conosco un posticino stupendo sulla Settantaduesima strada”, continuò
Akira, proprio come se non avesse notato che Hiroaki aveva immerso il
pennello nell’acqua sporcandosi tutta la canottiera, il bordo della
vasca e il pavimento di mattonelle.
“Beh…” Hiroaki
guardò il proprio abbigliamento e mormorò: “Mi ci vorranno ore per
riavere un aspetto decente.”
“Oh, io posso
aspettare. Mi piacerebbe vederti finalmente presentabile.”
Hiroaki gli tirò il
pennello bagnato, ma Akira lo evitò abilmente. Come osava ricordargli che
aspetto trasandato aveva ogni volta che lui lo vedeva? Il ragazzo lo fece
gentilmente uscire dal bagno e si preparò, meraviglia delle meraviglie,
per andare a cena con Akira Sendoh.
Fine secondo
capitolo.
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