Note: Bla  bla  bla  i personaggi non sono miei

Questa fic è un po’ diversa dalle altre: niente basket (solo un accenno), niente  Giappone.

Alla mia amica Akira14 per il suo sospirato 18° compleanno, ti voglio bene.

 


Un incontro voluto dal destino

parte I 

di Koibito8

Era l’uomo più bello che Hiroaki Koshino avesse mai visto.

Ricky, così lo chiamavano in America, il luogo in cui abitava ormai da molti anni, lo aveva pensato anni prima e lo pensava ancora adesso. Il tempo aveva reso più interessante il volto stupendo di Akira Sendoh, aggiungendo profondità ai suoi occhi blu. E quanto al suo corpo….

Non era cambiato affatto.

Grazie al cielo, pensò Hiroaki, sorridendo. Il ragazzo posò due scatoloni di libri su una fila di altre scatole, tutte allineate lungo una parete del suo nuovo soggiorno.

“Ti serve aiuto Hiroaki?”

“No, grazie” Hiroaki osservò il suo migliore amico e, scherzando, gli disse: “Puoi rimanere a guardare il tuo idolo.”

Hanamichi e le sue storie rosa! Pensò Hiroaki, pulendosi le mani impolverate sui pantaloni logori.

Se non fosse stato per l’attaccamento dell’amico al serial televisivo ‘Amore spericolato’, Hiroaki quel giorno non avrebbe visto Akira Sendoh.

Che strano… bastava che la sua immagine comparisse sul piccolo schermo  di un televisore perché Hiroaki fosse sopraffatto dai ricordi.

Ricordi stupidi. Ricordi di quando era ancora un ragazzino.

 

Beh, forse doveva aspettarselo. I traslochi erano fatti apposta per tornare indietro con la mente e per guardare al futuro. Hiroaki non poteva lamentarsi: il suo futuro gli appariva felice.

L’appartamento, il primo che fosse proprio suo, era incantevole.

Il camion noleggiato per il trasloco era ormai quasi vuoto.

Quando sullo schermo apparve un annuncio pubblicitario, Hanamichi schizzò fuori dalla stanza come un razzo, provocando la risata dell’amico.

Aveva promesso di scaricare il camion ad ogni annuncio pubblicitario e stava mantenendo la parola. Hiroaki scese un po’ più lentamente. Se solo non avesse fatto tanto caldo!

New York era stata investita da un’ondata di caldo insolita per la metà di giugno e le tre rampe di scale sembravano sei o sette.

Hiroaki pensò che, grazie al cielo, non aveva molti mobili, altrimenti entrambi sarebbero morti di caldo e di fatica.

Il ragazzo prese le ultime due scatole dal camion e salì le scale per l’ennesima volta.

“Questo è l’ultimo scatolone di libri”, annunciò trionfante “Abbiamo quasi finito!”

“Fantastico”, rispose Hanamichi. “Sono rimasti solo il tavolo e le sedie, gli schedari, la libreria e quel dannato scrittoio mastodontico di tua nonna”.

“Ehi, aspetta un attimo. Quello scrittoio è il mio portafortuna. È lui che mi ha fatto avere tutto questo.” Hiroaki allargò le braccia per indicare il piccolo appartamento.  Adorava quelle spoglie mura bianche, il pavimento di legno grezzo, la cucina ricavata in un angolo del soggiorno e la camera da letto, troppo piccola per contenere un letto matrimoniale.

“Il mio primo romanzo l’ho scritto su quello scrittoio, sai?”

“Lo so. Ed ora, tu, il mio migliore amico, sei una celebrità”

“Non proprio.” Hiroaki arrossì di piacere. I suoi quattro romanzi storici avevano avuto un grosso successo e il quinto, ‘L’irlandese ribelle’, che doveva uscire entro il mese, sarebbe stato, probabilmente, il più venduto.

Si, le cose stavano decisamente andando bene, pensò Hiroaki, mentre guardava il fiume Hudson e il parco dalla finestra. Era anche ora.

“Vieni a guardare la televisione anche tu” gli disse Hanamichi “è ora che anche tu faccia una pausa. Lavori troppo e non ti diverti mai.”

“Hiroaki sapeva che era vero, ma il lavoro era sempre stato la sua ancora di salvezza.

Senza i suoi romanzi non avrebbe potuto affrontare la lunga malattia della madre, né avrebbe potuto riprendersi dall’improvviso abbandono di Shinichi Maki e dal matrimonio dell’uomo con Nobunaga Kyota.

 

Shinichi. Hiroaki rise a quel ricordo. Era stato fortunato a liberarsi di lui! Ed era finalmente lontano da Chicago e dall’università dove lui e Shinichi avevano insegnato insieme per quattro anni, lontano da tutto quello che gli ricordava di non essere stato abbastanza uomo da tenerlo legato a se.

 

In quel momento, Hiroaki sentì la voce di Akira Sendoh , una voce che gli ricordava giorni più sereni e che lo attirò al televisore come una calamita. Akira era ancora bellissimo ed affascinante. I suoi capelli neri, nonostante la pettinatura, apparivano soffici persino nelle luci fredde dello studio televisivo.

 

Dietro Akira c’era una bellezza mozzafiato che gli toccava le spalle e gli sussurrava all’orecchio qualcosa con aria sensuale.

“Chi è lei?”, borbottò Hiroaki, incuriosito, contro la sua volontà, dalla trama del racconto.

Hanamichi gli raccontò con enfasi l’intricato svolgimento dei fatti e Hiroaki cedette all’impulso di sedersi davanti al televisore. “Non sapevo che ora Akira Sendoh recitasse”, disse.

“Recitare! Ma ha ricevuto decine e decine di premi Emmys. Beh, almeno due”, si corresse Hanamichi. “E in ‘Amore spericolato’ è semplicemente il migliore”.

“Si lo vedo.” In quel momento Akira si stava voltando verso la bellissima donna bruna e Hiroaki si chiese come facesse ad esprimere sentimenti così contrastanti senza dire una sola parola.

“Recita da molto tempo?”

“Da quasi quattro anni”

“Beh, sono contento che abbia trovato la sua strada. Quando dovette lasciare il basket fu un vero peccato e io mi chiesi…”

All’epoca si era chiesto se Akira si sarebbe mai ripreso dall’incidente che aveva compromesso la sua breve ma gloriosa carriera nel basket.

Hanamichi lo stava osservando con curiosità e lui arrossì di colpo. “All’epoca mi chiesi cosa avrebbe fatto della sua vita”, terminò con disinvoltura.

“Mi sorprende che tu non lo sapessi, considerato il tuo attaccamento a quell’uomo.”

“Oh, non essere sciocco! Non penso ad Akira Sendoh da anni.”

“Che delusione! E io che pensavo che tu fossi romantico. Ero convinto che tu fossi venuto ad abitare qui perché sapevi che ci viveva la maggior parte degli attori di ‘Amore spericolato’.”

“Cosa?”

“’Amore spericolato’ viene girato a New York, in uno studio che non è nemmeno a una decina di isolati da qui.”

“Beh, è interessante”

“Si, vero? Akira Sendoh potrebbe essere il vicino della porta accanto”

“Solo nei miei sogni” rispose Hiroaki, senza riflettere. Poi arrossì.

“Hai ancora quella cotta per lui, vero?”

“Smettila di dire stronzate Hanamichi; non ho nessuna cotta” Hiroaki cercò di mantenere un tono di voce molto professionale. “Penso solo che sia un uomo meraviglioso, ecco tutto”.

“Sarà come dici tu.” Il programma televisivo terminò e mentre la musica cresceva di intensità, Hiroaki ed Hanamichi si alzarono e corsero giù per le scale.

“Però tu lo hai sempre mitizzato e considerato una specie di eroe” osservò Hanamihci con affetto.

“Oh, per carità! Non eravamo tutti pazzi come lo sei tu, almeno finché non hai incontrato Kaede:”

La vita di Hanamichi era stata un continuo susseguirsi di storie d’amore, quella di Hiroaki esattamente l’opposto. D’altronde Hanamichi aveva sempre posseduto un fascino particolare, attirava gli uomini come una calamita: possedeva un fisico prepotente, atletico, uno sguardo nocciola molto espressivo ed un sorriso disarmante che unito a quei suoi capelli color fuoco…

Non si era stupito neanche un po’ quando gli aveva detto di essersi fidanzato con Kaede Rukawa, uno dei piloti più belli della compagnia aerea per cui anche lui lavorava come steward.

Hiroaki invece era ….. Hiroaki, o Ricky come ormai lo chiamavano tutti, non era molto alto, almeno non come avrebbe voluto e non possedeva nessuna qualità fisica particolare.

Tuttavia, Hiroaki non aveva mai invidiato Hanamichi per il fascino che esercitava sugli uomini, non molto almeno. La sua vita indipendente gli si addiceva perfettamente e per quanto riguardava le vampate di desiderio che lo assalivano quando vedeva Akira Sendoh toccare la bella attrice… beh, le avrebbe ignorate. Quel desiderio, d’altronde,  era ingannatore perché presupponeva che lui potesse provare tutte le sensazioni tipicamente maschili, quando, invece, lui sapeva di non poterlo fare.

In vita sua era stato eccitato dal tocco di un uomo solo una volta e anche allora si era trattato di un caso: un contatto accidentale di due corpi, la promessa di un piacere che non sarebbe stato raggiunto.

Hiroaki seguì Hanamichi all’interno del camion e con attenzione sollevò il bordo del suo tavolo rotondo di quercia, cercando disperatamente di dimenticare che l’uomo che tanto tempo prima l’aveva toccato era stato proprio Akira Sendoh.

“Ehi, questo tavolo è sporchissimo” , disse forte Hanamichi, mentre trasportavano il mobile giù dal camion “Dovresti vedere il segno che mi ha fatto sui pantaloni.”

“Ti sta bene. Che idea indossare pantaloni bianchi per scaricare un camion! Ti avevo avvertito  di metterti abiti vecchi, ricordi?”

“Già. Ma il bianco mi dona e mette in risalto la mia abbronzatura, non si sa mai chi si può incontrare per strada

Ricky  scosse la testa “Sei incorreggibile. Non smetterai mai di guardarti intorno? Se Kaede lo scopre come minimo ti lega al letto e ti fa passare la voglia a suon di sesso sfrenato!”

“Non chiedo di meglio! E tu? Quando comincerai a guardarti intorno?”

“Io?” Hiroaki rise “Io ci ho rinunciato tanto tempo fa.” Il ragazzo guardò il proprio abbigliamento trascurato “Ed è meglio direi. Non sono davvero nelle condizioni di far colpo.”

“Però, prima di partire per il giro di presentazione del libro ti comprerai qualcosa di carino, vero?” Hanamichi lo guardò implorante “E intendo abiti diversi dai quei seri vestiti grigi con i quali annoiavi a morte i tuoi studenti quando insegnavi.”

“Ehi! Ho regalato tutti i vestiti grigi all’Esercito della Salvezza. Lo giuro. E mi comprerò un favoloso guardaroba  non appena mi arriveranno gli assegni delle percentuali.”

Sospirando di sollievo i due amici sistemarono il tavolo in mezzo al soggiorno.

“Sei sicuro che questo tuo problema economico sia solo temporaneo?” chiese Hanamichi preoccupato.

“Certamente, non c’è stato il giusto tempismo, tutto qui. Con la vendita della casa, la sistemazione della villetta di mia madre, il trasloco qui e il fatto che da gennaio non insegno… beh, ho guadagnato molto poco, ecco tutto.”

“Eppure avrei preferito che tu ti fossi affidato a una ditta di traslochi. Presto dovrò andare all’aeroporto e non mi va di lasciarti tanta confusione, soprattutto con questo caldo!” gli rispose Hanamichi.

“Ehi, che dici? Sei stato meraviglioso e poi non ho molta roba da sistemate. Solo non sopportavo di rimanere a Chigago un giorno più del necessario. Tu mi capisci!”.

“Beh, ti saresti potuto trasferire da me”

“Oh, Mich” questo era il soprannome del rossino in ‘stile americano’ “con la mia macchina da scrivere in funzione tutta la notte? Non potevo farti questo. Inoltre bisogna pensare anche a Kaede, quando non siete in viaggio adora dormire, mi avrebbe sbattuto fuori dopo nemmeno una settimana. Inoltre con il vostro lavoro ed i vostri orari non sarei riuscito ad ottenere la concentrazione necessaria che il mio lavoro richiede.”

Quando Hanamichi se ne andò, Hiroaki si mise a sgobbare da solo nel caldo del pomeriggio.

Dopo un ora di lavoro, nel camion rimaneva solo lo scatolone nel quale era stato trasportato lo scrittoio stile Regina Anna.

Il giovane cercò di renderlo il più leggero possibile, togliendo i cassetti e portandoli in casa uno alla volta. Eppure il mobile continuava a essere tremendamente pesante. Come era possibile?

“Fortuna che non siamo nell’antico Far West, mio caro. I pionieri gettavano gli impicci come te giù dai loro carri”

 

In uno dei suoi romanzi, Hiroaki aveva descritto proprio una scena del genere. “Ora so perché” borbotto.

Il giovane accarezzò l’idea di mandare il vecchio scrittoio a schiantarsi sul bordo del fiume, ma da bambino aveva giocato sotto le sue gambe, aveva nascosto i propri tesori nei cassetti segreti del mobile, aveva aperto e chiuso la parte frontale almeno un migliaio di volte. Aveva corretto le bozze del suo primo libro sul ripiano di ciliegio, dove, anni prima, aveva inciso le sue iniziali con una chiave.

 

No, non poteva abbandonare lo scrittoio senza combattere.

 

Hiroaki si asciugò la fronte sudata sulla manica arrotolata della camicia, poi guardò attentamente il mobile. Il legno levigato offriva pochi appigli e lui non riusciva ad afferrarlo saldamente in nessun modo. Se solo fosse stato un po’ più alto e avesse avuto le braccia più lunghe!

 

“Beh, non posso stare qui tutto il giorno” borbottò “ devo fare presto” Hiroaki valutò attentamente lo scrittoio, lo sollevò di pochi centimetri e si avviò lungo la pedana di accesso del camion.

Forse era più stanco di quanto pensasse o forse la giornata era troppo calda e lo scrittoio troppo pesante. Il peso del mobile lo colpì come un pugno, piegandogli le gambe e provocandogli un forte crampo alle spalle.

 

Hiroaki gridò per l’improvviso dolore, mentre lo scrittoio gli oscillava tra le braccia come un enorme pendolo di legno, troppo vicino al bordo della rampa del camion.

“Oh no!” si lamentò “No!”.

Combatté con il peso insopportabile una lunga lotta per mantenersi in equilibrio, ma la perse e cadde giù dalla rampa insieme alo scrittoio, che lo schiacciò, facendogli sbattere violentemente la testa sul selciato.

 

Hiroaki non vedeva più niente e, cosa ancora peggiore, non riusciva a muoversi. Chiuse gli occhi e si sforzò di respirare. A un tratto l’aria gli riempì i polmoni e per pochi attimi il giovane pensò solo a come fosse piacevole respirare liberamente, senza quel terribile peso sul torace. Più tardi, troppo tardi, il suo cervello cominciò a ragionare e lui aprì gli occhi.

 

Dov’era il suo scrittoio?

Sparito

Si alzò faticosamente in piedi. Si sentiva rigido e incerto eppure in lui si formò una rabbia cieca. Il suo scrittoio era lì, sulla strada, nelle braccia di un estraneo.

 

“Che ti venga l’ernia, sporco ladro” brontolò fra se. Cercò di gridare, ma non ci riuscì e, quando si sforzò di fare qualche passo, il suo corpo, ancora dolorante, si rifiutò di obbedire.

Accidenti! L’uomo si allontanava sempre di più. Hiroaki pensò che doveva assolutamente chiamare la polizia e si guardò intorno per cercare un telefono a gettoni.

Macosa avrebbe detto? Aiuto, sono stato appena derubato?

Oh, davvero signore? E di cosa?

Non di molto. Solo uno scrittoio stile Regina Anna, senza cassetti.

Beh, la situazione era abbastanza ridicola, almeno da un certo punto di vista. Doveva anche ammettere che non era da tutti avere la forza di trasportare il suo prezioso scrittoio con una mano sola e quindi doveva anche ammirare l’uomo che lo stava facendo.

 

Hiroaki avanzò zoppicando, già preparato a vedere il suo adorato scrittoio scomparire per sempre lungo il viale.

Ma non fu così.

Con suo grande stupore, vide che l’uomo si fermava davanti al suo elegante portone e con attenzione vi faceva entrare il mobile.

Beh, dopotutto è un buon samaritano. Il giovane scosse il capo dalla meraviglia e si avviò lentamente verso il proprio benefattore.

Lo raggiunse, finalmente, sul pianerottolo del secondo piano, mentre, gradino per gradino, trasportava lo scrittoio verso il terzo piano.

 

“Ehi! Grazie mille. Posso …” la frase che avrebbe voluto pronunciare gli morì sulle labbra.

Quello non era solamente un buon samaritano. Era anche un buon samaritano affascinante. Hiroaki lo aveva capito subito, nonostante il volto dell’uomo fosse ancora coperto dal mobile. La maglietta blu e i pantaloncini corti rivelavano abbastanza del suo corpo da far rimanere Hiroaki immobile sul pianerottolo.

 

Quando si accorse di osservarlo un po’ troppo attentamente Hiroaki arrossì, anche se sapeva che lui non poteva assolutamente averlo visto.

È molto tempo che non ti capita di stare vicino ad un uomo attraente, escludendo Hanamichi e Kaede, si rimproverò, non renderti ridicolo.

Hiroaki oltrepassò l’uomo sulle scale, ma, mentre lo faceva, fece bene attenzione a non guardarlo, come se la vista di lui avesse potuto tramutarlo in pietra. Comportati da persona matura, si rimproverò nuovamente.

 

Aprì la porta di casa e disse: “Entri, prego, e grazie ancora. Mi ha appena salvato la vita.”

“È stato un piacere” l’uomo si fermò un attimo per valutare l’ampiezza della porta, poi  afferrò più saldamente lo scrittoio, facendolo entrare in casa senza graffiare il legno in nessun punto.

“Ho sempre desiderato salvare un bel ragazzo in pericolo” aggiunse lui.

C’era qualcosa di strano in quella voce, qualcosa che fece correre lungo la schiena di Hiroaki brividi di eccitazione; voltò la schiena all’estraneo, così d nascondergli l’improvviso rossore delle guance.

“Dove vuole che lo metta?”

“Cosa?” mormorò Hiroaki, osservando distrattamente una pila di scatole.

“Il suo scrittoio. Posso metterlo in un punto migliore del centro della stanza?”

“Oh, per carità! Lei ha già fatto tanto.” Non poteva davvero dargli degli ordini come se fosse stato il suo cameriere. “Posso farlo da solo.”

“Lo so che può farlo da solo, ma lasci che la aiuti. Senza secondi fini, glielo prometto.”

 

Dalla voce si capiva che l’uomo stava sorridendo. Era una voce molto attraente: cupa, profonda, sensuale.

“Oh, va bene. Allora lo metta pure in camera da letto.” Era davvero sfacciato da parte sua. “Se non le dà troppo disturbo” aggiunse Hiroaki subito dopo.

“Nessun disturbo” assicurò l’estraneo, sollevando di nuovo lo scrittoio e dirigendosi verso la camera da letto. Pensando di essere al sicuro, Hiroaki si voltò e si trovò così vicino all’uomo da toccarlo quasi. Non c’era bisogno di avvicinarsi tanto.

Era più alto di quanto avesse pensato. Con i capelli neri, a spazzola. Quell’uomo gli provocava un’eccitazione che lui non provava da molto, molto tempo.

Quando lui scomparve nella camera da letto, Hiroaki si morse il labbro, cercando di far cessare quella sensazione. Non aveva bisogno di quel tipo di complicazione. Non quel giorno, almeno.

“Posso fare altro per lei?”

L’estraneo era sulla soglia della camera e quando Hiroaki lo guardò, disinvolto e perfettamente a suo agio, il cuore gli diventò di ghiaccio.

 

Conosceva quel viso. Lo aveva visto poco meno di due ore prima. Ma non poteva essere lui.

“No.” Disse a voce alta. Non poteva essere Akira Sendoh. Doveva avere le allucinazioni

la fatica e l’agitazione gli stavano giocando un brutto scherzo.

Hiroaki si appoggiò a una parete e si coprì gli occhi con una mano. Era davvero Akira Sendoh…

Secondo quanto gli aveva detto Hanamichi, Akira Sendoh poteva essere benissimo un suo vicino di casa, in quanto la maggior parte degli interpreti di ‘Amore spericolato’ viveva in quel quartiere.

 

Preoccupato, aprì gli occhi.

Lui era ancora lì e si stava asciugando il sudore della fronte. Gli occhi erano di quello stesso meraviglioso blu che lui aveva visto una volta tanto da vicino. Non poteva sbagliarsi.

Sulla porta della sua camera da letto c’era proprio Akira Sendoh.

 

Oh, mio Dio! Lui lo stava osservando con lo sguardo di apprezzamento tipico di un uomo esperto e Hiroaki si sentì morire pensando ai pantaloni stinti e alla camicia sporca di polvere che indossava. In tutta la sua vita non aveva mai avuto un aspetto peggiore.

 

“Oh, accidenti!” mormorò. Poi vede Akira sorridere e capì di aver parlato a voce alta. Quel sorriso dolce, ma allo stesso tempo allusivo, provocò strane sensazioni nel corpo di lui.

 

Hiroaki si sforzò di trovare parole adeguate per ringraziare, ma lo sguardo sornione dell’uomo lo confondeva sino al punto di renderlo incapace di formulare una frase sensata.

“La prego si accomodi” riuscì finalmente a dire, preso dal rimorso. Aveva visto che l’uomo era molto affaticato. Probabilmente portare un mobile del genere per tre piani di scale non doveva essere stato facile come lui gli aveva fatto credere. Chi era lui per dare un simile disturbo a un estraneo

 

“Venga. Si sieda. Non so dove siano finite oggi le mie buone maniere” disse Hiroaki, indicando all’uomo una delle due sedie Windsor “Deve essere sfinito”.

Lui si sedette senza protestare, mentre Hiroaki cercava disperatamente qualcosa da dire.

Eri il mio idolo, avrebbe potuto dire.

Certo, a lui sarebbe piaciuto sentire una cosa del genere, ma Hiroaki non riuscì a trovare le parole adatte per dirlo, né riuscì a trovare una domanda che non lo facesse apparire uno scrittore da strapazzo. Non poteva certo chiedergli se si fosse sposato di nuovo oppure no!

Aspettò invano un’ispirazione, ma non riuscì proprio a porgli la domanda alla quale pensava da tanto: ‘Perché ti sei fermato ad aiutarmi?’ Sapeva già che la risposta non gli sarebbe piaciuta.

 

Se solo lui avesse detto che l’aveva aiutato perché lo stava osservando già da un po’ e il mobile gli aveva dato l’occasione per conoscerlo!

Considerando il modo in cui era schiacciato dallo scrittoio, con la testa coperta e le gambe per terra, Akira Sendoh non avrebbe potuto certo capire molto di lui, a parte il fatto che aveva bisogno di aiuto.

 

Mentre le sue romantiche fantasie svanivano alla luce della logica, Hiroaki sospirò. Per quanto gli avesse fatto piacere il suo aiuto, lui non era un giovincello in pericolo, ma solo la sua buona azione giornaliera.

 

La voce di Akira distrasse Hiroaki dalle sue considerazioni. “è davvero un bel mobile”

E tu sei proprio un bell’uomo, pensò, per un attimo temette di aver espresso il proprio pensiero ad alta voce e arrossì. Poi, balbettando, riuscì a parlare della storia dello scrittoio e del suo valore affettivo. “Non so come ringraziarla”, concluse “Sono sicuro che senza il suo aiuto non sarei mai riuscito a portare qui lo scrittoio.”

 

“È stato fortunato a non rompersi niente. Quando l’ho vista a terra a terra in quel modo ho temuto che si fosse spezzato la spina dorsale.” Lo guardò incuriosito “perché non ha chiamato una ditta di traslochi? Non sa che, piccolo e fragile com’è,  avrebbe potuto farsi molto male?”

 

Hiroaki era alto un metro e setttantaquattro e rimase così sbalordito nel sentirsi descrivere piccolo e fragile che disse tutta la verità.

“Ho chiesto il preventivo a varie ditte, ma la più economica mi chiedeva più di mille dollari. Siccome ho momentaneamente dei problemi finanziari, ho deciso di traslocare da solo.” Perché era tanto sulle difensive?  “Inoltre non è stata affatto una brutta esperienza. Si è solo trattato di un’avventura.”

 

“Anche lo scrittoio?”, chiese l’altro, divertito.

“Certo. Ho conosciuto lei, come poteva essere una brutta esperienza?”

Quelle parole gli erano sfuggite in tutta lo loro ingenuità e Hiroaki, arrossendo di nuovo, si alzò dalla sedia.  Anche Akira si alzò e si mise a ispezionare l’appartamento con tanta attenzione che lui si chiese se stesse cercando qualcosa di nascosto. Del resto, se fosse stato così, non gli sarebbe affatto dispiaciuto.

 

“Mi piace la sua casa”, disse finalmente lui, rompendo l’imbarazzante silenzio. “E’ un appartamento grazioso e poi c’è molta luce, però…

 

“E’ piccolo, lo so, ma io non ho bisogno di molto spazio. Qui in soggiorno metterò un divano letto e userò la camera come ufficio.”

“Allora lei vive da solo?”

“Naturalmente”, rispose Hiroaki, quasi risentito.

“Ho toccato un brutto tasto? Mi dispiace. Era solo curiosità”, disse Akira, guardando fuori della finestra.

Hiroaki si convinse che era in imbarazzo. Forse anche più di lei. Era timido? O teso?

 

Si, era teso come se Hiroaki fosse sul punto di riconoscerlo ed era chiaro che un’idea del genere non gli andava a genio.

Il giovane si rese conto in quel momento che Akira non si era presentato, né gli aveva chiesto il nome.

Ciò significava che non voleva conoscerlo.

 

Beh, meglio, pensò Hiroaki, lottando contro un certo disappunto. Doveva solo trovare un modo gentile per rispedirlo al suo jogging….

Jogging. Santo cielo! Quel pover’uomo aveva corso per New York con quel caldo, gli aveva portato lo scrittoio per tre piani di scale, si era seduto persino su una sedia asciugandosi il sudore della fronte e lui non gli aveva offerto nemmeno un bicchiere d’acqua.

 

“Senta, non voglio trattenerla, ma non vuole bere qualcosa prima di andarsene? Acqua? Soda? Una spremuta d’arancia?”

Il sorriso di Akira lo rincuorò. “Una spremuta andrà benissimo.”

Dove aveva la testa quel pomeriggio? Non aveva arance. “Oh, accidenti, mi dispiace! Non sono ancora andato dal fruttivendolo…”

Akira rise così di cuore che Hiroaki fu contagiato da quella risata.

“Fa lo stesso. Quello che conta è il pensiero.”

“Non proprio. Senta, in frigorifero ho della Coca-Cola. Va bene lo stesso?”

“Va benissimo, grazie.” A giudicare dall’espressione sembrava che gli avessero offerto dello champagne. “Le dispiace se apro le finestre?”

“Oh, ci ho già provato io, ma la vernice, seccandosi, le ha incollate.”

 

Quando Hiroaki si voltò, vide che Akira era riuscito ad aprire tutti e tre i pannelli della grande finestra del soggiorno e che, dopo aver messo due scatoloni di libri uno sull’altro, si era seduto a guardare fuori. Qualche ciuffo di capelli neri, scompigliati dalla leggera brezza, gli ricadevano dolcemente sulla fronte.

 

Hiroaki, con una lattina di Coca-Cola in ciascuna mano, rimase fermo a osservarlo. Sapeva che non sarebbe più riuscito a guardare quella finestra senza vederci Akira Sendoh illuminato dalla luce della sera.

E non osava muoversi perché sapeva per esperienza che più stava vicino a uno splendido esemplare di maschio, più diventava impacciato.

 

Alira si voltò e lo guardò, incuriosito. “Perché non ha chiesto ai suoi amici di aiutarla a traslocare?”

“Oh, il mio amico Hanamichi è stato qui per quasi tutta la giornata e a New York, a parte i lui e il suo ragazzo Kaede, non conosco nessun altro.” Porse all’uomo la Coca-Cola, si ritirò a una distanza di sicurezza e si sedette per terra, con le gambe incrociate.

“Proprio nessuno?”

“Nemmeno un’anima”, disse Hiroaki, allegramente, cercando di rafforzare l’immagine dell’uomo autosufficiente che voleva far credere di essere. “Beh, a parte il mio editore, naturalmente.”

“E’ uno scrittore?”

“Già. Romanzi storici.” Resistette alla tentazione di menzionare tutte le sue opere. “Sa, rivoluzioni e ribelli.”

“Buon Dio! Un rivoluzionario. Non mi sembra il tipo.”

“Spesso le apparenze ingannano.” Rispose Hiroaki. Poiché l’espressione di Akira era immediatamente cambiata, ad Hiroaki venne in mente che lui lo stava ingannando nascondendogli di essere a conoscenza della sua vera identità. Fra loro calò un silenzio imbarazzante come se entrambi si rendessero conto di aver oltrepassato il limite di una conoscenza formale.

Akira sembrava a disagio e Hiroaki, restio a lasciarlo andare via, si sforzò di parlare. Si trovò così a spiegare la sua impulsiva decisione di lasciare Chigago.

“Niente mi legava più a quella città. Tutta la mia famiglia è Hanamichi, anche se non è mio parente, e lui è qui. Inoltre ho sempre sognato di vivere a Manhattan, perciò eccomi qui! Sto ricominciando la mia vita da capo.”

Improvvisamente Hiroaki si arrestò, poiché si era reso conto di essere stato assolutamente privo di tatto. L’uomo seduto davanti a lui non molto tempo prima era venuto a New York per rifarsi una vita e, proprio mentre incominciava ad avere successo nella sua seconda carriera, era stato nuovamente colpito da una disgrazia.

 

Probabilmente nemmeno i due premi Emmy avevano attenuato il dolore della perdita del compagno e del figlio adottivo, e una smorfia di dolore apparsa all’improvviso sul volto di lui lo confermò.

Come era stato insensibile a risvegliare certi ricordi.

In fondo, però, si presupponeva che lui non conoscesse l’identità di Akira e quindi non avrebbe potuto evitare simili argomenti continuando a fingere di non sapere niente di lui.

 

Hiroaki scosse la testa. Era stato un errore non dirglielo subito. Probabilmente lui se ne sarebbe andato via, ma almeno lui sarebbe stato onesto e sarebbe caduto quell’invisibile muro fra di loro.

Akira posò la sua lattina vuota sul davanzale della finestra e si alzò in piedi. “Spero che lei trovi qui ciò che desidera” gli disse con un triste sorriso sulle labbra.

 

Hiroaki gli lesse nel pensiero e provò per lui un’improvvisa compassione. “Ne sono sicuro”, rispose, cercando di alzarsi in piedi per salutarlo. Le su gambe, però, si rifiutarono di collaborare e Hiroaki sarebbe finito a terra se Akira, istintivamente, non l’avesse aiutato. Con i riflessi pronti di un ex campione di basket, l’uomo gli afferrò le braccia e, senza un eccessivo sforzo, lo sorresse contro il proprio corpo.

 

Il calore dell’uomo fu per Hiroaki come una scossa elettrica.

 

Capì subito che avrebbe dovuto tirarsi indietro, ma non ci riuscì. Lui continuava a tenergli strette le braccia e Hiroaki si rese conto che anche per lui il tempo si era fermato.

L’aroma maschile lo avvolse e Hiroaki chiuse gli occhi, circondato dal caldo e forte abbraccio di Akira.

 

Si sentì sicuro come era stato solo da bambino, ma si rendeva conto di essere in pericolo, perché l’uomo non indossava quasi nulla e le cosce nude, toccando le sue, sprigionavano un calore fortemente sensuale. Le mani di Hiroaki tremavano dal desiderio di toccarlo e si avvicinarono ai fianchi dell’altro.

 

Poteva? Doveva osare?

 

Indipendentemente dalla sua volontà, Hiroaki mosse le mani e le appoggiò sulla vita di Akira, facendogli trattenere il fiato.

 

Il cuore di Hiroaki impazzì e lui, perso in quelle sensazioni e in quei sogni, sussurrò: “Oh, Akira…

 

Prima ancora di rendersi conto di quello che aveva fatto, lo sentì irrigidirsi.

Lo aveva chiamato Akira…

 

Oh, no! Pensò Hiroaki, mentre si scostava dal corpo improvvisamente freddo di lui. Quel nome rimase sospeso fra loro come un muro di ghiaccio.

 

“Allora lo sapevi”, disse lui, con amarezza.

Hiroaki, arrossendo, ammise la sua colpa, ma continuò a tenere orgogliosamente la testa alta.

“Come potevo non saperlo? Ti ho detto che ho vissuto a Chigago ed in quella città tu eri una leggenda.”

 

‘Eri’. Come era stato priva di delicatezza e crudele una frase del genere! Non c’era da stupirsi che Akira Sendoh volesse solo allontanarsi da lui. Eppure, ora che aveva incominciato, Hiroaki doveva dire tutta la verità. “Sono sempre stato un tuo grande ammiratore. E non solo per il basket. Questo pomeriggio stavo guardando ‘Amore spericolato’ e ho visto che sei meraviglioso. Dico sul serio”.

“Grazie, sei molto gentile”, disse l’altro, ma Hiroaki, dal suo tono di voce, capì che avrebbe preferito tacere.

Akira si avvicinò alla porta, seguito da Hiroaki.

“No, tu sei molto gentile”, lo corresse lui con la voce piena di rimpianto. Se solo fosse stato sincero con lui fin dall’inizio!

Akira si voltò a guardare Hiroaki e le sue labbra, per un attimo, si curvarono in un sorriso.

“New York può essere una città difficile. Stai attento.”

Con quelle parole, Akira uscì e scomparve dalla vita di Hiroaki.




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