Un
giorno, una notte.
capitolo 4
di
Nana
Vi sono a volte attimi che gravitano del peso di una
vita intera: istanti che interrompono lo scorrere indefinito del tempo,
punti nodali nelle trame formatesi dall’incrocio di migliaia, milioni di
destini.
Punti focali nei quali gli eventi si addensano, come attirati da un centro
di forza, e poi implodono fino a collassare gli uni sugli altri, fino alla
successiva esplosione di energia.
Nell’infinitesimo frammento di un secondo, Chris si sentì proiettato al di
fuori del tempo e dello spazio, un piano parallelo al presente, una
dimensione estatica ed immateriale.
Il mondo intorno si era fermato – tutto lì condensato e cristallizzato in un
singolo atomo – una fotografia sbiadita ed ingiallita dal tempo – ed al
centro un’unica luce chiara e luminosa in quella superficie piatta e stinta,
una nota alta che spezzava il ritmo lento e apatico di una pigra melodia.
E poi vi fu l’esplosione di energia. Perché il mondo – quello vero e reale –
quello intorno a lui nella stanza, nell’hotel e nella città – continuava a
scorrere e a muoversi. E quando lo risucchiò di nuovo al suo interno – e le
forme ripresero consistenza e colore – Chris si rese improvvisamente conto
di trovarsi nell’ultimo posto in cui avrebbe dovuto essere, mentre
lentamente sprofondava tra i cuscini del divano. Ma non aveva più
importanza.
C’era una sonorità nuova che rieccheggiava nella sua testa come sulle pareti
di una stanza vuota, e si spezzava in tante note diverse, e tuttavia
intonate tra loro, che si fondevano in una melodia nuova, dalla perfezione
quasi ultraterrena.
E un’ottava più alta, imperativa, che martellava la base del collo. Fu
sufficiente perché l’illusione di irrealtà svanisse, come dissoltasi
nell’aria, in una miriade di minuscoli frammenti.
Chris guardò Eric. E con le dita disegnò il suo profilo.
Era una musica diversa da tutte le altre…. dolce e piena nello stesso tempo,
vibrante e sonora.
Era qualcosa che gli faceva battere forte il cuore, ad un ritmo che non
avrebbe mai creduto possibile.
Sentì la mano di Eric che gli scompigliava gentile i capelli, l’odore della
sua pelle, il calore del suo respiro sempre più vicino… L’intensità di uno
sguardo che penetrava nei recessi dell’anima. Azzurro nell’azzurro. Ora
sapeva cosa era venuto a cercare. Era quella scintilla che rifulgeva sotto
l’algida superficie, un nucleo infuocato che ardeva e consumava sé stesso
nelle profondità roventi. Era il desiderio. Ed era il sapore delle sue
labbra….. un sapore dolce. Chris chiuse gli occhi e ricambiò avido il bacio,
mentre la sua lingua si insinuava - calda e vellutata – e non chiedeva
permesso né reclamava scuse.
- Chris – la voce risuonava ovattata nella sua testa, vicina e lontana nello
stesso tempo
Ma Chris lo ignorò e in risposta reclamò con insistenza - come un bambino a
cui è stato negato il giocattolo preferito - il soffice contatto che gli si
era appena sottratto.
Ed Eric non lo deluse, mordendogli dolcemente la carne umida che gli si
offriva, che cercava curiosa la sua, che chiedeva in domanda e riceveva
risposta.
Era davvero come un bambino di fronte ad un giocattolo nuovo, entusiasmato
ed incuriosito dalle continue sorprese. Un bambino. La parola e i suoi
impliciti significati continuavano a tormentarlo. Cazzo, stava per scoparsi
un ragazzino. Ma era un’eco che si allontanava, via via che le mani
scendevano lentamente, inesorabilmente lungo le spalle reclamando il
contatto della pelle, liscia e morbida, sotto la camicia, saggiando la
consistenza della carne tiepida. Le mani che sfioravano il petto che si
alzava e si abbassava seguendo il ritmo del diaframma, in un crescendo
continuo, mentre il ragazzo gli si premeva sempre più addosso, stringendo e
strattonando i lembi della camicia.
- Merda Chris, non strapparla,…
Hai idea di quanto l’ho pagata, ragazzino?
Ma non te ne frega niente, vero?
Perché il corpo era lì sotto – palpitante, un fremito ardente e incofessato.
Più morbido e soffice di quella stoffa sottile. Molto più morbido.
- Dimmi cosa ti piace Chris. ….
Le iridi a pochi centimetri che si riflettono una nell’altra. Lucide.
Luminose. E del colore del cielo. Ampio, vasto ed infinito.
Mi piace .. parole che erano solo una pallida eco riflessa e non dicevano
tanto quanto poteva il sussurro di uno sguardo. O un gesto lieve, la carezza
della mano che sfiorava leggera i muscoli della schiena.
- Cosa? Cosa vuoi Chris?
- Non lo so. La voce era incerta, quasi timida.
- Ma non smettere. Non voglio che smetti
Eric si chinò su di lui – il peso del suo corpo – una realtà solida e
concreta – che premeva. Con impazienza.
Chris sembrava attendere l’istante successivo, semplicemente
abbandonandovisi, seguendo ciò che suggeriva l’istinto, seguendo Eric -
attimo dopo attimo - lasciando che le mani lo percorressero e lo
esplorassero. Cazzo, ci sapeva fare con quelle mani. Dio, se ci sapeva fare.
Perché quelle mani vagavano sicure alla ricerca di punti segreti e nascosti
e scoprivano lembi di pelle che non sapeva nemmeno di avere. E nemmeno che
fossero così sensibili - vulnerabili – mentre un brivido attraversava tutto
il suo corpo fin entro le ossa, fino al midollo – al solo sfiorarli.
Così Chris chiedeva sempre di più ad ogni carezza – perché non poteva farne
a meno – perché la sete che gli bruciava la gola e il petto cresceva sempre
di più, ogni volta che veniva saziata.
La mano scese ancora, sempre più giù, a sfiorare il fianco e poi più giù,
più in basso ancora, verso l’interno della coscia dove la pelle era più
delicata. Scivolava.
Insieme al pudore. Insieme alla ragione. Restava solo il desiderio.
Eric era ora all’altezza del suo inguine e gli abbassava la cerniera. Un
gesto studiato, misurato…..e gli sembrava di esplodere mentre sentiva
spingere prepotentemente contro la stoffa ruvida e già umida dei boxer.
- Fanculo Eric, non ti fermare ora….
Era una carezza che gli sfiorava dapprima la punta – un tocco lieve, appena
accennato - e già gli sembrava di impazzire. Quasi da star male. Chris
inarcò il bacino, di scatto, andandogli incontro mentre Eric faceva
scivolare la mano sul suo sesso, avanti e indietro fino a farlo quasi
urlare.
Eric sentiva le mani scorrere sulle sue spalle e lungo il collo, dietro la
nuca, dita sottili che si aggrovigliano attorno ai capelli. E stringevano.
Sentiva Chris. Chris, che gli faceva sentire quanto lo voleva. Perché non
riusciva a dirlo, perché dalla gola usciva solo un rauco sospiro.
Ma ora i ruoli erano stabiliti. Sarebba stato lui a guidare il gioco.
Non fino al limite. Non ancora. La partita era appena iniziata. Eric si
fermò, a meno di un decimo di secondo dal punto di impatto. E con la punta
delle dita raccolse la goccia sgorgata dalla sommità del glande.
Al mugolio insoddisfatto di Chris gli angoli della bocca si piegarono in un
sorriso, in una muta soddisfazione.
Aveva intenzione di dettare le regole. Dalla prima all’ultima.
Fece alzare il ragazzo e con la naturale disinvoltura dettata dall’abitudine
lo sospinse sul letto, tra le lenzuola. Era più comodo di un piccolo divano.
Decisamente più comodo. E senza altro più adatto.
Si chinò ancora una volta sulle sue labbra – che trepide assaporavano un
piacere sconosciuto con l’ingenuità di un bambino che sul ciglio di un
burrone osserva quanto è profondo il baratro sottostante. Con l’incoscienza
di chi non sa quanto può essere pericoloso spingersi un passo oltre.
E con le dita ancora pregne del suo sapore – umide del seme vischioso -
sfiorò quelle labbra rosse e socchiuse, e poi vi premette le sue a mischiare
e fondere gli umori, finché fu il ragazzo stesso a ritrarsi, quasi
imbarazzato da quell’intimità.
- E’ aspro….
- E’ il tuo, bambino.
Bambino. E questa volta la parola aveva il suono rauco di un’offesa. Chris
riprese a succhiare e a mordere per gustare a pieno ogni goccia, di sudore e
di pelle, come nettare di una coppa.
Si sbarazzò in fretta dei pantaloni – e di tutto il resto - e aiutò il
ragazzo a fare lo stesso. Finché rimase solo la pelle. Sulla pelle. Nuda.
Che era l’ultimo confine da raggiungere. Anche se ancora non bastava. Perché
a quel punto vuoi andare ancora oltre.
Anche le mani del ragazzo, più piccole e incerte ora segnavano il suo
profilo, e la lingua si tendeva e sfiorava la mascella e il mento, per
appropriarsi di ogni centimetro e di ogni fessura.
Le mani si aprivano e si chiudevano, sondavano ogni increspatura ed ogni
linea dei muscoli e dei tendini. E scendevano a saggiare la carne, a premere
e a strusciare. E stringevano attorno al suo sesso, e lo accarezzavano. La
stretta si allentava e poi si faceva di nuovo più forte, come se conoscesse
i tempi giusti, come se sapesse cosa fare senza bisogno di chiedere. Perché
quegli occhi continuavano a studiarlo, seguendo i suoi movimenti e imparando
le sue reazioni. Era unire il proprio respiro, sincronizzarlo allo stesso
ritmo. Quel ritmo che faceva pulsare il sangue alle tempie e al quale si
abbandonava.
Fino al punto in cui si sarebbe infranto.
E Chris provocò e strizzò ancora. Per arrivare a quel maledetto punto di
rottura. Per testare quanto poteva tendersi quella corda sottile sottesa che
li teneva sospesi. Prima di spezzarsi.
Perché è come un gioco. Nient’ altro che questo. Il gioco di un bambino che
esulta nell’ebbrezza della scoperta di un mondo adulto, plasmato da
sensazioni intense e forti. Il gioco di un adulto che si sorprende a tornare
bambino, a rivivere di emozioni e di battiti soffusi, a godere del contatto
di un corpo vero che si offre nella sua sincerità, senza inganni o
mistificazioni. Senza condizionali o imperativi. Perché non ci sono
condizioni, non ci sono obblighi. E’ prendere e concedere. Insieme.
E’ un gioco di sguardi, di movimenti languidi, un onda di marea che avanza e
si ritrae, in un speculare armonia. E di carezze. Date e ricevute. E di
segni rossi lasciati sulla carne bianca, marchi sul collo e sulle spalle, ad
ogni abbraccio, ad ogni morso.
E’ stringersi e avvinghiarsi, è fondersi. E’ scoprire quanto possono acuirsi
i sensi - tutti i sensi - per impossessarsi di ogni particolare, imprimere
ogni dettaglio, ogni singolo atomo e l’intera anima.
Perché vuoi tutto. E niente di meno.
Eric lo trascinò su un fianco baciandogli tra le scapole. C’era una piccola
cicatrice, una minuscola croce sotto la scapola, che per contrasto rendeva
la pelle più liscia e bianca. La pelle di un angelo.
- Sai che hai un bel culetto?
Una risata. Scrosciante. Ingenua. Irriverente.
Provocante.
Quel piccolo bastardo. Cercava di stuzzicarlo.
E ci riusciva benissimo.
- Cosa c’è di così divertente?
Eric gli soffiò sul collo e Chris rise di nuovo.
- Fa il solletico…
E quel piccolo marchio tra le scapole, un richiamo allettante. Che gli
faceva sorgere irresistibile il desiderio di morderlo e leccarlo, fino a
consumarlo.
Poi ci fu un sospiro. E un fremito involontario. Chris si rese conto all’imporvviso
di quanto si fossero spinti avanti. A quel punto non poteva più tirarsi
indietro. Ma quell’attesa dilatava i secondi lasciando che un vuoto d’aria
si formasse nel petto, impedendogli di respirare.
- Stai bene? _ la voce di Eric. Era quasi dolce, questa volta.
Eric abbassò ancora la mano tra le sue cosce, e avrebbe sentito duro e
fremente il desiderio e l’attesa.
- Sbrigati – la sua voce. Fu un sussurro appena accennato
- Hai così tanta fretta? – quello stronzo sembrava divertirsi.
- E’ come aspettare nella sala d’aspetto del dentista.
Quel ragazzo era davvero incredibile. Un incredibile rompiscatole.
- Che paragone poco stimolante. Speravo che fosse più divertente.
Chris non rispose. Era un nodo in gola che non riusciva a deglutire. Un
ansia sottile che lo pervadeva.
- Eric…?
- Che c’è ancora?
- Fa piano
- Altre richieste?
Qualcosa premeva e si faceva strada in lui, saggiando la sua entrata e
allentando la resistenza. Poi al primo dito Eric ne aggiunse un secondo. Era
quasi piacevole. Se non fosse stato tanto imbarazzante…
- E smettila di armeggiare lì sotto – il respiro è più veloce ora e la voce
quasi spezzata.
- Sei proprio un tipo difficile, lo sai? Sto cercando di aiutarti, ma
nemmeno per me è divertente infilare le dita qui dentro…
- Fallo e basta. Almeno così non dovrò più pensarci.
Chris avvertì la pressione del sesso di Eric, che lo reclamava con
impazienza.
L’hai voluto tu, piccolo.
Ed io non sto facendo niente per evitarlo.
A parte tutte le bugie e le giustificazioni dietro cui aveva cercato di
mistificare una sola verità.
Che lo voleva. Lo desiderava. Era pura follia, ma non poteva farne a meno.
Anche solo per una notte, ma non poteva perderlo questa volta. Non poteva
lasciarlo andare.
E una volta ammessa quella semplice verità tutto diventava più facile. Da
riconoscere e da accettare.
Quando entrò in lui lo sentì trattenere il fiato. Chris strinse
convulsamente le mani, afferrando le lenzuola di seta. E affondò la testa
mordendo il cuscino – Merda… - In un riflesso spontaneo ed immediato i
muscoli si irrigidirono.
- Rilassati Chris. – ma la voce era distante. Troppo distante.
- Non ce la faccio. Fa male. – e quasi non riusciva a dirlo. Perché l’aria
nei polmoni era troppo esigua.
- Se non ti rilassi il dolore non se ne andrà.
Ed Eric spinse più a fondo finché non fu completamente dentro di lui
- Sei stretto.
Dannatamente stretto e caldo.
Chris non riusciva a sentire altro che la presenza del sesso di Eric –vivo
pulsante – bollente –che lo riempiva. Non c’era altro.
- Ascolta la mia voce Chris, ascolta solo la mia voce e non pensare a
niente.
- Ci sto provando.
Dannazione se ci sto provando. Ma non è
mica così facile.
Eric si mosse appena sopra di lui e Chris sentì la pressione diminuire
leggermente per poi rientrare con forza una seconda volta. E poi Eric ripeté
le movenze. Ancora e ancora una volta.
Ad ogni spinta, l’aria usciva con un gemito. Cazzo era davvero la sua voce
quella? Suonava così strana che sarebbe scoppiato a ridere se non avesse
avuto le lacrime agli occhi. Merda. Eric non gli lasciava nemmeno il tempo
di riprendere fiato. Ma premeva e spingeva. Continuamente.
Poco a poco qualcosa però si allentava piano. Cercò di abituarsi a seguire
il ritmo impresso da Eric, che –accidenti a lui – continuava ad andare
sempre più veloce.
Il calore si diffuse nel suo corpo sempre di più, e il sangue scorreva e
pulsava più veloce in una rincorsa impazzita finché le tempie furono sul
punto di esplodere. Sempre più caldo, un fuoco che risaliva dalle viscere e
che gli infiammava il volto.
E il corpo e i muscoli si tesero all’unisono, tremavano vibranti. Era una
musica che incideva l’aria con le sue sonorità. Era la stessa musica – se ci
fosse stata una musica - altisonante e possente che doveva risuonare sulla
terra, quando il modo era stato creato.
La frizione del corpo sul suo, un furore e un piacere che si diffondevano
sotto la pelle. Era compenetrazione. Carne e sangue che scorreva irruente e
violento.
E poi esplose, quando Eric si liberò in lui.
E macchiò anche le sue lenzuola pregiate. Senza volerlo era riuscito davvero
a fargli un dispetto. Ma ora non importava.
Perché ora c’era solo Eric.
Eric che scorreva dentro di lui, rovente. Intenso, come può esserlo solo il
piacere dato e ricevuto.
Poi Eric gli scivolò accanto e restò a guardarlo – osservando la propria
immagine nel suo riflesso – mentre il battito del cuore rallentava e il
respiro tornava regolare. Ad occhi chiusi, l’immagine era ancora lì - nitida
- e il corpo era accanto al suo, morbido e caldo, il petto che si alzava e
si abbassava – ed era una realtà viva e presente, non ombra o sogno- al
tenue tocco della sua mano. E poco a poco tutto scivolava via e un languore
soddisfatto pervadeva le membra.
- Siamo arrivati, Chris
Luce rossa.
Chris riaprì gli occhi.
Da lì i ricordi diventavano più vaghi e confusi. Ma cessavano di avere
importanza.
La sola cosa che conta era che non poteva dimenticare la musica che aveva
sentito. Ed era lì, in fondo al suo cuore. Avrebbe voluto poterla gridare,
ma le parole non volevano uscire.
Seguendo il comando dettato dalla luce verde, Josh ripartì. Poi girò
l’angolo.
Il suo cuore era ora leggero, così leggero che aveva l’impressione di volare
in un cielo azzurro. Perché quel cielo erano gli occhi di Eric.
E sotto di lui un vasto prato, e una lunga strada. Una strada che si
stendeva diritta ed infinita, oltre l’orizzonte. E l’avrebbe percorsa fino
alla fine.
Per quanto lunga fosse la distanza, nonostante tutti gli ostacoli che
avrebbe potuto incontrare durante il suo cammino, la sola e unica ferma
volontà era che un giorno sarebbe giunto dall’altra parte. E ne valeva la
pena.
Perché quel giorno – ne aveva la certezza - quel giorno avrebbe trovato
quello che cercava.
La vita continua.
E quel giorno avrebbe scritto la sua canzone.
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