Un
giorno, una notte.
capitolo 3
di
Nana
Il soffitto scorreva uguale, un infinito tappeto
mobile che divorava androni, scale e corridoi. Se guardi in alto, sopra di
te, quello che vedi è sempre uguale, qualunque sia il tuo punto di
osservazione. Come il cielo, che è sempre lo stesso da qualunque angolo di
modo, anche il più disperso e recondito. C’era una sorta di amara ironia in
questo, a cui nemmeno il Flamboynn Hill sfuggiva. E inquadrare le cose
secondo una prospettiva diversa ribaltava l’ordine delle priorità.
Sono i particolari, - appositamente forgiati e cesellati per attribuire a
ciò che ci circonda il significato e valore ritenuti indispensabili
all’ordine delle cose - , a plasmare quelle differenze necessarie a dar
luogo ad identità separate e distinte.
Come i 3 piccoli fregi dorati sulla massiccia superficie lignea, simboli
oggettivi concepiti per misurare e quantificare.
Il rituale era sempre lo stesso.
Bussare
Presentarsi.
Entrare.
La suite era simile a altre che aveva già visitato nel corso della sua breve
permanenza. Impeccabile, ovviamente. Alta classe. Come la ragazza –
splendida e raffinata - seduta sul sofà, avvolta in un sofisticato completo
(Armani ?) che metteva in risalto una notevole fornitura di quegli attributi
necessari a catalizzare l’attenzione dei presenti in una sala affollata.
Sapeva di champagne e caviale e di tutto quello che sta un gradino sopra la
vetta della catena alimentare. E di niente altro, a giudicare dalla
struttura ossea.
Chris notò però anche le narici lievemente arrossate. Ogni medaglia ha il
suo proverbiale rovescio
La giovane guardò con disapprovazione il ragazzo spettinato fermo ancora
dinnanzi alla soglia.
- E’ un fattorino Eric. Hai una consegna – persino la voce. Bella, sottile,
ma immateriale ed incolore. Senza vita.
- Un’altra? Hanno già consegnato la posta questa mattina.
E ecco che di nuovo il sangue risalì vorticando fino alle tempie. Da quando
il suo corpo aveva smesso di obbedire alle leggi della fisica?
Eric entrò nella stanza, i capelli ancora umidi, la pelle chiara, appena
abbronzata si intravedeva sotto la camicia aperta.
Sembra un regalo. Non lo apri?
Aprilo tu. – un ordine, secco e preciso. Autoritario. Di chi è abituato ad
essere ascoltato senza obbiezioni. Ma la ragazza non sembrò notarlo.
E non notò nemmeno quello sguardo irritato.
- Pensiero carino Eric – osservò il minuscolo completino di pizzo bianco e
rosa – ma hai un gusto un po’ voyeristico in fatto di biancheria intima.
- Tesoro, non ti sfiora l’idea che ci sia un errore nella consegna?
- Oh. - Una punta di delusione nella voce, mentre si alzava dal piccolo
divano – dovevo immaginarlo. In tal caso dovresti esporre una formale
lamentela verso il servizio.
- Stai uscendo?
- Devo ancora passare dal parrucchiere e scegliere un abito per stasera. E
la boutique dell’albergo non offre nulla di vagamente accettabile.
- Quello che hai addosso non va bene?
- Non essere sciocco. Mi serve qualcosa di più scollato.
Ovvero qualcosa sufficiente a coprire il minimo indispensabile a non recare
oltraggio al comune senso del pudore.
- E vedi anche tu di presentarti come si deve. Sei l’ospite d’onore.
Perché per le donne i cerimoniali erano così importanti? Ma se non altro
quel pressante elenco di impegni aveva il lato positivo di occupare gran
parte della giornata di Sophie.
- Devo andare. A stasera.
Indi lo salutò con un bacio. Un raffinato effluvio di fragranze parigine
avvolse il ragazzo mentre la donna gli passava accanto senza curarsi della
sua presenza più di quanto avrebbe notato quella di un soprammobile.
Dopotutto il personale dell’hotel faceva parte integrante dell’arredamento.
Com’era il motto? Silenzio e discrezione. Non devono notare la tua
esistenza, solo il tuo servizio. Il problema era che a Chris non si addiceva
molto né il primo né il secondo comandamento. L’insieme delle regole che gli
erano state sciorinate fin dal primo giorno in cui aveva messo piede
nell’ufficio di Richards (ovvero circa 7 giorni prima) erano state relegate
in un angolo sotto la dicitura “accumulo vario di stronzate”
L’uomo sedette sul divano. Sembrava quasi sollevato dalla partenza della
compagna, come se si fosse liberato di un ospite inopportuno e fastidioso.
Inopportuno come lui, del resto. Ma ora si trovava lì e non avrebbe avuto
un'altra occasione.
- La festa non è di tuo gradimento? Povero Eric, deve essere una vita
davvero dura…
Eric sembrò accorgersi solo ora della sua presenza e arcuò un sopracciglio:
l’unico lieve indizio della presenza di emozioni in quel volto ieratico e
perfetto. Perché era perfetto. In ogni dettaglio. Come ogni cosa lì dentro.
Persino l’aria che respirava. E gli occhi erano immobili su di lui, due
algidi cristalli di ghiaccio. Che gli penetravano l’anima e la spezzavano in
mille frammenti.
- Sei ancora qui?
Il ragazzo di fronte a lui si strinse nelle spalle.
- La squinzia è una nuova? Non ricordo di averla vista prima. Che fine ha
fatto la rossa?
Squinzia? Questo avrebbe fatto sicuramente infuriare Sophie. Notò a mente
quel particolare. Gli ricordò che il ragazzino gli era quasi diventato
simpatico. Quasi. Perché Eric aveva due regole a cui si atteneva con
precisione maniacale e ossessiva.
Regola n.° 1: gli esseri umani si dividono in noiosi e seccanti.
Regola n.° 2: evitare noie e seccature.
E per Chris creare problemi era una condizione naturale. Tanto quanto
respirare ossigeno.
- Eric. Suona bene, sai? E’ adatto a te. L’ho pensato fin dalla prima volta.
Più di 3 parole in una sola frase. Sempre
decisamente troppe.
Il mio nome invece piaceva a mia madre. Christopher.
Informazione fondamentale. Grazie per
avermi messo al corrente della notizia.
- Secondo me, ci vuole troppo tempo persino per dirlo. Chris è più pratico.
Ma Eric non è male.
- Lieto di avere la tua approvazione.
- Figurati
Tempo a disposizione scaduto. Liberati del
ragazzo una volta per tutte. E poi torna alla normalità. Alla tua noiosa,
rassicurante normalità.
Chris era senza fiato. Il cuore gli era risalito fino alla gola e la nuca
gli pulsava… Si accomodò su una poltrona nella stanza.
- E’ un modo insolito di aspettare la mancia.
- Va al diavolo. Ho corso come un cane idrofobo per arrivare qui. Hai un po’
d’acqua? – quel ragazzo sembrava non rendersi mai conto di quanto fastidioso
fosse il suo comportamento.
Afferrò il bicchiere appoggiato sopra il tavolino e lo vuotò d’un fiato. Non
era acqua tonica. Decisamente no. Ma almeno era già seduto.
- E poi non ho mai ricevuto mance da te.
A parte una volta. Quella volta.
Somigliava sempre più ad una bestiola selvatica. Magro e scarmigliato,
piercing che decoravano il padiglione auricolare. E gli occhi lo scrutavano,
vigili e attenti, mentre si tormentava le mani schioccando le dita e con il
piede tambureggiava leggero sul tappeto.
- Lavori ancora qui?
- Io? No.
- Mi dispiace.
- Balle. Non te ne frega niente. Almeno abbi il buon gusto di essere onesto.
Almeno con te stesso.
- Hai ragione. Non me ne frega un cazzo. – Collera nella voce. Rabbia. E non
immotivata.
Merda, aveva pure rischiato una denuncia a causa di quel ragazzino.
Che accidenti ne sapeva che era minorenne? Quasi non si era nemmeno
presentato….
Anche se dopotutto era stato il solo che ci aveva rimesso qualcosa…
- Ma mi sento in parte responsabile.
- Lo sei.
- Stai cercando di farmi sentire in colpa?
- No. Sto dicendo che è colpa tua.
La faccia tosta di quel marmocchio era indescrivibile.
Alla fine scrollò nelle spalle.
- Lascia perdere. Era solo questione di tempo. Non vado molto a genio né al
ciccione né al mollusco. E la scopa ha solo colto al volo l’occasione per
farmi buttare fuori.
E adescamento dei clienti non è certo una
nota di merito su un curriculum vitae.
- E perché allora sei tornato qui?
- La strega che si nasconde nelle sembianze di Ally: ritiene che cambiare un
lavoro al ritmo record di uno ogni settimana non sia né educativo né
formativo, così mi ha obbligato a supplicare il verme di darmi un’altra
possibilità. Cosa che stavo per fare.
Eric si era chiesto più volte, mentre restava ad ascoltare quel flusso
continuo ed ininterrotto, senza soluzione di continuità, cosa sarebbe
successo quando la riserva d’aria nei polmoni si fosse esaurita… -
Chris parlava sempre con rapidità, come se le cose da dire fossero troppe e
il tempo non abbastanza.
- Ma mentre ero in ascensore ho capito una cosa. Che c’è una sola ragione
per cui sono rimasto un’intera settimana in questa specie di zoo …..
Uno zoo dove la maggior parte degli ospiti sono bestie che si aggirano in
gabbia ringhiando o sbadigliando – ricordava ancora quando aveva usato
quella metafora per descrivere l’hotel. E la metafora calzava. Come un
guanto.
Forse quel ragazzino non era l’idiota che sembrava, in fondo. Molto in
fondo.
- E quella sola ragione sei tu.
Ritiro l’affermazione precedente.
Idiota.
Punto e basta.
Ma che gli passava per la testa?
- Ti rendi conto che chiunque ora chiamerebbe la sicurezza per farti buttare
fuori, vero?
Silenzio. Nemmeno la durata di un battito di ciglia.
- Tu non lo farai.
E cosa ti rende tanto sicuro?
- La musica che ho sentito quando ti ho visto.
Perfetto. Chiaro e cristallino. Quel ragazzo era fuori di testa. Lo era
sempre stato.
E quell’assurda situazione era durata anche troppo.
Non l’hai ancora fatto, no? – la voce lo distolse ancora una volta dai suoi
propositi, chiara e luminosa.
Mandalo via. Evita altre inutili
complicazioni.
- Fatto cosa? – ennesima possibilità sfumata.
- Non hai chiamato i gorilla. Quindi avevo ragione.
Fermati, ORA.
Ma era troppo tardi. Era sempre stato troppo tardi. Fin dal secondo
immediatamente successivo a quello in cui gli aveva rivolto la parola.
Merda.
Perché quella situazione aveva risvegliato una strana sensazione, qualcosa
che aveva dimenticato, sepolta sotto uno strato di apatia e di indifferenza.
Una sensazione che non gli apparteneva più da anni – da secoli.
Eric si era sorpreso ad ascoltare quel ragazzo, ad osservare ogni suo gesto,
e come ogni suo movimento fosse pervaso da una sorta di grazia vivace e
scattante. Era come se un flusso continuo di emozioni scorresse tumultuoso
ed inarrestabile sotto la sua pelle. Ed ognuna di esse pulsava di energia
mai trattenuta.
Per la prima volta dopo tanto – troppo – tempo si era sentito vivo.
Era il suo punto di non ritorno.
Tanto la situazione era già sbadata pericolosamente.
Quindi ora avanti. E al diavolo tutto il resto.
Osservò la minuscola biancheria di pizzo bianco e rosa che teneva in mano.
- Forse è il caso di restituire queste alla legittima proprietaria.
Il ragazzo si morse le labbra e sorrise.
- Avrei dovuto scegliere il pacchetto di Mark. Magari dentro c’era qualcosa
di utile.
- Avresti rubato la corrispondenza?
- Rubare è una brutta parola. Io ho solo preso qualcosa in prestito. Qualche
volta. Poi ho sempre riconsegnato tutto.
Era un sorriso la piega che gli increspava le labbra?
- Bene, Chris. E adesso qual è la prossima mossa?
- Non lo so, non ci ho pensato.
- Non è un gran piano.
- No. Effettivamente no. Non ho avuto il tempo per studiare una strategia
migliore. Però ha funzionato. Finora.
Il ragazzo si avvicinò, il volto a pochi centimetri, la voce il sussurro di
chi condivide un segreto inconfessabile.
- Se devo essere cacciato per un motivo, allora almeno che ci sia una
ragione valida.
- Sai cosa significa ciò che stai chiedendo?
- So solo che lo voglio.
Eric lo allontanò fin troppo bruscamente.
E’ per questo che è sbagliato Chris.
Ma Eric sentiva ancora bruciare addosso la luce di quegli occhi. Ardenti.
Vivi.
Un ragazzo può ancora permettersi di
scegliere ciò che vuole.
- E che lo vuoi anche tu.
Vero. Merda, era dannatamente vero.
Ed ora era di nuovo così vicino… Così vicino da sentire i battiti del suo
cuore.
Un adulto deve scegliere ciò che è giusto.
Conseguenze? Cazzo, sì. Era proprio questa la differenza. C’erano quelle
maledette conseguenze da considerare.
Fanculo.
- Chris…
E’ sbagliato.
---
Fanculo.
E per la seconda volta le sue labbra sfiorarono la carne rossa e morbida di
Eric.
|