Titolo: Une année
Autore: Korin
Genere: di tutto un po’
Rating: praticamente tutti.
Pairing: Mime e Fenrir (Luxor); caratteri probabilmente lontani da quelli previsti^^
Disclaimers: i personaggi e tutti i diritti appartengono a papà Kurumada e ai vari aventi diritto.
Ecco lo specchietto con le traduzioni dei nomi.
Thor: Thor
Fenrir: Luxor
Hagen: Artax
Mime (Meeme): Mime
Alberich: Megres brrrrrrrrr ^^;;
Cyd e Bud: Mizar e Alcor
Sigfried: Orion
Hilda e Freja: Hilda e Flare
Varie ed eventuali: Salve a tutti! Innanzi tutto grazie per avere aperto queste pagine, spero che la storia vi piaccia e che non vi annoierete a leggerla. Il carattere dei personaggi probabilmente di discosterà un po’ dagli originali, quindi chi conosce la serie si prepari fin d’era a perdonarmi. Le figure di Hilda e Alberich soprattutto hanno risentito dei miei folli pensieri^^; e la trama si è piuttosto intricata rispetto alle direttive originali; inoltre si è ampliata molto oltre il progetto iniziale, in alcuni punti diventa triste più di quanto avessi pensato (e suscita violenti istinti omicidi nei miei confronti, temo ^^;) e copre un anno della vita dei protagonisti, da inverno ad inverno. Ah, un’ultima cosa, secondo me Mime tende al” pel di carota”, se secondo voi invece è biondo non vogliatemene. Buona lettura e non da ultimo: vote for me! ^__________^ eh eh…l’egocentrismo è cosa dura a morire. Grazie a tutti e buon divertimento (spero^^;)
  

 

 


Une année

di Korin



Mime respirò profondamente l’aria fredda, con le labbra e gli occhi socchiusi. Si voltò a guardare il palazzo reale arroccato sulle ripide pareti rocciose coperte di neve. Ogni volta che la Regina lo convocava per allietare i suoi numerosi ospiti non riusciva ad abbandonare il castello senza essere soffocato da un’angoscia di cui ancora non riusciva a comprendere la ragione. Sospirò, stanco e ricominciò a camminare nella neve fresca, deciso a concentrarsi solo sul suono ritmico della neve pressata dagli stivali. Dopo un breve tratto si fermò, corrugando le sopracciglia: Hilda da qualche tempo indossava un anello. Non le aveva mai visto indossare dei gioielli, a parte la corona che le spettava…ma era un semplice cerchio d’oro che ornava la sua mano, non aveva senso che un simile particolare lo turbasse tanto. Scosse la testa. L’atmosfera del castello stava cominciando a giocargli brutti scherzi. Riprese a camminare, canticchiando sommessamente. Una buona dormita sarebbe stata più che sufficiente a fargli dimenticare quel disagio, ne era certo. Alcune ore dopo, invece, era ancora sveglio, lo sguardo intento ad ispezionare il soffitto appena illuminato dalla luce tenue del fuoco e i pensieri fissi su quanto era accaduto a corte. Si raggomitolò nelle coperte con un sospiro. La Regina era diventata fredda e scostante nei confronti di Freja e Sigfried, tendeva a trattare ogni persona con un disprezzo che non le aveva mai conosciuto e ancora peggio sembrava essere cambiato radicalmente anche il suo metro di giudizio su cosa fosse lecito fare in sua presenza e cosa no. Aggrottò le sopracciglia, tornando a prestare attenzione ad un particolare inquietante: il rumore dell’oceano era sempre giunto alla sua casa, eppure da qualche giorno sembrava essere attutito, come se il ghiaccio che lo ricopriva si fosse esteso più del dovuto. Avrebbe voluto parlarne al suo maestro, ma non riusciva a percepirne la presenza. Si passò una mano sul viso. Era troppo nervoso per riuscire a prendere sonno e troppo stanco per potersi permettere di non dormire. Sbuffò, ancora indeciso, poi si strinse le coperte al corpo e strisciò fino al camino. Vi gettò qualche pezzo di legno e aspettò che il fuoco riprendesse vigore, quindi si accomodò alla meglio la coperta sulle spalle e allungò le mani verso le fiamme. Sospirò. A volte, come in quel momento, trovava insopportabile Asghard, il luogo maledetto in cui sorgeva, il destino della sua Regina…e il giuramento che lo legava indissolubilmente ad esso. Rise piano, con amarezza. Quando era di quell’umore avrebbe trovato desiderabile perfino la vita dei cortigiani. Un rumore conosciuto catturò la sua attenzione: ululati; lontani, portati dal vento. Socchiuse gli occhi, rabbrividendo leggermente. Fenrir. Aveva sentito parlare di lui da giovani nobili che si lamentavano tra loro per l’incauta scelta di Hilda, convinti che il solo fatto che l’armatura appartenesse alla sua famiglia non potesse bastare a renderlo degno di indossarla. Soffocò una risatina. Se lo avessero visto mentre guidava il suo branco probabilmente avrebbero pregato di non incontrarlo mai, nemmeno nella sicurezza del palazzo reale. La caccia di cui era stato testimone era stata uno spettacolo magnifico e al contempo terribile, tale da toglierli il respiro e fargli fermare il cuore per la tensione quando il cavaliere aveva alzato lo sguardo su di lui. Le labbra di Fenrir si erano piegate in uno strano ghigno e poi, incredibilmente, si era inchinato come un perfetto gentiluomo prima di sparire tra i fusti snelli dei giovani larici. Lo aveva preso in giro, ma Mime non se ne era sentito offeso, anzi aveva perfino trovato divertente la sua schietta irriverenza. Si sdraiò davanti al fuoco, sul pavimento di legno e si raggomitolò come un cucciolo, sospirando appena, l’inquietudine finalmente calmata. Si svegliò dopo qualche ora, più tranquillo e meno astioso nei confronti del mondo intero. Uscì per respirare l’aria fredda e pulita, stiracchiandosi come un gatto e guardando ad occhi socchiusi il sole fermo appena sopra l’orizzonte. Ancora poco e sarebbe arrivata la primavera e finalmente la luce. Rise sommessamente. Sei mesi interi di luce, sopravvivere all’inverno gli pareva un prezzo addirittura basso. Rise di nuovo: i suoi sbalzi d’umore potevano essere peggiori di quelli di una donna, a volte (1). Canticchiando a bassa voce si diresse lentamente verso la falesia. Si sedette su un masso a osservare l’orizzonte, assaporando la vibrazione familiare della preghiera della Celebrante..
“Il ghiaccio si sta ritirando.”
La voce lo colse di sorpresa, facendolo sobbalzare leggermente. Fenrir gli gettò un’occhiata strana, venata di disprezzo e divertimento.
“Avrei potuto spezzarti l’osso del collo e tu nemmeno te ne saresti reso conto...” constatò.
Mime arrossì vistosamente e ringhiò qualcosa di incomprensibile. L’altro ragazzo per tutta risposta gli rise in faccia, mentre grattava amorevolmente le orecchie all’enorme lupo seduto ai suoi piedi.
“Allora cosa mi rispondi?”
Il musicista tornò a guardare l’orizzonte, piuttosto risentito.
“Si sta avvicinando la primavera, mi pare sia normale.”
“Hmph…certo, lo è… se non si vuole vedere altro.”
“Cos…”
Fenrir era già scomparso, lasciando dietro di sé solo le sue impronte affiancata da quelle del lupo.
Mime si morse il labbro inferiore.
“ Lo è se non vuoi vedere altro…” ripeté lentamente.
Si coprì il viso con le mani poi le lasciò scivolare sui capelli, fermandole sulla nuca. L’ansia era tornata di nuovo a stringergli la gola, più forte di prima. Era certo che qualcosa di sbagliato si stesse annidando nel mondo intorno a lui, nella corte, nella Regina stessa, moltissime cose a livello inconscio non facevano altro che suggerirglielo tuttavia nessuno sembrava accorgersene…tranne Fenrir, forse. Abbassò la testa, poggiando la fronte sulle ginocchia. Percepiva una vibrazione molto forte, discordante al punto da non poter essere ignorata se non volutamente. Sospirò profondamente e chiuse gli occhi con forza. Pensarci non lo avrebbe portato a nulla, solo a caricarsi di un’angoscia priva di senso, eppure non poteva lasciare perdere una cosa tanto importante.
“Ah!”
Il lupo di prima gli stava grattando lo stivale per avere un po’ d’attenzione. Mime deglutì. Era un maschio enorme, avrebbe potuto aprirgli la gola con un solo morso.
“Quando rifletti dai l’impressione di volerti suicidare, lo sai?”
Il tono strafottente dell’altro era oltremodo irritante e Mime ringhiò di nuovo.
“Almeno io penso.” ribatté.
Per tutta risposta Fenrir proruppe in un’altra risata, fin troppo rumorosa.
“Hai un bel carattere, non l’avrei mai detto.” piegò le labbra in un ghigno” Sei molto bravo a recitare, non c’è che dire.”
Le guance del musicista si colorarono di nuovo per l’ira. Gli avrebbe volentieri mollato un pugno in pieno viso pur di farlo tacere, ma non era sicuro che avrebbe fatto in tempo ad evitare i denti del suo lupo. Sbuffò.
“Che diavolo vuoi?!”
“Le tue mani.”
Mime gli gettò un’occhiata perplessa, valutando la sua espressione.
“Voglio che suoni per me, idiota, non farti strane idee. In quel palazzo ci sono troppi echi e troppa gente…hmph… per non parlare del resto, poi.”
“Mi hai dato dell’idiota, perché dovrei suonare per te?”
“Perché almeno noi ti ascolteremmo sul serio.”
“Tu… e i tuoi lupi?”
Fenrir si sporse in avanti, ad un palmo dal suo naso, con un sorriso impertinente sulla labbra.
“E chi credevi?” si tirò indietro e incrociò le braccia sul petto “Voi pensate che io sia poco più di un animale…ma non scordare mai che sono stato un nobile per troppo tempo per potermene dimenticare.” (2)
Mime avvertì un brivido percorrergli la spina dorsale. Di fronte a sé aveva una creatura pericolosa, di cui non poteva prevedere in alcun modo il comportamento. Distolse lo sguardo, puntandolo sull’orizzonte. Fenrir invece sogghignò; non avrebbe mai pensato che il riservato musicista di corte potesse mostrare con tanta rapidità e limpidezza aspetti così diversi del suo carattere. Era interessante, perfino divertente, ma non se la sentiva di tirare troppo la corda con lui… scrollò le spalle…forse apprezzava troppo la sua musica.
“Beh? Il sole rimarrà fermo sull’orizzonte ancora per almeno venti giorni, hai intenzione di rimanere così fino ad allora?”
Il ragazzo fulvo sospirò profondamente e si voltò a guardarlo.
“Speravo che ignorandoti saresti sparito.” sibilò.
“Come gli incubi all’alba? Non è così facile con me.”
Il musicista si alzò in piedi.
“Ho solo detto che lo speravo.” ribatté con ironia.
“Ohh…”
Fenrir si passò una mano fra i capelli color cenere, ridacchiando ancora per il solo gusto di provocarlo, certo che comunque la sua reazione non sarebbe stata nulla di ingestibile. Il rossino per tutta risposta gli diede le spalle e cominciò ad allontanarsi ma da un tratto si fermò
“Io non ti ho mai visto a corte!” esclamò, voltandosi verso di lui.
L’altro piegò le labbra in un ghigno.
“Mi vedi solo se io voglio che tu mi veda. Vi ho osservato a lungo, tutti e sette e nessuno di voi se ne è mai accorto. Comunque…”
Fenrir si era avvicinato in fretta, Mime quasi non vide la mano che gli si strinse sul mento.
“In questo momento sei troppo agitato e la tua musica sarebbe pessima.”
Mime storse la bocca in una smorfia.
“Allora prendi coscienza delle conseguenze delle tue azioni.”
Si era aspettato una risata sguaiata, invece il signore dei lupi scrollò le spalle.
“Non è a me che dovresti dirlo.” poggiò la mano sulla testa del lupo “Ma credo che ornai sia troppo tardi.” emise un respiro secco, rapido “Hai visite.”
In lontananza il musicista riuscì ad intravedere la sagoma di un uomo che camminava lentamente, guardandosi intorno in continuazione. Il ragazzo si mosse verso di lui senza più voltarsi, poiché era certo che non c’era più nessuno da salutare. Ascoltò il messaggero e poi annuì, rimandandolo al castello. Di nuovo convocato a corte…sospirò. Si chiuse in casa e si buttò sul letto, affondando il viso nel cuscino, le parole di Fenrir che continuavano a risuonare tra i suoi pensieri.
“Troppo tardi.”
Forse con il suo istinto il signore dei lupi riusciva a sentire qualcosa che invece a lui sfuggiva completamente. Si girò sulla schiena, allargando le braccia. I dubbi erano rimasti, come pure l’inquietudine, tuttavia parlare con Fenrir gli aveva concesso qualcosa di simile alla tranquillità. Rise piano e chiuse gli occhi, abbandonandosi finalmente al sonno. Si svegliò qualche ora più tardi, con il cuore placato come non accadeva da tempo. Con gesti lenti e precisi indossò il ricco abito impostogli dalla corte. Allargò le braccia di fronte allo specchio, concedendosi una risatina di scherno. Quando lo indossava aveva l’impressione di essere identico ad un mantenuto; era troppo frivolo per lui…e inadatto a quel clima, ma la Regina non aveva ammesso repliche a riguardo. Indossò la pelliccia scura e carezzò amorevolmente il suo strumento prima di infilarlo sotto il braccio per uscire. Canticchiò piano per un lungo tratto di strada, fino a che intravide la sagoma del castello e le finestre illuminate. Sospirò. Fenrir aveva ragione, nessuno lo ascoltava mai davvero, tutti erano troppo impegnati a mangiare e ubriacarsi per prestargli attenzione; e aveva realizzato che era meglio così. Si avviò con mestizia lungo l’erta che conduceva al castello, sperando in cuor suo di venire ignorato anche questa volta.
Nell’ampia sala, illuminata da una quantità vergognosa di lampade, gli ospiti mangiavano, bevevano e facevano rumore, lasciandosi andare ai comportamenti piuttosto liberali che l’austera Regina fino ad allora non aveva mai tollerato.
Fenrir, nascosto in un angolo buio sul camminamento che sovrastava la sala, osservava gli astanti senza preoccuparsi di nascondere il proprio disprezzo. Ridacchiò osservando l’espressione compita e seria del musicista, che con tutta probabilità non stava aspettando altro che la prima occasione buona per defilarsi. Socchiuse gli occhi. La luce tremolante delle lampade giocava in bizzarri riflessi sul broccato e la seta bianca del suo abito, rendendolo quasi evanescente, bellissimo come uno degli spiriti che animavano gli elementi. Aggrottò le sopracciglia. Tanto interesse per un altro essere umano non era cosa saggia, tuttavia….si appoggiò alla parete coperta di arazzi…tuttavia Mime era un artista, e molto particolare, le cui melodie potevano diventare oggetti fisici poiché sapeva rendere solide anche le vibrazioni più sottili…forse ciò che lo attirava era semplicemente la sua abilità. Ringhiò inconsciamente. Il rossino si era alzato per congedarsi, ma Alberich, accomodato ai piedi della Regina, gli aveva afferrato un polso per tirarlo a sedere su cuscini dalle pregiate stoffe orientali. Il signore dei lupi si sporse appena in avanti per catturare l’espressione del musicista, certo di aver visto danzare nel suo sguardo un’emozione intensa e familiare. Con un gesto brusco il ragazzo fulvo si liberò, colpendo il viso dell’altro con la mano, leggermente, ma abbastanza perché il suo potere disegnasse sottili strisce cremisi sulla sua guancia. Fenrir sogghignò, intimamente soddisfatto; da quell’uomo con gli occhi verdi emanava qualcosa di indefinibile, così disgustoso da rendergliene insopportabile la vista. Alberich intanto si era messo a ridere, maligno e aveva rivolto una pericolosa occhiata d’intesa alla Regina. Ringhiò di nuovo, senza comprenderne il motivo, poi si accucciò scomparendo completamente nell’ombra. Hilda aveva levato una coppa d’argento cesellato e con un sorriso amabile la stava offrendo a un uomo dall’aria altera e infastidita. Fenrir si leccò le labbra, pregustando la caccia e il sapore del sangue; i suoi lupi avrebbero avuto un buon pasto…e la pelliccia bianca che l’uomo portava sulle spalle una degna sepoltura.
“Chi è ?” bisbigliò.
“Un uomo che non serve più.”
“Hm.”
Fenrir sogghignò nel buio. Il cavaliere ombra era un bravo attore, e una persona incredibilmente volitiva, al punto da aver convinto perfino se stesso che ciò che provava era un odio puro quanto un cristallo. Poggiò il mento sulle mani incrociate. Tutti i cavalieri fedeli alla Regina avevano qualcosa che avvelenava il fluire dei loro pensieri: odio, amore, gelosia… gli uomini erano tutti uguali…e poiché tutti gli esseri umani erano creature che uccidevano e ferivano solo per il piacere di farlo, che di fronte al pericolo fuggivano e colpivano a tradimento non poteva fare a meno di disprezzarli. Si morse l’interno della guancia fino a farlo sanguinare. Tra quella gente c’era anche chi aveva ordinato la morte dei suoi genitori…e lui non avrebbe mai sputo chi aveva impartito quell'ordine. Si sollevò a sedere. Il musicista si era ritirato, lui aveva ricevuto i suoi ordini e l’aria cominciava ad essere appestata dall’odore dell’adrenalina e dell’eccitazione sessuale; anche quel banchetto si sarebbe concluso come tutti gli altri, con la Regina seduta sul suo alto seggio ad osservare compiaciuta lo scatenarsi degli istinti dei suoi ospiti. Con un salto silenzioso e rapido raggiunse un davanzale interno e strisciò fuori. L’aria era fredda ma il vento era calato e il sole rosso si rifletteva debolmente sulle nubi scure e sul mare, come un occhio divino, o demoniaco, sempre aperto. Un movimento più in basso attirò la sua attenzione. Sigfried camminava lentamente, le dita intrecciate dietro la schiena e lo sguardo fisso davanti a sé. Ad un tratto di fermò e alzò gli occhi verso di lui. Fenrir alzò la mano in segno di saluto, ricevendo in cambio un lieve cenno del capo, accompagnato da un sospiro impercettibile. Fenrir lo osservò allontanarsi ad occhi socchiusi. Sigfried non era uno stupido, sapeva cosa stava accedendo eppure preferiva continuare a rimanere cieco e ubbidire, in nome di una fedeltà e di un amore che lui non era in grado di comprendere. Cominciò a percorrere il cornicione, sbuffando leggermente. Il suo branco lo stava aspettando tra gli alberi e lui non aveva più nulla da fare, almeno per un po’. Emise un lungo ululato per richiamare l'attenzione dei suoi poi saltò tra la neve per scomparire nella foresta.

Mime gettò disgustato l’abito bianco. Rimase ad osservarlo con disprezzo poi con un sospiro stanco lo raccolse e lo piegò con cura. Sicuramente era costato almeno quanto il reddito annuo di un contadino e prendersela con un pezzo di seta era da sciocchi. Si massaggiò il polso destro, i denti affondati nel labbro inferiore. Alberich si stava facendo insistente e poco gestibile da che la Regina lo aveva eletto suo favorito, ed era più che certo che avrebbe trovato il modo di fargli pagare lo sgarbo di quella sera. Espirò rapidamente, stringendosi le braccia intorno al corpo. Alberich lo disgustava profondamente, era una sensazione che si era acuita in modo spaventoso negli ultimi tempi e che lo rendeva irritabile e aggressivo nei suoi confronti, facendogli dimenticare i limiti entro cui per decenza avrebbe dovuto muoversi. Si piegò su se stesso a causa di un violento crampo allo stomaco. Mormorò un’imprecazione e uscì, sperando di trovare sollievo nell’aria fredda. Si appoggiò allo stipite della porta e rimase chinato, cercando di calmare il respiro.
“Io ti consiglierei due dita in gola.”
Il musicista alzò gli occhi, furente, con il viso contratto in una smorfia.
“Le infilerei nella tua gola, se solo servisse a tapparti quella bocca.” ringhiò.
Fenrir parve stupito poi scoppiò a ridere, ad alta voce.
“Te le troveresti mozzate prima.” ribatté “ E tutto sommato sarebbe un peccato, ma la prossima volta cerca di non farti mettere tanto vicino ai bracieri, non bruciano solo ambra.”
Il ragazzo fulvo gli gettò un’occhiata sospettosa.
“Il signore dei lupi era a palazzo?”
Fenrir inarcò un sopracciglio, non sapendo decidere se sentirsi offeso o meno dal suo sarcasmo.
“Il signore dei lupi era a palazzo, dove non ti deve importare.”
“Hm…”
Il ragazzo fulvo sospirò stanco.
“Non ho la forza di continuare a discutere anche con te…dimmi cosa vuoi e falla finita.”
“Volevo solo assicurarmi che non svenissi per strada.” ribatté l’altro con leggerezza “Ma vedo che non era necessario, quindi ti auguro la buona notte.”
Gli diede le spalle e fece un paio di passi, dopodiché si voltò, ancora inquadrato nella luce della porta.
“Sempre che tu non la passi rotolandoti sul pavimento per i crampi.”
Il musicista lo fulminò con un’occhiata, con il solo risultato di udire una risatina divertita mentre lo guardava allontanarsi. Sbuffando, si chiuse la porta alle spalle.
“Idiota.” bofonchiò.
Si buttò sul letto, raggomitolandosi poi su se stesso. Si umettò le labbra secche; da tempo aveva il sospetto che l’odore che percepiva nella sala dei banchetti non fosse una nuova moda di corte, tuttavia non aveva mai avuto degli effetti tanto forti come quella sera.. Sospirò piano e si girò sulla schiena, poggiando i dorsi delle mani sugli occhi, deciso a scacciare i pensieri che tornavano ad assillarlo, ma la decadenza di tutto ciò che circondava la Regina era sconvolgente, per quanto si sforzasse non riusciva ad ignorarla. Ad un tratto la sua attenzione fu catturata dal rumore del vento. Preoccupato si alzò per sbirciare fuori dalla porta. Il vento si era alzato all’improvviso, facendo rumoreggiare ancora più furiosamente l’oceano. Aggrottò le sopracciglia. Si avvicinava una tempesta molto forte, ed ebbe l’immediata certezza che non si trattava di un capriccio della natura. Spinse la porta con un sospiro. Rimase immobile davanti ad essa alcuni secondi poi si passò una mano tra i capelli, aggrottando ancora le sopraciglia. Tornò a letto, deciso a dimenticare la corte, Hilda e tutto quanto la riguardava. Ci riuscì persino con troppa facilità e finalmente riuscì a dormire un numero di ore sufficiente a non fargli odiare tutto il resto del mondo. La tempesta ululava ancora furiosamente, con tutta probabilità sarebbe continuata giorni. Avvolto nelle coperte come un bruco nel suo bozzolo il musicista sbuffò. Detestava rimanere chiuso in casa per giorni interi, tuttavia il solo fatto che con quel tempaccio nessuno si sarebbe azzardato a chiamarlo a corte fu sufficiente a fargli piegare all’insù gli angoli della bocca. Gettò indietro le coperte e si stiracchiò soddisfatto. Aveva già una mezza idea su come impegnare il tempo. Meno di un’ora più tardi il tavolo della stanza era ingombro di tomi, fogli arrotolati raccolti da nastri e un certo numero di fogli di incerta ubicazione. Fenrir era un personaggio misterioso, ascoltare i pettegolezzi di corte su di lui non gli bastava più. Spulciò con buona volontà numerosi volumi, fino a che si imbatté nella storia della sua casata. Avrebbe volentieri saltato tutta l’ingombrante parte che legava la casata alla mitologia, però pensò che sarebbe stato saggio non ignorarla, poteva anche accadere di riuscire a trovare qualcosa di interessante.
“Ah?!” esclamò.
Si chinò sulle pagine, i denti affondati nel labbro inferiore. Fenrir e tutti quelli che lo avevano preceduto nell’indossare l’armatura comunicavano abitualmente con i lupi attraverso suoni non udibili da orecchio umano che potevano essere emessi grazie alla conformazione caratteristica delle corde vocali. E se potevano emetterli, significava che potevano udirli…e che quindi Fenrir era in grado di ascoltare il modo in cui lui riusciva a manipolare le vibrazioni, alterandone la natura al punto da renderle qualcosa di solido. Inconsciamente il musicista piegò all’insù gli angoli della bocca. Questo significava che quel ragazzo scontroso poteva ascoltarlo davvero, catturare ogni sfumatura della sua arte. Poggiò le fronte sulle braccia, guardando la fiamma della lampada. Gli sarebbe piaciuto avere per una volta un simile ascoltatore…inoltre lui stesso era venuto a importunarlo a riguardo, quindi non avrebbe corso il rischio di avere la gola aperta a morsi. Forse. Rise ad alta voce, improvvisamente di buon umore. Sfogliò le pagine in fretta, fermandosi solo quando intravide la vecchia mappa che indicava la posizione dei palazzi nobiliari. Il palazzo era abbastanza lontano, ma la strada non sembrava difficile, né troppo impervia. Tornò a stendersi sul libro. Quando la tempesta si sarebbe placata avrebbe ricambiato la sfacciata visita del signore dei lupi.

Mime si caricò una sacca di tela grezza su una spalla e si inoltrò nella foresta, muovendosi con sicurezza verso la sua meta. Le cronache del regno illustravano con molta chiarezza la storia della casata di Fenrir, ma poiché si trattava della storia ufficiale non aveva riposto molta fiducia in quelle notizie. Quello di cui era certo era che la famiglia del suo selvatico interlocutore non era stata particolarmente ricca se confrontata con altre, tuttavia il suo peso politico era stato notevole e certamente fastidioso. Il potere avvelenava la mente degli uomini in ogni parte del mondo, il fatto che Asghard ricoprisse un ruolo tanto importante nella salvaguardia del pianeta non sembrava essere sufficiente ad evitarlo. Rallentò il passo, fino a fermarsi quando di fronte a lui, tra larici spogli e secolari, si erse spettrale il rudere di un palazzo. Socchiuse gli occhi. Nonostante la penombra riusciva ancora a distinguere ciò che restava dei fregi che ornavano le vestigia delle mura. Si avvicinò, incuriosito, e poggiò le mani guantate sulla pietra. Il fregio era composto da un motivo ciclico, ma gli stessi elementi si ripresentavano in posizioni e con dimensioni diverse; aggrottò le sopracciglia;nonostante le irregolarità del disegno aveva l’impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di armonico; d’un tratto rise, piano, dolcemente.
“Sette disegni… sette note…”mormorò tra sé, percorrendo con le dita il disegno” fino a quelle non più udibili da orecchio umano…hmmm…”
Un ringhio profondo alle sue spalle lo riportò bruscamente alla realtà. Si voltò con lentezza, cercando di non fare rumore. Un enorme lupo lo stava fissando minaccioso, i denti bianchi già scoperti. Mime deglutì a vuoto. Difendersi non sarebbe stato un problema, ma non voleva rischiare di ferirlo. Il lupo si avvicinò di un altro passo e il ragazzo si addossò al muro. Sapeva che esistevano distanze minime oltre le quali un animale si sente minacciato al punto da decidere l’attacco piuttosto che la fuga, ma era certo di non averla superata…si morse il labbro inferiore, mormorando un’imprecazione: i lupi di Fenrir non avevano paura degli esseri umani, distanze e comportamenti cauti potevano non essere sufficienti a evitare un attacco. L’animale avanzò ancora, fino ad arrivare con il muso a toccargli le ginocchia. Lo annusò con concentrazione, mentre il ragazzo tratteneva il respiro, dopodiché gli si addossò alle gambe e infilò la testa sotto la sua mano, sfregandogli il palmo. Il musicista si permise di respirare e con una certa cautela grattò il lupo dietro le orecchie. L’animale allora si allontanò, dandogli le spalle e sparì fra le pietre grigie. Mime raccolse la sacca e lo imitò, senza troppi timori. Il tetto era completamente caduto, ciò che restava delle travi marcescenti e della copertura di pietra ingombrava l’ampia sala che probabilmente era stata il luogo di riunione della famiglia. In preda a uno strano senso di nostalgia girovagò per il piano terra e ciò che restava del secondo piano, dopodiché pensò che sarebbe stato più saggio cercare Fenrir piuttosto che aggirarsi come un ladro in quella che era stata la sua casa. Osservando con attenzione le macerie intorno sé riuscì a individuare una sorta di passaggio tra alcune travi spezzate; avrebbe dovuto strisciare sotto il legno spaccato, e questo gli procurava una certa angoscia, tuttavia era certo di sentire un leggero odore di fumo provenire dal basso. Con un sospiro si chinò. Si era aspettato un passaggio poco confortevole, e invece il pavimento era stato ricoperto da un letto di rami coperti di paglia e gli spazi tra il legno chiusi con fango e paglia. Imprecò piano. Era buio pesto, poteva affidarsi solo alle sue mani e ai suoi sensi, e cominciò sinceramente a sperare di non avere commesso un’enorme sciocchezza.
“Oh, buona giornata.”
La sorpresa fu tale che Mime si alzò di scatto, finendo per urtare la solida volta sopra di lui. Si chinò, le mani sulla testa dolorante, imprecando. Udì una risata chiara, sinceramente divertita.
“Sapresti far arrossire uno stalliere! Vergognati!”
Imbarazzato e furente Mime strinse i denti e tese una mano, avvertendo sotto le dita la consistenza del cuoio. Scostò con cautela quella specie di tenda, incrociando così direttamente lo sguardo di Fenrir, comodamente sdraiato su un fianco davanti ad un camino intatto.
“Borgar ti ha trovato molto interessante, ritieniti fortunato.”
L’enorme lupo che lo aveva accolto all’esterno era sdraiato accanto al fuoco, in compagnia di altri animali, in tutto una decina.
“Visto che il suo padrone è venuto tanto spesso a infastidirmi ormai avrà anche imparato che non deve mordermi”ribatté acido il musicista.
L’altro ragazzo rise ancora, più piano. Non gli piaceva essere considerato il padrone del branco, ma era conscio che agli occhi di tutti le cose apparivano così.
“Oh l’hai riconosciuto; davvero notevole.” Commentò in tono ammirato.
Mime decise di mordersi la lingua e strisciò fuori dal tunnel, alzandosi per sgranchire le gambe. Si gettò una rapida occhiata intorno. La sala non era molto alta, anche se nella penombra non riusciva a vedere distintamente il soffitto, né particolarmente ampia. Aveva percorso un cammino leggermente in discesa, quindi probabilmente si trovava sotto la superficie gelata della foresta.
“Nei tempi antichi erano prigioni.” lo informò Fenrir “ma a mio nonno prima e a mia madre poi parvero tanto inutili che decisero di ricavarne sale da destinare ad usi migliori.”
Mime provò ad accennare un sorriso, qualsiasi cosa pur di levarsi dal viso quell’espressione semi addolorata che temeva poteva essere scambiata per una sorta di compassione inutile e non desiderata. Fenrir piegò all’insù un angolo della bocca.
“E ora vuoi dirmi perché ti sei preso la briga di venirmi a cercare qui?”
“Ah…”
Il musicista distolse un attimo lo sguardo, cercando le parole più opportune. Alla fine sbuffò.
“Sei tu che hai detto di volermi ascoltare, non mi sono certo offerto io.”
Il signore dei lupi rise di nuovo e finalmente si alzò a sedere, scostandosi i capelli dagli occhi con un gesto della mano.
“Allora accomodati, nessuno cercherà di sbranarti, puoi stare tranquillo.”
Mime si sedette gettando comunque occhiate apprensive agli animali che fingevano di non curarsi di lui. Ad un tratto uno di loro si avvicinò, ma solo per annusare incuriosito la sacca che aveva appoggiato accanto a sé, lo degnò appena di un’occhiata e tornò ad unirsi agli altri. Mime si schiarì la voce e cominciò a sciogliere i lacci per trarne una bottiglia e due coppe di legno. Senza parlare offrì una coppa all’altro ragazzo e la riempì di un liquido dal colore ambrato. Fenrir lo annusò con circospezione, guardandolo incuriosito.
“Idromele.”
“Hm?”
Mime arrossì lievemente.
“Diluito in acqua. Non sopporto bene gli alcolici…e almeno non penserai che sono venturo a farti ubriacare per tagliarti la gola.”
Fenrir ridacchiò.
“Devo considerarla un offerta di pace?”
“Di non belligeranza.”
“Hm…è un’offerta interessante.”
Il ragazzo fulvo si rilassò, rassicurato dal tono dalla sua voce. Si accorse solo allora di indossare ancora la pelliccia e la sfilò con gesti cauti e un po’ impacciati, ma mentre si guardava ancora intorno di soppiatto, due oggetti attirarono la sua attenzione. Accanto al fuoco, accuratamente piegata su rami di betulla, una pelle di lupo dalla testa segnata da una mezzaluna chiara sottostava ad un’enorme pelliccia scura appesa alle pietre (3). Distolse gli occhi in fretta, ma non abbastanza perché l’altro non notasse la sua agitazione ed una strana sorta di imbarazzo. Il padrone di casa piegò all’insù un angolo della bocca, in un certo qual modo pronto a comprendere la sua reazione.
“Il mio secondo padre.”
Mime chinò la testa e annuì. Si sentiva all’improvviso a disagio, con la sensazione spiacevole di avere invaso uno spazio personale a cui non avrebbe dovuto avvicinarsi. D’un tratto alzò lo sguardo, stupito.
“Lo hai notato?”
Il musicista annuì piano, guardandolo sconcertato; nonostante la scarsità di luce aveva notato degli strani segni sulle zampe posteriori della pelle d’orso, due zone d’ombra larghe e lunghe quanto la circonferenza delle zampe, in cui il pelo dell’animale era stato danneggiato da funi o catene. Senza rendersene conto si portò le dita alle labbra.
“Non dire niente” mormorò l’altro “perché so cosa mi diresti e so che saresti sincero, quindi non dirmi niente.”
Mime annuì piano, e distolse a fatica lo sguardo dalla pelliccia scura. Chinò gli occhi un attimo, poi si sgranchì le dita, come a voler cancellare con quel gesto i cattivi pensieri che gli turbinavano nella testa.
“Bene…hai qualche preferenza?”
Fenrir scrollò le spalle, con un leggero sorriso; aveva apprezzato molto il silenzio del suo ospite, il modo in cui aveva tenuto a bada la sua naturale curiosità; si sdraiò di nuovo, piegando un braccio sotto la testa.
“Ciò che suoni nella foresta andrà benissimo.”
Mime lo guardò sorpreso, poi arrossì, facendolo ridere di nuovo.
“Ti osservo da un po’…non puoi pretendere di non attirare l’attenzione con tutto il baccano che fai.”
“Ah, ora è baccano?”
“Sei permaloso come tutti gli artisti.”
Il musicista parve non averlo nemmeno ascoltato, intento a trarre dalla custodia il suo strumento; in effetti gli animali si avvicinavano molto spesso quando si rintanava nella foresta per avere un po’ di pace, ma non aveva mai percepito la sua presenza. Si schiarì la voce e si sistemò più comodamente.
“Questo artista permaloso ha deciso che suonerà quello che più gli aggrada, qualcosa in contrario?”
Dalla sua posizione Fenrir scosse la testa, sorridendogli divertito.
Mime suonò a lungo, senza che nessun rumore disturbasse la sua esecuzione, mentre l’altro ragazzo ascoltava in silenzio con gli occhi chiusi, accordandogli così una fiducia che non si sarebbe mai atteso. Dopo un brano piuttosto impegnativo si fermò per riposare e si accorse che il terribile signore dei lupi si era beatamente addormentato come un bambino. Soffocò una risatina, indeciso se svegliarlo o meno. Un lupo aprì un occhio per controllare cosa stesse facendo ma non se ne curò. Scrollò le spalle e si stese sul pavimento di legno tirandosi la pelliccia sulle spalle. Fenrir si era raggomitolato su se stesso come un cucciolo, nonostante sapesse ciò che faceva per la regina Mime non riuscì a non provare una certa tenerezza nei suoi confronti.
“Hmph…”
Non era certo che ne sarebbe scampato tuttavia non poteva lasciarlo a terra infreddolito. Si fece più vicino e condivise con lui la sua improvvisata coperta, sperando di sopravvivere ad un simile affronto. Fenrir si svegliò qualche ora più tardi, e la prima cosa che inquadrò fu la cascata di capelli fulvi davanti ai suoi occhi. Soffocò un’esclamazione e in seguito una risatina. Strisciò fuori dalla pelliccia e gettò qualche pezzo di legno sul fuoco. Mime si mosse e si sollevò a sedere, guardandolo assonnato.
“Da..quanto sono qui…”
“Probabilmente troppo.” ribatté vivacemente Fenrir, senza cattiveria “Sono passate parecchie ore, credo che dovresti tornartene a casa.”
“Hm.”
Il musicista gettò indietro la pelliccia, poi si lasciò cadere di nuovo giù, aprendo le braccia. L’altro ridacchiò.
“Reggi davvero male l’alcool…come te la cavi a corte?”
“Dicendo che il mio spasimante precedente mi ha già fatto bere abbastanza…”
Fenrir si irrigidì involontariamente, però nascose il suo disagio dietro un’altra risatina. Alle sue spalle Mime si alzò di nuovo a sedere.
“Però hai ragione, è meglio che vada.”
Raccolse le sue cose, ma lasciò le coppe di legno accanto al camino senza dire nulla né il padrone di casa aprì bocca, concedendogli silenziosamente il permesso e l’invito di tornare a visitarlo. Fenrir lo salutò con un lieve cenno del capo e una volta solo tornò a sdraiarsi. Probabilmente stava sbagliando tutto, non avrebbe mai dovuto avvicinarsi tanto ad un altro essere umano, era una cosa pericolosa, eppure non riusciva a sentirsi minacciato dalla sua presenza; né fu infastidito da un’altra visita pochi giorni dopo né da quelle che si susseguirono più o meno regolarmente nei mesi seguenti, anche quando la luce finalmente si era fatta intensa e l’aria tiepida; quando l’estate raggiunse il massimo del suo splendore anche i suoni che Mime traeva dal suo strumento vibravano in modo meraviglioso, coinvolgendo tutto ciò che li circondava, perfino gli alberi sembravano rispondere alla sua musica. Tutto questo regalava al signore dei lupi una pace insolita che aveva giudicato sciocco rifiutare.

Fenrir si stiracchiò, sbadigliando pigramente al sole alto nel cielo e con un mugolio compiaciuto si girò sulla pancia per scaldarsi la schiena. Chiuse gli occhi per proteggerli dal riverbero della luce sull’acqua delle pozze. Per anni la primavera aveva rappresentato per lui un periodo in cui la sua disperazione e il suo odio si facevano più intensi, quasi insopportabili, tuttavia col passar del tempo aveva realizzato che ogni rinascita ha il suo prezzo, e che quel lontano giorno non era stato altro che questo…tuttavia non era tanto sciocco da illudersi: non sarebbe mai stato lupo ma non sarebbe mai più stato uomo, a volte aveva l’impressione di camminare lungo un sentiero che si snodava tra due mondi di cui lui non avrebbe potuto far parte. Sbuffò. La filosofia non aveva mai fatto parte della sua vita, ma la vicinanza di Mime a volte lo spingeva a pensare con troppa serietà a questioni che aveva sempre preferito ignorare. Ridacchiò a denti stretti. Il cavaliere dai capelli fulvi sapeva essere molto più selvatico di lui se voleva, ma la sua compagnia gli piaceva, forse persino più della sua musica; e questo non era bene. Nei confronti di Mime non riusciva a provare il disprezzo e l’odio che riservava al resto dell’umanità e cominciava a temere le conseguenze di questa preferenza. Aveva pensato spesso di troncare il suo rapporto con lui, eppure non ci era ancora riuscito, forse non lo desiderava per niente. Sbuffò di nuovo e si alzò a sedere, attirato da un rumore. Aggrottò le sopracciglia per spingere lo sguardo tra il fogliame e intravide la sagoma bianca della giumenta della Regina. Come aveva previsto la forza che le stava avvelenando lo spirito si era ritirata su se stessa con l’avanzare dell’estate, ma era certo che avrebbe ripreso presto il sopravvento non appena il sole avrebbe ricominciato a languire sull’orizzonte. In quel momento sarebbe cominciata la guerra. Non che la cosa lo interessasse particolarmente, ma l’idea di combattere e assaggiare il sangue di uomini del sud era allettante, anche se non poteva negare di provare un certo dispiacere nel vedere la Regina a dibattersi tra le spire dell’influenza dell’anello; Hilda non aveva mai intralciato il suo cammino né lo aveva mai giudicato e questo la rendeva degna di rispetto e forse di fedeltà, comunque nessuno poteva più salvarla e adeguarsi a questa evidenza era la cosa più saggia e ovvia. Perfino Sigfried si era piegato a questa verità, al punto da accettare di portare su di sé anche i segni della follia della sua Regina. Senza far rumore scese dalla roccia per non farsi scorgere, ma poco più tardi era di nuovo seduto, questa volta sulle pietre che ricoprivano la tomba del patrigno di Mime. Il musicista gli aveva raccontato la sua storia una sera in cui l’alcool lo aveva scaldato più del dovuto, parlando con la voce quasi stridula e gli occhi lucidi, eppure nonostante avesse espresso a parole un odio profondo, molto di lui aveva tradito il contrario; anche a palazzo, dove aveva udito più volte la sua storia, più meno veritiera, una cosa gli era parsa subito chiara: Mime aveva ucciso un uomo di cui aveva ricercato l’affetto e il suo patrigno lo aveva lasciato fare. Sbatté le palpebre. Si ricordava di lui …il giorno in cui la nobiltà aveva reso omaggio alla morte dei suoi genitori la figura possente di quell’uomo dallo sguardo serio e senza illusioni troneggiava in disparte, sotto l’ombra dei larici e dei pini, reggendo tra le braccia un bambino dai capelli fulvi. Sospirò piano. Mime preferiva mentire a se stesso, era la sua scelta, e lui non avrebbe fatto nulla per convincerlo che si stava sbagliando. Si alzò in piedi, senza distogliere lo sguardo dalle pietre chiare. Forse anche il suo votarsi all’odio era solo un altro modo di fuggire e proteggersi, perché se il suo risentimento fosse stato intenso come avrebbe voluto non vi avrebbero trovato spazio nemmeno l’amore che conservava per i suoi genitori, per Ginga e quello strano rispetto che riservava al musicista, che probabilmente era ad attenderlo nella sua vecchia casa, giocando con i lupi per passare il tempo. Si incamminò senza fretta. A pochi passi dalle mura diroccate si fermò, scuotendo piano la testa. Mime stava dormendo profondamente, un braccio piegato sotto la testa l’altro piegato sul collo di Brenhild che sonnecchiava con il muso poggiato sul suo stomaco. La lupa aprì un occhio ed emise una sorta di mugolio, ma non accennò a spostarsi. Fenrir rise piano, a denti stretti ma la sua espressione cambiò d’improvviso, indurendosi, e si allontanò un poco, per poggiare la schiena contro un albero.
“Merda!”sibilò
Si accucciò a terra, dondolandosi piano nel tentativo di calmare l’improvvisa agitazione del suo corpo. Borgar rimase ad un paio di passi di distanza, girandogli attorno preoccupato. Fenrir tese la mano, chiamandolo a sé per carezzarlo e calmarlo.
“Sto bene.” gli sussurrò “Sto bene…”
Trasse un respiro profondo; al contrario di lui il suo corpo sembrava avere idee molto chiare riguardo al musicista. Si alzò in piedi, irritato dai capricci della fisiologia, dal sentirsi in imbarazzo e da almeno un’altra decina cose. Borgar lo guardò incuriosito, inclinando la testa di lato. Fenrir gli affondò le dita nel pelo morbido della testa, per rassicurarlo e calmarsi, infine si chinò a grattare Brenhild dietro le orecchie. La lupa era piuttosto anziana e altrettanto scontrosa, la predilezione che mostrava per Mime aveva un che di miracoloso.
“Hey!”
Il musicista aprì un occhio, borbottando un saluto, prima di alzarsi a sedere e allontanare Brenhild con gentilezza. Si sfregò gli occhi arrossati, mugugnando. Fenrir gli afferrò il mento facendolo voltare verso di sé.
“Non riesci di nuovo a dormire?”
Mime scosse la testa.
“Di nuovo…comincio ad avere la sensazione che il mondo stia per finire…”
Fenrir scrollò le spalle.
“A corte puoi fingere di essere stupido e cieco come gli altri, ma i tuoi pensieri si muovono come vogliono.” si sedette, incrociando le gambe “Qualunque cosa sia, quello che avvelena l’anima della Regina sicuramente prenderà vigore con il buio…e forse il mondo finirà sul serio, ma noi certo non possiamo impedirlo.”
Il musicista si morse il labbro inferiore.
“A volte mi chiedo come tu riesca rimanere tanto freddo di fronte a tutto questo…”
“Qualunque cosa facessi sarebbe inutile, quindi perché porsi il problema?”
Mime sorrise appena.
“In fondo è vero…comportarsi così è la cosa più saggia…ma mi è molto difficile.”
Con un gesto improvviso Fenrir gli affondò una mano fra i capelli, scostandoglieli dalla fronte in un gesto un po’ brusco.
“Tu pensi troppo.” sancì.
L’altro ragazzo finalmente ridacchiò.
“Per suonare devo pensare.”
“Hmmm…un serpente che si morde la coda?”
“E’ una bella immagine.”
Il musicista si alzò per spolverarsi l’abito, sorridendogli riconoscente.
“Mi fa molto bene parlare con te.”
“Perché con me parli, appunto.”
Il ragazzo fulvo lo guardò incuriosito.
“Come?”
“Con me non ti curi di dire cosa pensi davvero o cosa credi perché sai che non andrò mai a riferire alla Regina o a chicchessia i tuoi dubbi; sono un essere umano che ha deciso di essere un lupo e quindi non posso essere corrotto.”
“Hmph…borioso egocentrico, hai troppa stima di te stesso.”
Il signore dei lupi sogghignò; gli piaceva da impazzire l’espressione di ironico disprezzo che Mime gli riservava in quelle occasioni.
“E’ meglio che vada…c’è qualcuno che potrebbe trovare troppo interessante la mia improvvisa passione per la foresta.”
Fenrir trattenne a stento il ringhio che spontaneo tentò di vibrargli in gola. Non aveva bisogno di altro per sapere a chi si stava riferendo.
“Torni a corte?” chiese invece.
“No, per ora no. “
Il musicista si inginocchiò e prese tra le mani la testa di Brenhild, scompigliandole pelo e orecchie con forza, poi salutò il suo amico e si inoltrò tra li alberi. Fenrir si sdraiò a terra, mugugnando. Cominciava a nutrire una certa gelosia nei riguardi di Mime e il fatto che Alberich gli stesse così addosso gli urtava i nervi, invece il suo compagno sembrava considerarlo solo un leggero fastidio. Si voltò su un fianco, mugugnando un insulto. Non gli piaceva l’idea che il musicista fosse costretto a partecipare ai festini di corte, ma d’altro canto non era nemmeno disposto a rischiare la vita per impedirlo, quindi la scelta sarebbe spettata a Mime. Borgar ad un tratto ringhiò e si alzò in piedi, seguito dagli altri suoi compagni.
“Hmmm…”
Fenrir li imitò, annusando l’aria. In pochi secondi si spostò tra gli alberi di qualche centinaio di metri. Il castrone nero si impennò spaventato, ma il suo cavaliere non sembrò né stupito né tantomeno intimorito. Guardò Fenrir sorpreso, poi getto un’occhiata intorno a sé, quasi si rendesse conto solo allora di dove si trovava. Gli occhi d’ambra dell’altro per un attimo parvero farsi più gentili.
“Non perderti tanto nei tuoi pensieri.” lo apostrofò.
Sigfried scrollò le spalle.
“Sarebbe più facile non averne...”
“Hai ordini per me?”
“No.”
Il ragazzo castano si mosse a disagio, cercando di evitare il suo sguardo.
“Non volevo invadere il tuo territorio, cercherò di stare più attento.”
Fenrir carezzò con la punta delle dita il naso del cavallo.
“Non importa. Basta che tenga per te quanto hai visto.”
Sigfried annuì serio.
“Sono lieto che Mime abbia trovato un po’ di pace per sé.”
“Allora cerca un po’ di pace anche per te stesso; se tornerai qui i miei lupi ti lasceranno in pace.” Fenrir aveva parlato in tono brusco e un attimo dopo si stava già allontanando, dandogli le spalle. Sigfried si morse il labbro inferiore. Ora aveva la conferma che Fenrir sapeva esattamente cosa accadeva a corte, e cosa accadeva a lui…Sospirò. Nonostante i suoi modi bruschi gli aveva offerto a suo modo molta comprensione e non sapeva se esserne lieto o turbato.

Mime camminava lentamente, lo sguardo fisso di fronte a sé, il viso contratto in una smorfia nervosa e la mente lontana. Le visite al vecchio rudere stavano diventando molto più di una bizzarra abitudine, cominciava a sentirne un profondo bisogno. Tra quelle mura, con i lupi e il suo scontroso compagno poteva permettersi di ignorare buona parte delle ipocrite convenzioni a cui si era assoggettato e questo gli era di enorme conforto; anche se avrebbe preferito che ogni tanto Fenrir diventasse docile quanto Brenhild…gli sarebbe piaciuto almeno una volta sentirlo ridere sul serio, non produrre quel suono irritante e beffardo che fendeva l’aria come una lama. Si umettò le labbra per calmarsi. Fenrir gli aveva concesso molta fiducia, molta più di quanta avesse mai sperato, tuttavia lasciava che tra loro rimanesse uno schermo lattiginoso, sottile quel tanto che bastava a non fargli intuire più nulla della sua anima. Era un peccato. Aveva spesso avuto l’impressione che se avesse potuto guardarlo davvero, al di là dell’immagine che amava dare di sé, avrebbe scoperto un cielo immenso e azzurro, e non la coltre di grigio astio dietro cui continuava a vivere; ma andava bene anche così, se poteva continuare a godere della sua compagnia. Non se ne era quasi accorto, perso com’era dai suoi pensieri e dal comportamento stravagante della corte, ma aveva lasciato crescere dentro di sé qualcosa di più profondo e pericoloso di un sentimento d’amicizia. Lo aveva accettato, senza troppi rimorsi, con una serenità che lo aveva addirittura stupito, però aveva deciso di tacere per il bene di entrambi. Non voleva turbare il fragile rapporto che si era instaurato tra loro, per quanto insolito potesse essere.
“Ouch!”
Un vecchio lupo lo aveva aggredito alle spalle e ora stava davanti a lui, inchinato sulle zampe anteriori per invitarlo a continuare il gioco.
“Brenhild!”
Si alzò in piedi e fu costretto a strattonare il bordo dell’abito che un altro lupo teneva saldamente tra i denti.
“Aaah…volete la guerra…” commentò.
Il lupo emise una sorta di ringhio, tirando più forte. Il musicista strattonò nella direzione opposta, liberandosi. Rimase fermo un istante, il tempo di provocarli, poi cominciò a correre ridendo, inseguito dalla lupa e da altri tre giovani animali. Dopo pochi metri era già steso a terra, intento a difendersi dall’affettuosa irruenza degli animali. Fenrir rimase in disparte ancora qualche tempo, con un sorriso insolito che gli piegava le labbra. La risata del musicista era un suono che trovava meraviglioso, tanto era intriso di spontaneità.
“Fenrir! Vieni ad aiutarmi accidenti!”
L’altro sobbalzò, colto di sorpresa; il suo fulvo compagno riusciva a percepire la sua presenza perfettamente e non sapeva se compiacersene o no. Avanzò di qualche passo, senza intervenire.
“Perché?”
Mime scoppiò di nuovo a ridere, coprendosi il viso con le mani per proteggersi.
“Insomma!” lo rimproverò.
“Ripeto: perché?” piegò le labbra in un sorriso malizioso, furbo “Potresti anche finire in guai peggiori.”
“Ah…sì?”
I lupi avevano smesso di agitarsi, incuriositi dal tono della voce del ragazzo.
“Mi stai…provocando?”
Mime si puntellò su un gomito, il viso illuminato da un sorriso malandrino.
“Io? Ci tengo alla mia vita…”
Fenrir socchiuse gli occhi, piegandosi in avanti.
“A me pare che tu sia diventato piuttosto sfacciato negli ultimi tempi.”
Il musicista strisciò un poco all’indietro, piegando le ginocchia per prepararsi la fuga.
“Sfacciato…che parola scortese…”
Fenrir gli concesse tre passi di vantaggio dopodiché cominciò la caccia, catturandolo praticamente subito Ruzzarono come cuccioli, a lungo, fino a che Mime si arrese del tutto e rimase con la schiena a terra, ridendo tanto da avere le guance bagnate. Fenrir lo guardò perplesso, non capendo il motivo di tanta ilarità e la sua espressione fu sufficiente per scatenare un altro scoppio di risa nel suo prigioniero. Alla fine il ragazzo dai capelli color cenere si sollevò sulle ginocchia, mettendosi e mani sui fianchi, piuttosto irritato.
“Allora?!” lo apostrofò.
Mime per tutta risposta gli fece una smorfia mostrandogli la lingua. Si asciugò gli occhi e le guance e si puntellò sui gomiti, gli occhi ancora lucidi.
“Mi sto divertendo.” ribatté candidamente.
Fenrir scrollò il capo. Incrociò poi le braccia sul petto, socchiudendo gli occhi e atteggiando il viso nell’espressione del “io so una cosa che tu non sai”.
Il musicista sollevò un sopracciglio, aspettando una risposta.
“La notte scorsa il branco si è accresciuto.”
Il viso del rossino si illuminò per la sorpresa, strappando un sorriso sincero all’altro.
“Gudrun non avrà nulla in contrario se ti avvicini. Ti va?”
“Ma certo! Come potrei non vedere i tuoi nipotini?”
Per tutta risposta Fenrir gli mollò un leggero schiaffo su una spalla.
“Deficiente.” ringhiò.
“Licantropo.”
Mime si alzò in piedi, ravviandosi i capelli scompigliati, poi gli gettò un’occhiata divertita.
“Di’ un po’, siamo sicuri che non siano figli tuoi?”
Nell’infinitesimale lasso di tempo in cui lo sguardo di Fenrir di fece torvo, Mime corse via, ridendo ancora, inseguito dai giovani lupi che gli correvano intorno cercando di mordergli gli stivali e il bordo della tunica. Incurante delle minacce di morte di Fenrir si fermò dopo qualche decina di metri per aspettarlo. Il suo compagno non riuscì a far altro che colpirgli di nuovo la spalla, minacciandolo di cose orribili mentre il musicista continuava a stuzzicarlo divertito. Finalmente, almeno per una volta, entrambi smisero di pensare all’inverno, alla guerra e alla follia di Hilda.

*****

Brenhild si sdraiò accanto al fuoco, dopo essersi scrollata il pelo per fare cadere i fiocchi di neve che la ricoprivano. Nonostante fossero protetti dalle mura, il rumore del vento riusciva ad arrivare fino a loro. Fenrir gli gettò un’occhiata carica di una certa apprensione.
“Vuoi davvero andartene ora? Il vento è troppo forte.”
“Hm.”
Il musicista ripose la sacca si sfilò la pelliccia, tornando a sedersi.
“Non mi sarei dovuto attardare tanto.”
“Che differenza vuoi che faccia?” riempì la coppa, per poi porgergliela “tanto in questi giorni a corte sono tutti troppo impegnati a fare altro per accorgersi della tua assenza.”
Mime avvampò, mentre innervosito rigirava la coppa atra le mani. Aveva suonato spesso a corte negli ultimi tempi e ogni volta era stata peggio, con la regina sempre più volubile, Alberich sempre più sfrontato e Sigfried sempre più mesto. Freja invece aveva smesso di partecipare ai ricevimenti della sorella.
“La corte si è fatta più pericolosa per te.”
Fenrir toccò la sua coppa con la propria, raggelandolo con un’occhiata.
“Sto parlando di Alberich.”
Mime si morse il labbro inferiore. Non era un segreto che Alberich stesse mirando a lui, però l’idea di parlarne con Fenrir lo metteva a disagio. Poggiò la coppa accanto a sé.
“Non posso farci nulla comunque.” intrecciò le dita “Lui è un vecchio problema, da che l’ho conosciuto. A molti nobili piace, è sfrontato, sicuro di sé e con la giusta dose di...intraprendenza…per accontentare i desideri di chi ha più potere di lui e per mettere a tacere chiunque ha la sfortuna di suscitare il suo interesse.” sospirò con amarezza “E ora che la Regina incoraggia la sua indole comincio a credere che non sarà più così semplice evitarlo.”
Fenrir gli gettò un’occhiata tagliente, irritato da quella rassegnazione che rasentava la condiscendenza.
“E tu glielo lasceresti fare?” ringhiò.
Il musicista scrollò le spalle e tornò a strapazzare Borgar, senza rispondergli e irritandolo così oltre ogni misura.
“Lo lasceresti fare?!” ripeté in un ringhio più profondo.
Mime piegò le labbra in una strana smorfia.
“Non ho detto di desiderarlo…”
L’altro non si curò più di nascondere la propria collera.
“Ti ho chiesto se lo lasceresti fare! Rispondimi! Non me ne frega niente se la cosa ti fa schifo, voglio...”
“Non avrei comunque scelta!”
La voce del musicista riecheggiò acuta, carica d’ira, sovrastando quella del suo interlocutore. Borgar strisciò all’indietro, piano, fino ad accucciarsi a debita distanza, le orecchie basse e la coda appoggiata al ventre.
“Dannazione Fenrir! Tu sai meglio di chi chiunque altro quanto possono essere meschini gli esseri umani! Possibile che non arrivi a capire che non sarei io a sopportare le conseguenze della mia resistenza?!”
Il signore dei lupi piegò le labbra in un ghigno sfacciato, di sfida.
“Essere generosi è una perdita di tempo; dopo che avrà avuto quello che vuole ti costringerà a bere il sangue del suo ostaggio.”
“Non voglio rischiare un’altra vita!”
“E allora rischi la tua?! Che razza di scelta è?! Non ha senso!”
Fenrir si era alzato sulle ginocchia, sporgendosi in avanti, gli occhi illuminati dalla rabbia.
“La vita di un altro essere umano non vale nulla.” sibilò.
Mime si morse il labbro inferiore, immobile. Non si era aspettato una reazione tanto violenta.
“Che c’è? Ti faccio paura?” lo sfidò.
“Non ho paura.” ribatté il rossino in tono calmo “Ma non riesco a capirti né ad approvarti, né tu hai il diritto di pretenderlo.”
Lo sguardo del musicista si indurì, un istante, ma abbastanza a lungo perché l’altro lo notasse.
“E?!” lo apostrofò.
L’altro distolse gli occhi, ma Fenrir gli afferrò il mento per costringerlo a guardarlo. Era infuriato oltre ogni limite, geloso, eccitato…e non aveva più intenzione di tacere in nome di quella specie di rispetto che si era costruito tra i suoi pensieri.
“E?! Allora, cos’hai da ridire?!”
“Tu uccidi per la Regina, ti ho forse mai detto qualcosa? Io non ti giudico, tu non criticarmi!”
Fenrir strinse le dita, con forza.
“Io faccio quello che mi pare.” ringhiò “Con te e con gli altri. E tu certo non puoi rimproverarmi nulla.”
Mime allora gli afferrò il polso, con forza, stringendo al punto da costringerlo ad aprire le dita.
“Non mi importa di quello che fai con gli altri, qualunque sia il motivo non voglio che tu sia così irritante con me!”
Il signore dei lupi ringhiò ancora e ritirò la mano, bruscamente.
“Sono stanco.” sibilò.
In un attimo, prima che Mime potesse realizzarlo, si era spostato all’indietro per aggredirlo con maggiore forza e si gettò su di lui come su una preda, schiacciandogli gli avambracci a terra.
“Sono stanco di preoccuparmi per te…” ringhiò “ Di avere bisogno della tua compagnia per sentirmi di nuovo bene.” si chinò su di lui, le sopracciglia aggrottate sopra lo sguardo furente “Che tu…sia…maledetto.”
Si avventò sulla sua bocca, pur senza tutta la ferocia che avrebbe voluto mostrargli e dimostrare a se stesso. Si staccò solo quando si sentì mancare il fiato.
“Sei mio...” disse, la voce resa profonda dall’ira contro se stesso “anche se ne odio solo il pensiero.”
Si avventò di nuovo su di lui, ma questa volta il musicista fu lesto a circondargli il viso con le mani, fermandolo a pochi centimetri dal suo. Fenrir si irrigidì. Nonostante il respiro alterato e la leggera tensione che gli attraversava i muscoli, Mime non sembrava per nulla turbato, anzi in qualche modo gli parve sollevato…e dannatamente attraente con quel sorriso semiserio che gli ingentiliva il viso.
“Sono io che ti maledico, signore dei lupi.” sussurrò.
Docilmente, sorpreso, Fenrir assecondò le mani che lo trascinavano giù e lasciò che la sua bocca cadesse prigioniera di un bacio lento, intriso di una passione violenta quanto dolce.
In silenzio, appena libero dalle sue labbra, Fenrir si lasciò trascinare di nuovo in basso, adagiandosi su di lui, con il viso affondando il viso contro il suo collo.
“Non voglio…avere bisogno di te…”si lamentò.
“E allora non avresti dovuto baciarmi.”
Il mugugno di Fenrir si trasformò in un suono compiaciuto quando sentì le mani dell’altro percorrergli la schiena.
“Non avresti dovuto provocarmi.”
Il rossino rise piano.
“Abbiamo entrambi le nostre colpe.”
“Hm…ti perdono…purché tu non smetta.”
Mime sorrise appena, e riprese a carezzargli piano la nuca e la schiena, fino a che sentì il sui respiro farsi lento e regolare. Si fermò cingendogli la schiena con le braccia. Aveva pensato spesso a come doveva avere passato la sua infanzia, da solo, consolato solo dall’affetto dei lupi quando sicuramente avrebbe desiderato l’abbraccio di un altro essere umano. Ripercorrendo con attenzione ai suoi ricordi, aveva ritrovato scorci di immagini che riguardavano Fenrir e la sua famiglia. Non ricordava i loro visi, ma rammentava due ragazzi giovani ed espansivi, che amavano ridere ma maturi al punto da essere consultati spesso per le decisioni importanti…e ricordava il giorno del loro funerale, un giorno in cui il cielo era terso e azzurro, e aveva percepito chiaramente che qualcosa non andava, che molti erano soddisfatti dell’accaduto, che non aspettavano altro che anche l’erede legittimo incappasse in qualche incidente tragico. Fenrir allora aveva i capelli corti e gli occhi enormi ed arrossati mentre si stringeva al collo di una donna anziana che lo avrebbe abbandonato di lì a poco, come tutti gli altri. Chiuse gli occhi. Poteva solo sperare che Fenrir riuscisse a non pensarci troppo.
Fenrir si svegliò dopo un paio d’ore, il viso contratto in una smorfia. Si irrigidì quando la sua mente registrò che qualcosa lo imprigionava, poi si rese conto che si trattava di un abbraccio e non di una fune. Sospirò piano. Per anni, fino a che non era cresciuto a sufficienza per sentirsi davvero sicuro di sé, aveva avuto i terrore che qualcuno potesse catturalo o ucciderlo nel sonno, anche se era certo che il suo branco lo avrebbe difeso da chiunque. Si abbandonò di nuovo contro Mime. Non avrebbe mai pensato, nemmeno nelle sue fantasie più improbabili, che un giorno si sarebbe potuto svegliare a quel modo, dopo aver concesso tanta fiducia ad un altro essere umano. Mugugnò. Apprezzava certamente la morbida linea di quel corpo, tuttavia aveva la schiena fredda a causa del fuoco indebolito, quindi si mosse per strisciare fuori dalle braccia dell’altro. All’improvviso le dita si strinsero su di lui, strappandogli un’esclamazione.
“Dove pensi di andare?”
Mime lo guardò con una strana luce maliziosa negli occhi e prese a tamburellare le dita sulla sua schiena. Fenrir suo malgrado si inarcò come un gatto compiaciuto.
“Ho la schiena gelata.”riuscì a dire con una certa acidità.
“Hm…c’è un rimedio per ogni cosa…”
Prima di capire come si ritrovò con la schiena a terra e i capelli fulvi dell’altro che gli solleticavano il viso.
“Se non ti fossi addormentato come un sasso non avresti avuto di che lamentarti.”
Tastò nella penombra attorno a loro fino a che non incontrò la consistenza familiare della pelliccia e se la tirò sulle spalle. Fenrir gli incrociò le dita dietro la nuca e lo tirò a sé per toccargli appena le labbra con le proprie per poi tirarlo contro di sé, come prima aveva fatto con lui. Mime apprezzò n silenzio quel gesto. Dopo qualche minuto di silenzio fu Fenrir a parlare.
“Quando torni a corte?”
Sentì il copro dell’altro irrigidirsi e un lieve sospirò.
“Tra qualche giorno.” strusciò la guancia contro il suo petto, compiaciuto dal tocco delle dita dell’altro che gli carezzava piano la nuca.
“Strappagli il cuore appena ti si avvicina.”
“Accadrà quello che deve…”
Ferir fu di nuovo urtato da tanta condiscendenza. Aprì le bocca per protestare ma fu zittito dalle sue parole.
“Non voglio più vedere Sigfried umiliato a quel modo.”
“Sig…fried?”
Mime si sollevò, con un sospiro. Fenrir lo imitò e cercò inutilmente di incrociare il suo sguardo.
“Come mi hai detto prima, non sono certo la persona che può rimproverarti...anch’io sono un assassino…e tutte le mie belle parole sul non sprecare altre vite alla luce dei fatti sono solo parole, prive di qualsiasi consistenza…” sbatté le palpebre “ è questo è stato tanto evidente che la Regina ha compreso che forse la vita di un servitore qualsiasi non sarebbe stata sufficiente a rendermi docile.” mentre rigirava tra loro le dita, innervosito, il suo viso avvampò “non mi è piaciuto quello che ho visto…mi da il voltastomaco solo ripensarci…e so che è egoistico e che accadrà comunque di nuovo…ma non voglio che si ripeta davanti ai miei occhi.”
Fenrir sospirò rumorosamente. Sapeva che Sigfried veniva suo malgrado coinvolto nei nuovi divertimenti della corte, spesso gli aveva sentito addosso l’odore di Alberich, ma non aveva mai pensato il rispetto che Mime nutriva per lui potesse essere usato in un modo tanto meschino.
“Lo so che per te è difficile, ma cerca di capire anche le mie ragioni.”
“No, non le capisco, ma forse posso riuscire ad accettarle…di certo non le approvo…quello che non capisco è perché non mi hai detto come stavano le cose.”
Mime scosse piano la testa, senza guardarlo.
“Insomma, Fenrir…è difficile dire certe cose…tu puoi permetterti di essere fin troppo schietto con chi ti sta davanti, ma io non ci riesco…” sospirò “ fare l’idealista ottuso è qualcosa che la gente si aspetta da me, praticamente nessuno si è preoccupato di chiedersi perché il mio patrigno sia morto, è accaduto e io ero il suo figlioccio di grande talento e utile alla protezione del regno, questo è bastato per mettere a tacere tutto…in fondo un musicista che sa ammaliare gli animali selvatici non può essere pericoloso…la gente ha questa immagine di me ed io per anni non ho fatto altro che fare in modo di mantenerla, ormai fatico a comportarmi diversamente da come ci si aspetta da me…e certo fino a qualche ora fa non avevo motivo di spiegarti tutto questo.” rimase in silenzio, cercando di raccapezzarsi in un discorso che non capiva perché aveva cominciato “Quindi…era molto più facile dirti che io sono un idiota…”
“Piuttosto che dirmi che Sigfried è finito a fare la puttana.”
Mime chinò ancora di più la testa; avrebbe dato al vita per poter essere in un altro luogo.
Fenrir a questo punto si lasciò sfuggire una risata amara.
“Beh…la vita è tua, hai diritto di farne quello che vuoi…” mormorò “Certo non chiedermi di essere contento per la tua scelta.”
Mime scosse piano la testa, in silenzio; avrebbe preferito che gli si avventasse addosso e che lo prendesse a pugni piuttosto che trovare il lui una simile comprensione..
“Vorrei andarmene ora…ti spiace?”
“Sì, mi dispiace.” ribatté acido “rischiare di lasciare la pelle sotto la neve solo perché ti senti male è un’idiozia.” gli afferrò il mento con una certa brutalità “E tu sei il mio idiota, quindi te ne vai solo quando lo decido io.”
Il musicista trovò la forza di sorridergli, un sorriso amaro, triste, poco più di una smorfia, eppure cedette docilmente alla forza delle sue braccia e si lasciò stringere.

Mime percorse lentamente l’erta che conduceva al castello; da quattro giorni intratteneva gli ospiti della regina, che finora si erano mostrati più seri del solito, interessati al fatto che la Regina aveva proposto ancora velatamente la possibilità di una guerra per conquistare le terre del sud. Si morse le labbra. La forza misteriosa che aveva corrotto l’anime di Hilda si era fatta più forte, quasi palpabile, riducendo la preghiera della Regina una sorta di oscuro mormorio che non gli lasciava tregua. Il rumore dell’oceano era diventato sempre più fioco, solo al di sotto della via che conduceva al palazzo il mare era rimasto sgombro…per facilitare la venuta di Athena e dei suoi cavalieri. Sospirò, fermandosi ai piedi dell’ultima gradinata. L’idea di una guerra non lo entusiasmava, tuttavia aveva giurato e avrebbe compiuto il suo dovere come meglio avrebbe potuto, anche se non approvava le scelte della Regina.
“Buonasera.”
Sigfried stava scendendo le scale lentamente, altero, la voce ricca venata della gentilezza che spesso riservava la musicista.
“Buonasera.”
Si incamminarono lungo le mura, in silenzio, fino a che Sigfried si fermò in un punto da cui si poteva scorgere tratto di mare libero, che urlava il suo furore contro la falesie sottostante.
“Hilda stasera dichiarerà guerra ufficialmente…e smetterà di fingere di invocare Odino.” gli gettò un’occhiata carica di comprensione “Almeno smetterai di sentire mormorare nella tua testa.”
Mime fu colto di sorpresa, e non si curò di nasconderlo. L'altro scrollò le spalle.
“E’ stato facile immaginarlo…io fatico molto a percepirla, ma la tua arte utilizza certi tipi di suoni, e tu devi saperli udire.”
Mime annuì.
“Sai anche tra quanto comincerà?”
“Il tempo necessario perché Freja riesca a prendere il coraggio necessario per partire. Ci vorrà ancora un po’ di tempo, anche se è molto spaventata dalle decisioni della sorella.”
Mime tacque a lungo, rimando ad osservare il mare insieme con lui. Alla fine sospirò profondamente.
“Come stai, Sigfried?”
L’altro si irrigidì, contraendo perfino il viso, poi si lasciò sfuggire un sospiro.
“Certo non posso dire di stare bene…questa guerra mi appare quasi come una liberazione.”chinò la testa “anche se mi vergogno a pensarlo.”
“Mi dispiace.”sussurrò l’altro.
Sigfried tornò a guardare il mare, scrollando le spalle.
“Non hai nulla di cui scusarti…” poggiò i gomiti sulle mura, sporgendosi appena in avanti “Posso solo augurati che si stanchi di te in fretta.”
Mime avvampò e non riuscì a far altro che chinare il viso, senza riuscire nemmeno a muoversi.
Sigfried sospirò, amareggiato.
“Non volevo ferirti, scusami…fatico molto a sopportare la mia condizione, non volevo prendermela con te.”
Mime gli strinse con forza un braccio.
“Se vuoi parlare…se ne senti il bisogno…io sono qui.”
L’altro annuì, senza guardarlo.
“Ti consiglio di andare…Hilda diventa irritabile quando i suoi ospiti ritardano.”
Mime si congedò i silenzio, dirigendosi con una certa fretta verso l’ingresso. Incrociò alcune persone a cui non prestò nemmeno attenzione, tanto era preoccupato dalle parole di Sigfried. Consegnò i guanti e gli abiti pesanti ad un valletto e si infilò le scarpe leggere che indossava nell’ambiente protetto della corte, poi, fingendo una freddezza che sapeva di non possedere entrò nella sala del trono. Il banchetto era già cominciato e Freja dava evidenti segni di insofferenza nonostante Hagen cercasse in tutti i modi di dissimulare il suo comportamento scortese e pericoloso. Il musicista si sedette sui cuscini, senza badare alle posizione dei bracieri: l’aria era satura di un profumo dolce e intossicante, non c’era più nemmeno un angolo in cui avrebbe potuto respirare più liberamente. Gli ospiti presto si lasciarono andare a comportamenti più licenziosi, e quando la cosa gli risultò insopportabile sgattaiolò via senza che nessuno glielo impedisse. Si fermò a scambiare qualche parola con la Principessa, raccogliendo il suo sfogo, e finalmente trovò un po’ di pace lungo un corridoio deserto, sedendosi sulla panca ricavata dallo spessore del muro. Perso nella contemplazione della tempesta che si era alzata improvvisamente si scosse dai suoi pensieri solo quando udì dei passi lenti. Sigfried gli regalò uno dei suoi rari sorrisi e sedette di fronte a lui, in silenzio. La dichiarazione di guerra della Regina non aveva sorpreso nessuno dei due, nemmeno la reazione festosa e compiaciuta della nobiltà lì riunita, tuttavia il modo schietto in cui Hilda aveva suggerito alla sorella di partire li aveva spiazzati.
“Credi che Freja ubbidirà?”
L’altro scosse la testa.
“Hagen riuscirà ad ammansirla ancora abbastanza a lungo perché le conseguenze dell’avanzata dei ghiacci comincino a destare una certa preoccupazione…il fatto che le abbia dato il permesso di farlo è servito solo a scaldare gli animi della nobiltà. Asghard è decaduta, sono secoli ormai che solo i Celebranti hanno la forza di ritenere che la vita qui sia un onore e un dovere piuttosto che una punizione immeritata, era ovvio che prima o poi anche la forza dei sovrani sarebbe venuta meno.”
Tacque e per scacciare un nervosismo evidente si passò un mano fra i capelli chiari. Mime allora sospirò profondamente, facendogli distogliere lo sguardo.
“Devo aspettarmi una tua visita?”
Sigfried annuì mestamente.
“Quando…ne riceverò l’ordine…”
“Mi dispiace…”sentì la voce tremare “Mi dispiace immensamente che tu sia stato coinvolto in tutto questo a causa della mia testardaggine.”
Sigfried scosse piano la testa.
“Sono coinvolto in questo gioco fin dall’inizio…”accennò un sorriso “ sono io che ti sono ad esserti grato per il rispetto che mi porti…solo mi addolora che questo ti abbia reso vulnerabile nei loro confronti.”
Mime arrossì.
“Quando te lo hanno detto?”
“Dopo averti ferito a sufficienza.” si alzò in piedi, spolverandosi con un gesto meccanico la tunica scura bordata di pelliccia “Per me non è facile parlare, lo sai che sono sempre stato brusco nell’esprimermi…però voglio che tu non ti senta in colpa…non smetterò di avere stima di te per qualcosa che non dipende dalla tua volontà.”
Mime scosse piano la testa.
“Non avere tanto riguardo per me…la verità è che non volevo vederti più così solo perché mi faceva stare male…in realtà è solo una questione di egoismo.”
Sigfried si concesse una risata leggera.
“Allora sei un egoista molto sensibile…una creatura piuttosto rara di questi tempi.”
Gli diede le spalle, sparendo poco dopo nelle ombre del corridoio. Mime poggio la testa alla parete. Avrebbe dovuto aspettarsi una mossa tanto meschina, ma aveva preferito sperare che non accadesse, e il ritorno alla realtà dei fatti si era rivelato più brusco del previsto. Sbuffò. Siegfried era stato incredibilmente cortese nei suoi confronti, forse riusciva a comprenderlo meglio di quanto lui stesso non riuscisse a fare…in fondo si conoscevano praticamente da sempre, anche se non avevano mai instaurato un’amicizia molto intima. Sospirò, e si alzò per incamminarsi verso la sua stanza. La tempesta si era fatta violenta, era impensabile andarsene da lì, Una volta chiusa la porta alle sue spalle si gettò a peso morto sul letto, abbracciando il cuscino. Desiderava come non mai andarsene da quel luogo, per ritrovare un po’ di pace e silenzio nel caldo rifugio sotterraneo. Si morse il labbro inferiore. Fenrir aveva accettato la sua decisione in qualche modo, senza rimproverargli più nulla…tuttavia…chiuse gli occhi con forza…non poteva fare a meno di pentirsi di non aver condiviso il suo corpo con lui, quando invece lo avrebbe lasciato fare a una persona che detestava. Fenrir d’altro canto non aveva nemmeno sollevato la questione…e a questo punto Mime non aveva saputo cosa pensare, se si trattava di un delicato rispetto nei suoi confronti o della totale ignoranza riguardo alla cosa…al che non aveva avuto il coraggio di indagare. L’unica cosa di cui aveva la certezza è che il suo fare irritante gli mancava moltissimo. Strinse ancora di più il cuscino, affondandovi il viso fino a che finalmente il sonno lo colse.
La tempesta durò tutto il giorno successivo e ancora quelli seguenti, impedendo alla nobiltà di lasciare il castello e a Mime di passare anche solo qualche attimo di tranquillità. Era diventato nervoso e irritabile come un animale in gabbia, e il suo umore peggiorava ulteriormente quando Alberich era nelle vicinanze. Riusciva a trovare un po’ di conforto nella compagnia di Freja e Hagen, ma appena era sola con lui la Principessa non riusciva a trattenere le lacrime e più di una volta Hagen l’aveva trovata aggrappata a lui, in preda ai singhiozzi e non aveva gradito la cosa; Mime era certo che se avesse potuto lo avrebbe strangolato solo per il fatto che la Freja aveva preferito sfogarsi con lui piuttosto che con il suo vecchio compagno di giochi. Spesso nelle sue peregrinazioni per i corridoi Mime incontrava Sigfried, che ogni volta gli regalava uno dei suoi sorrisi mesti e se ne avevano voglia lunghe battaglie su una scacchiera di ossidiana. Oltre a ciò avevano preso l’abitudine di passare intere nottate a parlare nelle cucine dopo che la servitù si era ritirata. Erano calde, confortevoli e nessun nobile “degno di questo nome” vi si sarebbe avventurato col rischio di sporcarsi l’abito di cenere. Una di quelle notti Sigfried si sedette accanto al fuoco, pallido, uno zigomo segnato da un leggero livido, sospirando appena mentre tendeva le mani verso le fiamme. Tremava leggermente, ma il musicista non avrebbe saputo dire se a causa di quanto aveva appena passato o se per il freddo da cui la leggera veste da camera in seta non poteva certo proteggerlo. Mime sentì il cuore stringersi, ma riuscì a fingere una certa indifferenza mentre gli porgeva una coppa di vino caldo speziato. L’altro ragazzo espresse la sua gratitudine solo con una rapida occhiata. Fece oscillare la coppa tra le mani, assaporando il tepore che gli scaldava le dita, infine cominciò a parlare, amareggiato e serio
“Sono preoccupato…”
Il rossino gli si sedette di fronte, le dita intrecciate in grembo, in silenzio.
“Sono preoccupato per te.” ripetè “E per quello che puoi avere costruito…”
Mime avvampò, sorpreso, riuscendo a strappare una risatina fioca all’altro.
“Come…”
“A volte, quando non riuscivo più a sopportare tutto questo mi sono inoltrato troppo nella foresta..”
Il musicista arrossì di nuovo, chinando gli occhi. Giocherellò con le proprie dita, innervosito, senza sapere cosa fare. Infine sospirò.
“Non ho costruito molto…non ne ho avuto il coraggio.” scrollò le spalle “Né ho avuto l’impressione che fosse il caso di farlo.”
Sigfried poggiò la coppa sulle pietre del focolare e gli strinse le mani con forza.
“Dèi, Mime…” mormorò.
Si mosse a disagio, infine si schiarì la voce.
“Io…non dovrei parlarti così, non sono certo la persona più adatta…però…” si morse il labbro inferiore “credo che Fenrir conosca anche troppo della vita…ma ha deciso di essere un lupo e gli animali contrariamente agli uomini non violentano…né uccidono senza motivo. Una persona così merita fiducia” scrollò le spalle, un angolo della bocca piegato all’insù “ anche se ha un pessimo carattere.”
Il musicista sorrise mesto. Sfilò una mano e la pose sul dorso di quella di Sigfried.
“Grazie.”
Quella notte parlarono ancora a lungo, incuranti della voce attutita del vento che si era momentaneamente calmato. La tempesta riprese improvviso vigore quando il castello cominciò ad animarsi, per continuare nei giorni seguenti. Poi, una notte in cui la tempesta rumoreggiava più violenta, Sigfried bussò alla sua stanza, gli occhi bassi, senza dire una parola. Mime non riuscì a soffocare un sospiro profondo ma trovò la forza i sorridergli con gentilezza mentre gli faceva segno di sedersi accanto a lui sul bordo del letto. Rimasero in silenzio a lungo, soffocati dal disagio, e alla fine fu Mime a prendere la parola.
“Cosa devo fare?”
Sigfried gli indicò la vestaglia di broccato bianco che giaceva accuratamente stesa su un divanetto accanto al fuoco. Mime si morse il labbro inferiore. Aveva trovato quell’indumento appena era rientrato dopo aver consumato una colazione leggera nelle cucine e non aveva avuto bisogno d’altro per comprendere cosa lo attendeva, aveva solo sperato che succedesse il più tardi possibile. Si passò una mano fra i capelli, fermandosi un attimo a testa china a osservare senza vederlo davvero il pavimento, poi si alzò in piedi e cominciò a svestirsi. Sigfried rimase immobile accanto a lui ancora qualche istante, poi si avvicinò al divano per raccogliere la vestaglia. La osservò mesto, quindi tornò indietro e aiutò il suo sfortunato compagno ad infilarla. Mime si osservò, allargando le braccia, poi proruppe in una risatina isterica, senza lasciare sfogo a tutta l’amarezza solo per rispetto a Sigfried, avvolto in un capo identico ma nero. L’altro ragazzo lo abbracciò con forza, cingendogli le spalle.
“Mi dispiace…”sussurrò.
Il rossino ricambiò con forza la stretta, poi gli colpì affettuosamente la schiena con i palmi, quindi si staccarono. In silenzio Mime si lasciò condurre lungo corridoi a lui sconosciuti, nonostante tutto stupendosi dell’estensione del palazzo; tuttavia, quando Sigfried si fermò di fronte a un’enorme porta di quercia ornata da fregi dorati, sentì la sua forza di volontà venire meno e istintivamente strinse le dita intorno a quelle forti e gelide dell’altro. Sigfried si concesse un lieve sospiro e strinse la sua mano con gentilezza, voltandosi poi a poggiare una lieve carezza sulla sua guancia, pur conscio del fatto che cercare di rassicurarlo era un gesto inutile. Quando Mime gli lasciò la mano bussò e spinse la porta con decisione, assumendo immediatamente un’espressione altera, come se quanto stava per accadere non lo riguardasse per nulla. Mime non potè fare a meno di ammirare di nuovo tanto orgoglio e tanta forza. Alla luce di decine di lampade Hilda era pigramente sdraiata su un divano, una coppa di vino tra le dita e l’anello che riluceva quasi possedesse una vita propria. Piegò le labbra in un sorriso voglioso che raggelò il musicista. Alberich era seduto compostamente al suo fianco, le gambe accavallate e la solita espressione beffarda sul viso. Mime deglutì a vuoto, ma riuscì a sostenere il suo sguardo. Alberich ne parve compiaciuto, in qualche modo perverso e sogghignò, accomodandosi meglio.
“Il nostro beneamato Sigfried non avrà poi molta parte in tutto questo” annunciò “come vedi siamo persone di parola.”
Mime sentì crescere l’ira all’improvviso. Gli avrebbe tagliato la gola, se solo non avesse avuto la certezza che la Regina avrebbe potuto fermarlo solo alzando un dito. Hilda rise piano, facendo oscillare lentamente la coppa.
“Avanti, Sigfried…fagli vedere perché sei qui.” propose con voce arrochita.
Per un attimo il musicista chiuse gli occhi, il tempo necessario a non incrociare lo sguardo amareggiato del suo compagno e docilmente si lasciò spingere verso l’enorme letto a baldacchino. Senza emettere un suono lasciò che le mani forzatamente esperte di Sigfried facessero scivolare la vestaglia lungo il suo corpo; gli concesse la propria la bocca mentre carezze leggere gli percorrevano la spina dorsale, infine cedette completamente sotto suo peso, affondando con la schiena nella pesante coperta di seta. Allargò appena le braccia per lasciargli la possibilità di muoversi liberamente, rimanendo in silenzio nonostante il respiro si facesse sempre più pesante. Inarcò la schiena, emettendo un gemito soffocato solo quando la mano di Sigfried, abbandonato il fianco, si insinuò tra le sue cosce. A fatica le divaricò un poco, concedendo più spazio alle sue dita. Sigfried tornò sulla sua bocca, baciandogli l’angolo delle labbra.
“Cerca di assecondarmi.”gli sussurrò.
Tornò quindi a invadere la sua bocca, gentile e caldo e poi senza fretta scese lungo il collo, lo sterno, toccandogli con le labbra appena socchiuse l’ombelico fino a scendere al bassoventre. Mime si inarcò di nuovo, mordendosi l’interno della bocca per non gemere, lottando contro l’irrazionale desiderio di scoppiare il lacrime quando con il bacino cominciò a seguire il ritmo di Sigfried.
“Basta così.”
La voce della Regina, poco più di un sussurro gli fece gelare il sangue. Sigfried si sollevò sulle ginocchia poi si spostò dietro di lui. Con gentilezza gli fece poggiare la nuca sulle sue ginocchia poi gli afferrò i polsi, tirandoglieli sopra la testa. Hilda intanto si era avvicinata senza far rumore; salì sul letto con movenze feline, sporgendosi a leccare le labbra di Sigfried.
“Sei un bravo cucciolo.”gli sussurrò divertita.
Rise di nuovo, sfiorandogli la guancia poi sollevò l’ampia vestaglia chiara e si mise a cavalcioni sul musicista, prendendosi il suo piacere immediatamente, senza nemmeno guardarlo in viso. Mime chiuse gli occhi con forza, fino a disegnare sottili rughe sulle tempie, mentre assecondava i movimenti di Hilda. Avrebbe voluto urlare tanto si sentiva male. Ad un tratto la Regina si fermò emettendo una risata acuta.
“E’ delizioso…” disse rivolta ad Alberich “vieni ad assaggiarlo…”
Mime serrò la mandibola, scosso da un tremito che non riuscì a frenare. Sentì le dita di Sigfried serrarsi sui suoi polsi, un gesto di gentilezza che rischiò di farlo prorompere in un pianto isterico.
Alberich scambiò un lungo bacio con la Regina poi salì a sua volta sul letto e gli serrò il mento tra le dita, costringendolo a raddrizzare la testa.
“Aprila.” sussurrò sulle sue labbra.
Non appena fu ubbidito Alberich si chinò a depredargli la bocca, quasi soffocandolo, facendolo gemere di dolore mentre lo invadeva frettolosamente con le dita intrise del suo potere. Rise maligno, affondando con forza solo per il gusto di vedergli nascere delle lacrime agli angoli degli occhi.
“Ahhhh…vado matto per le vergini.”gli ansimò a un orecchio.
Con un gesto rapido scostò i lembi della sua veste da camera e senza lasciargli il tempo di riprendere fiato gli divaricò le ginocchia, spingendogliele contro le spalle. Mime gemette di nuovo premendo la schiena contro le coperte, le guance bagnate da lacrime che non riusciva trattenere. In realtà era tanto avvezzo alla sofferenza fisica che quella brusca intrusione non rasentava nemmeno il dolore vero e proprio, ma l’umiliazione, la frustrazione, l’istintiva avversione che provava per lui la rendevano insopportabile, al punto che non seppe più trattenere i singhiozzi. Alberich ne fu compiaciuto, eccitato, tanto che si adoperò con maggiore impegno fino a che non riuscì a farlo gridare dalla disperazione. Soddisfatto il suo desiderio finalmente si ritirò da lui.
“E’ buono, vero?”
Alberich si voltò verso la Regina, compiaciuto dal desiderio che poteva ascoltare nella sua voce. Hilda piegò all’insù un angolo della bocca e si leccò le labbra,
“Perché non vieni ad assaggiarlo di nuovo?”
Allargò le ginocchia, scoprendosi con fare voluttuoso le cosce. Alberich abbandonò il letto, per andare a baciarla. Le mani della regina si infilarono sotto la stoffa del suo abito, carezzandolo con insistenza, facendolo gemere per il piacere che gli promettevano.
“Non ho più bisogno di te.”
Sigfried accolse quell’ordine con sollievo, tuttavia le gettò un’occhiata interrogativa.
“No, lui no.”
Mime si sentì morire, rimase con gli occhi fissi sul baldacchino, scosso da un lieve tremito. Sigfried si morse il labbro inferiore, ma non poté far altro che stringergli forte le dita tra le sue per cercare di consolarlo. Abbandonò la stanza senza voltarsi, sentendosi meschino e vigliacco, anche se era conscio del fatto che ribellarsi avrebbe solo peggiorato le cose. Si ritirò nella stanza di Mime, attendendo solo che finalmente finisse anche quella volta. Quando il castello cominciò a riprendere vita e un servitore lo informo che la regina e Alberich erano comparsi tra la folla di ospiti si decise a tornare nella camera della regina. Mime, ancora steso, voltò appena la testa verso di lui, gli occhi lucidi come se avesse la febbre. Sigfried gli sfiorò piano la fronte.
“Te la senti di camminare?”
Lo aiutò ad alzarsi, ma nonostante tutta la sua buona volontà le ginocchia di Mime si piegarono sotto il suo stesso peso. Sigfried lo sostenne amorevolmente. Lo avvolse come meglio poté in una coperta e gli passò una mano sotto le ginocchia. Mime si lasciò sollevare senza protestare, rimanendo in silenzio fino a non furono di nuovo nella sua stanza. Sigfried le fece stendere il più gentilmente possibile.
“Ho desiderato…di morire…”
Sigfried si sedette sul bordo del letto e gli prese una mano tra le sue.
“Lo so.”
“Come riesci a sopportarlo…”
“A volte..occorre imparare a lasciarsi scivolare addosso la vita…”sospirò profondamente “anche se...ti confesso… avrei dato la mia anima per avere il coraggio di urlare così.” strinse le dita con forza intorno alle sue “Invece so solo rimanere in silenzio, con il cuore che mi scoppia perché non ho mai imparato a lasciarlo sfogare liberamente.”
“Sei l’ultimo bastione di Asghard…ci si aspetta questo da te” gli sorrise con gentilezza “Siamo stati abituati all’idea che dobbiamo sembrare quello che la gente si aspetta da noi che a volte non siamo più in grado di comportarci che desideriamo davvero….a nessuno importa se soffriamo o abbiamo altri desideri… siamo diventati solo simboli, non abbiamo più il diritto di essere umani.”
La sua voce era calata di tono man mano parlava, fino a spegnersi in un soffio. Sigfried azzardò un sorriso.
“La verità può far male, ma è sempre meglio della menzogna…” rise piano ” sei diventato molto schietto nell’esprimere le tue opinioni… mi piace.”
Si girò completamente verso di lui e gli scostò i capelli dalla fronte, ma nonostante il suo sorriso gli occhi erano cupi come il cielo in tempesta.
“Ti ho fatto preparare un bagno, ti va?”
“Sì…ti prego.”
Sigfried lo sollevò con facilità e Mime si affidò completamente a lui, lasciandosi spogliare e immergere nell’acqua tiepida. Sigfried rise piano di fronte alla sua espressione imbarazzata quando con gentilezza cominciò a strofinargli le spalle.
“La Regina lascia agire volentieri il suo potere, è normale che tu non abbia la forza di fare nulla, non preoccuparti.”
Mime alzò una mano e strinse piano la sua.
“E tu…da solo…”sussurrò
Sigfried si concesse un lungo sospiro.
“Per me è diverso…” rise, amaro “E’ difficile restare indifferente a una donna che nei suoi momenti di lucidità ti si aggrappa alle braccia e ti supplica di ucciderla…” sospirò profondamente per scacciare il tremito nella voce “è accaduto quel che è accaduto… è unitile continuare a pensarci.non si potrà mai cancellare, ma cerca di pensarci il meno possibile. Ti prego.”
“Cercherò di accontentarti.”
Un altro sospiro e Sigfried si chinò, abbracciandogli le spalle, per pochi istanti, riconoscente. Non parlarono più, fino a che ancora insicuro sulle gambe Mime si trascinò fino al suo letto. Il ragazzo castano gli sfiorò la fronte con le dia.
“Vuoi che resti ancora un po’ con te?”
“Per favore.”
Sigfried si infilò con lui sotto e coperte stringendolo con gentilezza. Decine d volete aveva desiderato quel conforto per sé, tuttavia poterlo dare a qualcun altro senza preoccuparsi delle conseguenze gli regalò un sollievo profondo, che non avrebbe pensato di trovare mai più fra quelle mura..

La tempesta era durata dodici giorni, un tempo interminabile, e poi la Regina lo aveva allontanato dalla capitale per altri venti giorni affinchè lui e il cavaliere ombra potessero portare a compimento i suoi progetti. Fenrir avanzò di qualche passo nella neve fresca. I suoi lupi si muovevano con cautela, senza fretta. Ad un tratto Brenhild ringhiò piano, al rumore attutito della neve smossa. Tra gli alberi si disegnò al sagoma scura dell’enorme cavallo di Sigfried. Il signore dei lupi corse ad afferrargli le briglie prima che si spaventasse a causa del branco. Mime gli sorrise pallido da sotto il cappuccio del mantello.
“Freja è partita…e Hilda ha deciso che fino alla fine della guerra non avrà bisogno di me.”
Fenrir lo aiuto a smontare, poi carezzò il collo dell’animale e batté piano la mano sulla sua spalla per dargli l’ordine di tornare alle sue stalle. Abbracciò il musicista di slancio, senza pensarci.
“Maledetto imbecille! “sussurrò “Ti ammazzerei!”
Mime rise piano.
“Sì…ti ammazzerei anch’io.”
Poco dopo erano seduti accanto al fuoco, e Brenhild aveva spodestato il suo capo branco per avere solo per sé le attenzioni del musicista. Senza guardarlo, senza interrompersi per la paura di non avere il coraggio di continuare, Mime prevenne tutte le sue domande, parlandogli della guerra, di Sigfried e di quanto era accaduto, infine tacque, rimanendo con gli occhi bassi. Fenrir sospirò piano.
“E’ tutto?”
L’atro annuì. Fenrir tese le mani, stringendo le sue.
“Allora ti sono grato per la tua sincerità.”
Si chinò, contorcendosi come un gatto per riuscire a guardargli il viso sotto la frangia fulva.
“Ma sono comunque furibondo.”
Mime scrollò le spalle, un mezzo sorriso che gli piegava la bocca. Fenrir lo colse di sorpresa, poggiando le labbra sulle sue, stringendolo poi con forza, in un goffo tentativo di consolarlo.
“Idiotaidotaidiota.”sussurrò.
Mime si appoggiò a lu.
“E’ vero.”
Fenrir lo tenne stretto a lungo, in silenzio, percorrendogli la nuca con le dita. Mime si abbandonò contro di lui.
“Sono così felice di essere qui.”
“Hm.”
Il musicista sorrise, gli occhi socchiusi: aveva compreso da tempo cosa si nascondeva dietro la rudezza che il signore dei lupi amava riservargli. Fenrir lo tirò verso il basso a giacere al suo fianco. Gli sfiorò con la punta delle dita il viso cereo.
“Dormi, adesso…ne hai bisogno.”
Mime poggiò la mano sulle dita dell’altro accennando appena un sorriso. L'altro ragazzo socchiuse gli occhi, aggrottando un poco le sopracciglia e poi lo attirò a sé, stringendolo in un abbraccio rassicurante.
“Resterò qui con te.” gli sussurrò.
Il rossino rise piano.
“Da quando sei diventato una balia?”
“Deficiente.”
Mime si strinse a lui, nascondendo il volto contro il suo collo.
“Dillo di nuovo.” bisbigliò.
“Deficiente e imbecille. Di’, hai scoperto di avere tendenze masochistiche?”
Il musicista rise piano.
“Può darsi…”
Fenrir si morse il labbro inferiore, espirando rapidamente, già pentito per quelle parole.
“Ora basta, d’accordo?” mormorò.
“Hm.”
Il signore dei lupi continuò ad accarezzare la schiena del suo compagno fino a che non fu certo che si fosse addormentato profondamente, dopodiché si districò con gentilezza dal suo abbraccio. Mime si raggomitolò in posizione fetale, mugugnando sommessamente. Fenrir rimase immobile ad osservarlo, a lungo, infine tese una mano e gli sfiorò la guancia. Aveva promesso di non lasciarlo solo, ma sentiva il bisogno insopprimibile di uscire a sfogare tutta la rabbia che gli rodeva l’anima. Schioccò la lingua, richiamando Brenhild. La lupa si sdraiò accanto al musicista, poggiandogli il muso sulla spalla. Fenrir la grattò affettuosamente dietro un orecchio, poi lasciò la stanza senza che nessuno dei suoi lupi lo seguisse.
Quando aprì gli occhi Mime stentò per un attimo a riconoscere il luogo in cui si trovava, ma l’odore familiare del fumo e del legno di pino furono sufficiente a spazzare via l’angoscia che gli aveva stretto subito la gola. Si girò sulla schiena, trovandosi il muso della lupa a un soffio dal suo naso.
“Hmmm…buongiorno Brenhild.” sussurrò, grattandole la testa.
Si alzò a sedere, coi capelli scompigliati e l’aria ancora assonnata.
“Buongiorno.”
Fenrir lo salutò con cortesia, mentre gli porgeva una tazza di legno piena di un liquido ambrato.
Mime lo guardò con una certa sorpresa e un po’ di sospetto, facendolo sogghignare.
“Che c’è? Non ti fidi?”
“Dormo con i lupi del tuo branco, mi pare di dimostrarti a sufficienza la mia fiducia.”
L’altro ragazzo aprì la bocca per ribattere con una frase provocatoria, ma preferì tacere. Mime allora afferrò la tazza e bevve lentamente, fino all’ultima goccia.
“E’ buona.” commentò sorpreso.
“Lo so. Vuoi mangiare qualcosa?”
“No.” si passò una mano fra i capelli “Quanto ho dormito?”
“Non molto. Ti sei agitato parecchio”.
“Davvero? Non ricordo…”
Si alzò in piedi per stiracchiarsi, pigramente, tendendo la schiena e le braccia.
“Ho voglia di fare una passeggiata, mi accompagni?”
Fenrir scrollò le spalle.
“Perché no?”
Fuori l’aria era tagliente, percorsa da un vento lieve che frusciava tra gli aghi di pino. Camminarono a lungo, in silenzio, mentre i lupi si rincorrevano intorno a loro. Mime ad un tratto si fermò, stringendosi nelle braccia, lo sguardo rivolto al sole che languiva all’orizzonte. Fenrir gli abbracciò la vita, poggiandosi contro la sua schiena.
“Che c’è?”
“Niente…brutti pensieri…” scrollò le spalle “Non scalpito all’idea di una guerra.” aggiunse.
“Un po’ di movimento non ci farà male.”
Il musicista non ribatté. Su questo punto erano entrambi tanto fermi nelle loro posizioni che avrebbero potuto continuare a discuterne per ore senza ottenere nulla. Sospirando piano strinse le dita su quelle del suo compagno, assaporando il silenzio irreale della foresta e l’aria così straordinariamente pulita.
“Non immagini nemmeno quanto mi sia mancato tutto questo.”
Fenrir non rispose, solo aumentò la forza con cui lo stringeva. Il musicista sorrise, commosso, poi si liberò con gentilezza, prima che il suo compagno sbottasse con qualche parola brusca solo per togliersi d’impaccio. Fece un paio di passi in avanti, quindi si voltò.
“E’ da così tanto che non posso muovermi liberamente…quasi non ricordavo quanto sia bello camminare tra la neve.”
“Allora non ha senso continuare a stare qui.”
Fenrir lo afferrò per un braccio, trascinandolo a passo sostenuto, incurante delle sue miti proteste.
Dopo un paio d’ore Mime si lasciò cadere con una risata lieve di fronte al camino del rifugio sotterraneo.
“Non avevo detto di voler fare il giro del regno di corsa!”
“Hmph.”
Fenrir gettò altra legna sul fuoco, risentito. Il musicista rise di nuovo; gli sembrava che fossero passati secoli dall’ultima volta che si era sentito così bene. All’improvviso si accorse della mancanza dei lupi.
“E il branco?” chiese sorpreso.
“Sono a caccia. Non ho mai preso la brutta abitudine di dar loro da mangiare, devono rimanere indipendenti se devono sapersela cavare da soli.”
Fenrir si sedette al suo fianco, tendendo le mani verso il fuoco. Mime socchiuse gli occhi, guardando verso le fiamme.
“Beh? Che altro c’è adesso?”
Il musicista gli gettò un’occhiata, a disagio.
“Scusa.”
“Invece di chiedermi scusa, rispondimi.”
Il ragazzo fulvo arrossì, imbarazzato.
“Pensavo che hai delle belle mani…non avresti avuto problemi a suonare un qualsiasi strumento…”
Per tutta risposta Fenrir scoppiò in una risata fragorosa, lunga, sincera. Passato un tempo ragionevolmente lungo Mime gli colpì con uno schiaffo leggero una spalla.
“E piantala!”
Il signore dei lupi lo guardò da sotto in su, gli occhi lucidi e il viso illuminato da un sorriso che non gli aveva mai visto.
“Solo tu puoi pensare certe cose.”
“Beh, sono lieto che la cosa ti metta tanto di buon umore.” sbottò il musicista.
Fenrir aggrottò le sopracciglia, il viso atteggiato in un’espressione buffa che ricordava da vicino quella di un animale incuriosito.
“Sei diventato scorbutico.” sancì.
Mime mugugnò, fingendosi offeso. Si divertivano entrambi a stuzzicarsi a quel modo.
“Sai come si dice: chi va con lo zoppo…”
Fenrir aprì la bocca per rispondere , ma non trovò nulla con cui controbattere. Unì le mani in grembo, sbuffando leggermente e guardando di lato. Mime piegò le labbra in un sorrisetto di sfida.
“Che fai? Ti arrendi?”
“Va’ al diavolo.”
Il ragazzo fulvo si concesse una risatina leggera, che riuscì a far risuonare di scherno.
Fenrir lo guardò in tralice.
“Hai deciso di morire oggi?” ringhiò.
“Muore giovane chi è caro agli dei.” ribatté l’altro.
“Sì, ma muore con molto dolore.”
Il musicista ridacchiò, limitandosi a fargli una boccaccia. Fenrir gli gettò di nuovo un’occhiataccia, snocciolando minacce, sogghignando malandrino e spense contro le sue labbra il sorriso divertito del suo compagno. Mime gli carezzò le guance, poi lasciò scivolare le mani indietro sulla sua nuca, ridendo piano al tocco delle labbra sul collo. Fenrir allora risalì, lento, di nuovo fino a un angolo della sua bocca, sfiorandolo appena e poi strinse le mani sulle sue spalle, continuando a toccargli il viso e la bocca con le labbra appena socchiuse. Mime stette al suo gioco, ricambiando i suoi baci leggeri, baciandolo a sua volta con uguale gentilezza sulle guance e gli zigomi, fino a che si spinse lungo la mandibola, lieve, fino al suo orecchio.
“ Ora basta….” sussurrò “…prenditi ciò che vuoi…”
Fenrir gli strinse una mano sulla nuca e poggiò la guancia contro i suoi capelli.
“Attento a ciò che mi offri.”
“Hm…puoi sempre rifiutare.”
Il signore dei lupi rise, poi approfittando della sua distrazione lo atterrò.
“Io non sono un idiota.” mormorò sulle sue labbra.
Il musicista ricambiò il suo sorriso poi la sua espressione mutò, le sue guance si arrossarono e il suo amante scoppiò a ridere di gusto, alzandosi sulle ginocchia e stringendosi nelle braccia, quasi piegato in due. Mime lo guardò perplesso, disorientato; solo quando il suo disagio cominciò a tramutarsi in una giustificata ira Fenrir si decise a soffocare le sue parole stizzite con la propria bocca. Gli sorrise divertito, le mani affondate tra i suoi capelli.
“Non esiste nessuna innocenza che io possa perdere.” si tirò indietro e sospirò profondamente, sorridendo ancora qualche istante ”Non puoi..nemmeno immaginare quanto possa insegnare la foresta sugli esseri umani…” scrollò le spalle “Ho visto di tutto…incontri clandestini, ragazzi innocenti, amanti disperati…omicidi, stupri…nella foresta nessuno si cura di nascondere ciò che e nessuno se ne è mai curato qui.”
Mime tese una mano, a scostargli i capelli dalla fronte.
“Però tu hai deciso di essere un lupo e non un uomo…quindi non mi toccheresti mai se io non te lo chiedessi.”
Fenrir piegò all’insù un angolo della bocca, in un misto di compiacimento e una sensazione che non comprendeva, ma che gli dava l’impressione che gli stesse sciogliendo il cuore. Socchiuse gli occhi la cui lucentezza si era fatta improvvisamente liquida e si sforzò di sorridere, non sapendo più cosa ribattere, improvvisamente privo della sua sfacciataggine. Mime si sporse in avanti, spingendogli le mani sulla nuca per poggiare le labbra sulle sue e catturarle in un bacio caldo e intenso. Lo trascinò a terra, tirandolo su di sé, facendogli inarcare la schiena solo sfiorandola con carezze leggere, quasi impercettibili attraverso la stoffa pesante. Fenrir mugugnò, scontento.
“Siamo…un po’ troppo coperti…no?” ansimò.
Il rossino piegò le labbra in un sorriso invitante.
“A-ah…” bisbigliò.
Fenrir si alzò sulle ginocchia, facendolo alzare a sedere. Con gesti lenti Mime cominciò a sciogliere il nodo del cordoncino che gli stringeva la tunica sul collo, senza smettere di guardarlo in viso. Lo sguardo affamato di Fenrir gli metteva i brividi, eppure non riusciva a distogliere gli occhi dai suoi; quando il suo amante tese le mani per slacciare i cinque bottoni che chiudevano l’indumento sul petto, semplicemente chiuse gli occhi e lo lasciò fare, rabbrividendo di piacere al calore del suo fiato sul collo. Alzò le braccia per lasciarsi sfilare l’abito, incrociando poi lo sguardo ambrato dell’altro.
“Sei diventato docile…” mormorò Fenrir, divertito.
Mime sogghignò.
“Non esserne tanto sicuro.”
Il ragazzo dai capelli color cenere sorrise, ad occhi socchiusi, assaporando il tocco agile delle sue mani che senza intoppi slacciavano il suo abito, facendoglielo scivolare giù, lungo le braccia. Spinse Mime a terra, mordendogli piano il collo, sospirando a sentire finalmente le sue mani che gli solleticavano i fianchi, disegnando il profilo delle costole, su fino alle vertebre. Poi senza esitazioni il musicista abbandono la sua schiena e lo scostò leggermente per liberarsi dei pantaloni. Fenrir non nascose la sua sorpresa; aveva temuto una reazione di rifiuto dopo quanto aveva passato eppure non riusciva a percepire nulla più di una leggera inquietudine. Il musicista piegò le labbra in un sorriso amaro e la voce uscì dalla sua gola stentorea, insicura, sembrava rischiare di prorompere in singhiozzi da un momento all’altro.
“E’ accaduto…avvelenarmi l’anima continuando pensarci non mi porterà a nulla.” contrasse il viso in una smorfia simile al pianto “Occorre a volte...imparare a lasciarsi scorrere addosso la vita…e le cose spiacevoli…o si finisce per ferirsi…in continuazione…anche se è così difficile farlo…”
Fenrir gli sfiorò il viso con le dita.
“Questo te lo ha detto Sigfried?”
“Sì.”
“E’ una persona di valore.”
Il signore dei lupi gli carezzò un fianco, senza fretta.
“Ma ora mi chiedo…Abbiamo ancora molto di cui parlare?”
“Dipende…”
“Da cosa?”
“Da quanto ancora vuoi rimanere vestito.”
Il rossino tornò a poggiargli le mani sulla schiena, poi lento, completamente libero di agire, percorse la spina dorsale con la punta delle dita, solleticandolo ; infilò con decisione le dita sotto la stoffa percorrendo lo stretto cerchio della sua vita, fino all’allacciatura, facendolo gemere piano, eccitato e piuttosto contrariato da tanto tergiversare. Infine gli spinse i pantaloni lungo i suoi fianchi, liberandolo da quel fastidioso impiccio. Fenrir si umettò le labbra, inconsciamente,col respiro già appesantito.
“Basta giocare.”sussurrò il musicista.
Gli circondò la schiena con le braccia, attirandolo sulla sua bocca, conquistando e arrendendosi, mentre i loro corpi cominciavano a muoversi per istinto. Mentre soffocavano reciprocamente i loro sospiri l’uno nella bocca dell’altro Fenrir cominciò a giocare con i capezzoli dell’amante, sfregandoli con gentilezza tra il medio e il pollice, inarcandosi lui stesso sotto il medesimo tocco. Le mani del musicista però si fecero audaci, scendendo lungo i fianchi, l’interno delle cosce infine sfiorandogli il membro già turgido. Fenrir gemette, ad occhi chiusi poi gli sorrise, abbassandosi a mordergli piano il collo, i capezzoli, percorrendogli il ventre con baci leggeri, fino ad avvolgerlo nel caldo invitante della sua bocca. Il musicista si inarcò, gettando indietro la testa, il petto scosso da sospiri profondi e silenziosi poi ansimante, con i denti affondati nel labbro inferiore, lo guardò bagnarsi le dita. Fenrir tornò a stendersi su di lui, a baciargli il viso con gentilezza, incurante delle unghie che gli affondarono nella schiena quando con cautela si spinse dentro di lui, cercando un punto preciso. Ad in tratto gli giunse alle orecchie l’esclamazione sorpresa, dal vago tono interrogativo del suo amante. Lo fece inarcare sotto di sé, godendo del suo viso arrossato, delle labbra turgide, delle mani che gli stringevano febbrilmente le spalle. Ritrasse le dita, continuando comunque a sfiorare con il dorso delle dita l’interno coscia. Quando il respiro cominciò a calmarsi Mime si sollevò sui gomiti per guardarlo in viso, incuriosito. Fenrir gli regalò un sorriso indefinibile, poi gli fece stendere le gambe e si mise a cavalcioni su di lui. Sorpreso, il musicista lo afferrò per i fianchi.
“Fenrir?” bisbigliò il ragazzo fulvo.
Fenrir lo baciò, con trasporto, togliendogli ancora una volta il respiro.
“E’ quello che voglio.” sussurrò.
Mime si umettò le labbra. Tenne le mani poggiate sui fianchi del suo amante, accompagnandolo nella sua discesa. Gemettero entrambi appena si toccarono, ma ancora per lunghi istanti il musicista fece forza, impedendogli di muoversi, nonostante il contatto con la morbidezza dei suoi glutei fosse sufficiente a fargli desiderare di prenderlo senza tanti preamboli.
“ E lasciami, scemo!”
Fenrir gli strinse le mani con le sue, avvertendo finalmente la stretta che si allentava e si lasciò invadere, lentamente, senza dolore tranne qualcosa forse di simile al fastidio, inebriato sia dal suo piacere sia da quello che vedeva dipinto sul volto del suo amante. Quando toccò i fianchi del musicista si chinò leggermente in avanti, cercando di riprendere fiato, i capelli che gli spiovevano sul viso. L’altro gli toccò le guance con la punta delle dita, facendolo sorridere a tanta preoccupazione. Rise piano, sbirciandolo da sotto i capelli chiari e cominciò a muoversi, con una certa cautela, ancora insicuro, ma quando il suo amante gli afferrò gli avambracci e cominciò ad assecondarlo lasciò che l’unica sua guida diventasse l’istinto. Mime strinse febbrilmente le dita, scoprendo la gola, lasciando che solo un gemito sottile, poco più di un sussurro raccogliesse in sé il piacere che gli attraversava il corpo. Fenrir si fermò, il fiato corto, per riempirsi gli occhi dell’immagine del suo viso arrossato, mordendosi il labbro inferiore a causa dello strano piacere che gli procurava il fluido caldo che lento gli scorreva nel ventre. Fu distratto solo dalle dita che gli carezzarono lievi le cosce. Senza liberarsi del calore che aveva accolto dentro di sé si concesse a quelle mani, spingendosi verso di esse, le labbra e gli occhi socchiusi, infine gemette , inarcandosi, ascoltando il suo corpo che gli sussurrava ossessivo la sua soddisfazione. Abbassò la testa, ansimando, e si sollevò lentamente, liberandosi; poi si appoggiò di nuovo sul ventre del suo amante, affondando le dita tra i capelli fulvi sparsi sul pavimento.
“Mi piace…il tuo silenzio…”
Il musicista piegò all’insù gli angoli della bocca, con il respiro ancora accelerato e gli occhi lucidi. Tese una mano per sfiorargli una guancia. Fenrir si voltò a sfiorargli le dita con le labbra, poi chinò la testa trattenendo le risa.
“Che c’è?”
“Niente.”
Il rossino aggrottò le sopracciglia.
“Niente non fa certo ridere a quel modo.”
Fenrir piegò all’insù un angolo della bocca.
“Mi sono solo ricordato di una cosa.”
“Hai intenzione di dirmela o no?”
Fenrir socchiuse gli occhi, piegando le labbra in un sorrisetto di sfida, ma cambiò espressione in un attimo, tornando di nuovo a sorridere divertito.
“Stavo pensando… che la prima volta che ho visto due uomini fare l’amore mi sono chiesto sinceramente a che cosa servisse…”
“A cosa…servisse?!” chiese incredulo il suo amante.
Fenrir si sollevò, per sedersi accanto a lui, il viso atteggiato in un’espressione ilare che non gli aveva mai visto.
“Insomma Mime… il branco e gli altri animali di certo non si sono mai formalizzati per la mia presenza.” scostò i capelli dalla fronte sudata “Quindi vedere uomini e donne che venivano a sfogare nella foresta la loto passione non mi ha mai turbato più di tanto…ma a volte venivano a nascondersi qui amanti dello stesso sesso, uomini e donne…così ho passato molto tempo a chiedermi a cosa servisse il loro agitarsi e far rumore visto che così non potevano avere figli.” sorrise “Questo almeno fino a che anche il mio corpo non è cresciuto.”
Mime si era alzato a sedere e lo ascoltava serio. Aveva pensato spesso a questo aspetto della vita del suo amante, tuttavia non aveva mai avuto il coraggio di domandargli nulla a riguardo.
Fenrir invece ad un tratto lo ributto giù, levandogli di nuovo il respiro.
“Levati dalla faccia quell’espressione! Idiota!”
“Scusa.”
Il rossino alzò le braccia e intrecciò le dita dietro il suo collo, tirandolo contro la sua bocca.
“E non tentarmi.” lo ammonì Fenrir.
“Non ho nemmeno la forza per provare a farlo…”
L’altro ragazzo rise piano. Tornò a stendersi sul corpo del suo amante, lasciandosi stringere, concedendogli senza riserve la sua bocca, fino a che entrambi si lasciarono vincere dal sonno.
Nei giorni seguenti Mime si lasciò travolgere e dominare dalla passione del suo amante. Fenrir lo amava con forza, a volte rudezza, guidandolo nel suo corpo secondo regole sancite da lui stesso e a cui il musicista si piegava con estrema docilità. Col passare dei giorni e l’approfondirsi del loro rapporto Mime comprese come la sua foga nell’amarlo nascondesse qualcosa di molto più profondo di una semplice ricerca del piacere. Fenrir poteva non desiderarlo ma rimaneva un essere umano, con una sfera emotiva complessa e incrinata da ciò che aveva subito, il suo lasciarsi possedere era il desiderio di appartenere di nuovo ad un’altra persona, come un tempo era appartenuto nell’anima e nel cuore ai suoi genitori. Questo riempiva di tristezza l’animo del musicista, ma contemporaneamente ingigantiva la tenerezza che sentiva per lui. Il signore dei lupi dal canto suo accettava i suoi improvvisi slanci di affetto con mugugni infastiditi, a volte allontanandolo senza troppa convinzione, finendo ogni volta per cedere al suo abbraccio e alla morbida lusinga della sua bocca. Non parlarono d’amore, mai; avevano entrambi concesso l’uno all’altro più di quanto avrebbero mai creduto possibile, questo bastava.

Il vento sollevava un pulviscolo di neve gelata, ma nessuno sembrava accorgersene. I cavalieri del sud ascoltavano le parole di Hilda in silenzio, fieri, disposti di fronte alla loro Dea. Freja invece sembrava una bambola di porcellana, immobilizzata nella sua posa consueta con le dita intrecciate con forza all’altezza del petto e gli occhi enormi e lucidi. Hagen, i pugni serrati tanto da sbiancare le nocche, non si curò di soffocare un suono gutturale profondo, carico di ira e frustrazione. Al silenzioso ordine della Regina, Thor fece un passo avanti, preparandosi alla difesa della via per il castello. Hilda e gli altri cavalieri sembrarono svanire nel nulla, tra le raffiche di vento.
Fenrir si fermò di colpo, sollevando la neve. Si sgranchì le dita, pregustando il sapore del sangue del suo avversario, infine ridacchiò gettando un’occhiata furba e maliziosa al suo compagno.
“Ti somiglia.”
Mime lo guardò incuriosito.
“Chi?”
“Quel ragazzo con gli occhi verdi, sono pronto a giocarmi la testa che sarà lui il tuo avversario.”
Il musicista scrollò le spalle.
“Per quel che mi importa…”
Il signore dei lupi si scostò i capelli dalla fronte, espirando rapido, secco.
“Stai pensando ancora che il mondo come lo conosciamo sta per finire?”
Il rossino gli gettò un’occhiata mesta.
“Lo sai che è quello che sento, non prenderti gioco di me.”
Fenrir gli serrò le dita sulla nuca, guardandolo dritto negli occhi.
“Non sto ridendo di te, idiota. Oggi il mondo cambierà davvero, in bene o in male; potremmo trionfare noi o potrebbero farlo loro, ma qualunque sia l’esito le cose non potranno più essere come prima. Non ha senso distrarsi per una cosa che sappiamo già.”
Mime piegò le labbra in un sorriso pallido.
“Non farmi di nuovo la predica, non è il momento né il luogo.”
Il signore dei lupi rise piano.
“Sei come un mulo, è praticamente inutile.”
Mime si sporse in avanti, quasi a toccargli le labbra.
“Stai dicendo che sono testardo? Hmm…stiamo diventando sfacciati…”
Fenrir piegò all’insù un angolo delle labbra.
“Sfacciato…che parola scortese…”
Si concessero l’uno all’altro per un bacio lungo, intenso e dolce, poi si strinsero forte. Dopo qualche minuto fu Fenrir a rompere il silenzio.
“Se morissi il mio ultimo pensiero non sarebbe per te.” mormorò.
Mime strusciò la guancia contro i suoi capelli.
“Certo è consolante.”
“E io non sarei il tuo.”
Il musicista si irrigidì. Si tirò indietro per guardarlo in viso e ribattere, ma ogni sua protesta fu soffocata da labbra calde e gentili. Si abbandonò ancora una volta, lasciandosi condurre dal suo amante, infine Fenrir si tirò indietro, guardandolo dal basso, lo sguardo velato dai capelli grigi, la mani poggiate sulle sue guance.
“Vai.” sussurrò.
Mime coprì le dita dell’altro con le proprie, premendole sul suo viso come se volesse memorizzarne ogni dettaglio. Regalò un ultimo sorriso al suo compagno, poi si allontanò in fretta, senza più voltarsi. Fenrir si morse l’interno del labbro inferiore, quindi si mosse di qualche passo nella direzione opposta, incontro al suo avversario e al destino che quel giorno avrebbe accomunato tutti i cavalieri al servizio di Hilda.
FINE

***

Che finale triste…;_________;… e dire che io li detesto..
Se siete arrivati fino a qui non posso fare a meno di rinnovare i miei ringraziamenti e sperare di non avervi annoiati.^^
Notine:
(1) qui parlo per me^^;;;

(2) questo potrebbe anche essere solo frutto della mia interpretazione; nella versione italiana si parlava di “Casata dei Luxor”, quindi ho pensato che si trattasse di una famiglia nobile, e che quindi Fenrir avesse già cominciato a ricevere un’ampia educazione prima della morte dei suoi genitori.

(3) Ginga mi era sembrato già anzianotto quando è comparso, quindi ho pensato che dopo tutti quegli anni era molto difficile che potesse essere ancora vivo; in quanto all’orso, ho deciso forse arbitrariamente che un orso bruno poteva essere stato introdotto a latitudini così alte solo da altre persone, e considerato che per quel che ne so gli orsi attaccano gli esseri umani solo in determinate occasioni (difesa dei cuccioli o della preda, superamento della distanza che possa concedere all’animale la fuga) ho pensato che l’attacco a Fenrir e alla sua famiglia potesse essere stato procurato utilizzando un animale ammaestrato. Forse ho un po’ troppa fantasia ^^;;