Note: Buon HanaRu day a tutte!! Una volta l’anno posso riporre gli
striscioni e le spillette della RuHana Sempre & Solo e festeggiare il giorno
della 'concorrenza' ^_-
Buona giornata a tutte le amanti di questa coppia spero il mio 'tentativo'
vi piaccia (_ _)
Undici
Ottobre
di Naika
Pow Rukawa
Dove
sono....?
Come
sono finito qui...?
Non
riesco a ricordare...
Galleggio...
Muovo
le braccia e l’acqua sotto di me fruscia come seta cangiante distendendosi in
luminose onde di luce che si allungano all’infinito in questo spazio senza
confini.
I
capelli mi sfiorano, bagnati, il viso, ma il loro tocco è tiepido e asciutto.
Che strano....
Il
cielo è azzurro sopra di me...
Così azzurro...
Piccole, soffici, nuvole bianche, veleggiano piano nell’aeree come grandi
vascelli silenziosi.
Sollevo lentamente una mano osservando l’acqua scivolare tra le mie dita in una
cascata di scintille incandescenti che piovono piano sul mio braccio prima di
spiegare, minuscole, trasparenti ali, e librarsi su di me.
Farfalle... minuscole farfalline di luce....
Sollevo anche l’altro braccio e di nuovo l’acqua scorre, si frantuma e poi...
vola...
Che
razza di luogo è questo?
Sembra quasi....
Sembra quasi....
...un sogno...
Sto
sognando?
E’
così?
“E’
un sogno?” muovo le labbra ma non sento la mia voce.
L’acqua lambe il mio corpo immobile, le braccia ancora tese verso questo cielo
così qietamente perfetto.
Se è
un sogno forse dovrei svegliarmi....
“...dormi...”
Da
dove arriva questo pensiero?
E’
vero... mi aveva chiesto di aspettare...
“... dormi...”
Dovevo dormire... dormire nell’attesa....
Ma
l’attesa di cosa?
Chi
mi aveva chiesto di aspettare?
Perchè?
Non ricordo....
Non lo ricordo più...
Da
quanto sono qui?
Quanto devo attendere ancora?
Un
alito di vento mi accarezza il volto e le farfalle ondeggiano, dinanzi ai miei
occhi, danzando leggere, disegnando spirali di luce verso il cielo turchino.
Non è
spiacevole stare in questo luogo...
Eppure non riesco a godere a pieno di questa pace.
Chi... chi mi aveva chiesto di aspettare?
E’
importante...
Lo so
che è importante, lo sento quando quella parola vibra nei miei ricordi.
“... dormi...”
Di
chi è la voce che è rimasta intrappolata nella mia memoria?
“... dormi...”
Perchè ricordo solo questo?
“... dormi...”
Perchè tanto dolore in quest’unico sussurro affranto?
“... dormi...”
Chi
mi ha condotto qui verrà a riprendermi o mi lascerà in questo limbo luminoso a
fluttuare per l’eternità?
Dovrei essere preoccupato forse...
Ma
qui... qui non esiste dolore o apprensione...
Qui
c’è solo quiete e ovattata tranquillità....
Dormirò ancora un po’...
Così
come il mio unico ricordo mi supplica di fare...
Così
come questa voce spezzata singhiozza...
Anche
se so che chiudere gli occhi significa lasciare che quella persona soffra
ancora...
Anche
se la sto lasciando sola...
“... dormi...”
Dormirò.... dormirò finchè non verrai a riprendermi.
....
“Pulsazioni regolari...”
Voci.
Voci
estranee attorno a me.
“La rimozione è stata attuata con successo...”
Suoni.
Suoni
metallici, sfrigolii elettrici.
Che
sta succedendo?
Che
state facendo?
Chi
siete?
“Nessun danno...”
Troppa luce....
Il
cielo sta diventando troppo luminoso...
L’acqua è troppo calda...
“Tutti i parametri nella norma...”
Bolle, l’acqua bolle!!
Fermi!
Che
state facendo?
Fa
male!
Fermatevi!
Smettetela!!!
“Dottore?”
Una
domanda esitante... una voce incerta...
“Dottore...?”
Farfalle... farfalle ovunque.... schizzano, impazzite, strappandosi in scintille
incandescenti...
L’acqua...
Il
cielo...
Io
stesso....
Fisso
le miei mani e le vedo disintegrarsi in mille, minuscole, ali di luce...
“... svegliatelo...”
Una
risposta decisa, una voce ferma... e il cielo esplode.
....
Dolore...
Mi
muovo a fatica ritrovando la fastidiosa sensazione di ogni mio arto intorpidito.
Dove
sono?
Questo non è il mio sogno?
Sono
dunque sveglio?
Socchiudo le palpebre guardandomi attorno.
E’
tutto bianco.
Candido.
Un
alito leggero di brezza profumata entra da dietro le tende pesanti, tirate per
lasciare la camera avvolta nella semi oscurità.
Giaccio su un letto dalle lenzuola pulite, forse un po’ troppo inamidate,
accanto a me un ampio comodino e, poco distante, quello che sembra un armadio,
compongono lo spartano arredamento di questa camera.
Provo
a mettermi seduto e noto solo ora il tubicino infilato nel mio braccio destro.
Una
flebo?
Sono
in ospedale?
Questa sembra più la stanza di una clinica privata.
Scuoto il capo cercando di snebbiare la mente, le immagini del sogno si
frappongono alla realtà confondendo le mie percezioni.
Quella persona è venuta a riprendermi?
Lei
che mi supplicava di dormire... mi ha infine svegliato?
E
ora... ora dov’è?
“Buongiorno!!!”
Una
voce trillante mi fa sobbalzare obbligandomi a voltarmi verso la mia destra.
La
porta scorre senza suono e la luce del corridoio entra nella stanza spolverando
via la semi oscurità vaporosa che vi aleggia, disegnando sul vano d’entrata una
figura maschile.
Stringo gli occhi cercando di controllare l’improvviso martellio del mio cuore.
E’
alto...
Alto,
almeno, quanto lo sono io...
Spalle larghe...
Gambe
lunghe, muscolose, da sportivo...
Il
mio cuore sussulta gridando ma io... non comprendo le sue parole.
Lui
entra con passo tranquillo dirigendosi spedito verso le tende tirate.
Ha la
pelle abbronzata.
Di un
caldo color dorato...
“... dormi...”
Mi
porto una mano alla testa cercando di capire che mi sta succedendo.
Sto
per aprire bocca e porgli la prima della mia lunga lista di domande ma lui tira
le tende per lasciare che la luce inondi la stanza.
Socchiudo gli occhi abbagliato, il sole ferisce le miei iridi accendendo
scintille incandescenti davanti ai miei occhi.
Scintille... dotate di piccole... trasparenti ali...
Scuoto il capo con forza, chiudendo gli occhi mentre dalle labbra mi esce un
ringhio infastidito.
“Ti
da fastidio la luce?” chiede avvicinandosi al mio letto e fissandomi sorpreso.
Apro
gli occhi con cautela cercando di abituarmi a tutta questa luminosità prima di
spostare lo sguardo su di lui.
Ha le
guance lievemente arrossate e si mordicchia un labbro.
Mi
guarda.
Ma
non mi guarda come mi aspetterei che faccia un’infermiere.
No...
lui... mi fissa, mi sonda...
Che cosa cerchi?
Che
cosa cercano i tuoi occhi nei miei?
“Chi
sei?” mormoro piano prima ancora di rendermene conto.
Lui
sussulta facendo un passo indietro.
“Io
sono solo un’infermiere!” si affretta a dire battendosi una mano sul petto.
Noto
solo ora che, effettivamente, indossa la divisa bianca.
Eppure ho l’impressione che mi stia mentendo...
Quale
infermiere spalancherebbe le tende di un paziente rimasto al buio per tanto
tempo?
Mugolo massaggiandomi la fronte.
Mi
sta venendo mal di testa.
La
luce mi da fastidio e tutte queste domande non mi aiutano per niente...
Sbuffo spazientito, passandomi una mano tra i capelli.
Chissà per quanto ho dormito...
Mi
sento come se fossi rimasto inchiodato su questo letto per mesi.
Lui
mal interpreta il mio sbuffo perchè mi sorride incoraggiante.
Ha un
bel sorriso.
Luminoso...
Solare...
Caldo...
Già.... caldo... caldo come...
“... dormi...”
Mi
premo le tempie cercando di porre un freno all’emicrania.
Perchè ogni volta che noto un particolare di lui quella voce rimbomba nella mia
testa?
Maledizione che male, non riesco a pensare coerentemente così!
“Sta
tranquillo è normale essere confusi appena svegli!!” cerca di tranquillizzarmi,
inconsapevole che le domande che mi affollano il cervello riguardano proprio lui
“...presto verrà il medico e avrai tutte le spiegazioni di cui hai bisogno...”
mi informa.
“Hn...” mormoro soltanto e quasi mi avesse udito la porta si apre nuovamente
lasciando entrare un bel uomo sulla quarantina, i capelli brizzolati sulle
tempie, lo sguardo profondo e segnato.
Sembra che la vita non sia stata gentile con lui.
I
suoi occhi parlano di una sofferenza lunga, quasi infinita, che ha tentato di
logorare il suo spirito strappandone a morsi un pezzettino dopo l’altro...
Eppure cammina a testa alta, con le spalle ben diritte e fiere.
Ha
lottato e continua a lottare senza arrendersi mai.
Senza
fermarsi mai.
Ammiro la sua forza e la sua determinazione in silenzio, mentre lui ricambia per
un lungo istante il mio sguardo.
I
suoi occhi...
In
quegli occhi profondi....
C’è
qualcosa...
Qualcosa di... familiare...
Corrugo la fronte quando lui sposta la sua attenzione sull’infermiere, una muta
domanda sembra aleggiare tra loro per un istante prima che il ragazzo scuota il
capo in segno di diniego.
Le
spalle del medico s’incurvano un po’, impercettibilmente, come se un’altro peso
si fosse aggiunto a quelli che già porta, ma è solo un momento poi lui torna a
rialzarle, serrando la mascella con decisione, spostando nuovamente lo sguardo
su di me: “Allora signor Rukawa come si sente?” mi chiede con tono
professionale.
Non
crederà mica di cavarsela così?
“Cosa
mi è successo?” chiedo fissandolo serio.
Il
medico fa un cenno all’infermiere, che se ne va chiudendo la porta, mentre lui
sposta una sedia accanto a me e vi si accomoda.
“E’
stato investito da un automobile...” mi spiega serio fissandomi negli occhi con
attenzione, cercando di capire se quest’informazione riporta qualche ricordo
alla mia mente.
Corrugo la fronte cercando di districarmi nel labirinto della mia memoria.
Un
auto...
Ha
detto che sono stato investito da un’auto...
Il
suono stridente di freni straccia la mia mente trapanandomi il cervello mentre
il fragore di un clacson rimbomba nella mia testa.
Un
auto...
Sì.
Un
auto... rossa....
Ricordo...
Un
momento prima era ferma... il momento dopo... ricordo solo il cofano lucido
sotto la luce del sole e poi...
Poi....
Mi
massaggiò le tempie infastidito da una fitta di dolore, sotto lo sguardo vigile
del medico.
Niente... non riesco a ricordare altro...
“Non
si preoccupi i ricordi torneranno..” mormora il primario con un sorriso
professionale.
Annuisco continuando a massaggiarmi le tempie.
“Dove
sono?” chiedo spostando l’attenzione attorno a me.
Il
paesaggio fuori dalla finestra non ha nulla di familiare.
“Siamo a Tokyo.” Mormora lui, piano e io mi volto notando il suo sguardo
saettare lontano da me.
Mi
stava guardando...
O
meglio... mi stava avvolgendo con lo sguardo...
Come.. come una madre che vorrebbe abbracciare il suo cucciolo, proteggerlo da
ogni cosa, ma non può...
“Nell’essere investito lei ha subito un forte trauma cranico che l’ha mandata in
coma... la sua era una situazione davvero disperata...” mi spiega a voce bassa.
Lo
fisso perplesso.
Perchè lo dice con questo tono?
Sembra uno che comunica una malattia terminale.
Ma io
sono vivo.
E mi
sento anche abbastanza bene a parte la mancanza di ricordi e la confusione.
Mi
fissa notando la mia perplessità e mi sorride dolcemente.
“Lo
sa che giorno è oggi?” chiede.
“... lo sai che giorno è oggi...?”
Corrugo la fronte mentre quella domanda viene ripetuta nella mia testa da
un’altra voce.
QUELLA voce.
“... hey!! Non ti sarai dimenticato che giorno è oggi vero???...”
Chi
è?
Che
data ho dimenticato?
“Che
giorno è?” chiedo perplesso al medico di fronte a me.
“L’undici ottobre duemila e cinque” mormora lui fissandomi con attenzione.
L’undici ottobre?
E
allora?
Che
cos’ha di speciale questo giorno?
Forse....
Che
giorno era quando mi hanno investito?
“... non puoi averlo dimenticato!! Oggi e l’undici ottobre!!...”
L’undici ottobre.
Era
l’undici ottobre anche....
“E’... è passato un anno?” ansimo incredulo.
Non è
possibile!
Sono
stato in coma per un anno intero!!
Lui
mi sorride dolcemente “E’ passato molto tempo, vero?” mormora stranamente,
alzandosi dalla sedia per avvicinarsi alla finestra.
Perchè ho l’impressione che mi stia nascondendo qualcosa?
Perchè qui TUTTI sembrano nascondermi qualcosa?
Sembra riflettere per un momento, vedo il suo sguardo riflesso sul vetro
trasparente, vagare lontano nel rincorrere pensieri a me sconosciuti.
Poi
però scuote le spalle e si volta verso di me.
“Ora
riposi, nel pomeriggio l’infermiere tornerà per accompagnarla in riabilitazione,
i suoi muscoli hanno bisogno di imparare nuovamente a muoversi...” mi spiega.
Sbuffò leggermente infastidito.
Ha
fatto finta di niente!
Eppure c’è qualcosa che non vuole dirmi, lo sento.
E poi
per infermiere intende il pazzo che era qui quando mi sono svegliato?
“Il
do’aho di prima?” chiedo scocciato.
Registro a malapena il suo sussulto.
Do’aho....
Questa parola è familiare alle mie labbra.
“... do’aho...”
La
mia voce...
Con
un tono così dolce...
Quell’insulto.. così carico d’affetto....
C’era
dunque una persona importante per me?
“...dormi...”
Quella persona?
Quella voce?
Era
importante per me?
“...dormi...”
E
ora...?
Ora
dov’è?
Dove
sei?
Dove
sei... “...do’aho...” ripeto piano, perplesso, cercando di catturare ciò
che queste poche lettere nascondono.
“Ri...ricorda qualcosa...?” chiede il medico fissandomi con attenzione.
“Non
lo so...” ammetto scocciato.
Forse, dopotutto quell’infermiere pasticcione ha una qualche utilità.
Forse
lui mi aiuterà a trovare la chiave per accedere ai miei ricordi.
Questa parola a fatto scattare la prima delle tante serrature che mi separano
dalla mia memoria.
Il
medico mi fissa per un lungo istante, sembra combattere una battaglia personale
contro qualcosa che rode per uscire dalle sue labbra, le mordicchia nervoso
quasi a strappare così le parole che ha sulla punta della lingua e alla fine
riesce a vincere la sua guerra perchè se ne va lasciandomi con i miei pensieri e
le mie domande, ricordandomi semplicemente che tornerà per una visita di
controllo nel pomeriggio.
Annuisco vagamente osservandolo andarsene mentre passo le dita sulle labbra alla
ricerca del sapore di quella parola che ancora aleggia nella mia mente
rincorrendo sfuggenti sensazioni.
....
I
giorni si susseguono con una sorta di strana routine.
Il
medico, di cui ancora non so il nome, viene a visitarmi a metà mattinata e passa
nella palestra dove faccio riabilitazione, a vedere come me la cavo, verso la
metà del pomeriggio.
Ho
avuto la conferma che questa è una clinica privata, ed anche molto costosa, e
quel do’aho di un infermiere chiacchierone mi ha detto che è stato proprio il
‘mio’ medico a fondarla.
Pare
che questo luogo sia il massimo della tecnologia e dell’innovazione nella cura
dei traumi cerebrali.
Adesso capisco anche perchè l’uomo sottolineò che la mia situazione era
disperata quel primo giorno che ci vedemmo.
Con
il passare del tempo comincio a ricordare qualcosa.
Sono
per lo più brevi scene, spezzoni della mia vita.
La
cosa che m’innervosisce tantissimo è che sono tutte cose prive d’importanza.
Mi
vedo a scuola, a passeggiare per il parco, a giocare su un campetto in riva al
mare, a casa a guardare una partita dell’NBA alla televisione.
Ma
ancora non sono riuscito a ricordare il volto di QUELLA persona.
E
tanto meno quello dei miei genitori.
A dir
la verità c’è un dubbio che mi tormenta da un po’.
Credo
che il primario sia in qualche modo legato a me.
Io
non riesco a ricordare il volto di mio padre e il fatto che nessuno mi voglia
dire il cognome del medico mi isospettisce.
C’è
qualcosa in quel medico, fin troppo serio, di familiare e al contempo... di
profondamente sbagliato.
L’ho
pensato dalla prima volta che l’ho visto, così come mi è successo con
l’infermiere.
Anche
quest’ultimo si ostina o non dirmi il suo nome.
E’
evidente che quei due mi nascondono qualcosa.
Quando ho messo il do’aho alle strette lui ha scosso il capo e si è lasciato
sfuggire che gli era stato vietato di dirmi il suo nome e quello del primario.
Il
resto del personale è stato addestrato nella stessa maniera.
La
faccenda è sospetta...
Anche
perchè...
Ho
notato che anche gli altri , qui, mi guardano in modo strano.
Se
poi sono con il medico passano lo sguardo da me a lui, da lui a me e chi più,
chi meno, non riesce a nascondere una profonda tristezza.
Come
se avessero pena non tanto di me ma di lui!
E poi
l’altro giorno ho sentito quel brandello di conversazione tra il do’aho e il
dottore....
“Adesso basta!” ho sentito il mio infermiere esclamare “Io così non ce la faccio
più e lui sa che gli stiamo nascondendo qualcosa!!”
“Deve
recuperare i ricordi da solo..” è stata la bassa, cupa, risposta del primario.
“Ma
sta male! E io non riesco più a mentirgli...” un mormorio ovattato che mi è
giunto a malapena da dietro la porta chiusa.
“Credi che io mi diverta!!”
Non
l’avevo mai sentito alzare la voce.
E poi
il suo tono non era solo arrabbiato, era... ferito, stanco, spezzato.
Il
tono di qualcuno che non ce la fa più ma che s’impone comunque di continuare.
Purtroppo in quel momento un’infermiera mi ha scorto ed io sono stato costretto
ad allontanarmi.
Ma
sono sicuro che parlassero di me...
E
tutto questo non avrebbe senso a meno che...
... a
meno che il mio dubbio non avesse fondamento...
Il
dottore è mio padre.
Quest’ipotesi all’inizio assurda si va via via rafforzando nella mia mente.
Lui è
gentile con tutti i suoi pazienti ma con me...
Bhe...
intanto passa molto più del dovuto a controllare come va la mia riabilitazione,
e poi... ogni volta che rammento qualcosa lui sembra trattenere il respiro
mentre gliela racconto.
Come
se stesse solo aspettando...
...aspettando che mi ricordi di lui....
Ho
provato ad esporre i miei dubbi all’infermiere ma quel do’aho che parla sempre e
continuamente di tutto e tutti quando si tratta del dottore diventa muto come
una tomba!
Maledizione a lui che fastidio!!
E poi
anch’egli è un bell’enigma!
Quando ho cominciato a sospettare che il primario sia mio padre ho pensato che
lui potesse essere mio fratello.
Ma
quest’idea è stata velocemente scartata dalla mia memoria.
Anche
se non ricordo la mia famiglia SO che non avevo fratelli o sorelle.
E
allora?
Chi è?
C’è
qualcosa di profondamente familiare in lui eppure allo stesso tempo... di
profondamente sbagliato.
Questa sensazione mi fa impazzire.
E’
come se fossi ad un passo dalla soluzione ma avessi in mano la chiave sbagliata.
“Allora pronto per andare in palestra!” esclama l’oggetto dei miei pensieri
piombando in camera.
Sbuffo seccato.
Odio
la riabilitazione.
Lo so
che è necessaria e ci metto tutto il mio impegno ma.. mi pare di essere un
neonato che impara di nuovo a camminare.
E’
atroce sapere benissimo cosa devo fare e non riuscire a comandare il mio corpo a
dovere.
Il
primario mi ha più volte rassicurato che riacquisterò la completa padronanza
degli arti e già riesco a camminare lentamente o a mangiare da solo ma è
comunque una cosa che mi irrita tantissimo.
Ormai
ricordo con chiarezza la forza e l’energia che il mio corpo possedeva ed essere
ridotto a questa fragile brutta copia di me stesso mi fa una rabbia!!
Intanto il do’aho mi si è avvicinato per aiutarmi a scendere dal letto ma lo
allontano, deciso a fare da solo.
Lui
mi fissa con attenzione, controllando ogni mio minimo movimento, pronto ad
afferrarmi se barcollassi.
E’
molto premuroso in questo.
A
volte fa danni tremendi, fa continuamente un casino infernale con tutte le sue
chiacchiere ma ha molta cura dei pazienti e ha sempre un sorriso da regalare.
Quel
suo sorriso...
Quando lo guardo...
Non
lo so...
Quando vedo quel sorriso solare sul suo volto giovane e abbronzato...
E’
come se dentro di me ci fosse qualcosa...
Qualcosa che si tende disperatamente per afferrare un ricordo importante,
essenziale, la chiave per uscire da questa dimenticanza che mi tormenta.
Eppure... c’è sempre quella cosa ‘sbagliata’.
Anche
se è lui che mi da queste sensazioni, anche se è lui che mi porta così vicino
alla soluzione...
E’
come se lui NON fosse la chiave giusta.
E non
riesco a capire.
Non
capisco DOVE sbaglio.
C’è un’informazione che mi manca.
Un
pezzo del puzzle che è scivolato sotto il divano senza il quale non riesco ad
attaccare gli altri.
L’infermiere mi aiuta a dirigermi verso la sala riabilitazione e stiamo
avanzando lentamente lungo il corridoio quando la porta di un’altra delle stanze
si apre e il medico compare di fronte a noi.
“Buongiorno” mormora con un sorriso che tuttavia conserva una punta di tristezza
nell’osservarmi.
Che cosa, dimmi che cosa devo ricordare riguardo a te!
Lo
so, lo leggo nei tuoi occhi che ho dimenticato qualcosa di importante che ti
riguarda.
Lo so
che mi stai aspettando con pazienza.
Leggo
il dolore di questa tua interminabile attesa in quegli occhi che sembrano
cercarmi sempre.
Sei
mio padre?
E’
così?
E’
questo che ho dimenticato?
Fisso
l’infermiere e poi lui.
“Accompagnami tu...” decido, avvicinandomi al dottore.
Lui
mi fissa perplesso e il ragazzo accanto a me fa per protestare ma poi lui scuote
il capo facendogli cenno di andare.
“E’
sicuro?” chiede il ragazzo perplesso.
Anche
lui lo sa.
Anche
lui è a conoscenza di qualcosa che a me negano!
“Che
cosa non volete dirmi...” mormoro piano fissandoli entrambi.
L’infermiere arrossisce con fare colpevole ma il medico scuote il capo “Non
possiamo ridarti i tuoi ricordi devi ritrovarli da solo...” sentenzia duro
mentre il do’aho sfugge il mio sguardo mordendosi le labbra a disagio.
“Maledizione!” sbottò inferocito facendo un passo avanti con rabbia.
Ho
una voglia tremenda di tirargli un pugno!!
Ma
non ho tenuto conto della debolezza del mio corpo e oscillo, pericolosamente, in
avanti.
Cadrei, se il medico prontamente non lasciasse la sua cartellina per afferrarmi.
Mi
abbraccia, sostenendomi, mentre io dimentico la rabbia troppo stordito da questa
sensazione.
Calore.
Dolce.
Rassicurante.
Protettivo.
Sono
già stato tra le sue braccia.
Mi ha
già stretto con gentilezza a se.
Lo
sapevo!
Lo
sapevo, maledizione!
Sollevo lo sguardo affondando nei suoi occhi scuri, spalancati, in attesa.
Eppure mi manca ancora qualcosa.
C’è
qualcosa di sbagliato.
Come
accade con quella sensazione riguardo l’infermiere.
Ora
dovrei averne la certezza, no?
Lui è mio padre.
Dev’essere
mio padre, non c’è altra spiegazione.
Eppure... eppure se inserisco la chiave ‘PADRE’ associata a lui, nella mia
mente, ancora la serratura non scatta.
La
password è sbagliata.
Manca
quel maledetto tassello.
Mi
manca quell’unica informazione che mi consentirebbe di arrivare alla soluzione.
“... lo sai che giorno è oggi...?”
Perchè mi ritorna alla memoria questa domanda?
Che
significato ha?
“... lo sai che giorno è oggi...?”
Che
giorno era?
Che
cosa manca?
“... non puoi averlo dimenticato!! Oggi e l’undici ottobre!!...”
E
allora?
Che
cosa c’è di così dannatamente importante nell’undici ottobre?
“Lo sa che giorno è oggi?”
“L’undici ottobre duemila e cinque”
L’undici ottobre.
Ancora l’undici ottobre.
Perchè?
Perchè è così importante?
Lo
sguardo mi scivola sull’infermiere, immobile, in piedi di fronte a noi.
Lo
guardo cercando in lui una risposta a queste domande assillanti ma lui sfugge
ancora i miei occhi abbassandoli sul pavimento.
Sui fogli sparsi a terra.
E lo
vedo sbiancare all’improvviso.
Il
medico, che ancora mi tiene tra le braccia, segue il suo sguardo e sussulta
sonoramente, lasciandomi per precipitarsi a raccogliere i documenti.
Ma
non è abbastanza veloce.
Non
fa in tempo a strappare dalla mia vista quel foglio uguale a tanti altri su cui
però è attaccata la mia fotografia.
Quel
foglio su cui, in grassetto, in alto, campeggia la data del mio ricovero.
L’undici ottobre....
L’undici ottobre..... 1988.
Non
era il giorno su cui dovevo concentrarmi.
Era
l’anno!!!
Mi
hanno ricoverato... vent’anni fa?
“Come... com’è possibile...?” ansimo.
L’infermiere si avvicina passandosi una mano tra i capelli....
Fisso
le dita abbronzate scorrere tra le ciocche... nere...
Sono
nere!!!
Il
particolare che stonava... la cosa che non mi tornava....
“Ti
hanno ibernato...” mormora piano “...hai dormito per vent’anni finchè non sono
riusciti a trovare una tecnologia che avrebbe permesso di estrarre l’embolo che
si era formato nel tuo cervello...” spiega lentamente.
“Il
dottor Sakuragi ha dedicato tutta la sua vita alla ricerca...” sussurra piano.
Il
dottor... Sakuragi....?
Sbarro gli occhi tornando a fissarlo.
I
suoi occhi scuri, carichi di un dolore antico, di quell’eterna, dolorosa,
attesa...
I
suoi capelli rossi brizzolati, prematuramente, sulle tempie.
Il
dottor... Sakuragi...
Hanamichi Sakuragi....
Il
mio... “Hana...?” ansimo incredulo e nel momento stesso in cui questa
parola si libera nell’aria tra noi, i miei ricordi rompono gli argini
riversandosi nella mia mente.
La
password giusta.
Lui...
Era
lui...
La
sua voce....
Quel
“...dormi...” carico di dolore...
Quel
giorno di tanti, tantissimi anni fa...
Ero
uscito in bicicletta per andare a casa sua....
Era
il nostro anniversario...
Il
nostro primo anno insieme....
Ascoltavo la musica nel walkman pensando a lui e a quel nostro amore che
sembrava così grande, così puro, chiedendomi se la nostra storia sarebbe durata
come speravo, se il nostro era davvero quell’Amore con la A maiuscola che molti
cercano senza mai trovare.
Ora
ho la mia risposta.
“Kaede...” sussurra piano avvicinandosi a me.
Gli
butto le braccia al collo stringendomi a lui senza nemmeno lasciarlo finire.
“Hana!” sussurro stringendolo con forza.
“Oh
Kaede...” ansima abbracciandomi forte “..non sai quanto ho aspettato... quanto
ho pregato per questo momento...” sussurra con voce che trema d’emozione.
“Ho
scelto Ryo come tuo infermiere...” mormora contro i miei capelli “...perchè
speravo che ti ricordasse me...” sussurra piano “...e quando l’hai chiamato
do’aho..” ansima stringendomi più forte.
“Credevo di morire Kaede.. credevo che.. ricordassi... ma poi... poi...” gli
passo una mano sulla schiena e affondo meglio il viso contro la sua spalla.
Questo calore familiare.
Così
dolce e protettivo.
Quante volte dopo aver fatto l’amore sono rimasto così.. tra le sue braccia...
Come
ho fatto a non ricordarlo subito?
Come
ho potuto dimenticarlo...
“Credevo.. credevo che avresti finito per innamorarti di lui..” mormora piano.
“Do’aho!” sbottò sollevando il capo di scatto fissandolo arrabbiato.
Lui
mi sorride.
Un
sorriso finalmente gioioso, libero dal dolore che gli segnava i lineamenti.
Un
sorriso che gli restituisce quei vent’anni che ha perduto per salvarmi.
“Baka
kitsune!!” mormora piano “...ti amo...”
Scuoto il capo lentamente, incredulo.
Tutto
questo è così... così...
“Lo
so do’aho...” gli soffio sulle labbra prima di chiudergliele con le mie.
Sprofondiamo in un bacio lunghissimo che, nonostante il tempo, il dolore, e le
avversità ha ancora quel sapore forte, fresco e vivo di tanto tempo fa.
La
sua mano destra mi sorregge mentre la sinistra scivola ad accarezzarmi la
schiena.
Mugolo piano staccandomi dalle sue labbra con il fiato corto e il volto
lievemente arrossato.
Ryo
batte le mani felice e gli altri pazienti gli fanno eco, le facce curiose che
spuntano dalle varie camere da cui ci hanno spiato.
Hana
diventa rosso come i suoi capelli ricordandosi dove si trova e che ora è un
famoso professore nonchè primario di una clinica privata e io sbuffo scuotendo
il capo mentre lo vedo ordinare a tutti di farsi gli affari propri, minacciando
testate...
Certe
cose non sono cambiate....
Quando la situazione si è un po’ quietata mi accompagna nel suo studio.
Rimaniamo in silenzio per tutto il tragitto finchè non mi fa premurosamente
accomodare sul divanetto che occupa la parete destra.
Si
siede accanto a me fissandomi lievemente impacciato.
“Ho
aspettato così tanto questo momento e adesso... non so nemmeno...” scuote il
capo senza trovare le parole.
“Kaede io... noi... sono cambiate tante cose...” sussurra abbassando lo sguardo.
Hey!
Un
momento che diavolo sta dicendo?
“Che
vuoi dire...?” chiedo con voce glaciale.
“Io... bhe... ho quasi quarant’anni ormai...” mormora piano.
“E
allora...?” mormoro senza capire.
Per
un momento ho avuto il terrore che mi dicesse che si era sposato...
Lui
mi fissa serio e io trattengo il fiato per un lungo istante: “Sono troppo
vecchio per te...?” chiede piano.
Sbarro gli occhi incredulo.
“Do’aho!!” sbotto, scuotendo il capo tra il divertito e l’esasperato.
Adesso lo sistemo io...
“Hmm...” mormoro fingendomi pensieroso “...forse sei davvero troppo vecchio...”
rifletto tra me e me osservandolo sussultare “..probabilmente a quest’età non
reggeresti il ritmo..” sussurro malizioso lanciandogli un’occhiata molto
esplicita.
Lui
sbarra gli occhi incredulo prima di diventare bordò.
“Stupida volpe demente!!” tuona sbattendomi contro i cuscini del divano “...ti
faccio vedere io!!”
Non
ha perso la sua forza in questi anni.
Faccio scorrere le mani sulle sue braccia che mi tengono le spalle contro i
cuscini accarezzando i muscoli tesi sotto la stoffa candida del camice.
“Non
voglio altro...” gli rispondo beandomi del suo rossore.
Il
mio innocente do’aho... arrossisce ancora... come allora...
China
il capo e mi sfiora le labbra con dolcezza, l’irruenza di pochi istanti fa già
dimenticata.
“Ti
amo...” glielo mormoro sulle labbra scrivendo queste due parole contro la sua
pelle, con la mia pelle.
“Kaede...” sussurra un ultimo dubbio negli occhi scuri.
Questi occhi che mi hanno seguito, abbracciato, protetto così a lungo.
Non
voglio più vedere domande in essi.
Solo
la certezza del nostro amore.
Lo
fisso, piantando la mia determinazione sul suo viso.
Guardami Hana.
Non
c’è dubbio, ripensamento o paura sul mio volto.
Ti
amavo, ti amo, e ti amerò per tutto il tempo che verrà.
Mi
sorride e nel suo sguardo si accendono raggi di sole dorato.
Questo è il mio Hana.
Il
mio forte, indistruttibile, inarrestabile, do’aho.
“Ti
amo..” lo ripeto piano, un’ultima volta ancora.
E lui
mi risponde con dolcezza come ho fatto poco prima io.
“Lo
so... baka kitsune...”
fine...
Vai all'Archivio Fan Fictions |
Vai all'Archivio Original
Fictions
|
|