Ringrazio:
- Gaia che mi ha dato la possibilità di fare l'esperienza di scrivere una
storia a due mani (-_- se non ci fosse stata lei a dar brio alla vicenda
non so proprio cosa avrebbe potuto saltarne fuori).
- Mty , Maria e June per aver contribuito alla lontana ispirazione in quel
ventoso giorno tra i ruderi di un suggestivo monumento storico (;-; mi
immagino ancora i due puccioti far ritorno su quella grata "rugginosa" per
un BIP di tutt'altro genere :).
Finiti i ringraziamenti, vi saluto (assieme naturalmente a: Gaia, mty,
Maria e June).
Ciao e.... grazie coraggiosi lettori.
i
Una
speranza nel cuore, Una ferita nell'anima
di Gaia e Mokuren
parte IV
Era ormai pomeriggio inoltrato quando raggiunse il limitare del campo di
battaglia; il sole al tramonto, tingendo di una soffusa luce rossastra il
terreno, rendeva quel luogo uno spettacolo desolante. La battaglia si era
definitivamente conclusa, lo dimostrava il silenzio innaturale che
permeava quel luogo desolato.
Roland, ancora nascosto dal verde del bosco, si approssimò al suo
limitare, senza però uscire dalla sua sicura ombra per evitare di esser
scorto da eventuali sentinelle in perlustrazione; avvicinandosi però il
più possibile per cercare di vedere quanto più poteva, sperando così di
comprendere l'esito del conflitto.
Vide uomini miserabili che si aggiravano tra i cadaveri spogliandoli di
tutto quello che poteva avere anche un minimo valore, lasciandoli poi
scomposti sul suolo ricoperto di sangue, povere anime abbandonate e gia
dimenticate che sarebbero state sepolte, la mattina successiva, in fosse
comuni, senza lapide ne onore, senza una sola parola di cordoglio o un
bisbiglio di preghiera, sepolti e non lasciti alle ingiurie degli animali
solo per evitare epidemie... che fine miserevole.
Non voleva pensarci, non voleva vedere quello che un giorno avrebbe potuto
essere anche il suo destino; si concentrò sui propri problemi: se la
battaglia era finita evidentemente c'era stato uno sconfitto ed un
vittorioso, ma chi era l'uno e chi l'atro? Roland non sapeva cosa si
sarebbe trovato dinnanzi una volta raggiunto il maniero, se voci festose
per la vittoria, o urla disperate di sconfitti torturati; in cuor suo
pregava affinché la battaglia fosse stata persa, sperava che Hermin fosse
stato finalmente sconfitto e condannato a quel che meritava se non
addirittura morto, ma in tal caso come avrebbero accolto lui e il suo
prezioso compagno che giaceva ancora privo di sensi tra le sue braccia?
Lo avrebbero curato o, in quanto nemico, lo avrebbero condannato e
lasciato morire?
Questo purtroppo non gli era dato saperlo, una cosa però era
inevitabilmente certa, il palazzo di re Hermin era l'unico luogo dove
avrebbe potuto portare Arabin con la speranza che gli venissero prestati i
soccorsi necessari, nelle vicinanze non c'era nessun altro luogo dove
potersi rifugiare, non un convento, non un monastero; Re Hermin aveva
disperso ogni ordine ecclesiastico, aveva "gentilmente convinto" tutti: ad
andarsene o a seguirlo salvando la vita solo ai contadini che pagavano gli
esorbitanti tributi da lui imposti.
Proseguì rientrando nel bosco. Prima o poi avrebbe dovuto attraversare il
campo di battaglia, uscire allo scoperto e sperare in una buona sorte.
Roland era completamente assorto nei suoi pensieri e quasi non si accorse
che Fasar si era fermato.
"Randolf. Aiutami." Una voce distorta dal dolore, ma boriosamente
riconoscibile lo riportò alla realtà.
Roland rimase immobile, stringendo maggiormente a sé il corpo svenuto del
compagno.
Riverso a terra, completamente coperto di sangue e di fango giaceva il
corpo di re Hermin.
"Cosa fai soldato!.... scendi.." un accesso di tosse, che scosse quel
corpo martoriato, interruppe per un attimo quelle parole gracchiati "...
scendi immediatamente da cavallo e.... aiuta il tuo re."
Roland guardava il suo nemico riverso a terra. Doveva avere ferite
profonde sul petto, una gamba rotta e uno squarcio verticale che
congiungeva l'occhio sinistro con la bocca ad ornare il volto. Sentì il
sangue ribollirgli e la rabbia iniziare ad urlare nella testa.
"Maledizione raga... zo, mi hai sentito? Lascia quella feccia e vieni ad
aiutar...mi." Le ultime parole erano quasi un rantolo rabbioso
Roland, di fronte a quegli insulti, si sentì sommergere dall'ira, avrebbe
voluto smontare si, ma solo per dare a quel cane il colpo di grazia.
"L'unica feccia che vedo è davanti a me."
Re Hermin strabuzzò gli occhi.
"Lurido bastardo.... come osi... tu..." Un nuovo attacco di tosse
interruppe il discorso sbraitante.
"E chiamarti "feccia" è un atto di gentilezza."
"Schifoso ragazzino..., appena avrò ripreso le forze... ti ucciderò per...
questa insolenza."
Re Hermin, con le ultime forse residue, guidato da un cieco e assurdo
furore, cercò la spada, ma al suo fianco c'erano soltanto foglie e rami
secchi.
Roland rise, cattivo, acido, dall'alto della cavalcatura, mentre Hermin
cercava affannosamente di rimettersi in piedi.
"E' inutile che ti agiti così, non ti rendi conto che la morte ormai ti
alita sul collo, arrenditi e di addio alla tua miserevole vita con un
minimo di dignità, quella che non hai mai avuto sino ad oggi. Non potrai
sfuggire al tuo destino Hermin, stavolta nessuno verrà ad aiutarti, sarai
solo, solo come meriti di essere, solo come uno spietato assassino quale
tu sei, deve morire."
"Bastardo. Traditore.... maledetto. Uno come te si.... Io lo posso...
uccidere... anche senza spada!"
Roland si tese:
"Non farmi venire l'assurdo desiderio di uccidere un verme disarmato e
moribondo quale tu sei."
Hermin rispose con una risata bruscamente interrotta da un attacco di
tosse.
"Oltre ad essere... insolente, sei pure... stupido." ansimava, il volto
paonazzo nello sforzo di alzarsi.
"Il ragazzino non vuole uccidere.... un uomo disarmato! Che idiozie
sento.... pronunciare dalle labbra... di un mio soldato."
A quelle parole lo sguardo di Roland si fece di ghiaccio:
"Da un maiale assassino come te non potevo aspettarmi altra risposta."
Si stava trattenendo per non saltare giù dal cavallo e strangolarlo con le
sue stesse mani. Stringeva spasmodicamente le briglie e teneva serrato a
se Arabin, nel tentativo di non farsi trascinare dall'ira e dalla rabbia.
Aveva aspettato così tanto il giorno della vendetta, ma non poteva, in
nessun modo, per nessuna ragione uccidere un uomo disarmato e ferito,
neppure per ripagare la morte del padre e della madre; il suo onore, gia
macchiato dalle sue azioni, ma ancora presente era l'unica cosa integra
che gli restava e non l'avrebbe calpestato per assecondare la sua ira.
"Da uno smidollato idealista... non c'è da aspettarsi altro vero...
ragazzo!? Non ucciderò un uomo disarmato!" disse Hermion scimmiottando la
voce di Roland. E riprese a ridere sguaiatamente, respirando, tossendo,
rantolando. "Questi sono i discorsi di... un debole, di un vile codardo!
Chi ti ha insegnato tali... baggianate, tuo padre!? Di sicuro un cane
rognoso come te che sarà morto seduto su una lurida latrina."
A quell'insulto Roland sbiancò ed un furore assassino si impossessò di
lui:
"Non osare mai più dire una cosa del genere!"
Urlò.
"Non ti permetterò di offendere la memoria di mio padre."
Roland appoggiò Arabin sul collo di Fasar e scese da cavalo, andando verso
re Hermin, che nel frattempo era riuscito a mettersi in piedi.
Occhi fiammeggianti, la mascella contratta, i muscoli tirati, la mano che
stringeva l'elsa della spada, pronto a staccare di netto la testa di
Hermin.
Si fermò ad un passo, in preda all'ira, combattendo contro se stesso per
non venire meno agli insegnamenti che aveva ricevuto. L'onore, insieme
alla ricerca strenua ed indefessa della verità, erano i due punti
cardinali su cui si era basata tutta la vita del padre; a uno di questi
era gia venuto meno non ascoltando le parole di Arabin e condannandolo
senza concedere possibilità di difesa, non avrebbe calpestato anche
l'alto, no! Neppure davanti all'evidente tentativo di quel viscido uomo
che cercava una spada su cui morire con l'onore che non aveva, ma non
l'avrebbe accontentato, anche se, in quel momento, ucciderlo gli sembrava
la cosa più bella e giusta che potesse esservi.
Concentrò tutta la sua ira in unico gesto e sputò in faccia a Hermin.
"Non hai il diritto di nominare mio padre, lurido verme."
Una nuova, sguaiata, risata stridula eruppe da quella sudicia bocca.
"Tuo padre? Perché... hai anche un padre? Ma se sei figlio... di una
scrofa e di un caprone! E si sa, i caproni... non hanno onore, hai solo
ragione su un punto, è inutile.... nominarli, sarebbe solo uno spreco di
fiato...." sbraitò sguaiato, prima di balzare, concentrando le poche forze
rimaste, contro il ragazzo che restava in piedi , contratto, teso e rigido
per evitare di saltargli al collo.
Una mossa assurda, lenta e impacciata che Roland non ebbe difficoltà a
schivare evitando di essere colpito; vide solo il corpo di Hermin cadere a
terra, accompagnato dal suono di ossa fracassate; l'uomo aveva picchiato
la testa sopra una roccia e una profonda ferita campeggiava adesso sulla
sua fronte. Respirava a fatica, annaspando, guardando con odio il ragazzo
che troneggiava sopra di lui, con un ghigno cattivo sul volto imbrattato
di sangue e contratto dal dolore.
"Non avrai anche il briciolo d'onore che ancora mi resta. Non ti ucciderò!
Ma non ti aiuterò, se riuscirai a sopravvivere, cosa che dubito, ci
rincontreremo e allora stai sicuro che morirai, morirai infilzato dalla
mia lama, dalla lama di un tuo antico rivale, dalla spada di un ragazzino
che risparmiasti 10 anni fa dopo aver vilmente trucidato la sua famiglia,
all'ora dicesti che, risparmiandomi, sarei tornato per vendicarmi, mai tue
parole furono più esatte, eccomi! ho solo sbagliato l'oggetto del mio odio
e di questo non mi pentirò mai abbastanza.... Vedo dai tuoi occhi che
inizi a comprendere, si, sono io, quello che è stato salvato dal coraggio
di quel ragazzo adesso privo di conoscenza che hai chiamato "feccia" e che
invece è un tesoro, un inestimabile tesoro che, tu non hai mai meritato,
che, come me, hai umiliato, tradito e ferito e che io ho odiato per colpa
tua. SI! Sono Roland dei Garebar, il figlio di re Jeor sopravvissuto e
tornato per vederti morire come meriti."
Le ultime parole di quel discorso però non furono udite da Hermin che, ad
occhi spalancati, ancora fissi su Roland, aveva esalato il suo ultimo
respiro.
Finito, era finalmente finito il suo incubo. La morte di quell'uomo
segnava la fine del passato e l'inizio di una nuova vita.
Si piegò sul cadavere di quell'uomo, adesso non più un re, ma solo un
cadavere insanguinato e gli chiuse gli occhi.
"In fin dei conti sei stato solo un povero disgraziato privo d'amore. Solo
nella vita come lo sarai adesso nella morte; io, da parte mia, spero solo
che tu non riesca trovare, neppure adesso, la pace che non meriti."
Con un gesto rapido strappò dal cadavere il medaglione che portava al
collo, il sigillo del Re. Guardò il corpo un istante e tornò verso Fasar,
che era rimasto fermo poco lontano.
Non aveva più tempo. Forse i lupi si sarebbero occupati del cadavere,
sempre se non schifavano quella carogna.
Risalì in groppa al destriero e lo spronò verso il maniero.
^^^^^^^^^
Sulla torre sventolava uno stendardo che non conosceva. Si avvicinò al
ponte levatoio, ma fu subito intercettato e fermato da un soldato che
vestiva dei colori sconosciuti.
"Chi siete?" Apostrofò così la guardia, indicando Roland e Arabin.
"Non un vostro nemico! Ti prego di farmi passare, quest'uomo è ferito e ha
immediato bisogno di cure."
"Hai addosso i colori del signore sconfitto. Non posso farti entrare."
E detto questo chiamò a raccolta i soldati.
Una decina di armigeri circondarono Fasar sguainando le spade e
puntandogliele contro con atteggiamento evidentemente ostile, poco dopo
tutt'intorno si accalcarono i servi del maniero che avevano rinnegato
Hermin quale loro re, giurando fedeltà al nuovo signore, curiosi di
assistere a qualsiasi spettacolo quella scena gli avrebbe offerto.
In quel momento si udì una voce che sovrasto il brusio circostante.
"Cosa accade? Fate largo."
Il capo delle guardi si fece strada tra la folla.
"Chi sei soldato, che osi entrare in questo maniero con addosso quei
colori."
"Ve lo dirò, vi spiegherò tutto quello che vorrete sapere, ma prima
portate quest'uomo dal cerusico, è ferito e febbricitante, non può
attendere oltre." Rispose deciso Roland.
"Chi è quell'uomo?" Additò il capo delle guardie, mentre i soldati si
facevano più vicini e minacciosi.
"Che importa. E' un ferito che necessita cure e anche se fosse un vostro
avversario, non potete negargli assistenza. Se è colpevole di qualcosa non
potete esser voi a deciderlo condannandolo a morte e lasciandolo perire
qui." Roland parlo con tono secco ed autoritario. Non poteva permettersi
di perdere altro tempo.
Un soldato si avventò contro Fasar, che nitrì e scalpitò. Roland lo
trattenne con forza, ma Arabin fu sbalzato a terra. Il colpo lo riportò
bruscamente alla realtà.
Arabin si guardò intorno, spaesato. Uomini armati, vociare, grida acute,
occhi sospettosi, facce mai viste.... Chiuse gli occhi. Perchè mi hai
riportato qui, Roland? Perchè non mi hai lasciato tra gli alberi? Pensieri
per cui avrebbe voluto avere una risposta, ma che non riusciva a esprimere
a parole, e poi la sua voce si sarebbero di sicuro persa tra il clamore
circostante.
Alla vista del compagno a terra, con gli occhi chiusi, immoto, Roland
scese da cavallo e si lanciò sul corpo sdraiato.
"Arabin .." Quel nome echeggiò tra le mura di cinta del maniero, talmente
forte che tutti si zittirono.
Arabin riaprì gli occhi e afferrò una manica di Roland, regalandogli un
mezzo sorriso, come a dire che ci voleva ben altro per levarlo di torno.
"E' lui!" Era la voce isterica di una vecchia.
"E' lui! E' lui!" Continuava a ripetere la voce accusatoria.
La donna fu portata al capo delle guardie.
"Che dici vecchia?" Apostrofò l'uomo.
La vecchia additò il corpo sdraiato in terra.
"E' lui. Il figlio di re Hermin." disse, sputando in terra alla pronuncia
del nome dell'ex-signore.
Un brusio si diffuse tra la gente, mentre le guardie si avvicinavano,
spada alla mano, ai due giovani.
Roland si alzò in piedi.
"Fermi!" Gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Il suono sembrava
uscito dalle viscere della terra, tanto che anche il capo delle guardie si
stupì.
"Che cosa succede?" Dal maniero era uscito un gruppo di uomini finemente
vestiti, scortati da un manipolo di guardie armate. Arrivati dal capo
delle guardie ripeterono la domanda.
"Sembra che quest'uomo sia il figlio di Hermin." rispose la guardia.
"Chi sei?" chiese l'uomo a Roland.
"Non quello, Signore, l'altro." ed indicò il ragazzo ancora sdraiato in
terra.
"Tu sei il figlio di Hermin?"
Arabin annuì.
"Hermin è stato sconfitto ed è scappato. Cosa ci fai tu qui?" Chiese con
durezza.
"No. Hermin è morto." Rispose Roland, porgendo il sigillo all'uomo davanti
a lui.
Un brusio squarciò il silenzio irreale che aveva avvolto tutta la scena.
Roland guardò per un istante l'uomo che aveva davanti e poi volse gli
occhi verso Arabin, nella speranza di non trovare odio nei suoi occhi.
Arabin lo guardava, interrogativo. Erano successe troppe cose tutte
insieme e la sua mente non era lucida. Non riusciva a stare dietro al
rapido evolversi dei fatti, aveva capito che Hermin era morto, che era di
nuovo nel maniero, che Roland lo stava difendendo, che si sentiva male, il
dolore alla spalla, e poi un bruciar diffuso in tutto il corpo, e altri
ricordi si sovrapponevano gli uni agli altri.
"Ragazzo, sei stato tu a uccidere Hermin?" chiese l'uomo.
Roland scosse la testa:
"Non sono stato io, anche se avrei voluto, è morto sul campo, io ho solo
trovato il suo corpo." Disse fissando intensamente il volto del compagno.
"Chi sei?" chiese nuovamente l'uomo, dirigendo stavolta la domanda verso
Roland.
"Fate curare quest'uomo..." rispose a sua volta l'interrogato indicando
Arabin. "... ed io risponderò a tutte le vostre domande."
Improvvisamente la folla divenne ancor più rumorosa iniziando a stringersi
attorno ai soldati e gridando in maniera scomposta:
"Non ascoltatelo! Chi ci dice che non stia mentendo per proteggere il loro
signore?!"
"Giustiziateli entrambi! Sono solo dei luridi nemici."
"Se è vero che Hermin è morto ha avuto solo quel che meritava."
Le urla si facevan sempre più pressanti e alla folla di sbraitanti curiosi
si unirono anche molti dei soldati che chiedevano di giustiziare quei due
nemici intrusi.
Roland a quel punto si alzò in piedi cercando di superare, con la voce,
quel bocio assordante.
"Se volete giustizia, siate giusti. Processatelo, ma dategli la
possibilità di sapere di cosa è accusato e di difendersi. Prima curatelo e
poi lasciate che i giusti si occupino di lui." Roland si era rivolto alle
guardie che avevano già alzato le spade, riuscendo a distoglierle dal loro
intento.
Sapeva che le cose non si stavano mettendo bene. C'erano poche possibilità
di uscirne vivi, possibilità che erano quasi inesistenti per Arabin,
macchiato dalla "colpa" di essere figlio dell'antico tiranno. Ma forse una
possibilità, se pur piccola, c'era e lui avrebbe fatto di tutto per
trovarla, intanto doveva riuscire a farlo curare, e poi avrebbero trovato
una soluzione, magari sarebbero fuggiti o chissà cosa altro. Doveva solo
affrontare un problema per volta.
"Quest'uomo è saggio ed ha ragione. Portate il ferito dal cerusico e
tenetelo sempre sotto stretta sorveglianza."
Roland si spostò di malavoglia mentre le guardie circondarono Arabin. Il
ragazzo si alzò con un notevole sforzo sotto gli occhi impotenti di Roland,
e barcollando, seguì le guardie.
"Ed ora ragazzo, dimmi chi sei."
"Mi chiamo Roland. Ero un soldato al servizio di Hermin." Rispose.
"E allora perchè lo volevi veder morto?"
"Per vendicare la morte di mio padre; di mia madre e della mia gente."
"Della tua gente?"
Improvvisamente un'altra voce, pose la domanda successiva:
"Chi era tuo padre ragazzo?" l'interrogativo era stato posto da un uomo
che si era fatto largo tra la folla, un nobiluomo canuto ma robusto,
finemente vestito e al cui fianco pendeva una sciabola con sull'elsa uno
stemma che a Roland non era completamente sconosciuto.
"Jeor dei Garebar" rispose con voce autoritaria.
"Jeor dei Garebar, e tu sei dunque Roland dei Garebar?"
"Non esiste più la casata dei Garebar. Io ero Roland dei Garebar, ora sono
solo Roland, soldato di ventura."
L'uomo gli sorrise benevolo, poggiandogli una mano sulla spalla:
"Vieni con noi Roland, Roland dei Garebar." Poi, rivolgendosi ad un
soldato, ordinò che il cavallo del giovane fosse portato nella stalla e
adeguatamente accudito.
Roland, dopo esser stato disarmato, seguì gli uomini che rientravano nel
mastio.
^^^^^^^^^^
Quanti giorni erano trascorsi dal momento in cui era stato "gentilmente"
rinchiuso in quell'angusta cella? Non riusciva a ricordare, per diverso
tempo era sto avvolto in uno strano stato sempre in bilico tra coscienza
ed incoscienza a causa della febbre e della ferita infetta; era solo
sicuro che, da quando era tornato in se, dovevano esser passate altra due
notti. Cosa stava accadendo, dove si trovava Roland, cosa gli era
successo? Quell'attesa inutile, quelle assurde cure, perché non venivano
da lui e gli dicevano che era stato condannato, perché lo curavano se il
suo destino, come unico figlio di Hermin, era quello di venir giustiziato
come traditore della corona.
Arabin era talmente perso nei suoi pensieri che non sentì aprirsi la
pesante porta della cella da cui entrò il vecchio cerusico che, come ogni
giorno, era venuto a medicare le sue ferite.
"Buongiorno figliolo, vedo che oggi stai molto meglio, mi sembra che la
febbre sia completamente passata, il tuo colorito è tornato normale,
adesso controlliamo la spalla e cambiamo la medicazione." Disse il vecchio
con voce appesantita dagli anni, guardandolo a lungo per intravederlo
nell'oscurità umida della angusta prigione.
Arabin, seduto sul pagliericcio, fissò l'uomo, rendendosi conto solo in
quel momento di chi esso fosse, grato di poter vedere qualcuno.
"Haglik, è così che vi chiamate vero?"
Il vecchio annuì.
"Haglik, ditemi da quanto tempo sono rinchiuso qui dentro?"
"Sono sei giorni con oggi."
Sei giorni. Era dunque in quella cella già da sei giorni e non aveva la
benché minima idea di cosa stesse accadendo. Si ricordava che il maniero
era stato espugnato, il padre morto, si ricordava le voci dei soldati e
della folla che chiedevano a gran voce la sua morte e Roland che lo aveva
difeso, rischiando le ire del nuovo signore, ma poi non c'era più nulla.
Un sospiro pesante uscì dal suo petto.
Il Cerusico gli si avvicinò dolente, cercando di rivolgergli un sorriso
incoraggiante:
"Ragazzo, fatevi coraggio, non abbattetevi così, fatemi controllare la
ferita, cercate di riprendervi completamente, poi..."
"Poi... non c'è un POI per me; il mio destino è chiaro Haglik, chiaro come
la luce del sole che brilla fuori da questa cella."
Le brusche parole del ragazzo gelarono il timido sorriso che si era
formato sul volto del vecchio, che sapeva bene quale sorte fosse in serbo
per quel povero giovane.
"Scusa Haglik, so che cerchi di esser gentile con un condannato, ma... è
inutile, a questo punto solo avere delle risposte alle mille domande che
mi tormentano potrebbe aiutarmi... ma non sono sicuro che mi aiuterebbero
a star meglio.... Haglik, potete dirmi cosa sta succedendo fuori di qua?"
Chiese Arabin distrattamente fissando le alte grate della sua cella.
Per quanto sentisse già il ferro mordergli le carni, non ce la faceva più
ad udire solo i rumori attutiti che filtravano dalle spesse mura, aveva
bisogno di sentire ancora il suono della voce umana per sapere che non era
completamente affondato nel nulla delle prigioni, ed il vecchio era
l'unico filo che lo legava al mondo esterno.
"Stanno decidendo come amministrare le terre e i possedimenti di tuo
padre."
"Mio padre! Dannazione, mi perseguita anche dopo morto!" il ragazzo
s'infuriò, sbattendo un pugno sul pagliericcio umido.
"Vana speranza la mia, eh vecchio.... che la memoria umana potesse
scivolare nell'oblio del tempo! Dopo così tanti anni vengo ancora
riconosciuto come figlio di colui che mi ha generato, perché solo quello
ha fatto per me."
Le parole, intrise di triste consapevolezza, si spensero nel buio della
cella.
"La memoria degli uomini forse avrebbe potuto anche dimenticare, ma non
quella delle madri in pena per la sorte dei propri figli...."
Arabin, a quelle parole, si fece ancora più cupo di prima; gli tornò alla
mente il volto, sbiadito dal tempo, di sua madre; morta senza che a lui
fosse concessa la possibilità di darle neppure l'ultimo addio. Ormai non
si ricordava più molto di lei: la dolcezza del volto, il colore dei fini
capelli che le incorniciavano il l'ovale del viso, la tristezza negli
occhi; la tristezza di una donna che conosceva gia le angherie del mondo e
di un marito e signore despota e crudele.... Povera madre, chi sa se lei
era riuscita a mantenere di suo figlio un immagine viva, se era riuscita a
non dimenticarlo... probabilmente, presto si sarebbero rivisti.
Il vecchio, scambiando il suo silenzio per curiosità, proseguì con le sue
spiegazioni:
"....una donna delle cucine, una vecchia aiutante che aveva un figlio tra
le fila dei soldati, ha barattato la sua vita per la tua. Ha chiesto di
risparmiare il proprio figlio ed in cambio ha assicurato, giurato e
spergiurato che Hermin aveva ancora un erede in vita che lei avrebbe
potuto riconoscere. Quando siete arrivati vi ha additato, riportando alla
luce ciò che era sepolto ormai dalla polvere del tempo."
Arabin, alla chiarezza del ricordo riportatogli alla mente da quelle
parole, si riscosse, se il vecchio sapeva come si erano svolti i fatti al
loro arrivo, probabilmente conosceva anche le sorti di Roland:
"Dimmi Haglik, sai anche cosa ne è stato del giovane che era con me il
giorno del nostro arrivo?" Chiese con curiosità bruciante.
Il vecchio si stupì dello strano fuoco che aveva animato la domanda.
"Chi!? L'erede dei Gabear?" chiese a sua volta.
Arabin annuì, facendosi più vicino, per non perdere neanche una parola del
vecchio.
"Quel Ragazzo è stato riconosciuto come il nobile erede della sua
scomparsa dinastia e come tale reintegrato nel suo ruolo; è tenuto in
somma considerazione dai nuovi padroni. In particolar modo dal più
anziano, un uomo da tutti riconosciuto come saggio e giusto."
Roland era salvo e al sicuro dunque; ecco la prima buona notizia da quando
era stato rinchiuso la dentro, adesso non aveva più preoccupazioni,
avrebbe accettato il suo destino a testa alta, qualsiasi esso fosse,
rassicurato dal fatto che il suo Roland non correva più pericoli.
Il cuore però, nonostante la ragioni gli dicesse di rallegrarsi, era
dolente, probabilmente non avrebbe più visto il suo amato compagno, chi
sa, nonostante ciò che era successo a quel punto Roland l'aveva
dimenticato, impotente davanti a quel che era il destino del figlio di un
vile traditore.
Scosse la testa, non doveva tornare a crogiolarsi in desolati pensieri,
adesso sapeva ciò che desiderava e le rivelazioni fattegli erano positive
e l'unico sentimento che doveva provare era sollievo e gioia per la
persona che più amava al mondo.
Il vecchio nel frattempo si preparava a medicare la ferita alla spalla,
che, sebbene non si fosse infettata, era rossa, gonfia e metteva a nudo la
carne pulsante. Come si avvicinò per levargli la benda intrisa d'unguenti
e sangue rappreso, Arabin lo fermò con una mano.
"Vecchio, và di sopra e dì loro che sono in grado di affrontare ciò che mi
sta aspettando."
"Ma la ferita, non.."
"E cosa importa a questo punto? Ci saranno sicuramente altri che
necessitano più di me delle tue cure." rispose quasi con rabbia Arabin.
Il cerusico attese ancora qualche istante, con le bende strette in mano,
poi le ripose nella sacca di pelle che aveva a tracolla e si diresse
all'uscita, ma prima di varcare la porta, Arabin lo richiamò:
"Grazie Haglik! Ti sono grato per ciò che mi hai rivelato e per le cure
che mi hai prestato, so che vale poco, ma hai la mia gratitudine."
Il vecchio cerusico abbasso gli occhi e, con il cuore pesante all'idea del
triste destino che attendeva quel povero ragazzo, uscì dalla cella.
Rimasto solo Arabin venne assalito da quei dubbi che aveva cercato di
scacciare sin dal momento in cui aveva appreso le sorti di Roland, se
anche questo non avesse potuto far nulla per lui, se la sua intercessione
si fosse rivelata inutile davanti alle decisioni prese da quei nobili che
lo tenevano li rinchiuso, perché non si era fatto neppure vedere, non un
qualsiasi messaggio, non una visita, anche solo da dietro la porta della
cella; si sentiva abbandonato anche da Roland; quando erano entrati nel
maniero, si ricordava che lo aveva difeso, che aveva preso le sue parti,
gli occhi scuri che lo guardavano, preoccupati..
Non poteva essere solo frutto della febbre o della stanchezza, non si
poteva essere immaginato tutto. E se fosse stato solo per.. Per cosa?
Perché Roland aveva ancora addosso l'odore del suo corpo? Perché in quel
bosco si erano lasciati andare, dimentichi dei rispettivi antenati? Perché
vi era ancora un debole ricordo del piacere condiviso? Come un cliente che
sorride alla cortigiana, prima di abbandonare la sua stanza, ancora
satollo della notte trascorsa, ma pronto a dimenticarsene appena la luce
irrompe nel velo del piacere notturno? Perché si era pentito di cosa era
accaduto tra loro? Pentito di non aver preso, come lui si aspettava, ma di
essersi donato?
Al ricordo un brivido di piacere gli percorse il corpo; cosa, cosa stava
pensando Roland in quel momento, di lui... di loro.
Adesso le situazioni erano mutate. Roland era ridiventato Roland dei
Gabear, Hermin era morto, l'odio della vendetta placato dal sangue, lui
aveva rivisto quegli gli occhi blu sorridere, e aveva ancora nelle
orecchie le parole profumate di bosco fresco e di... di quello che a lui
era sembrato potesse essere amore? Evidentemente si era sbagliato,
scambiando il desiderio, l'urgenza, la brama per qualcosa che non era.
Dalle alte grate iniziò a filtrare la luce del sole che doveva esser gia
alto nel cielo. Non aveva più voglia di combattere per rosicchiare una
fetta di mondo dove costruire la sua tana. Se così doveva essere, prima
arrivava l'epilogo e meglio era per tutti, per lui in primis.
Il tempo non sembrava intenzionato a passare. La giornata strascicava
lenta nel buio della cella, nessuno che si affacciasse alla piccola
feritoia della porta di legno che lo separava dall'esterno, neanche per
insultarlo, neanche per offenderlo per la sua genia, meglio un odio
pronunciato a gran voce che l'oblio del silenzio della prigione. Perché?
Gli sembrava di diventar pazzo. Che lo uccidessero in quell'istante, con
una lama conficcata nella schiena invece di lasciarlo lì a marcire nei
suoi pensieri che non mostravano alcuna via d'uscita. Si accucciò sul
pagliericcio, cercando di rievocare il sapore del compagno di una notte
strappata all'odio, ma il sapore si mischiava alla tristezza, alla
solitudine. E pensare che per anni ed anni era stato lui stesso a cercare
quella solitudine adesso così tanto odiata. Spazzata via in una notte
febbricitante.
Non ne poteva più! Qualunque cosa succedesse, era sicuramente meglio di
quello che aveva adesso.
Proprio in quel momento, la porta fu spalancata ed entrarono due soldati,
uno di questi gli si avvicinò piantandogli una lama alla gola.
Il cuore di Arabin iniziò a battere veloce come un cavallo lanciato al
galoppo.
"Se fai una sola mossa ti sgozzo come un maiale." Gli sibilò quello che
teneva il coltello. "E sa iddio quanto vorrei farlo, per cui non mi
provocare." aggiunse brusco.
L'altro soldato gli strattonò le braccia davanti al busto. Il movimento
brusco riaprì la ferita. Arabin strinse le mascelle per non gridare ed
irrigidì i muscoli per non reagire alla provocazione, mentre la lama
sfiorava la pelle del collo incidendola leggermente. La garza sporca si
tinse nuovamente di vermiglio vivo.
Gli furono legati i polsi con un laccio di cuoio e lo spinsero fuori dalla
cella, colpendo volutamente sulla spalla sanguinante. Arabin non reagì.
"Allora, figlio d'un cane, sembra che stasera ci sarà spettacolo!" rise
sguaiato uno dei due.
"Si, e tu sarai l'attrazione principale" fece eco l'altro, ridendo
sguaiato.
Arabin smise di ascoltare. Il cuore che gli martellava in petto, la luce
che gli feriva gli occhi, il dolore diffuso in tutto l'arto, adesso
avrebbe fronteggiato il suo destino.
Fu portato all'esterno, dove lo attendeva una folla di genti e soldati.
Come arrivò alla luce del sole scese il silenzio. Si guardò intorno.
Riconobbe alcuni dei suoi ex compagni d'armi, vestiti dei colori dei nuovi
padroni; molti dei contadini e dei servi di un tempo adesso si erano posti
sotto la protezione del nuovo regnante, chiunque esso fosse; e uno spazio
vuoto, circondato e ben difeso dai soldati che avevano conquistato il
maniero.
Fu trascinato nel centro di quello spiazzo, mentre la folla iniziava a
gridare riempiendo l'aria con urla di morte.
Rimase in piedi, nel caos, con i suoi due forieri di morte posti ai lati,
con la fronte rivolta alla porta del castro e le grida della folla
inferocita che premevano sulle sue spalle.
Dalla possente porta uscirono altri soldati in tenuta da guerra e il
gridar della folla si spense.
Il tempo era come sospeso ed il silenzio calato talmente irreale da far
pensare all'istante che precede un terremoto.
Lentamente uscirono uomini finemente vestiti, con le facce segnate dal
tempo e dal sole, alcuni con i volti che portavano ancora i segni delle
battaglie sostenute. Via via che arrivavano alla luce del sole riconobbe
l'uomo che aveva ordinato che lo curassero, un nobile dai lineamenti
ruvidi e dagli occhi guizzanti e imperiosi, intravide la testa canuta
dell'uomo che aveva riconosciuto Roland, ed accanto a lui vide la scura
capigliatura dell'erede dei Gabeor. Il cuore perse un battito. Gli occhi
furono stregati dal ragazzo avvolto in un mantello blu, di un blu talmente
profondo da sembrare quasi nero, dello stesso colore dei capelli, e dei
suoi occhi; era splendido! le labbra che aveva baciato, la pelle che aveva
sfiorato, gli occhi che aveva visto riempirsi di dolcezza. Occhi che
adesso erano profondi come pozzi e irraggiungibili.
La sola presenza di quei nobili incuteva rispetto e riverenza, la folla,
inverosimilmente silenziosa, testimoniava la dignità e il potere che anche
solo le loro figure riuscivano a trasmettere.
Arabin sentì l'impulso di abbassare il capo, non solo per dimostrare
sottomissione e riverenza ai nobili davanti a lui, ma, soprattutto, per
non vedere quella creatura quasi marmorea da quanto sembrava rigida e
irraggiungibile. Avrebbe voluto tener nella mente solo le sensazioni di
quel corpo contro il suo, la morbidezza delle sue carni, l'odore della sua
pelle, il sapore del suo piacere, i suoni del suo godere, il sorriso
regalatogli giorni addietro.
Ma, doveva difendere almeno quel pò d'onore e d'amor proprio che lo
sorreggevano ancora e per questo tenne la testa ben alta, gli occhi
puntati su Roland, le membra rigide per evitare di cadere, la mente che
rifiutava di accettare il suo stato; sporco, con la casacca macchiata di
sangue, le bende intrise di vermiglio, i polsi saldamente legati e ben in
vista. Strinse le mani fino a farsi male. Perché doveva sopportare anche
quell'umiliazione? Non era bastato tutto quello che aveva già passato?
Perché non lo uccidevano senza tante scene? Perché Roland lo doveva vedere
così, in quello stato, e perché nei suoi occhi non riusciva a leggere
niente? Né odio né compassione, solo una dura, irraggiungibile, fredda
indifferenza che lo feriva più di qualsiasi giudizio lo attendesse?
L'uomo che aveva ordinato che lo curassero iniziò a parlare, squarciando
il silenzio.
"Dobbiamo giudicare quest'uomo, Arabin degli Hollern, figlio di Hernim
degli Hollern, tiranno spietato che per almeno quindici anni ha
saccheggiato, distrutto.." Arabin smise di ascoltare. Non poteva
rifiutarsi d'essere figlio di quell'uomo, ma poteva evitare di sentire
quest'ulteriore offesa. Sapeva cosa era e come aveva vissuto in quegli
anni; che lo uccidessero, lui non poteva impedirlo, ma almeno avrebbe
detto loro chi e cosa era diventato grazie a quell'uomo che era stato
chiamato suo padre.
Arabin rimase in piedi, immobile, rigido come se la morte lo avesse già
abbracciato e legato a sé indissolubilmente; gli occhi fiammeggianti dalla
rabbia e allo stesso tempo screziati di tristezza fissi sul volto di
Roland, da cui non trapelava traccia di alcuna emozione.
Se solo il ragazzo accusato non si fosse fermato all'apparenza e avesse
guardato più attentamente avrebbe visto però l'innaturale rigore che
permeava le membra del compagno, i pugni serrati, la mascella contratta
nello sforzo di non mettersi a gridare, le gambe rigide per evitare che,
autonomamente, si muovessero verso di lui.
"..Arabin degli Hollern, oggi, di fronte a questi miei nobili compagni
d'armi, per questi motivi io ti accuso."
Il nobile aveva appena finito di parlare che dalla folla si levò un grido
di morte. Arabin però sapeva che non poteva essere accusato se non di aver
quel sangue nelle vene, un maledetto sangue che non aveva chiesto lui di
possedere e, di cui, potendo, si sarebbe volentieri liberato, ma questa
sua consapevolezza non avrebbe fatto alcuna differenza; di quella colpa
era macchiato e a nessuno sarebbe interessata la sua storia, il suo
rifiuto per quel genitore maledetto. Se doveva pagare per quella colpa
acquisita con la nascita, per quel peccato insito nelle sue carni, non si
sarebbe opposto, ma avrebbe almeno gridato a tutti quella verità che a
nessuno sarebbe interessata, ma che l'avrebbe almeno liberato da un peso
che si portava addosso da tutta una vita:
"Di cosa sono accusato? Di essere stato generato da tale uomo?" Gridò.
La sua voce si levò profonda e roboante, carica di disperazione, ma non
ostante questo combattiva. Lui sapeva la verità. Forse anche Roland
sapeva, gli altri no, e forse non sarebbero stati interessati a niente, ma
lo doveva fare, doveva dirlo chi era.
"Di avere nelle vene il suo stesso sangue? Si, di questo sono colpevole,
ma non per mia libera scelta. Di aver vissuto sotto di lui, sotto il suo
dominio? Si, di questo sono colpevole, ne più ne meno di tanti altri miei
compagni d'armi che oggi vedo vestiti dei vostri colori. Di aver condotto
la vita del più misero e infame dei soldati? Di aver combattuto in un
esercito che non avevo scelto ma che mi era stato imposto? Anche di questo
la mia coscienza è macchiata, né più né meno di nessun altro uomo che
nasce e si trova incatenato al padrone sotto cui è nato. Di non aver
trovato la forza di uccidere colui che è detto padre perché così avrei
decretato la morte di colei che mi ha generato? E quando anch'essa ha
finito il suo tempo su questa terra, di non aver trovato l'occasione o la
forza di portare a termine tale compito? E' questa la mia colpa?"
Prese fiato, il volto paonazzo, la tensione che gli faceva contrarre
spasmodicamente i muscoli, la casacca su cui si spandeva la macchia
vermiglia, la voce che risuonava forte, ferma.
"Di non aver avuto una valida guida a illuminare i miei passi, e pertanto
questo ha decretato la malvagità del mio animo? O forse di essermi fidato,
unica volta, delle parole di un uomo che chiamai, per l'ultima volta,
padre?"
Piantò uno sguardo duro e combattivo sul volto di Roland. Lui aveva capito
davvero cosa era successo in quei lontani giorni? Aveva compreso che la
sua amicizia non era stata una finzione? Che il suo non era stato un
tradimento, ma solo una stupida ingenuità infantile che aveva portato a
tragiche conseguenze? Solo quello gli importava in quell'istante; né della
sua vita, nè tantomeno del suo onore agli occhi del mondo, ma Roland
doveva sapere dalla sua voce, avere chiaro in mente che davanti a lui non
c'era un assassino, forse un ingenuo ma non un traditore assassino. Non
era riuscito a dirglielo nell'abbazia, adesso aveva l'ultima occasione per
farlo.
"Statene certi, nobili signori, di tutte queste colpe ne porto il peso e
sono qui a pagarne le conseguenze, perché per quanto un essere umano
voglia e possa rinnegare colui che ha contribuito a generarlo, non potrà
mai tramutare il proprio sangue in sabbia. E per voi il sangue è più
infetto del veleno."
Rimase in silenzio, la bocca impastata, il cuore che martellava forte
nelle tempie. Intorno a lui il silenzio immobile, irreale. Non riusciva
più a sopportarlo. Che qualcuno dicesse qualcosa!
"E ora, se il momento vi aggrada, fatemi pagare per le colpe di mio
padre."
L'ultima frase roboò nell'aria come un giudizio finale.
"NOOOOOOO."
Roland si staccò dal gruppo dei nobili. Si era mosso d'impulso, spinto
dall'istinto. Si fermò qualche passo avanti rispetto al suo posto. Ormai
doveva arrivare fino in fondo, non poteva assistere immobile a quella
follia.
"No. Tutto ciò non ha senso. Quest'uomo è figlio di Hermin di Hollern, ma
non deve pagare per gli scempi compiuti dal padre."
"Come puoi, nobile Roland, affermare una cosa simile? Quest'uomo ha nelle
vene lo stesso sangue infetto di suo padre, chi ci assicura che non
compirà le stesse nefande azioni del genitore?" disse un nobile alle sue
spalle?
"E poi, Roland dei Gabeor, tu sei il primo tra noi che dovrebbe desiderare
la sua morte: fu colpa di quel tiranno la distruzione del tuo casato, gli
anni di lotta e tormento, non hai odiato i tuoi nemici in questi lunghi
anni di tormento, non ha gridato vendetta la tua carne, non sei venuto in
questo palazzo, mettendo il tuo braccio a servizio di quel malvagio
signore solo per portare a compimento la tua sofferta vendetta?! E poi,
anche se il tuo nobile cuore fosse disposto a perdonare, dopo la scomparsa
di Hermin, non pensi che, essendo in parte responsabile della sua
dipartita, questo ti renda, agli occhi del figlio, di sicuro colpevole!?
Su chi credi che si riverserà l'odio vendicativo questo giovane!? Tu sarai
il primo a perire per mano sua se non estirpiamo subito il male della sua
genia." aggiunse uno dei nobili del consiglio.
Roland guardò Arabin diritto negli occhi e vi lesse stupore e allo stesso
tempo sollievo.
Arabin, giunto a quel punto, sapeva di non avere nessuna possibilità, ma
lo rincuorava il sapere che Roland era dalla sua parte. Avrebbe voluto
sorridere per la gioia, ma non era proprio il momento giusto per farlo,
poté solo scambiare con questo uno sguardo dove sperò di aver concentrato
tutto ciò che provava.
Roland ricambiò lo sguardo e poi si voltò verso il nobile canuto a capo di
quel consiglio.
"Se avesse voluto la mia morte non avrebbe perso il suo trono e non
avrebbe quella cicatrice sul volto."
"Cosa vuol dire, nobile Roland?" riprese incuriosito il cavaliere.
"Quell'uomo mi ha salvato la vita, ponendosi tra me e la lama di suo
padre. Per questo è diventato un soldato del più basso livello."
A quelle parole un'aria stupita si disegnò sui volti dei nobili
giudicanti.
Il nobile canuto invece, a quelle parole si fece pensieroso e, cercato con
lo sguardo la persona che avrebbe, in parte, potuto chiarire quella nuova
rivelazione, li indicò con l'indice dicendo:
"Tu! Vieni qua."
Ex soldato di Hermin, a quell'ordine si scosse, facendosi avanti.
"Dimmi soldato, quello che è stato detto corrisponde a verità?"
"Non so niente signore; quell'uomo..." E additò Arabin " Era solo un
soldato semplice e come tale si è sempre comportato. Ha fatto sempre il
suo dovere. Io non ne sapevo niente di niente di tutta questa storia, lo
giuro, signore, lo giuro." Il soldato si ritirò a testa bassa.
"C'è qualcuno tra voi che può confermare la veridicità di quanto appena
asserito dal nobile Roland?" chiese a gran voce il cavaliere.
La folla rumoreggiò, ma nessuno si fece avanti.
"Ragazzo, son certo che sei animato dalle migliori intenzioni, ma... da
più voci abbiamo sentito accusare questo giovane di tradimento verso voi e
la vostra famiglia, da più parti l'erede dei Hollern è stato additato come
uno dei responsabili della vostra caduta, come fate voi, giunto a questo
punto, a credere a ciò che ci avete appena detto, chi vi ha raccontato una
simile storia?"
Roland non sapeva più cosa fare, era sicuro di ciò che aveva scoperto,
ma... chi gli avrebbe creduto se avesse confessato che a rivelare tale
verità era stato proprio Hermin, come avrebbe potuto spiegare le
circostanze di tale rivelazione e l'inconfutabilità di tali parole, come
far capire che aveva letto la conferma di tale verità negli occhi della
persona da lui amata in maniera inconfutabile... come...
In quel momento però, un'anziana donna si fece largo tra la gente, la
stessa che al loro arrivo aveva condannato Arabin riportando alla memoria
il suo passato ed i suoi legami col tiranno:
"Signore; io so chi è questo ragazzo e so anche come si è svolta la sua
vita sino ad oggi, se posso, vi dirò ciò che ho visto."
"Cosa vuoi dire, donna? Se sai qualcosa ti è permesso parlare."
"Quest'uomo è stato rifiutato, non ne conosco le ragioni, ma è certo che
tutto è accaduto dopo la conquista di un maniero su cui il signore aveva
messo gli occhi da molto tempo; questa è una storia che risale a circa
dieci anni fa...."
"Cosa intendi donna? Racconta ciò che sai, spiegaci cosa intendi dicendo
che questo giovane è stato 'rifiutato'?"
"Che da bambinetto gli è stato impedito d'entrare a castello, e non poteva
neanche vedere la signora, in quel periodo è stato ordinato a tutti di non
considerare più Arabin come figlio del signore, ma di trattarlo come uno
qualunque, come un pezzente qualsiasi e che, chiunque avesse cercato di
aiutarlo o di dargli un qualche conforto sarebbe finito male. Ci venne
imposto di chiamarlo soltanto col suo nome di battesimo, visto che il
titolo non gli apparteneva più; da quel momento e per sempre sarebbe stato
per tutti solo Arabin, un orfano, un disperato come tanti graziato solo di
poter rimanere entro le mura del palazzo come soldato, un soldato alla
stregua di tutti gli altri. Da quel giorno son passati molti anni, la
paura ha fatto si che tutti obbedissero a quell'ordine e poi il tempo a
fatto il resto, molti sono fuggiti potendo, altri morti e i pochi rimasti
hanno dimenticato questa vecchia storia, tutti tranne me. Sa, è per via
del colore dei capelli e degli occhi, uguali a quelli della sua povera
signora madre, una nobildonna, una vera signora, sempre gentile,
cortese...." La vecchia tacque, accorgendosi di aver parlato forse troppo.
"Donna, sei stata tu ad additarlo. Perché ora lo difendi?"
"Io non difendo nessuno signore, dico solo quello che so." piagnucolò la
donna, d'un tratto timorosa.
La folla iniziò a rumoreggiare. I nobili riuniti erano rimasti spiazzati
dall'accaduto e sapevano bene, in cuor loro, che dovevano agire prima che
la folla si agitasse, prima di perdere il controllo della situazione, di
perdere il loro ascendente e il loro dominio sulla gente, ritrovandosi con
una sommossa popolare.
Avevano promesso un'esecuzione, così doveva essere, ma sarebbe stato
giusto decretare la morte di un uomo senza la certezza della sua
colpevolezza?
In quel momento, si fece avanti un uomo tarchiato, coperto dai segni delle
battaglie e adornato di un abito rosso carminio.
"Per quanto possano essere vere le rivelazioni di cui siamo stati
spettatori, se anche le parole di questo nobile..." additò Roland "...
fossero vere ed effettivamente in passato l'accusato avesse aiutato e
salvato la sua vita, nessuno potrà ugualmente mai negare che nelle vene di
quest'uomo scorre il sangue infetto e putrido della casata degli Hollern."
Fece una pausa ad effetto e si rivolse alla folla riunita in basso.
"Come possiamo noi essere sicuri che la follia del sangue non accechi
quest'uomo? Come possiamo essere certi che l'infezione degli Hollern non
esploda nuovamente? E noi, per un gesto di clemenza ci ritroveremmo con
uno spietato essere pronto a ricalcare le orme del genitore?!"
Fece un'altra pausa, rivolgendosi poi ai nobili giudicanti:
"E chi ci assicura che questo assassino non affili le armi contro di noi,
dopo che noi lo abbiamo graziato?"
La folla iniziò a chiedere a gran voce la testa del bastardo degli Hollern.
"Come possiamo essere certi che il sangue che scorre nelle vene di
questo..." e indicò sprezzante Arabin "...non stia già covando odio e
vendetta? Il sangue di Heremin..." E sputò in terra nel pronunciarne il
nome "...ha spezzato migliaia di vite e distrutto e saccheggiato. Lo
stesso sangue che scorre nelle vene di quest'uomo, la follia del sangue
del padre che cova nel sangue del figlio. E' nostro dovere eliminare la
genia degli Hollern e purificare la follia del loro sangue."
Le ultime parole furono gridate verso la folla che stava riversando tutto
l'odio rivolto verso il padre sul capo del figlio, invocandone la morte a
gran voce.
"Silenzio. Fate silenzio." Gridò il nobile che inizialmente aveva accusato
Arabin.
"Non credo, nobile Ulrich dei Ferzen...." Iniziò il più anziano dei nobili
lì riuniti, rivolgendosi all'uomo tarchiato "...che ci possiamo
accontentare di questa motivazione per togliere la vita ad un uomo. Se lo
facessimo, saremmo al pari del più infame folle. E se non erro, se il
sangue e la genia sono le uniche motivazioni che ci muovono ad uccidere,
oggi dovremmo uccidere non solo quell'uomo, ma anche qualcun'altro, non
siete d'accordo, Ulrich?"
"Cosa insinuate, Gerind dei Tenear?" La domanda tuonò nell'aria come un
tuono.
"Che anche gli avi dei Ferzen sono stati accecati dalla follia del sangue,
ma non per questo la loro genia è stata sterminata; genia di cui tu,
Ulrich, sei il più nobile e valoroso esponente, un esponente che rende
nuovo lustro a quell'antico nome, riabilitandolo agli occhi di tutti,
questo dovrebbe dimostrare a te, più che a chiunque altro, che i
discendenti non sempre ereditano con il sangue la stessa follia degli
avi."
Scese nuovamente il silenzio.
"Riportate quell'uomo nelle prigioni! Prima di condannarlo alla morte con
infamia dobbiamo capire di che colpe si è veramente macchiato."
Così dicendo iniziò a rientrare nel mastio, seguito dagli altri nobili.
Roland si mosse per ultimo, lo sguardo incatenato alla figura di Arabin
che veniva trascinato nuovamente in cella. Forse qualche speranza ci
poteva ancora essere.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Arabin, rinchiuso nuovamente nella sua angusta prigione, aspettava che
accadesse qualcosa. Un altro giorno stava volgendo al termine e lui, roso
dall'incertezza del suo incerto destino, si sentiva inquieto e sempre più
agitato. Solo una fievole luce riusciva ancora a riscaldargli il cuore:
Roland l'aveva difeso un'altra volta, ormai era chiaro che non volesse la
sua morte, ma cosa gli stava passando per la testa? Cosa pensava di lui?
Nei suoi occhi, ad un certo punto, aveva scorto preoccupazione, ansia...
alla fine del giudizio, quando tutto era stato rimandato, gli pareva di
aver scorto sollievo e speranza. Aveva in mente qualcosa, un qualcosa che
lo riguardava? Se era veramente così Arabin non poteva che preoccuparsi
per lui, non si doveva esporre troppo, era gia molto se gli era stato
concesso il beneficio del dubbio, lui non doveva tentare troppo la fortuna
o, anche se adesso veniva riconosciuto come pari e alleato, presto si
sarebbe potuto ritrovare nella sua stessa situazione.
Si agitava, stanco per la cella, sfinito da quella lunga giornata, ma
ugualmente inquieto; non poteva star seduto, i pensieri l'avrebbero
sommerso, così, sorretto dalla fatica che gli impediva di chiarirsi le
idee, riusciva ad andare avanti.
"Come stai?" La domanda era appena un sussurro oltre la porta della cella.
Al suono di quella voce nota Arabin si riscosse. Gli tremavano le viscere,
gli occhi ridotti a due fessure per riuscire a fendere l'oscurità del
luogo, incredulo e speranzoso al contempo.
"Ro...land."
Si gettò sulla feritoia da cui giungeva la voce, come un assetato alla
fonte.
"Roland? Che succede? Come stai? Perché sei venuto qui? Hanno deciso? E
tu... tu stai bene? Perché mi hai difeso, sai quanto me che è una causa
persa? Folle!"
"Domani decideranno cosa fare con te. Non ti preoccupare, non lascerò che
ti uccidano."
"Pazzo." Sussurrò, le parole incastrate in gola, sopraffatto dall'ultima
frase.
"Scusami, non avrei mai voluto che le cose andassero così."
Due dita si fecero largo tra le strette grate della porta in cerca di
Arabin. Incontrarono le labbra dell'altro; i polpastrelli seguirono il
contorno della bocca mentre quest'ultima si dischiudeva per depositarvi un
piccolo bacio. Rimasero sulle due strisce rosee un istante, e poi
sparirono nuovamente oltre la porta.
"Domani ti farò uscire da qui. Credi in me!"
Poi il silenzio in cui si potevano a mala pena udire i passi leggeri di
Roland che si allontanava.
Credi in me!
Sempre, comunque e per sempre, qualsiasi cosa fosse successa, adesso non
aveva più paura.
Quella notte nessuno dei due ragazzi riuscì a chiudere occhio.
^^^^^^^^
Due guardie entrarono nella cella e prelevarono il ragazzo. Legato come la
volta precedente, fu condotto in una sala del mastio dove lo attendevano i
nobili e uno schieramento di soldati. I dignitari erano seduti, vestiti
con i colori dei rispettivi casati ma senza ostentare lo sfarzo della
volta precedente. Si fece avanti il nobile che aveva parlato per primo nel
cortile del maniero. Doveva essere il capo di quell'alleanza.
"Arabin degli Hollern, rinunci alla tua genia?" chiese senza troppi
preamboli, con voce dura e bassa.
A quell'inaspettata domanda Arabin fisso l'uomo rimanendo un attimo in
silenzio, poi, ridivenuto padrone di se, pur non comprendendo cosa stava
accadendo ripose deciso:
"Si."
"Arabin, giuri fedeltà a questa alleanza?"
"Si."
"Arabin, ti sottometti spontaneamente alle decisioni e ai voleri di questa
alleanza?"
"Si"
La risposta arrivò rapida e sicura come le precedenti, ma un pezzetto del
suo essere iniziò a tremare. Giurare fedeltà a questi uomini, anche se gli
avesse risparmiato la vita, poteva voler dire anche non vedere mai più
Roland, bastava che lo mandassero in una contea di frontiera dove
sarebbero stati sicuri che non avrebbe potuto più nuocere a nessuno, anche
volendo; così da tramutare la sua gia misera esistenza in una
sopravvivenza larvale. Non avrebbe resistito a tanto, non dopo una vita
trascorsa così e non dopo aver ritrovato Roland.
Arabin cercò l'amato con lo sguardo e lo trovò in piedi, con gli occhi
fissi su di lui che lo osservavano con una strana e pacata calma. Questo
lo rassicurò e gli infuse un po' di coraggio.
"Arabin, per quanto non sembra tu ti sia macchiato di colpe in prima
persona, non ci possiamo permettere di lasciarti libero senza avere delle
dovute garanzie. Pertanto, dal momento che hai giurato fedeltà e
obbedienza, noi ti offriamo la possibilità di scegliere tra due strade in
cui avviare la tua futura vita: puoi prendere i voti in un qualsiasi
ordine ecclesiastico..." Arabin, a quella prima possibilità offertagli era
ammutolito, mentre il gelo aveva iniziato ad invadergli le ossa.
"... oppure prestare giuramento e mettere la tua persona a completo
servizio di un nostro fidato alleato. In tal caso però, non ti sarà
concesso di rientrare nell'esercito, né di svolgere mansioni che ti
possano mettere in condizione di diventare, in futuro, un pericolo per
nessuno di noi."
Arabin si sentì sprofondare in un abisso. Aveva sperato nella libertà,
magari povera, una vita basata sulle sue sole forze, ma comunque libero di
scegliere il proprio destino, un destino che aveva sperato di poter
condividere con Roland... ma adesso, adesso si rendeva conto che, se anche
gli fosse stato fatto dono della libertà, un futuro assieme alla persona
amata era impossibile; lui non era altro che un poveraccio senza più
neppure un nome, Roland invece era tornato ad occupare il posto che gli
spettava, era salito troppo in alto perché lui potesse riuscire a
raggiungerlo e, se non poteva stargli al fianco, non gli interessava quale
destino lo attendeva, ne dove questo si sarebbe compiuto; era certo che,
qualunque decisione avesse preso, non l'avrebbe accompagnato per molto
ancora; ormai si sentiva divorato dalla stanchezza, era stufo di vivere e
sentiva che, arrivato a quel punto, presto, in un modo o nell'altro, tutto
sarebbe finito.
Gli venne quasi da sorridere, tutta quella fatica, quegli sforzi e lui,
giunto a quel punto era certo che avrebbe di gran lunga preferito una
corda intorno al collo, ma come poteva dirlo, dopo che Roland gli aveva
giurato che non avrebbe permesso che lo uccidessero? Perché non lo aveva
lasciato in quel bosco dove, almeno per un giorno, si era sentito felice
di esistere? Maledizione!!
Alzò la testa, in cerca degli occhi di Roland, che scoprì assurdamente
soddisfatti. Che ironia del destino, l'uomo che amava non si rendeva
minimamente conto del dolore che in quel momento stava straziando il suo
cuore, forse la sua vita era salva, ma lo era solo quella.
Gli occhi di Arabin, arrivato a quel punto, si spensero, velati solo da un
sentimento di rassegnazione e tristezza.
Roland vide il volto dell'amato divenire improvvisamente cinereo, gli
splendidi occhi verdi persero la vitalità, sostituita da un'impotenza e da
una disperazione che che vi aveva letto solo dopo quanto era accaduto
nell'abbazia.
Non riusciva a capire.
Aveva fatto di tutto per salvagli la vita, per trovare una mediazione,
aveva passato un giorno ed una notte a escogitare un modo per evitargli il
convento e lui sembrava ad un passo dalla disperazione più nera.
Si trattenne a stento dal balzargli addosso, scuoterlo con forza e
obbligarlo a pronunciare la frase che avrebbe concesso loro una nuova
possibilità.
Il silenzio pesava come un macigno, tanto che Roland si preoccupò che i
nobili ivi riuniti potessero cambiare idea.
"Cosa c'è ragazzo, le scelte che ti sono state proposte non sono di tuo
gradimento? Hai sempre la terza possibilità, non te ne dimenticare!" Lo
sbeffeggiò il nobile tarchiato della famiglia dei Ferzen.
Arabin si accorse che doveva dar loro una risposta, ed in fretta.
Prese fiato e guardando i nobili davanti a lui, rispose con voce più ferma
possibile
"Nobili signori, le vostre proposte mi fanno onore, ma credo sia umano
dover riflettere un attimo e guardare nel proprio animo, per capire quale
sia la strada più giusta per me..."
Prese fiato.
Roland sentiva le viscere tremare; la voce di Arabin, tanto ferma ma allo
stesso tempo così velata di tristezza gli metteva addosso ansia e
apprensione.
"..per anni ed anni ho servito gli uomini, e non credo di essere in grado
di servire Dio con l'onore e la totale abnegazione che gli è dovuta da un
suo sposo, pertanto sarei più che onorato di poter continuare a servire
uomini illuminati e nobili d'animo quali voi siete per il tempo che mi
sarà concesso."
"Bene ragazzo; la tua decisione è presa, tra breve verrai messo a
conoscenza del nome di colui che ti avrà in custodia. Guardie, portate via
quest'uomo."
^^^^^^
Roland spalancò la porta della stanza dove si trovava Arabin con la
delicatezza di un toro. La pesante porta di legno andò a sbattere contro
il muro con un colpo sordo.
Arabin, seduto su un pagliericcio negli alloggi destinati ai capitani di
armeria, si alzò di scatto, guardando allarmato il nuovo arrivato, non
sapeva chi si sarebbe trovato davanti, ma di sicuro non si aspettava di
vedere Roland che adesso lo fissava con una soddisfazione mal celata nello
sguardo.
"Ti ho trovato, finalmente!" Esclamò questo.
"Sapevo che non ti avevano riportato in cella, ma non avevo idea su dove
ti avessero condotto!"
Arabin rimase in piedi, in silenzio, stupito dalla presenza di Roland,
quanto di quelle parole prive d'importanza.
"Vedo che non ti hanno ancora tolto i lacci ai polsi. Non li posso
biasimare, non si fidano di te. Ma almeno non sei più in quel buco umido."
Così dicendo si avvicinò ad Arabin e lo abbracciò con forza, prima di
assalirgli le labbra con baci famelici. Affondò i denti nelle labbra di
Arabin, mentre la lingua lambitala sua carne ora imprigionata nella bocca.
Succhiò quelle labbra con sempre maggior piacere, via via che sentiva
l'altro rispondere a quel bacio, tanto irruente quanto inaspettato. I loro
respiri si persero in un ansimare appena più pesante, mentre i corpi si
cercavano, si riunivano, le mani di Roland stringevano la nuca di Arabin
il quale, ancora con i polsi legati, poteva rispondere a quell'assalto
solo con le labbra e la lingua.
Dopo un tempo che parve infinito, Roland si staccò ansimante dalla bocca
dell'altro, per guardarlo un istante: Arabin aveva il volto segnato dalle
giornate passate in cella, e sul viso tirato e pallido, spiccavano le
labbra arrossate dal bacio e screpolate dalla febbre; gli occhi verdi poi,
granati, grandi e languidi, cerchiati da profonde occhiaie scure lo
facevano sembrare quasi un martire.
Si portò la bocca di Arabin ancora una volta sulla sua, come fosse un
frutto maturo e vi affondò nuovamente, lasciando che l'altro gli
mordicchiasse le labbra, le leccasse, e sprofondasse in quel bacio.
Dopodiché gli sorrise incoraggiante carezzandogli una guancia.
"Vieni, forse è meglio se ti lavi e ti metti dei vestiti puliti. E poi
sarà il caso che ti riposi un po', il viaggio sarà lungo e dobbiamo
partire all'alba."
Arabin lo guardò incredulo continuando a non capire, nè cosa ci faceva li
Roland, ne tantomeno cosa gli stesse dicendo.
"Partire?"
Ma Roland parve non sentire e continuò a parlare allegro:
"Non hai idea della fatica che mi è costata convincerli a non seppellirti
in un convento! Ho sfoderato tutte le mie armi di "seduzione" e "lusinga"
non che la mia proverbiale intelligenza, per mettere assieme una scusa
plausibile che giustificasse la tua "rieducazione" affidata alle mie sagge
mani; ho sudato sette camice a persuadere quel cafone di Ulrich e tutta la
sua boria che io, con mano ferma e, all'occorrenza, crudele, mi sarei
fatto carico della tua "redenzione". E se pensi che, dopo tutta quella
fatica, mi accontenti di un semplice grazie e poi te ne vai per la tua
strada, ti sbagli di grosso! Mi sa che dovrai pagarmi e lautamente per
tutti gli sforzi patiti a tuo beneficio. "
Arabin a quelle parole, dopo l'iniziale muto sbigottimento, si mise a
ridere; una risata dettata dalla paura adesso fugata, dalla tensione
accumulata, dall'irrealtà di tutta quella situazione; una strana risata
che lo scosse in tutto il corpo, in bilico tra la gioia per ciò che
iniziava a capire e l'isteria, per quel che aveva fino a quel momento
passato.
"che cosa ti prende Arabin?"
Ma questo non riusciva più a smettere, tanto che ormai aveva quasi le
lacrime agli occhi
"Tu che.."
Arabin non riusciva a frenare le risate
"Io in convento.."
Quasi si piegò in due
"E avevi già pensato a.."
Un singhiozzo
"E io che credevo.... E invece, invece dovrei..."
A quel punto, quasi si strozzò dal tanto ridere
"...pagarti..."
S'appoggiò a Roland, le gambe non che non lo reggevano più
"Ma se non ho niente!"
Smise di ridere improvvisamente, avvolto da una tristezza inimmaginabile,
la stanza ancora piena dell'eco della sua voce.
Roland lo strinse a se poggiandogli la testa sui capelli, cercando di
trasmettergli un po' della sua forza, della sua ritrovata pace:
"Tu hai tutto Arabin! Tutto ciò che ho sempre sognato. Io non desidero
gioielli o ricchezze, non un nome o delle terre, quel che il mio cuore
vuole sei solo tu e... adesso sei qui, tra le mie braccia e, se ci vorrai
rimanere questo per me varrà più di mille ricompense: poter guardare i
tuoi occhi, sfiorare le tue labbra, aspirare il tuo odore, sentire la tua
voce, è questo ciò che desidero e ciò per cui ho lottato e continuerò a
lottare contro tutto e tutti per mantenerlo. Cancella quell'espressione
triste, da oggi in poi voglio che le rughe che andranno a segnare il tuo
splendido volto, siano solo i simboli di una felicità ritrovata e
duratura. Sono io che ti devo tutto Arabin: la vita, la speranza e adesso
anche la felicità, quindi NON DIRE MAI PIU' che non hai niente, tu hai
tutto e hai anche il mio cuore! So che non sarà semplice all'inizio, ma
non preoccuparti, non sarai mai solo, io sarò sempre al tuo fianco e non
permetterò a nessuno di considerarti come un servo quale tu non sei e non
sei mai stato; riusciremo a riabilitare assieme il tuo nome, che NON E'
quello di tuo padre, ma soltanto il tuo! Vedrai riusciremo a far capire a
tutti chi sia il vero Arabin e a quel punto, tutti, quando ti nomineranno,
useranno la dovuta reverenza."
Arabin lo stava fissando incredulo, poi i suoi occhi si riempirono di
lacrime e dalla sua gola eruppe una nuova risata, ma stavolta si trattava
di un riso cristallino che esprimeva solo felicità e sollievo.
Roland lo strinse ancor più forte a se, poi, asciugandosi una solitaria
lacrima che aveva fatto capolino lo scostò dal suo petto, tenendolo per i
gomiti e fissandolo negli occhi lucidi.
"Uomo, non ti vergogni a ridere così davanti a un nobile che si è fatto in
quattro per salvarti la vita?" Gli disse Roland, a metà tra il divertito e
il finto serio.
"Mi scusi, mio signore!" Rispose Arabin, continuando a ridacchiare sotto i
baffi.
"Il suo fedele servo non può che ubbidire ai suoi ordini!"
Un sorriso, poi un buffetto sul naso:
"Non il mio servo, solo il mio uomo!... come io sarò il tuo. Ora Andiamo!"
Così dicendo, prese Arabin per il legaccio e lo trascinò nella stanza dove
stavano le tinozze. L'acqua era stata già versata in una di queste, acqua
bella calda e fumante, di lato ad essa c'erano dei teli di lino ed un bel
pezzo di sapone bianco; in giro non c'era anima viva, i capitani d'arme
erano tutti fuori, a controllare, a addestrare, a svolgere ogni qual
genere di compiti.
Roland liberò i polsi di Arabin e si appoggiò ad una parete aspettando.
Arabin lo guardò un istante; come era bello: i capelli scuri, lucidi, il
volto disteso, le ampie spalle appoggiate mollemente contro la parete, e
quello sguardo quasi violetto, fisso su di lui.
Sentiva i suoi occhi piantati addosso, il blu fiammeggiare di una passione
che aveva solo osato sperare nei suoi più audaci sogni.
Roland, accortosi che l'altro era immobile da qualche minuto, lo apostrofò
in tono scherzoso.
"Ehi, uomo, non sperare che me ne vada. Mi hanno intimato di non perderti
mai d'occhio. E non ho nessuna intenzione di tradire la fiducia del nobile
Gerind dei Tenear."
Arabin ancora non si muoveva.
"Non dirmi che ti vergogni a spogliarti davanti a me! Come se non avessi
già ammirato il tuo bel corpo privo di veli! Comunque, se hai delle
difficoltà a toglierti quei vestiti di dosso, posso venire io a darti una
mano...."
Arabin si sentì avvampare per la malizia di cui erano intrise le parole
dell'altro, ma, punto sul vivo del suo orgoglio, piantò uno sguardo
fiammeggiante in quello dell'altro ed iniziò lentamente a togliersi la
casacca.
Roland lo fissò sorridendo.
Beveva ogni centimetro di pelle che veniva adagio liberato. Si soffermò
sulla ferita, ancora rossa e gonfia e scosse il capo. Doveva dirne quattro
al cerusico. Poi lo sguardo scese alle braghe, che lentamente lasciavano
emergere i fianchi, il bacino, il sesso già leggermente eccitato, le gambe
muscolose....
Gli occhi di Roland risalirono all'inguine e v'indugiarono, mentre sul
volto gli si allargava un sorriso complice e di una dolcezza incredibile.
Arabin, che ora lo guardava con la coda dell'occhio, si fermò un istante e
rimase nudo, in piedi davanti a lui, come a sottolineare che quello era
ciò che aveva da offrire in pagamento di tutti gli sforzi dell'altro.
Roland alzò gli occhi sul volto di Arabin e li distolse immediatamente; lo
sguardo verde era talmente ammaliante e carico di promesse da fargli
perdere la testa obbligandolo a saltargli addosso immediatamente.
Arabin, soddisfatto dell'effetto suscitato si voltò lentamente, offrendo
agli occhi blu la schiena ampia e le rotondità del sedere. La chioma
ricadeva sulle spalle come un drappo di broccato rosso intessuto d'oro;
Roland dovette far ricorso a tutto il suo sangue freddo per non cingerlo
alle spalle ed iniziare a baciarlo sul collo, sulla nuca, toccarlo,
stringerlo, sentire la pelle calda sotto le sue mani e il respiro di
Arabin farsi greve e pesante per il piacere.
Arabin scosse la testa ed entrò nella tinozza. L'acqua calda che gli
scivolava sulla pelle lo fece rabbrividire di piacere, lasciando sfuggire
un gemito di soddisfazione dalle sue labbra.
Roland sospirò, deglutendo e ricacciando in basso il suo desiderio, mentre
le immagini dell'altro nel bosco gli affollavano la mente e il sangue
confluiva rapido verso l'inguine.
Arabin afferrò il sapone e iniziò ad insaponarsi vigorosamente le membra
indolenzite e i capelli fino a farli lucidare come l'oro; si immerse poi
completamente scomparendo alla vista,.
Se solo non fosse stato sicuro di non riuscire controllarsi, avrebbe
insaponato volentieri lui quella pelle, godendosi a pieno quei fantastici
momenti; ma avrebbero avuto tempo, questa era una cosa che non avrebbe
mancato di fare una volta iniziata la loro nuova vita assieme.
Quando riemerse dalla tinozza, la pelle di Arabin era intarsiata di
piccole gocce che scivolavano languide verso il basso. La chioma rossa,
bagnata, ricadeva selvaggia sulle spalle, e i capezzoli rosei erano
turgidi e invitanti.
Arabin sorrise soddisfatto dall'effetto che quello spettacolo aveva
prodotto sul corpo del suo osservatore e, dopo esser uscito dall'acqua, si
avvicinò a lui.
Adesso solo un passo separava i due ragazzi, il primo con il fiato corto
per il freddo, il secondo con il fiato grosso per il desiderio.
"Mio signore.." La voce era languida e sinuosa.
Roland deglutì rumorosamente.
Arabin ridusse le distanze e appoggiò le labbra, ancora umide e fresche
per il bagno, su quelle infuocate di Roland, deponendovi un bacio leggero
e avendo cura di non appoggiarsi a lui per non bagnarlo.
Roland, a quel contatto, si riscosse allontanandosi e porgendo poi ad
Arabin una casacca e delle braghe pulite. Prima che l'altro si rivestisse,
lo bloccò per un polso, lo tirò a sé, con la scusa di controllare la
ferita alla spalla e lo abbracciò, allacciando le labbra alle sue,
premendosi addosso il corpo nudo dell'altro, insinuando una gamba tra le
sue.
Arabin da parte sua gli rispose con un gemito strozzato, mentre la pelle
riacquistava calore tanto da andare a fuoco.
Con uno sforzo sovrumano Roland riuscì a staccarsi dal corpo bruciante
dell'altro.
"Vestiti, dobbiamo recarci da Gerind dei Tenear." Disse con voce che
doveva essere ferma e autoritaria ma che risultò solo impregnata di
desiderio.
Arabin stava per impazzire dalla voglia di avere nuovamente Roland nudo
tra le braccia, pelle contro pelle, bocca contro bocca, per poter
finalmente perdersi in lui, farlo gemere, sentirlo pulsante in lui,
sprofondare in quel corpo e dissetarsi con il suo spirito.
Prima di uscire dalla stanza Roland gli prese gentilmente i polsi tra le
mani e li legò nuovamente; una preghiera scritta negli occhi, di
perdonarlo per quel gesto, ma ancora non poteva fare altrimenti.
Arabin comprendeva benissimo la situazione, si portò le mani legate, che
stringevano ancora quelle di Roland, alla bocca e ne baciò le dita.
Uscirono, Arabin davanti: i capelli ancora umidi, i polsi stretti nella
striscia di cuoio, ma dritto con le spalle, fiero nella persona; Roland
dietro, imperioso nei suoi ricchi abiti, imponente nella figura e
orgoglioso del suo uomo.
Gerind dei Tenear li accolse senza grandi cerimonie.
L'uomo sembrava saggio e benevolo, mentre spiegava ad Arabin che sarebbe
stato affidato alla custodia di Roland dei Gabeor pur rimanendo sotto la
loro protezione; lui, Gerind dei Tenear, si dichiarava consapevole e
responsabile per la decisione presa e, da parte del nuovo suddito, non
sarebbe stata ammessa ne tollerata alcuna insubordinazione o tentativo di
rivolta, tentativi che, scoperti, gli sarebbero costati la vita.
Spiegò in dettaglio ai presenti il perché di quel tipo di scelta, che un
futuro regnante doveva essere in grado sia di dimostrare clemenza, ma
anche saggezza nel saper giudicare i sudditi, e questa era la prima prova
a cui veniva chiamato l'erede di re Jeor dei Garbear e, se se ne fosse
dimostrato all'altezza, futuro successore anche dei titoli e delle
responsabilità della casata dei Tenera.
Arabin seguì attentamente tutto il discorso, annuendo ogni qualvolta gli
veniva rivolta la parola; non ci furono discussioni o opposizioni,
probabilmente la cosa era gia stata discussa precedentemente dagli altri
uomini. E in quanto a lui, re Gerind si aspettava una fedeltà totale ed
assoluta che di sicuro non aveva intenzione di tradire.
Il discorso fu lungo, varie le carte firmate e sigillate; tutti vennero
congedati che era già calata la sera.
Roland portò Arabin nella sua stanza e lo lasciò lì mentre andava a
recuperare qualcosa da mangiare. Non se la sentiva di lasciarlo negli
alloggi comuni, l'indomani l'avrebbe sicuramente trovato con qualche osso
rotto, se non con la gola squarciata. E poi non avrebbe rinunciato per
niente al mondo ad averlo nel suo letto. Sapeva perfettamente che quest'ultimo
era il motivo principale per tale decisione, ma non voleva ammetterlo così
spudoratamente neppure con se stesso.
Quando rientrò, Arabin stava dormendo, lo guardò e si sentì sciogliere;
non credeva quasi di averlo ritrovato, di averlo nuovamente con se, come
quando erano fanciulli e andavano a rubare il pan di zenzero nelle cucine
per mangiarselo la sera, prima di addormentarsi, fantasticando su cosa
avrebbero fatto quando sarebbero diventati cavalieri.
Lo svegliò scotendolo leggermente e quando questo aprì gli occhi, ancora
assonnati, gli sorrise, baciandolo sulla fronte:
"Mangia qualcosa, sono sicuro che sono giorni che non fai un pasto decente
e... non per vantarmi, ma sono riuscito a trovarti un sacco di cose
buone."
Arabin si mise seduto, osservando il piatto che gli veniva porto; prima di
mangiare però, voleva sapere una cosa:
"Roland, cosa significavano le ultime parole di re Gerind? Vuole forse
lasciare a te il suo titolo?"
Roland sospirò, distogliendo lo sguardo per un attimo e poggiando il
piatto sulla bassa cassapanca sistemata vicino alla testa del letto.
"Gerind non ha più discendenti diretti; i figli e i nipoti sono morti
combattendo contro..." la voce gli tremò un istante.
Arabin comprese, dolendosi ancora una volta per le colpe di cui si era
macchiato quel maledetto che era stato suo padre.
"Vede in me un possibile erede per il suo regno. Ovviamente dovrà parlare
con i suoi consiglieri, ma credo che ci speri, dal momento che a re Gerind
dei Tenear sono state concesse anche le terre che un tempo erano di mio
padre e che adesso, come suo unico e diretto erede, mi sono state
restituite."
In quel momento Roland vide le dita di Arabin che artigliare il lenzuolo,
la sua testa che si era riversa sul petto e comprese i sentimenti che
avevano nuovamente incupito l'animo del compagno.
"Arabin, guardami! Tu non hai colpa di quanto allora è successo." e così
dicendo si avvicinò all'altro e lo baciò dolcemente.
Arabin rispose con immediata passione a quella dimostrazione d'amore che
lo strappava nuovamente ai tristi ricordi riportandolo a quella che era
una ben più lieta realtà.
Si baciarono lentamente, ma con foga, sprofondando sempre di più l'uno
nelle braccia dell'altro, mentre i loro corpi si cercavano spasmodici e si
serravano l'uno sull'altro. Il fiato divenne subito corto e il desiderio
sgorgò dalle loro bocche sotto forma di gemiti bassi e gutturali.
Arabin baciò e succhiò le labbra di Roland, leccandole ripetutamente ed
assaporando il gusto dell'altro, perdendosi nel suo respiro.
Si lasciarono andare sul letto, Roland inchiodato dal peso di Arabin, che
si allungava languido su di lui.
Roland sentiva il cuore di Arabin battere, forte, veloce, mentre il sangue
gli scorreva rapido nelle vene, la testa diventava leggera e il corpo si
risvegliava, chiedendo a gran voce di essere soddisfatto.
Arabin staccò le labbra dalla bocca di Roland, lasciandolo ansimante, e
iniziò a mordicchiargli la mascella, seguendone il contorno fino a
raggiungere il collo, su cui serpeggiò, con lingua umida e incandescente,
fino a raggiungere il pomo d'adamo, che prese a torturare con la punta dei
denti.
Roland s'insinuò sotto la casacca di Arabin, sfiorando le costole,
carezzando la pelle del torace, affondando le dita nella carne tonica.
Arabin si contrasse al tocco dell'altro, mettendosi a cavalcioni sui suoi
fianchi, staccando la bocca dal collo e guardandolo negli occhi blu
screziati di desiderio. Non aveva mai voluto così tanto qualcuno come
stava desiderando Roland in quel momento. E il suo bisogno era urgente e
scorreva veloce nel suo corpo.
Roland gli sfilò la casacca e rimase a guardare il suo torace.
"Non hai idea di quanto sia stato difficile non poterti più parlare,
toccare, baciare, non sapere come stavi, se ti avrei potuto tenere ancora
tra le braccia, e sentire tutti quei nobili che parlavano solo della tua
morte."
Per tutta risposta Arabin iniziò a muovere il bacino, facendo strusciare
il suo sesso turgido sul ventre di Roland.
Roland lo trascinò giù, in modo da imprigionare con la bocca un capezzolo,
che iniziò a mordicchiare e a succhiare. Arabin s'inarcò, afferrando la
testa corvina e portandola verso l'altro capezzolo che fremeva impaziente.
Roland assaporava la pelle del compagno come se non riuscisse a saziarsi
mai di lui, leccando e mordendo famelico, fin quasi a strappare dei gemiti
di piacere misti a dolore ad Arabin. Gli ansimi di Arabin scivolavano
dentro Roland come ondate di desiderio liquido, lasciandolo senza fiato e
con la passione che montava come una marea.
Roland si allacciò al torace di Arabin ed iniziò ad agitarsi sotto di lui,
per fargli percepire tutta la sua impazienza, e Arabin rispose con un
gemito strozzato e un ansimo trattenuto a stento.
Stava lentamente impazzendo, doveva avere il corpo di Roland nudo tra le
braccia a tutti i costi e in fretta.
Si separò dalle labbra che gli avevano torturato i capezzoli e scivolò
verso il basso. Scese serpeggiando lungo il ventre per poi fermarsi
all'allacciatura delle braghe, da cui strappò via la casacca, fermandosi
poi per un attimo ad osservare il suo amante, perso ed affascinato dalle
movenze feline e passionali del compagno, iniziando poi a sganciare la
chiusura delle braghe.
Per tutta risposta Roland lo ribaltò, facendolo sdraiare supino, e si
gettò famelico sul suo torace, mentre le mani di Arabin s'insinuavano
sotto la stoffa che avvolgeva i fianchi di Roland e affondavano nella
carne cedevole delle natiche; a quel contatto sentì il compagno tirare i
muscoli ed inarcarsi sopra di lui, i due sessi gonfi che si sfioravano
ripetutamente, inondando i corpi di brividi quasi insostenibili.
Roland, a quel punto, si strappò letteralmente gli ultimi vestiti di dosso
attendendo poi che il compagno facesse altrettanto, gli occhi fissi su di
lui, pieni di desiderio e di urgenza.
Una volta che anche Arabin si ritrovò completamente nudo, Roland si gettò
sul suo corpo, ora languidamente sdraiato sul letto, e vi affondò,
respirandolo, sentendo pelle contro pelle, carne contro carne; mani audaci
vennero spinte dalla volontà di toccare, esplorare, saggiare, affondare in
muscoli cedevoli; corpo che voleva dissetarsi di un altro corpo.
Roland sezionò il petto di Arabin con piccole, languide torture a fior di
labbra, fino a raggiungere i ciuffi rossi del pube. Il percorso seguito si
fece più tortuoso, seguendo traiettorie folli decretate dagli ansimi di
Arabin, che si facevano sempre più profondi, fino a raggiungere il sesso,
eretto, pulsante, del colore di un fiore tropicale e incantatore come il
canto di una sirena. Il desiderio di sentire Arabin gridare di piacere lo
faceva impazzire, leccò con lentezza impossibile il sesso rigoglioso del
compagno, mentre l'aria si impregnava dei suoni inarticolati di Arabin, la
sua mente si perdeva nel piacere, i suoi sensi venivano scossi dal
contatto delle labbra con il sesso incandescente, le mani di Arabin
artigliavano i capelli serici e scuri come una notte senza luna e il sesso
innalzava il suo canto di incontrollabile desiderio.
Affondò attorno a lui, accogliendolo in bocca, facendo scorrere le labbra
sulla carne pulsante dell'altro, succhiando via la volontà, la ragione, la
logia, lasciando posto solo al desiderio di farlo gridare finché aveva
fiato in gola.
Sentì, poco dopo, le prime scosse che squassavano il corpo del compagno e
si ritrasse immediatamente, lasciando la carne nuda e fremente.
Arabin si dibatteva sotto di lui, cercando di riportare la bocca di Roland
sul proprio sesso, ma il moro si sollevò dal pasto non consumato e lo
guardò con una lussuria incredibile. Arabin quasi tremò alla vista di
quegli occhi scuri dilatati da piacere e desiderio abbandonandosi
completamente ai desideri dell'altro; poteva fare di tutto, accettare di
tutto da quell'uomo che stava troneggiando su di lui.
Arabin, incapace di attendere, gli prese una mano e se la portò alla
bocca. Succhiò due dita, ricoprendole di saliva portandosele poi tra i
glutei. Roland scivolò tra le seriche rotondità del sedere di Arabin e
sprofondò in lui con facilità iniziando a carezzare e stuzzicare,
lentamente.
Arabin emise un gemito, di puro piacere, i suoi muscoli erano rilassati,
aperti, pronti ad accogliere Roland, il quale, ancora un po' titubante,
guardò il volto dell'altro, ma si perse in quello sguardo liquido,
silvestre. Troppa era l'urgenza ed il desiderio che erano incastonati
negli occhi verdi del compagno, troppo era il desiderio che mordeva la sua
carne.
Arabin iniziò a contrarre i muscoli del fondoschiena, come a intonare una
preghiera suadente, ammaliante per far sì che l'amante desse soddisfazione
al suo desiderio che ancora non doveva essere appagato, visto che quelle
magiche dita uscirono delicatamente da lui, come vi erano entrate,
lasciandolo insoddisfatto tremante e vuoto.
Maledizione! Se Roland voleva giocare a chi dei due aveva maggior
resistenza, lui non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro, l'avrebbe
frustrato a tal punto da farlo implorare se era questo ciò che cercava il
suo spietato amante.
Si rialzò, sorridendo malefico e inginocchiandosi poi davanti a Roland
iniziò a carezzare con le labbra l'asta turgida del compagno, a torturarla
con la lingua e con i denti, arrivando sino alla base per tormentarne i
testicoli in una maniera lenta e snervante e poi risalire con lentezza
indicibile, sino a raggiungerne la sommità rosea; leccare, succhiare sino
a sentirlo tremare dalla testa ai piedi; solo in quel momento lo prese
completamente tra le labbra, ingoiandolo per tutta la lunghezza fino a
farselo battere in gola per poi risalire con tormentosa lentezza,
ripetendo quegli affondi e quelle ritirate ancora e ancora sin quando non
sentì le mani del compagno che gli artigliavano la nuca, il suo corpo che
si tendeva quasi al culmine; solo in quel momento, ritenendosi
soddisfatto, si staccò da quel corpo famelico sorridendo divertito della
sua espressione disperata e sofferentemene inappagata, lo sistemò, adesso
docile, su una poltrona ai piedi del letto in modo che Roland fosse
stabile, ben seduto e saldo con le gambe.
Roland non si oppose a nulla, si faceva muovere come una marionetta dal
compagno, incuriosito dalle strane manovre.
Arabin a quel punto gli sorrise e lo guardò poi con il più falso paio di
con occhi supplici che si fosse mai visto.
"Non riesco più ad aspettare. Ti prego.... Prendimi!"
Si sedette a cavalcioni delle gambe di Roland avvolgendo le proprie al
torace dell'altro e lo guidò inesorabile dentro di se.
Roland tratteneva il fiato, cercando di non esplodere al contatto della
carne bruciante ed eccezionalmente stretta dell'altro che, scendendo ad
avvolgerlo, si apriva dolcemente per accoglierlo.
Lo abbracciò stretto, quasi incapace di reggere alle sensazioni che lo
stavano travolgendo: sentiva il sesso di Arabin schiacciato tra i due
ventri, il suo profondamente ancorato nel corpo dell'altro, non riusciva
più a pensare o a muoversi, lasciò quindi ad Arabin il compito di guidare
quell'amplesso, di imporre il proprio ritmo, per ricavare da quella
strana, ma eccitante posizione, tutto il piacere possibile per entrambi.
Arabin, inizialmente si muoveva lento attorno a Roland, per dare tempo al
suo corpo di adattarsi alle forme dell'altro, finché suoni inarticolati di
piacere puro sgorgarono dalla sua gola, Roland poggiò le labbra sulla
pelle tesa della gola del compagno e si lasciò condurre in quel crescendo
di corse verso l'alto, seguite da rapidi affondi.
Le spinte si facevano sempre più intense, più rapide ed urgenti, il sesso
di Arabin era frizionato dalla pelle del ventre di Roland, che, unito al
sempre crescente massaggio interno lo stava portandolo rapidamente al
limite della sopportazione, conducendolo rapidamente sempre più vicino
all'orgasmo.
Roland, a sua volta, imprigionato e cavalcato senza freni aveva perso ogni
controllo e stringeva le spalle di Arabin, spingendolo sempre più in basso
ad ogni affondo, sprofondando in lui, saldandosi indissolubilmente al
corpo del ragazzo che si agitava sopra di lui.
Esplosero. Le contrazioni di Roland che si ripercuotevano nelle viscere di
Arabin, le viscere di Arabin inondate dal piacere di Roland, la pelle del
ventre incollata dal piacere di Arabin, le grida di entrambi che andarono
all'unisono ad urlare il reciproco appagamento.
Rimasero seduti, l'uno sulle gambe dell'altro finché ogni scossa di
piacere fu dileguata, finché le loro braccia non furono più in grado di
sostenerli, finché Arabin non ricadde sul compagno, esausto.
Storditi, appiccicati l'uno all'altro, la pelle madida di sudore
impregnata dell'odore del sesso, si abbracciarono e si persero nuovamente
in un bacio senza fine, carico di piacere soddisfatto.
Arabin sospirò placato e strinse ancor più il corpo che teneva tra le
braccia; poi avvicinò le labbra al lobo dell'orecchio del suo compagno,
stringendolo tra i denti e sussurrandogli divertito:
"Tornando a ciò di cui discutevamo prima di questa... interruzione; quel
che mi hai detto fa si che, da adesso in poi, sarai tu il signore a cui io
dovrò la mia totale obbedienza!?"
"No!"
A quel affermazione Arabin si tirò su, appoggiando le mani alle spalle
dell'altro e sorridendo malizioso.
"No. E questo cosa vuol dire? A chi altri dovrei i miei 'servigi'"
Un sorriso divertiti si disegnò sulle labbra di Roland:
"Chiunque, oltre me, oserà usufruirne dei tuoi 'servigi', non vivrà
abbastanza neppure per godere dei primi benefici!"
"Non corri rischi, mio signore!"
"Aspetta.... Io, io desidero che una cosa tra noi sia chiara: io non
desidero essere il tuo "Signore", un uomo a cui è dovuta lealtà ed
obbedienza; è vero che probabilmente sarò l'erede e successore di Re Gerin
ed è vero anche che tu sei affidato a me affinché io ti possa
"controllare", ma tutto questo non conta, o meglio non deve contare tra
noi; io vorrei poter essere per te: un amico, un confidente, un amante....
Il mio più grande desiderio è quello di poter divenire una persona che tu
possa riuscire ad amare ogni giorno di più...."
A quelle ultime parole subito Arabin cercò di interromperlo per chiarire
che lui gia lo amava più di quanto fosse possibile, che non occorrevano
quelle parole, quello di prima era stato solo un gioco, lui sapeva che
l'altro non l'avrebbe mai considerato meno di un suo pari; ma Roland gli
coprì le labbra con un dito sorridendogli e chiedendo con lo sguardo di
fargli concludere il discorso.
"... spero, desidero, prego affinché tutto di te possa essere mio come io
sono già tuo..."
Un velo di tristezza si abbassò per un attimo su quello sguardo di
ametista mentre le parole continuavano abbassandosi di tono:
".... Mi sono comportato nel peggiore dei modi verso di te, ti ho odiato
per anni senza concederti neppure il beneficio del dubbio, ho desiderato
la tua morte, ti ho... ti ho... violentato per sfogare la mia rabbia.."
Una pausa "... ed il giorno in cui sei stato ferito, quel giorno
tormentato dai miei mille pensieri di vendetta non ho impedito che quella
freccia per poco ti uccidesse veramente ed in quel momento ho compreso, ho
capito che se anche fosse stato vero che mi avevi tradito, che non mi
amavi come ormai e da sempre, ti amavo io... per me era comunque
impossibile continuare ad odiarti, la sola idea di averti perso mi faceva
impazzire... Arabin, io ti amo! Ti amavo in quei lontani giorni d'estate
di un amore infantile ancora inconsapevole, ma ti amavo; e ti amo oggi,
più di allora e meno di domani. Voglio il tuo cuore Arabin, non la tua
obbedienza."
Gli occhi di Arabin si erano riempiti di lacrime mentre questo ascoltava
quelle parole che erano come un balsamo sulle ferite di una vita.
Felice come non era mai stato Arabin si asciugò gli occhi col dorso della
mano e depose un leggero bacio sulle labbra che avevano saputo donargli
una tale gioia:
"Ti amo già mio signore... ti amo da sempre... per sempre."
Una pausa
"Comunque.... Ti renderai conto che quel che mi richiedi è... come dire...
impegnativo, difficile, mastodontico; comunque....magari impegnandomi
molto potrei riuscire a...."
"Brutto manigoldo! Ti occorre tempo dunque, fatica e sudore per riuscire
ad accontentarmi eh?!"
E mentre pronunciava queste parole Roland si alzò di scatto facendo
scivolare l'altro, che, colto alla sprovvista, aveva perso l'equilibrio;
ma Arabin non sentì il pavimento sotto di se, venne afferrato prima di
poter cadere rovinosamente a terra, dal suo divertito compagno, che,
rimessolo in piedi, se lo caricò in spalla, riportandolo verso il letto,
dove lo depositò afferrandolo poi per le braccia e schiacciandolo con le
spalle al materasso.
"Caro il mio "aguzzino"... adesso sei in mio potere e vedremo quanto sarai
in grado i sudare e faticare per compiacere il tuo signore!"
Detto questo iniziò a fargli il solletico un po' ovunque.
"Ferrrrrrrmo! Non puoi trattarmi così e sperare che io ti dica che non mi
costa "sudore e fatica" soddisfarti."
"Ti costerà ben più che sudore la mia "soddisfazione" mio lussurioso
amico."
Detto tra un bacio e l'altro.
"E' quel che spero mio signore!"
Ormai le nebbie di rancore e paura che avvolgevano i loro cuori si erano
diradate lasciando il posto ad un luminoso sole che, giorno dopo giorno,
avrebbe continuato a scaldarli guidandoli verso un luminoso futuro.
FINE ^^;;;;;;;
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