Ringrazio:
- Gaia che mi ha dato la possibilità di fare l'esperienza di scrivere una storia a due mani (-_- se non ci fosse stata lei a dar brio alla vicenda non so proprio cosa avrebbe potuto saltarne fuori).
- Mty , Maria e June per aver contribuito alla lontana ispirazione in quel ventoso giorno tra i ruderi di un suggestivo monumento storico (;-; mi immagino ancora i due puccioti far ritorno su quella grata "rugginosa" per un BIP di tutt'altro genere :).
Finiti i ringraziamenti, vi saluto (assieme naturalmente a: Gaia, mty, Maria e June).
Ciao e.... grazie coraggiosi lettori.


Una speranza nel cuore, Una ferita nell'anima

di Gaia e Mokuren

parte IV


Era ormai pomeriggio inoltrato quando raggiunse il limitare del campo di battaglia; il sole al tramonto, tingendo di una soffusa luce rossastra il terreno, rendeva quel luogo uno spettacolo desolante. La battaglia si era definitivamente conclusa, lo dimostrava il silenzio innaturale che permeava quel luogo desolato.
Roland, ancora nascosto dal verde del bosco, si approssimò al suo limitare, senza però uscire dalla sua sicura ombra per evitare di esser scorto da eventuali sentinelle in perlustrazione; avvicinandosi però il più possibile per cercare di vedere quanto più poteva, sperando così di comprendere l'esito del conflitto.
Vide uomini miserabili che si aggiravano tra i cadaveri spogliandoli di tutto quello che poteva avere anche un minimo valore, lasciandoli poi scomposti sul suolo ricoperto di sangue, povere anime abbandonate e gia dimenticate che sarebbero state sepolte, la mattina successiva, in fosse comuni, senza lapide ne onore, senza una sola parola di cordoglio o un bisbiglio di preghiera, sepolti e non lasciti alle ingiurie degli animali solo per evitare epidemie... che fine miserevole.
Non voleva pensarci, non voleva vedere quello che un giorno avrebbe potuto essere anche il suo destino; si concentrò sui propri problemi: se la battaglia era finita evidentemente c'era stato uno sconfitto ed un vittorioso, ma chi era l'uno e chi l'atro? Roland non sapeva cosa si sarebbe trovato dinnanzi una volta raggiunto il maniero, se voci festose per la vittoria, o urla disperate di sconfitti torturati; in cuor suo pregava affinché la battaglia fosse stata persa, sperava che Hermin fosse stato finalmente sconfitto e condannato a quel che meritava se non addirittura morto, ma in tal caso come avrebbero accolto lui e il suo prezioso compagno che giaceva ancora privo di sensi tra le sue braccia?
Lo avrebbero curato o, in quanto nemico, lo avrebbero condannato e lasciato morire?
Questo purtroppo non gli era dato saperlo, una cosa però era inevitabilmente certa, il palazzo di re Hermin era l'unico luogo dove avrebbe potuto portare Arabin con la speranza che gli venissero prestati i soccorsi necessari, nelle vicinanze non c'era nessun altro luogo dove potersi rifugiare, non un convento, non un monastero; Re Hermin aveva disperso ogni ordine ecclesiastico, aveva "gentilmente convinto" tutti: ad andarsene o a seguirlo salvando la vita solo ai contadini che pagavano gli esorbitanti tributi da lui imposti.
Proseguì rientrando nel bosco. Prima o poi avrebbe dovuto attraversare il campo di battaglia, uscire allo scoperto e sperare in una buona sorte. Roland era completamente assorto nei suoi pensieri e quasi non si accorse che Fasar si era fermato.
"Randolf. Aiutami." Una voce distorta dal dolore, ma boriosamente riconoscibile lo riportò alla realtà.
Roland rimase immobile, stringendo maggiormente a sé il corpo svenuto del compagno.
Riverso a terra, completamente coperto di sangue e di fango giaceva il corpo di re Hermin.
"Cosa fai soldato!.... scendi.." un accesso di tosse, che scosse quel corpo martoriato, interruppe per un attimo quelle parole gracchiati "... scendi immediatamente da cavallo e.... aiuta il tuo re."
Roland guardava il suo nemico riverso a terra. Doveva avere ferite profonde sul petto, una gamba rotta e uno squarcio verticale che congiungeva l'occhio sinistro con la bocca ad ornare il volto. Sentì il sangue ribollirgli e la rabbia iniziare ad urlare nella testa.
"Maledizione raga... zo, mi hai sentito? Lascia quella feccia e vieni ad aiutar...mi." Le ultime parole erano quasi un rantolo rabbioso
Roland, di fronte a quegli insulti, si sentì sommergere dall'ira, avrebbe voluto smontare si, ma solo per dare a quel cane il colpo di grazia.
"L'unica feccia che vedo è davanti a me."
Re Hermin strabuzzò gli occhi.
"Lurido bastardo.... come osi... tu..." Un nuovo attacco di tosse interruppe il discorso sbraitante.
"E chiamarti "feccia" è un atto di gentilezza."
"Schifoso ragazzino..., appena avrò ripreso le forze... ti ucciderò per... questa insolenza."
Re Hermin, con le ultime forse residue, guidato da un cieco e assurdo furore, cercò la spada, ma al suo fianco c'erano soltanto foglie e rami secchi.
Roland rise, cattivo, acido, dall'alto della cavalcatura, mentre Hermin cercava affannosamente di rimettersi in piedi.
"E' inutile che ti agiti così, non ti rendi conto che la morte ormai ti alita sul collo, arrenditi e di addio alla tua miserevole vita con un minimo di dignità, quella che non hai mai avuto sino ad oggi. Non potrai sfuggire al tuo destino Hermin, stavolta nessuno verrà ad aiutarti, sarai solo, solo come meriti di essere, solo come uno spietato assassino quale tu sei, deve morire."
"Bastardo. Traditore.... maledetto. Uno come te si.... Io lo posso... uccidere... anche senza spada!"
Roland si tese:
"Non farmi venire l'assurdo desiderio di uccidere un verme disarmato e moribondo quale tu sei."
Hermin rispose con una risata bruscamente interrotta da un attacco di tosse.
"Oltre ad essere... insolente, sei pure... stupido." ansimava, il volto paonazzo nello sforzo di alzarsi.
"Il ragazzino non vuole uccidere.... un uomo disarmato! Che idiozie sento.... pronunciare dalle labbra... di un mio soldato."
A quelle parole lo sguardo di Roland si fece di ghiaccio:
"Da un maiale assassino come te non potevo aspettarmi altra risposta."
Si stava trattenendo per non saltare giù dal cavallo e strangolarlo con le sue stesse mani. Stringeva spasmodicamente le briglie e teneva serrato a se Arabin, nel tentativo di non farsi trascinare dall'ira e dalla rabbia. Aveva aspettato così tanto il giorno della vendetta, ma non poteva, in nessun modo, per nessuna ragione uccidere un uomo disarmato e ferito, neppure per ripagare la morte del padre e della madre; il suo onore, gia macchiato dalle sue azioni, ma ancora presente era l'unica cosa integra che gli restava e non l'avrebbe calpestato per assecondare la sua ira.
"Da uno smidollato idealista... non c'è da aspettarsi altro vero... ragazzo!? Non ucciderò un uomo disarmato!" disse Hermion scimmiottando la voce di Roland. E riprese a ridere sguaiatamente, respirando, tossendo, rantolando. "Questi sono i discorsi di... un debole, di un vile codardo! Chi ti ha insegnato tali... baggianate, tuo padre!? Di sicuro un cane rognoso come te che sarà morto seduto su una lurida latrina."
A quell'insulto Roland sbiancò ed un furore assassino si impossessò di lui:
"Non osare mai più dire una cosa del genere!"
Urlò.
"Non ti permetterò di offendere la memoria di mio padre."
Roland appoggiò Arabin sul collo di Fasar e scese da cavalo, andando verso re Hermin, che nel frattempo era riuscito a mettersi in piedi.
Occhi fiammeggianti, la mascella contratta, i muscoli tirati, la mano che stringeva l'elsa della spada, pronto a staccare di netto la testa di Hermin.
Si fermò ad un passo, in preda all'ira, combattendo contro se stesso per non venire meno agli insegnamenti che aveva ricevuto. L'onore, insieme alla ricerca strenua ed indefessa della verità, erano i due punti cardinali su cui si era basata tutta la vita del padre; a uno di questi era gia venuto meno non ascoltando le parole di Arabin e condannandolo senza concedere possibilità di difesa, non avrebbe calpestato anche l'alto, no! Neppure davanti all'evidente tentativo di quel viscido uomo che cercava una spada su cui morire con l'onore che non aveva, ma non l'avrebbe accontentato, anche se, in quel momento, ucciderlo gli sembrava la cosa più bella e giusta che potesse esservi.
Concentrò tutta la sua ira in unico gesto e sputò in faccia a Hermin.
"Non hai il diritto di nominare mio padre, lurido verme."
Una nuova, sguaiata, risata stridula eruppe da quella sudicia bocca.
"Tuo padre? Perché... hai anche un padre? Ma se sei figlio... di una scrofa e di un caprone! E si sa, i caproni... non hanno onore, hai solo ragione su un punto, è inutile.... nominarli, sarebbe solo uno spreco di fiato...." sbraitò sguaiato, prima di balzare, concentrando le poche forze rimaste, contro il ragazzo che restava in piedi , contratto, teso e rigido per evitare di saltargli al collo.
Una mossa assurda, lenta e impacciata che Roland non ebbe difficoltà a schivare evitando di essere colpito; vide solo il corpo di Hermin cadere a terra, accompagnato dal suono di ossa fracassate; l'uomo aveva picchiato la testa sopra una roccia e una profonda ferita campeggiava adesso sulla sua fronte. Respirava a fatica, annaspando, guardando con odio il ragazzo che troneggiava sopra di lui, con un ghigno cattivo sul volto imbrattato di sangue e contratto dal dolore.
"Non avrai anche il briciolo d'onore che ancora mi resta. Non ti ucciderò! Ma non ti aiuterò, se riuscirai a sopravvivere, cosa che dubito, ci rincontreremo e allora stai sicuro che morirai, morirai infilzato dalla mia lama, dalla lama di un tuo antico rivale, dalla spada di un ragazzino che risparmiasti 10 anni fa dopo aver vilmente trucidato la sua famiglia, all'ora dicesti che, risparmiandomi, sarei tornato per vendicarmi, mai tue parole furono più esatte, eccomi! ho solo sbagliato l'oggetto del mio odio e di questo non mi pentirò mai abbastanza.... Vedo dai tuoi occhi che inizi a comprendere, si, sono io, quello che è stato salvato dal coraggio di quel ragazzo adesso privo di conoscenza che hai chiamato "feccia" e che invece è un tesoro, un inestimabile tesoro che, tu non hai mai meritato, che, come me, hai umiliato, tradito e ferito e che io ho odiato per colpa tua. SI! Sono Roland dei Garebar, il figlio di re Jeor sopravvissuto e tornato per vederti morire come meriti."
Le ultime parole di quel discorso però non furono udite da Hermin che, ad occhi spalancati, ancora fissi su Roland, aveva esalato il suo ultimo respiro.
Finito, era finalmente finito il suo incubo. La morte di quell'uomo segnava la fine del passato e l'inizio di una nuova vita.
Si piegò sul cadavere di quell'uomo, adesso non più un re, ma solo un cadavere insanguinato e gli chiuse gli occhi.
"In fin dei conti sei stato solo un povero disgraziato privo d'amore. Solo nella vita come lo sarai adesso nella morte; io, da parte mia, spero solo che tu non riesca trovare, neppure adesso, la pace che non meriti."
Con un gesto rapido strappò dal cadavere il medaglione che portava al collo, il sigillo del Re. Guardò il corpo un istante e tornò verso Fasar, che era rimasto fermo poco lontano.
Non aveva più tempo. Forse i lupi si sarebbero occupati del cadavere, sempre se non schifavano quella carogna.
Risalì in groppa al destriero e lo spronò verso il maniero.
^^^^^^^^^

Sulla torre sventolava uno stendardo che non conosceva. Si avvicinò al ponte levatoio, ma fu subito intercettato e fermato da un soldato che vestiva dei colori sconosciuti.
"Chi siete?" Apostrofò così la guardia, indicando Roland e Arabin.
"Non un vostro nemico! Ti prego di farmi passare, quest'uomo è ferito e ha immediato bisogno di cure."
"Hai addosso i colori del signore sconfitto. Non posso farti entrare."
E detto questo chiamò a raccolta i soldati.
Una decina di armigeri circondarono Fasar sguainando le spade e puntandogliele contro con atteggiamento evidentemente ostile, poco dopo tutt'intorno si accalcarono i servi del maniero che avevano rinnegato Hermin quale loro re, giurando fedeltà al nuovo signore, curiosi di assistere a qualsiasi spettacolo quella scena gli avrebbe offerto.
In quel momento si udì una voce che sovrasto il brusio circostante.
"Cosa accade? Fate largo."
Il capo delle guardi si fece strada tra la folla.
"Chi sei soldato, che osi entrare in questo maniero con addosso quei colori."
"Ve lo dirò, vi spiegherò tutto quello che vorrete sapere, ma prima portate quest'uomo dal cerusico, è ferito e febbricitante, non può attendere oltre." Rispose deciso Roland.
"Chi è quell'uomo?" Additò il capo delle guardie, mentre i soldati si facevano più vicini e minacciosi.
"Che importa. E' un ferito che necessita cure e anche se fosse un vostro avversario, non potete negargli assistenza. Se è colpevole di qualcosa non potete esser voi a deciderlo condannandolo a morte e lasciandolo perire qui." Roland parlo con tono secco ed autoritario. Non poteva permettersi di perdere altro tempo.
Un soldato si avventò contro Fasar, che nitrì e scalpitò. Roland lo trattenne con forza, ma Arabin fu sbalzato a terra. Il colpo lo riportò bruscamente alla realtà.
Arabin si guardò intorno, spaesato. Uomini armati, vociare, grida acute, occhi sospettosi, facce mai viste.... Chiuse gli occhi. Perchè mi hai riportato qui, Roland? Perchè non mi hai lasciato tra gli alberi? Pensieri per cui avrebbe voluto avere una risposta, ma che non riusciva a esprimere a parole, e poi la sua voce si sarebbero di sicuro persa tra il clamore circostante.
Alla vista del compagno a terra, con gli occhi chiusi, immoto, Roland scese da cavallo e si lanciò sul corpo sdraiato.
"Arabin .." Quel nome echeggiò tra le mura di cinta del maniero, talmente forte che tutti si zittirono.
Arabin riaprì gli occhi e afferrò una manica di Roland, regalandogli un mezzo sorriso, come a dire che ci voleva ben altro per levarlo di torno.
"E' lui!" Era la voce isterica di una vecchia.
"E' lui! E' lui!" Continuava a ripetere la voce accusatoria.
La donna fu portata al capo delle guardie.
"Che dici vecchia?" Apostrofò l'uomo.
La vecchia additò il corpo sdraiato in terra.
"E' lui. Il figlio di re Hermin." disse, sputando in terra alla pronuncia del nome dell'ex-signore.
Un brusio si diffuse tra la gente, mentre le guardie si avvicinavano, spada alla mano, ai due giovani.
Roland si alzò in piedi.
"Fermi!" Gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Il suono sembrava uscito dalle viscere della terra, tanto che anche il capo delle guardie si stupì.
"Che cosa succede?" Dal maniero era uscito un gruppo di uomini finemente vestiti, scortati da un manipolo di guardie armate. Arrivati dal capo delle guardie ripeterono la domanda.
"Sembra che quest'uomo sia il figlio di Hermin." rispose la guardia.
"Chi sei?" chiese l'uomo a Roland.
"Non quello, Signore, l'altro." ed indicò il ragazzo ancora sdraiato in terra.
"Tu sei il figlio di Hermin?"
Arabin annuì.
"Hermin è stato sconfitto ed è scappato. Cosa ci fai tu qui?" Chiese con durezza.
"No. Hermin è morto." Rispose Roland, porgendo il sigillo all'uomo davanti a lui.
Un brusio squarciò il silenzio irreale che aveva avvolto tutta la scena.
Roland guardò per un istante l'uomo che aveva davanti e poi volse gli occhi verso Arabin, nella speranza di non trovare odio nei suoi occhi.
Arabin lo guardava, interrogativo. Erano successe troppe cose tutte insieme e la sua mente non era lucida. Non riusciva a stare dietro al rapido evolversi dei fatti, aveva capito che Hermin era morto, che era di nuovo nel maniero, che Roland lo stava difendendo, che si sentiva male, il dolore alla spalla, e poi un bruciar diffuso in tutto il corpo, e altri ricordi si sovrapponevano gli uni agli altri.
"Ragazzo, sei stato tu a uccidere Hermin?" chiese l'uomo.
Roland scosse la testa:
"Non sono stato io, anche se avrei voluto, è morto sul campo, io ho solo trovato il suo corpo." Disse fissando intensamente il volto del compagno.
"Chi sei?" chiese nuovamente l'uomo, dirigendo stavolta la domanda verso Roland.
"Fate curare quest'uomo..." rispose a sua volta l'interrogato indicando Arabin. "... ed io risponderò a tutte le vostre domande."
Improvvisamente la folla divenne ancor più rumorosa iniziando a stringersi attorno ai soldati e gridando in maniera scomposta:
"Non ascoltatelo! Chi ci dice che non stia mentendo per proteggere il loro signore?!"
"Giustiziateli entrambi! Sono solo dei luridi nemici."
"Se è vero che Hermin è morto ha avuto solo quel che meritava."
Le urla si facevan sempre più pressanti e alla folla di sbraitanti curiosi si unirono anche molti dei soldati che chiedevano di giustiziare quei due nemici intrusi.
Roland a quel punto si alzò in piedi cercando di superare, con la voce, quel bocio assordante.
"Se volete giustizia, siate giusti. Processatelo, ma dategli la possibilità di sapere di cosa è accusato e di difendersi. Prima curatelo e poi lasciate che i giusti si occupino di lui." Roland si era rivolto alle guardie che avevano già alzato le spade, riuscendo a distoglierle dal loro intento.
Sapeva che le cose non si stavano mettendo bene. C'erano poche possibilità di uscirne vivi, possibilità che erano quasi inesistenti per Arabin, macchiato dalla "colpa" di essere figlio dell'antico tiranno. Ma forse una possibilità, se pur piccola, c'era e lui avrebbe fatto di tutto per trovarla, intanto doveva riuscire a farlo curare, e poi avrebbero trovato una soluzione, magari sarebbero fuggiti o chissà cosa altro. Doveva solo affrontare un problema per volta.
"Quest'uomo è saggio ed ha ragione. Portate il ferito dal cerusico e tenetelo sempre sotto stretta sorveglianza."
Roland si spostò di malavoglia mentre le guardie circondarono Arabin. Il ragazzo si alzò con un notevole sforzo sotto gli occhi impotenti di Roland, e barcollando, seguì le guardie.
"Ed ora ragazzo, dimmi chi sei."
"Mi chiamo Roland. Ero un soldato al servizio di Hermin." Rispose.
"E allora perchè lo volevi veder morto?"
"Per vendicare la morte di mio padre; di mia madre e della mia gente."
"Della tua gente?"
Improvvisamente un'altra voce, pose la domanda successiva:
"Chi era tuo padre ragazzo?" l'interrogativo era stato posto da un uomo che si era fatto largo tra la folla, un nobiluomo canuto ma robusto, finemente vestito e al cui fianco pendeva una sciabola con sull'elsa uno stemma che a Roland non era completamente sconosciuto.
"Jeor dei Garebar" rispose con voce autoritaria.
"Jeor dei Garebar, e tu sei dunque Roland dei Garebar?"
"Non esiste più la casata dei Garebar. Io ero Roland dei Garebar, ora sono solo Roland, soldato di ventura."
L'uomo gli sorrise benevolo, poggiandogli una mano sulla spalla:
"Vieni con noi Roland, Roland dei Garebar." Poi, rivolgendosi ad un soldato, ordinò che il cavallo del giovane fosse portato nella stalla e adeguatamente accudito.
Roland, dopo esser stato disarmato, seguì gli uomini che rientravano nel mastio.

^^^^^^^^^^

Quanti giorni erano trascorsi dal momento in cui era stato "gentilmente" rinchiuso in quell'angusta cella? Non riusciva a ricordare, per diverso tempo era sto avvolto in uno strano stato sempre in bilico tra coscienza ed incoscienza a causa della febbre e della ferita infetta; era solo sicuro che, da quando era tornato in se, dovevano esser passate altra due notti. Cosa stava accadendo, dove si trovava Roland, cosa gli era successo? Quell'attesa inutile, quelle assurde cure, perché non venivano da lui e gli dicevano che era stato condannato, perché lo curavano se il suo destino, come unico figlio di Hermin, era quello di venir giustiziato come traditore della corona.
Arabin era talmente perso nei suoi pensieri che non sentì aprirsi la pesante porta della cella da cui entrò il vecchio cerusico che, come ogni giorno, era venuto a medicare le sue ferite.
"Buongiorno figliolo, vedo che oggi stai molto meglio, mi sembra che la febbre sia completamente passata, il tuo colorito è tornato normale, adesso controlliamo la spalla e cambiamo la medicazione." Disse il vecchio con voce appesantita dagli anni, guardandolo a lungo per intravederlo nell'oscurità umida della angusta prigione.
Arabin, seduto sul pagliericcio, fissò l'uomo, rendendosi conto solo in quel momento di chi esso fosse, grato di poter vedere qualcuno.
"Haglik, è così che vi chiamate vero?"
Il vecchio annuì.
"Haglik, ditemi da quanto tempo sono rinchiuso qui dentro?"
"Sono sei giorni con oggi."
Sei giorni. Era dunque in quella cella già da sei giorni e non aveva la benché minima idea di cosa stesse accadendo. Si ricordava che il maniero era stato espugnato, il padre morto, si ricordava le voci dei soldati e della folla che chiedevano a gran voce la sua morte e Roland che lo aveva difeso, rischiando le ire del nuovo signore, ma poi non c'era più nulla.
Un sospiro pesante uscì dal suo petto.
Il Cerusico gli si avvicinò dolente, cercando di rivolgergli un sorriso incoraggiante:
"Ragazzo, fatevi coraggio, non abbattetevi così, fatemi controllare la ferita, cercate di riprendervi completamente, poi..."
"Poi... non c'è un POI per me; il mio destino è chiaro Haglik, chiaro come la luce del sole che brilla fuori da questa cella."
Le brusche parole del ragazzo gelarono il timido sorriso che si era formato sul volto del vecchio, che sapeva bene quale sorte fosse in serbo per quel povero giovane.
"Scusa Haglik, so che cerchi di esser gentile con un condannato, ma... è inutile, a questo punto solo avere delle risposte alle mille domande che mi tormentano potrebbe aiutarmi... ma non sono sicuro che mi aiuterebbero a star meglio.... Haglik, potete dirmi cosa sta succedendo fuori di qua?" Chiese Arabin distrattamente fissando le alte grate della sua cella.
Per quanto sentisse già il ferro mordergli le carni, non ce la faceva più ad udire solo i rumori attutiti che filtravano dalle spesse mura, aveva bisogno di sentire ancora il suono della voce umana per sapere che non era completamente affondato nel nulla delle prigioni, ed il vecchio era l'unico filo che lo legava al mondo esterno.
"Stanno decidendo come amministrare le terre e i possedimenti di tuo padre."
"Mio padre! Dannazione, mi perseguita anche dopo morto!" il ragazzo s'infuriò, sbattendo un pugno sul pagliericcio umido.
"Vana speranza la mia, eh vecchio.... che la memoria umana potesse scivolare nell'oblio del tempo! Dopo così tanti anni vengo ancora riconosciuto come figlio di colui che mi ha generato, perché solo quello ha fatto per me."
Le parole, intrise di triste consapevolezza, si spensero nel buio della cella.
"La memoria degli uomini forse avrebbe potuto anche dimenticare, ma non quella delle madri in pena per la sorte dei propri figli...."
Arabin, a quelle parole, si fece ancora più cupo di prima; gli tornò alla mente il volto, sbiadito dal tempo, di sua madre; morta senza che a lui fosse concessa la possibilità di darle neppure l'ultimo addio. Ormai non si ricordava più molto di lei: la dolcezza del volto, il colore dei fini capelli che le incorniciavano il l'ovale del viso, la tristezza negli occhi; la tristezza di una donna che conosceva gia le angherie del mondo e di un marito e signore despota e crudele.... Povera madre, chi sa se lei era riuscita a mantenere di suo figlio un immagine viva, se era riuscita a non dimenticarlo... probabilmente, presto si sarebbero rivisti.
Il vecchio, scambiando il suo silenzio per curiosità, proseguì con le sue spiegazioni:
"....una donna delle cucine, una vecchia aiutante che aveva un figlio tra le fila dei soldati, ha barattato la sua vita per la tua. Ha chiesto di risparmiare il proprio figlio ed in cambio ha assicurato, giurato e spergiurato che Hermin aveva ancora un erede in vita che lei avrebbe potuto riconoscere. Quando siete arrivati vi ha additato, riportando alla luce ciò che era sepolto ormai dalla polvere del tempo."
Arabin, alla chiarezza del ricordo riportatogli alla mente da quelle parole, si riscosse, se il vecchio sapeva come si erano svolti i fatti al loro arrivo, probabilmente conosceva anche le sorti di Roland:
"Dimmi Haglik, sai anche cosa ne è stato del giovane che era con me il giorno del nostro arrivo?" Chiese con curiosità bruciante.
Il vecchio si stupì dello strano fuoco che aveva animato la domanda.
"Chi!? L'erede dei Gabear?" chiese a sua volta.
Arabin annuì, facendosi più vicino, per non perdere neanche una parola del vecchio.
"Quel Ragazzo è stato riconosciuto come il nobile erede della sua scomparsa dinastia e come tale reintegrato nel suo ruolo; è tenuto in somma considerazione dai nuovi padroni. In particolar modo dal più anziano, un uomo da tutti riconosciuto come saggio e giusto."
Roland era salvo e al sicuro dunque; ecco la prima buona notizia da quando era stato rinchiuso la dentro, adesso non aveva più preoccupazioni, avrebbe accettato il suo destino a testa alta, qualsiasi esso fosse, rassicurato dal fatto che il suo Roland non correva più pericoli.
Il cuore però, nonostante la ragioni gli dicesse di rallegrarsi, era dolente, probabilmente non avrebbe più visto il suo amato compagno, chi sa, nonostante ciò che era successo a quel punto Roland l'aveva dimenticato, impotente davanti a quel che era il destino del figlio di un vile traditore.
Scosse la testa, non doveva tornare a crogiolarsi in desolati pensieri, adesso sapeva ciò che desiderava e le rivelazioni fattegli erano positive e l'unico sentimento che doveva provare era sollievo e gioia per la persona che più amava al mondo.
Il vecchio nel frattempo si preparava a medicare la ferita alla spalla, che, sebbene non si fosse infettata, era rossa, gonfia e metteva a nudo la carne pulsante. Come si avvicinò per levargli la benda intrisa d'unguenti e sangue rappreso, Arabin lo fermò con una mano.
"Vecchio, và di sopra e dì loro che sono in grado di affrontare ciò che mi sta aspettando."
"Ma la ferita, non.."
"E cosa importa a questo punto? Ci saranno sicuramente altri che necessitano più di me delle tue cure." rispose quasi con rabbia Arabin.
Il cerusico attese ancora qualche istante, con le bende strette in mano, poi le ripose nella sacca di pelle che aveva a tracolla e si diresse all'uscita, ma prima di varcare la porta, Arabin lo richiamò:
"Grazie Haglik! Ti sono grato per ciò che mi hai rivelato e per le cure che mi hai prestato, so che vale poco, ma hai la mia gratitudine."
Il vecchio cerusico abbasso gli occhi e, con il cuore pesante all'idea del triste destino che attendeva quel povero ragazzo, uscì dalla cella.
Rimasto solo Arabin venne assalito da quei dubbi che aveva cercato di scacciare sin dal momento in cui aveva appreso le sorti di Roland, se anche questo non avesse potuto far nulla per lui, se la sua intercessione si fosse rivelata inutile davanti alle decisioni prese da quei nobili che lo tenevano li rinchiuso, perché non si era fatto neppure vedere, non un qualsiasi messaggio, non una visita, anche solo da dietro la porta della cella; si sentiva abbandonato anche da Roland; quando erano entrati nel maniero, si ricordava che lo aveva difeso, che aveva preso le sue parti, gli occhi scuri che lo guardavano, preoccupati..
Non poteva essere solo frutto della febbre o della stanchezza, non si poteva essere immaginato tutto. E se fosse stato solo per.. Per cosa?
Perché Roland aveva ancora addosso l'odore del suo corpo? Perché in quel bosco si erano lasciati andare, dimentichi dei rispettivi antenati? Perché vi era ancora un debole ricordo del piacere condiviso? Come un cliente che sorride alla cortigiana, prima di abbandonare la sua stanza, ancora satollo della notte trascorsa, ma pronto a dimenticarsene appena la luce irrompe nel velo del piacere notturno? Perché si era pentito di cosa era accaduto tra loro? Pentito di non aver preso, come lui si aspettava, ma di essersi donato?
Al ricordo un brivido di piacere gli percorse il corpo; cosa, cosa stava pensando Roland in quel momento, di lui... di loro.
Adesso le situazioni erano mutate. Roland era ridiventato Roland dei Gabear, Hermin era morto, l'odio della vendetta placato dal sangue, lui aveva rivisto quegli gli occhi blu sorridere, e aveva ancora nelle orecchie le parole profumate di bosco fresco e di... di quello che a lui era sembrato potesse essere amore? Evidentemente si era sbagliato, scambiando il desiderio, l'urgenza, la brama per qualcosa che non era.
Dalle alte grate iniziò a filtrare la luce del sole che doveva esser gia alto nel cielo. Non aveva più voglia di combattere per rosicchiare una fetta di mondo dove costruire la sua tana. Se così doveva essere, prima arrivava l'epilogo e meglio era per tutti, per lui in primis.
Il tempo non sembrava intenzionato a passare. La giornata strascicava lenta nel buio della cella, nessuno che si affacciasse alla piccola feritoia della porta di legno che lo separava dall'esterno, neanche per insultarlo, neanche per offenderlo per la sua genia, meglio un odio pronunciato a gran voce che l'oblio del silenzio della prigione. Perché? Gli sembrava di diventar pazzo. Che lo uccidessero in quell'istante, con una lama conficcata nella schiena invece di lasciarlo lì a marcire nei suoi pensieri che non mostravano alcuna via d'uscita. Si accucciò sul pagliericcio, cercando di rievocare il sapore del compagno di una notte strappata all'odio, ma il sapore si mischiava alla tristezza, alla solitudine. E pensare che per anni ed anni era stato lui stesso a cercare quella solitudine adesso così tanto odiata. Spazzata via in una notte febbricitante.
Non ne poteva più! Qualunque cosa succedesse, era sicuramente meglio di quello che aveva adesso.
Proprio in quel momento, la porta fu spalancata ed entrarono due soldati, uno di questi gli si avvicinò piantandogli una lama alla gola.
Il cuore di Arabin iniziò a battere veloce come un cavallo lanciato al galoppo.
"Se fai una sola mossa ti sgozzo come un maiale." Gli sibilò quello che teneva il coltello. "E sa iddio quanto vorrei farlo, per cui non mi provocare." aggiunse brusco.
L'altro soldato gli strattonò le braccia davanti al busto. Il movimento brusco riaprì la ferita. Arabin strinse le mascelle per non gridare ed irrigidì i muscoli per non reagire alla provocazione, mentre la lama sfiorava la pelle del collo incidendola leggermente. La garza sporca si tinse nuovamente di vermiglio vivo.
Gli furono legati i polsi con un laccio di cuoio e lo spinsero fuori dalla cella, colpendo volutamente sulla spalla sanguinante. Arabin non reagì.
"Allora, figlio d'un cane, sembra che stasera ci sarà spettacolo!" rise sguaiato uno dei due.
"Si, e tu sarai l'attrazione principale" fece eco l'altro, ridendo sguaiato.
Arabin smise di ascoltare. Il cuore che gli martellava in petto, la luce che gli feriva gli occhi, il dolore diffuso in tutto l'arto, adesso avrebbe fronteggiato il suo destino.
Fu portato all'esterno, dove lo attendeva una folla di genti e soldati. Come arrivò alla luce del sole scese il silenzio. Si guardò intorno. Riconobbe alcuni dei suoi ex compagni d'armi, vestiti dei colori dei nuovi padroni; molti dei contadini e dei servi di un tempo adesso si erano posti sotto la protezione del nuovo regnante, chiunque esso fosse; e uno spazio vuoto, circondato e ben difeso dai soldati che avevano conquistato il maniero.
Fu trascinato nel centro di quello spiazzo, mentre la folla iniziava a gridare riempiendo l'aria con urla di morte.
Rimase in piedi, nel caos, con i suoi due forieri di morte posti ai lati, con la fronte rivolta alla porta del castro e le grida della folla inferocita che premevano sulle sue spalle.
Dalla possente porta uscirono altri soldati in tenuta da guerra e il gridar della folla si spense.
Il tempo era come sospeso ed il silenzio calato talmente irreale da far pensare all'istante che precede un terremoto.
Lentamente uscirono uomini finemente vestiti, con le facce segnate dal tempo e dal sole, alcuni con i volti che portavano ancora i segni delle battaglie sostenute. Via via che arrivavano alla luce del sole riconobbe l'uomo che aveva ordinato che lo curassero, un nobile dai lineamenti ruvidi e dagli occhi guizzanti e imperiosi, intravide la testa canuta dell'uomo che aveva riconosciuto Roland, ed accanto a lui vide la scura capigliatura dell'erede dei Gabeor. Il cuore perse un battito. Gli occhi furono stregati dal ragazzo avvolto in un mantello blu, di un blu talmente profondo da sembrare quasi nero, dello stesso colore dei capelli, e dei suoi occhi; era splendido! le labbra che aveva baciato, la pelle che aveva sfiorato, gli occhi che aveva visto riempirsi di dolcezza. Occhi che adesso erano profondi come pozzi e irraggiungibili.
La sola presenza di quei nobili incuteva rispetto e riverenza, la folla, inverosimilmente silenziosa, testimoniava la dignità e il potere che anche solo le loro figure riuscivano a trasmettere.
Arabin sentì l'impulso di abbassare il capo, non solo per dimostrare sottomissione e riverenza ai nobili davanti a lui, ma, soprattutto, per non vedere quella creatura quasi marmorea da quanto sembrava rigida e irraggiungibile. Avrebbe voluto tener nella mente solo le sensazioni di quel corpo contro il suo, la morbidezza delle sue carni, l'odore della sua pelle, il sapore del suo piacere, i suoni del suo godere, il sorriso regalatogli giorni addietro.
Ma, doveva difendere almeno quel pò d'onore e d'amor proprio che lo sorreggevano ancora e per questo tenne la testa ben alta, gli occhi puntati su Roland, le membra rigide per evitare di cadere, la mente che rifiutava di accettare il suo stato; sporco, con la casacca macchiata di sangue, le bende intrise di vermiglio, i polsi saldamente legati e ben in vista. Strinse le mani fino a farsi male. Perché doveva sopportare anche quell'umiliazione? Non era bastato tutto quello che aveva già passato? Perché non lo uccidevano senza tante scene? Perché Roland lo doveva vedere così, in quello stato, e perché nei suoi occhi non riusciva a leggere niente? Né odio né compassione, solo una dura, irraggiungibile, fredda indifferenza che lo feriva più di qualsiasi giudizio lo attendesse?
L'uomo che aveva ordinato che lo curassero iniziò a parlare, squarciando il silenzio.
"Dobbiamo giudicare quest'uomo, Arabin degli Hollern, figlio di Hernim degli Hollern, tiranno spietato che per almeno quindici anni ha saccheggiato, distrutto.." Arabin smise di ascoltare. Non poteva rifiutarsi d'essere figlio di quell'uomo, ma poteva evitare di sentire quest'ulteriore offesa. Sapeva cosa era e come aveva vissuto in quegli anni; che lo uccidessero, lui non poteva impedirlo, ma almeno avrebbe detto loro chi e cosa era diventato grazie a quell'uomo che era stato chiamato suo padre.
Arabin rimase in piedi, immobile, rigido come se la morte lo avesse già abbracciato e legato a sé indissolubilmente; gli occhi fiammeggianti dalla rabbia e allo stesso tempo screziati di tristezza fissi sul volto di Roland, da cui non trapelava traccia di alcuna emozione.
Se solo il ragazzo accusato non si fosse fermato all'apparenza e avesse guardato più attentamente avrebbe visto però l'innaturale rigore che permeava le membra del compagno, i pugni serrati, la mascella contratta nello sforzo di non mettersi a gridare, le gambe rigide per evitare che, autonomamente, si muovessero verso di lui.
"..Arabin degli Hollern, oggi, di fronte a questi miei nobili compagni d'armi, per questi motivi io ti accuso."
Il nobile aveva appena finito di parlare che dalla folla si levò un grido di morte. Arabin però sapeva che non poteva essere accusato se non di aver quel sangue nelle vene, un maledetto sangue che non aveva chiesto lui di possedere e, di cui, potendo, si sarebbe volentieri liberato, ma questa sua consapevolezza non avrebbe fatto alcuna differenza; di quella colpa era macchiato e a nessuno sarebbe interessata la sua storia, il suo rifiuto per quel genitore maledetto. Se doveva pagare per quella colpa acquisita con la nascita, per quel peccato insito nelle sue carni, non si sarebbe opposto, ma avrebbe almeno gridato a tutti quella verità che a nessuno sarebbe interessata, ma che l'avrebbe almeno liberato da un peso che si portava addosso da tutta una vita:
"Di cosa sono accusato? Di essere stato generato da tale uomo?" Gridò.
La sua voce si levò profonda e roboante, carica di disperazione, ma non ostante questo combattiva. Lui sapeva la verità. Forse anche Roland sapeva, gli altri no, e forse non sarebbero stati interessati a niente, ma lo doveva fare, doveva dirlo chi era.
"Di avere nelle vene il suo stesso sangue? Si, di questo sono colpevole, ma non per mia libera scelta. Di aver vissuto sotto di lui, sotto il suo dominio? Si, di questo sono colpevole, ne più ne meno di tanti altri miei compagni d'armi che oggi vedo vestiti dei vostri colori. Di aver condotto la vita del più misero e infame dei soldati? Di aver combattuto in un esercito che non avevo scelto ma che mi era stato imposto? Anche di questo la mia coscienza è macchiata, né più né meno di nessun altro uomo che nasce e si trova incatenato al padrone sotto cui è nato. Di non aver trovato la forza di uccidere colui che è detto padre perché così avrei decretato la morte di colei che mi ha generato? E quando anch'essa ha finito il suo tempo su questa terra, di non aver trovato l'occasione o la forza di portare a termine tale compito? E' questa la mia colpa?"
Prese fiato, il volto paonazzo, la tensione che gli faceva contrarre spasmodicamente i muscoli, la casacca su cui si spandeva la macchia vermiglia, la voce che risuonava forte, ferma.
"Di non aver avuto una valida guida a illuminare i miei passi, e pertanto questo ha decretato la malvagità del mio animo? O forse di essermi fidato, unica volta, delle parole di un uomo che chiamai, per l'ultima volta, padre?"
Piantò uno sguardo duro e combattivo sul volto di Roland. Lui aveva capito davvero cosa era successo in quei lontani giorni? Aveva compreso che la sua amicizia non era stata una finzione? Che il suo non era stato un tradimento, ma solo una stupida ingenuità infantile che aveva portato a tragiche conseguenze? Solo quello gli importava in quell'istante; né della sua vita, nè tantomeno del suo onore agli occhi del mondo, ma Roland doveva sapere dalla sua voce, avere chiaro in mente che davanti a lui non c'era un assassino, forse un ingenuo ma non un traditore assassino. Non era riuscito a dirglielo nell'abbazia, adesso aveva l'ultima occasione per farlo.
"Statene certi, nobili signori, di tutte queste colpe ne porto il peso e sono qui a pagarne le conseguenze, perché per quanto un essere umano voglia e possa rinnegare colui che ha contribuito a generarlo, non potrà mai tramutare il proprio sangue in sabbia. E per voi il sangue è più infetto del veleno."
Rimase in silenzio, la bocca impastata, il cuore che martellava forte nelle tempie. Intorno a lui il silenzio immobile, irreale. Non riusciva più a sopportarlo. Che qualcuno dicesse qualcosa!
"E ora, se il momento vi aggrada, fatemi pagare per le colpe di mio padre."
L'ultima frase roboò nell'aria come un giudizio finale.
"NOOOOOOO."
Roland si staccò dal gruppo dei nobili. Si era mosso d'impulso, spinto dall'istinto. Si fermò qualche passo avanti rispetto al suo posto. Ormai doveva arrivare fino in fondo, non poteva assistere immobile a quella follia.
"No. Tutto ciò non ha senso. Quest'uomo è figlio di Hermin di Hollern, ma non deve pagare per gli scempi compiuti dal padre."
"Come puoi, nobile Roland, affermare una cosa simile? Quest'uomo ha nelle vene lo stesso sangue infetto di suo padre, chi ci assicura che non compirà le stesse nefande azioni del genitore?" disse un nobile alle sue spalle?
"E poi, Roland dei Gabeor, tu sei il primo tra noi che dovrebbe desiderare la sua morte: fu colpa di quel tiranno la distruzione del tuo casato, gli anni di lotta e tormento, non hai odiato i tuoi nemici in questi lunghi anni di tormento, non ha gridato vendetta la tua carne, non sei venuto in questo palazzo, mettendo il tuo braccio a servizio di quel malvagio signore solo per portare a compimento la tua sofferta vendetta?! E poi, anche se il tuo nobile cuore fosse disposto a perdonare, dopo la scomparsa di Hermin, non pensi che, essendo in parte responsabile della sua dipartita, questo ti renda, agli occhi del figlio, di sicuro colpevole!? Su chi credi che si riverserà l'odio vendicativo questo giovane!? Tu sarai il primo a perire per mano sua se non estirpiamo subito il male della sua genia." aggiunse uno dei nobili del consiglio.
Roland guardò Arabin diritto negli occhi e vi lesse stupore e allo stesso tempo sollievo.
Arabin, giunto a quel punto, sapeva di non avere nessuna possibilità, ma lo rincuorava il sapere che Roland era dalla sua parte. Avrebbe voluto sorridere per la gioia, ma non era proprio il momento giusto per farlo, poté solo scambiare con questo uno sguardo dove sperò di aver concentrato tutto ciò che provava.
Roland ricambiò lo sguardo e poi si voltò verso il nobile canuto a capo di quel consiglio.
"Se avesse voluto la mia morte non avrebbe perso il suo trono e non avrebbe quella cicatrice sul volto."
"Cosa vuol dire, nobile Roland?" riprese incuriosito il cavaliere.
"Quell'uomo mi ha salvato la vita, ponendosi tra me e la lama di suo padre. Per questo è diventato un soldato del più basso livello."
A quelle parole un'aria stupita si disegnò sui volti dei nobili giudicanti.
Il nobile canuto invece, a quelle parole si fece pensieroso e, cercato con lo sguardo la persona che avrebbe, in parte, potuto chiarire quella nuova rivelazione, li indicò con l'indice dicendo:
"Tu! Vieni qua."
Ex soldato di Hermin, a quell'ordine si scosse, facendosi avanti.
"Dimmi soldato, quello che è stato detto corrisponde a verità?"
"Non so niente signore; quell'uomo..." E additò Arabin " Era solo un soldato semplice e come tale si è sempre comportato. Ha fatto sempre il suo dovere. Io non ne sapevo niente di niente di tutta questa storia, lo giuro, signore, lo giuro." Il soldato si ritirò a testa bassa.
"C'è qualcuno tra voi che può confermare la veridicità di quanto appena asserito dal nobile Roland?" chiese a gran voce il cavaliere.
La folla rumoreggiò, ma nessuno si fece avanti.
"Ragazzo, son certo che sei animato dalle migliori intenzioni, ma... da più voci abbiamo sentito accusare questo giovane di tradimento verso voi e la vostra famiglia, da più parti l'erede dei Hollern è stato additato come uno dei responsabili della vostra caduta, come fate voi, giunto a questo punto, a credere a ciò che ci avete appena detto, chi vi ha raccontato una simile storia?"
Roland non sapeva più cosa fare, era sicuro di ciò che aveva scoperto, ma... chi gli avrebbe creduto se avesse confessato che a rivelare tale verità era stato proprio Hermin, come avrebbe potuto spiegare le circostanze di tale rivelazione e l'inconfutabilità di tali parole, come far capire che aveva letto la conferma di tale verità negli occhi della persona da lui amata in maniera inconfutabile... come...
In quel momento però, un'anziana donna si fece largo tra la gente, la stessa che al loro arrivo aveva condannato Arabin riportando alla memoria il suo passato ed i suoi legami col tiranno:
"Signore; io so chi è questo ragazzo e so anche come si è svolta la sua vita sino ad oggi, se posso, vi dirò ciò che ho visto."
"Cosa vuoi dire, donna? Se sai qualcosa ti è permesso parlare."
"Quest'uomo è stato rifiutato, non ne conosco le ragioni, ma è certo che tutto è accaduto dopo la conquista di un maniero su cui il signore aveva messo gli occhi da molto tempo; questa è una storia che risale a circa dieci anni fa...."
"Cosa intendi donna? Racconta ciò che sai, spiegaci cosa intendi dicendo che questo giovane è stato 'rifiutato'?"
"Che da bambinetto gli è stato impedito d'entrare a castello, e non poteva neanche vedere la signora, in quel periodo è stato ordinato a tutti di non considerare più Arabin come figlio del signore, ma di trattarlo come uno qualunque, come un pezzente qualsiasi e che, chiunque avesse cercato di aiutarlo o di dargli un qualche conforto sarebbe finito male. Ci venne imposto di chiamarlo soltanto col suo nome di battesimo, visto che il titolo non gli apparteneva più; da quel momento e per sempre sarebbe stato per tutti solo Arabin, un orfano, un disperato come tanti graziato solo di poter rimanere entro le mura del palazzo come soldato, un soldato alla stregua di tutti gli altri. Da quel giorno son passati molti anni, la paura ha fatto si che tutti obbedissero a quell'ordine e poi il tempo a fatto il resto, molti sono fuggiti potendo, altri morti e i pochi rimasti hanno dimenticato questa vecchia storia, tutti tranne me. Sa, è per via del colore dei capelli e degli occhi, uguali a quelli della sua povera signora madre, una nobildonna, una vera signora, sempre gentile, cortese...." La vecchia tacque, accorgendosi di aver parlato forse troppo.
"Donna, sei stata tu ad additarlo. Perché ora lo difendi?"
"Io non difendo nessuno signore, dico solo quello che so." piagnucolò la donna, d'un tratto timorosa.
La folla iniziò a rumoreggiare. I nobili riuniti erano rimasti spiazzati dall'accaduto e sapevano bene, in cuor loro, che dovevano agire prima che la folla si agitasse, prima di perdere il controllo della situazione, di perdere il loro ascendente e il loro dominio sulla gente, ritrovandosi con una sommossa popolare.
Avevano promesso un'esecuzione, così doveva essere, ma sarebbe stato giusto decretare la morte di un uomo senza la certezza della sua colpevolezza?
In quel momento, si fece avanti un uomo tarchiato, coperto dai segni delle battaglie e adornato di un abito rosso carminio.
"Per quanto possano essere vere le rivelazioni di cui siamo stati spettatori, se anche le parole di questo nobile..." additò Roland "... fossero vere ed effettivamente in passato l'accusato avesse aiutato e salvato la sua vita, nessuno potrà ugualmente mai negare che nelle vene di quest'uomo scorre il sangue infetto e putrido della casata degli Hollern."
Fece una pausa ad effetto e si rivolse alla folla riunita in basso.
"Come possiamo noi essere sicuri che la follia del sangue non accechi quest'uomo? Come possiamo essere certi che l'infezione degli Hollern non esploda nuovamente? E noi, per un gesto di clemenza ci ritroveremmo con uno spietato essere pronto a ricalcare le orme del genitore?!"
Fece un'altra pausa, rivolgendosi poi ai nobili giudicanti:
"E chi ci assicura che questo assassino non affili le armi contro di noi, dopo che noi lo abbiamo graziato?"
La folla iniziò a chiedere a gran voce la testa del bastardo degli Hollern.
"Come possiamo essere certi che il sangue che scorre nelle vene di questo..." e indicò sprezzante Arabin "...non stia già covando odio e vendetta? Il sangue di Heremin..." E sputò in terra nel pronunciarne il nome "...ha spezzato migliaia di vite e distrutto e saccheggiato. Lo stesso sangue che scorre nelle vene di quest'uomo, la follia del sangue del padre che cova nel sangue del figlio. E' nostro dovere eliminare la genia degli Hollern e purificare la follia del loro sangue."
Le ultime parole furono gridate verso la folla che stava riversando tutto l'odio rivolto verso il padre sul capo del figlio, invocandone la morte a gran voce.
"Silenzio. Fate silenzio." Gridò il nobile che inizialmente aveva accusato Arabin.
"Non credo, nobile Ulrich dei Ferzen...." Iniziò il più anziano dei nobili lì riuniti, rivolgendosi all'uomo tarchiato "...che ci possiamo accontentare di questa motivazione per togliere la vita ad un uomo. Se lo facessimo, saremmo al pari del più infame folle. E se non erro, se il sangue e la genia sono le uniche motivazioni che ci muovono ad uccidere, oggi dovremmo uccidere non solo quell'uomo, ma anche qualcun'altro, non siete d'accordo, Ulrich?"
"Cosa insinuate, Gerind dei Tenear?" La domanda tuonò nell'aria come un tuono.
"Che anche gli avi dei Ferzen sono stati accecati dalla follia del sangue, ma non per questo la loro genia è stata sterminata; genia di cui tu, Ulrich, sei il più nobile e valoroso esponente, un esponente che rende nuovo lustro a quell'antico nome, riabilitandolo agli occhi di tutti, questo dovrebbe dimostrare a te, più che a chiunque altro, che i discendenti non sempre ereditano con il sangue la stessa follia degli avi."
Scese nuovamente il silenzio.
"Riportate quell'uomo nelle prigioni! Prima di condannarlo alla morte con infamia dobbiamo capire di che colpe si è veramente macchiato."
Così dicendo iniziò a rientrare nel mastio, seguito dagli altri nobili.
Roland si mosse per ultimo, lo sguardo incatenato alla figura di Arabin che veniva trascinato nuovamente in cella. Forse qualche speranza ci poteva ancora essere.

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Arabin, rinchiuso nuovamente nella sua angusta prigione, aspettava che accadesse qualcosa. Un altro giorno stava volgendo al termine e lui, roso dall'incertezza del suo incerto destino, si sentiva inquieto e sempre più agitato. Solo una fievole luce riusciva ancora a riscaldargli il cuore: Roland l'aveva difeso un'altra volta, ormai era chiaro che non volesse la sua morte, ma cosa gli stava passando per la testa? Cosa pensava di lui? Nei suoi occhi, ad un certo punto, aveva scorto preoccupazione, ansia... alla fine del giudizio, quando tutto era stato rimandato, gli pareva di aver scorto sollievo e speranza. Aveva in mente qualcosa, un qualcosa che lo riguardava? Se era veramente così Arabin non poteva che preoccuparsi per lui, non si doveva esporre troppo, era gia molto se gli era stato concesso il beneficio del dubbio, lui non doveva tentare troppo la fortuna o, anche se adesso veniva riconosciuto come pari e alleato, presto si sarebbe potuto ritrovare nella sua stessa situazione.
Si agitava, stanco per la cella, sfinito da quella lunga giornata, ma ugualmente inquieto; non poteva star seduto, i pensieri l'avrebbero sommerso, così, sorretto dalla fatica che gli impediva di chiarirsi le idee, riusciva ad andare avanti.
"Come stai?" La domanda era appena un sussurro oltre la porta della cella.
Al suono di quella voce nota Arabin si riscosse. Gli tremavano le viscere, gli occhi ridotti a due fessure per riuscire a fendere l'oscurità del luogo, incredulo e speranzoso al contempo.
"Ro...land."
Si gettò sulla feritoia da cui giungeva la voce, come un assetato alla fonte.
"Roland? Che succede? Come stai? Perché sei venuto qui? Hanno deciso? E tu... tu stai bene? Perché mi hai difeso, sai quanto me che è una causa persa? Folle!"
"Domani decideranno cosa fare con te. Non ti preoccupare, non lascerò che ti uccidano."
"Pazzo." Sussurrò, le parole incastrate in gola, sopraffatto dall'ultima frase.
"Scusami, non avrei mai voluto che le cose andassero così."
Due dita si fecero largo tra le strette grate della porta in cerca di Arabin. Incontrarono le labbra dell'altro; i polpastrelli seguirono il contorno della bocca mentre quest'ultima si dischiudeva per depositarvi un piccolo bacio. Rimasero sulle due strisce rosee un istante, e poi sparirono nuovamente oltre la porta.
"Domani ti farò uscire da qui. Credi in me!"
Poi il silenzio in cui si potevano a mala pena udire i passi leggeri di Roland che si allontanava.
Credi in me!
Sempre, comunque e per sempre, qualsiasi cosa fosse successa, adesso non aveva più paura.
Quella notte nessuno dei due ragazzi riuscì a chiudere occhio.

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Due guardie entrarono nella cella e prelevarono il ragazzo. Legato come la volta precedente, fu condotto in una sala del mastio dove lo attendevano i nobili e uno schieramento di soldati. I dignitari erano seduti, vestiti con i colori dei rispettivi casati ma senza ostentare lo sfarzo della volta precedente. Si fece avanti il nobile che aveva parlato per primo nel cortile del maniero. Doveva essere il capo di quell'alleanza.
"Arabin degli Hollern, rinunci alla tua genia?" chiese senza troppi preamboli, con voce dura e bassa.
A quell'inaspettata domanda Arabin fisso l'uomo rimanendo un attimo in silenzio, poi, ridivenuto padrone di se, pur non comprendendo cosa stava accadendo ripose deciso:
"Si."
"Arabin, giuri fedeltà a questa alleanza?"
"Si."
"Arabin, ti sottometti spontaneamente alle decisioni e ai voleri di questa alleanza?"
"Si"
La risposta arrivò rapida e sicura come le precedenti, ma un pezzetto del suo essere iniziò a tremare. Giurare fedeltà a questi uomini, anche se gli avesse risparmiato la vita, poteva voler dire anche non vedere mai più Roland, bastava che lo mandassero in una contea di frontiera dove sarebbero stati sicuri che non avrebbe potuto più nuocere a nessuno, anche volendo; così da tramutare la sua gia misera esistenza in una sopravvivenza larvale. Non avrebbe resistito a tanto, non dopo una vita trascorsa così e non dopo aver ritrovato Roland.
Arabin cercò l'amato con lo sguardo e lo trovò in piedi, con gli occhi fissi su di lui che lo osservavano con una strana e pacata calma. Questo lo rassicurò e gli infuse un po' di coraggio.
"Arabin, per quanto non sembra tu ti sia macchiato di colpe in prima persona, non ci possiamo permettere di lasciarti libero senza avere delle dovute garanzie. Pertanto, dal momento che hai giurato fedeltà e obbedienza, noi ti offriamo la possibilità di scegliere tra due strade in cui avviare la tua futura vita: puoi prendere i voti in un qualsiasi ordine ecclesiastico..." Arabin, a quella prima possibilità offertagli era ammutolito, mentre il gelo aveva iniziato ad invadergli le ossa.
"... oppure prestare giuramento e mettere la tua persona a completo servizio di un nostro fidato alleato. In tal caso però, non ti sarà concesso di rientrare nell'esercito, né di svolgere mansioni che ti possano mettere in condizione di diventare, in futuro, un pericolo per nessuno di noi."
Arabin si sentì sprofondare in un abisso. Aveva sperato nella libertà, magari povera, una vita basata sulle sue sole forze, ma comunque libero di scegliere il proprio destino, un destino che aveva sperato di poter condividere con Roland... ma adesso, adesso si rendeva conto che, se anche gli fosse stato fatto dono della libertà, un futuro assieme alla persona amata era impossibile; lui non era altro che un poveraccio senza più neppure un nome, Roland invece era tornato ad occupare il posto che gli spettava, era salito troppo in alto perché lui potesse riuscire a raggiungerlo e, se non poteva stargli al fianco, non gli interessava quale destino lo attendeva, ne dove questo si sarebbe compiuto; era certo che, qualunque decisione avesse preso, non l'avrebbe accompagnato per molto ancora; ormai si sentiva divorato dalla stanchezza, era stufo di vivere e sentiva che, arrivato a quel punto, presto, in un modo o nell'altro, tutto sarebbe finito.
Gli venne quasi da sorridere, tutta quella fatica, quegli sforzi e lui, giunto a quel punto era certo che avrebbe di gran lunga preferito una corda intorno al collo, ma come poteva dirlo, dopo che Roland gli aveva giurato che non avrebbe permesso che lo uccidessero? Perché non lo aveva lasciato in quel bosco dove, almeno per un giorno, si era sentito felice di esistere? Maledizione!!
Alzò la testa, in cerca degli occhi di Roland, che scoprì assurdamente soddisfatti. Che ironia del destino, l'uomo che amava non si rendeva minimamente conto del dolore che in quel momento stava straziando il suo cuore, forse la sua vita era salva, ma lo era solo quella.
Gli occhi di Arabin, arrivato a quel punto, si spensero, velati solo da un sentimento di rassegnazione e tristezza.
Roland vide il volto dell'amato divenire improvvisamente cinereo, gli splendidi occhi verdi persero la vitalità, sostituita da un'impotenza e da una disperazione che che vi aveva letto solo dopo quanto era accaduto nell'abbazia.
Non riusciva a capire.
Aveva fatto di tutto per salvagli la vita, per trovare una mediazione, aveva passato un giorno ed una notte a escogitare un modo per evitargli il convento e lui sembrava ad un passo dalla disperazione più nera.
Si trattenne a stento dal balzargli addosso, scuoterlo con forza e obbligarlo a pronunciare la frase che avrebbe concesso loro una nuova possibilità.
Il silenzio pesava come un macigno, tanto che Roland si preoccupò che i nobili ivi riuniti potessero cambiare idea.
"Cosa c'è ragazzo, le scelte che ti sono state proposte non sono di tuo gradimento? Hai sempre la terza possibilità, non te ne dimenticare!" Lo sbeffeggiò il nobile tarchiato della famiglia dei Ferzen.
Arabin si accorse che doveva dar loro una risposta, ed in fretta.
Prese fiato e guardando i nobili davanti a lui, rispose con voce più ferma possibile
"Nobili signori, le vostre proposte mi fanno onore, ma credo sia umano dover riflettere un attimo e guardare nel proprio animo, per capire quale sia la strada più giusta per me..."
Prese fiato.
Roland sentiva le viscere tremare; la voce di Arabin, tanto ferma ma allo stesso tempo così velata di tristezza gli metteva addosso ansia e apprensione.
"..per anni ed anni ho servito gli uomini, e non credo di essere in grado di servire Dio con l'onore e la totale abnegazione che gli è dovuta da un suo sposo, pertanto sarei più che onorato di poter continuare a servire uomini illuminati e nobili d'animo quali voi siete per il tempo che mi sarà concesso."
"Bene ragazzo; la tua decisione è presa, tra breve verrai messo a conoscenza del nome di colui che ti avrà in custodia. Guardie, portate via quest'uomo."

^^^^^^

Roland spalancò la porta della stanza dove si trovava Arabin con la delicatezza di un toro. La pesante porta di legno andò a sbattere contro il muro con un colpo sordo.
Arabin, seduto su un pagliericcio negli alloggi destinati ai capitani di armeria, si alzò di scatto, guardando allarmato il nuovo arrivato, non sapeva chi si sarebbe trovato davanti, ma di sicuro non si aspettava di vedere Roland che adesso lo fissava con una soddisfazione mal celata nello sguardo.
"Ti ho trovato, finalmente!" Esclamò questo.
"Sapevo che non ti avevano riportato in cella, ma non avevo idea su dove ti avessero condotto!"
Arabin rimase in piedi, in silenzio, stupito dalla presenza di Roland, quanto di quelle parole prive d'importanza.
"Vedo che non ti hanno ancora tolto i lacci ai polsi. Non li posso biasimare, non si fidano di te. Ma almeno non sei più in quel buco umido."
Così dicendo si avvicinò ad Arabin e lo abbracciò con forza, prima di assalirgli le labbra con baci famelici. Affondò i denti nelle labbra di Arabin, mentre la lingua lambitala sua carne ora imprigionata nella bocca. Succhiò quelle labbra con sempre maggior piacere, via via che sentiva l'altro rispondere a quel bacio, tanto irruente quanto inaspettato. I loro respiri si persero in un ansimare appena più pesante, mentre i corpi si cercavano, si riunivano, le mani di Roland stringevano la nuca di Arabin il quale, ancora con i polsi legati, poteva rispondere a quell'assalto solo con le labbra e la lingua.
Dopo un tempo che parve infinito, Roland si staccò ansimante dalla bocca dell'altro, per guardarlo un istante: Arabin aveva il volto segnato dalle giornate passate in cella, e sul viso tirato e pallido, spiccavano le labbra arrossate dal bacio e screpolate dalla febbre; gli occhi verdi poi, granati, grandi e languidi, cerchiati da profonde occhiaie scure lo facevano sembrare quasi un martire.
Si portò la bocca di Arabin ancora una volta sulla sua, come fosse un frutto maturo e vi affondò nuovamente, lasciando che l'altro gli mordicchiasse le labbra, le leccasse, e sprofondasse in quel bacio. Dopodiché gli sorrise incoraggiante carezzandogli una guancia.
"Vieni, forse è meglio se ti lavi e ti metti dei vestiti puliti. E poi sarà il caso che ti riposi un po', il viaggio sarà lungo e dobbiamo partire all'alba."
Arabin lo guardò incredulo continuando a non capire, nè cosa ci faceva li Roland, ne tantomeno cosa gli stesse dicendo.
"Partire?"
Ma Roland parve non sentire e continuò a parlare allegro:
"Non hai idea della fatica che mi è costata convincerli a non seppellirti in un convento! Ho sfoderato tutte le mie armi di "seduzione" e "lusinga" non che la mia proverbiale intelligenza, per mettere assieme una scusa plausibile che giustificasse la tua "rieducazione" affidata alle mie sagge mani; ho sudato sette camice a persuadere quel cafone di Ulrich e tutta la sua boria che io, con mano ferma e, all'occorrenza, crudele, mi sarei fatto carico della tua "redenzione". E se pensi che, dopo tutta quella fatica, mi accontenti di un semplice grazie e poi te ne vai per la tua strada, ti sbagli di grosso! Mi sa che dovrai pagarmi e lautamente per tutti gli sforzi patiti a tuo beneficio. "
Arabin a quelle parole, dopo l'iniziale muto sbigottimento, si mise a ridere; una risata dettata dalla paura adesso fugata, dalla tensione accumulata, dall'irrealtà di tutta quella situazione; una strana risata che lo scosse in tutto il corpo, in bilico tra la gioia per ciò che iniziava a capire e l'isteria, per quel che aveva fino a quel momento passato.
"che cosa ti prende Arabin?"
Ma questo non riusciva più a smettere, tanto che ormai aveva quasi le lacrime agli occhi
"Tu che.."
Arabin non riusciva a frenare le risate
"Io in convento.."
Quasi si piegò in due
"E avevi già pensato a.."
Un singhiozzo
"E io che credevo.... E invece, invece dovrei..."
A quel punto, quasi si strozzò dal tanto ridere
"...pagarti..."
S'appoggiò a Roland, le gambe non che non lo reggevano più
"Ma se non ho niente!"
Smise di ridere improvvisamente, avvolto da una tristezza inimmaginabile, la stanza ancora piena dell'eco della sua voce.
Roland lo strinse a se poggiandogli la testa sui capelli, cercando di trasmettergli un po' della sua forza, della sua ritrovata pace:
"Tu hai tutto Arabin! Tutto ciò che ho sempre sognato. Io non desidero gioielli o ricchezze, non un nome o delle terre, quel che il mio cuore vuole sei solo tu e... adesso sei qui, tra le mie braccia e, se ci vorrai rimanere questo per me varrà più di mille ricompense: poter guardare i tuoi occhi, sfiorare le tue labbra, aspirare il tuo odore, sentire la tua voce, è questo ciò che desidero e ciò per cui ho lottato e continuerò a lottare contro tutto e tutti per mantenerlo. Cancella quell'espressione triste, da oggi in poi voglio che le rughe che andranno a segnare il tuo splendido volto, siano solo i simboli di una felicità ritrovata e duratura. Sono io che ti devo tutto Arabin: la vita, la speranza e adesso anche la felicità, quindi NON DIRE MAI PIU' che non hai niente, tu hai tutto e hai anche il mio cuore! So che non sarà semplice all'inizio, ma non preoccuparti, non sarai mai solo, io sarò sempre al tuo fianco e non permetterò a nessuno di considerarti come un servo quale tu non sei e non sei mai stato; riusciremo a riabilitare assieme il tuo nome, che NON E' quello di tuo padre, ma soltanto il tuo! Vedrai riusciremo a far capire a tutti chi sia il vero Arabin e a quel punto, tutti, quando ti nomineranno, useranno la dovuta reverenza."
Arabin lo stava fissando incredulo, poi i suoi occhi si riempirono di lacrime e dalla sua gola eruppe una nuova risata, ma stavolta si trattava di un riso cristallino che esprimeva solo felicità e sollievo.
Roland lo strinse ancor più forte a se, poi, asciugandosi una solitaria lacrima che aveva fatto capolino lo scostò dal suo petto, tenendolo per i gomiti e fissandolo negli occhi lucidi.
"Uomo, non ti vergogni a ridere così davanti a un nobile che si è fatto in quattro per salvarti la vita?" Gli disse Roland, a metà tra il divertito e il finto serio.
"Mi scusi, mio signore!" Rispose Arabin, continuando a ridacchiare sotto i baffi.
"Il suo fedele servo non può che ubbidire ai suoi ordini!"
Un sorriso, poi un buffetto sul naso:
"Non il mio servo, solo il mio uomo!... come io sarò il tuo. Ora Andiamo!"
Così dicendo, prese Arabin per il legaccio e lo trascinò nella stanza dove stavano le tinozze. L'acqua era stata già versata in una di queste, acqua bella calda e fumante, di lato ad essa c'erano dei teli di lino ed un bel pezzo di sapone bianco; in giro non c'era anima viva, i capitani d'arme erano tutti fuori, a controllare, a addestrare, a svolgere ogni qual genere di compiti.
Roland liberò i polsi di Arabin e si appoggiò ad una parete aspettando.
Arabin lo guardò un istante; come era bello: i capelli scuri, lucidi, il volto disteso, le ampie spalle appoggiate mollemente contro la parete, e quello sguardo quasi violetto, fisso su di lui.
Sentiva i suoi occhi piantati addosso, il blu fiammeggiare di una passione che aveva solo osato sperare nei suoi più audaci sogni.
Roland, accortosi che l'altro era immobile da qualche minuto, lo apostrofò in tono scherzoso.
"Ehi, uomo, non sperare che me ne vada. Mi hanno intimato di non perderti mai d'occhio. E non ho nessuna intenzione di tradire la fiducia del nobile Gerind dei Tenear."
Arabin ancora non si muoveva.
"Non dirmi che ti vergogni a spogliarti davanti a me! Come se non avessi già ammirato il tuo bel corpo privo di veli! Comunque, se hai delle difficoltà a toglierti quei vestiti di dosso, posso venire io a darti una mano...."
Arabin si sentì avvampare per la malizia di cui erano intrise le parole dell'altro, ma, punto sul vivo del suo orgoglio, piantò uno sguardo fiammeggiante in quello dell'altro ed iniziò lentamente a togliersi la casacca.
Roland lo fissò sorridendo.
Beveva ogni centimetro di pelle che veniva adagio liberato. Si soffermò sulla ferita, ancora rossa e gonfia e scosse il capo. Doveva dirne quattro al cerusico. Poi lo sguardo scese alle braghe, che lentamente lasciavano emergere i fianchi, il bacino, il sesso già leggermente eccitato, le gambe muscolose....
Gli occhi di Roland risalirono all'inguine e v'indugiarono, mentre sul volto gli si allargava un sorriso complice e di una dolcezza incredibile.
Arabin, che ora lo guardava con la coda dell'occhio, si fermò un istante e rimase nudo, in piedi davanti a lui, come a sottolineare che quello era ciò che aveva da offrire in pagamento di tutti gli sforzi dell'altro.
Roland alzò gli occhi sul volto di Arabin e li distolse immediatamente; lo sguardo verde era talmente ammaliante e carico di promesse da fargli perdere la testa obbligandolo a saltargli addosso immediatamente.
Arabin, soddisfatto dell'effetto suscitato si voltò lentamente, offrendo agli occhi blu la schiena ampia e le rotondità del sedere. La chioma ricadeva sulle spalle come un drappo di broccato rosso intessuto d'oro; Roland dovette far ricorso a tutto il suo sangue freddo per non cingerlo alle spalle ed iniziare a baciarlo sul collo, sulla nuca, toccarlo, stringerlo, sentire la pelle calda sotto le sue mani e il respiro di Arabin farsi greve e pesante per il piacere.
Arabin scosse la testa ed entrò nella tinozza. L'acqua calda che gli scivolava sulla pelle lo fece rabbrividire di piacere, lasciando sfuggire un gemito di soddisfazione dalle sue labbra.
Roland sospirò, deglutendo e ricacciando in basso il suo desiderio, mentre le immagini dell'altro nel bosco gli affollavano la mente e il sangue confluiva rapido verso l'inguine.
Arabin afferrò il sapone e iniziò ad insaponarsi vigorosamente le membra indolenzite e i capelli fino a farli lucidare come l'oro; si immerse poi completamente scomparendo alla vista,.
Se solo non fosse stato sicuro di non riuscire controllarsi, avrebbe insaponato volentieri lui quella pelle, godendosi a pieno quei fantastici momenti; ma avrebbero avuto tempo, questa era una cosa che non avrebbe mancato di fare una volta iniziata la loro nuova vita assieme.
Quando riemerse dalla tinozza, la pelle di Arabin era intarsiata di piccole gocce che scivolavano languide verso il basso. La chioma rossa, bagnata, ricadeva selvaggia sulle spalle, e i capezzoli rosei erano turgidi e invitanti.
Arabin sorrise soddisfatto dall'effetto che quello spettacolo aveva prodotto sul corpo del suo osservatore e, dopo esser uscito dall'acqua, si avvicinò a lui.
Adesso solo un passo separava i due ragazzi, il primo con il fiato corto per il freddo, il secondo con il fiato grosso per il desiderio.
"Mio signore.." La voce era languida e sinuosa.
Roland deglutì rumorosamente.
Arabin ridusse le distanze e appoggiò le labbra, ancora umide e fresche per il bagno, su quelle infuocate di Roland, deponendovi un bacio leggero e avendo cura di non appoggiarsi a lui per non bagnarlo.
Roland, a quel contatto, si riscosse allontanandosi e porgendo poi ad Arabin una casacca e delle braghe pulite. Prima che l'altro si rivestisse, lo bloccò per un polso, lo tirò a sé, con la scusa di controllare la ferita alla spalla e lo abbracciò, allacciando le labbra alle sue, premendosi addosso il corpo nudo dell'altro, insinuando una gamba tra le sue.
Arabin da parte sua gli rispose con un gemito strozzato, mentre la pelle riacquistava calore tanto da andare a fuoco.
Con uno sforzo sovrumano Roland riuscì a staccarsi dal corpo bruciante dell'altro.
"Vestiti, dobbiamo recarci da Gerind dei Tenear." Disse con voce che doveva essere ferma e autoritaria ma che risultò solo impregnata di desiderio.
Arabin stava per impazzire dalla voglia di avere nuovamente Roland nudo tra le braccia, pelle contro pelle, bocca contro bocca, per poter finalmente perdersi in lui, farlo gemere, sentirlo pulsante in lui, sprofondare in quel corpo e dissetarsi con il suo spirito.
Prima di uscire dalla stanza Roland gli prese gentilmente i polsi tra le mani e li legò nuovamente; una preghiera scritta negli occhi, di perdonarlo per quel gesto, ma ancora non poteva fare altrimenti.
Arabin comprendeva benissimo la situazione, si portò le mani legate, che stringevano ancora quelle di Roland, alla bocca e ne baciò le dita.
Uscirono, Arabin davanti: i capelli ancora umidi, i polsi stretti nella striscia di cuoio, ma dritto con le spalle, fiero nella persona; Roland dietro, imperioso nei suoi ricchi abiti, imponente nella figura e orgoglioso del suo uomo.

Gerind dei Tenear li accolse senza grandi cerimonie.
L'uomo sembrava saggio e benevolo, mentre spiegava ad Arabin che sarebbe stato affidato alla custodia di Roland dei Gabeor pur rimanendo sotto la loro protezione; lui, Gerind dei Tenear, si dichiarava consapevole e responsabile per la decisione presa e, da parte del nuovo suddito, non sarebbe stata ammessa ne tollerata alcuna insubordinazione o tentativo di rivolta, tentativi che, scoperti, gli sarebbero costati la vita.
Spiegò in dettaglio ai presenti il perché di quel tipo di scelta, che un futuro regnante doveva essere in grado sia di dimostrare clemenza, ma anche saggezza nel saper giudicare i sudditi, e questa era la prima prova a cui veniva chiamato l'erede di re Jeor dei Garbear e, se se ne fosse dimostrato all'altezza, futuro successore anche dei titoli e delle responsabilità della casata dei Tenera.
Arabin seguì attentamente tutto il discorso, annuendo ogni qualvolta gli veniva rivolta la parola; non ci furono discussioni o opposizioni, probabilmente la cosa era gia stata discussa precedentemente dagli altri uomini. E in quanto a lui, re Gerind si aspettava una fedeltà totale ed assoluta che di sicuro non aveva intenzione di tradire.
Il discorso fu lungo, varie le carte firmate e sigillate; tutti vennero congedati che era già calata la sera.
Roland portò Arabin nella sua stanza e lo lasciò lì mentre andava a recuperare qualcosa da mangiare. Non se la sentiva di lasciarlo negli alloggi comuni, l'indomani l'avrebbe sicuramente trovato con qualche osso rotto, se non con la gola squarciata. E poi non avrebbe rinunciato per niente al mondo ad averlo nel suo letto. Sapeva perfettamente che quest'ultimo era il motivo principale per tale decisione, ma non voleva ammetterlo così spudoratamente neppure con se stesso.
Quando rientrò, Arabin stava dormendo, lo guardò e si sentì sciogliere; non credeva quasi di averlo ritrovato, di averlo nuovamente con se, come quando erano fanciulli e andavano a rubare il pan di zenzero nelle cucine per mangiarselo la sera, prima di addormentarsi, fantasticando su cosa avrebbero fatto quando sarebbero diventati cavalieri.
Lo svegliò scotendolo leggermente e quando questo aprì gli occhi, ancora assonnati, gli sorrise, baciandolo sulla fronte:
"Mangia qualcosa, sono sicuro che sono giorni che non fai un pasto decente e... non per vantarmi, ma sono riuscito a trovarti un sacco di cose buone."
Arabin si mise seduto, osservando il piatto che gli veniva porto; prima di mangiare però, voleva sapere una cosa:
"Roland, cosa significavano le ultime parole di re Gerind? Vuole forse lasciare a te il suo titolo?"
Roland sospirò, distogliendo lo sguardo per un attimo e poggiando il piatto sulla bassa cassapanca sistemata vicino alla testa del letto.
"Gerind non ha più discendenti diretti; i figli e i nipoti sono morti combattendo contro..." la voce gli tremò un istante.
Arabin comprese, dolendosi ancora una volta per le colpe di cui si era macchiato quel maledetto che era stato suo padre.
"Vede in me un possibile erede per il suo regno. Ovviamente dovrà parlare con i suoi consiglieri, ma credo che ci speri, dal momento che a re Gerind dei Tenear sono state concesse anche le terre che un tempo erano di mio padre e che adesso, come suo unico e diretto erede, mi sono state restituite."
In quel momento Roland vide le dita di Arabin che artigliare il lenzuolo, la sua testa che si era riversa sul petto e comprese i sentimenti che avevano nuovamente incupito l'animo del compagno.
"Arabin, guardami! Tu non hai colpa di quanto allora è successo." e così dicendo si avvicinò all'altro e lo baciò dolcemente.
Arabin rispose con immediata passione a quella dimostrazione d'amore che lo strappava nuovamente ai tristi ricordi riportandolo a quella che era una ben più lieta realtà.
Si baciarono lentamente, ma con foga, sprofondando sempre di più l'uno nelle braccia dell'altro, mentre i loro corpi si cercavano spasmodici e si serravano l'uno sull'altro. Il fiato divenne subito corto e il desiderio sgorgò dalle loro bocche sotto forma di gemiti bassi e gutturali.
Arabin baciò e succhiò le labbra di Roland, leccandole ripetutamente ed assaporando il gusto dell'altro, perdendosi nel suo respiro.
Si lasciarono andare sul letto, Roland inchiodato dal peso di Arabin, che si allungava languido su di lui.
Roland sentiva il cuore di Arabin battere, forte, veloce, mentre il sangue gli scorreva rapido nelle vene, la testa diventava leggera e il corpo si risvegliava, chiedendo a gran voce di essere soddisfatto.
Arabin staccò le labbra dalla bocca di Roland, lasciandolo ansimante, e iniziò a mordicchiargli la mascella, seguendone il contorno fino a raggiungere il collo, su cui serpeggiò, con lingua umida e incandescente, fino a raggiungere il pomo d'adamo, che prese a torturare con la punta dei denti.
Roland s'insinuò sotto la casacca di Arabin, sfiorando le costole, carezzando la pelle del torace, affondando le dita nella carne tonica.
Arabin si contrasse al tocco dell'altro, mettendosi a cavalcioni sui suoi fianchi, staccando la bocca dal collo e guardandolo negli occhi blu screziati di desiderio. Non aveva mai voluto così tanto qualcuno come stava desiderando Roland in quel momento. E il suo bisogno era urgente e scorreva veloce nel suo corpo.
Roland gli sfilò la casacca e rimase a guardare il suo torace.
"Non hai idea di quanto sia stato difficile non poterti più parlare, toccare, baciare, non sapere come stavi, se ti avrei potuto tenere ancora tra le braccia, e sentire tutti quei nobili che parlavano solo della tua morte."
Per tutta risposta Arabin iniziò a muovere il bacino, facendo strusciare il suo sesso turgido sul ventre di Roland.
Roland lo trascinò giù, in modo da imprigionare con la bocca un capezzolo, che iniziò a mordicchiare e a succhiare. Arabin s'inarcò, afferrando la testa corvina e portandola verso l'altro capezzolo che fremeva impaziente.
Roland assaporava la pelle del compagno come se non riuscisse a saziarsi mai di lui, leccando e mordendo famelico, fin quasi a strappare dei gemiti di piacere misti a dolore ad Arabin. Gli ansimi di Arabin scivolavano dentro Roland come ondate di desiderio liquido, lasciandolo senza fiato e con la passione che montava come una marea.
Roland si allacciò al torace di Arabin ed iniziò ad agitarsi sotto di lui, per fargli percepire tutta la sua impazienza, e Arabin rispose con un gemito strozzato e un ansimo trattenuto a stento.
Stava lentamente impazzendo, doveva avere il corpo di Roland nudo tra le braccia a tutti i costi e in fretta.
Si separò dalle labbra che gli avevano torturato i capezzoli e scivolò verso il basso. Scese serpeggiando lungo il ventre per poi fermarsi all'allacciatura delle braghe, da cui strappò via la casacca, fermandosi poi per un attimo ad osservare il suo amante, perso ed affascinato dalle movenze feline e passionali del compagno, iniziando poi a sganciare la chiusura delle braghe.
Per tutta risposta Roland lo ribaltò, facendolo sdraiare supino, e si gettò famelico sul suo torace, mentre le mani di Arabin s'insinuavano sotto la stoffa che avvolgeva i fianchi di Roland e affondavano nella carne cedevole delle natiche; a quel contatto sentì il compagno tirare i muscoli ed inarcarsi sopra di lui, i due sessi gonfi che si sfioravano ripetutamente, inondando i corpi di brividi quasi insostenibili.
Roland, a quel punto, si strappò letteralmente gli ultimi vestiti di dosso attendendo poi che il compagno facesse altrettanto, gli occhi fissi su di lui, pieni di desiderio e di urgenza.
Una volta che anche Arabin si ritrovò completamente nudo, Roland si gettò sul suo corpo, ora languidamente sdraiato sul letto, e vi affondò, respirandolo, sentendo pelle contro pelle, carne contro carne; mani audaci vennero spinte dalla volontà di toccare, esplorare, saggiare, affondare in muscoli cedevoli; corpo che voleva dissetarsi di un altro corpo.
Roland sezionò il petto di Arabin con piccole, languide torture a fior di labbra, fino a raggiungere i ciuffi rossi del pube. Il percorso seguito si fece più tortuoso, seguendo traiettorie folli decretate dagli ansimi di Arabin, che si facevano sempre più profondi, fino a raggiungere il sesso, eretto, pulsante, del colore di un fiore tropicale e incantatore come il canto di una sirena. Il desiderio di sentire Arabin gridare di piacere lo faceva impazzire, leccò con lentezza impossibile il sesso rigoglioso del compagno, mentre l'aria si impregnava dei suoni inarticolati di Arabin, la sua mente si perdeva nel piacere, i suoi sensi venivano scossi dal contatto delle labbra con il sesso incandescente, le mani di Arabin artigliavano i capelli serici e scuri come una notte senza luna e il sesso innalzava il suo canto di incontrollabile desiderio.
Affondò attorno a lui, accogliendolo in bocca, facendo scorrere le labbra sulla carne pulsante dell'altro, succhiando via la volontà, la ragione, la logia, lasciando posto solo al desiderio di farlo gridare finché aveva fiato in gola.
Sentì, poco dopo, le prime scosse che squassavano il corpo del compagno e si ritrasse immediatamente, lasciando la carne nuda e fremente.
Arabin si dibatteva sotto di lui, cercando di riportare la bocca di Roland sul proprio sesso, ma il moro si sollevò dal pasto non consumato e lo guardò con una lussuria incredibile. Arabin quasi tremò alla vista di quegli occhi scuri dilatati da piacere e desiderio abbandonandosi completamente ai desideri dell'altro; poteva fare di tutto, accettare di tutto da quell'uomo che stava troneggiando su di lui.
Arabin, incapace di attendere, gli prese una mano e se la portò alla bocca. Succhiò due dita, ricoprendole di saliva portandosele poi tra i glutei. Roland scivolò tra le seriche rotondità del sedere di Arabin e sprofondò in lui con facilità iniziando a carezzare e stuzzicare, lentamente.
Arabin emise un gemito, di puro piacere, i suoi muscoli erano rilassati, aperti, pronti ad accogliere Roland, il quale, ancora un po' titubante, guardò il volto dell'altro, ma si perse in quello sguardo liquido, silvestre. Troppa era l'urgenza ed il desiderio che erano incastonati negli occhi verdi del compagno, troppo era il desiderio che mordeva la sua carne.
Arabin iniziò a contrarre i muscoli del fondoschiena, come a intonare una preghiera suadente, ammaliante per far sì che l'amante desse soddisfazione al suo desiderio che ancora non doveva essere appagato, visto che quelle magiche dita uscirono delicatamente da lui, come vi erano entrate, lasciandolo insoddisfatto tremante e vuoto.
Maledizione! Se Roland voleva giocare a chi dei due aveva maggior resistenza, lui non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro, l'avrebbe frustrato a tal punto da farlo implorare se era questo ciò che cercava il suo spietato amante.
Si rialzò, sorridendo malefico e inginocchiandosi poi davanti a Roland iniziò a carezzare con le labbra l'asta turgida del compagno, a torturarla con la lingua e con i denti, arrivando sino alla base per tormentarne i testicoli in una maniera lenta e snervante e poi risalire con lentezza indicibile, sino a raggiungerne la sommità rosea; leccare, succhiare sino a sentirlo tremare dalla testa ai piedi; solo in quel momento lo prese completamente tra le labbra, ingoiandolo per tutta la lunghezza fino a farselo battere in gola per poi risalire con tormentosa lentezza, ripetendo quegli affondi e quelle ritirate ancora e ancora sin quando non sentì le mani del compagno che gli artigliavano la nuca, il suo corpo che si tendeva quasi al culmine; solo in quel momento, ritenendosi soddisfatto, si staccò da quel corpo famelico sorridendo divertito della sua espressione disperata e sofferentemene inappagata, lo sistemò, adesso docile, su una poltrona ai piedi del letto in modo che Roland fosse stabile, ben seduto e saldo con le gambe.
Roland non si oppose a nulla, si faceva muovere come una marionetta dal compagno, incuriosito dalle strane manovre.
Arabin a quel punto gli sorrise e lo guardò poi con il più falso paio di con occhi supplici che si fosse mai visto.
"Non riesco più ad aspettare. Ti prego.... Prendimi!"
Si sedette a cavalcioni delle gambe di Roland avvolgendo le proprie al torace dell'altro e lo guidò inesorabile dentro di se.
Roland tratteneva il fiato, cercando di non esplodere al contatto della carne bruciante ed eccezionalmente stretta dell'altro che, scendendo ad avvolgerlo, si apriva dolcemente per accoglierlo.
Lo abbracciò stretto, quasi incapace di reggere alle sensazioni che lo stavano travolgendo: sentiva il sesso di Arabin schiacciato tra i due ventri, il suo profondamente ancorato nel corpo dell'altro, non riusciva più a pensare o a muoversi, lasciò quindi ad Arabin il compito di guidare quell'amplesso, di imporre il proprio ritmo, per ricavare da quella strana, ma eccitante posizione, tutto il piacere possibile per entrambi.
Arabin, inizialmente si muoveva lento attorno a Roland, per dare tempo al suo corpo di adattarsi alle forme dell'altro, finché suoni inarticolati di piacere puro sgorgarono dalla sua gola, Roland poggiò le labbra sulla pelle tesa della gola del compagno e si lasciò condurre in quel crescendo di corse verso l'alto, seguite da rapidi affondi.
Le spinte si facevano sempre più intense, più rapide ed urgenti, il sesso di Arabin era frizionato dalla pelle del ventre di Roland, che, unito al sempre crescente massaggio interno lo stava portandolo rapidamente al limite della sopportazione, conducendolo rapidamente sempre più vicino all'orgasmo.
Roland, a sua volta, imprigionato e cavalcato senza freni aveva perso ogni controllo e stringeva le spalle di Arabin, spingendolo sempre più in basso ad ogni affondo, sprofondando in lui, saldandosi indissolubilmente al corpo del ragazzo che si agitava sopra di lui.
Esplosero. Le contrazioni di Roland che si ripercuotevano nelle viscere di Arabin, le viscere di Arabin inondate dal piacere di Roland, la pelle del ventre incollata dal piacere di Arabin, le grida di entrambi che andarono all'unisono ad urlare il reciproco appagamento.

Rimasero seduti, l'uno sulle gambe dell'altro finché ogni scossa di piacere fu dileguata, finché le loro braccia non furono più in grado di sostenerli, finché Arabin non ricadde sul compagno, esausto.
Storditi, appiccicati l'uno all'altro, la pelle madida di sudore impregnata dell'odore del sesso, si abbracciarono e si persero nuovamente in un bacio senza fine, carico di piacere soddisfatto.
Arabin sospirò placato e strinse ancor più il corpo che teneva tra le braccia; poi avvicinò le labbra al lobo dell'orecchio del suo compagno, stringendolo tra i denti e sussurrandogli divertito:
"Tornando a ciò di cui discutevamo prima di questa... interruzione; quel che mi hai detto fa si che, da adesso in poi, sarai tu il signore a cui io dovrò la mia totale obbedienza!?"
"No!"
A quel affermazione Arabin si tirò su, appoggiando le mani alle spalle dell'altro e sorridendo malizioso.
"No. E questo cosa vuol dire? A chi altri dovrei i miei 'servigi'"
Un sorriso divertiti si disegnò sulle labbra di Roland:
"Chiunque, oltre me, oserà usufruirne dei tuoi 'servigi', non vivrà abbastanza neppure per godere dei primi benefici!"
"Non corri rischi, mio signore!"
"Aspetta.... Io, io desidero che una cosa tra noi sia chiara: io non desidero essere il tuo "Signore", un uomo a cui è dovuta lealtà ed obbedienza; è vero che probabilmente sarò l'erede e successore di Re Gerin ed è vero anche che tu sei affidato a me affinché io ti possa "controllare", ma tutto questo non conta, o meglio non deve contare tra noi; io vorrei poter essere per te: un amico, un confidente, un amante.... Il mio più grande desiderio è quello di poter divenire una persona che tu possa riuscire ad amare ogni giorno di più...."
A quelle ultime parole subito Arabin cercò di interromperlo per chiarire che lui gia lo amava più di quanto fosse possibile, che non occorrevano quelle parole, quello di prima era stato solo un gioco, lui sapeva che l'altro non l'avrebbe mai considerato meno di un suo pari; ma Roland gli coprì le labbra con un dito sorridendogli e chiedendo con lo sguardo di fargli concludere il discorso.
"... spero, desidero, prego affinché tutto di te possa essere mio come io sono già tuo..."
Un velo di tristezza si abbassò per un attimo su quello sguardo di ametista mentre le parole continuavano abbassandosi di tono:
".... Mi sono comportato nel peggiore dei modi verso di te, ti ho odiato per anni senza concederti neppure il beneficio del dubbio, ho desiderato la tua morte, ti ho... ti ho... violentato per sfogare la mia rabbia.." Una pausa "... ed il giorno in cui sei stato ferito, quel giorno tormentato dai miei mille pensieri di vendetta non ho impedito che quella freccia per poco ti uccidesse veramente ed in quel momento ho compreso, ho capito che se anche fosse stato vero che mi avevi tradito, che non mi amavi come ormai e da sempre, ti amavo io... per me era comunque impossibile continuare ad odiarti, la sola idea di averti perso mi faceva impazzire... Arabin, io ti amo! Ti amavo in quei lontani giorni d'estate di un amore infantile ancora inconsapevole, ma ti amavo; e ti amo oggi, più di allora e meno di domani. Voglio il tuo cuore Arabin, non la tua obbedienza."
Gli occhi di Arabin si erano riempiti di lacrime mentre questo ascoltava quelle parole che erano come un balsamo sulle ferite di una vita.
Felice come non era mai stato Arabin si asciugò gli occhi col dorso della mano e depose un leggero bacio sulle labbra che avevano saputo donargli una tale gioia:
"Ti amo già mio signore... ti amo da sempre... per sempre."
Una pausa
"Comunque.... Ti renderai conto che quel che mi richiedi è... come dire... impegnativo, difficile, mastodontico; comunque....magari impegnandomi molto potrei riuscire a...."
"Brutto manigoldo! Ti occorre tempo dunque, fatica e sudore per riuscire ad accontentarmi eh?!"
E mentre pronunciava queste parole Roland si alzò di scatto facendo scivolare l'altro, che, colto alla sprovvista, aveva perso l'equilibrio; ma Arabin non sentì il pavimento sotto di se, venne afferrato prima di poter cadere rovinosamente a terra, dal suo divertito compagno, che, rimessolo in piedi, se lo caricò in spalla, riportandolo verso il letto, dove lo depositò afferrandolo poi per le braccia e schiacciandolo con le spalle al materasso.
"Caro il mio "aguzzino"... adesso sei in mio potere e vedremo quanto sarai in grado i sudare e faticare per compiacere il tuo signore!"
Detto questo iniziò a fargli il solletico un po' ovunque.
"Ferrrrrrrmo! Non puoi trattarmi così e sperare che io ti dica che non mi costa "sudore e fatica" soddisfarti."
"Ti costerà ben più che sudore la mia "soddisfazione" mio lussurioso amico."
Detto tra un bacio e l'altro.
"E' quel che spero mio signore!"
Ormai le nebbie di rancore e paura che avvolgevano i loro cuori si erano diradate lasciando il posto ad un luminoso sole che, giorno dopo giorno, avrebbe continuato a scaldarli guidandoli verso un luminoso futuro.

FINE ^^;;;;;;;



 


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