Ringrazio:
- Gaia che mi ha dato la possibilità di fare l'esperienza di scrivere una
storia a due mani (-_- se non ci fosse stata lei a dar brio alla vicenda
non so proprio cosa avrebbe potuto saltarne fuori).
- Mty , Maria e June per aver contribuito alla lontana ispirazione in quel
ventoso giorno tra i ruderi di un suggestivo monumento storico (;-; mi
immagino ancora i due puccioti far ritorno su quella grata "rugginosa" per
un BIP di tutt'altro genere :).
Finiti i ringraziamenti, vi saluto (assieme naturalmente a: Gaia, mty,
Maria e June).
Ciao e.... grazie coraggiosi lettori.
i
Una
speranza nel cuore, Una ferita nell'anima
di Gaia e Mokuren
parte III
Appena rientrato al campo Roland si mise a cercare Hermin; lo trovò chiuso
nella sua tenda e assorto a tracciare segni sulle mappe, a elaborare piani
per l'ultimo assalto. Assorto al punto che non si accorse neppure della
sua entrata sin quando questo non si fece notare.
"Signore!"
A quel suono la testa di Hermin si voltò nella sua direzione squadrandolo,
quasi non riuscisse a ricordare chi esso fosse, ma soprattutto perché
veniva a disturbarlo in un momento così delicato.
"Randolf... noto che sei riuscito a non farti uccidere, bene, tra breve
avremo ancora bisogno anche di te; ora però non poso essere disturbato,
devo studiare il prossimo attacco e non ho tempo per nient'altro."
Detto questo tornò a fissare lo sguardo sulle sue carte per far capire che
non voleva essere ulteriormente infastidito; ma Roland non aveva alcuna
intenzione di andarsene senza dire ciò che doveva:
"Mi scusi signore, ma... Arabin è stato ferito gravemente e adesso è
disperso. Io ho assistito al suo ferimento ma non ho potuto..." Una
leggera esitazione al ricordo di come si erano svolti i fatti lo
interruppe per un attimo "Non ho potuto far nulla per evitarlo, dobbiamo
organizzare una
squadra ed iniziare le ricerche, Signore."
A quelle parole Hermin alzò nuovamente lo sguardo dalle carte che stava
studiando per poi riabbassarvelo subito dopo senza dire una parola.
"Signore! non ha sentito, Arabin..."
Uno scatto, un ringhio quasi rabbioso, ma non dovuto al dolore di quella
notizia, ma solo al fastidio datogli da quella presenza indesiderata, da
quell'argomento "insignificante":
"COSA VUOI CHE MI IMPORTI DELLA VITA DI UN SOLDATO TRA TANTI? Ho una
guerra da vincere, sono morti molti miei combattenti, uno più o meno non
fa alcuna differenza; in questo momento non mi importerebbe neppure la
perdita del più valoroso tra i miei condottieri, figuriamoci quella di un
insignificante armigero. Adesso vattene ho detto."
Roland fissò quell'uomo con aperto disprezzo; come poteva dire una cosa
del genere, come poteva rimanere impassibile alla notizia della scomparsa
del figlio?
"Come potete parlare così? Quello... quello è vostro figlio!"
"FIGLIO? Chi ti ha detto che quel rammollito è mio figlio? Io non ho alcun
figlio e non ho intenzione di discutere oltre con te!!"
"Ma cosa dite? Arabin è sangue del vostro sangue, io non ho idea delle
ragioni che vi hanno portato a una tale rottura, ma adesso lui è in
pericolo, potrebbe morire! MORIRE, CAPITE! E voi non potete permetterlo.
Io non vi permetterò..."
Hermin si alzò facendo cadere a terra la sedia.
"Tu cosa, ragazzino? Cosa vorresti fare tu? Chi ti ha raccontato una
simile assurdità? O hai piuttosto creduto alle mille idiozie che si
raccontano nelle latrine di palazzo? Comunque sia, sappi che Arabin non è
più mio figlio da anni ormai, quello smidollato non è mai stato degno di
fregiarsi del mio titolo! Sai che.. questa scena mi ricorda molto il
momento in cui ho finalmente potuto disfarmi di quel babbeo smidollato! Mi
par di avere ancora d'innanzi quel suo cipiglio arrogante mentre mi
"ordinava" di lasciar in vita un ragazzino, un suo "amico", l'erede dei
Garebar. Uno stupido buono a nulla ecco cos'è sempre stato quell'Arabin,
un debosciato che non può essere mio erede! Un figlio onora il padre e
asseconda i suoi desideri, sa che la potenza del genitore sarà un giorno
la sua e per questo rispetta ed osanna le sue scelte facendole sue, invece
lui non ha fatto che opporsi a me e, se non l'avessi raggirato, adesso il
feudo dei Garebar non sarebbe certo mio ed io non sarei il potente signore
che finalmente sono; quell'imbecille non mi avrebbe mai aiutato a
sterminare tutta quella "brava gente" i suoi "amici" se non l'avessi
costretto con l'inganno! Quel giorno gli risparmiai la vita solo perché
ero troppo felice di avere conquistato quel palazzo ed il relativo potere
CHE MI E' SEMPRE SPETTATO! E così mi sono privato della gioia che mi
avrebbe dato il potermi godere la sua morte e la sua sofferenza; ma non mi
posso lamentare, perché ha sofferto, te lo garantisco io!" Una risata
sguaiata accompagnò quelle parole crudeli.
"A partire da quel bel ricamino sul suo volto sino alla morte di quella
puttana di sua madre. E tu che sei un valente soldato, dato che ora sai
come stanno le cose, non mi importunare con queste sciocchezze! In questo
momento non posso permettermi di perdere nessuno dei miei uomini, e se hai
qualcosa da ridire, sarai ben ricompensato della tua sfrontatezza quando
avremmo vinto questa battaglia! Ora Vattene e non provarti mai più a
proferir "minacce", soldato!"
Hermin si voltò rialzando la sedia e riprendendo a studiare le sue carte,
Roland era rimasto li, immobile, folgorato dalla VERITA', con il pugno
stretto sull'elsa della sua spada e le nocche gli erano sbiancate tanta
era la forza con cui la stringeva; quindi era lui, era solo sua la
responsabilità per ciò che era accaduto, Arabin era solo stata una sua
pedina inconsapevole, una vittima, come la sua famiglia.
Un macigno gli era scivolato via dal cuore a quell'assurda confessione e
un'altro, ben più pesante, era andato a prenderne il posto; l'aveva
abbandonato il peso del tradimento di un amico fidato e adesso era
schiacciato dal peso del rimorso per quel che aveva fatto senza ascoltar
ragioni.
Stava per sguainare la lama, per vendicarsi adesso della persona giusta,
dell'unico spietato responsabile, quando gli comparve davanti l'immagine
di Arabin moribondo, solo, disperato e privo della voglia di sopravvivere
che avrebbe potuto aiutarlo a tornare... a tornare tra le sue braccia e
questo solo e soltanto per colpa della sua testardaggine, del suo
immotivato rancore, della sua stupidita.
MALEDIZIONE A SE!
Adesso non poteva pensare alla vendetta, doveva e voleva solo andare a
salvare l'amico, a cercare di farsi perdonare da lui a dirgli che..
Lasciò l'arma e uscì di corsa dalla tenda di Hermin.
Si diresse verso le cucine da campo, dove sottrasse della carne essiccata
e un piccolo otre di distillato di grano. Passò dall'accampamento e
recuperò al volo il panno che copriva il suo giaciglio.
Gli sarebbero serviti quando, trovato Arabin, gli avrebbe portato i primi
soccorsi; perché lui l'avrebbe trovato, trovato vivo.
Mentre si avvolgeva il mantello sulle spalle e si dirigeva verso il
recinto dei cavalli, si rese improvvisamente conto che ormai si stava
facendo notte e l'aria era divenuta fredda. Si fermò di colpo e la paura
gli strinse il cuore: come l'avrebbe trovato nel folto del bosco,
nell'oscurità che si faceva sempre più fitta?
Avrebbe voluto avere gli occhi acuti di un rapace, l'agilità di un felino
e l'olfatto di un segugio; ma, forse, sarebbe bastata un briciolo di
fortuna, o almeno era quello che sperava e per cui si mise silenziosamente
a pregare mentre affrettava il passo, non aveva altro che se stesso, il
cavallo di Arabin ed il suo smisurato desiderio di trovarlo e tutto questo
DOVEVA BASTARE.
Entrò di soppiatto nelle stalle e slegò Fasar. Il cavallo lo seguì docile,
quasi avesse intuito cosa si apprestavano a fare. Roland diresse l'animale
verso la parte meno illuminata del campo, stando attento ad ogni
movimento, ad ogni possibile suono imprevisto, ma ovunque il caos regnava
sovrano, la milizia era demoralizzata, molti si lamentavano per le ferite
riportate, e altrettanti ubriachi, nel tentativo di sconfiggere la paura
del dolore e del nuovo giorno di battaglia. Nessuno fece caso a lui che si
allontanava nella notte.
Tornò sul campo di battaglia e si diresse verso il burrone. Almeno 100
metri più in basso scorreva un torrente, e la scarpata per arrivare fino
al corso d'acqua era impervia, irta e disseminata di rovi, alberi e
pietre. Spronò Fasar verso il burrone, ma il cavallo si impuntò. Non
sembrava intenzionato a scendere in quel macello. Roland smontò dalla
cavalcatura e ne prese le briglie. Si avventurò per primo, tastando il
terreno con i piedi, rischiando di scivolare in ogni istante. Il cavallo
lo segui docile, rimanendo saldo ed aiutandolo più di una volta a
raggiungere incolume la fine della scarpata; giunto in piano si diresse
verso il fiume, cercando di cogliere qualsiasi suono, movimento o
luccichio che gli facessero individuare la presenza di qualcuno, questo
sin quando Fasar, che continuava a seguirlo, non si fermò vicino ad un
albero. Roland tentò di trascinarlo via, ma questo non ne voleva sapere di
muoversi da li. La testa reclinata verso le radici dell'albero, le narici
dilatate, la coda che roteava rapida. Un nitrito squarciò la notte umida.
Roland si gettò verso il tronco col cuore in gola.
Forse l'aveva trovato. Un morso di luna rischiarava appena il buio verde e
nero del bosco. Sulla corteccia dell'albero l'aspettava solo una macchia
di sangue rappreso, probabilmente di Arabin, ma di lui nessuna traccia.
Tirò via Fasar e continuarono la discesa. L'animale davanti e lui dietro,
che seguiva il fiuto del destriero. Doveva essere da quelle parti. Lo
avrebbe trovato li intorno, poco lontano. Non poteva essere altrimenti,
doveva essere lì, magari stordito, magari svenuto, ma doveva essere li,
altrimenti.... gli tornò alla mente la macchia di sangue sul tronco; la
ferita alla spalla. Probabilmente lo stava dissanguando, doveva sbrigarsi.
Arrivò al torrente, che in quel punto scorreva roboante. Di Arabin ancora
nessuna traccia e Fasar non sembrava intenzionato a fiutare alcuna
traccia. Lasciò le briglie dell'animale, che si diresse verso il corso
d'acqua. Abbassando il muso verso riva.
"Bell'aiuto mi dai, ti metti anche a bere, adesso!" Roland cercò di
sdrammatizzare la disperazione di non aver ancora trovato Arabin. Si
avvicinò al cavallo e gli carezzò il collo.
"Dai amico mio, aiutami a trovare il tuo padrone. Sembra che la sua vita
stia a cuore solo a te e.. a me." Le ultime parole le sospirò più al suo
animo che all'animale.
Ma Fasar non sollevava il muso. Roland osservò con attenzione cercando di
vedere nel buio della notte. Fasar leccava una pietra piatta posta sul
ciglio del torrente. Sangue anche lì, ma questa volta sembrava versato da
poco; si guardò intorno, perlustrò ogni centimetro ma di Arabin ancora
nulla.
Continuo disperatamente a perlustrare: ogni, roccia, ogni anfratto, ogni
tronco, freneticamente, disperatamente; dopo un tempo che gli parve
interminabile le ginocchi gli cedettero e, accasciatosi sulle riva con
l'acqua gelida che gli lambiva le membra, colpì quella luminescente
superficie sfiduciato; DOV'ERA Arabin, Dove, dove... non poteva finire
così; non dopo quello che aveva saputo, non dopo quello che aveva fatto.
In quel momento gli tornarono alla mente, come in un flash, le parole di
Arabin in quella notte, quando aveva provato a fermarlo, a spiegargli cosa
era successo realmente in quei lontani giorni, gli aveva chiesto, l'aveva
supplicato di ascoltarlo, di concedergli una possibilità, ma lui non
l'aveva fatto, non aveva voluto sentir ragioni e si era preso la sua
miserevole rivincita. Gli tornò alla mente il corpo di Arabin accasciato a
terra, le lacrime nei suoi occhi, e l'atteggiamento che aveva avuto nei
giorni che erano seguiti a quella disgraziata notte; la ricerca quasi
spasmodica di una lama che lo trafiggesse e quella tristezza scolpita in
quegli specchi verdi.
Non si poteva arrendere, anche se il buonsenso gli diceva che le speranze
di ritrovarlo ancora vivo erano esigue, lui non si sarebbe arreso, mai,
solo il cadavere di Arabin avrebbe arrestato il suo cercare e anche la sua
vita, perché sapeva che non sarebbe riuscito più a vivere se le sue azioni
irragionevoli e crudeli avessero portato alla morte la persona che...
che..
Afferrò le briglie del destriero e iniziò a seguire il corso d'acqua. Il
percorso era più agevole, ma non poteva più contare sul fiuto
dell'animale.
Doveva affidarsi solo ai suoi occhi e alla tenue luce che rischiarava a
tratti il folto del bosco. Il tempo sembrava sospeso, scorreva lento,
rarefatto; i piedi inciampavano, si arrestavano, tornavano indietro, si
fermavano al bordo del torrente, persi in una ricerca sempre più
scoraggiata.
Lo doveva trovare. E doveva essere vivo!
Il cavallo nitrì.
Roland si bloccò improvvisamente. L'animale stava entrando nelle acque
gelide, gli salì in groppa e si fece trasportare pregando in silenzio,
mentre si guardava freneticamente intorno. Fu trasportato sull'altra
sponda.
Roland smontò con il cuore che gli batteva all'impazzata nel petto;
l'acqua gelida gli penetrò negli stivali ed un brivido lo percorse al
pensiero del corpo di Arabin immerso in quel fluido gelato. Fasar
costeggiò la riva per pochi passi ancora, poi si fermò abbassando il muso.
Ai suoi piedi un informe mucchietto giaceva sulla riva del torrente, per
metà immerso nelle acque.
Roland si precipitò in quella direzione, inciampando in sassi e radici,
cadendo un paio di volte, mentre il cavallo osservava, immobile, quel
fagotto.
Una speranza gli riscaldò il cuore, lo sentiva, l'aveva trovato; si
inginocchiò vicino al destriero e prese quel corpo per le spalle. Gli
abiti fradici e freddi, gli occhi chiusi, Arabin, finalmente tra le sue
braccia, sembrava una marionetta abbandonata.
Lo chiamò, lo scosse delicatamente, ma non ricevette alcuna risposta,
alcun segno di vita.
NO! Non poteva, non doveva finire così.
Avvicinò la bocca alle quelle labbra fredde. Una preghiera incagliata tra
i denti mentre sfiorava le due strisce di pelle quasi esangui. Un sottile
respiro animava ancora quel corpo. Era vivo. Ma per quanto ancora? Era
gelato, zuppo fin nelle ossa e una larga macchia rossa continuava ad
allargarsi proprio sotto la spalla; la freccia spezzata ancora conficcata
nella carne.
Si rimise in piedi e prese Arabin sotto le ascelle sollevandone il busto
per sottrarlo allo scorrere delle gelide acqua; cercò poi di sollevarlo
completamente, ma non sarebbe stato semplice, quel corpo inerme era
pesante più di quanto si fosse aspettato, in fin dei conti non si trattava
più di un ragazzo, ma di un soldato ben allenato. Il petto si alzava con
lentezza preoccupante. Lo doveva togliere dall'acqua, portare al riparo,
asciugare, scaldare, togliere la freccia, fargli riprendere i sensi.
Sollevò a fatica il corpo, senza sapere dove avesse trovato la forza di
farsi carico di quel peso. Lo strascinò fuori dalle acque e lo depose a
riva.
"Lo abbiamo trovato. E' vivo!" esultò in direzione del cavallo ancora
immobile.
Poi si guardò intorno. Cercare un riparo sembrava impresa assai folle, ma
individuò un lembo di terra quasi privo di rovi. Era a poche decine di
metri. Prima di trascinarvi Arabin ispezionò il luogo e vide che c'era
anche una piccola rientranza nella roccia. Si precipitò verso il compagno
e con uno sforzo, che gli tolse il fiato e l'equilibrio, lo sollevò da
terra. Il corpo abbandonato tremava, percorso da brividi di freddo.
Roland salì la piccola scarpata che lo separava da quella piccola grotta
scavata nel cuore della roccia e vi depositò Arabin.
"Fagli la guardia" intimò al destriero, mentre, incurante dei vestiti
zuppi e del freddo che si stava diffondendo sul nel petto, andò a cercare
della legna per accendere un fuoco.
Fasar fissò la figura che si allontanava, poi abbassò il muso sfregando
col naso il volto gelato del suo padrone, rimanendo li, immobile, quasi
aspettasse un gesto di Arabin, un cenno, un sorriso che non venne.
Roland tornò poco dopo con un fascio di rami e li accatastò vicino ad
Arabin.
Incurante: delle braccia graffiate, dei muscoli dolenti e del freddo
sempre più pungente, accese un piccolo fuoco con mani tremanti, le stesse
mani che poi, freneticamente, si mossero sul corpo del compagno, per
sfilargli di dosso gli abiti fradici; fece altrettanto con i suoi e, preso
poi la coperta asciutto dalla sacca posta sul fianco di Fasar; abbracciò
strettamente il compagno che gli impresse sua pelle un'orma gelida che lo
fece rabbrividire, mentre avvolgeva entrambi con il caldo panno di lana,
rimanendo poi immobile aspettando che il fuoco e il suo calore donassero
un po' di tepore al corpo dell'altro.
In quel tragico e sublime momento il suo spirito esultava e la sua mente
tremava:
"Ti ho trovato, finalmente! Avevo iniziato a disperare. Ma dovevi essere
ancora vivo. Non mi sarei mai perdonato la tua morte; non dopo quello che
ti ho fatto, non dopo che ho scoperto la verità. Mi potrai mai perdonare
per...." La domanda, appena un sussurro, gli morì in gola. Rimase silente,
in attesa che la pelle del ragazzo, stretto tra le sue braccia, si
scaldasse. I tremiti si stavano placando, ma Arabin non riprendeva ancora
conoscenza.
In quella posizione, stretto a quel corpo amato, Roland si assopì
reclinando la testa sulla spalla dell'altro, ma, a quel contatto, Arabin
ebbe un sussulto che fece ridestare Roland, che solo in quel momento si
rese conto che dietro: il suono del suo cuore che batteva veloce, il
respiro che si infrangeva sulle labbra di Arabin, le braccia strette
attorno al corpo dell'altro, come a proteggerlo dal freddo della notte e
anche da quel gelo che doveva albergare dentro l'animo del compagno si
poteva udire anche un gocciolare lento ma inesorabile, che gli riportò
alla mente la ferita, la freccia ancora conficcata ed il triste compito
che lo attendeva.
Sospirò pesantemente e prese una decisione.
"Scusa, so che ti farà male...."
Un mesto sorriso gli increspò le labbra.
"Già, come se io non te ne avessi già fatto abbastanza, ma stavolta non
posso evitarlo." Disse al corpo immobile.
Si staccò da lui ed il freddo della notte gli morse la carne. Si scaldò un
istante al fuoco. Non poteva permettersi che gli tremassero le mani. Prese
coraggio e afferrò la freccia. Al primo tocco Arabin gemette di dolore, ma
non riprese conoscenza. Premette la mano libera sul petto del compagno e
con l'altra tirò l'asta. Questa si mosse di qualche centimetro, poi un
grido lo inchiodò. Arabin apri gli occhi di scatto, la bocca spalancata
nel tentativo di non affogare nel dolore, il corpo teso verso la mano che
stava estraendo il frammento di legno. Roland lasciò immediatamente la
presa. Il corpo di Arabin ricadde a terra con un tonfo sordo e un gemito.
Roland vide quegli occhi verdi dilatati dal dolore e successivamente,
riempirsi di sospetto. Gli si gelò il sangue nelle vene, mentre Arabin
cercava di allontanarsi da lui, raggomitolandosi su se stesso.
"Fermo, non ti voglio fare del male."
Ma Arabin non ascoltava; si schiacciava verso terra, come a volerci
sparire dentro, disperdendosi in essa, tremando di freddo e di dolore, ma
non disposto ad accettare il suo aiuto.
Aiuto che Roland l'avrebbe costretto a prendere; gli si gettò quasi
contro, e mentre la distanza tra loro due si riduceva lesse un orrore
smisurato sul volto dell'altro. Lo abbracciò, stando ben attento a non
toccare nuovamente la freccia ancora conficcata nel petto dell'altro.
Arabin cercava di sottrarsi, ma i suoi movimenti erano lenti e privi di
forza. Si dibatteva come un pesce nelle reti.
"Ti prego, calmati. Non voglio farti del male" ripeté Roland con il tono
più tranquillizzante che riuscì a trovare nel suo animo.
Ma la voce tremava.
Aveva sperato fino all'ultimo che Arabin non reagisse in quel modo, ma
questo era terrorizzato; e come non capirlo: aveva ripreso i sensi in un
luogo completamente sconosciuto e in piena notte, destato dal dolore, e
con la mente offuscata dalla febbre che gli stava salendo dentro, come se
non bastasse si era trovato di fronte colui che lo aveva torturato poche
settimane prima dichiarandogli in faccia di volere la sua morte.
Roland lo strinse maggiormente a sé e iniziò a parlare. Arabin era un
fascio di nervi, rigido come la roccia che gli graffiava la pelle. Roland
sapeva che non poteva fare altro per tranquillizzarlo.
"Ti ho trovato svenuto, per metà immerso nel torrente, completamente
fradicio e tanto freddo da sembrare morto. Ti volevo solo scaldare. E
levarti la freccia. Ma se vuoi ti lascio immediatamente. Non ti voglio
fare del male, te lo giuro sulla mia testa. Ti prego, credimi."
Allentò la presa e Arabin si scostò repentino da lui. Per Roland fu più
doloroso di un colpo di spada ricevuto in pieno petto, si strinse nelle
spalle e riprese a parlare.
"So che non è stata colpa tua la morte dei miei genitori, della mia gente
e che anzi, io ti devo la mia vita."
Allungò la mano e sfiorò il volto dell'altro.
"Non mi merito altro che il tuo disprezzo, mi sono comportato peggio di
tuo.. di quell'uomo che ha gioito nel sapere che eri ferito o forse morto;
io sono stato come lui.. ti ho umiliato, ti ho....."
Le parole gli morirono in gola.
"Perdonami se puoi. Io non...."
Roland abbassò la testa. Non poteva più guardare l'altro tremante,
impaurito, la ferita che campeggiava vermiglia sulla pelle quasi livida;
il silenzio che pesava come piombo sulla sua testa.
"Roland"
La voce di Arabin era bassa, appena un sussurro. Roland alzò la testa,
pronto ad incassare le parole di Arabin, che si aspettava cariche di
rabbia, di odio.
"Ho freddo."
Roland guardò stupito. Gli occhi verdi, stanchi, ma privi del terrore che
vi aveva letto poco prima; il corpo chiaro, pressato contro la roccia; la
coperta era scivolata via e Arabin tremava come una foglia.
Gli si avvicinò e lo prese tra le braccia. Arabin si accasciò contro di
lui, stremato.
"Sono stanco, troppo stanco e ho freddo."
Roland prese la coperta e lo avvolse. L'abbracciò con più forza, la
schiena di Arabin premuta contro il suo petto, pelle fredda contro la sua
carne percorsa da brividi, ancora frustata dalla paura di averlo perso per
sempre.
Arabin gemette di dolore. Dopo la tensione e la paura accusava nuovamente
la presenza della freccia nel suo corpo.
"Dobbiamo toglierla" Disse Roland, indicando il pezzo di legno che
spuntava dal corpo dell'altro.
"E pulire la ferita." Arabin annui.
Roland affondò il volto nei capelli dell'altro e rimase per un istante a
respirare il suo odore. Poi si alzo e aggiunse dei rami al fuoco che stava
per spegnersi. Aveva bisogno di un po' di luce. Afferrò il piccolo otre e
glielo avvicinò alle labbra, costringendolo a bere il suo contenuto;
sarebbe servito a poco, l'aveva preso nella speranza di scaldarsi un po'
durante la notte, ma si augurava che potesse servire anche a stordire i
sensi di Arabin che forse così avrebbe sentito un po' meno dolore.
Prese un lembo pulito della sua camicia fradicia e cercò di ripulire il
sangue attorno alla ferita, Arabin seguiva le mani di Roland che
lavoravano meticolose e lente sulla sua pelle.
"Appoggiati contro la roccia e cerca di sopportare, durerà un attimo, te
lo prometto."
Arabin eseguì docile le indicazioni, strinse tra i denti la cinghia di
cuoio del piccolo otre che Roland gli porgeva e fece cenno all'altro che
era pronto.
Roland estrasse la freccia con un solo, brusco movimento. Il corpo di
Arabin si tese, i muscoli si contrassero per il dolore, ma dalle sue
labbra non uscì un solo lamento.
La ferita ricominciò a sanguinare copiosa e, ben presto, la stoffa ruvida
premuta sul petto di Arabin divenne un'unica macchia vermiglia.
Roland continuò a premere sulla ferita e pian piano il sangue si arrestò.
Il petto di Arabin si alzava e si abbassava rapido, il ragazzo respirava
vorace nel tentativo di far passare il dolore, per aiutarlo a sopportare
Roland gli portò nuovamente alle labbra l'otre, costringendolo a bere sin
quando il liquore non iniziò a dare i benefici sperati, stordendo i sensi
del ragazzo che si acquietò tra le sue braccia sprofondando nel sonno.
Sentendo quel corpo non più gelido stretto al suo, nella speranza che il
peggio era passato, anche Roland si rilasso, scivolando a sua volta in un
sonno ristoratore.
^^^^^^^^^^
Arabin sapeva che era già giorno fatto, ma non riusciva ad aprire gli
occhi tanto erano pesanti le palpebre. Avvertiva la presenza di Roland
ancora stretto a lui, ne sentiva la pelle fresca del petto contro la
schiena, le braccia che lo cingevano alla vita, le gambe intrecciate alle
sue ed il respiro profondo che si perdeva sulla sua nuca. Arabin sentiva
tutto, lo vedeva quasi, udiva i rumori del bosco ma non riusciva a
percorrere la strada che lo avrebbe riportato al reale. Si sentiva
intorpidito, gli arti non rispondevano, e neanche le palpebre sembravano
intenzionate a collaborare. Rimase per un istante in sospeso, ma la
sensazione di non avere controllo sul suo corpo stava invadendo la sua
coscienza. Si voleva muovere, ma non vi riusciva, almeno così gli
sembrava, dato che Roland, abbracciato dietro di lui, continuava a dormire
senza accorgersi di nulla. Forse era stato il distillato che aveva bevuto
la sera prima, o le ferite oppure era solo il desiderio di non svegliarsi
per tornare alla realtà, una strana realtà che non avrebbe dovuto
comprendere l'aiuto di Roland, che gli impedivano di aprire gli occhi e di
tornare alla realtà.
Arabin cercò nuovamente di destarsi completamente, di muoversi, ma, come
contrasse i muscoli delle braccia la ferita riprese a pulsare; a quell'improvvisa
ed intesa fitta si accartocciò su se stesso. Adesso era completamente
sveglio e non solo lui. Roland si era ridestato di soprassalto al
movimento brusco dell'amico.
"Cosa succede?" chiese Roland allarmato, la mano già a cercare la spada
appoggiata vicino al giaciglio improvvisato.
"Niente." La voce di Arabin suonava sorda. Aveva la bocca completamente
secca. Si tirò su per andare a bere, puntellandosi sul braccio non ferito,
ma come si isso sulle gambe malferme il mondo iniziò a roteargli attorno.
Roland scattò in piedi e lo afferrò prima che cadesse; lo strinse per la
vita e così facendo sentì la pelle di Arabin in fiamme a contato con la
sua, sospirò e lo strinse ancor più a se.
"Hai la febbre! Sarà per la notte passata a mollo o a causa della ferita.
meglio controllarla, non vorrei che si fosse infettata, non avevo nulla
con cui disinfettarla, siediti e fammi vedere."
Arabin si sentiva stordito, i sensi dilatati e una strana sensazione sulla
pelle, strana, ma piacevole, un calore, non quello malsano dato al suo
corpo dalla febbre, bensì un tepore nel cuore datogli da quella presenza
premurosa alle sue spalle, da quelle parole gentili; gli sembrava così
strano stare tra le braccia dell'altro, con il viso di Roland ad un soffio
dal suo, quelle labbra così vicine e il caldo intossicante della febbre
che si diffondeva dalla sua pelle fino a quella dell'altro così fresca e
invitante.
Il cervello funzionava poco e lentamente, e con esso anche i suoi arti, i
movimenti erano rallentati, e il mondo sembrava liquefarsi sotto i suoi
piedi. Immagini del passato si sovrapponevano al volto che aveva davanti,
brandelli di frasi e di risate gli echeggiavano nelle orecchie, un odore
conosciuto ma differente da come se lo ricordava gli parlava di sole sulle
braccia, di corse a perdifiato, di gioia condivisa, la pelle della gola
sembrava così morbida, e le labbra così invitanti... dovevano essere
ancora più buone della prima volta, di quel lontano bacio...
Aggrappato alle braccia dell'altro, perso nelle sensazioni antiche e negli
occhi stupiti di Roland, coprì la distanza tra le loro bocche. Le labbra
di Roland erano fresche contro le sue che bollivano e pulsavano per via
della febbre. Si avventò su quella bocca come se volesse placare tutta la
sete che gli mordeva le carni, baciò succhiò, leccò finché non gli fu
aperta la porta. Voleva assaggiare tutta la vita dalle labbra di Roland.
Il bisogno era incalzante, ma i movimenti seguivano lenti i voleri dei
sensi. Lo baciò con tutto il corpo. Le lingue si sfioravano appena, senza
fretta, senza lottare o rincorrersi, Roland che seguiva il lento ritmo
imposto da Arabin; le dita si intrecciavano dietro la nuca, scorrevano
sulle spalle sulla gola per poi rituffarsi nel folto dei capelli; le
braccia allacciate intorno al torace; il petto, spinto dal respirare
affannato, sfiorava la pelle dell'altro, freddo su caldo, a volte solo
appoggiato, a volte premuto talmente forte da lasciare il segno; i
capezzoli che si scambiavano promesse e brividi serpeggianti; e il bacino,
in oscillazione sincrona sulle gambe malferme, che strusciava ritmicamente
contro il corpo di Roland.
Arabin socchiuse gli occhi e il mondo divenne solo le labbra che stava
suggendo. Il sapore era diverso da quello di un tempo, più definito, forse
leggermente più spigoloso, ma riconosceva ancora quella sottile nota di
macchia mediterranea che sapeva di pomeriggi caldi e tersi.
Bevve il bacio di Roland finché non si sentì sazio del suo sapore e
bisognoso delle sue forme. Riprese fiato, perso negli occhi blu illuminati
da una stupita felicità e iniziò ad accarezzare la schiena di Roland. La
mano si moveva a seguire le forme dei muscoli, i sensi spersi in così
tanta pelle, liscia, fresca, sua...
"Chissà che sapore avrà la tua pelle" sussurrò sulle labbra di Roland,
prima di sfiorargli il collo con la punta della lingua. Roland seguiva con
occhi increduli il lento discendere della lingua di Arabin lungo il suo
collo.
La bocca di questo si chiuse sulla clavicola ed iniziò mordicchiare ed a
leccare delicatamente la base del collo. Roland a quell'inattesa carezza,
serrò maggiormente la presa intorno alla vita di Arabin gettando la testa
all'indietro e offrendosi all'assalto dell'altro con un sospiro. I bacini
si toccarono e rimasero premuti l'uno sull'altro, mentre anche Roland
iniziava ad oscillare e a liquefarsi sotto quelle carezze dimentico di
tutto e tutti, fuorché di quel corpo caldo tra le sue braccia, sul suo
corpo.
Le labbra di Arabin coprivano meticolose tutta la pelle che era a sua
disposizione, mentre le sue dita carezzavano e sfioravano la schiena e i
fianchi dell'altro.
"Chissà che sapore... " sussurrò piano Arabin.
La mente di Roland, man mano che l'altro scendeva lungo il suo petto,
elaborò la frase, e un brivido di anticipazione gli attraversò la schiena,
all'idea di quelle labbra bollenti che scendevano fino ad assaggiare "il
suo sapore". Ma in quel momento, mentre l'attesa si era fatta quasi
insopportabile, Arabin risalì veloce lungo il suo petto per tornare a
succhiare delicatamente la pelle del collo; quel cambio fece riscuotere
Roland dallo stato quasi ipnotico in cui era caduto dopo l'inaspettato
quanto appassionato bacio datogli dall'altro; la sua mente si schiarì e
tornò a farsi sentire la voce della ragione. ma il vedere quelle labbra
ora turgide e rosse ad un soffio dalle sue che reclamavano almeno un altro
bacio lo spinsero a sollevare con delicatezza la testa di Arabin, per
imprigionare quelle labbra nella sua bacco non ancora sazia.. Il bacio fu
un divorar di pelle, di lingue; poi una stretta, un sospiro, Roland
affondò la testa nella spalla dell'altro aspirandone l'odore, dopo di che
lo allontanò leggermente da sé e lo guardò dritto negli occhi. Per un
istante lo sguardo verde liquido dell'altro lo fece vacillare, respirò due
o tre volte e prese a parlare evitando di pensare oltre per impedirsi di
ricominciare senza più riuscire a fermarsi.
"Stai male, scotti, sei in preda ai brividi. Dobbiamo tornare al maniero.
La strada non è breve. E se le tue condizioni peggiorassero e tu." La voce
di Roland era arrochita dal desiderio e impastata dalla preoccupazione.
Arabin lo guardò a lungo, prima di rispondere.
"Perché vuoi tornare adesso?" parole appena sussurrate.
"Sei venuto qui di tua iniziativa.. Di sicuro non ti ha mandato "mio
padre"!"
Roland annuì abbassando gli occhi.
"E credi che non te la farà pagare quando torneremo!?" la voce si era
tinta di tristezza.
Roland tacque davanti all'evidenza della risposta.
"Non ho fretta di morire, ma se potessi scegliere.. andiamo via dopo, dopo
Roland." E gli si strinse nuovamente contro appoggiando la guancia sul suo
petto.
Roland era rimasto in silenzio, immobile, combattuto tra la paura che le
condizioni di Arabin peggiorassero, la consapevolezza che le parole
dell'altro erano la triste realtà e il desiderio che stava bruciando in
lui come un incendio.
"Ti prego. Non sappiamo se domani usciremo nuovamente vivi dal campo di
battaglia o dall'ira di re Hermin, se per noi ci sarà un domani che ci
potrà trovare ancora così. Noi, solo noi come non speravo più neppure io."
Arabin non aggiunse altro anche se nella sua mente si formulò la certezza
che preferiva morire di febbre facendo l'amore con Roland che per un colpo
nemico o per mano del padre. Almeno quello poteva essergli concesso.
Cinse con le braccia la vita dell'altro, allungandosi sul suo corpo fino a
sfiorargli nuovamente le labbra, facendogli capire tutto il desiderio e
l'urgenza che mordeva la sua carne.
Roland, ricambiando il bacio, capitolò.
Arabin sorrise e spinse a terra Roland conquistandone un capezzolo.
Sembrava una piccola goccia di ghiaccio nella sua bocca riarsa e
incandescente. Roland gemette quando i denti di Arabin iniziarono a
torturarlo con meticolosa lentezza.
Scese verso il ventre, succhiando e mordendo tutta la carne che era in
grado di afferrare tra i denti, i muscoli scolpiti del corpo di Roland
opponevano una soda resistenza ai suoi ripetuti assalti, resistenza che
invogliava a continuare con maggior vigore quella eccitante battaglia su
quel corpo ora offerto senza remore.
Scese ancora, cercando carne più morbida e terreno più fertile, ogni
centimetro conquistato si trasformava in un gemito che gorgogliava nella
gola di Roland. Scese fino ad incontrare la cintura delle braghe. Non
poteva più fermarsi, tanto era il desiderio di baciare ogni centimetro del
suo corpo, di assaggiarne ogni angolo, di conoscere ogni suo sapore e
sentirlo gridare dal piacere e non dall'odio.
All'ennesimo gemito un sorriso si dipinse sul volto di Arabin: era
veramente Roland il ragazzo disteso sotto di lui, schiacciato a terra dal
suo desiderio, dalle sue carezze; era veramente lui che gemeva, che lo
carezzava, che gli sfiorava i capelli? Sembrava più una fantasia delirante
dovuta alla febbre che un pezzo di realtà, ma qualsiasi cosa fosse, era
grato a chiunque per quel meraviglioso momento giunto quando ormai era
certo non ci sarebbe stato altro che la tanto sospirata fine per lui.
Ormai ubriaco dalla febbre e dalla voglia di Roland, Arabin con mani
tremanti, ma decise, liberò il corpo dell'altro ancora nascosto dai
vestiti e rimase a guardarlo un istante.
Nudo, abbandonato sul ventre di madre terra, la pelle chiara che risaltava
sul fondo scuro sotto di lui, il corpo morbidamente disteso e il sesso
eretto; Roland sembrava più una divinità delle foreste che un guerriero
assetato di vendetta.
Arabin scivolò sul corpo dell'altro ed iniziò a baciare la pelle morbida
del ventre.
Ogni bacio faceva bruciare la carne di Roland che tratteneva il fiato,
respirava a piccoli sorsi, incredulo dell'ardore con cui Arabin esplorava
il suo corpo, attonito dal desiderio che gridava nel suo corpo, nel suo
sesso.
Arabin si avvicinò deciso al membro di Roland, lo leccò delicatamente,
beandosi dei mugolii, a stento soffocati, che uscivano dalla gola del suo
amante; baciò quell'asta dura e liscia assaporandola per tutta la sua
lunghezza e quando sentì quel corpo tendersi e andargli incontro disperato
lo accolse nella sua bocca come fosse linfa fresca.
La febbre aveva reso la sua bocca una fornace incandescente che
inghiottiva la carne di Roland come a cercare sollievo.
I capelli rossi mischiati indissolubilmente con i riccioli scuri, le
labbra che sfioravano leggere la pelle tesa e morbida del sesso di Roland,
la lingua che danzava instancabile, avvolgendolo, lambendolo, stregandolo.
Roland ansimava forte, incurante dei suoni del bosco che si erano fatti
silenziosi, degli occhi degli alberi che li seguivano benevoli,
concentrato solo sulle sensazioni che partivano dal suo ventre,
trasformando le sue viscere in un lago incandescente.
Arabin, rapito dal gemere del suo guerriero, seguiva i movimenti dei
fianchi di Roland, che si alzavano per andargli incontro, bisognosi della
sua bocca, delle sue labbra.
Afferrò le sue anche e affondò intorno a lui, imprigionando, nella sua
quasi interezza, il sesso pieno e teso nella sua bocca e iniziò a
succhiare, delicato, lento, perso tra le sensazioni del piacere e il
delirio della febbre.
L'urgenza di Roland si faceva strada nella bocca di Arabin, ma il ragazzo
dai capelli rossi non riusciva a seguire le richieste silenziose della
carne dell'altro. La febbre lo sfiancava e rallentava i suoi movimenti,
trasformando ogni affondo in una lenta discesa verso il piacere, ed ogni
risalita in un'insopportabile attesa. Succhiò, cercando di portarlo in sé,
le labbra riarse che sfioravano frenetiche la pelle tesa in ogni affondo,
la gola che si faceva sempre più ampia per avvolgerlo tutto. Il corpo di
Roland era percorso da brividi, teso fino allo spasimo, mentre i suoi
sensi si scioglievano in quella bocca incredibilmente morbida e bollente
che lo stava trascinando verso un estasi mai provata. Roland si abbandonò
completamente al ritmo lento e sfiancante con cui l'altro percorreva il
suo sesso, e lasciò che Arabin lo conducesse dove il suo desiderio e le
sue forze potevano portarlo.
Il fiato corto, il battito accelerato, il mondo che roteava intorno a lui
e Roland sotto di lui, nella sua bocca, che gemeva, si contorceva, si
scioglieva, si inarcava. Lo voleva sentire gridare, perdere il controllo,
annaspare perso nel piacere. Aumentò il ritmo quando dalla bocca di Roland
emersero suoni inarticolati, vibranti che si ripercuotevano nel suo sesso.
Affondò in una discesa bruciante lungo il membro percorso da brividi e si
dissetò delle grida e dei fluidi che il corpo di Roland gli stava
offrendo.
Fresco; così sembrava ad Arabin il piacere di Roland che inghiottiva
voracemente, per placare la sua sete, l'arsura della sua gola e del suo
animo.
Roland ricadde sulla schiena con un sospiro incredibile, una mano a
depositare una lieve carezza sulla capigliatura rossa che copriva il suo
bacino.
Arabin si sedette al suo fianco, il fiato corto, il mondo che roteava
rapido intorno a lui, le immagini ballavano nei suoi occhi, Roland che lo
guardava con una dolcezza che non credeva potesse mai più essergli
concessa, il ruscello che sonnecchiava in basso, Fasar che osservava
silenzioso, e il cuore che batteva forte.
Si sdraiò accanto al compagno. Come era fresca la sua pelle anche se era
madida di sudore per lo sforzo. Roland lo baciò, assaporandosi, perdendosi
in occhi verdi troppo liquidi, velati dalla febbre, ma incredibilmente
felici come li aveva già visti, molti anni addietro.
Roland rimase abbracciato al corpo caldo di Arabin. Pensava a come dirgli
tutte le cose che gli affollavano la mente, ma Arabin non gli lasciava la
bocca libera neanche per mezzo secondo. Incapace di costruire un discorso
coerente, Roland iniziò ad accarezzare il petto di Arabin, seguendo le
costole, i muscoli, gli addominali, la linea della vita, la sottile scia
di soffice peluria che lo condusse al sesso eretto. Lo imprigionò nella
mano.
La carne di Arabin, dura, vellutata e infinitamente calda, fremette.
Roland si specchiò negli occhi liquidi, verdi come il bosco in cui erano
cullati, e vi lesse desiderio.
Si perse. Vedeva la brama di Arabin e sentiva urgente il desiderio di
soddisfarla con tutto il suo corpo, ma allo stesso tempo il ricordo di
quanto gli aveva fatto in quell'abbazia lo faceva diventare quasi matto,
tormentato dal rimorso e dalla paura di dargli nuovo dolore e non il
piacere che lui si meritava, piacere che Roland voleva donargli, non solo
con il corpo, ma con tutta l'anima; e, anche se l'altro lo aveva accolto
con una passione inaspettata, anzi gli era quasi saltato addosso per
essere precisi, non riusciva a levarsi dall'anima il peso di quanto era
accaduto in quella maledetta notte, frutto solo dell'odio e della sua
assurda, sorda caparbietà.
Avrebbe dato un braccio per tornare indietro e cambiare il corso degli
eventi, ma ciò che era stato non poteva più essere mutato. Poteva solo
cercare di lenire il dolore con un piacere ancora più grande, ribaltando
gli eventi, donando ciò che aveva preso con la forza.
Rimase un istante a contemplare il volto morbido di Arabin:
Per chi si apprestava a fare ciò che non avrebbe mai creduto nella sua
natura?
-Per il ragazzo che si era offerto a lui con tanta e tale passione da
renderlo pazzo di desiderio?
-Per placare il suo spirito tormentato dal rimorso?
-Per i sentimenti che non erano mai morti dentro di lui, nascondendosi nel
profondo del suo cuore, ma pronti a riaffiorare e a travolgerlo come in
quel momento stava accadendo?
Scosse il capo; non era tempo di domande, era solo il momento di seguire i
suoi impulsi, di seguire finalmente le parole gridate dal suo cuore e non
il dolore nato da anni di mezze verità e supposizioni errate.
Sorrise dolcemente a quegli occhi che lo guardavano fisso; occhi splendidi
e colmi di: desiderio, di aspettativa, di amore.. perché adesso era certo
che Arabin l'amasse e non da ora, ma da sempre; il loro sentimento era
sbocciato al loro primo sguardo, durante quel primo incontro avvenuto
tanti anni prima; sentimento che era passato: da un'immediata simpatia, ad
una forte amicizia sino ad arrivare ad un innocente, ma sconvolgente
sentimento, fatto di: desideri ancora acerbi per esser compresi,
sensazioni nuove, strane, ma pressanti, un emozione piacevole nel
rivedersi, un brivido caldo nello sfiorarsi, un desiderio di stare assieme
in ogni momento della giornata, di condividere scoperte e desideri, lo
sbocciare di un sentimento che andava oltre l'amicizia, ma che non aveva
avuto poi il tempo di fiorire, soffocato da malintesi e rancori. L'Amore!
Un amore che era resistito al tempo e al dolore, un amore che lui non
meritava, ma per cui ringraziava la sua buona stella, un amore che da
adesso in poi avrebbe protetto e alimentato con tutto se stesso.
Aveva preso la sua decisione, una decisione che voleva dire RESA,
incondizionata, assoluta, desiderata; perché lo desiderava,
incredibilmente, inaspettatamente, lo desiderava sopra ogni altra cosa in
quel momento.
Fece stendere Arabin sulla schiena accompagnandolo dolcemente,
carezzandone la pelle calda ed invitante e sentendo il desiderio montargli
nuovamente dentro come un fiume in piena, davanti allo spettacolo offerto
ai suoi occhi da quel corpo abbandonato alle sue mani.
Sfiorò quasi esitante: la vita, il petto, le spalle, le braccia in
un'unica e lenta carezza, beandosi di quel contatto così semplice, ma allo
stesso tempo inebriante; avvertendo, fissi su di se, due smeraldi ardenti
che seguivano ogni sua mossa.
Si abbasso, baciando quella pelle appena sfiorata, leccando, succhiando,
tormentando, fino a sentire il corpo di Arabin teso come una corda di
violino.
"Roland. Roland, ti prego, ora. prendimi ora. non resisto,.. non ce la
faccio più. Ti supplico!"
Le mani di Arabin gli artigliarono i glutei invitandolo, ma non era questo
ciò che aspettava l'amato.
Roland lo fissò in quelle pozze, ormai quasi nere, che erano gli occhi di
Arabin e, sorridendogli dolcemente, si mise a cavalcioni su di lui,
iniziando a scendere finché non raggiunse, sfiorandola, la punta tesa del
suo sesso.
Quando il ragazzo sdraiato comprese cosa voleva fare l'altro cercò di
fermarlo. Roland lesse lo stupore negli occhi verdi, ma non si fermò.
Scese lentamente, avvolgendolo in se, sentendo la pelle che si lacerava,
il sesso incandescente che si conficcava in lui, il corpo che si tendeva
allo spasimo.
Arabin vide il dolore irrompere sul volto arrossato di Roland e sentì il
cuore perdere un colpo. Annaspò nel tentativo di divincolarsi da sotto, ma
le sue forze erano decisamente misere in confronto alla volontà
dell'altro.
Sentì la mano di Roland che gli sfiorava il petto in una carezza calmante,
come a dire che andava tutto bene.
Poi il piacere esplose in Arabin e si abbandonò alla sensazione che gli
dava, l'essere dentro Roland. La carne di Roland pulsava attorno al suo
sesso, mentre il ragazzo dai capelli scuri respirava profondamente per
riprendere un minimo di controllo di sè.
Roland iniziò a muoversi lentamente, mentre il dolore si mischiava al
piacere, la carne veniva scavata dal desiderio bruciante di Arabin e
Roland vedeva il piacere salire in quegli occhi verdi, liquidi,
bellissimi, suoi.
Arabin muoveva impercettibilmente i fianchi, lasciando che Roland giocasse
con il suo sesso, scorrendo attorno a lui, avvolgendolo, obbligandolo a
sprofondare in lui fino a perdersi in un susseguirsi di brividi e spasmi.
Arabin gemeva piano mentre Roland si agitava sinuoso sul suo sesso rigido.
Le dita di Arabin gli carezzarono le mani, intrecciandosi poi alle sue
quasi cercando un appiglio a cui aggrapparsi prima di precipitare nel
baratro del piacere; ansimava, cercando aria, si muoveva in maniera
frenetica, accompagnando ogni suo movimento, le guance in fiamme, gli
occhi stretti, le labbra rinchiuse tra i denti.
"Roland.... o mio Dio.... non resisto più."
Roland cambiò ritmo, incalzato dai gemiti sempre più frequenti del
compagno finché il ragazzo disteso sotto di lui lo afferrò saldo ai
fianchi e si incurvò in un grido viscerale svuotandosi in lui, pochi
attimi dopo anche Roland raggiunse l'orgasmo, gridando a sua volta il nome
del compagno.
Roland si stese sul corpo infiammato di Arabin e rimase ad ascoltare il
battito accelerato del cuore dell'altro; si sentiva: sudato, ansimante,
privo di energia, spossato come non lo era mai stato, ma anche felice come
non credeva possibile essere.
^^^^^^^^^^^^
Non potevano più restare sdraiati a terra, stretti l'uno all'altro, la
febbre stava salendo e Arabin scottava come un tizzone arroventato. Roland
si agitava, voleva tirarsi su, tirarlo su, arrivare al maniero, farlo
curare... non poteva rischiare di perderlo proprio adesso, dopo quella
incredibile mattina...
"Ti prego, restiamo ancora un istante. È così bello qui, con te..." Arabin
parlava, inciampando nelle parole.
Roland a quel punto iniziò a preoccuparsi seriamente.
Si alzò mentre Arabin continuava a chiedergli di restargli accanto, si
infilò i calzoni e uscì dal riparo improvvisato, tornandovi qualche attimo
dopo con un pezzo di stoffa bagnata che passò delicatamente sulla ferita
del ragazzo, adesso rossa e infiammata. Non avevano tempo da perdere, lo
mise seduto tra le proteste, convincendolo poi a rivestirsi. Arabin si
lamentò un istante ma fu zittito da un bacio che gli tolse il fiato.
"Se ne vuoi degli altri, alzati e vestiti. Torniamo al maniero. Non ti
toccherò più finché non ti sarà scesa la febbre e starai meglio. E adesso
in piedi, soldato!"
Arabin eseguì gli ordini meccanicamente, capiva l'apprensione del compagno
e decise di assecondarlo, ma non fu semplice, il mondo gli si era messo a
vorticare attorno, le gambe lo reggevano a stento, fu un impresa
rivestirsi, le mani tremavano, la testa girava, la vista gli si appannava
e i piedi incespicavano ad ogni passo; risalire poi la scarpata fu un vero
tormento, ma non poteva salire su Fasar che arrancava dietro di loro.
Roland era davanti e gli faceva strada. Saliva, gli occhi fissi sul fondo
schiena del compagno, i pensieri che a tratti gli balzavano in mente..
Aveva davvero fatto l'amore con Roland o era stato solo un miraggio della
febbre? E che diavolo ci facevano loro due li con Fasar? Perché gli
tremavano le gambe? Ma come mai si ricordava della pelle di Roland? Gli
aveva detto delle cose importanti, ma cosa? Gli faceva male una spalla.
Questo non lo scordava. La ferita pulsava ad ogni passo. Aveva sete. La
bocca secca ma permeata da un sapore che non ricordava di aver mai
sentito.
La salita gli sembrava infinita. Poteva fermarsi lì, in fin dei conti non
stava male, il mondo era così strano, leggero; se non fosse stato per la
ferita... e poi aveva addosso quella strana sensazione di aver vissuto
qualcosa d'importante, aver visto degli occhi amati che sorridevano. Si,
in fin dei conti li ci stava proprio bene. Niente insulti o ingiurie,
niente re Hermin e poi c'era Roland che ogni tanto si voltava a guardarlo,
a spronarlo e in quello sguardo, in quella voce, non sentiva più traccia
di rancore o odio.
Se non fosse stato per le frasi che Roland continuava a rivolgergli si
sarebbe fermato di sicuro, ma se lo avesse fatto non avrebbe più compreso
cosa gli diceva l'altro.... Ma cosa gli stava dicendo? Lo capiva ma non lo
teneva a mente il tempo sufficiente a comprenderlo.
Raggiunsero il ciglio.
Davanti a loro si stendeva un bosco di conifere assai rado. La luce
filtrava tra i rami, colorando l'aria di fresco e di smeraldo.
Roland montò a cavallo e poi vi issò il compagno. Lo appoggiò contro il
suo petto e gli circondò la vita con un braccio, stringendolo a se, con il
timore che l'altro potesse addormentarsi o perdere i sensi scivolando a
terra, ma anche perché gioiva nel sentirlo stretto al suo corpo.
Le briglie tenute mollemente in una mano per lasciare al destriero l'onere
di ritrovare la strada di casa, Roland si lasciò andare al lento oscillare
del cavallo. Sentì Arabin rilassarsi, la schiena completamente poggiata
contro il suo torace, il respiro divenire più profondo e lento, le braccia
scivolare lungo i fianchi, la nuca che affondava nella sua spalla.
Teneva tra le braccia colui che era stato uno dei due motivi per cui aveva
continuato a vivere, a cui aveva rivolto ogni briciolo del suo tempo, a
cui aveva dedicato ogni minuto dei suoi anni di vagabondaggio e di
allenamenti, ma mai avrebbe pensato che in una sola notte gli anni
dedicati alla sua vendetta contro Arabin non avrebbero avuto più senso,
spazzati via dal calore che stringeva tra le braccia. Il suo animo era in
subbuglio per la felicità di aver ritrovato il ragazzo con cui anni
addietro aveva condiviso i giorni più felici della sua esistenza, per la
certezza che Arabin non era un mostro, un assassino, o peggio ancora un
traditore; allora il sacrificio di sua madre non era stato vano, lei aveva
visto bene in quell'animo, cosa che lui non era stato in grado di scorgere
in quei mesi passati accanto al compagno d'armi, neanche dopo quella sera,
dopo aver visto le lacrime dell'altro, dopo averlo sentito chiedere
perdono per una colpa non sua.
Lo aveva decretato colpevole. Si era fidato di quanto gli avevano
raccontato persone che avevano sentito dire, o solo visto una parte di una
verità diversa da ciò che appariva, e questo gli era bastato per nutrirsi
di odio, dimentico degli insegnamenti ricevuti da piccolo, degli
avvertimenti dategli del padre che gli aveva da sempre raccomandato di
cercare la verità e non basare il suo giudizio sulle sole apparenze, di
sentire tutte le voci, anche quelle ritenute meno importanti, di non farsi
mai guidare dalle parole degli altri, ma di cercare la verità, solo quella
contava; si doveva essere sicuri prima di condannare chiunque e non si
doveva mai avere la presunzione di credere i propri giudizi inconfutabili;
"Roland, anche se sarai tu il signore e padrone di questo palazzo, di
queste terre, di questa gente, non ti considerare mai il primo degli
uomini, solo uno dei tanti e come tale dai a tutti una possibilità".
E lui aveva riversato anni di odio su un ragazzo che in realtà era stato
colpevole solo di essersi fidato del padre. Cosa avrebbe fatto lui se anni
addietro fosse stato al posto di Arabin?
Avrebbe messo in discussione le parole del suo genitore?
Si sarebbe opposto?
Sarebbe stato in grado di supporre l'indifferenza ed il doppio gioco del
proprio padre?
Sarebbe stato in grado di mettere in pericolo la propria vita per
proteggere quella di un amico?
A che punto sarebbe arrivato?
E perchè anni addietro Arabin aveva rischiato di essere ucciso per
salvarlo? Forse per lo stesso motivo per cui Arabin non aveva mai provato
a fargliela pagare per quanto era successo in quell'abbazia. Forse per lo
stesso motivo che da quella notte gli rodeva l'animo e aveva instillato in
lui il dubbio..
Forse per lo stesso motivo per cui lui era andato a cercarlo, dimentico di
portare a termine i suoi propositi di vendetta.
Ma se non fosse stato così, se il sentimento che aveva creduto di vedere
in quegli occhi durante quei magici momenti, di cui per un attimo aveva
avuto la certezza, non fosse stato amore, ma solo il riflesso della
passione e del desiderio ottenebrati dalla febbre?
Guardò il profilo dell'uomo abbandonato nelle sue braccia. Occhi chiusi,
labbra appena aperte che portavano tracce della febbre e dell'arsura, il
volto arrossato, e il caldo innaturale che emanava dal suo corpo. Lo
strinse maggiormente, respirando il suo odore; per un uomo così non
avrebbe esitato ad uccidere o a farsi uccidere.
Sconvolto fin nelle viscere da quella certezza improvvisa spronò Fasar.
Dovevano arrivare il prima possibile al maniero. Non avrebbe permesso alla
Nera Signora di portarlo via ora che lo aveva ritrovato.
Vai all'Archivio Fan Fictions |
Vai all'Archivio Original
Fictions |
|