Ringrazio:
- Gaia che mi ha dato la possibilità di fare l'esperienza di scrivere una
storia a due mani (-_- se non ci fosse stata lei a dar brio alla vicenda
non so proprio cosa avrebbe potuto saltarne fuori).
- Mty , Maria e June per aver contribuito alla lontana ispirazione in quel
ventoso giorno tra i ruderi di un suggestivo monumento storico (;-; mi
immagino ancora i due puccioti far ritorno su quella grata "rugginosa" per
un BIP di tutt'altro genere :).
Finiti i ringraziamenti, vi saluto (assieme naturalmente a: Gaia, mty,
Maria e June).
Ciao e.... grazie coraggiosi lettori.
i
Una
speranza nel cuore, Una ferita nell'anima
di Gaia e Mokuren
parte II
********** 20 Febbraio 1246 ********
Quella fortezza era veramente ben protetta, adesso che poteva osservarla
dall'interno Roland si rendeva pienamente conto che Hermin ci teneva molto
a non poter esser colto di sorpresa, guardie armate pattugliavano tutti i
torrioni di avvistamento giorno e notte, l'unica entrata era quella
principale, sempre sbarrata da una pesantissima grata in ferro per cui
occorrevamo tre uomini all'argano per alzarla e altrettanti ne occorrevano
per attivare il ponte levatoio.
Le pareti delle murate erano alte dieci metri e spesse tre, tutte
percorribili nella loro sommità attraverso stretti corridoi continuamente
controllati.
Ma lui non aveva bisogno di introdursi in questa fortezza, lui era gia
dentro e adesso doveva solo formulare il giusto piano per compiere i suoi
piani di vendetta; se solo quel maledetto martellar delle tempie avesse
smesso per un attimo di tormentarlo, di sicuro sarebbe riuscito a pensare
in
maniera più lucida e chiara.
Il dolore lo stava letteralmente massacrando; si era risvegliato quella
mattina con la testa stretta in una morsa che si era accentuata man mano
che il tempo passava riducendolo un vero straccio; era tutto dovuto alla
bella prova che aveva dato di se la sera prima, si era riempito di birra
da quattro soldi e quella era la giusta ricompensa; ma non era quello il
problema maggiore, il fatto grave era che non ricordava cosa era accaduto
la notte appena trascorsa, aveva solo dei vaghi flash: si rammentava la
baldoria all'osteria, la confusione, il pungente odore di tutti quei corpi
poco lavati ammassati in quella piccola stanza, il sapore acido di quella
miscela che veniva detta "birra", poi aveva anche la visione dell'arrivo
di Arabin, i suoi ricordi andavano poco oltre, di certo c'era stata una
lite, una scazzottata, lo dimostravano i numerosi lividi che si era
trovato sul corpo non che un ematoma violaceo che spiccava sul suo mento,
ma poi tutto si faceva buoi, emergeva da questo solo una sensazione, una
strana e piacevole sensazione di calore che non riusciva a spiegarsi.
Doveva scoprire cosa era accaduto, sapeva che non avrebbe dovuto
ubriacarsi a quel modo, in quelle condizioni avrebbe potuto dire cose che
voleva tenere ben nascoste; la presenza di Arabin poi lo metteva a
disagio, e se gli fosse scappato qualcosa di compromettente proprio
davanti a questo; Arabin di certo sospettava qualcosa sul suo conto, e lui
magari quella sera aveva dato conferma ai suoi sospetti e... MALEDIZIONE!
Per una stupida bevuta poteva aver condannato al fallimento tutti i suoi
progetti di vendetta.
Mentre rifletteva nuovamente sul da farsi Roland si era seduto su un
barile vicino al recinto dei cavalli, la mente troppo occupata dalle
infauste riflessioni non gli aveva fatto neppure sentire l'avvicinarsi di
Jeodar, che di sicuro non era una piuma nel muoversi con la sua mole che
lo faceva
assomigliare ad un tronco di quercia.
"Randolf!... santo Hator, hai un aspetto spaventoso e... vedo che le
carezze di quel damerino ti hanno lasciato il segno. Bel ricamino davvero!
Certo che se non reggi l'alcol in quel modo dovresti evitare di bere, non
tutti possono sopportare la birra di Babet e tu non ne sei proprio in
grado ragazzo mio, oltre a non reggerti in piedi hai iniziato a sragionare
come un matto."
Quella voce tonante e inaspettata per poco non lo fecero cadere dal
precario sedile dove si era appollaiato, solo quando fu riuscito a
ritrovare l'equilibrio si rese conto di cosa gli aveva detto l'uomo: le
carezze del damerino?!... Arabin; si era preso a pugni proprio con lui? e
perchè? Ma soprattutto... cosa aveva detto per farsi dire di aver
sragionato? Sudore freddo gli bagnò i palmi delle mani, le sue peggiori
paure si stavano rivelando fondate a quanto pareva.
Doveva cercare di saperne di più, di sapere tutto quel che era accaduto.
"Hai ragione, sono ancora un pivello, ma... mi rifarò, son certo che con
la pratica il mio fisico riuscirà ad abituarsi e un giorno magari ti
sfiderò ad una gara di bevute."
Una sonora risata proruppe dalla gola del guerriero a quelle parole.
"Povero illuso, nessuno può vincere Jeodar in una simile "battaglia""
"Hai ragione, ti confesso che oggi mi sento veramente uno straccio e
poi... chi sa cosa avrò detto ieri sera in quelle condizioni..."
"Hai intonato tutto il tuo repertorio di canzoncine, ci hai svelato tutte
le tue amorose conquiste e... in gran segreto, ci hai pure detto di essere
"un nobiluomo in incognito"; per non parlare poi di tutto quello che ti
sei messo ad urlare quando Arabin è entrato nella taverna, prima lo hai
"gentilmente" invitato ad unirsi a noi, poi hai iniziato ad sparlare
accennando a tradimenti e vendette varie e alla fine sei stato steso come
un sacco di patate da un pugno di quel rammollito. Una ben misera figura,
veramente misera."
"Per la Luce, proprio da un pugno di quel tipo! Dovrò presto trovare il
modo di "rivalermi" per questa amara batosta."
"Son certo che, da sobrio, non avrai grosse difficoltà nel riuscire a
contraccambiare la carezza che ti ha steso ragazzo."
E detto questo Jeodar si allontanò canticchiando.
Non aveva più tempo, la sua vendetta non poteva più attendere, ormai era
stato smascherato, Arabin sapeva chi era.
Come poteva esser stato così idiota! Ormai non gli rimaneva che tentare il
tutto per tutto, non aveva alcuna possibilità di arrivare a Hermin ma, di
sicuro avrebbe schiacciato almeno quel vile di suo figlio. Se questo non
l'aveva ancora smascherato dipendeva sicuramente da sue ragioni, magari
strani calcoli di profitto visti in una sua vendetta hai danni del padre,
di sicuro avrebbe cercato di ricattato, il suo silenzio in cambio
dell'eliminazione dello scomodo genitore, un traditore lo rimane anche con
i suoi "alleati"; ma se era questo quel che sperava avrebbe avuto una
bella sorpresa.
Roland, da quando era arrivato in quel palazzo, aveva perlustrato la zona
e vi aveva scovato vari punti interessanti, il luogo ideale per quel che
voleva fare era un antica Abbazia ormai abbandonata, un mezzo rudere che
distava circa mezz'ora di cavallo dalla fortezza; un luogo isolato
circondato dalla boscaglia; il posto adatto a divenire la tomba per un
traditore.
Adesso doveva prepararsi per partire, l'incursione era fissata per quella
notte, come tutti gli attacchi del loro "prode" signore, ma se fosse
uscito indenne anche da quella battaglia stavolta per Arabin sarebbe stata
l'ultima combattimento prima di vedersela con il giusto giudizio, il suo.
********** 22 Febbraio1246 ********
La luna era piena e rischiarava con la sua luce pallida il paesaggio, in
lontananza il rudere dell'Abbazia svettava in alto verso il celo, mentre
la sua base, avvolta dalla nebbia, pareva scomparire nel nulla; Arabin
sapeva bene il perché di quell'incontro, vi si stava preparando ormai da
diverse settimane, ma... adesso che il momento era arrivato sentiva il
cuore martellargli in petto con una forza tale da fargli temere che
l'avrebbe presto sfondato; quando, rientrando nel dormitorio al ritorno
dall'incursione aveva trovato il messaggio sul suo giaciglio ne era
rimasto sorpreso, poi, lettone il contenuto e la firma "Randolf", aveva
compreso che era arrivato il momento del giudizio ed era andato, senza
esitare o attendere inutilmente, sul luogo dell'appuntamento.
Continuò a camminare a passo lento verso quella struttura fino a varcarne
la soglia, il suo interno era rischiarato da due torce appese alle pareti
che creavano strani e spettrali giochi di luce nell'ambiente, al centro
del quale c'era una figura voltata di spalle, immobile, come assorta in
pensieri lontani anni da quel momento.
Rolan appariva quasi come un fantasma, ammantato di nero, e avvolto da un
alone dorato dato dalla nebbia su cui si rifletteva la luce delle fiamme.
Era in fine giunto il momento di chiarire le loro situazioni, era arrivato
il giorno in cui avrebbe probabilmente scontato quel suo lontano
tradimento.
"Sono qui Randolf, di cosa mi dovevi parlare?"
Silenzio, un silenzio che si protrasse per alcuni minuti, un silenzio che
era come un incudine sospesa sopra la testa di Arabin.
"Non credevo saresti venuto! Non da solo almeno."
Da quella frase, dal tono in cui era stata pronunciata Arabin comprese che
non c'erano speranze di riuscire a spiegare quel suo lontano errore, ne
tanto meno di essere perdonato.
"Che motivo avrei avuto di non venire o di chiamare rinforzi... Randolf."
Una sommessa risata.
"Randolf? Sai benissimo qual è il mio vero nome, lo sai dal primo giorno
in cui ho messo piede in questo palazzo, e sai anche il perché io sia qui,
sono io però che non so i motivi che ti hanno spinto a tacere, o almeno
non l'ho capito subito; un traditore non cambia la sua natura vero! sei
stato diseredato dal tuo caro padre e quale modo migliore di vendicarsi se
non far si che il suo peggior nemico si possa aggirare indisturbato per la
sua proprietà aspettando il momento propizio per ucciderlo. Ammetto che
sei furbo, ma non hai fatto i conti con me e con l'odio che nutro non solo
per lui, che ha ucciso le presone che amavo, ma anche per te che ci hai
traditi e buttato tra le braccia del nemico; noi ti amavamo, ti abbiamo
accolto e dato piena fiducia e tu ci hai portato alla rovina e alla morte.
Non sopporto la tua vista, la tua voce, il tuo sguardo. Desideravo
vendicarmi di te facendoti soffrire quanto tu hai fatto soffrire me, ma...
questo non è possibile, un cuore di pietra come il tuo non può sanguinare,
quindi..."
Estrasse la spada dal suo fodero impugnandola con entrambe le mani.
"... non mi resta che prendermi la tua vita, certo è ben poca cosa se
confrontata a quel che hai fatto tu, ma... il mio cuore da troppi anni
grida vendetta e adesso, in qualsiasi modo, deve avere soddisfazione.
Avanti, sguaina la tua spada e combatti come un guerriero."
"Roland io..."
"Non voglio che pronunci il mio nome, e non voglio sentirti proferir
parola, voglio solo che tu combatta."
"NO! non lo farò! Io non..."
"Se non hai intenzione di difenderti sarà più facile ucciderti."
Detto questo gli si scagliò contro con tutta la sua forza e, se Arabin non
si fosse spostato, l'avrebbe di sicuro ucciso.
"Ti prego, vorrei solo..."
"Non hai da pregarmi, non ho orecchie per ascoltarti... non le ho come non
le ha avute tuo padre quando ha trafitto il mio, come non ne hai avute tu
per evitare la morte di mia madre che "assurdamente" è perita cercando di
proteggere te, di proteggerti dalla spada di un sicario del tuo caro
padre, sicario che hai fatto gentilmente entrare nella nostra casa nella
maniera più vile e... MALEDETTOOOO!"
Un nuovo affondo che stavolta Arabin non riuscì a parare del tutto
ricevendone un colpo di striscio alla spalla.
"Finalmente vedo un po' del tuo sangue, ma non mi accontenterò certo di un
graffietto, voglio che questa terra vada a nutrirsi di tuo il tuo sangue,
della tua intera ed inutile carcassa."
Ancora un fendente e stavolta Arabin si vide costretto ad estrarre la sua
spada per pararlo.
"Bene, adesso si può iniziare a combattere sul serio!"
Colpi violenti, carichi di rancore e risentimento erano quelli che Roland
portava contro il suo avversario, colpi decisi, brutali, ma, proprio
perché il suo animo era imbrigliato da quei sentimenti, quei colpi erano
anche sferrati in maniera istintiva, animale e privi di coordinazione e
tecnica.
La battaglia fu lunga, ma, alla fine, la ragione ebbe il sopravvento,
Arabin, prevedendo l'ennesimo colpo del suo avversario, riuscì a
disarmarlo e a fargli perdere l'equilibrio. Adesso Roland era a terra
ansimante con la lama di Arabin puntata alla gola.
"Ironie del destino, morire adesso per mano della medesima persona da cui
scampai allora. Dai, affonda; fallo! Fallo ora, perché io non avrò pietà
di te se adesso mi risparmi la vita"
Mentre parlava aveva avvicinato la gola alla lama che, graffiandone la
pelle, ne aveva lascito uscire una goccia di sangue.
Arabin, alla vista del vermiglio sulla spada si riscosse.
Ma cosa stava facendo, perché era li, con l'arma sguainata contro la
persona per cui avrebbe dato anche la sua stessa vita, la persona che più
amava, la persona di cui aveva un disperato bisogno di ottenere il
perdono; e forse era proprio la morte l'unica sua possibilità di averlo,
farsi uccidere da lui e placare così il rancore che questo covava dentro
da troppi anni.
La mano di Arabin tremò; doveva abbassare la spada... anzi, dare all'altro
la possibilità di riprendersi e continuare così il duello che si sarebbe
poi concluso con la sua morte, in fin dei conti non aveva più nulla per
cui vivere, neppure la speranza, adesso che anche la madre era morta,
l'unica persona per cui era riuscito a tirare avanti, la sua vita non
aveva
veramente più alcun senso.
Roland si accorse che il suo avversario si era distratto e ne approfittò
subito, si gettò di lato, si riappropriò della spada e, con un colpo
preciso ferì Roland al fianco.
"Mai distrarsi quando ne va di mezzo la propria vita"
Il duello riprese, ma stavolta Arabin non oppose molta resistenza; lo
scontro proseguì sin quando Arabin non inciampò cadendo a terra.
"ADDIO!" Gli gridò Roland mentre alzava la lama per sferrare il colpo di
grazia abbassandola poi verso il corpo inerme di Arabin.
Mentre la sua spada si stava per abbattere inesorabile sul corpo del suo
nemico sconfitto, Roland notò un bagliore, una piccola luce riflessa da
qualcosa che rotolava su una guancia del suo avversario; una lacrima,
Arabin stava piangendo, ma come era possibile! Non era reale, non era da
Arabin, da sempre la persona più decisa e determinata che avesse mai
conosciuto, si ricordava ancora quando, anni addietro, stava per finire
nel dirupo sulla collina proibita, quando il cavallo del padre, che lui
non avrebbe neppure dovuto avvicinare, si era imbizzarrito iniziando a
correre verso la scarpata, in quell'occasione fu proprio Arabin a salvarlo
a rischio della propria vita. Si era gettato si di lui e poi l'aveva
protetto con il proprio corpo, così facendo aveva battuto la testa e si
era rotto un braccio, ma non aveva versato una sola lacrima neppure quando
il medico gli aveva rimesso a posto l'osso; e adesso... era dunque così
cambiato da temere la morte sino a tal punto? o v'era qualche altra
ragione?
La sua spada, mentre la mente formulava questi pensieri, si era fermata a
mezz'aria, ma Arabin non si era mosso di un millimetro, era rimasto
immobile li, con gli occhi chiusi e quella scia luminosa che gli solcava
la guancia.
"TI ODIO! Ti odio quanto non ho mai odiato nessuno, ma... non riesco ad
ucciderti, non così. MALEDIZIONE! Maledizione.... maledizione....."
Roland cadde in ginocchio lasciando la spada e abbassando il volto.
Afferrò Arabin per il colletto e lo tirò a se con violenza.
"Ma non credere che te la caverai così a buon mercato, ti umilierò, ti
farò rimpiangere di avermi rivisto...."
Detto questo avvicinò il volto a quello del ragazzo atterrato, che non si
oppose in alcun modo.
Il cuore di Arabin stava per esplodere, cosa avrebbe fatto Roland? Guardò
gli occhi scuri del ragazzo e sentì il respiro morirgli in gola. Vendetta,
odio, risentimento era scritto su quel volto tirato e imporporato dalla
rabbia. Le gote infiammate, gli occhi intrisi d'astio, la fronte imperlata
di sudore e le labbra rosse, tese che si avvicinavano al suo volto.
Quelle stesse labbra che una volta si erano posate sulle sue facendogli
assaporare, per la prima volta, l'ebbrezza di un bacio.
Quelle labbra che in un lontano giorno d'estate, un tempo ormai tanto
lontano quanto può essere lontana una fonte nel deserto, erano colme di
gentile curiosità...
********** 16 Aprile 1236 ********
"Hai mai baciato una dama Arabin?"
"Una dama? Ma se non ne l'ho neppure mai vista una di DAMA io!"
"Una ragazza in somma, non so, un'amica, una cameriera. Hai mai baciato
qualcuno ecco!"
"N... no. Ma perché mi fai una domanda simile."
"Vedi, tra breve lo stalliere di mio padre si sposerà con Cettina, ieri
entrando nella stalla l'ho visto mentre la baciava e.... ho provato una
strana sensazione. Io non ho mai baciato nessuno, ma da ieri sera non
riesco a pensare ad altro; chi sa com'è, cosa si prova..."
Dette quelle parole Roland era arrossito come un gambero strabuzzando gli
occhi e tirando le ginocchia a se stringendole poi con le braccia,
imbarazzato per ciò che aveva detto.
Arabin l'aveva fissato incerto, poi, preso coraggio, aveva iniziato a
parlare:
"Io non posso dirti cosa si prova, ma.... ecco... se lo desideri... io...
noi... in somma, potremmo..."
Adesso fu il turno di Arabin di arrossire senza riuscire a concludere la
frase.
L'altro lo fissò perplesso, certo non era molto lesto a capire.
Arabin all'ora prese un profondo respiro, si mise in ginocchio e poggiò le
sue labbra su quelle dell'altro carezzandole dolcemente con le proprie,
tutto avvenne in un attimo, troppo rapido per riuscire a mettere assieme
una reazione qualsiasi, Rolan non riuscì a far nulla se non rimanere
immobile con gli occhi spalancati e uno strano nodo che gli si strinse
alla base dello stomaco.
Arabin, compiuto il fatto, si era rialzato voltandogli le spalle
"Visto, ho svelato la tua curiosità; e poi non dire che non sono un buon
amico."
Detto questo si era allontanato quasi correndo con la faccia in fiamme ed
il cuore in tumulto, non aveva neppure provato a guardare l'espressione
dell'altro, timoroso di potervi scorgere espressioni di: stupore e magari
disgusto, ma... se solo avesse avuto quel coraggio, si sarebbe accorto che
l'espressione dell'amico era si stupita, ma di disgusto, in quegli occhi
spalancati, non v'era traccia.
********** 07 Marzo 1246 ********
E adesso quelle labbra stavano avvicinandosi nuovamente al suo volto solo
per umiliarlo, solo per trasmettergli quell'odio che, anno dopo anno, si
era accumulato nelle vene di Roland.
Arabin rimase immobile, schiacciato a terra: dal peso dell'altro, dal
senso di colpa per quanto era successo anni addietro e dalla certezza che
nessuna parola, nessuna spiegazione sarebbe stata ascoltata.
"Mi vendicherò. Mi vendicherò. Mi vendicherò. Mi vendicherò..." Continuava
a ripetere Roland, come fosse stata una preghiera funebre innalzata a
memoria di tutta la sua gente trucidata.
Roland si rialzò e con uno strattone, rimise in piedi anche Arabin.
"Hai ucciso la mia gente, li hai traditi come se fossero esseri
insignificanti..." Mentre Roland gridava queste parole in faccia a Arabin,
lo spingeva verso il fondo dell'abbazia, o di quello che ne restava,
serrando il pugno intorno alla stoffa del colletto quasi a volerla
lacerare
"... Ti ripagherò con la stessa moneta..." Arabin si muoveva spinto
dall'ira dell'altro, senza avere la forza di guardarlo in volto, non
opponendo alcuna resistenza, svuotato da ogni volontà, incapace di
proferire parola, con i pensieri affogati nella tristezza.
Fu sbattuto violentemente su una grata di ferro arrugginito, che chiudeva
l'ingresso di una navata laterale dell'abbazia in rovina. Alzò gli occhi
sul volto di Roland, e vi lesse una disperazione profonda, che affondava
le sue radici nel dolore.
"Ti prego, fammi spiegare... " sussurrò con voce rotta.
"No." Fu la risposta gelida che ricevette.
Roland lo voltò di peso e lo pressò contro la grata. La testa di Arabin
sbatteva contro le sbarre di ferro mentre Roland gli strappava di dosso i
calzoni.
"Un animale viscido come te non merita altro che violenza! Ed è questa l'
unica cosa che avrai da me; disprezzo e furia! Quindi risparmiati queste
inutili suppliche, io non ho più orecchi per le tue menzogne." Gli sibilò
duro nell'orecchio e Arabin sentì l'ultimo filo a cui era legata la
speranza di ritrovare il suo amico di un tempo, il suo amore,
sbriciolarsi. Aveva sperato fino all'ultimo che Roland potesse ascoltarlo,
che capisse che anche lui, in fondo, era stata una vittima delle mire del
padre, aveva sperato che questo lo ascoltasse almeno, sperando, anche se
non nel perdono, almeno in un briciolo di comprensione per quello che era
stato un ragazzino: solo, ingenuo e desideroso di credere nelle buone
intenzioni di un padre che non l'aveva mai amato, ma che rimaneva pur
sempre il suo genitore; purtroppo anni di rancore avevano reso le orecchie
di Roland dure più del ferro che gli stava graffiava il volto ed incapace
di sentire un'altra verità che non fosse quella che gli era stata
raccontata in quei terribili giorni da persone che avevano imparato solo
ad odiarlo senza concedergli appello.
Lacrime silenti iniziarono a scendergli sul volto.
Roland gli imprigionò i polsi in una mano e gli torse le braccia dietro la
schiena, mentre con l'altra mano gli finiva di lacerare la stoffa dei
calzoni. Gli piantò un ginocchio tra le gambe, divaricandole con forza,
facendo quasi perdere l'equilibrio a Arabin che ormai aveva la mente
inceppata e aveva perso qualsiasi volontà per reagire a quello che gli
stava per capitare.
Una mano gli separò le natiche con forza e un dolore atroce gli esplose
nelle viscere. D'istinto cercò di allontanarsi, andando a sbattere contro
il ferro, che gli graffiò il ventre e le gambe, e contrasse i muscoli del
sedere nel disperato tentativo di opporsi in qualche modo a quell'impietosa
invasione.
Ciò che era entrato con forza nel suo corpo iniziò a muoversi in risposta
al movimento dei suoi muscoli, aprendo impietosamente la carne come fosse
in realtà composta da due pergamene attaccate l'una all'altra che dovevano
a tutti i costi essere separate.
"Mi dovresti ringraziare, dato che ti sto anche usando una gentilezza."
Altre parole dure come solo la rabbia sa indurre, colpirono il suo animo.
Un'onda di lacrime sommerse i suoi occhi, nate dal dolore di sentire
quelle parole gettategli in faccia proprio da colui che...
Ciò che era entrato in lui uscì. La mano impietosa separò nuovamente le
due rotondità del suo sedere e un corpo caldo e duro premette contro il
suo ingresso.
Un brivido di terrore attraversò la mente di Arabin, se quelle di prima
erano state solo dita...
Non fu in grado di finire il pensiero che il braccio libero di Roland si
serrò intorno alla sua vita e la carne del suo orifizio cedette sotto una
spinta violenta.
Dolore si impossessò del suo corpo. Sentiva la pelle lacerarsi centimetro
dopo centimetro, sottili rivoli di sangue uscivano dal suo corpo mentre
Roland espugnava con forza la sua preda.
"Assassino, li hai fatti uccidere come degli animali al macello." Furono
le uniche parole che Roland gli urlò contro durante quel supplizio.
Ciò che non aveva fatto il dolore lo fecero quelle poche parole. Lacrime
grosse come i suoi stessi occhi annebbiarono la vista di Arabin e un
violento tremito si impossessò della sua anima e del suo corpo.
Roland lo stringeva alla vita sempre più forte, quasi volesse
spezzargliela, mentre le spinte si facevano più rapide, gli affondi più
duri e la carne lacerata bruciava come se fosse stata cosparsa di sale.
Non così. Non con quelle parole avrebbe voluto sentire il corpo di Roland
impossessarsi del suo, Non con quell'odio, con la rabbia e la disperazione
di chi aveva perso tutto e di questo incolpava solo quel misero uomo che
gli stava tremante tra le braccia. E in un attimo anche Arabin perse tutto
ciò che poteva ancora sperare di salvare di lui e di Roland.
I colpi continuarono in una corsa senza sosta, il peso di Roland lo teneva
inchiodato alla grata, il cazzo di Roland lo dilaniava nel corpo e le
parole che gli aveva gridato contro gli stavano divorando l'animo.
L'ultima spinta lo fece sbattere contro la grata con tanta violenza da
lacerargli la pelle del volto e delle gambe e un fluido caldo gli invase
le viscere in fiotti intensi che gli fecero capire che quella tortura
stava per finire.
Roland infatti, pochi attimi dopo, uscì dal suo corpo lasciandogli andare
anche i polsi quasi violacei, privo di quel sostegno Arabin si accasciò a
terra privo di forze.
"Come animali..." gli ruggì contro Roland, la voce ancora rotta dallo
sforzo fisico e venata da un odio ancora non placato. "Li hai fatti
trucidare come se fossero degli animali e adesso anche tu sei stato
trattato come la bestia che sei."
Arabin teneva il volto rivolto a terra, il corpo scosso da tremiti
inarrestabili. Roland gli afferrò i capelli e gli sollevò la testa per
guardarlo negli occhi.
"Guardami mentre ti ricordo cosa hai fatto alla mia gente, ai miei
genitori..." gli gridò mentre gli voltava la testa. "... Non li ho
vendicati come avrei dovuto, ma da ora in poi quanto è successo ti seguirà
ovunque, sempre, qualunque cosa mi farai, qualunque cosa mi accadrà..."
Arabin seguì meccanicamente il movimento della mano del cavaliere, tenendo
gli occhi bassi, per non far vedere le lacrime che ancora gli annebbiavano
lo sguardo.
"Devo ammettere che mi hai stupito, non mi ha implorato, non un lamento,
devo forse dedurne che non ti è dispiaciuto, o forse sono stato troppo
gentile con te... e guardami mentre ti parlo, assassino."
Arabin alzò gli occhi e vide Roland che lo fissava con odio. Allora era
stato tutto inutile, neanche quell'umiliazione aveva placato il suo animo
e a quel punto non c'era più niente da fare.
Roland ammutolì di colpo nel vedere la tristezza sconfinata che regnava
negli occhi verdi di Arabin. Non capiva. Quegli occhi che dovevano essere
velati dal dolore, dall'umiliazione, e magari animati dallo stesso odio
che aveva albergato nel suo animo erano solo velati di un incredibile
tristezza e non smettevano di brillare per via delle lacrime che ne
fuoriuscivano copiose.
Rimase muto, impietrito, incredulo.
"Perdonami." Sussurrò Arabin, riabbassando il volto verso terra .
Roland non sapeva più cosa fare. Quella tristezza, quella tristezza
scritta sul volto di Arabin, non la capiva, e quell'unica parola che
sembrava essere uscita da un mondo così lontano da quello che aveva
intorno, così remoto e profondo da farlo rabbrividire.
Si girò ed andò via, quasi di corsa, lasciando l'altro a terra,
sanguinante e distrutto.
Sulla via del ritorno si maledisse, avrebbe dovuto schiaffeggiarlo sul
volto per chiudergli quelle labbra dannate, per evitare di sentire quella
voce falsa proferire parole inutili, dette di proposito per evitare che
continuasse a torturarlo, con quel tono così... così... sofferente fu
l'unica parola che riuscì a trovare, come quegli occhi verdi, stancati dal
pianto e da... da cosa, tristezza?
Un dubbio fece capolino nel suo animo, ma lo ricacciò indietro con la
forza della sicurezza di aver avuto davanti solo un dannato assassino e
non il ragazzo dolce che aveva incontrato anni prima, il ragazzo che lo
aveva baciato, il ragazzo gentile che...
Aumentò l'andatura per allontanarsi il più possibile dal corpo squassato
del compagno di altri tempi, ma soprattutto per fuggire da quei pensieri
istigatori di dubbi che continuavano a pungolarlo.
^^^^^^^^^^
Finito! Era finalmente tutto finito, adesso intorno a lui regnava il
silenzio, si udiva soltanto il leggero soffio del vento che accarezzava
l'erba ed il suo corpo martoriato.
Adesso che era rimasto solo e protetto da quelle antiche mura , si strinse
le ginocchia la petto continuando a piangere silenziosamente scosso dai
tremiti.
Aveva il corpo a pezzi; sentiva dolore su ogni centimetro di pelle, a ogni
giuntura, ma sapeva che quelle non erano ferite gravi, sarebbero sparite
presto, la ferita mortale era però stata inferta al suo animo già
duramente provato; al suo cuore, strappatogli definitamene dal petto e
calpestato; alla sua dignità, al suo amor proprio; gli era stato portato
via tutto e non era servito neppure a placare l'odio che aveva letto in
quegli occhi, che aveva avvertito in quel corpo, che aveva udito in quella
voce.
Rimase li, a terra sin quando le lacrime non si esaurirono, sin quando il
suo corpo non ne risultò stremato; a quel punto cercò di rimettersi in
piedi e, incespicando, si diresse verso il laghetto nel bosco.
Quello era un posto che aveva sempre amato, ma adesso lo specchio d'acqua
incoronato dalle rigogliose canne, serviva soltanto ad acuire il senso di
solitudine e freddo che albergava in lui.
Si tolse gli indumenti a brandelli e si immerse.
Il liquido gelido che lo avvolse gli tolse il respiro, arrestandogli, per
un attimo, il battito
cardiaco; ma fu solo un momento, quel dannato muscolo riprese subito a
scandire il ritmo della sua vuota vita.
Si lasciò scivolare sull'acqua.
Non sentiva quasi più dolore, era rimasto solo un sordo pulsare alla base
della schiena, un bruciore che gli si inerpicava per le viscere senza
abbandonarlo, un dolore che gli riportò alla mente... quegli occhi pieni
di odio e rancore, occhi di un intenso colore blu che erano divenuti quasi
neri in quei terribili momenti; occhi che non somigliavano più a quelli
del ragazzo di cui si era innamorato: teneri, dolci, sorridenti; occhi che
si erano spenti per sempre e la colpa era solo e soltanto sua.
Ogni sua preghiera era stata vana, aveva sperato per anni di riuscire in
un qualche modo a farsi perdonare la sua ingenuità di aver creduto ad un
genitore da sempre freddo e scostante, ma questo non era più possibile e,
forse, non lo era mai stato.
Roland non voleva concedergli neppure una possibilità e lui non poteva che
comprenderlo e rassegnarsi all'evidenza.
Una solitaria lacrima tornò a rigargli una guancia.
Adesso era rimasto veramente solo: la madre ormai era morta, il padre non
l'aveva mai potuto sopportare e Roland.... Roland era stato solo lo
stupido sogno che l'aveva aiutato a tirare avanti sino a quel momento, un
illusione che adesso si era infranto davanti alla cruda realtà; e a quel
punto, cosa rimaneva ancora a dare uno scopo alla sua vita? per chi
continuare a tirare
avanti?
Fu ponendosi queste domande che si rivestì con gli abiti laceri e,
nascosto dal manto della notte, rientrò a palazzo.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Quando Roland aveva rimesso piede all'interno delle mura era ormai notte
fonda. Si era diretto a passo rapido verso gli alloggi dei soldati,
buttandosi vestito sul suo giaciglio e rimanendo in attesa del ritorno di
Arabin.
Da quel momento erano trascorsi minuti, ore, ma questo non si era ancora
fatto vivo.
Roland si sentiva agitato, gli ritornava continuamente alla mente quella
parola "Scusami", quell'assurda parola che significava Perdono!
Perdonarlo?
Perdonarlo per aver tradito la sua incondizionata fiducia?
Perdonarlo per aver fatto morire i suoi genitori?
Perdonarlo per averlo gettato nella disperazione, per aver reso la sua
vita un inferno?
Come poteva perdonarlo, perché avrebbe dovuto? Se sperava che quella
parola, che quei suoi occhi disperati, che quelle sue lacrime fossero
sufficienti a cancellare tutto, era un povero illuso, non l'avrebbe MAI
PERDONATO!
non poteva,
non doveva,
non voleva.
Un rumore. Qualcuno stava entrando, probabilmente era lui; Roland strinse
il pugnale che teneva sotto il cuscino pronto a reagire a qualsiasi
attacco; sentì dei passi leggermente strascicati che si avvicinavano,
avvertì la presenza di qualcuno che si muoveva per il dormitorio, una
presenza che si fermò ai piedi del suo giaciglio.
Il sangue per un attimo gli si gelò nelle vene; rimase immobile aspettando
di avvertire la mossa del suo nemico, sicuro che da un momento all'altro
avrebbe visto il bagliore di una lama decisa a perforargli la gola; Roland
era certo che, dopo quel che gli aveva fatto, Arabin avrebbe provato ad
ucciderlo per vendicarsi.
Strinse ancor più la mano attorno all'elsa della lama, ma... non accadde
nulla, pochi attimi dopo sentì il rumore di quegli stessi passi che si
allontanavano.
Roland, solo in quel momento, si accorse di aver trattenuto il fiato per
tutto il tempo.
Respirò lentamente, cercando di rilassarsi.
Che stupido! Come aveva potuto anche solo pensare che Arabin avrebbe
cercato di assalirlo, li, circondato dagli altri soldati con la certezza
che, se anche fosse riuscito nell'intento, tutto il palazzo l'avrebbe
scoperto; certo, avrebbe atteso l'occasione propizia per colpirlo alle
spalle, come sua abitudine. Ma lui non si sarebbe fatto cogliere
impreparato, l'avrebbe atteso con la lama ben affilata e pronta a
scattare.
Ripetendosi quegli avvertimenti si addormentò sognando due occhi gonfi di
lacrime e una voce flebile, disperata, implorante che gli ripeteva:
"Scusami".
Da quel di, i giorni si susseguirono ai giorni. Giorni che, nelle fila dei
soldati si tingevano di attesa spasmodica di un attacco imminente, che
nella mente di Roland si tramutavano in un tempo infinito scandito
dall'ansia di trovarsi il pugnale di Arabin nel ventre; giorni che invece,
nella mente di Arabin, scivolavano via persi nell'apatia e nel livido del
suo animo.
In quei giorni Roland aveva iniziato a studiarlo, a seguire ogni sua
mossa, aspettando il momento in cui Arabin avrebbe messo in atto la sua
vendetta, ma non era ancora successo; Arabin lo evitava in ogni modo, non
mangiava con loro attorno al fuoco, non parlava con nessuno, si era chiuso
completamente in se stesso e questo, a detta degli altri uomini, non era
il suo solito atteggiamento.
"Certo che quell'Arabin è sempre stato un tipo strano, assente,
pensieroso, ma adesso, sembra quasi che non ci veda neppure. Chi sa cosa
gli è preso!
Che l'abbia lasciato la ragazza?"
"Ragazza? Chi! Arabin; uno così non lo vorrebbe neppure la propria madre.
Ho sentito dire dalla cuoca che, la genitrice di quello abitava a palazzo,
pare che sia morta di recente, ma si dice che non rivolgesse la parola al
figlio da quasi dieci anni."
"Stai sparando le solite stronzate Dirki, mi sa che hai bevuto un po'
troppo anche questa sera"
"Non ho bevuto troppo e ti dico che è vero, pare addirittura che questa
fosse una nobildonna...."
"Certo! E adesso magari mi verrai a raccontare che si trattava della
signora e che quel mentecatto non è altri che il figlio reietto del nostro
signore e che presto assumerà il comando dell'esercito"
A quelle parole tutti gli uomini riuniti attorno al fuoco iniziarono a
ridere sguaiatamente, fatta eccezione per Roland che, alzando lo sguardo,
aveva notato in lontananza Arabin che li fissava; che avesse udito quei
discorsi?
Ma quando Roland incrociò il suo sguardo questo lo distolse
allontanandosi.
Senza un preciso motivo decise di seguirlo; in quello stesso momento si
alzò e, adducendo la necessità di espletare un urgente bisogno corporale,
si allontanò nella direzione in cui era sparito Arabin.
^^^^^^^^^^
"Sei un buon amico Fasar"
Arabin carezzò il muso del cavallo con affetto.
"Adesso ci penserò io a te, una bella strigliata e poi una generosa dose
di fieno, che te ne pare? Mi sembra di aver scorto un sorriso o sbaglio?!
Animale ingordo."
Il cavallo a quelle parole avvicinò il naso alla guancia del padrone,
dandogli un buffetto affettuoso sulla spalla.
"Brutto malandrino!"
Mentre pronunciava queste parole un caldo sorriso si dipinse sulle labbra
di Arabin, un sincero sorriso per l'unico essere vivente che ancora gli
era rimasto amico.
Roland fissò quella scena immobile e quando vide quel sorriso il cuore gli
mancò un battito; erano secoli che non lo vedeva più, gli parve quasi che
il tempo si fosse fermato per poi iniziare a scorrere all'indietro
riportandolo alla sua adolescenza quando quel sorriso veniva rivolto a
lui, un sorriso luminoso, allegro, un sorriso che gli sapeva riscaldare il
cuore, un sorriso che pareva non appartenere più a quel volto.
Arabin continuo a parlare al suo destriero con voce bassa e leggera,
avvicinando le labbra al suo orecchio e carezzandolo amorevolmente.
La sua voce si era fatta un bisbiglio e lui non riuscì a comprenderne i
discorsi che venivano fatti; ad un certo punto, quasi il cavallo volesse
rispondere al suo padrone, gli strusciò il muso sul petto nitrendo
leggermente. Arabin sorrise nuovamente, gli circondò il collo con le
braccia affondando il volto nella criniera e sospirando pesantemente;
dopodiché, chinatosi sulla sacca che si era portato dietro e tiratone
fuori il necessario, iniziò a lavorare, passando la striglia sul lucido
mantello dell'animale.
La testa di Roland a quel punto gli disse di allontanarsi, ma i suoi occhi
rimanevano fissi, incollati su quella figura forte che si muoveva con
grazia e vigore al contempo, bellissima anche mentre svolgeva un compito
così comune; vide quelle mani carezzarne il manto del destriero e poi, con
estrema delicatezza, passarvi la striglia; la pelle dell'animale fu, in
quel momento, percorsa da un fremito, lo stesso che attraversò il corpo di
Roland; il suo sguardo si mise a seguire ogni movimento di quel corpo: le
braccia che carezzavano dolcemente, le spalle che si muovevano in maniera
armoniosa facendo tendere la stoffa della camicia suoi muscoli, la vita e
i fianchi che ondeggiavano..
Una voce che lo chiamava lo riscosse dal torpore in cui era caduto
vittima; quasi spaventato dalle strane sensazioni che il suo corpo aveva
iniziato a provare, un misto di dolcezza e desiderio; si staccò dal
tronco, dietro cui si era nascosto, tornando di corsa al campo e cercando
di dimenticare tutto, ma non si rivelò impresa semplice.
***************14 marzo 1246***********
Finalmente la battaglia squassò il tempo sospeso. Il caos irruppe nelle
fila dei soldati quando realizzarono che gli avversari erano agguerriti e
numericamente in vantaggio. Ma re Hermin era implacabile. Aveva promesso
la morte a tutti coloro che si sarebbero sottratti allo scontro, una fine
ignominiosa e piena di torture a tutti i disertori, a quelli che
scappavano di fronte al nemico, ma Roland, non ostante le minacce del re,
non comprendeva l'atteggiamento di Arabin.
Arabin si lanciava in battaglia per primo e ne usciva per ultimo; non si
curava minimamente di quel che lo circondava, non si curava neppure di se
stesso, spesso evitava di farsi medicare le ferite, si recava dal medico
di campo solo se necessitava di qualche punto di sutura; non riusciva a
capire questo suo atteggiamento, non era certo quello di uno che pensa
alla vendetta o a strappare il potere ad un padre despota, pareva quasi
che, ogni volta che si lanciava nella battaglia, il suo unico desiderio
fosse quello di non farne ritorno.
^^^^^^^
La battaglia non stava volgendo in loro favore; stavolta Hermin non era
riuscito a colpire alle spalle i suoi rivali. Non sempre i serpenti
riescono a sopraffare l'avversario, alle volte il topolino si tramuta in
donnola e la vittoria non è più così scontata pensò Roland. Ma i suoi
pensieri furono brutalmente interrotti da un guerriero nemico che gli
stava dando notevoli problemi; un nuovo attacco, un ottima parata...
Maledizione! Qui le cose si stavano mettendo male.
Ma il suo incauto assalitore aveva lasciato scoperto il fianco. Con
un'abile torsione del busto Roland liberò la sua spada sbilanciando
l'avversario e, con un colpo preciso riuscì a infliggergli un fendente
mortale. In quel preciso istante notò un nemico a cavallo con una balestra
in mano pronta a colpire.
I suoi occhi seguirono l'ipotetica traiettoria per vedere chi era
l'obiettivo di quel dardo e un crampo gli contorse lo stomaco.
Arabin!
Il cuore gli eccellerò i battiti, l'incertezza lo invase, quel che stava
per accadere era il miglior modo per liberarsi di uno dei suoi due
avversari, questo sarebbe sicuramente morto e lui avrebbe avuto la
soddisfazione di vederlo perire senza doverne subire le conseguenze, ma...
arrivato a quel punto, continuava veramente a desiderare la morte di
Arabin? Erano giorni che si poneva quella domanda, domanda di cui sapeva
la risposta pur non essendo ancora pronto ad ammetterla.
Un sibilo e la freccia partì, precisa, inesorabile; un grido eruppe dalla
gola di Roland:
"Arabin, ATTENTO"
Arabin si voltò troppo tardi. Vide la freccia ma non poté far nulla per
evitarla; il dardo gli si conficcò sotto la spalla sbilanciandolo, i suoi
occhi si spalancarono, le braccia annasparono alla ricerca di un appiglio,
ma non c'era nulla a cui tenersi; Arabin volò giù dalla sua cavalcatura
scomparendo oltre il dirupo alle sue spalle.
Roland non aveva potuto far altro che assistere attonito a tale scena; il
respiro accelerato, il cuore che martellava furiosamente, una patina di
freddo sudore gli aveva imperlato la fronte.
Arabin era...
Una collera ceca lo invase, si voltò furente nella direzione da cui il
dardo era stato scoccato e corse in quella direzione.
Maledizione, non doveva finire così, non era giusto, no!
Raggiunta l'altura vide che il guerriero aveva ricaricato la sua balestra,
ma non se ne curò, gli corse in contro con la spada sguainata, la freccia
che questo gli scagliò contro lo ferì di striscio ad una spalla
conficcandosi poi nel terreno dietro di lui.
Roland sembrò quasi non notarla, non un gesto, non un rallentare della sua
corsa, marciò più veloce che potè sin quando non fu davanti al guerriero
che assalì con colpi potentissimi. Non vi fu battaglia, l'avversario cadde
sotto la violenza della sua furia.
Una volta sconfitto, Roland cadde in ginocchio con il cuore in pezzi, se
solo non avesse esitato.
L'immagine di un ragazzino dalla testa rossa ed un sorriso solare gli si
dipinse davanti agli occhi, un immagine a cui si andò sovrapponendo il
volto di un uomo, alto, forte, solitario, ma entrambi lo fissavano con due
occhi di un intenso colore verde, due occhi tristi, gli stessi occhi ora
come allora; gli tornò alle orecchie il suono della sua voce e di quella
parola, sussurrata "Scusami".
Avrebbe dovuto gioire, rallegrarsi, esultare, uno dei suoi due nemici era
stato sconfitto, ma allora perché si sentiva così male? Strinse la terra
tra i pugni, disperato, mentre la battaglia si stava spegnendo insieme
alla luce che rischiarava quella giornata tinta di rosso.
Forse in realtà non aveva mai voluto veramente la morte di Arabin, certo
era stato schiacciato da quell'insospettabile tradimento, dal suo doppio
gioco, avrebbe voluto averlo tra le mani per... ucciderlo? Altri l'avevano
fatto per lui, impedendogli di capire, di sapere il perché dello strano
comportamento del ragazzo dai capelli rossi, il perché di quella parola,
"scusami", capire cosa ci faceva tra le milizie, capire...
Avrebbe voluto chiederglielo, gridarglielo e ascoltare le sue risposte,
forse scolpite in quei meravigliosi occhi verdi, avere chiarimento del
dubbio che lo rodeva dalla notte dell'abbazia, quella notte in cui
l'aveva... in quella notte in cui non era stato capace di ucciderlo,
almeno non fisicamente, ma in cui era certo di averlo schiacciato
nell'anima senza neppure concedergli una possibilità.
Quella notte Roland aveva avuto paura:
Paura di perderlo per sempre,
Paura di trovare la conferma che avrebbe giustificato il suo odio non più
tormentato da dubbi e speranze,
Paura di avere da quelle labbra la conferma che per lui non c'era mai
stata amicizia tra loro, ma solo un freddo calcolo che prevedeva di usare
i sentimenti di uno sciocco ragazzino solo per raggiungere i propri fini e
arrivare così a conquistare la sua terra, passando, per ottenere questo,
sui cadaveri dei suoi genitori e di quasi tutta la sua gente.
Ma se queste sue paure fossero state fondate, perché, in quella notte,
Arabin non aveva lottato con ferocia per finire quel che aveva iniziato
tempo prima ed era rimasto incompiuto con la sua sopravvivenza?
Perché non gli si era opposto con rabbia e decisione?
Perché gli aveva chiesto perdono tra le lacrime mentre lui lo stava
umiliando?
Perché non aveva cercato la vendetta nei giorni seguenti?
perché?
Perché?
PERCHÉ?
E da quella notte Roland era solo riuscito a sprofondare ancor più nel suo
baratro oscuro e adesso,a desso non avrebbe potuto più porre domande né
ottenere risposte e neppure...... neppure chiedere scusa.
No, non doveva arrendersi, sarebbe andato a cercarlo, poteva, DOVEVA
essere ancora vivo! L'avrebbe trovato, doveva trovarlo per essere sicuro o
sarebbe stata anche la sua fine.
La battaglia attorno a lui era cessata, le milizie di entrambi gli
eserciti si stavano ritirando per riorganizzare le truppe e sferrare poi
un nuovo e definitivo attacco.
Doveva tornare al campo, avvertire Hermin dell'accaduto, di sicuro non
aveva visto quel che era successo. In fin dei conti, nonostante i
dissapori che poteva avere con Arabin, questo rimaneva pur sempre il suo
unico figlio, saputolo avrebbe organizzato una squadra di ricerca e
l'avrebbero ritrovato, ritrovato vivo.
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