Ringrazio:
- Gaia che mi ha dato la possibilità di fare l'esperienza di scrivere una storia a due mani (-_- se non ci fosse stata lei a dar brio alla vicenda non so proprio cosa avrebbe potuto saltarne fuori).
- Mty , Maria e June per aver contribuito alla lontana ispirazione in quel ventoso giorno tra i ruderi di un suggestivo monumento storico (;-; mi immagino ancora i due puccioti far ritorno su quella grata "rugginosa" per un BIP di tutt'altro genere :).
Finiti i ringraziamenti, vi saluto (assieme naturalmente a: Gaia, mty, Maria e June).
Ciao e.... grazie coraggiosi lettori.


Una speranza nel cuore, Una ferita nell'anima

di Gaia e Mokuren

parte I


********** 26 Gennaio 1246 ********

Finalmente!
Finalmente l'aveva trovato; quei capelli rossi li avrebbe riconosciuti ovunque; erano passati dieci anni, dieci anni di duro allenamento, di ricerche e di rancore, tutto per vendicarsi di quei maledetti predoni; tutto per vendicarsi di chi l'aveva vilmente tradito, ingannato nel peggiore dei modi; per inseguire la sua vendetta aveva rinunciato al suo feudo; solo e impotente di fronte ai suoi aggressori non aveva potuto far altro che fuggire, ma, in quei lunghi anni di solitudine il suo unico obbiettivo era rimasta la vendetta e adesso, adesso che quell'uomo era ad un passo da lui, adesso che la sua rivincita stava per compiersi, adesso che sentiva tutto l'odio accumulatosi in quei lunghi anni ribollirgli dentro gridando il giusto appagamento, adesso non provava né rimpianti né incertezze, qualsiasi sacrificio era valso per riuscire a raggiungere quel giorno.
Ma non era quello il momento di fantasticare, ne di gioire, tutto aveva ancora da venire e a ricordarglielo ci pensò una mano grande come un badile che lo afferrò, catapultando lontano il sapore della vendetta imminente.
C'erano ancora alcuni 'dettagli' da sistemare...
"HEI mollatemi, son qui per parlare al vostro signore, voglio unirmi al suo esercito, so che siete in guerra e avete bisogno di uomini... e smetti di tirare energumeno, mollami il braccio."
Prima doveva superare alcuni "piccoli" ostacoli e solo poi ci sarebbe stato nuovamente spazio per assaporare quel dolce sogno.
"E smetti di agitarti, mica facciamo passare il primo venuto come se nulla fosse e poi tu hai un aria troppo circospetta ragazzo mio, se vuoi unirti ai nostri uomini puoi metterti in coda bello, per dimostrarci le tue "capacità" , buona fortuna. pivello." bofonchiò l'energumeno spingendolo nella fila ubriaca di cavalieri di ventura che volevano arruolarsi.

Come ogni giorno Arabin si era soffermato al lato del cortile ad osservare le future possibili reclute; nuovi volti, nuove voci, vecchie espressioni sempre uguali.
Chi sa cosa spingeva tutti quei ragazzi a formare quella lunga fila per potersi unire alle truppe di Hermin, forse il denaro o la speranza di una vita migliore, poveri stolti, ad attenderli c'erano solo: paghe miserevoli, pasti appena commestibili ed una prematura morte senza onore guidati alla rovina da un condottiero avido e sanguinario.
Stava per voltare le spalle a quella assurda processione quando udì una voce, una voce appartenente al suo passato, una voce che lo bloccò accelerando i battiti del suo cuore; l'avrebbe riconosciuta tra mille, quel timbro deciso, quel modo di strascicare leggermente la c; ma come era possibile.
Si voltò di scatto e si ritrovò a fissare una testa di lucenti capelli corvini... i suoi capelli. Ma com'era possibile? Forse quelle sensazioni, quell'impressione quasi tangibile era data solo dalla sua speranza, un illusione prodotta dal sognare continuo, ma quando quel giovane rialzò lo sguardo Arabin non ebbe più dubbi quegli occhi blu dai riflessi violacei non potevano essere che di Roland; il cuore a quel punto gli fece una capriola; era meraviglioso, bello come allora, anzi di più, adesso non era più un ragazzino, ma un uomo: alto, robusto, un guerriero; l'aveva sempre saputo
che sarebbe divenuto così: fiero e bellissimo.
Ma quando quello sguardo scuro si posò su di lui il gelo lo invase, non appena quelle iridi lo misero a fuoco, non appena lo riconobbero per chi era, divennero di una freddezza glaciale; se un'occhiata avesse potuto uccidere lui sarebbe stato già cenere; certo, come poteva essere altrimenti,
era stato assurdo anche solo sperarlo.
In quel momento un sorriso beffardo si allargò su quelle labbra, il sorriso del gatto col topo; se era quello ciò che Roland desiderava non sarebbe stato lui a impedirglielo, se voleva arruolarsi nell'esercito di re Hermin per riuscire a vendicarsi di loro. di lui, non avrebbe fatto nulla per impedirlo; non dopo quello che era accaduto...

********** 18 Aprile 1236 ********

"LASCIAMI! Perché devo venire via con te! Cosa vuol fare mio padre? Voglio tornare al maniero."
Ma il soldato non lo mollava nonostante i suoi strepiti ed i suoi calci.
"Sono qui come ambasciatore, devi lasciarmi, ne va della futura alleanza"
Strepitava Arabin.
Il soldato proruppe in una risata sguaiata.
Un nuovo calcio ben piazzato però spense quel sorriso, un gemito uscì da quelle labbra e la presa sulla sua vita si allentò, ma solo per un attimo.
"Brutto, piccolo, bastardo che non sei altro. Falla finita di agitarti, il capitano mi ha ordinato di riportarti all'accampamento e questo è quel che farò; anche se avrei mille volte preferito partecipare all'assedio."
L'assedio! Suo padre stava dando l'assedio al palazzo.
Allora: l'alleanza, il patto di reciproco aiuto in caso di attacco da parte di qualche nemico, il sodalizio suggellato sulle pergamene che il Re Jeor aveva firmato con gioia davanti ai suoi occhi... Tutte menzogne...
Doveva tornare indietro, doveva fermarlo; Clara, Jeor... Roland, se gli fosse capitato qualcosa la colpa sarebbe stata soltanto sua.
Suo padre, Re Hermin, lo aveva abbindolato, lui era entrato nel maniero, aveva conquistato la fiducia del Re, della regina, del principe non che degli abitanti di quelle terre e poi... MALEDIZIONE! Era stato un ingenuo, aveva creduto a suo padre, gli era sembrato sincero e preoccupato quando gli aveva chiesto di aiutarlo; e invece...
Cercò di guardarsi attorno; aveva le mani legate dietro la schiena, ma non gli avevano tolto lo stiletto nascosto nella fodera dello stivale; adesso doveva trovare il momento giusto per cercare di sfuggire a quel soldato che lo teneva stretto davanti a se mentre galoppavano verso l'accampamento di suo padre.
Il momento propizio giunse quando costeggiarono una bassa scarpata erbosa che spariva inghiottita dal nero del bosco sottostante; se vi si fosse slanciato forse poteva riuscire a liberarsi.
Attese un attimo per prepararsi, poi affondò i denti nel braccio che lo teneva fermo e si getto giù dal cavallo rotolando per la scarpata. Sentì delle urla dietro di se, il cavallo che si impennava scalpitando, ma lui non se ne preoccupò. Continuo a rotolare fino a quando non scomparve tra i cespugli, si mise in piedi e si addentrò tra gli alberi.
Non poteva rischiare di esser riacchiappato.
Iniziò a correre senza mai guardarsi indietro, inciampando in radici e cespugli, ma senza mai fermarsi, sin quando non giunse alla fine del boschetto oltre il quale si poteva vedere la massiccia struttura del maniero fortificato, adesso doveva riuscire ad afferrare il pugnale per sciogliersi i polsi; l'impresa non si rivelò delle più semplici, ma, alla fine vi riuscì e riprese a correre verso il palazzo con il cuore in gola e la speranza di non arrivare troppo tardi per riuscire a fare qualcosa.
Varcato l'accesso attraverso le fortificazioni lo spettacolo che gli si presentò d'innanzi lo pietrificò, gli incendi che divampavano all'interno delle mura illuminavano quella che non si poteva dire in altro modo se non *carneficina*: cadaveri di soldati ovunque, molti dei quali da lui conosciuti, che ora giacevano a terra riversi in pozze di sangue.
Si guardò freneticamente intorno con il terrore di vedere tra quei corpi esanimi quello di Roland e dei suoi genitori, in quel momento un guerriero del padre gli arrivò alle spalle senza che lui se ne accorgesse brandendogli contro la spada.
Quando Arabin lo vide era ormai troppo tardi, non aveva scampo, anche lui stava per morire, ma proprio in quel momento una figura gli si parò davanti, ricevendo in pieno petto il colpo diretto a lui.
Una donna Si trattava di una donna che gli ricadde addosso facendolo finire a terra. Capelli biondi gli ricoprirono il volto, i capelli di ... mio dio, no, non poteva essere... Clara
Gli occhi di Arabin si spalancarono "Clara, CLARA."
La afferrò cercando di voltarla, il vestito candido della regina si stava tingendo rapidamente di un rosso vermiglio, nel frattempo il soldato si stava preparando a colpire ancora, ma, una freccia scoccata dall'alto delle mura gli trapassò la gola uccidendolo sul colpo.
"Arabin... stai bene? Ragazzo, non è il momento di disperarsi, ti prego, cerca Roland e scappate, il palazzo ormai è preso?" Un accesso di tosse la interruppe.
"... ti prego, aiuta Roland e mettetevi in sal..."
Ma prima di poter concludere le sue parole, la vita abbandonò quel corpo.
"Nooooooo! No, non dovete morire? vi prego.. ti scongiuro Clara, apri gli occhi."
Ma ormai non c'era più nulla da fare; quella donna: dolce e gentile giaceva ormai priva di vita tra le sue braccia.
Strinse al petto quella figura inerme iniziando a piangere disperatamente, e rimase così sin quando non udì lo sbraitare del padre in lontananza.
"Bene, piccolo stolto, pare che sia io il vincitore e non è mia abitudine lasciare nemici vivi in battaglia, specialmente se di stirpe regnante"
Sentì un suono sordo, forse uno schiaffo, e poi il tonfo di un corpo che cadeva a terra.
Arabin a quelle parole, a quei suoni ebbe un tuffo al cuore, depose il cadavere di Clara a terra e corse nella direzione in cui aveva udito quella voce.
Corse sin quando non si trovò dinnanzi alla scena che più aveva temuto:
Il cadavere di Jeor era a terra con il ventre squarciato e Roland, anche Roland era accasciato al suolo con Hermin che torreggiava sopra di lui pronto ad infilzare quel corpo svenuto.
Disperato Arabin si gettò davanti al padre per impedirgli di portare a termine quell'assassinio.
"Fermatevi Padre, non dovevate far questo, io.. voi non mi avevate detto..."
"Figlio degenere, sapevo che non mi avresti aiutato se ti avessi rivelato il mio vero piano; questo feudo è magnifico e sono anni che desidero farlo mio, ma questo maniero fortificato era praticamente inespugnabile,"
Hermin si guardò intorno con cupidigia e poi riprese con tono beffardo:
"Per fortuna ho trovato *un valido alleato*." dette quelle parole gli rise in faccia soddisfatto, dopodiché lo spintonarlo da una parte
"E adesso spostati, i compiti non si lasciano a metà, lui è l'ultimo ostacolo alla vittoria totale"
"Ma.. è solo un ragazzo."
Arabin si piazzò nuovamente tra il corpo inerme di Roland e il padre.
"Lui è mille volte migliore di te, ha combattuto come un uomo, ha ucciso un mio soldato, ma ha perso e adesso deve morire. Spostati, spostati immediatamente."
"NO! Non mi sposterò, voi non potete! avete già ucciso troppe persone:
Clara, Jeor.. io gli volevo bene, loro mi amavano sinceramente; avete già vinto! la fortezza è presa, il nemico sconfitto.."
"Lui è il successore, ho letto nei suoi occhi l'odio, il rancore, se lo lascio vivo si vendicherà e.. chi credi che cercherà "FIGLIO"?"
Il gelo gli invase il petto, certo Roland avrebbe incolpato lui: era lui il responsabile di quella strage, grazie a lui il padre era entrato nel maniero, lui aveva causato la morte di Re Jeor e della Regina Clara, ma non avrebbe mai permesso che il padre uccidesse anche Roland, anche se ne fosse andato della sua vita, anche se tutti lo avrebbero considerato un traditore, lo doveva a Clara e a tutta quella povera gente perita a causa della sua ingenuità.
"No... non deve morire." Un sussurro.
"Cosa? cosa hai detto smidollato?" Gridò il padre.
"Lui non deve morire."
"Non ti sento, la tua voce si è fatta fievole come quella di una donnicciola?"
"NON VI PERMETTERO' DI UCCIDERLO PADRE!"
"Non me lo "PERMETTERAI!" e come pensi di impedirmelo?"
"So di non averne la forza, ma... se volete la sua vita prima dovrete prendere la mia."
Arabin fissò il padre negli occhi, come non aveva mai avuto il coraggio di fare, il suo sguardo era deciso e dichiarava che non si sarebbe mosso di li per nessuna ragione.
Vedendo quello sguardo, in Hermin montò una collera indicibile, alzò la spada e la abbassò sul figlio sfregiandogli una guancia, ma questo non si mosse e non abbassò quegli occhi neppure per un istante.
"Ti riconosco del coraggio ragazzo, ma non ti è permesso sfidarmi. Per questo sarai punito. Hai salvato la vita a quel fanciullo, ma da adesso non sarai più né mio figlio ne il mio successore, non ti sarà più permesso di vedere tua madre, sarai diseredato divenendo un semplice soldato del mio esercito; e se oserai nuovamente sfidarmi, non esiterò ad ucciderti; e.. Arabin, non pensare di poter scappare, se solo ci proverai ti farò braccare ovunque fin quando non verrai riacciuffato e credimi. non sarò gentile con te quando ti riavrò tra le mani, proverai sulla tua pelle qual è il trattamento che si riserva ad un traditore...."
Detto questo si voltò, ma prima di entrare nel palazzo seguito dai suoi guerrieri, gli rivolse un ultimo avvertimento:
"A, "figlio" se le mie minacce non avessero effetto sul tuo "ritrovato spirito indomito" spero tu sia comunque consapevole che, ogni tua ribellione, insubordinazione o atto perpetrato ai mie danni si ripercuoterà su quell'inetta donna che è tua madre; e tu sai bene che le mie non sono mai vane minacce."
Ancora una risata prima che quella figura scomparisse oltre la soglia.
Arabin ormai solo, si inginocchiò al fianco di Roland poggiandogli la testa sul petto per sentirne il battito del cuore, assicurandosi così che fosse ancora vivo, poi lo strinse tra le braccia.
Roland; Roland era salvo, certo era colpa sua se il padre e la madre di questo erano stati trucidati, Clara e Jeor, li aveva amati in quelle poche settimane, si era sentito veramente felice in quella famiglia, tra quelle persone gentili e sorridenti, ma poi era arrivata quella maledetta notte, l'ordine del padre di andare al campo in segreto, la conseguente scoperta del passaggio sotterraneo, da parte dei mercenari di Hermin, l'attacco e quella carneficina.
Roland si era battuto come un leone, ma adesso era li, a terra tra le sue braccia, ricoperto di sangue; aveva una profonda ferita al fianco, una ferita che sanguinava copiosamente; Arabin si strappo un lembo della camicia e cercò di tamponare la lesione per fermarne l'emorragia; le lacrime gli pungevano gli occhi, ma le ringoiò, non era il momento di piangere, ma.. il senso di colpa, la paura, la disperazione erano difficili da arginare.
Strinse quel corpo inerme contro il suo e ne sfiorò le labbra esangui.
"Perdonami, perdonami, perdonami..." Ripeté piano, come in una litania, come una supplica che sapeva non sarebbe stata accolta, mentre montava in lui la disperazione di chi, senza volere, aveva tradito.

********** 26 Gennaio 1246 ********

Avvertiva uno sguardo su di se, due occhi che lo fissavano, una presenza nota che gli fece agitare il sangue nelle vene.
Roland rialzò lo sguardo e incrociò due occhi verdi che lo scrutavano da lontano, due inconfondibili occhi.
Eccolo, finalmente poteva vederlo da vicino, si era fatto più alto, più imponente, più serio, forse a causa di una cicatrice che gli solcava la guancia sinistra pareva più adulto dei suoi 23 anni; ma era lui; lo fissava con uno strano sguardo, che avesse già capito chi era? No! Altrimenti non se ne sarebbe rimasto li senza far nulla, quella era l'ultima prova, se neppure Arabin l'avesse riconosciuto il suo piano di vendetta avrebbe potuto avere inizio e sarebbe bastato farsi arruolare e riuscire ad avere la fiducia del padre di lui per poi prendersi la sua "rivincita" che comprendeva la morte dei suoi due principali nemici. Anche se la sola morte di quei due infami non avrebbe potuto saldare il conto di quel che era accaduto dieci anni addietro...

********** 18 Aprile 1236 ********

Un boato, un terribile boato aveva fatto destare Roland di soprassalto, cosa stava accadendo?
Il ragazzo saltò giù dal letto e corse alla finestra; dei fuochi ardevano nel cortile principale e rumori di battaglia si alzavano dalle mura.
"Arabin... Arabin, sveglia, fuori sta accadendo qualcosa, dobbiamo avvertire mio padre... Arabin.... Arabin?"
Ma Arabin non era nel suo giaciglio, questo era freddo e vuoto, dove poteva essere andato l'amico nel cuore della notte?
Roland, ormai preoccupato si infilo pantaloni e scarpe in tutta fretta scendendo poi di corsa le scale che conducevano al salone principale; dall'esterno i rumori di battaglia si facevan sempre più forti: spade che cozzavano, grida lancinanti. Corse in cucina, sperando di trovare li l'amico, ma questa era buia e deserta; doveva andare dai suoi genitori, avvertirli di quel che accadeva e della scomparsa di Arabin.
Risali le scale due gradini alla volta e si diresse verso la camera dei genitori, bussò ed entrò senza aspettar risposta.
Nella stanza, l'enorme letto a baldacchino, era disfatto ma vuoto, voltando lo sguardo Roland vide la madre in piedi vicino alla finestra, i suoi occhi che lo fissavano tristi e spaventati, mentre con una mano artigliava la tela del tendaggio quasi avesse bisogno di un appiglio per riuscire a rimanere in piedi.
"Madre; cosa accade? Dov'è mio padre?"
Clara corse in contro al figlio e lo prese tra le braccia stringendolo al petto.
"Figlio mio."
Roland rimase così per qualche istante, poi cercò di divincolarsi dall' abbraccio della madre quanto bastava per guardarla in volto.
"Madre, cosa sta succedendo fuori? Cosa sono questi rumori? Dov'è mio padre?"
La madre gli carezzò i capelli, i suoi occhi erano tristi e preoccupati.
"Figliolo... il castello è stato attaccato, tuo padre è fuori con i suoi uomini per cercare di ricacciare gli invasori."
"Invasori, ma non è possibile, mio padre a sempre detto che nessuno poteva riuscire a superare le mura fortificate del nostro palazzo; come può essere..."
"Non lo sappiamo, ci siamo accorti dell'invasione quando i nostri aggressori erano già penetrati all'interno delle mura; ma vedrai, tuo padre riuscirà a cacciarli, tu però devi rimanere qui, Jeor non può pensare a proteggere anche noi, dobbiamo rimanere al sicuro e permettergli di combattere al meglio senza doversi preoccupare delle nostre vite."
"No! Non possiamo...."
"Roland! noi dobbiamo. Vorrei anch'io poter aiutare tuo padre, ma l'unico modo di farlo e quello di non mettere inutilmente in pericolo le nostre vite."
"Ma madre... Arabin, Arabin è scomparso, non era nel suo letto e... e se fosse fuori, se fosse in mezzo alla battaglia?"
"Arabin? Mio Dio!"
"Devo andare a cercarlo madre, non posso..."
"No figliolo, vado io, tu resta qui."
"NO! sono io l'uomo, io devo..."
"No figliolo, tu sei ancora solo un ragazzo; andrò io a cercare Arabin tu rimani qui sin quando non sarò tornata."
"Madre..."
"Non è il momento di discutere figliolo, quando sarò uscita richiudi la porta e rimani in questa stanza. Capito Roland!"
"Si madre." Assentì il ragazzo poco convinto.
La donna uscì dalla camera raccomandandosi un ultima volta col figlio e depositandogli un bacio sulla fronte
"Aspettami, tornerò presto con il tuo amico." E, detto questo, con un ultimo sorriso, si richiuse la porta alle spalle.
Roland rimase a fissare quei pannelli di quercia per vari minuti con la mente oppressa da infausti presagi, poi corse alla finestra e si mise a guardare fuori.
I fuochi si erano tramutati in vasti incendi, le grida si erano fatte assordanti, la battaglia era sempre più cruenta e pareva non volgere in loro favore.
Improvvisamente scorse una figura che, correndo, entrava nel cortile e si immobilizzava; avrebbe riconosciuto tra mille quella testa rossa; era
Arabin, ma cosa diamine ci faceva fuori dalle mura? e adesso perché si era immobilizzato al centro del cortile dove infuriava ancora la battaglia?!
Non poteva rimanere li, doveva scendere, raggiungere l'amico e portarlo al sicuro.
Lasciò la finestra, afferro la maniglia e, uscendo di corsa si diresse giù per le scale sino a raggiungere le cucine e l'uscita posteriore da cui sgattaiolo fuori guardandosi nervosamente attorno.
Bene pareva non esserci nessuno.
Costeggiando il muro, nascosto nell'ombra, si diresse verso il cortile, ma si bloccò poco dopo, quando i suoi occhi individuarono la figura del padre; sulla scalinata principale del suo palazzo; Jeor era impegnato in una lotta furibonda con un uomo alto e coperto da un'armatura nera, questo continuava a sferrare colpi su colpi ed il padre, in difficoltà, parava l'assalto, cercando anche di attaccare, tra un fendente e l'altro.
Roland a quel punto scorse, con la coda dell'occhio, una figura che si avvicinava silenziosamente al luogo del duello; un altro guerriero si stava avvicinando, un invasore che pareva deciso a sferrare un attacco alle spalle del padre che non si era ancora accorto della sua presenza.
Doveva intervenire, non poteva permettere che quell'uomo sferrasse il suo attacco.
Si guardò freneticamente attorno individuando il cadavere di un soldato con a fianco una spada insanguinata; non ci pensò due volte, afferrò l'arma e si gettò sul guerriero colpendolo ad un fianco con tutta la forza che aveva in corpo. Questo lanciò un urlo cadendo in ginocchio. Jeor non ebbe neppure il tempo di voltarsi per capire cosa fosse accaduto che un nuovo assalto lo costrinse a riportare tutta la sua attenzione sul cavaliere nero che aveva davanti.
Il guerriero in ginocchio in tanto si era rialzato e adesso puntava la sua spada contro Roland che, concentrato, si stava preparando al combattimento come gli era stato insegnato.
Un colpo, una parata, un nuovo affondo una nuova parata.
"Bene ragazzino, vedo che sei in gamba, proverò più piacere nel vederti MORIRE!"
Un nuovo attacco, così violento che per poco non disarmò Roland.
Doveva fare qualcosa, quell'energumeno era due volte più grosso di lui, doveva cercare di giocare d'astuzia.
"Stai per cedere è! Hai paura marmocchio, fai bene perché tra breve andrai all'inferno."
Roland indietreggiò mentre un piano gli si era formato nella mente, ma aveva un'unica possibilità e non poteva permettersi di sprecarla.
"Scappi!? Ormai è troppo tardi!"
La spada dell'uomo si alzò in alto pronta a ricadere su Roland, ma questo si spostò di lato con un balzo, la lama dell'aggressore si conficcò in un palo piantato a terra situato alle sue spalle; approfittando del momento Roland puntò la sua lama sul ventre dell'uomo e affondò.
L'arma penetrò nella carne del soldato affondandovi, questo strabuzzò gli occhi e roteò un braccio quasi a cercare di colpirlo, ma, cadde a terra con gli occhi sbarrati; era morto.
Un tremito violento scosse Roland che, prima di quel momento, non aveva mai ucciso un uomo e un improvvisa sensazione di gelo gli si era rovesciata addosso alla consapevolezza di aver spento una vita.
In quel momento però una spada volò in alto ricadendo ai suoi piedi e riscotendo il ragazzo dal suo torpore; il cavaliere nero aveva disarmato Jeor e stava per colpire nuovamente.
Roland smise di pensare, cercò di tirar fuori la spada dal corpo dell'uomo steso ai suoi piedi e, brandendo l'arma, si tuffò verso le scale, ma non arrivò in tempo; prima di poter raggiungere il padre, la lama dell'aggressore si abbassò su Jeor squarciandogli il petto.
"NOOOOOOOOOOOOOOOOOO..."
Gli occhi del genitore si spalancarono a fissarlo, le sue pupille si dilatarono, le sue labbra si piegarono contorcendosi e cercando di sillabare una parola.
"Fuggi."
Ma Roland era rimasto pietrificato; vide il padre cadere e la scalinata, su cui il suo corpo si era riverso, tingersi del roso del suo sangue.
Dio perchè?
Furore ed un sentimento omicida infiammarono il suo animo; serrò la mascella tanto da far sanguinare le gengive, strinse l'elsa tra le mani e si slanciò urlando verso quell'oscura figura.
Ma questa, con uno scatto lo evitò e, voltatasi, lo colpì con una violenza tale da farlo sbattere sul muro lasciandolo senza fiato e facendogli mollare la spada.
"Bene, chi si vede, l'erede; sono felice di non dover venire a cercarti, sarebbe stato fastidioso infilzare un bambinetto piagnucoloso, invece vedo che tu sei un "guerriero"; bene, sarà un piacere vederti morire."
Roland era scivolato a terra tossendo, ma a quelle parole rialzò lo sguardo a fissare quell'uomo, incrociando così due occhi neri, infossati, crudeli che lo fissavano derisori.
Non aveva possibilità di fuga, ma se doveva morire avrebbe tentato il tutto per tutto.
Avvicinò la mano allo stivale e ne tirò fuori il piccolo pugnale regalatogli da Arabin
*****
"Vedrai, ti sarà utile. Nascondilo qui, all'interno dello stivale; il mio mi ha salvato più di una volta" gli aveva sussurrato l'amico mentre glielo porgeva
"Non si sa mai cosa può succedere."
*****
Forse quella piccola lama acuminata non l'avrebbe salvato, ma di sicuro avrebbe almeno ferito quel maledetto.
Il piccolo pugnale saetto nella sua mano andando a conficcarsi nel braccio del guerriero che digrignò i denti.
"Maledetta pulce!"
Uno schiaffo, assestato con la mano coperta dal guanto metallico, sollevò da terra il corpo di Roland, scaraventandolo a qualche metro e facendolo rovinosamente atterrare su una sporgenza acuminata che gli si conficcò nel fianco..
Un dolore lancinante gli si irradiò in tutto il corpo e un liquido caldo iniziò a colargli lungo la gamba che perse sensibilità; le mani e i piedi iniziarono a informicolirglisi, la vista gli si annebbiò ed il buio iniziò a calare su di lui, l'ultima cosa che vide fu una sagoma con degli svolazzanti capelli rossi che gli correva incontro .... Arabin!? avrebbe voluto gridargli di fuggire, di salvarsi, che non poteva riuscire a far nulla per lui se non morire inutilmente, ma le forze lo abbandonarono ed il buio lo avvolse prima di poter riuscire a dire una qualsiasi cosa.

********** 21 Aprile 1236 ********

Un terribile dolore diffuso in tutto il suo corpo lo fece riscuotere dal torpore
in cui era avvolto: cosa era accaduto? La battaglia, il padre ucciso, il sangue.... troppo, ovunque.
Nel ricordare cosa era successo gli occhi di Roland si riempirono di lacrime.
"Roland; finalmente vi siete ripreso. Iniziavamo a temere il peggio, siete rimasto incosciente per tre giorni, ma per fortuna adesso siete sveglio."
Roland fisso per qualche secondo la figura che aveva parlato; si sentiva la gola in fiamme, ma doveva chiedere, voleva sapere cosa era accaduto:
"La battaglia è vinta? E mia madre, dov'è mia madre?"
L'uomo strinse le labbra voltando la testa.
Un'atroce paura si insinuo in Roland, un terrore che lo fece tremare.
"Ditemi dov'è è mia madre! È ferita? Si trova anche lei qui? DOV'E'?"
"Mi spiace, la battaglia è persa e.... la signora. la signora è morta."
"NOOOOO! Non è vero, lei, lei non può essere morta, era andata a cercare Arabin, deve essere con lui, si saranno nascosti da qualche parte.."
"No. Non si sono nascosti. È colpa di quel vile se.... se la signora è morta. Quel maledetto traditore!"
"Cosa state dicendo, chi è il traditore, di chi è la colpa?"
"Quell'Arabin, è stato lui a far entrare i nostri assalitori, l'alleanza, tutta una menzogna, ci a presi in giro per tutto il tempo... MALEDIZIONE! Nessuno ha mai neppure pensato che... Vostra madre è morta per "proteggerlo".." Una risata stridula e poi la voce nuovamente calma ".. per proteggerlo dalla lama di un nemico, per salvare la vita di quel rifiuto a sacrificato la sua..."
Arabin un traditore, non era possibile, non aveva alcun senso, perché?.
Perché?. PERCHÉ????
"Non ci credo, stai mentendo, mia madre non è morta e Arabin non ha fatto nulla di quel che stai dicendo, sei un bugiardo, vattene, vai a chiamare mia madre, portala qui!"
"Si calmi, la prego, siamo rimasti in pochi e lei è l'unico sopravvissuto della sua famiglia, quel che le dico è vero, non ci crederei neanch'io se non avessi visto tutto con i miei occhi, ma è così: ho visto la signora Clara che si gettava su Arabin prendendo su di se un fendente diretto a quel maledetto, ho sentito con queste orecchi Arabin chiamare padre il comandante di quella banda di assassini, il maledetto che ha ucciso il nostro signore, l'ho visto sgattaiolare nella notte come un ladro poco prima dell'attacco."
"NO! Non ci credo, non posso crederci, non può essere vero.. non può.."

********** 26 Gennaio 1246 ********

Roland continuò a fissare Arabin sin quando questo non distolse lo sguardo.
Adesso che non aveva più quegli occhi da fronteggiare poteva studiare il suo nemico.
Il fisico era prestante, quello di un uomo abituato alla lotta, i suoi abiti lisi e consunti però non si addicevano al figlio del signore, si accorse anche che gli altri soldati non avevano verso di lui alcun riguardo, alcuna cortesia tipica dei vassalli verso il figlio del padrone, anzi, parevan quasi arricciar le penne assumendo una posa tronfia e strafottente quando posavano lo sguardo su di lui.
Era una strana situazione, situazione di cui probabilmente non avrebbe dovuto interessarsi, ma. adducendosi come scusa che il conoscere il nemico l'avrebbe aiutato nella sua missione, si decise a chiedere informazioni all'armigero che aveva al fianco, lo stesso che poco prima l'aveva spinto in quella lunga fila.
"Certo che c'è un sacco di gente che si vuol arruolare!?"
"Il nostro signore è il più forte della regione, tutti vogliono essere arruolati in un esercito vittorioso il nostro esercito ha vinto più battaglia di quante tu possa anche solo immaginare e questo attira un sacco di "aspiranti cavalieri".. Poveri illusi, straccioni che non sanno neppure maneggiare scudo e spada, ma l'esercito a bisogno anche di loro. di quelli che fanno "da esca" per permettere hai veri guerrieri di vincere le battaglie e ricoprirsi della giusta gloria."
Una risata sguaiata andò a concludere quel discorso "illuminante".
"Oh. questa è una bella notizia, io almeno la spada la so tenere, magari non diventerò mai un cavalieri ma almeno la buccia a casa riuscirò a riportarcela. Tu invece, mi sembri in gamba, un veterano, uno che non è mai stato sconfitto è?"
"Puoi dirlo forte ragazzino, la mia spada non conosce sconfitta; ne ha fatti fuori più lei da sola che tutte le balestre del signore!"
"Si vede, si vede; sei di sicuro più forte anche di quel cavaliere laggiù, quello con quei capelli rossi pare uno forte, ma nulla se paragonato a te."
Il soldato alzò un sopracciglio perplesso, poi, individuato il tipo a cui Roland si riferiva, scoppio in un'altra ancor più fragorosa risata.
"Quello! Quello un cavaliere?! Quello è ciò che di più lontano ci sia dal poter essere definito "Cavaliere" è solo un soldato, forse l'ultimo dei soldati; la squadra dove è dislocato però lo apprezzava molto, una volta tentarono anche di proporlo come loro Capitano e per poco non ci rimisero la testa. Il signore lo detesta, per non dire che lo odia proprio; non capisco come possa essere con noi da... non so da quanto tempo è in questo esercito, quando arrivai io, lui c'era già, ma nonostante tutto par proprio che desideri rimanere, ed il Signor Comandante, anche se lo disprezza, non lo scaccia, chi sa poi perché? forse si diverte troppo a prenderlo a calci; quel damerino borioso. non è nessuno, ma si da un sacco d'arie; comunque non è saggio farsi vedere troppo interessati a quel tipo, in battaglia dicono sia forte, ma.. io non ciò mai creduto; è troppo effeminato e poi quel viso sfregiato, fossi una donna gli starei a chilometri di distanza. detto tra noi, per quanto ne so io, quello non ha mai visto una sottana neppure col
cannocchiale..."
Una strizzatina d'occhio complice andò a concludere quella "simpatica" battuta.
".. comunque, se vuoi far strada da queste parti, non legare troppo con quel tipo."
Come era possibile? non lo trattavano certo come il figlio del loro signore: anzi, era visto come l'ultimo dei soldati, non riusciva a capire, cosa era accaduto in quei dieci anni? Dissapori per accaparrarsi il comando? Non era improbabile e, per rimettere il figlio al suo posto, il padre l'aveva declassato a soldato semplice, ma se le cose stavano veramente così, le truppe, sapendolo comunque il figlio del loro capo, non si sarebbero certo espresse in tal modo nei suoi riguardi.
"Non preoccuparti, non sarà difficile stargli lontano, quel brutto muso mi è rimasto antipatico non appena l'ho visto."
"Bene, così si dice?. Mi sei già simpatico, spero proprio che ti prendano ragazzo."
Una bella manata sulla spalla, che per poco non lo mandò lungo disteso, andò a sancire quelle parole.

********** 26 Gennaio 1246 ********

Toccava a lui, si era già preparato delle false referenze, avrebbe preso in prestito il nome del miglior guerriero del padre, un uomo burbero ma buono che l'aveva addestrato alle armi quando erano ancora vivi i suoi genitori; non poteva certo dare il suo vero nome e quello che aveva scelto era sicuro l'avrebbe aiutato.
"Avanti il prossimo. Nome, cognome e paese di provenienza?"
"Randolf Gheril, vengo dal nord, da un villaggio di nome Maras."
"Hai già avuto esperienze in altri eserciti?"
"No, ma mio padre era un guerriero del signore del posto e mi ha insegnato l'uso delle armi"
"Veramente? E perché non sei rimasto col tuo signore?"
"Quello è un piccolissimo feudo, io voglio cercar fortuna e li non avevo prospettive"
"Un ambizioso, bene! Quali armi sai usare?"
"Spada e arco."
"Bene figliolo, questo è quanto dichiari, ma. capirai che adesso ci dovrai dimostrare queste tue abilità."
"Non ho problemi, ditemi dove e con chi e non vi deluderò."
"Benissimo, preparate la rena. Armand tu sarai il suo avversario con la spada, e poi faremo una prova di precisione con l'arco, sei d'accordo"
Roland sorrise sicuro e rispose deciso.
"Perfetto signore."

Eccolo davanti al suo primo avversario; calma, quel tipo era grosso e presumibilmente molto forte, ma lui era abile e preciso e, con un po' di strategia, poteva riuscire a vincere.
Si mise in guardia e attese la prima mossa dell'avversario che non si fece attendere; lo scontro iniziò tra parate ed affondi da parte di entrambi i contendenti, quell'avversario non si rivelò poi pericoloso come il suo aspetto gli aveva fatto supporre, Roland dovette cercare di trattenersi per evitare di vincere troppo rapidamente.
Quella montagna puntava tutto sulla forza dei suoi muscoli e per questo i suoi colpi erano prevedibili e facilmente evitabili; Roland schivò ogni fendente attendendo con pazienza il momento propizio per contrattaccare e, quando questo giunse, disarmò il suo avversario puntandogli poi la lama alla gola.
"BRAVO! Siamo impressionati dalla tua prova Randolf, sei già preso come nostro milite, ma vogliamo vedere anche la prova con l'arco, e per rendere la cosa più interessante, ti confronterai con Marron, il nostro miglior arciere."

********
Si era alzato un borbottio insistente nel cortile, voci sussurrate, sguardi impressionati, pareva che un nuovo arrivato si stesse rivelando un temibile avversario per il "grande" Armand, uno tra i più forti e "stupidi" fedeli guerrieri del padre, uomo che veniva solitamente usato per testare le abilità dei nuovi soldati, compito questo che aveva da sempre esaltato quella grossa scimmia che godeva come un matto ad umiliare qui poveri contadini che volevano fare i guerrieri. Ma stavolta aveva trovato pane per i suoi denti pareva. Brusii si erano levati pure tra le cameriere che, solitamente non si interessavano a quegli scontri, ma pareva proprio che il giovane avesse, altre ad abilità inattese come spadaccino, anche un aspetto tale da far sospirare le fanciulle; Arabin anche senza sapere di chi tutti stessero parlando, credeva di poterlo facilmente indovinare.
Anche lui, come tutti, decise di lasciare il compito a cui si era dedicato per andare a dare un occhiata allo scontro e giunto nei pressi della rena lo vide, Roland.
Bravissimo! Agile, rapido, forte; quella spada sembrava quasi il prolungamento del suo braccio, non c'era alcuna possibilità che venisse sconfitto da Armand anzi, pareva quasi che questo dovesse ringraziare proprio il suo avversario se ancora non era stato clamorosamente sconfitto,
era abile nel mascherarlo, ma lui lo poteva chiaramente notare che Roland si stava trattenendo, certo non era saggio farsi vedere eccessivamente superiore agli uomini migliori del signore a cui chiedeva ospitalità; abile, forte, ma nella dovuta misura sin quando non avesse dimostrato quella supposta fedeltà che gli era richiesta.
*Quali sono le tue intenzioni Roland? Perchè sei venuto sin dentro le nostre mura fingendoti un alleato quando non potrai mai esserlo; vuoi uccidere mio padre e... me?!*
Sapeva che quella era la risposta, che l'unico motivo che poteva averlo spinto sin li era la vendetta, una vendetta che, di sicuro, aveva come principale obbiettivo proprio lui.
Non lo spaventava l'idea di morire, era una cosa questa che si era augurato mille volte, ma... gli era però terribile l'idea di morire per mano della persona che per lui era l'unica ancora importante senza riuscire a, spiegarsi a fargli capire che... cosa, che lui non era responsabile.
In quel preciso momento un ovazione si alzò dalla folla, nel preciso istante in cui una spada volò in aria e Roland puntò la sua lana al collo dell' avversario sconfitto.
Se veramente voleva ucciderlo adesso era forte a sufficienza per riuscirvi, per riuscire a vendicarsi di lui e di suo padre. come era probabilmente giusto che fosse.
Arabin si voltò per andarsene, non aveva bisogno di assistere anche alla seconda prova per sapere chi sarebbe risultato il migliore, ma proprio in quel momento vide il padre che si era avvicinato ai margini della rena, probabilmente anche lui attratto da tutto quel clamore.
*Guarda padre, sorridi delle tue "fortune" goditi questo momento fin quando potrai perché..... è probabilmente arrivato il tempo in cui i tuoi inganni saranno adeguatamente ricompensati.
Abbassando lo sguardo Arabin si allontanò per tornare verso la stalla.

*********
Erano stati preparati dei bersagli di paglia sistemati a cinquanta passi dai due contendenti, il centro di questi era segnato con un piccolo cerchio rosso, l'obbiettivo a cui mirare; la voce della sua abilità si era gia sparsa ed una piccola folla si era gia riunita attorno ai due sfidanti; curiosi che desideravano vedere quell'ultimo scontro.
"Bene, dovrete far centro in quei bersagli, avete a disposizione una freccia ciascuno, preparatevi a scoccare."
Roland guardò il suo avversario, poi il pubblico che gli si era riunito attorno; probabilmente non era saggio vincere anche quello scontro, avrebbe scoccato il suo dardo mirando non esattamente nel centro, ma in prossimità in maniera tale da esser battuto, ma non di molto.
"VIA!"
I due dardi partirono, quello dell'arciere si conficcò esattamente nel centro del bersaglio, quello di Roland invece, anche se all'interno del cerchio rosso, si era conficcato in una posizione più prossima al lato esterno di esso.
In quel momento un applauso solitario si fece sentire tra la folla che improvvisamente si diradò facendo largo ad un uomo che avanzava.
Ecco, finalmente poteva rivedere anche il secondo dei suoi nemici; lo ricordava più alto, più imponente, ma allora lui era stato soltanto un ragazzino, a cui quel guerriero era parso un colosso, invece era soltanto un uomo, un uomo che sarebbe presto perito sotto i colpi di spada di colui che
si accingeva a lodare.
"Bene giovanotto, sono lieto che un abile combattente come te voglia unirsi alle mie fila, mi hanno riferito poco fa del tuo talento e son venuto a sincerarmene di persona, non mi è stata detta inesattezza, sei bravo ed io ho bisogno di validi elementi, ma.. Se rimani sappi che la vita qui non sarà facile neppure per te; le battaglie che ho intrapreso e che ho intenzione di intraprendere, saranno dure, ma porteranno lustro e fortuna anche a te; sei disposto a giurarmi fedeltà e ad ubbidire ad ogni mio ordine per poter così godere delle mie future vittorie?"
Fedeltà, come no, un cumulo di menzogne che sarebbero servite al raggiungimento della sua meta, la fedeltà l'aveva gia giurata alla vendetta contro quella carogna per cui c'erano solo false lusinghe.
"Mi onorate Signore con questa proposta, sarò lieto di metter la mia persona ed il mio braccio al suo completo servizio."
Bene ragazzo, puoi considerarti uno dei nostri.
Una scintilla si accese negli occhi di Roland; il primo passo era compiuto.

********** 19 Febbraio 1246 ********
Era quasi un mese che era entrato a far parte di quell'esercito, aveva gia affrontato due battaglie che erano state vinte e l'indomani sarebbero ripartiti per una terza incursione; durante l'ultimo scontro per poco non ci aveva rimesso la pelle, si era salvato senza danni solo grazie all'aiuto di Arabin, quel maledetto, ormai era certo che l'avesse riconosciuto, l'aveva intuito da tante piccole cose: dal suo atteggiamento, da alcuni riferimenti al passato sfuggitigli per sbaglio, ma soprattutto per il modo in cui quello lo guardava quando credeva di non essere visto; ma se era così, e di questo ormai ne era certo, perchè non l'aveva ancora smascherato? Ma soprattutto, perchè non l'aveva lasciato morire in quella battaglia invece di intervenire in suo soccorso beccandosi per di più una freccia in una spalla?
Era assurdo, ma... non poteva fare a meno di sentirsi turbato... strano quando se lo ritrovava vicino per qualche ragione, che fosse nelle baracche dove dormivano e alla mensa; gli era capitato anche di allenarsi contro di lui con la spada alle volte e... invece di analizzare con freddezza le abilità e i punti deboli del suo "nemico" non aveva potuto far a meno di ammirarne il talento, la sua bravura e fluidità di movimento; ad un certo punto si era ritrovato persino a pensare che "il suo Arabin era divenuto veramente un eccellente guerriero" era assurdo, completamente folle, lui odiava Arabin, lo odiava più di tutti, più di tutto, ma allora perchè si ritrovava a fermare lo sguardo su di lui quando questo non lo poteva vedere, perchè rimaneva incantato a fissare i bagliori dorati che il sole strappava alle sue fulve chiome, perché aveva iniziato a sognare la notte cose che al mattino lo lasciavano sudato e frustrato. Doveva ritrovare il suo equilibrio, un equilibrio costruito con fatica in anni di duro allenamento e che aveva iniziato a sfaldarglisi tra le mani non appena aveva messo piede in quella fortezza, non appena l'aveva rivisto. Se non era destino vendicarsi di entrambi i suoi nemici, tutta la sua furia si sarebbe scaricata almeno su quel vile traditore di Arabin, in un qualche modo... in qualsiasi modo...
"Randolf! Dai, unisciti a noi, andiamo alla taverna di Mastro Tobei a bagnare le nostre ugole con la sua birra; dai ragazzo, non è salutare pensare troppo, ad un soldato è richiesto un braccio forte e un corpo robusto, non un cervello fino."
Certo, i soldati non dovevano pensare, soltanto ubbidire agli ordini. E, in fin dei conti, il modo migliore per non pensare era affogarne i motivi nella buona birra e di non pensare adesso lui ne aveva un disperato bisogno.
"Certo che mi unisco a voi, sia mai che rinuncio ad una buona bevuta con dei buoni compagni di bisboccia."
"Perfetto ragazzo, è così che si parla!"
Assestatagli una bella pacca sulla spalla Angust lo guidò verso il gruppo di soldati diretti alla taverna.

Era la sera che precedeva la battaglia, l'ennesima di tante gia vissute, non ne era spaventato, anzi, la attendeva, ormai era solo nella clangore della lotta che riusciva a ritrovare se stesso la sua antica voglia di competere; ma, quella sera si sentiva particolarmente stanco o era più giusto dire solo; aveva visto lo squadrone di Rolan dirigersi alla taverna di Tobei, non gli piaceva quel posto, ma, per una sera, aveva voglia di concedersi una bevuta.
L'aria fuori era fredda, ma la sera si apriva limpida e rischiarata da una luna in tre quarti bianca e levigata,; Arabin si avvolse nel mantello e scese per la strada sterrata che portava al vicino paese affrettando il passo, prima sarebbe arrivato prima avrebbe potuto tornare, aveva desiderio di bere una buona birra, ma non altrettanto di trattenersi in inutili conversazioni, sempre che qualcuno si fosse preso la briga di conversare con lui se non per insultarlo pavoneggiandosi così con i compagni.
Non appena arrivato alla taverna e varcatane la porta Roland si sentì chiamare da una voce strascicata, ma non per questo meno riconoscibile.

"Ragaaaasi, ecco il guerriero che arriva, si sieda... si asseggioli con noi signore e ci faccia partecipi della sua compagnia, non vorrà schifarci vero?"
Era ubriaco, completamente e, dai "discorsi" che stava sparando, di sicuro non riusciva più a ragionare con lucidità.
Arabin era rimasto fermo vicino al tavolo di Roland indeciso sul da farsi, non era saggio rimanergli vicino, ma... nelle condizioni in cui si era ridotto, non era saggio neppure ignorarlo, ne sarebbe seguita di sicuro una scenata e Roland, era certo, avrebbe detto cose compromettenti per entrambi.
"Alllorra signorino, ti vuoi sedere qui al nostro allegro tavolo o no? Non abbiamo certo tutta la sera per aspettare i suoi comodi sa!"
"Randolf sei ubriaco fradicio... anziché invitare me, perché non torni al dormitorio e vai a smaltire la sbronza, domani dobbiamo partire per una nuova incursione e un uomo disfatto dal mal di testa non è un soldato ottimale."
"OHHHH. Il nostro padroncino teme per la mia incolumità? ma non hai certo fatto altrettanto quando ti era richiesto è! Io non sono ubriaco, ma se anche lo fossi tu sei l'ultima persona a cui dovrebbe interessare caro il mio traditore..."
A quelle parole gli altri soldati riuniti attorno al tavolo avevano guardato Roland con un espressione perplessa. Se continuavano così era certo che Roland avrebbe rivelato cose che era molto meglio tenere nascoste.
"Non continuerò di sicuro a tentare di parlare con un ubriaco, se non vuoi tornare fai come vuoi, io però non ho tempo..."
"Ceeerto, sei un signorotto in carriera tu, un complottatole che non ha tempo da perdere con i passati "amici", ma se anche tu hai dimenticato, non tutti sono riusciti a farlo e io."
"Smettila! Non ti accorgi che le tue parole non hanno senso.."
"Brutto bastardo. chi ti credi di essere vigliacco."
E mentre diceva quelle parole Roland si avventò contro Arabin cercando di assestargli un pugno che però mancò il bersaglio, sbilanciato da quella mossa affrettata, l'assalitore finì lungo disteso.
"Maledizione. mi pagherai anche questa Arabin." Borbottò Roland
Non poteva lasciarlo ancora li, aveva gia detto sin troppo e, l'unico modo di portarlo via, era trascinarlo via, meglio se privo di sensi.
"Quando vuoi! Anzi, perché non ora, visto che non vuoi ascoltarmi, visto che ti credi tanto grande, vieni fuori così da poter dare una "lezione a questo brutto bastardo".
"Ceerrto! Non mi tirrro di sicurrrro indietro quando mi si offre di poter riempire quella tua brutta faccia di cazzzzotti."
I due uscirono dal locale, Arabin per primo e Roland barcollando dietro, si fermarono nella strada davanti all'entratura; una folla di curiosi si era riunita fuori dalla taverna per assistere allo spettacolo, in prima file c'erano i compagni di bevuta di Roland che si erano ben guardati dal dissuaderlo tutti contenti di poter vedere uno spettacolo fuori programma, chiunque dei due fosse a rimetterci.
"Bene Randolf, a te il primo colpo."
"Fai lo sbruffffone è! Ma ti toglieeerò io quel sorrrrriso dalla faccia a forza di cazzzzzotti."
Roland gli si gettò contro con i pugni alzati cercando di colpire il suo avversario al volto, ma questo lo schivò con facilità e rispose con destrezza colpendolo in pieno mento.
L'alterco non durò molto, Arabin era nettamente in vantaggio rispetto a Roland che riusciva a tenersi a stento in equilibrio e, dopo appena qualche minuto, un gancio ben dato stese a terra Roland facendogli perdere conoscenza.
"Buaaa! Che spettacolo pietoso, Randolf. mi sa che non reggi molto bene l' alcol."
Si levarono altri commenti non troppo lusinghieri nei confronti dello sconfitto e poi tutti si allontanarono.
"Sei uno stupido Roland. uno vero, completo, totale idiota."
E mentre diceva queste parole Arabin si caricò il ragazzo sulle spalle per portarlo al dormitorio.
La strada non era molta, ma ad Arabin, rallentato dal peso di Roland, occorse quasi mezz'ora per raggiungere la sua meta; era strano, ma nonostante Roland non fosse una piuma e non fosse facile trasportarlo a peso morto come stava facendo, si sentiva felice, strano visto che di sicuro l' indomani, sempre che il suo passeggero si fosse ricordato qualcosa di quella sera, l'avrebbe odiato ancora di più per la figura che gli aveva fatto fare; ma in quel momento non c'era odio, Roland si trovava vicinissimo, indifeso, stretto alla sua schiena, poteva percepirne il calore, l'odore, il respiro lento che gli sfiorava una guancia; probabilmente quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe potuto avere in quella maniera.
Nonostante la fatica Arabin desiderò che la strada che lo separava dalle baracche si allungasse, per permettergli di assaporare il più allungo possibile quella piccola felicità.
Ma anche quella, come tute le cose belle, ebbe fine sin troppo presto e Arabin, giunto al dormitorio, dovette deporre il suo carico sulla branda; fatto avrebbe dovuto andarsene, era quella la cosa più saggia da fare, ma, non ci riuscì e si fermò per un attimo ad osservare quel volto tanto. troppo
amato.
Allungo una mano a sfiorarlo carezzandogli col dorso una guancia, Roland a quel contatto sospirò voltando la testa verso di lui. Era bellissimo il suo Roland, il suo volto disteso, le palpebre chiuse, le labbra leggermente socchiuse.
"Vorrei poter tornare indietro per cancellare i miei passati errori e ridare il sorriso a questi meravigliosi occhi, ma non mi è possibile farlo Roland e forse è troppo anche solo per cercare il tuo perdono".
Arabin depose un leggero bacio sulla fronte di Roland e, con un'ultima triste occhiata si allontanò da quel letto dirigendosi alle stalle.

"Fasar, amico mio, andiamo a fare una galoppata."
Carezzò il muso del cavallo mentre gli metteva il morso, poi, senza preoccuparsi di mettere la sella salì in groppa al suo amico dirigendosi al galoppo verso il bosco, verso il "suo" laghetto, il posto preferito della madre, l'unico luogo dove riusciva a trovare almeno un po' di pace, dove ancora riusciva almeno a sognare... a sperare.






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