TA-DAAAN!!! Eccomi di nuovo qua!! ^____^ (“ECHISSENEFREGA!!! CHI TI VUOLE!!! CHI TI CONOSCE!!!!”) Sento già i cori… ç__ç … è vero… In ogni caso, posto una nuova “ciofeca” per chi vuol farsi un po’ di male. Storia breve, rating… non lo so… molto soft (non riesco ancora a capire la “suddivisione”…), ma soprattutto GIA’ FINITA!! Evviva! Comunque, è dedicata alla mia sorellina pucci Aiko (anche se l’ha già letta da mesi -___-“), che in questo pessimo periodo, mi è stata vicina più di chiunque altro, nonostante abitiamo a km e km di distanza. UN BACIO, puccina-uke! E scusa se non ti ho dedicato qualcosa di meglio… Una dedica anche al mio puccino Simo-Yue, cui la storia è MOOOOOLTO ispirata. E naturalmente alle pucci-girl e a Ria, che sempre mi sopportano, e supportano (anche se non lo merito!)!

 


Una sera per caso

di Kriss

 

Un incontro.

Un attimo.

Un semplice sguardo.

È già nato qualcosa.

Possibile?

 

 

 

Sapevo che sarebbe stato diverso, dal vivo; so bene che le impressioni che ci si fanno con una conoscenza virtuale, poco o nulla hanno a che fare con la realtà, con le persone in carne ed ossa. Ma non mi aspettavo questa sensazione, la scossa elettrica che mi ha colpito appena  l’ho visto.

E sì che non vedevo l’ora di conoscerlo.

Forse è perché di solito sono portato a non farmi troppe illusioni, a non lasciarmi andare a false speranze, specie con le persone.

L’uomo è l’essere vivente più deludente e meschino di tutto l’Universo.

Ma quando ho sentito la sua voce, quando mi sono voltato verso di lui, quando ho capito immediatamente chi era fra tutti, pur non avendolo mai visto in tutta la mia vita, tante mie convinzioni si sono come sgretolate.

 

Sono circondato dalle ragazze, che mi danno il benvenuto, ridono entusiaste per la mia presenza, mi riempiono di domande, mentre io mi scuso per il ritardo, e intanto mi lascio riscaldare da questa atmosfera festosa che mi fa superare alcune delle paure ataviche che il ritrovarmi in mezzo ad un gruppo numeroso di cui non conosco bene praticamente nessuno mi ha sempre fatto provare.

Poi una voce si leva sopra le altre. Bassa, un po’ strascicata.

“Ehi, piano. Adesso tocca a me!” e il vociare si smorza lievemente.

Mi volto e incontro i suoi occhi.

Scuri, quasi neri, scintillanti come una notte stellata.

“Ciao, sono Stefano.” si presenta, e io annuisco.

Rei, in chat.

Quello che più mi interessava conoscere, quello che mi ha colpito di più.

Quello in cui, di riflesso, speravo di meno.

Stringo la sua mano, e sorrido.

“Massimo.” replico. “Kenji.”

Non distolgo lo sguardo da lui, e lui non lo fa da me.

Sembriamo agganciati.

Siamo fermi uno di fronte all’altro, ad osservarci, a tentare di capirci, o solamente persi uno nell’altro.

Ha la pelle morbida, liscia come quella di un bambino, o di uno che non ha mai sollevato nulla di pesante. Ed è carino, decisamente. Poco più basso di me, esile ma ben strutturato, visino da ragazzino con un che di malizioso negli occhi che lo rende ancor più seducente, capelli corti, scuri come gli occhi. E giovane, forse anche troppo.

Una risata più forte mi fa tornare al presente, e ricordare che questa è una riunione di gruppo.

Lascio la sua mano, lascio i suoi occhi. Sono di nuovo con gli altri.

Mi sembra di essermi appena svegliato.

E non ho ancora afferrato bene il perché.

 

 

Non capisco tutta questa aspettativa, tutto questo entusiasmo solo per l’arrivo di una persona. Le ragazze, qui, sembrano impazzite, quasi fosse arrivato un attore famoso!

E chi sarà mai?

Ok, scrive bene (dannatamente bene). Ok, ha pubblicato un racconto che ha riscosso un certo successo, e non solo nel gruppo. Ok, abbiamo scoperto che è in chat con noi, che è iscritto allo stesso newsgroup, che ha la nostra stessa passione. Ma continuo a non capire il perché di tutto questo esagerato interesse nei suoi confronti.

E non capisco il mio cuore, che d’un tratto ha preso a battere con più forza, rimbalzandomi nella cassa toracica con tonfi sordi che mi pare di udire anche all’esterno…

Non mi importa niente, di lui. Non più di quanto mi importi degli altri.

In chat, inoltre, non facciamo altro che discutere, mai una volta che le nostre idee o i nostri gusti coincidano.

E ora ha pure attirato su di sé tutta l’attenzione del gruppo, cosa che di solito spetta a me.

Entra accompagnato da Lucia, che gli è andata incontro, e tanti di noi si alzano per salutarlo.

Io lo faccio per ultimo, rimanendo in disparte, l’espressione di annoiata superiorità che mi riesce tanto bene. Al momento non lo guardo neppure.

Non ci riesco.

Ma sono anche curioso, e alla fine alzo gli occhi su di lui, con noncuranza.

È circondato dalle ragazze, che ciangottano e ridono e lo abbracciano e lo tempestano di domande.

Non sento cosa dicono.

Lo guardo e basta.

E intanto incamero i suoi dati.

Non troppo alto, corporatura normale, le spalle larghe che s’intuiscono sotto la camicia bianca lasciata aperta sul collo, niveo, immacolato; viso regolare, lineamenti morbidi, bocca perfetta, occhi grandi, di un colore che da qui non riesco a capire, capelli castano chiaro, con la frangia lunga che lui si tira indietro, spettinandosi.

Bello.

Più di quanto avessi potuto immaginare.

… o sperare?…

E timido, sembra. Arrossisce, ai complimenti che gli arrivano, e si muove impacciato fra tutto questo entusiasmo nei suoi confronti. Ne è sorpreso.

Chi lo avrebbe mai detto, leggendo quello che scrive, e il modo in cui lo fa…

Faccio un ghigno.

Mi è tornata la sicurezza.

Allargo le spalle e mi faccio avanti.

È il mio turno, adesso.

Lo apostrofo, lo saluto, mi presento.

Ora mi guarda, la mano stretta alla mia.

Verdi, i suoi occhi. Due smeraldi che mi perforano. Per alcuni secondi, o minuti.

Mi sta studiando, e la timidezza pare svanita.

Il cuore, senza che io lo volessi, mi è arrivato in gola. Quasi mi soffoca.

Poi, una voce, due, di nuovo le risate e il brusìo.

Con un sussulto, mi stacco da lui, mi schiarisco la voce, torno ad indossare la mia falsa indifferenza.

Non devo capitolare subito.

Sono io quello che seduce, non il contrario!

 

 

Mi sciacquo la faccia, poi mi guardo allo specchio.

Sono stanco.

Lo sciopero, le corse per prendere l’unico treno disponibile, la presentazione del libro, la conferenza che non finiva più, altre corse per arrivare al ristorante…

Almeno ho un posto dove dormire stanotte. I ragazzi, qui, sono stati gentili e disponibili come non mai, e mi hanno accolto come se ci conoscessimo da anni, offrendomi di dividere con loro le due camere che avevano a disposizione, anche se erano già in tanti.

Quelli che sono rimasti per la notte, ora, sono riuniti di là a chiacchierare e ridere.

C’è anche Rei. E la cosa, inconsciamente, mi fa uno strano piacere.

Vederlo, e non immaginarlo da quello che scrive, è tutta un’altra cosa. E non solo fisica.

L’attenzione di quasi tutti è rivolta a lui. Le ragazze lo adorano, i ragazzi se lo mangiano con gli occhi; e lui di questo ci gode, ci si diverte, ne approfitta.

Ha capito di piacere e ha acquistato una sicurezza e una malizia che prima non aveva.

Mi chiedo dove siano finite le sue paure, la sua titubanza, la timidezza che trasparivano ai suoi primi approcci in chat. Sembra svanito tutto. Resta questo ragazzino languido e spavaldo, sicuro che gli basti chiedere per ottenere qualsiasi cosa, o quasi.

Quanto mi piacerebbe farlo scontrare con un’altra realtà!

È un pensiero che si sta facendo strada dentro di me da quando è iniziata questa serata, un pensiero che mi sta tenendo lontano da lui, che mi fa apparire indifferente a qualsiasi cosa lo riguardi, mentre il mio principale desiderio sarebbe quello di rimanere un po’ solo con lui.

Tento di asciugarmi con un asciugamano umido, poi sento bussare.

È uno degli inconvenienti del condividere in tanti un bagno solo.

Vado ad aprire.

È lui, che s’infila nella stanza e richiude subito a chiave.

“Scusa.” sbuffa, appoggiando la schiena al battente. “Quella non mi molla un attimo!”

Gli faccio un mezzo sorriso e annuisco.

C’è una tipa, che in pochi conoscono, che non ha smesso un minuto di stargli addosso, arrivando vicina alla persecuzione!

“Vuoi rimanere chiuso qua dentro aspettando che si stanchi?”

Sbuffa di nuovo e fa una smorfia, spostandosi verso il lavandino.

“SE si stancherà mai!” si lamenta.

Rido.

Lui si china per sciacquarsi il viso a propria volta e la magliettina che indossa gli scivola lungo la schiena, mettendo in mostra la sua pelle chiara.

Avrei voglia di toccarlo, ma mi trattengo.

Poi lui si rialza, e i nostri sguardi si incontrano attraverso lo specchio.

Il suo è cambiato. Nessuna noia, nessuna esasperazione. Malizia, profondità, un lampo di desiderio.

“Io un’idea in mente ce l’avrei…” mormora poi.

Immagino sia la stessa che ho in mente io in questo momento.

Si volta a guardarmi direttamente.

“Per tenere lontana Giusy, intendo…” e i suoi occhi sorridono mentre viene verso di me.

Non deve muoversi molto, il bagno è piccolo.

Poco più di un passo e mi è di fronte.

Vicino.

Troppo.

“E per divertirmi, naturalmente.” conclude.

Fa un risolino, e fra noi non c’è più spazio.

Ha un profumo delizioso.

Ma non abbastanza per farmi perdere la testa. Non del tutto, almeno.

Alzo un sopracciglio, e intanto lo scosto un po’ da me.

“Direi che non è il caso.”

Sbatte le palpebre e mi è di nuovo attaccato.

“Perché?”

Le sue braccia sono scivolate attorno al mio collo.

Soffoco a stento un sorriso.

E così il ragazzino sta provando a sedurmi.

Divertente, sì.

“Perché c’è altra gente… e… non possiamo…”

“C’è l’altra stanza, non daremo fastidio a nessuno. Anzi…”

Sorride ancora, sornione, il labbro inferiore fra i denti, la bocca sempre più vicina alla mia.

Invitante, non c’è che dire.

Non so come faccio a resistere.

“E se qualcuno volesse andare a dormire?”

“Mica ci stiamo tutta la notte.”

Tentenno ancora, ancora mi fissa.

“Eddài, è solo una scopata!”

Trattengo il respiro, e un lieve sussulto.

Solo una scopata…

Un divertimento.

Un gioco.

Un nome nuovo da aggiungere alla lista.

Solo questo, per lui…

Lo fisso negli occhi anch’io.

Lievemente allungati, le ciglia lunghe ad ombreggiarli, scuri, immensi.

Solo una scopata…

Perdere un’occasione simile sarebbe da idioti.

In tutti i sensi.

“Ok.” sospiro, e gli lascio la convinzione di aver ceduto.

 

 

Che carino, quando arrossisce così!

Sembra proprio un ragazzino.

Invece, deve avere quasi sette anni più di me. Non lo avrei mai detto.

Finalmente sono riuscito ad avvicinarlo, e ora ce l’ho addirittura tutto per me.

È tutta la sera che non penso ad altro!

Ho fatto più casino del solito per attirare la sua attenzione, ma ho dovuto aspettare di rinchiudermi in bagno, per poter rimanere solo con lui e provare a sedurlo. Non c’è voluto neanche molto.

Mi viene quasi da ridere quando chiedo le chiavi a Marta e lei mi guarda prima interrogativamente, poi con complicità ed entusiasmo, ma non riesco a dirle nulla. Ho fretta di andare di là, di chiudermi dentro la stanza con lui, di scoparmelo.

Lascio che accenda l’abat-jour, che si guardi attorno, che si volti finalmente verso di me, quasi imbarazzato; poi mi avvicino, lentamente, guardandolo da capo a piedi, mangiandomelo con gli occhi.

Dio, se è bello!

Gli sono addosso e lo bacio subito.

Nessun preliminare; apre la bocca e mi accoglie senza aspettare. Caldo, umido, buono.

Le sue mani s’infilano sotto la mia maglia, le mie gli sfilano la camicia, armeggiano con la cintura dei suoi pantaloni, provano ad aprire il primo bottone. Ho una voglia di lui da impazzire. Di entrargli dentro, di farlo godere, di godere con lui.

Provo a spingerlo sul letto, ma lui mi si oppone.

Ora è la sua lingua che mi riempie la bocca, sottomette la mia; le sue labbra mi imprigionano, le sue braccia mi stringono, mi bloccano, le sue mani… le sue mani mi accarezzano la pelle, scivolano nei miei pantaloni, mi afferrano le natiche… E’ lui che mi getta sul letto, lui sopra di me, sempre lui che mi toglie la maglia. Io pensavo di fare una cosa veloce, senza bisogno di spogliarci completamente, pensavo di andare subito al sodo, di impormi a lui per sciogliere la sua timidezza.

Ma le cose sono un po’ cambiate.

È lui che sta conducendo il gioco.

E io quello che non riesce ad opporvisi.

Le sue labbra seguono i contorni del mio corpo, mento, collo, petto. Quando raggiungono i capezzoli mi lascio scappare un gemito, che diventa più forte non appena la sua lingua stuzzica il mio ombelico.

Mi lascio spogliare del tutto, lascio che lo faccia a propria volta, mentre lo aspetto, e lo guardo, ammiro il suo corpo, i suoi muscoli, le sue spalle.

Si mette a quattro zampe sul letto, sopra di me. Mi sta guardando dall’alto, le mani a lato della mia testa; poi mi sorride. Non mi sta toccando, non mi sfiora neppure, ma il mio respiro si sta facendo sempre più affannoso, l’eccitazione e il caldo che crescono a dismisura.

Mi agito sotto di lui, gli accarezzo le braccia, mi spingo verso la sua bocca.

Ho bisogno che mi tocchi, che faccia qualcosa.

Quando riprende a baciarmi, mi avvinghio a lui, affinché non si allontani più.

Comincia ad accarezzarmi, le sue mani sono dappertutto; e poi la lingua, la bocca, i denti. Scivola sempre più in basso, e a me sembra d’impazzire. Non capisco più niente. Sono in sua completa balìa. Praticamente non sto facendo nulla, se non gemere e agitarmi, e obbedirgli, e aspettarlo, e implorarlo.

Non volevo urlare, ma non ce la faccio.

Ci sentiranno tutti.

Non m’importa.

La sua bocca che mi avvolge è così calda, la sua lingua vellutata… Un sogno. Un delirio.

Quando finalmente entra dentro di me, io non esisto più: solo fuoco, estasi, e quel dolore che è preludio al piacere, il più intenso che io abbia mai provato. Mi muovo con lui, lo stringo a me, affondo le dita nei suoi capelli. Vorrei che non smettesse più…

Poi, all’improvviso, mi ritrovo seduto, sopra di lui, che è ancora dentro di me. Mi sta guardando, lo sguardo acceso e penetrante fisso nel mio, mentre io sono così stordito che non capisco neppure dove mi trovo.

“Tutto ok?” sussurra. E mi dà un bacio, e mi sfiora la tempia con due dita.

Io riesco solo ad annuire. Respiro anche a fatica.

“Bene…” altro sussurro, altro bacio.

Così dolce che una lacrima mi sale agli occhi senza che io riesca a trattenerla.

Mi sembra di stare per sciogliermi fra le sue braccia.

Ma non ne ho il tempo, perché lui riprende a muoversi, e io con lui, sempre più in fretta, con frenesìa, e un desiderio che cresce fino a diventare ebbrezza, stordimento, piacere assoluto.

Raggiungo l’orgasmo con un gemito che si perde nella bocca di Massimo, così attaccato a me da sembrare un tutt’uno col mio corpo, e dopo qualche secondo viene anche lui.

Resto così, aggrappato alle sue spalle, cercando di riprendere fiato; poi mi lascio cadere all’indietro, sul materasso, e lui mi segue.

“Ehi!” mormora con un risolino. “Stai bene?”

È sdraiato sopra di me, e mi guarda. Lo so anche se ho ancora gli occhi chiusi. È come se lo sentissi, così come sento il suo respiro che mi sfiora le labbra.

Apro le palpebre lentamente e mi specchio nello smeraldo dei suoi occhi. Stanno scintillando.

Se mi sento bene??

“Sto da Dio!” ribatto con un sorriso che credo mi vada da un orecchio all’altro.

Lui ridacchia e lascia cadere il capo sulla mia spalla. Le sue labbra sono ad un soffio dal mio collo.

“Perfetto…” sussurra prima di baciarmi dietro l’orecchio.

Divino, direi…

Avrei voglia di ricominciare!

 

 

Niente male, il ragazzino. Niente male davvero.

Mi asseconda con sicurezza, si muove in sintonia con me, il suo corpo pare far parte del mio… E ha un sapore delizioso. E una sensualità innata che sprigiona senza nemmeno rendersene conto. La sua espressione, mentre lui sta godendo, è qualcosa di indicibilmente eccitante.

Potrei innamorarmene!

Sotto la mia mano, appoggiata al suo petto liscio, il suo cuore sta battendo forte, a ritmo col suo respiro.

Lo bacio dietro l’orecchio; la sua pelle è umida di sudore, salata.

Avrei voglia di rimanere così tutta la notte.

Da quant’è che non lo faccio? Da quanto non mi sento così?

Non lo so, non me lo ricordo. E comunque, adesso non ho il tempo per pensarci.

Con un sospiro mi stacco da lui e mi metto seduto.

“Dove vai?” mormora con voce stanca, le sue dita che scivolano lungo la mia schiena.

“Dobbiamo muoverci.” ribatto quasi con urgenza. La mia voce è stata troppo dura? “Non possiamo appropriarci della stanza per tanto tempo.” E intanto vado a spalancare la finestra, raccolgo la mia roba, cerco il mio zaino… “Forza, pigrone, alzati!” … mi allontano da lui…

“Uffa… si sta così bene…”

Già. Fin’ troppo…

“Dài, su, bisogna anche fare un po’ d’ordine.” Mi sento come una madre che rimprovera il proprio bambino!

Intanto son tornato vicino al letto, e guardo Stefano dall’alto, il suo corpo disteso sul materasso, nudo, il braccio mollemente appoggiato alla fronte, gli occhi chiusi…

È tutto fuorché un bambino!

Mi sporgo verso di lui.

“Voglio anche farmi una doccia.” dico piano.

E lui spalanca gli occhi, sveglissimo.

“Tu no?” aggiungo, lasciandomi scappare un sorrisino.

Mi ha già capito. E finalmente è in piedi.

Mettiamo in ordine in fretta, e intanto scherziamo, ridendo per qualsiasi cretinata.

È davvero da una vita che non mi sento così…

Sto già facendo scorrere l’acqua calda, quando bussano alla porta. Rei sta recuperando il suo necessaire.

“Arrivo!” strilla correndo ad aprire; poi si fionda in bagno anche lui, lasciando fuori solo la testa. “Noi ci facciamo una doccia.” dice con un risolino, e le ragazze, di là, ridacchiano e fanno commenti che non riesco a capire, ma che posso immaginare.

Mi sento arrossire. Che figure sto facendo? Non mi conoscono neppure, sono qui come ospite, ho ignorato ogni regola di……

La porta è chiusa del tutto, ora, a chiave. Qui dentro, solo noi due. Il resto è rimasto fuori.

Gli occhi neri, fissi nei miei, brillano ancora.

Direi che è un po’ tardi per farsi venire i sensi di colpa!

Entriamo nella vasca, tiriamo la tenda. L’acqua è calda al punto giusto.

E noi di nuovo complici.

Bagno schiuma, shampoo, il suo corpo morbido contro le piastrelle bianche, rivoli d’acqua fra di noi, su di noi, ancora il suo sapore…

Sarà una lunga doccia!

 

 

“Allora, com’è andata?”

Le ragazze non fanno che chiedermelo. Una dopo l’altra. Insistenti.

E io le accontento, racconto quello che è successo ieri notte; non proprio nei minimi particolari, ma quasi. Soprattutto, racconto come mi son sentito, quello che ho provato. Mi serve anche per capirlo esattamente anch’io.

Perché, sinceramente, oggi sono un po’ stordito. Stordito, esaltato, sconvolto.

E impaurito.

Ieri, dopo essere usciti dal bagno, ci siamo preparati per andare a dormire. Erano le tre. C’era tanta di quella confusione, in quella stanza, da non riuscire a connettere. E tutti che ci guardavano, e ridacchiavano, e io che mi sentivo il padrone del mondo, mentre Massimo, al contrario, era di nuovo un po’ intimidito. Al momento di stiparci in otto su tre letti uniti, l’unica, tacita, disposizione è stata che lui ed io stessimo vicini. Non lo ha proposto nessuno, era implicito. In ogni caso, non sarei riuscito a dormire in altro modo. Si è messo vicino al muro e io gli sono scivolato accanto; le sue braccia mi hanno accolto subito, mi hanno stretto a lui. Al buio, gli ho dato solo un bacio, lieve, un augurio di buonanotte sussurratogli sulle labbra, poi ho chiuso gli occhi. Quasi non ho sentito le prevedibili battutine degli altri, le risate e gli scherzi: mi sono addormentato dopo qualche minuto, esausto e appagato allo stesso tempo, la testa sulla sua spalla, e una sensazione di sicurezza e tranquillità che non avevo mai provato in tutta la mia vita. Al mattino, mi sono svegliato ancora abbracciato a lui. E la sensazione non era svanita.

Non sono mai stato tanto bene con una persona, mai così da subito.

E adesso, qui seduto su una seggiolina dello stand, mi chiedo cosa sia successo.

Sono già innamorato?

Impossibile! Ci conosciamo da meno di ventiquattr’ore!!

E poi, a me queste cose non capitano mai. Non ci credo. L’amore arriva col tempo, con la conoscenza, con la condivisione… Non dopo appena una scopata! … Due, ok… Ma comunque è troppo poco.

Allora, perché mi sento così?

Perso, ebbro di ricordi. E solo, ora che lui non è con me.

Non mi ha quasi parlato, da quando siamo qui. È in giro, un sacco di gente che gli sta attorno, che vuole conoscerlo; e lui parla con tutti, sorride e ascolta, consulta, legge, si diverte.

E mi sta lontano.

Umberto gli si è attaccato come una ventosa e non lo molla più, gli occhi che lo scannerizzano e paiono mangiarselo. E Massimo non fa nulla per toglierserlo di torno, lo ascolta, ride pure! Non può piacergli quel… quel carciofo!! Non può preferirlo a me!! Non dopo stanotte!

Cazzo!

Chiudo gli occhi e faccio un lungo respiro per calmarmi.

Sto esagerando. O impazzendo. Non è da me comportarmi così, pensare queste cose. Non sono io! Io reagisco, io me ne frego, io sono superiore! Mi basta il sesso, una nuova conquista. Nient’altro.

Nient’altro…

Già.

Il fatto è che… Stavolta è un po’ diverso.

Non ho solo voglia di lui, del suo corpo, del suo magnifico modo di fare l’amore. C’è qualcos’altro.

Voglio che mi parli, che stia qui con me, che mi guardi come io sto guardando lui da tutta la mattina. Voglio che mi tenga abbracciato come ha fatto stanotte. Voglio che mi sorrida.

Il problema maggiore è che, mentre continuo a seguirlo con gli occhi e coi pensieri, mi sto rendendo conto che vorrò tutto questo anche domani, e dopodomani, e il giorno dopo ancora.

Come se…

“Cristo…”

Ora, sulla sedia, sono accasciato.

“Che c’è, dolcissimo?”

Marta mi è accanto, e mi osserva mangiando una mela.

Io non riesco nemmeno ad alzare lo sguardo su di lei; rimango così, quasi imbambolato, la schiena curva e le braccia a penzoloni fra le gambe.

“Sono innamorato…” mormoro in un soffio, incredulo, e quasi è una domanda. A me stesso. Al mondo. A chiunque sappia rispondermi.

Marta si accovaccia di fronte a me e si appoggia alle mie ginocchia.

“Di già?” replica, e io finalmente la guardo. Mi sta sorridendo tranquilla.

Avevo sperato in un “E’ impossibile!”, “Non ci credo.”, “Ma figurati.”.

Avevo bisogno di sentirmi smentire…

Mi lascio scappare un gemito e mi chino in avanti ad abbracciarla.

E adesso come faccio?

 

 

Mi appoggio ad una parete e chiudo gli occhi con un sospiro.

Finalmente un po’ di quiete.

Mi ha fatto piacere conoscere tanta gente, ma ammetto che la cosa mi ha distrutto. Non ho fatto altro che parlare, camminare e stare in piedi!

Ora avrei solo bisogno di una sedia.

E, nonostante abbia cercato di non ammetterlo per tutto il giorno, anche di vedere una persona in particolare.

Avevo in mente da stamattina di ignorarlo un po’, ma il casino di oggi mi ha costretto addirittura ad evitarlo del tutto. E non è giusto.

Mi stacco dalla parete e provo a cercarlo.

Non è da me comportarmi così.

Del resto, non è nemmeno da me andare a letto con uno appena conosciuto…

E invece l’ho fatto. Senza remore. Senza ripensamenti.

Solo per togliermi uno sfizio? per dargli davvero una lezione? O perché mi piace più di quanto pensassi?

Non lo so. Non l’ho ancora capito.

No, non è da me. Decisamente.

Allo stand non c’è, in giro nemmeno. Sto per chiedere se qualcuno sa dov’è, quando lo vedo oltre la vetrata, seduto sugli scalini a fumarsi una sigaretta. Da solo.

Giusto quello che volevo.

“Ciao.” lo saluto, avvicinandomi, e lui sobbalza leggermente. “Disturbo?”

Fa un cenno di diniego, mentre dà l’ultimo tiro alla sigaretta prima di gettarla via.

“No, figurati.” dice dopo con un breve sorriso; ma non mi guarda, e si tormenta le dita le une con le altre.

È nervoso?

Mi lascio cadere seduto accanto a lui e appoggio la schiena al muro con un gemito.

“Mamma mia, che stanchezza.”

“Ti hanno tormentato, eh?” ridacchia. “E’ il prezzo della fama!”

“Ma quale fama! Magari…” Poi volto il capo a guardarlo. Si sta mordendo l’interno del labbro e ha lo sguardo perso di fronte a sé. “Che ci fai qui… tutto solo in disparteNon compagni, non voli,… schivi gli spassi…”

Non… cosa?!” Ora si è voltato anche lui.

“Niente, scusa.” Scuoto il capo con un sorriso. Poi lo fisso negli occhi. “Allora…?”

Si stringe nelle spalle e torna a distogliere lo sguardo.

“Pensavo.”

“A cosa?”

“A chi…” ed è appena un sospiro. Le sue mani non riescono a stare ferme; e il mio cuore aumenta i battiti.

“A chi?” insisto con apparente leggerezza, ma ora sono nervoso anch’io.

Si sporge in avanti, le braccia appoggiate alle ginocchia.

“Non lo immagini?” e volta il capo verso di me, lentamente. E’ arrossito. Credo di esserlo pure io.

Deglutisco a vuoto, poi lascio andare il respiro. Non so cosa dire.

Così parla lui.

“Credo… Mi piaci… O almeno… Mi hai sempre intrigato, lo ammetto, ma una cosa è parlare attraverso un computer, un’altra farlo di persona. E ieri sera, stanotte… Beh, è stato meglio di quanto potessi anche solo sognare!” Non mi guarda, sembra non riuscirci; però continua a parlare, quasi a voler buttare fuori tutto quello che ha dentro in questo momento, e io faccio fatica a respirare normalmente. “E… mi piacerebbe conoscerti meglio, e che… che questa cosa potesse continuare, in qualche modo. E vorrei anche sapere cosa ne pensi tu: di me, di ieri, di quello che abbiamo fatto… Di quello che ti ho appena detto…”

Fa un lungo respiro, come avesse appena finito una corsa, o un’apnea prolungata, poi torna ad appoggiarsi alla parete. E aspetta.

Ora tocca a me.

Il mio cuore sta battendo così velocemente che mi pare di soffocare.

Non mi aspettavo tutto questo. Non lo volevo.

Ma devo dire qualcosa, dargli una risposta.

“Anche tu mi piaci…” La mia voce trema, come sempre quando sono nervoso; sembra andare a ritmo coi battiti del cuore. “Di solito, non vado a letto con chi non mi attrae.” Faccio un risolino, teso, e lui sembra sospirare. “E mi è piaciuto farlo con te…” Decisamente, sì. “Ma non ti conosco per niente. Ti ho visto ieri sera per la prima volta!”

“Sì, lo so!” Si è sporto verso di me, lo sguardo improvvisamente più acceso, addirittura scintillante. “Infatti, per questo voglio conoscerti meglio, continuare a sentirti, e che non finisca tutto qua!”

E’ speranza quella che gli leggo negli occhi?

“Certo che continueremo a sentirci…”

Speranza? In cosa…?

“E… e a vederci…”

Ecco, in cosa…

“Quando capita, sì…”

“Beh, possiamo farlo capitare un po’ più spesso del solito.”

Speranza. E desiderio.

… No, Ste, no…

“Sarà un po’ difficile: stiamo a più di duecento kilometri di distanza.” Ragionevole, quasi freddo. Nonostante siamo così vicini da toccarci, in questo momento mi sembra di aver messo più distanza fra noi di quanta ce ne sia fra le città in cui viviamo. “E poi, io lavoro, tu studi… Di tempo non ne rimane molto.”

“E che sarà mai? Sono disposto a viaggiare, a muovermi, a…”

“Stefano…”

“Non posso far finta che fra noi non sia successo nulla, cancellare ieri sera e andare avanti come se niente fosse.”

Accidenti! si sta infervorando un po’ troppo.

“Non sto dicendo questo…”

Perché siamo arrivati a questo punto?

“Per te non ha contato nulla?”

Quasi lo urla.

No, non sta urlando; è che ha parlato con una tale intensità nella voce che mi è parso gridasse.

E io ribatto. Forse senza pensare, forse perché è la prima cosa che mi viene da tirare fuori.

O forse perché, inconsciamente, non ho fatto che pensarci da quando gliel’ho sentito dire, ieri sera.

“Era solo una scopata, no?”

Mi scivola fuori come se stessi ribadendo una cosa ovvia.

Lui indietreggia, quasi avesse ricevuto uno schiaffo in piena faccia, e io mi rendo veramente conto di quello che ho detto, lo registro coscientemente, e vorrei potermelo rimangiare.

Perché so perfettamente che non è vero. Che non è così, e non lo è mai stato.

Ma è tardi.

Vedo i suoi occhi spegnersi, il corpo irrigidirsi, e mi chiedo se era questo, quello che volevo, se era questo quello che intendevo per “farlo scontrare con la realtà”…

No, non credo proprio…

Ora avrei solo voglia di avvicinarlo a me e tenerlo abbracciato.

Che diavolo m’è preso?

 

 

“…solo una scopata…”

Come un pugno nello stomaco.

Mi blocco e abbasso lo sguardo con uno scatto. Non voglio che mi guardi negli occhi.

“Ok. Capito.”

Meglio finire qui.

È stata solo una scopata…

L’ho detto io… Volevo che fosse così sin’ dall’inizio. Dopotutto, sono il sostenitore del sesso senza complicazioni o legami, no?

Il solito cretino!

“Senti, Stefano… Mi dispiace. Non…”

“No, hai ragione tu.” lo interrompo. Voglio finire questa discussione al più presto. La mia figura da scemo l’ho già fatta, per oggi. “Scusami tu. Sono un idiota.”

Tiro fuori una sigaretta e l’accendo, mentre mi alzo in piedi cercando di darmi un tono, e di riprendere il controllo di me stesso.

“No che non sei un idiota.” Lo dice con una tale dolcezza che mi devo mordere la lingua per non mettermi a piangere. Altro che controllarmi!

Si è alzato anche lui, e mi sta guardando. Credo. I miei occhi sono ancora rivolti al nulla.

Scrollo le spalle e soffio fuori il fumo.

“Non so che mi è successo. Non è da me prendermi certe sbandate.”

Noncuranza. Indifferenza. Noia.

Sono bravo a fingere. Lo sono sempre stato.

“Sarà stato l’entusiasmo del momento.” scherzo addirittura, e lui fa un risolino.

“Già. Forse.”

Ci avviciniamo alla fine.

“Vorrei continuare a sentirti.” mormora poi, piano. “Se ti va, ovviamente…”

Se mi va…

“Sì, certo. Ci sentiremo di sicuro in chat. Dobbiamo continuare le nostre discussioni accese!” Riesco a ridere, ma dura poco. La mia voce vacilla subito. “E… e magari… magari anche in privata.”

Ho quasi paura a continuare, e non vedo l’ora di rimanere da solo.

“O per telefono, ogni tanto.” finisce lui.

Mi porto la sigaretta alla bocca. La mia mano sta tremando?

“Ok.” e mi esce solo un bisbiglio.

Stupidamente, il mio cuore ha fatto un salto di gioia.

Me lo farò bastare. Ci proverò, almeno. Per ora, più di questo non posso sperare.

E in questo momento, mi pare il massimo.

Piuttosto del silenzio totale, di una lontananza irriducibile…

Lo vedo socchiudere gli occhi e mi accorgo che gli sto buttando addosso il fumo.

“Scusa. Ti dà fastidio?”

“No, no. Anzi… mi fai fare un tiro?”

Gli passo la sigaretta e aspetto che dia una boccata prima di ripassarmela a propria volta.

Lo fa sembrare un gesto così intimo, e provocante, che per un attimo mi sento male.

Cazzo! devo allontanarmi da lui!

Umberto, che ci guarda ad occhi spalancati appiccicato al vetro, è la scusa perfetta.

“Mi sa che ti cercano.” lo avverto, indicandogli la sua nemesi con un cenno del capo, e Massimo si rabbuia.

“Ancora?”

“E’ il prezzo del successo, te l’ho detto!”

“Ma va’! Che altro vuole che gli dica, ancora? Mi ha già chiesto di tutto!”

Butto a terra la sigaretta e la spengo sotto la suola.

“Non credo gli interessino solo i tuoi racconti. Anzi, sono sicuro che questi siano solo un buon pretesto per avvicinarsi a ben altro.” dico con un ghigno.

Eccomi. Questo sono di nuovo io.

Sicuro, malizioso, pungente.

“Cioè?” Massimo non ha ancora capito.

Possibile che sia così ingenuo, per certe cose? Mi fa impazzire…

Scendo uno scalino e mi fermo accanto a lui.

“Al tuo bel culetto, per esempio.” gli sussurro in un orecchio.

Crolla il capo in avanti e lo scuote con un sorrisino.

“Scemo…”

Lo dice come fosse un complimento, la sua voce come una carezza.

“Beh, ci vediamo anche dopo; prima che te ne vai.” 

Annuisce.

“Allora ci salutiamo poi…”

Alzo una mano e cerco di sfoderare il sorriso più allegro che mi riesce, anche se non sono affatto sicuro del risultato.

“Va bene.” ribatte.

Poi si porta due dita alle labbra, ci lascia un bacio, le posa leggere sulle mie.

“Grazie.” mormora ancora, e si allontana.

Io non riesco a dire nulla, non mi muovo nemmeno.

Sento salirmi agli occhi le lacrime, quelle che ho trattenuto finora, quelle che non volevo neanche ammettere di dover versare.

Sento il suo sapore sulle mie labbra.

Mi chiedo se riuscirò mai a farlo sparire. …

 

 

 

 

 

 

- epilogo -

 

… Non ci sono riuscito.

Non ancora. Nonostante siano già passati più di due mesi da quel giorno.

Due mesi durante i quali mi ha fatto capire di non amare le relazioni a distanza, di essere possessivo e un po’ geloso, anche se dal suo comportamento esteriore non di direbbe mai, e uno che in una relazione dà tutto se stesso, e si aspetta la stessa cosa dall’altro…

Due mesi in cui ho capito, più di ogni altra cosa, di aver bisogno di lui, anche se sono l’ultima persona che abbia i requisiti adatti per stargli accanto come lui vorrebbe. Almeno da come ho sempre agito, e pensato, fino a prima di conoscerlo.

Ora… ora sono un po’ cambiato.

Non esco quasi più, e se lo faccio è solo per stare con gli amici; frequento poco la chat,  non mi interessa più nessuno, non mi piace più nessuno, quasi non mi volto più a guardare gli altri ragazzi! Ho addirittura ripreso a studiare sul serio!

Sto rincoglionendo completamente!

E adesso eccomi qui, a girovagare come un idiota per una città sconosciuta, di sabato sera, solo per poterlo vedere anche solo di sfuggita.

Non mi riconosco più…

Ma il fatto è che non ne posso neanche fare a meno.

Guardo la cartina, cerco di orientarmi, poi mi immetto nella via alla mia destra. Non dovrebbe mancare molto. E infatti, dopo appena un paio di svolte, mi ritrovo davanti al negozio, un centro omnitel in pieno centro della città.

Lui lo odia. Odia i cellulari e tutto quanto riguarda quel tipo di tecnologìa, e non sopporta nemmeno molto il contatto con la clientela; ma lo pagano bene, e poi è bravo, quindi per ora rimane dov’è. Io, invece, senza cellulare mi sento nudo, vado in paranoia, e se avessi la possibilità di cambiarne uno al giorno, lo farei!

Una delle tante differenze fra di noi…

Penso tutto questo mentre mi avvicino alla vetrina, per non pensare ad altro, per non soffermarmi sul battito del mio cuore, che sta diventando furioso, e su quanto mi senta cretino ad essere qui, senza scuse valide, senza un vero motivo se non quello di vederlo.

Che mi è saltato in testa?!

Penso, mi ammonisco, mi rimprovero, ma intanto sono davanti alla vetrina, illuminata a giorno, e sto guardando dentro.

Guardo lui.

Finalmente. Dopo tanto.

Sta ascoltando una signora anziana e le mostra dei telefonini, sorridendole. Ha la camicia bianca, una cravatta scura, pantaloni grigi che gli stanno alla perfezione… E si tira indietro la frangia, nel suo gesto abituale che lo fa sembrare ancora più giovane di quanto già non appaia.

È così bello… Fa male al cuore.

Continuo a guardarlo, a seguirlo con gli occhi, attaccato al vetro come un affamato davanti ad un ristorante, mentre mi chiedo se ho fatto bene a venire, se non mi sto solo facendo del male, se non rischio di allontanarlo da me ancora di più.

Sto ancora cercando una risposta fra il casino che ho in testa, che una delle colleghe di Massimo gli dice qualcosa indicando verso di me, e lui si volta.

Si volta.

Tranquillo, quasi indifferente.

Mi guarda.

Incuriosito.

Mi riconosce.

E si blocca, spalancando gli occhi incredulo.

Io sono rimasto fermo, immobile, lo sguardo sempre fisso su di lui. Poi, finalmente riprendo coscienza dei miei piedi, e di quasi tutte le mie facoltà, e faccio un passo indietro, scendendo dal gradino e sparendo alla sua vista.

Cazzo! cazzo! cazzo!

Mi muovo, mi allontano a testa bassa, facendomi largo fra la gente.

Non doveva vedermi! Non doveva sapere che ero qui! Ora penserà che voglio stargli addosso, che lo perseguito, che non ce la faccio a stargli lontano!

Mi infilo sotto dei portici, non so nemmeno dove sto andando; vado avanti a caso, camminando sempre più in fretta.

Che stupido! Perché sono venuto fin qua? Perché mi comporto sempre da cretino? perché non…

“Stefano! Stefano, fermati!”

Una voce. Una mano che si appoggia alla mia spalla.

Mi fermo, e mi accorgo di avere il fiatone. Credo che il cuore mi stia per esplodere…

“Ehi… Ciao…”

La sua voce.

E i suoi occhi, ora nei miei.

Mi sembrano ancor più belli di quanto ricordassi.

“Che ci fai qui?” Ha l’aria sorpresa, ma sorride, anche.

Forse… forse non gli dispiace vedermi…

Forse.

Calmo. Devo stare calmo.

“Ah… eeh…”

Merda! Che mi prende?! Devo solo fingere, indossare una maschera! La solita. Sono bravo, in questo…

Deglutisco a fatica, cercando di riprendere fiato.

“C’era un convegno… un convegno in fiera, e… Sono qui con l’università. Cioè, coi compagni di corso. E… e il professore.”

Dio! sto farfugliando come un idiota!

“E perché non me l’hai detto!?” Perché… Non riesco a capire bene la sua reazione, il suo stato d’animo. O meglio, ho paura di capirlo come desidero. Paura di illudermi… “Sei stato in città per tutto il giorno senza dirmi niente?”

“Non… non volevo disturbarti…” mi lascio uscire in un mormorìo, che esemplifica esattamente quello che sento in questo momento. Senza maschere, senza finzioni. “Volevo solo vedere… dove lavori.”

Non voglio stargli fra i piedi, dargli l’impressione di essere invadente. Se uno mi dice no, lo capisco e mi tiro subito indietro; non mi piace insistere, diventare pesante, magari arrivare ad umiliarmi. Detesto queste cose.

Anche se adesso sono qua…

Faccio un sorrisino, ma probabilmente non si nota nemmeno.

Lui mi guarda stupito. Credo. Mi sembra di non capire più nulla…

Poi sorride anche lui, il suo sorriso dolce che mi scioglie, e scuote piano la testa.

“Che scemo…” mormora a propria volta. Adoro il modo in cui me lo dice. “Senti, io finisco…” guarda l’orologio. “… fra un quarto d’ora circa. Puoi aspettarmi? O devi tornare dai tuoi compagni?”

Aspettarlo?

“Ho il treno alle otto e mezza.”

Lo aspetterei ore. Anche giorni.

“Oh…” Dispiaciuto. Ma forse è solo una mia impressione… Poi si riprende. “Un quarto d’ora. Dammi un quarto d’ora, poi decidiamo il da farsi. Ok?”

Riesco solo ad annuire, mentre lui si muove per tornare al negozio.

“E non scappare di nuovo, eh?” mi ammonisce con un sorriso, prima di infilarsi fra la folla.

Io faccio un lieve cenno di diniego, che lui non può più vedere. Lo faccio a me stesso.

Il battito del mio cuore comincia lentamente a calmarsi; mi pare più leggero, quasi musicale…

No, che non scappo.

Non certo adesso!

 

 

Il sabato è il giorno della clientela più assurda. Forse perché viene il doppio della gente, e nel mucchio la ragionevolezza diventa una rarità.

E la signora Veronesi è l’esemplare perfetto per concludere questa giornata!

Le sorrido, cercando di spiegarle, per la quarta settimana consecutiva, che forse il modello che ha scelto ha i tasti troppo piccoli per la sua vista, e può essere per questo che non riesce a fare i numeri giusti, ma lei continua ad essere titubante. Come ogni sabato da un mese a questa parte.

Mi chiedo come faccio a non saltarle al collo! Di norma, sono abbastanza insofferente verso le persone irrimediabilmente stupide.

Sto diventando troppo buono!

Mi avvicino al bancone con un lieve sospiro e Camilla fa un mezzo sorriso, guardando oltre la mia spalla.

“Chissà se quel tipo si decide ad entrare o se pensa di rimanere a guardare dentro fino alla chiusura…”

A proposito di gente assurda…

“Chi?” chiedo, voltandomi verso la direzione in cui lei sta guardando.

C’è un ragazzo in piedi davanti alla vetrina, quasi attaccato al vetro, e guarda dentro; non la merce esposta, ma l’interno del negozio. Dritto verso di me.

Lo fisso – capelli scuri, corti, abbastanza alto, magro, giacca nera – e finalmente metto a fuoco.

“Stefano?”

Che diavolo…

Senza pensare, mi dirigo alla porta, e nel frattempo mi accorgo che lui è sparito.

Un’allucinazione?

Esco in fretta, senza giacca nonostante il freddo. Alle mie spalle, Camilla sta dicendo qualcosa che non riesco a sentire. Non ha importanza.

Lo vedo sgattaiolare fra la folla che intasa via Roma e lo seguo, quasi di corsa, sgomitando e chiamandolo a voce alta.

Cosa ci fa qui? E perché non si ferma?

Mentre mi avvicino a lui, che cammina a passo svelto con lo sguardo basso, sento crescere in me una strana emozione, e la consapevolezza di non volerlo assolutamente lasciar andare senza almeno parlargli. Il desiderio sempre più forte di vederlo.

“Stefano! Stefano, fermati!”

Riesco a raggiungerlo, lo fermo, mi ci metto di fronte.

Nessuna allucinazione: è proprio lui.

Occhi inconfondibili, labbra sottili, pelle chiara, quasi diafana, in questo momento… E uno sguardo perso, incerto, che non pare il suo, ma che gli dona un casino.

Lo saluto, e mi rendo davvero conto di quanto desiderassi rivederlo. E non solo…

Le mail, la chat, qualche telefonata ogni tanto, non mi bastano.

Gli chiedo come mai è qui, ascolto le sue risposte, e intanto lo osservo, annoto ogni sua mossa, ogni sguardo, e i cambiamenti. È impacciato, nervoso, addirittura intimidito; quasi non sembra lui. O forse, è questo il vero Stefano… Quello che ricordavo dalle prime volte che abbiamo cominciato a conoscerci.

Il “mio” Rei…

Gli sorrido, poi gli chiedo di aspettarmi, di non scappare, e torno di corsa in negozio. Non ho mai avuto tanta fretta di chiudere come stasera. Camilla mi guarda stupita, ma non fa commenti.

Quando esco, lo trovo appoggiato al muro accanto alla porta.

Non è sparito. Per fortuna…

Sono così contento che faccio un risolino senza apparente motivo. Penserà che sono completamente impazzito!

“Eccomi qua! Senti… devi partire stasera per forza?” chiedo senza tergiversare. E senza riflettere più di tanto sulle conseguenze che ne verranno.

Lui mi guarda sbattendo le palpebre, quasi non credesse a quello che sente.

“Ssì… Cioè, sono nel gruppo di quelli che hanno deciso di rientrare. Alcuni restano a dormire in albergo e seguono anche la conferenza di domani. Io non ho prenotato, e adesso è tardi…”

Parla con voce roca, come avesse la gola secca. O paura a dire quello che vorrebbe.

“Da me c’è un posto.” Mentre io di paure sembro non averne affatto! Non sto pensando, non sto ragionando: dico quello che sento, quello che desidero, senza prendere in considerazione nient’altro. “Andiamo a cena da qualche parte, a bere qualcosa, poi dormi da me e riparti domani.” Forse sono impazzito sul serio! “Così parliamo un po’. Non puoi venire fin qua, e andartene subito, no?” Sorrido, cercando di essere il più convincente possibile. “Se ti va… E se puoi, naturalmente.”

È bello vedere i cambiamenti d’umore passare attraverso gli occhi di una persona.

I suoi sembrano illuminarsi pian piano. Danno colore anche al viso.

“Ma è sabato… Avrai già degli impegni. Non voglio farti cambiare programma solo per…”

Ecco che cominciano le scuse inconsistenti. È fatta!

“Nessun programma preciso. Mi basta fare una telefonata e sono libero.”

“Non ho nemmeno un cambio.” prova ancora. “E… ho anche pochi soldi.”

“Ti presto io qualcosa da metterti, e poi sei mio ospite: non ti servono soldi.”

“Ah,no… non posso…”

Accidenti a lui! cosa gli ci vuole a dire di sì?

Lo guardo fisso negli occhi, facendo in modo che non li distolga.

“Mi farebbe molto piacere se restassi.” dico poi.

E lui lascia andare il respiro. Un sospiro che pare svuotarlo, e al tempo stesso scacciare la tensione e l’insicurezza che lo irrigidivano.

“Davvero?” sussurra.

“Davvero.”

Mi guarda ancora, sembra volermi leggere dentro, poi finalmente sorride.

“Ok. Chiamo i miei per avvertirli.”

Sorrido anch’io. Anzi, quasi rido. E mi trattengo dall’abbracciarlo in mezzo alla strada.

“Perfetto!” esclamo, e non mi accorgo di essere addirittura euforico. “Ti prendo il casco: si va in scooter.”

 

Sapevo che sarebbe finita così.

Sapevo di non poterlo invitare a dormire nel mio letto sperando di resistere e di non fare un po’ di sesso.

Il vero problema è che non è stato solo sesso…

Il vero problema è adesso, questo momento, è svegliarsi in questo modo, con lui accanto, e rendersi conto di quanto sia importante questo calore…

È aver cominciato qualcosa di più profondo di quanto avremmo voluto.

O almeno, di quanto avrei voluto io.

Il problema è che è stato più forte di me.

Apro lentamente gli occhi e lo guardo. Dorme profondamente, il volto girato verso il mio, una mano stretta a pugno appoggiata sul cuscino. Ha le guance arrossate e un’espressione rilassata. Sembra un bambino. Un bambino dolcissimo.

Avvicino il viso al suo e gli bacio il naso, poi una guancia, la tempia, le palpebre chiuse; baci leggeri, per non svegliarlo, e intanto gli accarezzo la pelle calda della schiena, e respiro il suo profumo.

Lui si muove, mugugnando qualcosa, poi si stira contro di me e sorride, gli occhi ancora chiusi, il sonno che non lo vuole lasciare.

“Ciao…” riesce a biascicare, e io sorrido a mia volta.

“Ciao…”

Il primo saluto della mattina… La prima carezza… I primi baci…

Come posso pensare di rinunciare a tutto questo?

Gli accarezzo una guancia, e non posso fare a meno di pensare che stavolta mi son cacciato proprio in un bel guaio.

E non so come tirarmene fuori. Anche perché, sinceramente, non lo voglio sul serio.

Non dopo stanotte. Non dopo questa mattina.

Il modo migliore per concludere una giornata.

Quello perfetto per cominciarne una nuova.

Chiudo di nuovo gli occhi e lo stringo a me.

Ci penserò. Troverò una soluzione anche a questo.

Domani.

Adesso è tutto troppo bello…

 


 


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