Per Nausicaa, Ria, Calipso, Kamui, Angie e Kira.
Tutti i diritti della serie Weiss Kreuz sono del
Project Weiss e di Koyasu Takehito (altresì detto ‘il sorriso che uccide’).
Un ringraziamento particolare a Nausicaa e Kamui, per
sostegno, suggerimenti, correzioni.
Buona lettura.
Una nuova
vita
parte III
di
Greta
Quando si ritrovarono
in macchina, erano entrambi molto stanchi.
Era stata una serata
piena di sorprese, di cui molte decisamente positive, in effetti.
Crawford sapeva che era
riuscito a stupire Aya Fujimiya, a farsi vedere sotto una luce diversa:
ritrovarsi ad un convegno con tanta gente importante, di quella che
presidiava ogni edizione del notiziario, il suo discorso, vibrante e
apprezzato da tutti, l’incontro con l’attore, che sapeva aver costituito un
ulteriore indizio, per Aya, di quella che doveva essere stata la sua vita
precedente, poi l’arrivo inaspettato di Kyoko Morige, che aveva causato un
minuscolo, quasi inavvertibile, moto di gelosia nella furia rossa, poi il
bacio sulla terrazza, l’abbraccio pubblico, l’invito a ballare… ok, qui
aveva voluto strafare, era inconcepibile che il leader dei Weiss arrivasse a
tanto in una sola serata, però era riuscito a sorprenderlo, a lasciarlo di
nuovo spiazzato, quasi a domandarsi se non fosse alla fine una cosa normale
per una coppia come la loro.
E ora stavano tornando a
casa.
Alla radio, i REM
cantavano Losin’ my religion, probabilmente la canzone preferita di
quello svitato di Farfarello. Però gli piaceva quell’atmosfera, il buio
all’esterno, le strade quasi vuote, gli alberi spogli, e dentro la macchina
quel silenzio confortevole tra loro, e la voce roca che usciva dalla radio,
mentre il calore nell’abitacolo faceva desiderare di non doverlo lasciare
mai.
Aya era voltato verso il
proprio finestrino, apparentemente rapito dal paesaggio esterno. Non si
erano scambiati una parola, da quando erano saliti nell’automobile, ognuno
di loro era perso dietro ai propri pensieri.
Azionò il telecomando per
l’apertura del cancello della villa, digitando il codice di riconoscimento.
Quando spense il motore e uscì dalla macchina, si accorse che il compagno
era rimasto per qualche istante immobile, come se non si fosse accorto della
fine del viaggio.
Percorsero il vialetto
fianco a fianco, ammirando le ombre proiettate dalla luce della luna piena.
Era una notte serena… fredda e serena, faceva venire voglia di sedersi sui
gradini, ad aspettare l’alba.
Crawford scosse la testa,
doveva essere davvero stanco per avere dei pensieri tanto imbecilli!
In casa era tutto buio.
Probabilmente stavano tutti dormendo, sempre che Schuldig non avesse deciso
di disubbidirgli, cosa improbabile, portandosi Farfarello in giro per la
città, in quelle scorribande sanguinose che fino all’arrivo di Abyssinian
erano state abituali per loro.
Salirono nella loro
stanza, lui si tolse la giacca, poi si allentò la cravatta sfilandosela
lentamente, lasciando ad Aya la precedenza per il bagno.
Invece di continuare a
spogliarsi, si infilò la veste da camera sulla camicia inamidata, aspettando
che l’altro fosse pronto per dormire. Pochi minuti dopo, infatti, la porta
si riaprì, e il ragazzo avanzò verso il letto, indossando uno dei suoi
pigiami di seta grigia.
Quando fu sotto il
pesante piumone, lui gli si avvicinò, sedendoglisi accanto.
“Non vieni a dormire?”
gli mormorò Aya, vedendolo ancora quasi completamente vestito.
Lui scosse la testa:
“Ho ancora del lavoro da
sbrigare…” si interruppe per allontanargli una banda di capelli umidi dagli
occhi: “…come faremmo altrimenti a mantenere questo tenore di vita?”
aggiunse scherzosamente. Si chinò poi per baciargli la fronte:
“Sweet
dreams, honey”.
Si allontanò senza
neanche voltarsi per guardare l’espressione del compagno… era sicuro che non
fosse poi tanto diversa da quella con cui per lungo tempo aveva deliziato
Reiji Takatori…
Quando entrò nello
studio, si sedette immediatamente sulla poltrona dietro la scrivania,
avviando il computer. Il dossier di Schuldig era in un fascicolo, appoggiato
alla tastiera. Aprendolo, vide che conteneva anche un CD. Nonostante l’aria
svagata e leggermente irritante, il tedesco sapeva come svolgere un lavoro.
Inserì il disco nel
lettore. Scosse leggermente il capo quando vide che la cartella era stata
chiamata Juliet, in una ulteriore dimostrazione di quanto fosse
scadente il senso dell’umorismo del compagno.
Foto, tantissime
fotografie digitali: le prime di prova, Farfarello con la camicia di forza,
Nagi con la solita espressione un po’ imbronciata, Schuldig con i vari
ghigni del suo repertorio, e poi…
L’americano strinse i
denti… no, non aveva gradito.
Era una immagine di Aya,
addormentato sul loro letto. Il viso rilassato, la mano sottile poggiata sul
cuscino, accanto al volto. Le lunghe ciglia ad accarezzargli la guancia. Una
foto meravigliosa, ma che nessuno aveva il diritto di fare… nessuno poteva
avvicinarsi a Fujimiya, nessuno oltre lui.
Salvò l’immagine sul pc,
cancellandola poi dal disco, riprendendo poi a scorrere le altre: Koneko no
Sumu Ie, la saracinesca abbassata, il cartello che annunciava la riapertura
dopo una settimana di ristrutturazione, poi le finestre ai piani superiori,
accostate ad indicare che gli abitanti non erano troppo lontani.
Crawford cominciò a
sfogliare i fogli della relazione, ordinati seguendo i pensieri di ognuno
dei tre Weiss rimasti, in fondo notò anche un paragrafo dedicato a quella
ragazza, il collegamento con Kritiker, Manx.
Omi: a quanto pareva
Bombay era impegnato in affannose ricerche sulla rete, aveva scandagliato i
database di ospedali e distretti di polizia, aveva controllato le liste dei
passeggeri di tutti gli aerei in partenza da Tokyo, e poi le stazioni, gli
alberghi, gli ostelli… un lavoro encomiabile! Forse avrebbe dovuto dare
un’occhiata anche ai dojo, pensò l’americano malignamente.
Ken: cosa ci si poteva
aspettare da uno come Siberian? Tampinava il ragazzo più giovane per avere
informazioni, vagava nella città a bordo della sua moto, sperando di vedere
il leader dai capelli rosso fuoco su qualche marciapiede, e poi andava a
giocare a calcio con i ragazzini dell’orfanotrofio… in caso di necessità,
sicuramente uno su cui fare affidamento!
E Yohji: Crawford serrò i
pugni, cominciando a scorrere il suo paragrafo, in assoluto quello più
lungo. Qui Mastermind non si era limitato all’essenziale, descrivendo le
azioni, ma si era lasciato intrigare anche dai pensieri.
Balinese non faceva che
pensare a Fujimiya, ad incolparsi per non essergli stato vicino durante
l’ultima missione, e poi per non avere avuto il tempo di parlargli, di
fargli capire quanto fosse importante per lui. Pareva che fosse proprio
innamorato del suo algido leader, che per lui avesse interrotto la sua
carriera da playboy, e che ora fosse pronto a tutto pur di riaverlo
indietro. Nella mente di Kudoh, Mastermind aveva trovato ricordi, immagini
dei due insieme, il desiderio profondo, ma anche il rispetto e l’ammirazione
che attiravano il biondo verso Aya Fujimiya.
No, non l’avrebbe
riavuto, mai! Pensò il leader degli Schwarz, non avrebbe mai rinunciato ad
Aya, non avrebbe mai permesso a nessun altro di avvicinarsi a lui!
Riprese la lettura,
Balinese sembrava star mettendo a frutto la sua esperienza di investigatore
privato: essendo convinto che Abyssinian non potesse essere morto
nell’incidente, era sicuro che si trovasse da qualche parte, magari privo di
conoscenza, accudito da qualcuno che non aveva sporto denuncia e, forse, che
non aveva interesse a fare andare via quel ragazzo così particolare e
intrigante.
In qualche modo, non si
poteva dire che fosse lontano dalla verità!
Inoltre riteneva che
forse loro Schwarz potessero essere coinvolti. Aveva scoperto la scuola
frequentata da Nagi, e adesso aveva intenzione di seguirlo, per scoprire il
loro nascondiglio.
Sembrava poi che fosse
furioso verso Kritiker… Crawford sorrise sarcasticamente, l’accordo era
stato costoso, ma ne era valsa la pena! L’organizzazione aveva intimato ai
Weiss di abbandonare qualsiasi ricerca del loro leader, senza però fornire
spiegazioni… e questo sicuramente era stato un errore. Manx aveva comunicato
al gruppo dei superstiti che la ricerca di Abyssinian era stata affidata ad
un altro team, più organizzato per lavori di questo tipo, e che loro
dovevano andare avanti, esattamente come avevano fatto prima che Aya si
unisse a loro.
Ma come si poteva pensare
di convincere i tre a lasciare andare qualcuno che aveva sconvolto così le
loro vite, qualcuno che, solo con silenzi, freddezza ed un carattere
impossibile, era riuscito a renderli amici?
Fra l’altro, tutti e tre
erano convinti che ci fosse più di qualche particolare che Kritiker teneva
loro nascosto: avevano scoperto quasi subito il rapimento di Aya-chan… e non
poteva essere una coincidenza che fosse avvenuto in concomitanza con la
scomparsa del fratello. C’era qualcosa che non andava… qualcosa che li
spingeva a disobbedire agli ordini e a continuare le ricerche.
Il paragrafo relativo a
Manx spiegava bene il carattere della donna: sapeva che il suo ruolo
all’interno dell’organizzazione la obbligava all’obbedienza, ma nello stesso
tempo ardeva di rabbia per quello che era successo, per la sofferenza dei
Weiss, per la sorte di Aya in mano al nemico, venduto dalle persone per le
quali aveva dato l’anima, sì, era proprio il caso di dirlo, e, pur non
rivelando niente, sperava che presto la verità venisse alla luce, e che lui,
Brad Crawford, scontasse qualsiasi cosa avesse deciso di fare ai fratelli
Fujimiya.
L’Americano chiuse gli
occhi… era stata una serata lunga, e tutto quello che avrebbe desiderato era
andarsene a letto, addormentandosi abbracciato ad Aya, e invece aveva dovuto
subire l’assalto di tutte quelle parole, di tutti quei pensieri.
Si sfilò gli occhiali,
appoggiandoli sulla scrivania, poi ruotò sulla poltrona, fino a guardare il
cielo stellato fuori dalla finestra. Si portò le braccia dietro la nuca,
allungando i muscoli in un vano tentativo di rilassarsi…
Chiuse gli occhi, sapeva
quello che stava per vivere, l’effetto squassante che accompagnava ogni
visione…
Si sollevò in piedi,
stavolta era stata anche colpa sua, un eccesso di leggerezza, ma tanto prima
o poi il confronto sarebbe arrivato lo stesso.
Omi aveva scoperto chi
aveva portato via Aya-chan. Nonostante le precauzioni che avevano preso,
qualche traccia era rimasta, inevitabile, e quel segugio in calzoncini corti
era riuscito a fiutarla.
Schwarz, ora erano sicuri
di chi si nascondesse dietro la sparizione del loro leader…
Accese la televisione: in
qualche modo lo faceva sorridere l’idea che in quel momento Yohji Kudoh
stava vivendo la stessa esperienza!
Il notiziario era quasi
terminato, mancava la coda degli incontri mondani.
Una bella panoramica sul
centro di Tokyo, e poi il campo si stringeva sul Palazzo dei Congressi. La
voce blaterava qualcosa sul raduno del gotha della finanza nippo-americana,
ma i suoi occhi non si distraevano dallo schermo.
L’operatore riprendeva le
persone che varcavano il portone principale dell’edificio… un bello zoom
sulla coppia che avanzava sulla guida. Gli venne quasi da ridere, pensando
alla reazione di Balinese, prima distratto, poi improvvisamente più attento…
domandarsi se non si stesse sbagliando, e dover poi riconoscere che era
proprio vero, non c’era possibilità di errore, erano proprio Oracle e Aya ad
avvicinarsi, fianco a fianco, all’obiettivo della telecamera!
E doveva anche ammettere
che insieme facevano una certa figura… l’alterigia di Fujimiya insieme alla
propria autorità: proprio una coppia da rotocalchi mondani!
Spense la televisione, e
poi le luci. In ogni caso, per quella notte non c’era altro da fare. Anche
il povero Yohji Kudoh poteva al massimo decidere di annegare le proprie
congetture nell’alcool…
Entrò nella camera da
letto, avvicinandosi silenziosamente alla figura addormentata: accarezzò con
lo sguardo i capelli che ricadevano scomposti sul cuscino, quel viso
pallido, sottile… Aya era suo, e lui non era tipo da scherzare quando si
trattava delle sue proprietà.
Dopo essersi preparato
per dormire, scivolò sotto le coperte. Insinuò rapidamente le braccia
intorno alla vita del compagno, sentendolo appena irrigidirsi al contatto.
La stanchezza e le emozioni della giornata dovevano essere state tali da
gettarlo, per la prima notte, in un sonno profondo, che non poteva essere
scalfito neanche dal contatto tra i loro corpi…
Una giornata strana,
incredibile… i pensieri gli si sovrapponevano nella testa, impedendogli di
pensare con raziocinio.
Era rimasto
tranquillo, in casa, a studiare quelle persone che sembravano essere la sua
unica famiglia, e pensava di aver riconquistato un po’ di controllo sulla
propria vita. Poi però era tornato Brad… era ancora strano doverlo e poterlo
chiamare in quel modo, tutto sommato rimaneva poco più che uno sconosciuto,
fra l’altro una persona che non riusciva a comprendere, che gli sembrava
misteriosa, nonostante tutte le cose che gli raccontava.
Erano andati a quel
ricevimento, e lui si era sentito un pesce fuor d’acqua. Quando quel signore
anziano si era fatto loro incontro e lo aveva riconosciuto, si era sentito
come perso, per la prima volta aveva capito che davvero era esistita una
vita, prima dell’incidente… fino a quel momento, i racconti di Crawford, di
Schuldig e di Nagi gli erano sembrati quasi un gioco, e invece era arrivata
quella conferma, improvvisa e sorprendente.
E poi c’era stato il
discorso: anche lui, come gli altri che affollavano l’auditorium, si era
sentito trascinare da quelle parole. Non dal loro significato, ma dal loro
sembrare una musica, un vento caldo e leggero che lo sosteneva in quel suo
volo senza obiettivo. E infine quella donna, così sfacciatamente
indisponente, così ‘cacciatrice’. Se ne era andato perché si era sentito in
pericolo, perché aveva temuto che anche il suo unico punto fermo gli fosse
portato via.
Dai racconti,
sembravano aver vissuto felicemente insieme, e allora perché lui sentiva
quel fondo di angoscia? Quel dolore sordo nel petto? C’erano troppe cose che
non capiva, come cosa lo avesse spinto a ricambiare quel bacio, ad
appoggiarsi a Brad. Lo aveva amato, in passato, e quindi la sua reazione
doveva essere considerata normale, eppure non era così; quel bacio gli era
sembrato il primo che avesse mai dato, non gli aveva ricordato nulla,
nessuna sensazione già vissuta, come era stato invece quando aveva preso la
katana in mano: anche allora non erano arrivati ricordi a confortarlo, ma
‘sapeva’ di aver già stretto quell’arma tra le mani, lo aveva sentito…
Ecco, adesso Brad era
uscito dal bagno. Chiuse gli occhi per non farsi vedere sveglio, e lo sentì
scivolare tra le lenzuola. Immediatamente due braccia forti si fecero strada
intorno al suo corpo. Si irrigidì, pronto a protestare, ma non ne ebbe la
forza: aveva bisogno di quel calore, di quel sostegno, e il fatto di
sembrare addormentato gli permetteva di approfittarne senza rischiare il
proprio orgoglio.
Aya era andato ad
allenarsi al dojo, e per una volta lui aveva evitato di mettergli qualcuno
alle costole, del resto doveva approfittare di quella circostanza per
convocare una specie di consiglio di guerra.
Erano tutti nel suo
studio, Schuldig plasticamente abbandonato sul divano, Nagi impettito sulla
sedia più rigida, e Farfarello accovacciato sul tappeto, inaspettatamente
più tranquillo e meno istoriato del solito.
Ovviamente lui era seduto
sulla poltrona girevole dietro la scrivania, le mani unite davanti a sé, con
le punte delle dita che si sfioravano:
“Dobbiamo prepararci”
concluse, dopo aver spiegato la visione che aveva avuto la sera precedente.
“Oh, oohh… una soluzione
potrebbe essere che il nanetto non vada più a scuola…” propose il tedesco,
sfoderando uno dei suoi sorrisi più indisponenti all’indirizzo del piccolo
giapponese.
“Non mi sembra una buona
idea” replicò serio il diretto interessato.
Da quando Aya aveva
cominciato a seguirlo nello studio, Nagi sembrava essere stato colto da una
passione insospettabile per il proprio corso scolastico.
<Non ti preoccupare,
piccolo Einstein, il tuo Kätzchen ti aiuterà anche in un nuovo istituto…
sempre che il nostro impavido comandante glielo consenta!> gli trasmise il
tedesco, ampliando il suo ghigno.
“Smettila, Schuldig!” lo
riprese subito Crawford.
“Non voglio che i tre
mercenari di Dio ce lo portino via…” si intromise l’irlandese, con la sua
voce roca.
“Non agitarti, mangiatore
di coltelli, Crawfie non permetterà a nessuno di rubargli il giocattolo…
soprattutto non lo permetterà ad un certo playboy di nostra conoscenza…”.
L’Americano rivolse uno
sguardo gelido al suo sottoposto, che però lo ricambiò con occhi ridenti:
“Sbaglio, forse, Mein
Führer?”
“Se non te ne fossi
accorto, il tuo blaterare ci annoia” si interruppe un istante, poi
ricominciò “Lo scontro è inevitabile, i Weiss sanno troppe cose per non
darci la caccia fino a che non ci avranno trovati. Non saranno mai un
pericolo, per noi, ma preferisco scegliere il momento e il luogo in cui
incontrarci, non mi sono mai piaciute le sorprese…” e fortunatamente, grazie
al suo dono, non ne aveva avute spesso.
“Dobbiamo ucciderli?”
chiese Farfarello, continuando a guardare fuori dalla finestra, come se
l’argomento lo interessasse solo parzialmente.
Crawford rimase in
silenzio. Non aveva mai avuto dubbi, come leader degli Schwarz, ma questa
cosa lo toccava troppo da vicino: se Aya avesse mai recuperato la memoria,
se tutto fosse venuto a galla, quali reazione poteva aspettarsi dopo aver
ucciso la cosa più vicina a degli amici che il ragazzo aveva?
“Potremmo proporgli un
patto…” mormorò Nagi, con un’espressione assorta nei grandi occhi.
Prodigy se ne usciva
spesso con idee tutt’altro che malvagie, forse era il caso di starlo a
sentire:
“Vai avanti” lo
incoraggiò.
“Proponiamogli una sfida,
una cosa normale…” il ragazzino sollevò gli occhi, lo sguardo più deciso, ma
le sue parole furono interrotte da Mastermind:
“NORMALE?! Noi non siamo
normali… siamo delle persone speciali, superiori!”
“Taci, Schuldig!”
intervenne lui, pronto a riportarlo in riga.
“Una sfida ad armi pari,
tre contro tre…” riprese Nagi
“Questo significa che, in
caso di sconfitta, dovremmo rinunciare a Fujimiya, te ne rendi conto?! In
questo momento, invece, non impiegheremmo un minuto ad ucciderli: rapidi,
efficienti, efficaci…Schwarz, in altre parole” stavolta Schuldig era molto
più serio del solito, ma poi il ghigno gli ricomparve sul viso “Io propongo
di agire senza perdere tempo… i tre gattacci non si accorgeranno neanche di
cosa gli sia accaduto!”
Crawford rimase in
silenzio: quali erano le possibilità di vincere una sfida di questo tipo? Si
sarebbe accontentato di meno del 100%? Non era meglio utilizzare il sistema
proposto da Schuldig? In quel modo non ci sarebbero stati rischi…
“Gli toglierò un’unghia
alla volta: Siberian, o come si chiama, non è un problema” comunicò tetro
Farfarello.
“Io mi occuperò di
Bombay… armati o no, non avrà scampo”.
Schuldig scosse la testa:
“Il playboy, dopo il mio
lavoretto, non attirerà neanche un cieco” promise sconsolato.
Crawford ruotò la
poltrona, fino a dar loro le spalle:
“Accetteranno che usiamo
le nostre capacità? Tu, Nagi, non sei abituato a combattere a mani nude.
Neanche Bombay, ma è sicuramente più abile di te. E tu, Schuldig, sicuro di
riuscire a scontrarti con una furia come Kudoh, senza prima leggergli nella
mente?” Farfarello sembrava l’unico a non dare problemi, la sua incapacità
di sentire il dolore era qualcosa di intrinseco, non avrebbe mai potuto
separarsene.
Il tedesco accennò una
delle sue smorfie divertite:
“Te l’ho già detto, non è
di me che ti devi preoccupare. Più che altro, tieni lontano il nostro
piccolo principe…”.
Lui non rispose, ancora
assorto nei propri pensieri. Poteva essere una strada, ma non era affatto
sicuro che fosse la migliore.
Schuldig si alzò in
piedi, portandoglisi davanti:
“Cominciamo a muoverci?”
gli chiese, stavolta con espressione seria.
Crawford rimase ancora in
silenzio, poi annuì lentamente.
Era di nuovo solo, erano
tutti usciti, pervasi da una strana euforia, come se fossero tornati i bei
tempi delle loro missioni da Schwarz, quando facevano qualcosa di più che
guardare le spalle a qualche potente yakuza.
Eppure lui era tutt’altro
che tranquillo: si voltò verso lo schermo del computer, inserendo la
password della sua cartella personale. Immediatamente l’immagine di Aya
addormentato comparve sul monitor. Per la prima volta aveva paura: c’era
qualcosa di comico in questo, ma lui, in grado di prevedere il futuro, in
grado di non farsi mai prendere alla sprovvista, ora temeva di agire e di
perdere qualcosa che lo stava legando ogni giorno di più.
Sapeva che non avrebbero
dovuto aver problemi con i Weiss, la disparità delle loro preparazioni era
abissale, quei tre esseri banali non sarebbero mai riusciti a farcela, ma
stavolta era preoccupato anche solo da quell’1% di possibilità di essere
sconfitti.
Si alzò dalla sedia, si
infilò il cappotto e lasciò la villa, a piedi.
Con le mani affondate
nelle tasche, e nessuna fretta di arrivare in un posto particolare,
raggiunse il lungomare. Nonostante il cielo sereno, il vento spazzava le
strade, e le onde battevano contro le rocce alzando schizzi altissimi. Si
appoggiò alla balaustra, continuando a guardare l’acqua di un blu quasi
nero. Una grossa barca da pesca, a largo, sembrava ondeggiare in balia dei
flutti.
Chissà, forse avrebbe
potuto approfittare del momento della battaglia per portarsi via Aya, magari
in America. Dubitava che qualcuno avrebbe potuto ritrovarli, e così
sarebbero stati soli, quello che lui desiderava oltre ogni altra cosa,
essere l’unico mondo del compagno.
Ma sarebbe stata
un’azione indegna: come leader degli Schwarz non avrebbe mai potuto
utilizzare gli altri come un diversivo. Nell’assurdo mondo in cui vivevano,
esisteva pur sempre un codice d’onore. Non gli restava che aspettare, magari
avrebbe avuto una premonizione, qualcosa che gli desse qualche indizio sulla
sorte che li aspettava.
Voltò le spalle alla
scogliera bagnata dalle onde, e si avviò con calma verso il dojo di Aya.
Sentiva fortissimo il desiderio di vederlo, e pur sapendo di dover
combattere questa ossessione che non lo faceva più vivere tranquillo, era
estremamente più facile lasciarsene catturare.
Quando entrò, Aya stava
combattendo con il giovane maestro che avevano conosciuto la prima volta:
Crawford si fermò vicino all’ingresso della sala, appoggiandosi alla parete,
soddisfatto dalla sola possibilità di vedere Abyssinian così concentrato
nella sfida.
L’immobilità assoluta, lo
studio dell’avversario, e poi l’attacco rapido, fatale… questo era Aya, un
angelo capace di condannarti all’inferno. La spada, il simbolo della
giustizia, era davvero l’arma più adatta a lui, e adesso che non ricordava
più tutta la sua vita precedente, sembrava che avesse anche riconquistato la
sua innocenza originaria.
Il combattimento non durò
a lungo, e il risultato era più che scontato.
Lui rimase appoggiato al
muro, aspettando che fosse l’altro ad avvicinarglisi; e infatti fu Aya ad
andargli incontro, con quei suoi movimenti inconsapevolmente indolenti,
sinuosi:
“Come mai sei venuto?”
Sicuramente sarebbe stato
più gradito qualcosa di romantico, magari un abbraccio veloce, ma era
inutile pretendere che la sua piccola ape non pungesse:
“Ho il pomeriggio libero.
Pensavo di fare una passeggiata” gli rispose appoggiando la nuca contro il
muro e chiudendo gli occhi.
Avvertì qualcosa di molto
simile alla preoccupazione nell’improvviso silenzio dell’altro, quindi
riaprì immediatamente gli occhi:
“Ti va?” chiese,
portandogli dietro l’orecchio una ciocca di capelli.
Aya si ritrasse appena,
come imbarazzato, poi annuì, avviandosi verso gli spogliatoi.
Ma chi doveva vedere
aveva visto, infatti Crawford non dovette voltarsi per sentire le ondate di
odio da parte del giovane maestro.
Uscirono che era buio,
andarono a Ginza, camminando senza meta tra la gente che affollava il
quartiere dello shopping. Si fermarono per un tè, e parlarono poco. Stavolta
era lui a desiderare quel silenzio, a non volerlo combattere trovando
argomenti che potessero avvicinarli: inaspettatamente, sembrava che quell’assenza
di parole gli fosse in qualche modo confortevole.
Quando tornarono a casa,
trovarono Schuldig, Farfarello e Nagi in cucina. Stavano parlando
animatamente, ma quando loro entrarono, scese un silenzio scomodo.
“Tutto bene?” chiese
Crawford, cercando di mantenere un tono disinvolto.
“Certo…” rispose Nagi,
alzandosi per cominciare a preparare la cena.
<Mentre tu eri a spasso
con il bocciolo di rosa, abbiamo parlato con i Weiss…> gli trasmise Schuldig,
senza distogliere lo sguardo dalla rivista che teneva aperta sulle
ginocchia.
<Dopo> gli rispose lui,
avviandosi con Aya verso la loro camera da letto.
“C’è qualcosa che non va”
gli si rivolse il compagno, non appena la porta fu chiusa alle loro spalle…
l’espressione seria del suo volto sembrava in tutto e per tutto quella di
Abyssinian in missione.
Lui gli sorrise,
abbassando la testa:
“Sarà una delle solite
discussioni tra Schuldig e Nagi: uno ha la lingua troppo lunga, e l’altro
non ha senso dell’umorismo. Non c’è niente di cui preoccuparsi” lo
rassicurò.
“Mi stai nascondendo
qualcosa” insistette l’altro.
Non era il momento per
uno dei loro simpatici scontri; gli si avvicinò e lo abbracciò, senza dargli
il tempo di reagire. Aveva bisogno di sentirlo vicino.
“Brad…”
Aya non riuscì a dire di
più, le labbra dell’Americano sulle sue gli impedirono qualsiasi protesta.
Crawford si accorse di
come questa volta la resistenza fosse stata quasi nulla; ironia della sorte,
proprio nel momento in cui sentiva più in pericolo la loro relazione,
avvertiva l’altro molto più vicino.
“Ti va di uscire,
stasera? Mi piacerebbe portarti a bere qualcosa…”.
<Non ti credevo così
abietto… farlo ubriacare per poi approfittarti di lui!>
La voce divertita del
tedesco gli echeggiò nella testa.
<Sparisci,
immediatamente!> gli ordinò irato.
<Prima di mettere in moto
il tuo diabolico piano di seduzione, forse è il caso che parliamo dei Weiss…
non sei curioso?> gli ribatté l’altro, senza scomporsi.
<Me ne parlerete quando
lo deciderò io. Ora vattene>.
Riportò immediatamente
l’attenzione su Aya, ancora stretto tra le sue braccia:
“Allora? Ti va di
uscire?” gli ripeté.
L’altro si allontanò da
lui, puntando i pugni contro il suo petto, la testa abbassata:
“Da quando ha importanza
quello che penso io?” gli chiese, sollevando lo sguardo su di lui,
nuovamente freddo.
“Da sempre, amore” rise
Crawford, poi si voltò verso l’armadio “Stasera ti stupirò” promise,
scegliendo i vestiti da indossare.
Quando Aya uscì dal
bagno, dopo essersi cambiato, lui aveva già terminato di prepararsi. Si
voltò lentamente verso il compagno, come se volesse dargli il tempo di
studiarlo bene, ed effettivamente era proprio quello che l’altro stava
facendo. Il volto impassibile di Fujimiya non rivelava emozioni, neanche la
legittima curiosità, ma gli occhi erano chiaramente concentrati su di lui.
Effettivamente era stato
di parola: lo aveva stupito!
Jeans chiari, quasi
sbiaditi, camicia grigia, fuori dai pantaloni e con i primi tre bottoni
slacciati, chiodo nero e anfibi… indubbiamente un certo cambiamento rispetto
ai suoi soliti completi manageriali.
Aya invece aveva
indossato dei pantaloni a vita bassa, neri, una maglietta di velluto rosso
scuro, che gli fasciava il corpo sottile, e la giacca lunga, di pelle.
Era semplicemente bello,
come sempre.
Salirono sulla Porsche
nera, parcheggiata in garage, e si avviarono verso il centro.
Il pub si trovava in una
via piuttosto trafficata, ma non invivibile e piena di ragazzini come quelle
del cuore pulsante della Tokyo notturna.
Entrarono, e
immediatamente furono investiti dalla musica, dal fumo e dal brusio interno.
Uno dei camerieri li
accompagnò immediatamente ad un tavolo d’angolo, in una posizione
relativamente tranquilla, servendoli subito dopo con due boccali di birra
scura.
Un angolo di Irlanda al
centro del Giappone, questa doveva essere stata l’idea dei gestori. Alle
pareti, enormi cartelloni incorniciati riportavano i tratti salienti della
storia della lontana repubblica, paesaggi verdi, scogliere, prime pagine di
vecchi giornali di Dublino, e poi, ovunque ci si girasse, si veniva assaliti
da pubblicità della Guinness, l’orgoglio nazionale.
Crawford alzò il
bicchiere, come a proporre un brindisi. Il rumore del locale impedì alle
parole di raggiungere l’altro, ma bevvero insieme, per poi voltarsi verso il
piccolo palco arrangiato, dove due ragazzi avevano cominciato a soffiare sul
microfono per attirare l’attenzione.
Molta buona volontà e un
po’ di voce, i due cominciarono a cantare uno dopo l’altro tutti i successi
Irlandesi e Inglesi, accompagnati occasionalmente dai cori alticci del
pubblico.
Quando fu il turno di
With or without you le coppie cominciarono ad affollare l’unico angolo
libero del locale, e Crawford tentò di studiare la reazione di Aya,
considerando il fatto che parecchie di queste coppie erano costituite solo
da uomini.
L’altro si portò il
secondo boccale di birra alla bocca, vuotandolo tutto d’un fiato, senza
mutare in alcun modo la propria espressione.
E arrivò il momento che
stava aspettando, quello di Hey you: si alzò portandosi accanto al
compagno, allungando una mano per afferrargli il polso. Aya era
sufficientemente annebbiato da seguirlo docilmente, e così fu
inaspettatamente semplice ritrovarsi al centro della pista, abbracciati.
L’algido, gelido
Abyssinian che si appoggiava sulla sua spalla, lasciandosi cullare… anche
lui chiuse gli occhi, accarezzandogli con le labbra i capelli morbidi. Le
canzoni si susseguivano, senza che il loro abbraccio si sciogliesse, anzi…
ormai Aya si era completamente abbandonato contro il suo petto, gli occhi
chiusi e le mani strette intorno al suo collo. Si chinò a cercargli le
labbra, incurante dei numerosi sguardi che avevano attirato.
Fu in quel momento che
Aya riaprì gli occhi, scoprendo le iridi violette liquide, stupite.
“Va tutto bene, amore,
adesso andiamo a casa. Potrai riposare…” gli mormorò lui, come per
rassicurarlo.
Uscirono ancora
abbracciati, quasi a difendersi dal vento gelido che spazzava le strade
della città. Il percorso fino a casa fu silenzioso, ancora una volta
Fujimiya sembrava preso da quello che scorreva all’esterno dell’automobile,
nonostante spesso la sua mano venisse catturata da Crawford, e stretta con
quello che voleva essere un gesto rassicurante.
Quando entrarono in casa,
lo aiutò a spogliarsi e a lavarsi, poi lo infilò nel letto, come se fosse un
bambino, prima di spengere la luce ed entrare nello studio.
Gli era costato non
sfruttare la situazione a proprio vantaggio,
ma visto l’equilibrio precario sul quale stavano costruendo la loro
relazione, non era assolutamente il caso di rischiare un passo falso come
approfittare dello stato di annebbiamento del compagno.
Si versò un bicchiere di
whisky, e non fece neanche in tempo a mettersi seduto che Nagi e Schuldig
entrarono nella stanza, seguiti poco dopo da un Farfarello mezzo
addormentato, e infantilmente innocente nell’ampio pigiama azzurro.
<E bravo Bradley! Piano
piano stai facendo breccia. Con i tuoi modi compiti sei più velenoso di un
serpente… povero principino addormentato!>
Crawford si mise seduto,
congiungendo le dita sul tavolo davanti a sé:
“Avete parlato con i
Weiss…” disse, ignorando, come sempre, le parole del tedesco.
“Ho contattato Bombay,
stamattina” cominciò Nagi “All’inizio non volevano neanche incontrarci,
almeno questo era il pensiero di Balinese, secondo quello che ha letto
Schuldig…”.
“E poi?” lo spronò lui.
“Mi sono inserito
nuovamente sul loro computer, inviando un secondo messaggio con la proposta
di un accordo, e stavolta, dopo un po’ di attesa, è giunta la risposta
positiva…”
“Ci siamo incontrati ai
giardini pubblici di Shiokai, davanti a tanti bei bambini innocenti e a
mamme allegre e fiduciose…” si intromise Mastermind “…i tre superstiti,
senza il capo branco, sembravano poco più che randagi. Devo dire che il
biondone nutre pensieri molto poco casti sul tuo bocciolo di rosa, e devo
anche riconoscergli una discreta fantasia… un po’ hentai, ma fantasioso…”
Crawford si alzò in
piedi, portandosi di fronte al tedesco ancora ghignante: si chinò fino ad
afferrargli il colletto della giacca, sollevandolo in piedi e sbattendolo
contro il muro:
“Chiudi quella fogna,
bastardo!” gli sibilò sul viso.
<Riferivo la verità… ma
se preferisci far finta di non avere concorrenza, peggio per te! Solo, non
ti credevo uno struzzo…>
La testata che il tedesco
diede contro la parete fu qualcosa che sia lui che il muro avrebbero
ricordato a lungo, ma la sua lingua lunga sembrava comunque esserne uscita
indenne. Mentre l’americano tornava alla propria scrivania, Mastermind non
fu infatti capace di trattenere un:
<Non hai senso
dell’umorismo, yankee…>
“Prodigy, continua, e
sbrigati!” impose freddamente Crawford, riprendendo la propria postazione.
“Hanno accettato lo
scontro, senza porre condizioni. Sembrano convinti di poter vincere, ma sono
principalmente pieni di rabbia. Sia Balinese che Siberian ci hanno
minacciato… temono che possiamo aver fatto del male a Fujimiya” concluse il
ragazzino, compitamente.
“Dove e quando” chiese
lui, lo sguardo fisso sul vaso di rose appoggiato sul tavolino basso.
“Domani sera, al porto,
molo 31; quello dove è ormeggiata la vecchia Queen of the Seas”.
“Nessuna condizione?”
ripeté lui.
“Vogliono vedere il loro
leader”.
Crawford sollevò lo
sguardo, stupore e rabbia mescolati nei suoi occhi:
“Vogliono essere sicuri
che stia bene, abbiamo preso tempo…” mormorò ancora Nagi.
“Non se ne parla. Staremo
al patto, ma non ci sarà nessun incontro. Non voglio che Aya si agiti, tanto
più che sarebbe a vuoto, visto che i tre non hanno speranze contro di noi…
sbaglio?” sibilò poi, alzando lo sguardo sugli Schwarz.
“Non sbagli” rispose il
tedesco per tutti.
“Domani comunicate che
questa è la nostra ultima offerta” comandò, alzandosi in piedi indicando che
la riunione era finita.
Fu una notte agitata, che
neanche il fatto di stringere Aya tra le braccia riuscì a rasserenare.
Rimase sveglio, come a sperare che gli giungesse una delle sue famose
premonizioni. Sapeva bene che nelle questioni in cui era emotivamente
coinvolto era molto difficile che il proprio dono si manifestasse, ma era
successo anche questo, e quindi sperava in qualche modo che il prodigio si
ripetesse.
Dopo la colazione, invitò
Aya ad accompagnarlo in ufficio, per ricominciare a studiare alcune cose per
poter tornare un valido supporto nella gestione degli affari. Aveva paura
che potesse succedere qualcosa, che il ragazzo potesse scomparire d’un
tratto.
Fujimiya accettò, sebbene
il suo atteggiamento fosse molto più distaccato di quello della sera
precedente, quasi che ancora si stesse chiedendo cosa fosse successo.
Andarono con la BMW, e
lui tornò ad indossare uno dei suoi costosi completi. Sembrava così lontana
la loro serata disinvolta e spensierata, entrambi si erano in qualche modo
isolati l’uno dall’altro, presi dal cercare di risolvere problemi molto
diversi.
Entrarono nel
grattacielo, accolti dall’inchino delle signorine della reception, mentre il
ragazzo dell’ascensore li attendeva per accompagnarli al piano desiderato.
Crawford si guardò
intorno, i sensi tesi a captare qualsiasi presenza sospetta. Un
investigatore privato degno di questo nome non avrebbe impiegato molto a
localizzare la sede della sua società, inoltre gli sembrava di avvertire uno
strano presagio; non era una premonizione, ma qualcosa che avvertiva sulla
pelle…
Entrarono nel suo
ufficio, lui posò la ventiquattrore e si tolse il cappotto. Diede una rapida
occhiata alla posta e alle ultime quotazioni della borsa americana,
lasciando Aya ad ammirare la città, distesa sotto le loro finestre.
“Ti va di vedere come
lavoriamo? Magari ti viene in mente qualcosa…” gli propose poi, appena
terminate le incombenze più pressanti, e in qualche modo infastidito dal
tornare sempre a quel gioco.
Un enorme open-space li
accolse con il suo brusio caratteristico.
La maggior parte degli
impiegati erano giovani rampanti, appena usciti dalle università più
prestigiose del Giappone, pronti a mettere le proprie doti di intraprendenza
al servizio di una società che viveva investendo in titoli in ribasso, per
poi rivenderli quando le azioni risalivano, senza minimamente curarsi di
cosa vi si nascondesse dietro.
Nel gergo finanziario,
società come quella di Brad Crawford venivano chiamate società-avvoltoio, ma
chi le dirigeva continuava ad essere omaggiato come mago della finanza.
Strane contraddizioni…
Imboccarono un corridoio
coperto da una soffice moquette: niente open-space, ma uffici singoli, con
mobili in legno pregiato e quadri alle pareti. Il cervello dell’azienda, in
cui venivano studiati andamenti, rapporti internazionali, influenze dei
mercati vicini. Qui si trovavano le menti che procuravano all’americano i
resoconti e le analisi su cui poi lui doveva dire l’ultima parola.
“Tu lavorerai qui, quando
avrai terminato l’Università” disse, guidando Aya verso un ufficio con la
targhetta ancora libera, in fondo al corridoio.
Il compagno sollevò lo
sguardo, un lampo d’ira chiaramente percepibile nei suoi occhi:
“Sarò io a decidere”
replicò gelido.
Crawford sorrise, senza
rispondere. Negli ultimi giorni si era reso conto di quanto gli piacesse
pensare di stare costruendo qualcosa non solo per sé, di quanta energia gli
desse il dover pensare ad un’altra persona.
Tornarono nel suo
ufficio, e lui cominciò a spiegare l’organizzazione del lavoro, a portare
esempi di successi e insuccessi che la società si era ritrovata ad
affrontare. Stava cercando di trasmettere al compagno il fascino di alcune
statistiche appena giunte dal ministero delle Finanze, quando suonò
l’interfono.
Crawford ascoltò con
attenzione, poi lasciò la sala rapidamente.
Il presagio si era
rivelato fondato.
Il capo del servizio
d’ordine gli mostrò i nastri impressionati appena mezzora prima, la prova
che i Weiss non avevano perso tempo. No, erano stati rapidi, ma avevano
dimenticato un’unica telecamera, nel loro percorso di avvicinamento, e le
guardie se ne erano accorte e lo avevano avvertito.
Le congedò assumendosi il
controllo della situazione, e si avviò velocemente verso l’ufficio:
volevano controllare che Aya stesse bene? Beh, lo avrebbero fatto alle sue
condizioni.
Passando di fronte alla
porta che portava alle scale antincendio, rallentò il passo. Superò l’angolo
del corridoio e si fermò.
Non dovette aspettare che
pochi minuti. Evidentemente lo stavano seguendo, per capire dove trovare il
loro leader… e lui uscì allo scoperto proprio nel momento in cui Balinese si
riaffacciava con disinvoltura nel corridoio. Se non fosse stato che se lo
aspettava, neanche lui avrebbe dato troppa attenzione a quel ragazzo che
sembrava uno dei tanti del servizio di sicurezza.
“Che piacevole sorpresa…”
sibilò, sfoderando un sorriso sarcastico.
“Oracle… finalmente
faccia a faccia!” gli replicò Kudoh gelido, come se non fosse affatto
sorpreso di ritrovarselo di fronte. Doveva aver pensato, erroneamente, che
lui fosse intervenuto in seguito ad una visione: “Portami da Aya” aggiunse
subito dopo, stavolta con una nota di urgenza e rabbia nella voce.
“Avete aderito ad un
patto, ma evidentemente non è nello stile dei Weiss rispettare la parola
data…” notò lui, appoggiandosi con le spalle alla parete.
“Siamo stanchi dei vostri
giochetti, Schwarz, Abyssinian non vi appartiene!”
“Il tuo problema è che
non appartiene neanche a te” glielo aveva detto fissandolo negli occhi,
sicuro di scatenarne una reazione.
Si spostò di lato appena
prima che il laccio di Balinese gli si avvolgesse intorno al collo: rapido
ed efficace… l’ex detective non era assolutamente uno sciocco.
“Mi dispiace che la
verità ti faccia star male…” gli sibilò nell’orecchio, mentre con un pugno
lo colpiva allo stomaco, facendolo piegare dal dolore.
“Lascialo andare…”
mormorò Kudoh tra i denti, cercando di rimettersi in piedi.
Non era una opzione che
avrebbe mai preso in considerazione. Aya gli era necessario, non avrebbe
potuto vivere senza.
L’altro provò a
catturargli il braccio, torcendoglielo dietro la schiena… puerile! Si
divincolò facilmente, buttando di nuovo a terra l’avversario con un pugno in
pieno volto: essere Oracle non significava solo saper leggere il futuro, la
sua abilità si manifestava anche nello scontro corpo a corpo.
Erano di nuovo in piedi,
uno contro l’altro, quando una voce tesa tagliò l’aria:
“Brad, cosa sta
succedendo!”
Lui e Kudoh si voltarono
insieme verso la persona che aveva parlato. Aya era lì, in piedi, gli occhi
impassibili, ma con un qualcosa nell’espressione del volto che denotava
stupore e incomprensione.
“Aya!” esclamò subito
Yohji, cercando di sfuggire al suo controllo e raggiungere l’ex compagno.
Gli si parò di nuovo
davanti: avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per evitare che quel
bastardo potesse raggiungere Aya. Lo colpì di nuovo, ma la forza dell’altro
sembrava triplicata, la determinazione rafforzata in maniera impressionante
dall’aver così vicino il suo obiettivo.
Sentì qualcosa di
appuntito colpirgli un fianco… sorpreso, come raramente gli accadeva di
essere, si portò una mano al ventre. Le dita si coprirono velocemente di
sangue, mentre Kudoh estraeva il piccolo coltello serramanico lasciandogli
scivolare il corpo verso terra.
Balinese… già, si era
aspettato di vederlo combattere con quel suo filo interdentale, e si era
invece lasciato stupire da un’arma stupida come il suo coltellino da
campeggio.
Tentando di sostenersi
contro la parete, si portò la mano alla tasca interna della giacca: non
avrebbe voluto arrivare a questo davanti agli occhi di Aya, ma doveva.
Sicuramente sarebbe poi riuscito a giustificare la cosa, oppure avrebbe
perso tutto, in ogni caso, nessun altro avrebbe avuto il suo Fujimiya.
Non fece in tempo ad
estrarre la rivoltella:
“BRAD!” le parole di Aya
lo colpirono come qualcosa di incredibile e meraviglioso “BRAD, ti ha
ferito!”
Ormai seduto sul
pavimento, riconobbe negli occhi del compagno una furia che gli aveva visto
solo qualche volta in battaglia, e quegli occhi carichi di rabbia e odio si
andarono a concentrare sul viso incredulo di Balinese.
Senza rispondere una
parola agli appelli disperati di Kudoh, Aya gli si avvicinò deciso: con un
colpo allo stomaco, lo sbatté spalle al muro, poi gli torse il braccio,
facendogli cadere il coltello in terra:
“Chi sei? Cosa vuoi da
noi…” gli sibilò sul volto, prima di mandarlo definitivamente a tappeto con
una ginocchiata.
Crawford non intervenne,
sapeva che doveva lasciare correre gli eventi, assistere come uno spettatore
neutrale, per il suo bene e quello di Aya.
“Aya… CHE DIAVOLO FAI!
Sono io, Yohji…” provò a protestare il biondo, cercando con difficoltà di
riprendersi dai colpi ricevuti.
Ma il ragazzo più giovane
non gli era più accanto, si era avvicinato a Crawford, invece, cercando di
fermare il sangue che gli imbrattava la camicia:
“Chiamerò un’ambulanza…
non mi sembra grave” gli sussurrò, continuando a tamponare la ferita con il
fazzoletto.
“Non ti preoccupare, ho
le pelle dura…” provò a scherzare lui, in qualche modo rilassato per come
stavano procedendo le cose.
“AYA! Andiamo via… come
puoi preoccuparti di uno come Oracle!” gridò di nuovo Kudoh, cercando di
avvicinarsi.
Il ragazzo si voltò verso
di lui con uno sguardo carico d’ira:
“Stacci lontano! Se
avessi la mia katana…” gli sibilò sollevandosi in piedi.
Il biondo riuscì a
raggiungerlo, e lo afferrò per le spalle, scuotendolo:
“Che ti è successo,
Abyssinian!” gli urlò, usando il suo nome di battaglia.
Per la prima volta, Aya
sembrò scosso. Alzò lo sguardo sul ragazzo più alto, lo sguardo di una
persona che non capisce cosa gli stia succedendo intorno.
“Temevamo che ti fosse
successo qualcosa, che fossi ferito, magari anche…” Yohji strinse la presa
sulle spalle del compagno: “Che ci fai con Oracle?! Perché lo hai difeso da
me… Aya, RISPONDIMI!”
L’altro si scostò,
facendo un passo indietro:
“Non capisco di cosa stia
parlando…” mormorò, voltandosi a guardare Crawford.
“Vattene, Balinese,
abbiamo già un patto. Se vincerai, avrai le tue risposte” intervenne
l’Americano, rivolgendosi a Kudoh con voce metallica.
In quel momento entrarono
le guardie del servizio d’ordine:
“Siamo pronti!” gli
dissero, accerchiando l’intruso.
“Se tu avessi un briciolo
di cervello in quella testa ottusa, capiresti che è giunto il momento di
togliere il disturbo” proseguì Crawford, cercando di sistemarsi meglio
contro il muro.
“Aya…” provò ad insistere
Yohji, portando lo sguardo sul ragazzo di nuovo inginocchiato accanto al
loro nemico.
“Fa’ quello che ti è
stato detto” fu la replica gelida.
Mentre alcuni uomini si
affaccendavano intorno all’uomo ferito, gli altri scortarono Kudoh fino
all’uscita, ma l’Americano sapeva bene che quel Weiss non aveva alcuna
voglia di arrendersi.
Odiava gli ospedali. Le
cliniche private erano sempre state più consone al suo modo di vedere le
cose, e adesso, affidato ad una grassa infermiera sorridente, che
palpeggiava il suo corpo indolenzito senza alcuna cura, non poteva che
confermarsi in quella posizione.
Aya lo aveva portato al
pronto soccorso, per fargli curare la ferita al fianco.
“Ecco qui… stiamo molto
meglio ora, vero?” chiocciò felice la donna, dandogli un buffetto alla
guancia.
Lui alzò il suo sguardo
gelido, cercando di scoraggiarla, ma quella doveva avere un bel pezzo di DNA
in comune con quel demente di Mastermind, perché non fece una piega, anzi,
gli passò un braccio intorno alle spalle per aiutarlo a sostenersi. Già,
come se avesse una gamba rotta, e non una ferita al ventre.
Non appena uscirono
dall’ambulatorio, Aya gli si fece incontro.
“Tutto a posto, signore…
è come nuovo!” si mise in mezzo l’infermiera, ridendo allegramente.
Il compagno annuì,
prendendo poi il posto della donna al suo fianco.
Lo aiutò ad entrare in
macchina, e poi si infilò al posto di guida. Crawford lo aveva guardato a
lungo, sperando che dicesse qualcosa, invece era rimasto quasi sempre in
silenzio, e comunque non aveva fatto la minima domanda che riguardasse l’ex
compagno dei Weiss.
Quando arrivarono a casa,
erano ormai le cinque del pomeriggio.
Vedendolo entrare così
lentamente, il movimento rigido per non sforzare troppo il fianco ferito,
Nagi gli si fece subito accanto:
“Cos’è successo?” chiese
il ragazzino, portando subito uno sguardo accusatorio su Aya.
“Abbiamo incontrato…
Balinese” rispose Fujimiya, lentamente.
L’altro arretrò di un
passo, continuando a guardarlo fisso negli occhi, poi cominciò a scuotere la
testa, senza fermarsi.
“NAOE!” gli gridò
Crawford.
Il ragazzino si voltò
verso il suo leader con un’espressione spaurita.
“Non – è – successo –
niente” gli sibilò l’Americano, cercando di farlo tornare in sé.
“Ma…” mormorò Nagi.
“Ho detto che non è
successo niente!” ripeté lui, posandogli una mano sulla spalla.
E Aya continuava a
rimanere in silenzio, eppure era chiaro che stesse registrando ogni
particolare.
“Dove sono Schuldig e
Farfarello?”
“Li vado a chiamare”
rispose pronto il ragazzino, lasciando la stanza.
Crawford si voltò verso
Aya, allungando una mano fino a sfiorargli il viso. Ma l’altro voltò la
testa di scatto, allontanandosi di un passo.
Lui allora si portò la
mano a stropicciarsi la fronte: era stata una giornata terribile, e non era
finita. A mezzanotte sarebbero dovuti andare al porto… già, la resa dei
conti.
Improvvisamente sentì
delle dita sottili poggiarglisi sul polso: riaprì gli occhi, portando lo
sguardo su Aya:
“Non capisco cosa stia
succedendo, non capisco cosa mi abbiate nascosto finora, e se lo abbiate
fatto per il mio bene…” gli respinse le mani, già pronte a stringerselo
contro, e continuò “Potrei decidere di fare delle ricerche per mio conto,
prima o poi qualcosa troverei, ma voglio darti quella possibilità che mi hai
sempre chiesto: devi essere tu a spiegarmi tutto, senza omissioni e
trasformazioni della realtà, Brad” concluse, mantenendo lo sguardo serio,
quasi severo, nel suo.
L’Americano riuscì a
liberare le mani, e gli si avvicinò, posandogliele sulle spalle:
“Domani, Aya. Qualsiasi
cosa succeda, domani saprai tutto” gli mormorò, prima di chinarsi a
baciarlo.
Si sedettero sul divano,
la testa di Aya appoggiata sul suo petto, mentre con le dita lui gli
accarezzava delicatamente le ciocche morbide:
“Ti amo, Aya. Al di là di
tutto quello che sentirai domani, spero che queste parole le ricorderai, e
che non le tratterai con disprezzo: tu sei l’unico a cui le abbia mai dette”
gli mormorò, buttando la testa indietro, sullo schienale del divano.
Sentì l’abbraccio del
compagno farsi più stretto, e quella testa nasconderglisi tra il collo e il
petto.
A volte era bello essere
come le persone normali, non avere alcuna idea del futuro, potersi beare
dell’illusione che ogni cosa potesse magicamente incastrarsi per formare il
più classico degli happy end.
Proprio in quel momento,
Nagi rientrò nel soggiorno, fermandosi non appena vide i due abbracciati sul
divano. Tentò di tornare silenziosamente indietro, ma ormai l’incanto era
rotto.
“Vado a farmi una doccia”
mormorò Aya, alzandosi in piedi.
Lui annuì, sorridendogli,
poi portò lo sguardo sul ragazzino:
“Allora?” lo interrogò,
nascondendo a stento il malcontento per quell’entrata intempestiva.
“Gli altri sono nella
sala delle riunioni. Ti stiamo aspettando” spiegò l’altro, senza riuscire a
trattenere un sorriso. Era come se l’immagine che gli si era presentata
davanti lo avesse rassicurato sul futuro di Abyssinian, un futuro che lui
desiderava ardentemente che trascorresse con gli Schwarz.
“Ok, andiamo”.
Non riusciva a capire,
ma nello stesso tempo non voleva farlo.
Quel giorno qualcosa
aveva finalmente dimostrato che i suoi dubbi riguardo a quello che gli era
stato raccontato della sua vita precedente erano fondati. Avrebbe dovuto
essere ansioso di capire il perché delle parole che quel ragazzo, Yohji, gli
aveva rivolto, e invece sentiva di non desiderarlo, ora aveva troppa paura
di quello che avrebbe potuto perdere.
Erano accadute molte
cose, dalla mattina in cui si era svegliato nel letto di Brad, aveva vissuto
una altalena di emozioni, e adesso che finalmente aveva conquistato la
tranquillità, che aveva imparato a conoscere Crawford, e ad accettare, e
forse a ricambiare, i sentimenti che questi provava per lui, tutto veniva
rimesso in discussione.
Per un momento gli si
formò l’immagine di quel Balinese… scosse la testa, non doveva pensarci, non
avrebbe fatto che torturarsi. Avrebbe avuto tutte le spiegazioni la mattina
successiva, e gli sarebbe bastato quel dolore. Sapeva che non avrebbe
ascoltato cose positive, glielo avevano detto l’espressione seria di Brad, e
gli occhi disperati di Yohji. C’era qualcosa che li legava insieme, qualcosa
di irrisolto.
Si strofinò
delicatamente le braccia, sotto il getto di acqua calda: senza neanche
accorgersene si era affezionato a Nagi, a Schuldig… anche a Farfarello. Gli
sembrava di avere trovato una famiglia. E poi c’era Crawford. Erano molto
diversi, e l’Americano lo aveva spesso infastidito con il suo autoritarismo,
la sua tenacia e determinazione. Eppure alla fine aveva dovuto cedergli,
perché dietro tutto questo era riuscito a scorgere anche un sentimento vero,
profondo, e lui sentiva che non doveva essere mai riuscito a ricevere
molto amore.
Scosse la testa,
lasciando che il getto dell’acqua lo riscaldasse: poche ore e tutto gli
sarebbe crollato intorno, poche ore e avrebbe ascoltato la storia di
un’altra persona sconosciuta, un ragazzo che sicuramente lui non si sentiva
più, dopo quella settimana.
Le undici e mezzo.
Aya era andato a dormire,
dopo una cena silenziosa, e un paio d’ore trascorse stesi sul letto, senza
fare nulla se non stare vicini uno all’altro, ognuno perso nei propri
pensieri.
E ora gli Schwarz
dovevano uscire per una nuova missione, dopo tanto tempo.
<Non preoccuparti, contro
di noi non hanno alcuna possibilità. Li ridurremo in poltiglia!>
La voce di Schuldig gli
arrivò, per una volta, come il tentativo di rassicurazione di un amico… <E
poi ancora non ho accettato che il gattino sia tuo. Appena ci libereremo di
quell’alcolizzato, riprenderemo la nostra sfida personale!>
Ok, alla fine il tedesco
non si smentiva mai…
Però Crawford sorrise,
sapeva che anche dietro quelle parole c’era un tentativo di sdrammatizzare
la situazione.
“Blatera meno e controlla
di aver preso tutto!” gli replicò, fingendosi più infastidito di quanto non
fosse in realtà.
Il viaggio fino al porto
fu silenzioso, ancora di più visto che il suo compagno di viaggio, Prodigy,
sembrava preso dai propri pensieri quasi quanto lui.
Nella spider rossa
davanti a loro, si potevano vedere ondeggiare i capelli del tedesco, mentre
Farfarello rimaneva immobile, come se si stesse concentrando per l’azione
imminente.
Non avrebbe mai creduto
di trovare tanta determinazione nei suoi compagni, ma era come se Aya fosse
entrato nella pelle di ognuno di loro. Quando l’Irlandese aveva saputo qual
era il motivo della missione, la sua rabbia era stata evidente, soprattutto
per il mobilio (oh, Katze!) della sala delle riunioni, e poi aveva
mormorato, definitivo, che Fujimiya non li avrebbe mai lasciati, fosse stata
la sua ultima missione.
Quando erano usciti di
casa, Crawford si era affacciato sulla soglia della camera da letto. La luce
tenue del corridoio illuminava appena la figura abbandonata tra le coperte.
Non lo aveva guardato che per pochi istanti, poi aveva chiuso la porta
delicatamente, senza poter dire neanche lui se l’altro fosse davvero
addormentato o facesse solo finta di esserlo.
Aya non gli aveva fatto
domande: gli aveva dato quel tempo e quella fiducia che lui gli aveva
chiesto, qualcosa che lui non si sarebbe mai aspettato dopo l’intervento di
Yohji Kudoh. Ed era a questo che si appigliavano le sue speranze residue di
risolvere la situazione.
Arrivarono al porto in
poco tempo.
Schuldig e Farfarello
parcheggiarono la macchina nell’angolo più nascosto della banchina, lui
invece posizionò la propria in piena luce. Nagi si appoggiò al lampione, le
braccia incrociate sul petto, mentre lui si rilassò appoggiando la schiena
contro lo sportello dell’automobile.
I tre Weiss comparvero,
accerchiandoli sui tre lati. Crawford non riuscì a trattenere un sorrisetto
sarcastico: il gioco aveva inizio.
Balinese si fece avanti,
portandoglisi di fronte:
“Cosa avete fatto ad
Abyssinian” gli sibilò, gli occhi stretti come lame affilate.
Schuldig gli fu
immediatamente accanto:
<Una parola ed è morto…>
gli trasmise senza guardarlo.
<Digli che Fujimiya ha
perso la memoria> gli ordinò lui.
“Allora?” insistette il
biondo, controllandosi a stento.
“Il vostro gattino rosso
ha avuto un incidente. Il suo cervellino non ricorda più niente…
soddisfatto, ora?” rispose il tedesco, sfoderando uno dei suoi ghigni.
Kudoh si scagliò contro
di lui, e solo lo sforzo congiunto del nanerottolo, Bombay, e di quell’altro,
Siberian, riuscì trattenerlo.
“COSA GLI AVETE FATTO?!”
riuscì però a gridare.
“Non gli abbiamo fatto
niente. Noi siamo arrivati DOPO l’incidente. Adesso sta bene” mormorò Nagi,
facendo un passo verso i Weiss.
“Perché lo avete rapito,
allora?” intervenne Siberian, continuando a tenere ferma la presa sul
braccio del compagno più alto.
“Lui rimarrà con noi” la
voce profonda e roca di Farfarello echeggiò definitiva.
“Fujimiya è un Weiss,
tornerà con noi” gli replicò il piccolo Omi, indurendo la sua espressione un
po’ infantile.
Rimasero tutti in
silenzio per qualche istante, in una sfida di sguardi. E finalmente parlò
anche Crawford:
“Fujimiya non è più un
Weiss. Sono sicuro che i Kritiker vi abbiano avvertito” constatò con calma.
Yohji tentò un altro
scatto per liberarsi della presa che lo teneva bloccato:
“Come fai a sapere cosa
vogliono i Kritiker!”
Lo sguardo gelido
dell’Americano si fissò con sufficienza in quello dell’avversario:
“Abyssinian non
appartiene più alla vostra organizzazione, e non c’è voluto molto per
convincere il vostro capo a rinunciare a lui. Voi avreste fatto meglio ad
ubbidire agli ordini che vi erano stati trasmessi… il risultato non cambierà
comunque” replicò, con voce annoiata.
Kudoh e Ken si voltarono
contemporaneamente verso Omi, come se in qualche modo lui rappresentasse
l’Organizzazione:
“E’ stato venduto?!”
mormorò Siberian.
Il giovane Bombay scosse
la testa, come a dire di non essere al corrente di nulla.
Bene! Erano riusciti
anche a scalzare le loro certezze, forse adesso questi tre sciocchi
idealisti si sarebbero dati una svegliata.
Ma un istante dopo furono
di nuovo tutti e tre spalla contro spalla:
“Non importa cosa abbia
deciso Kritiker. Aya deve tornare con noi” sibilò Omi.
Era arrivato il momento
dello scontro, allora.
Crawford abbassò la testa
sul petto, per poi risollevare il viso con la sua espressione più
determinata:
“Senza esclusione di
colpi, allora” li sfidò.
“Senza esclusione di
colpi” ripeterono gli altri.
Gli abbinamenti erano
sembrati obbligati sin dal primo istante: Mastermind contro Balinese,
Berserker contro Siberian e Prodigy contro Bombay.
In qualche modo era stato
chiaro che Kudoh avrebbe voluto scontrarsi con lui, ma Crawford era rimasto
appoggiato al fianco dell’automobile, aspettando l’intervento di Schuldig.
Fu probabilmente lo
scontro più lungo che vide contrapposti gli Schwarz e i Weiss.
L’Americano, dal suo
punto di osservazione, poté notare che Prodigy non faceva ricorso ai propri
poteri di teletrasporto, così come anche il tedesco era quasi sicuro non
stesse leggendo nella mente di Kudoh la strategia del suo combattimento, e
Farfarello cercava di evitare di essere colpito, come qualsiasi persona
normale. Sembrava quasi che ci fosse un tacito accordo, un tentativo di
agire senza i propri poteri per rendere lo scontro più leale… e questo
doveva essere dovuto alla posta in gioco. Crawford sapeva bene che la loro
vittoria sarebbe uscita legittimata da un atteggiamento di questo tipo… che
i Weiss non avrebbero potuto obiettare nulla, solo rimproverarsi, al termine
di quella serata.
Siberian sembrava in
difficoltà, ma chi non lo sarebbe stato di fronte ad un Berserker scatenato!
Schuldig sembrava giocare contro Balinese, e questo stava facendo impazzire
di rabbia l’altro, e Prodigy e Bombay erano in una situazione di stallo,
troppo simili perché uno dei due riuscisse a prendere il sopravvento con
facilità.
Dopo l’impeto iniziale,
accompagnato da esclamazioni, insulti e minacce, la battaglia si era fatta
silenziosa, il rumore dei colpi sembrava affondare nello sciabordio
dell’acqua contro il molo.
E dietro di loro, la
grande Queen of the Seas si stagliava scura e immobile… sarebbe stato bello
partire, lasciare tutto indietro, e portarsi Aya lontano. La nave scura
sembrava quasi invitarlo…
L’esclamazione di dolore
di Siberian lo riscosse dalla momentanea distrazione: Farfarello era
riuscito ad atterrarlo, e adesso gli teneva le gambe bloccate a terra con il
proprio peso, mentre con la punta acuminata del coltello gli sfiorava la
gola.
Gli altri quattro
sembravano non essersi accorti della sorte dei due compagni, troppo presi
dalle proprie sfide.
Nagi appariva stanco,
trafelato. Le mani sottili continuavano a cercare di contrastare e sfuggire
la presa di Bombay, ma sembrava che ogni volta lo sforzo fosse maggiore.
Dopo qualche istante, il più giovane dei Weiss riuscì a catturargli il
braccio, torcendoglielo dietro la schiena.
<Rimanete solo voi due,
Mastermind> comunicò l’Americano mentalmente.
<Mettiti comodo e goditi
lo spettacolo> gli replicò l’altro, il divertimento ben evidente anche nel
breve messaggio telepatico.
Farfarello rimase con il
coltello puntato contro la pelle di Ken Hidaka, mentre Bombay continuò a
serrare la presa intorno al collo di Nagi.
Tutti e quattro, immobili
in quella situazione di stallo, adesso seguivano le fasi dell’ultimo
combattimento, quello che avrebbe decretato la vittoria degli uni o degli
altri.
Kudoh, come quella
mattina, sembrava animato da una forza di cui nessuno gli avrebbe mai dato
credito. La sua arma volteggiava seguendo i movimenti velocissimi di
Schuldig, pronta a rianimarsi non appena falliva il bersaglio. Da parte sua,
il tedesco si muoveva con la solita rapidità, evitando sempre per un niente
di essere immobilizzato. Chi lo conosceva, sapeva che Mastermind stava anche
un po’ giocando con il proprio avversario; si limitava a svicolare,
scartare, sottrarsi all’abbraccio tagliente dell’arma di Balinese, ma per
ora non aveva ancora mostrato la propria strategia di attacco.
Crawford avrebbe potuto
esortarlo ad agire, ma non era sua intenzione intervenire: Schuldig, sebbene
sembrasse una persona senza un minimo di materia grigia nel cranio, sapeva
benissimo quale fosse la posta in gioco, e quanto fosse importante per loro
che vincesse quello scontro.
Intanto gli attacchi di
Kudoh continuavano. L’Americano si rendeva anche conto, osservando lo sforzo
dell’avversario in quel combattimento, di quanto dovesse essere forte
l’attaccamento per Aya per spingerlo a tanto impegno e ardore.
Un pugno in pieno viso,
un calcio allo stomaco e una ginocchiata sul viso chinatosi in avanti.
Schuldig sembrava aver deciso di concludere lo scontro.
Ma Yohji rimase in piedi,
barcollante, con il sangue che gli usciva dal naso e dalla bocca, e si
rialzò, arrivando a stringere il laccio intorno al polso del tedesco. Eppure
anche questa mossa si rivelò un boomerang: Schuldig afferrò la fune con
l’altra mano, e se ne servì per attirarlo a sé.
Lo scontro divenne un
corpo a corpo senza esclusione di colpi, in cui Kudoh sembrò prendere
inizialmente il sopravvento.
Fu quando Crawford sentì
un primo brivido corrergli contro la schiena, che lo raggiunse il ghigno
ironico del compagno:
<Pensavo che avresti
apprezzato un po’ di suspense… non avrai cominciato a tremare, mein
führer!>.
<Concentrati invece di
fare lo stupido!> gli sibilò lui in risposta.
La risata dell’altro gli
echeggiò nell’orecchio, mentre davanti agli occhi il combattimento
proseguiva ancora più violento. E ad un certo punto, dopo l’ennesimo colpo
di Kudoh, Schuldig passò all’azione: una botta contro il ginocchio, e
l’altro, preso alla sprovvista, si ritrovò piegato a terra. Poi gli passò un
braccio intorno al collo, piegandogli la testa in una posizione quasi
innaturale:
“Una tua parola, Oracle,
ed è morto…” sibilò Schuldig, tutta l’ironia scemata dalle sue parole.
Crawford si avvicinò ai
due: il tedesco aveva sollevato la testa di Yohji, tirandolo indietro per i
capelli biondi. L’altro cercava di mascherare il dolore, la furia che gli
illuminava gli occhi.
“Il patto era chiaro: un
combattimento all’ultimo sangue. E’ nei nostri diritti arrivare alla vostra…
come dire, eliminazione?” sotto il lampione, le lenti dei suoi occhiali
ebbero un luccichio sinistro.
“Sei un bastardo…” gli
sputò l’altro in faccia.
“Che modi, Kudoh… pensavo
che fossi un po’ più gentile, vista la tua fama di playboy. Ma forse anche
il tuo charme è solo una leggenda…”
Balinese non gli rispose,
limitandosi ad incenerirlo con un’occhiata invelenita.
“Eppure sono disposto a
lasciarvi andare. Voglio solo che rispettiate il risultato del
combattimento: siete stati sconfitti, le vostre vite sono nelle nostre mani,
per questo credo che ci dobbiate una certa… obbedienza”.
“Preferiamo morire che
obbedirvi!” sibilò Siberian, che nel muoversi si fece graffiare la gola dal
coltello di Farfarello.
“Non è questione di
quello che VOI preferite. La nostra sfida accorda al vincitore potere di
vita e di morte sullo sconfitto, e io voglio che per noi siate morti,
sebbene non fisicamente. Non dovete più incrociare il nostro cammino (*)”
concluse, rilassandosi contro la lamiera fredda dell’automobile.
“E’ una cosa…
INACCETTABILE!” gridò Bombay, stringendo più forte la presa intorno al collo
di Nagi.
Crawford si limitò a
scuotere la testa:
“Non si può dire che
siate nella situazione di poter dettare condizioni. Rifiutate, o fatevi
rivedere, e verrete meno a quello che è l’onore di un gentiluomo… sempre che
per voi questa parola abbia un senso!” replicò beffardo.
“Mi stupisco che tu abbia
il coraggio di pronunciarla! Come puoi pensare che, vivi, lasceremo Aya
nelle tue mani sudice?” lo interruppe Kudoh, fiammate di rabbia che gli
illuminavano gli occhi.
L’Americano si staccò dal
sostegno della BMW, avvicinandosi al ragazzo stretto nella morsa di Schuldig:
“Aya non ti appartiene, e
non ti apparterrà mai.
Se lui dovesse decidere
di voler tornare con voi, non lo ostacolerò; ma se la situazione rimarrà
come è adesso, lui resterà con noi, e voi non dovrete fare nulla per cercare
di cambiare le cose” spiegò con voce annoiata.
“Come può essere libero
di decidere se non ci ricorda neanche? E poi che fine avete fatto fare ad
Aya-chan? Abbiamo capito benissimo che siete coinvolti anche nella sua
sparizione!” lo accusò fremente il playboy.
“La ragazza sta meglio
che in qualsiasi altro momento della sua vita da vegetale, e, se Fujimiya
non riesce a ricordarvi, evidentemente non eravate così importanti per lui…”
ribatté l’Americano, divertendosi a vedere l’altro sempre più furente.
Eppure sapeva che molte
delle cose che stava dando per certe avevano basi ben più precarie:
l’indomani ci sarebbe stato il confronto con Aya, e probabilmente il ragazzo
sarebbe tornato dai Weiss. Perché non ucciderli? Perché lasciare in vita una
minaccia come Yohji Kudoh?
Ma non poteva, sarebbe
stata una esecuzione per gelosia, e questo lui non l’avrebbe mai fatto,
perché sapeva che avrebbe solo potuto farlo odiare ancora di più.
Il biondo cercò ancora
una volta di scagliarsi contro di lui, ma stavolta Schuldig non si limitò a
trattenerlo: un colpo ben assestato, e l’altro si piegò in due per il
dolore, scivolando poi, semisvenuto, sull’asfalto.
Crawford si rivolse ai
membri più giovani dei Weiss:
“Spero di essere stato
abbastanza chiaro: per il vostro bene, vi consiglio di far finta che
Fujimiya sia morto. Se lui vi ricorderà, e manifesterà il desiderio di
rivedervi, non mi opporrò in alcun modo, ma non voglio scherzi da parte
vostra. Abyssinian e sua sorella sono in buone mani” concluse, fissando lo
sguardo in quello del figlio più giovane di Takatori.
“Promettimi che non gli
farai del male” mormorò Omi, il viso inaspettatamente serio e maturo, per un
ragazzino di sedici anni.
“COME PUOI FIDARTI DI UNO
SCHWARZ?!!!” lo accusò Yohji urlando.
Ma lo sguardo di Bombay
rimaneva fisso in quello dell’Americano:
“Non gli faremo nulla di
male. Fujimiya sta bene con noi”gli rispose Crawford, restituendogli uno
sguardo diretto e aperto.
Risalì in macchina,
subito seguito da Nagi, lasciato libero da Omi. Schuldig e Farfarello
rimasero ai propri posti, quasi volessero assicurarsi che Balinese non
facesse mosse avventate.
“Credi davvero che ci
lasceranno Abyssinian?” gli chiese Prodigy, mentre imboccavano la
soprelevata.
Lui non rispose. In
qualche modo era sicuro che la maggiore minaccia alla permanenza di Aya con
loro non fosse rappresentata dai Weiss.
Una Nuova Vita – capitolo
terzo THE END
(*) Liberamente ispirato
a ‘I Duellanti’, di Joseph Conrad.
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