Disclaimers: Hana è mio, Ru pure. Quindi se voglio li faccio s*opare. E basta!! :P (ma nessuno mi paga per questo T_T)


 


Una notte, il mare

di ZZZ


Una notte qualunque, alla fine di un giorno qualunque.
Notte silenziosa d'estate, calda, cielo limpido.
Rumore di mare ad accarezzare la faccia di un ragazzo seduto in spiaggia, in mano una bottiglia di birra.
Guardava verso il mare, pensava. Osservava l'orizzonte lontano, e si chiedeva se c'era una via d'uscita a tutto quello che gli succedeva da quando aveva  iniziato ad andare al liceo; da quando aveva scontrato la testa contro quella dura e irascibile di quell'idiota coi capelli rossi. Se c'era un modo di venirne fuori intatto, da quella situazione paradossale.
Se ne stava lì, rintanato in quell'angolo di mondo e di tempo che si ritagliava per essere libero di pensare, serenamente (per quanto fosse possibile), a lui. A ricordare quando lo guardava muoversi e sentiva il sangue accelerare, quando lo sbirciava sotto la doccia approfittando del candore ingenuo che lo faceva essere così spontaneo, senza sospettare in che modo la sua pelle arrossata dall'acqua calda faceva sentire qualcuno così vicino a lui. A  quando si sorprendeva a guardarlo, e trasaliva terrorizzato dall'idea che qualcuno lo potesse scoprire.
Pensava. Senza dovere, per tutto questo, sentirsi in colpa. Senza dovere ingoiare, nascondere, stritolare se stesso e tutto quello che suo malgrado, per quanto ci avesse continuamente combattuto da quando lo aveva conosciuto, quel demente gli scatenava in corpo. E anche nell'anima, maledizione. Fosse stata solo voglia. Ma non lo era. Lo voleva da dentro. Lo voleva per sé, completamente.
Se ne stava seduto a respirare lentamente l'odore del mare, chiedendosi cos'avrebbe fatto più male, dirglielo e poi sopportare di essere guardato con paura e imbarazzo, oppure continuare così finchè il tempo non glielo avesse tolto da vicino, in qualche modo, e loro due se ne fossero andati ognuno per la sua strada. Si immaginò la scuola che finiva, di artire per inseguire i suoi sogni, il basket o quello che fosse e lui, Hanamichi, lasciato alle spalle senza avergli mai fatto capire che cos'era per lui.
Si immaginò tre anni di vita al liceo passati come stava passando quell'anno, tre anni in cui Hanamichi diventava sempre più forte e bravo a giocare, sempre più adulto e sicuro di sé, e lui lo avrebbe spiato da dietro le spalle, in silenzio con la paura che qualcuno, o peggio lui, se ne potesse accorgere. Si immaginò tre anni in cui qualcuno si sarebbe accorto che quel ragazzino coi capelli rossi era una persona speciale, e gliel'avrebbe portato via.
Dio.
Non ce l'avrebbe fatta, lo sapeva. Sarebbe esploso, e avrebbe finito per sbatterselo nello spogliatoio dopo una partita. E poi? Che ne sarebbe stato di loro, poi?
Se n'era accorto, l'idiota, che era l'unico a cui lui permetteva di stare, in qualche modo, all'interno del suo essere? Si rendeva conto che alla fine erano sempre loro due, in qualunque caso e circostanza, lui e il do'aho, il do'aho e lui, in campo, fuori campo, stuzzicandosi, osservandosi, ammirandosi di nascosto?
Ce l'avrebbe fatta? Si chiedeva. A lasciare il tempo scorrere, e col tempo, a lasciare scivolare via Hanamichi?
No. Era ovvio. No.

Quant'era che era lì? Nemmeno si ricordava più. Si godeva il leggero stordimento dovuto forse alla birra, forse all'atmosfera irreale di quel momento, forse al benessere che sentiva ogni volta che gli sembrava che il resto del mondo fosse scomparso, e lui poteva starsene lì, solo, e ripetersi che lo amava,  senza doversi costringere a giurare di farla finita, anche a costo di stare con una ragazza. Anche a costo di rubargli la sua Harukina da sotto gli occhi.
Perché non lo faceva? Se lo meritava. Avrebbe dovuto provarlo anche lui, anche quel bastardo avrebbe dovuto sentirsi come lui si sentiva ogni volta che lo vedeva con lei. 
Ma la semplice idea di toccare quella stupidissima ragazzina lo ripugnava.
(ma la semplice idea di provocare un dolore ad Hanamichi lo faceva impazzire, questa era la verità.
Il pensiero di Hanamichi triste lo faceva diventare pazzo. Gli faceva montare una collera che lo accecava.
Non sopportava che nessuno lo ferisse. Come avrebbe mai potuto credersi capace di farlo lui?)
Sentì dei passi sul lungomare alle sue spalle. In quel silenzio, in quella solitudine, gli sembravano irreali, gli sembravano stare ferendo la terra. Gli sembrava una punizione per aver creduto di essere libero di pensare a quell'idiota.
Quando si accorse dal suono che quella persona aveva scavalcato il parapetto, era scesa in spiaggia e veniva verso di lui, si voltò con la faccia incazzata pronto a cacciarlo fuori dal suo ritaglio di mondo a pugni, chiunque fosse stato. Ne aveva proprio voglia, di fare a pugni.
In effetti aveva voglia di far l'amore con Hanamichi fino a non avere più energia nemmeno per pensare. Ma dato che questo era impossibile, anche pestare uno sconosciuto poteva andar bene. Almeno dopo si sarebbe sentito spossato, talmente stanco da non aver più forza per resistere, e affogare lentamente senza possibilità di ribellione  nell'idea di Hanamichi, di essere innamorato, come un perfetto irrecuperabile idiota, di quel deficiente insulso incapace di Hanamichi Sakuragi.
Guardò lo sconosciuto che si avvicinava, e strizzò gli occhi incredulo. Per un attimo credette che l'alcool e la suggestione gli avessero fatto uno scherzo stupido.
Ma no: per quanto sembrasse impossibile, quello era davvero lui. La sua testa rasata rosso fuoco, i jeans e la maglietta bianca, la camminata scanzonata e strafottente con cui si avvicinava. Lui.
"Non stasera", pensò Rukawa. "Non stasera".
Lo guardava,  mentre si avvicinava con le mani in tasca, fissando il mare.
Aveva un'espressione strana, Hanamichi, quella notte.
Aveva gli occhi lucidi, un sorriso stranamente calmo.
E la voce bassa e adulta, quando gli disse: -Ehi, Rukawa. Che fai qui a quest'ora?- Dall'espressione e dal tono di voce si capiva che doveva aver bevuto abbastanza. Era ovvio, altrimenti mai e poi mai si sarebbe avvicinato e l'avrebbe salutato così, come si fa con un qualunque compagno di squadra.
Rukawa respirava lentamente e profondamente. Cercava di combattere contro il pensiero che il suo corpo avrebbe agito senza comando, quella notte. In un modo irreparabile.
Hanamichi senza aspettare una risposta che, sapeva, non sarebbe arrivata, continuò:-Ho voglia di fare un bagno, dai un'occhiata ai miei vestiti, per favore?- Mentre se li toglieva. Tutti. Si spogliò completamente, accanto a lui. E camminò verso il mare, fece due o tre passi dentro l'acqua, e si tuffò.
Rukawa continuava a chiedersi perché diavolo fosse venuto. Si diceva "è pericoloso. Io sono pericoloso, qui, per lui. Potrei non riuscire a rendermi conto ancora per molto che quello è lui, reale, vivo, vero.
Potrei convincermi che c'entrano quelle cazzate che tutti chiamano segni del destino, e che sono solo la strada più breve per commettere pazzie che ti porteranno all'autodistruzione".
Il mucchietto dei vestiti di Sakuragi era lì, accanto a lui. Quell'odore così caratteristico, di sapone, se ne sprigionava, e la brezza notturna glielo conficcava a forza nelle narici, e per quanto lui cercasse di resistere, sentiva che stava per perdere il controllo.
Avrebbe dovuto andarsene adesso, prima di vederlo ritornare, bagnato, nudo, con il fiatone per la nuotata verso il largo. Ma era come incollato a terra.
E rimase lì, immobile, a guardarlo uscire dall'acqua, a seguire il percorso delle gocce che scivolavano lungo il suo torace, i movimenti della sua schiena mentre, sdraiato a pancia in giù sulla sabbia accanto a lui, riprendeva fiato.
Rukawa disse:-Vattene, idiota. Voglio stare solo.
Hanamichi non si mosse.-Kitsune, stasera non sono proprio in vena. Mi sono sbronzato coi ragazzi e ho pensato di fare un bagno, e mi serviva che qualcuno evitasse che un case mi facesse i bisogni sui vestiti.
Punto. Non sei proprietario dello spazio intorno a te, anche se ti comporti come se lo fossi.
Rukawa continuava a guardare l'orizzonte. -Te lo dico per l'ultima volta, vattene. Per il tuo bene.
Hanamichi lo ignorò. Era lì, steso a pancia in giù accanto a lui. La sua schiena abbronzata si muoveva lentamente seguendo il suo respiro. La sua faccia, appoggiata sulla sabbia, era girata verso di lui, occhi chiusi, labbra semichiuse, Rukawa si immaginava il loro sapore salato, il calore del suo fiato. La sua forza sopita gli stava facendo crescere in corpo una voglia terribile di distruggerlo, di possederlo fino a renderlo incapace di muoversi: lui sempre così forte, la sua spossatezza sdraiata accanto a lui era di una sensualità ipnotica che lo stregava. Smise di guardarlo a viva forza, appoggiò la testa sulle ginocchia, strizzando gli occhi e mordendosi un labbro fino a farne uscire il sangue.
Hanamichi aprì gli occhi e lo guardò.
-Stai male?-gli chiese.
Rukawa non rispose; sollevò la testa: aveva uno strano sguardo cupo, che Hanamichi non comprendeva.
-Va bene, Kitsune, ho capito.-Si alzò in piedi, scuotendosi la sabbia di dosso per rivestirsi. 
Kaede appoggiò la bottiglia di birra per terra. 
Se fosse riuscito a non guardarlo, forse avrebbe vinto: l'avrebbe lasciato andare, e tutto sarebbe rimasto com'era.
Ma, una frazione di secondo, quasi senza volere, si voltò.
Lo vide.
Alto, forte, bello, notturno e sensuale, senza quell'espressione da bambino scemo in faccia. Serio, con gli occhi a guardare lontano, mentre si scuoteva la sabbia dalle spalle, accarezzandosi.
Rukawa deglutì.
Il cuore gli martellava in petto. Sentiva la ragione abbandonarlo. Come in trance, si alzò in piedi, si piantò davanti ad Hanamichi, guardandolo negli occhi, con il viso vicino, vicinissimo a quello del compagno.
Hanamichi sussultò, quando se lo vide di fronte.
Guardava i suoi occhi, che avevano quello stesso strano sguardo di prima. Continuava a non capire.
Rukawa non faceva niente. Stava, semplicemente, lì, a fissarlo.
Poi allungò la mano verso quelle di Hanamichi, in cui quest'ultimo stringeva i suoi vestiti, glieli strappò via, e li buttò poco lontano. Fece due passi e si portò alle spalle del ragazzo dai capelli rossi, il quale voltò la faccia per seguirlo con lo sguardo, poi fece per girarsi per rimettersi di fronte a lui, ma le mani di Rukawa sulle sue spalle lo fermarono. Erano freddissime, lo fecero rabbrividire.
Quell'impercettibile fremere di pelle fu il punto di non ritorno. Rukawa perse completamente il controllo di sé: ormai quello che contava era soltanto sentire la voce di Hanamichi sospirare e gemere nelle sue orecchie. Non gli importava nient'altro. Afferrò i suoi fianchi e gli baciò la schiena.
Hanamichi diede uno strattone per liberarsi, con gli occhi sgranati si voltò a guardare il suo rivale, sulla faccia dipinta la meraviglia. Rukawa afferrò i suoi polsi prima di dargli tempo di divincolarsi o allontanarsi. Gli allargò le braccia e gli si gettò contro con tutto il suo peso, facendolo cadere sulla schiena, sotto di lui. Aveva una gamba tra quelle di Hana, i suoi polsi stretti in mano, la bocca sul suo collo.
-Rukawa, che fai? Sei diventato pazzo?
Rukawa non diceva una parola. Continuava a mordergli e baciargli il collo e il lobo dell'orecchio, tenendolo fermo in quella posizione.
Hanamichi era talmente sorpreso da non riuscire nemmeno a desiderare di scrollarselo di dosso e pestarlo a sangue. Beh, diciamo la verità: la sorpresa c'entrava, ma non era solo quello. Era come si sentiva sotto il peso e sotto il tocco esperto della bocca, del corpo di Rukawa: i suoi baci lo estenuavano, gli facevano perdere le forze, lo facevano sentire morbido, abbandonato, sentiva torcerglisi lo stomaco e il sangue accelerare. Più cercava di mettere a fuoco il pensiero, più percepiva la rabbia e la sensualità felina di Rukawa, più se ne sentiva stregato. Quando Rukawa risalendo lentamente cominciò a cospargergli di baci la mandibola, mentre i suoi capelli gli accarezzavano la fronte, la sua gamba gli sfregava contro l'interno della coscia, il suo profumo gelido e penetrante gli violava il naso, quando Rukawa arrivò alla meta, alle sue labbra, quando cominciò a leccarle, pianissimo, ad accarezzarle con la sua bocca, Hanamichi era già privo di forze, intrappolato.
Le dischiuse lentamente, e con un sospiro chiese al compagno di liberargli i polsi.
Rukawa  lasciò la presa e scese con le mani fino a si suoi fianchi, fino alle sue cosce, con carezze che sembravano volergli togliere la pelle, voler dichiarare il possesso di quella carne, di quella forza. "Adesso basta, lascialo, prima che sia tardi" si ripeteva. Ma il suo corpo non gli obbediva. I suoi nervi vibravano insieme ai movimenti a e ai respiri sonori di Hanamichi, e non rispondevano più ai suoi comandi. Sentiva la carne fredda di Hanamichi sotto il suo tocco, la sentiva riscaldarsi, sentiva il battito dei loro cuori correre all'impazzata. Lo mordeva fino a fargli male, stringeva la sua pelle come se lo volesse ferire. Lo baciava in bocca. Dentro la bocca.
Spingeva la lingua fin dove poteva, sentiva che Hanamichi rispondeva. Sentiva le mani di Hanamichi tra i capelli, a spingere la sua testa contro quella di lui.
Si staccò, fermandosi ansando leggermente sopra di lui, le mani appoggiate per terra accanto alla sua testa, la sua ombra proiettata sopra il suo volto. Lo guardò.
Si sedette sulle ginocchia. Divaricò le sue gambe lentamente, ci si mise in mezzo.

Rukawa era irrefrenabile. Si era scatenato contro Hana con tutta la sua forza, non riusciva ad essere delicato, non sapeva nemmeno se avrebbe voluto, forse voleva davvero vederlo soffrire, forse davvero pensava che se lo meritava, voleva fargli male, ne aveva il diritto, e spingeva forte e veloce contro di lui, dentro di lui, sentendolo scuotersi sotto di sè, con la testa rivoltata indietro, la schiena inarcata, la voce che si sollevava. Non ricordava di aver mai provato un piacere totale come quello.

Uscì da lui dopo qualche istante, avvicinò il volto al suo come volesse baciarlo ancora, ma si fermò.
Hanamichi lo fece al posto suo: si sporse verso di lui e appoggiò la bocca sulla sua. Un bacio dolcissimo, ad  occhi chiusi, abbandonato. Un bacio di un istante. Poi si sdraiò, abbandonando le braccia aperte sulla sabbia, respirando profondamente.
Rukawa si stese accanto a lui, si rannicchiò su un fianco, guardò il volto del compagno, stanco, meravigliato, con ancora l'espressione distesa dal piacere. Dopo qualche istante si addormentò.

Al suo risveglio, la mattina dopo, Hanamichi era sparito.
Per un attimo credette di averlo solo sognato. Ma aveva ancora i pantaloni sbottonati e il suo sapore in gola, e tutto era stato troppo reale per essere solo un sogno  Lo aveva fatto davvero: lo aveva preso, ubriaco, incapace di rendersi conto davvero di cosa succedesse. Aveva perso la testa e se lo era scopato lì, sulla spiaggia.
Era stato.
...stupendo.
Era possibile, si chiedeva, che una cosa così terribile fosse stata così bella?
Ma evidentemente lo era stato solo per lui. Hanamichi se n'era andato. Era stato davvero un sogno, alla fine. Continuava a ripetersi che era più di quanto avesse mai sperato. L'aveva avuto. Per una notte sola, senza nemmeno poter avere le prove che fosse successo veramente. Ma l'aveva avuto.
Avrebbe dovuto esserne felice. E allora perché, perché questa rabbia? Perché questo insopportabile senso di frustrazione, quando aveva aperto gli occhi e lì, accanto a lui, non restava nemmeno l'impronta del suo corpo sulla sabbia?
Se n'era andato. L'aveva rifiutato, alla fine. Aveva ceduto per un momento, forse davvero perchè era sbronzo. Poi, recuperata la lucidità, si era svegliato, e magari era corso via inorridito per quello che il suo nemico giurato gli aveva fatto. 
Rukawa arrivò a casa, si fece una doccia, si infilò la divisa e pedalò verso la scuola.
Mentre si dirigeva verso la sua classe, incrociò Hanamichi. Si guardarono un istante, poi ognuno stornò lo sguardo e continuò per la sua strada, non si scambiarono nemmeno una parola.  Rukawa accarezzava la speranza che Hanamichi fosse così ubriaco da non ricordarsi niente. Ma gli bastò vederlo nel corridoio, come spalancava gli occhi, arrossiva, girava lo sguardo e lo oltrepassava, per capire che, com'era ovvio, Hanamichi fosse pienamente cosciente di quello che era successo.
In classe, seduto al suo banco, Hanamichi guardava fuori dalla finestra.
"Che mi aspettavo, che mi corresse incontro abbracciandomi?" si diceva. "Era ovvio, era solo una scopata. Chissà che gli è preso, forse gli piacciono gli uomini, in fondo le ragazze non le degna di uno sguardo .mi ha visto lì, gli è venuta voglia, e come sempre ha preso quello che voleva fregandosene di tutto il resto. Ma che non si azzardi mai più, io lo odio comunque, anche se...anche se è bravo a letto."
Hanamichi sentiva ancora lo stomaco che gli si contorceva al ricordo delle carezze della sua lingua da volpe. Non riusciva a negare, per quanto avrebbe voluto, che era stato bellissimo stare tra le mani di Rukawa. E questo lo faceva incazzare ancora di più."Sì. Lo odio, l'ho sempre odiato, no? Sarà facilissimo continuare  a farlo. E che non si azzardi a dirlo in giro. Facciamo finta di niente, che vuoi che sia. Per fortuna me ne sono andato mentre dormiva, per una volta è stato un bene l'aver fatto una cosa solo perché ero troppo confuso per farne qualunque altra, anche se lui era così bello, steso sulla sabbia con la luce dell'alba che lo accarezzava...". Scuoteva la testa e ripeteva "No. No. No. Smettila". Ma niente da fare. L'immagine di Rukawa che lo guardava dentro gli occhi, la forza con cui Rukawa gli aveva scatenato contro quella cascata di piacere lo ossessionavano.

La mattina si concluse. Iniziava l'allenamento al club.
Hanamichi entrò in palestra, Rukawa era già lì. -Ciao- gli disse. E trattenne il respiro un istante. Ma, com'era ovvio, Rukawa non rispose. Hana pensava "Bene. Va benissimo. Era solo sesso. Voleva solo sesso, non è cambiato niente. Benissimo, che mi frega?", mentre stringeva i pugni e le mandibole per scacciare quel leggero fastidio, che intendiamoci era solo umiliazione per averlo salutato, non era delusione, non era dolore, figurarsi, dolore perché la Kitsune in realtà voleva solo una notte di sesso? E che importava a lui? Non aveva pensato neppure un secondo, neppure un istante che potesse essere altro, era ovvio, e per  fortuna, t'immagini, si diceva, Rukawa innamorato, la sola idea lo faceva.. vomitare, sì, certo, lo disgustava, si ripeteva mentre stringeva i pugni fin quasi a farsi male, era solo rabbia perché quel bastardo aveva fatto quello che gli pareva. Voleva solo che non si sapesse, ecco, solo quello, doveva parlargliene, ma solo per quello.
Rukawa quel giorno giocò in modo perfetto. Continuava a infilare un canestro dopo l'altro, sembrava in preda a una strana frenesia che gli dava una resistenza inumana, inusuale per lui, come una rabbia da smaltire, una specie di dolore infuriato, qualcosa che gli rendeva necessario agire, e vincere, e sudare, per non avere tempo e forza di pensare.
Finirono gli allenamenti.
Rukawa e Hanamichi rimasero per ultimi nello spogliatoio vuoto. Hanamichi aveva aspettato apposta che tutti se ne andassero, per affrontarlo subito.
Kaede aveva appena finito di fare la doccia, aveva una tovaglietta attorno ai fianchi e stava cercando qualcosa nel suo armadietto.
Hanamichi anche lui con solo la tovaglia addosso lo guardava da dietro, cercando le parole per iniziare il discorso, per mettere in chiaro che se spifferava una parola lo avrebbe ammazzato.
Eccole, si disse.
-Se spifferi una sola parola ti ammazzo.
Rukawa chiuse gli occhi un attimo, sospirando impercettibilmente. In fondo ci sperava ancora. Voltò la testa per guardarlo.
-Non preoccuparti, non ci tengo proprio a far sapere che io e l'idiota della scuola abbiamo.
Silenzio.
Glaciale.
-E'..è stato uno sbaglio.-Balbettò Hanamichi.
Rukawa non rispondeva.
Hanamichi si avvicinò alla sua schiena. Le goccioline d'acqua danzavano, seguendo i movimenti dei muscoli sotto la pelle chiara del suo compagno. -Un errore che non deve ripetersi.- Disse, deglutendo, mentre i riflessi della luce sul pallore del suo compagno lo ipnotizzavano.
Rukawa si voltò di scatto e sussultò lievemente: non si aspettava di avere Hanamichi così vicino. I loro visi erano uno di fronte all'altro, esattamente come la sera prima, prima che cominciasse tutto.
Entrambi se ne ricordarono. Entrambi sentirono lo stesso identico brivido lungo la schiena.
Rukawa lo stava fissando, di nuovo, ma stavolta negli occhi di entrambi non c'era la morbidezza sensuale di una notte di luna e mare. C'era la consapevolezza lucida di un bivio: la verità, o far finta di niente.
Rukawa scrutava dentro gli occhi di Hanamichi.
L'intenzione con cui si era voltato era di dirgli che poteva anche piantarla con quel discorso patetico, che aveva solo voglia di scopare e si era trovato davanti lui e l'aveva fatto, tutto lì. Pensò che ancora una volta se non si fosse voltato a guardarlo sarebbe stato salvo. Ma adesso aveva i suoi occhi negli occhi, e quello che ci vedeva era qualcosa di molto diverso da quello che si aspettava. Era qualcosa che gli dava una forza disperata, di tentare il tutto per tutto, di provarci almeno, e che fosse finita.
-D'accordo-, disse.-Non succederà mai più.-
Hanamichi balbettò ancora un -Bene, allora.-e voltò le spalle. Rukawa  si avvicinò e disse piano nelle sue orecchie:-Non succederà MAI PIU'.-Calcando la voce sulle ultime due parole.
Hanamichi si voltò di scatto. Senza guardarlo in faccia, gridò: -Bene, ho detto! BE-NE! Sono contento! Felice! Lo sapevo che per te era solo giocare! Ne ero sicuro! Non ci riprovare, idiota di una volpe, altrimenti ti sfracello quelle quattro ossa rachitiche che hai! Mi sono spiegato chiaramente?
-Chiarissimamente.
-E allora che cazzo hai da guardarmi ancora così?
-Tu, piuttosto, di che hai paura?
-Che tu possa fare di nuovo quello che hai fatto, idiota! Non è ovvio?
-Non sembravi così contrario, ieri.
-M-ma..io..ero..ero..ubriaco! Ecco, sì, ero ubriaco! Avevo bevuto con Yohei e gli altri e.
-Sei ubriaco, adesso?
-Kitsune, non ti avvicinare, sai.
Rukawa camminava verso di lui. Hanamichi indietreggiava. Arrivò a toccare con la schiena il muro, era in trappola. -IO NON SONO UN GIOCATTOLO! NON MI TOCCARE!- Gridò.
Rukawa schivò il pugno che Hana gli aveva sferrato contro, e riuscì a rivoltarlo facendogli appoggiare la pancia sul muro, torcendogli un braccio dietro la schiena e inchiodandogli l'altro alla parete tenendolo per il polso.
Con le labbra gli sfiorava pianissimo il collo, accarezzandolo con il respiro.
Hanamichi spalancò gli occhi.
-Rukawa, avevi.detto.. che non sarebbe..mai più..è stato un.
Rukawa aveva incominciato a mordergli la spalla.
-..un errore..non..-
Rukawa non si fermava. I suoi baci e le sue carezze, tutto come la notte precedente. Hanamichi si sentiva venire meno. Sapeva di essere sul punto di cedere.
-Fer..fermati. Rukawa.-
-Credi che io non ci abbia provato, idiota?- sussurrava Rukawa. E intanto continuava a mordere e a stringere, accarezzandolo, baciandolo, dovunque.
Hanamichi sentiva quelle parole come lame sulla pelle.
Si chiedeva come fosse possibile che quel tono sprezzante uscisse da una bocca che lo stava torturando con tutta quella passione. Si chiedeva perché non riusciva a lasciarlo in pace, perché da quando l'aveva conosciuto quel ragazzo che aveva l'oceano addormentato negli occhi era stato un continuo, continuo tormento. Voleva resistere, avrebbe davvero voluto, ma le mani di Rukawa sembravano essere parte della sua stessa pelle, arrivarono dove volevano arrivare, dentro di lui, senza che lui riuscisse a fare niente, per quanto si ripetesse che era solo il suo corpo che voleva, chissà perché, che era solo il suo sangue a farlo agire così, non la sua anima, si sentiva umiliato e debole, odiava se stesso e ogni singolo gemito, ogni singolo sospiro con cui stava soddisfacendo l'ego di quel bastardo che gli si muoveva dentro, eppure non riusciva a farne a meno, si mordeva le labbra, ma il suo corpo parlava per lui, sapeva che Rukawa si rendeva conto di quanto forte era il piacere che stava sentendo, e questo gli provocava il più strano, profondo, paradossale dolore di cui avesse memoria.
Quando tutto fu finito, Hanamichi rimase disteso per terra, a pancia in su, per qualche istante. Rukawa, seduto con la schiena appoggiata agli armadietti, lo guardava con la sua solita espressione indifferente.
Hanamichi teneva gli occhi chiusi, il piacere lo faceva ancora ansimare leggermente, nonostante le sue sopracciglia fossero aggrottate e la sua faccia avesse un'espressione che era vicina a quella di una specie di dolore.
-In fondo l'ho sempre saputo-disse a un certo punto.
-Non volevo crederci, ho sempre sperato che fosse solo apparenza, ma lo sapevo. Tu non hai anima. A te non importa di nient'altro che di te stesso. Ieri, come oggi, ti è venuta voglia di una cosa e te la sei presa. - Hanamichi si sollevò a sedere. - Ma hai sbagliato persona, Rukawa. Toccami un'altra volta-gli disse guardandolo con uno sguardo gelido che Rukawa pensava i suoi occhi non avrebbero mai dovuto conoscere -E ti giuro che ti ammazzo con le mie mani.-
Rukawa disse:-Quegli occhi non sono i tuoi. Non voglio vedere mai più quegli occhi sulla tua faccia.-
Hanamichi aveva la voce rauca per la rabbia  e per il dolore, quando disse:-Tu non hai nessun diritto sui miei occhi.-
-Da adesso ce l'ho.- Disse Kaede, avvicinandosi. Le sue labbra cercavano quelle di Hanamichi, il suo respiro lo accarezzava.
-No-, diceva Hanamichi mentre allontanava il viso.
Rukawa si avvicinava sempre più, era così bello, così bello che Hanamichi ebbe paura.
-NO!-Gridò, spingendolo via.
Si sdraiò per terra, si coprì il volto con le braccia.

-Senti, Kitsune.- Disse. - Se vuoi solo scopare, ne trovi un migliaio, di persone con cui farlo. Se è solo questo che vuoi da me, alzati e vattene. E' l'unico favore che ti chiederò nella mia vita.-
Sentì Rukawa che si alzava. Tremava. Anche se sapeva che sarebbe successo.
Ma Rukawa non se ne andò. Si sedette accanto a lui, prese il suo mento tra le dita, facendolo voltare verso di lui,e disse: -No.-
Hanamichi liberò il mento da quella minuscola presa.
Rukawa si sdraiò accanto a lui, puntellandosi su in gomito, e di nuovo con la mano girò la sua testa verso di lui.
-Io ti voglio ancora. E ti vorrò ancora domani. E  ancora, e ancora. Te. Nessun altro. Te. - Rukawa parlava pianissimo, come parlasse con se stesso. Si avvicinò, cominciò a baciarlo. Ma stavolta lentamente, come leccando una ferita.
Hanamichi ancora non riusciva a capire. Perché parlava di "volere", quel bastardo? Perché non riusciva a dirgli chiaro e tondo CHE COSA voleva?
-Dì che non mi vuoi, Sakuragi, e io smetto immediatamente.-La mano di Rukawa scivolava sul torace del compagno, disegnando il contorno dei suoi muscoli, sempre più giù, giocando con la pelle del suo ventre, con la radice delle sue cosce.-Dì che non mi vuoi.
-Non...- Hanamichi afferrò la mano di Rukawa, immobilizzandola. Con l'altra mano spinse sul suo torace, staccandolo da sé.
-Non ti voglio- Disse guardandolo negli occhi. Una mano scivolò fino alla sua nuca, agguantando la seta nera dei suoi capelli. -Non ti voglio-ripeteva, mentre avvicinava il viso a quello di lui, mentre la sua bocca si appoggiava su quella di lui."Non ti voglio, mi spaccherai in mille pezzettini quando avrai finito di divertirti" pensava mentre si strofinava contro di lui, mentre conficcava i denti nella sua carne bianca; gli ripeteva nelle orecchie -Non ti voglio, tu mi ucciderai-.
Rukawa ascoltava, incapace di fermare le mani che esploravano il corpo del suo compagno.
-Mi avevi promesso di fermarti-diceva Hanamichi.
-Fermati allora, Kitsune. Fermati.- Ma non riusciva a scollarsi. Nessuno dei due ci riusciva.
Rukawa prese il lobo dell'orecchio di Hanamichi tra le labbra. Sussurrò dritto nelle sue orecchie: -No. Come fai a non capire, Do'Aho? Com'è possibile che tu ancora non abbia capito? Com'è possibile che tu non ti sia reso conto che sei mio, ormai, che non puoi più ribellarti, che tutto è inutile? Te l'ho detto, te l'ho detto in cento modi diversi, come fai a non capirlo ancora? Voglio te, ti voglio per intero, ti voglio per me soltanto, come fai a dire che questo significa solo volerti scopare? Come devo dirtelo? In che modo?
Hanamichi poggiò una mano sulla guancia di Rukawa, allontanandolo da sè. Lo fissò negli occhi. E  finalmente si sentì sicuro di aver capito. Finalmente,sorrise.
-E se provassi a dirmelo con le parole, stupido sorbetto muto?
Rukawa rimase interdetto.
-Devi scusarmi - sussurrò mentre tornava ad abbracciarlo. -E' che a volte me lo dimentico....
Hanamichi aveva ancora gli occhi spalancati dalla sorpresa nell'aver sentito le parole "scusami" dalla voce della kitsune, quando sentì arrivare il seguito della frase:
-..quanto sei IDIOTA!-
Hanamichi lo allontanò bruscamente. Voleva iniziare a litigarci, come sempre, per rassicurare se stesso e lui, per ritrovare quello che comunque loro due erano e sarebbero stati sempre e comunque.
"Ma in fondo", si disse, "per quello c'è tempo."
Scoppiò a ridere, lo abbracciò. -E' vero. Sono un idiota. Siamo una coppia di idioti.-
Rukawa strofinò il volto contro il torace di Hanamichi.
-Una coppia. - mormorò.
 

 


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