Disclaimers: Hana è mio, Ru pure. Quindi se voglio li faccio
s*opare. E basta!! :P (ma nessuno mi paga per questo T_T)
Una notte,
il mare
di
ZZZ
Una
notte qualunque, alla fine di un giorno qualunque.
Notte silenziosa d'estate, calda, cielo limpido.
Rumore di mare ad accarezzare la faccia di un ragazzo seduto in spiaggia, in
mano una bottiglia di birra.
Guardava verso il mare, pensava. Osservava l'orizzonte lontano, e si
chiedeva se c'era una via d'uscita a tutto quello che gli succedeva da
quando aveva iniziato ad andare al liceo; da quando aveva scontrato la
testa contro quella dura e irascibile di quell'idiota coi capelli rossi. Se
c'era un modo di venirne fuori intatto, da quella situazione paradossale.
Se ne stava lì, rintanato in quell'angolo di mondo e di tempo che si
ritagliava per essere libero di pensare, serenamente (per quanto fosse
possibile), a lui. A ricordare quando lo guardava muoversi e sentiva il
sangue accelerare, quando lo sbirciava sotto la doccia approfittando del
candore ingenuo che lo faceva essere così spontaneo, senza sospettare in che
modo la sua pelle arrossata dall'acqua calda faceva sentire qualcuno così
vicino a lui. A quando si sorprendeva a guardarlo, e trasaliva terrorizzato
dall'idea che qualcuno lo potesse scoprire.
Pensava. Senza dovere, per tutto questo, sentirsi in colpa. Senza dovere
ingoiare, nascondere, stritolare se stesso e tutto quello che suo malgrado,
per quanto ci avesse continuamente combattuto da quando lo aveva conosciuto,
quel demente gli scatenava in corpo. E anche nell'anima, maledizione. Fosse
stata solo voglia. Ma non lo era. Lo voleva da dentro. Lo voleva per sé,
completamente.
Se ne stava seduto a respirare lentamente l'odore del mare, chiedendosi
cos'avrebbe fatto più male, dirglielo e poi sopportare di essere guardato
con paura e imbarazzo, oppure continuare così finchè il tempo non glielo
avesse tolto da vicino, in qualche modo, e loro due se ne fossero andati
ognuno per la sua strada. Si immaginò la scuola che finiva, di artire per
inseguire i suoi sogni, il basket o quello che fosse e lui, Hanamichi,
lasciato alle spalle senza avergli mai fatto capire che cos'era per lui.
Si immaginò tre anni di vita al liceo passati come stava passando quell'anno,
tre anni in cui Hanamichi diventava sempre più forte e bravo a giocare,
sempre più adulto e sicuro di sé, e lui lo avrebbe spiato da dietro le
spalle, in silenzio con la paura che qualcuno, o peggio lui, se ne potesse
accorgere. Si immaginò tre anni in cui qualcuno si sarebbe accorto che quel
ragazzino coi capelli rossi era una persona speciale, e gliel'avrebbe
portato via.
Dio.
Non ce l'avrebbe fatta, lo sapeva. Sarebbe esploso, e avrebbe finito per
sbatterselo nello spogliatoio dopo una partita. E poi? Che ne sarebbe stato
di loro, poi?
Se n'era accorto, l'idiota, che era l'unico a cui lui permetteva di stare,
in qualche modo, all'interno del suo essere? Si rendeva conto che alla fine
erano sempre loro due, in qualunque caso e circostanza, lui e il do'aho, il
do'aho e lui, in campo, fuori campo, stuzzicandosi, osservandosi,
ammirandosi di nascosto?
Ce l'avrebbe fatta? Si chiedeva. A lasciare il tempo scorrere, e col tempo,
a lasciare scivolare via Hanamichi?
No. Era ovvio. No.
Quant'era che era lì? Nemmeno si ricordava più. Si godeva il leggero
stordimento dovuto forse alla birra, forse all'atmosfera irreale di quel
momento, forse al benessere che sentiva ogni volta che gli sembrava che il
resto del mondo fosse scomparso, e lui poteva starsene lì, solo, e ripetersi
che lo amava, senza doversi costringere a giurare di farla finita, anche a
costo di stare con una ragazza. Anche a costo di rubargli la sua Harukina da
sotto gli occhi.
Perché non lo faceva? Se lo meritava. Avrebbe dovuto provarlo anche lui,
anche quel bastardo avrebbe dovuto sentirsi come lui si sentiva ogni volta
che lo vedeva con lei.
Ma la semplice idea di toccare quella stupidissima ragazzina lo ripugnava.
(ma la semplice idea di provocare un dolore ad Hanamichi lo faceva
impazzire, questa era la verità.
Il pensiero di Hanamichi triste lo faceva diventare pazzo. Gli faceva
montare una collera che lo accecava.
Non sopportava che nessuno lo ferisse. Come avrebbe mai potuto credersi
capace di farlo lui?)
Sentì dei passi sul lungomare alle sue spalle. In quel silenzio, in quella
solitudine, gli sembravano irreali, gli sembravano stare ferendo la terra.
Gli sembrava una punizione per aver creduto di essere libero di pensare a
quell'idiota.
Quando si accorse dal suono che quella persona aveva scavalcato il
parapetto, era scesa in spiaggia e veniva verso di lui, si voltò con la
faccia incazzata pronto a cacciarlo fuori dal suo ritaglio di mondo a pugni,
chiunque fosse stato. Ne aveva proprio voglia, di fare a pugni.
In effetti aveva voglia di far l'amore con Hanamichi fino a non avere più
energia nemmeno per pensare. Ma dato che questo era impossibile, anche
pestare uno sconosciuto poteva andar bene. Almeno dopo si sarebbe sentito
spossato, talmente stanco da non aver più forza per resistere, e affogare
lentamente senza possibilità di ribellione nell'idea di Hanamichi, di
essere innamorato, come un perfetto irrecuperabile idiota, di quel
deficiente insulso incapace di Hanamichi Sakuragi.
Guardò lo sconosciuto che si avvicinava, e strizzò gli occhi incredulo. Per
un attimo credette che l'alcool e la suggestione gli avessero fatto uno
scherzo stupido.
Ma no: per quanto sembrasse impossibile, quello era davvero lui. La sua
testa rasata rosso fuoco, i jeans e la maglietta bianca, la camminata
scanzonata e strafottente con cui si avvicinava. Lui.
"Non stasera", pensò Rukawa. "Non stasera".
Lo guardava, mentre si avvicinava con le mani in tasca, fissando il mare.
Aveva un'espressione strana, Hanamichi, quella notte.
Aveva gli occhi lucidi, un sorriso stranamente calmo.
E la voce bassa e adulta, quando gli disse: -Ehi, Rukawa. Che fai qui a
quest'ora?- Dall'espressione e dal tono di voce si capiva che doveva aver
bevuto abbastanza. Era ovvio, altrimenti mai e poi mai si sarebbe avvicinato
e l'avrebbe salutato così, come si fa con un qualunque compagno di squadra.
Rukawa respirava lentamente e profondamente. Cercava di combattere contro il
pensiero che il suo corpo avrebbe agito senza comando, quella notte. In un
modo irreparabile.
Hanamichi senza aspettare una risposta che, sapeva, non sarebbe arrivata,
continuò:-Ho voglia di fare un bagno, dai un'occhiata ai miei vestiti, per
favore?- Mentre se li toglieva. Tutti. Si spogliò completamente, accanto a
lui. E camminò verso il mare, fece due o tre passi dentro l'acqua, e si
tuffò.
Rukawa continuava a chiedersi perché diavolo fosse venuto. Si diceva "è
pericoloso. Io sono pericoloso, qui, per lui. Potrei non riuscire a rendermi
conto ancora per molto che quello è lui, reale, vivo, vero.
Potrei convincermi che c'entrano quelle cazzate che tutti chiamano segni del
destino, e che sono solo la strada più breve per commettere pazzie che ti
porteranno all'autodistruzione".
Il mucchietto dei vestiti di Sakuragi era lì, accanto a lui. Quell'odore
così caratteristico, di sapone, se ne sprigionava, e la brezza notturna
glielo conficcava a forza nelle narici, e per quanto lui cercasse di
resistere, sentiva che stava per perdere il controllo.
Avrebbe dovuto andarsene adesso, prima di vederlo ritornare, bagnato, nudo,
con il fiatone per la nuotata verso il largo. Ma era come incollato a terra.
E rimase lì, immobile, a guardarlo uscire dall'acqua, a seguire il percorso
delle gocce che scivolavano lungo il suo torace, i movimenti della sua
schiena mentre, sdraiato a pancia in giù sulla sabbia accanto a lui,
riprendeva fiato.
Rukawa disse:-Vattene, idiota. Voglio stare solo.
Hanamichi non si mosse.-Kitsune, stasera non sono proprio in vena. Mi sono
sbronzato coi ragazzi e ho pensato di fare un bagno, e mi serviva che
qualcuno evitasse che un case mi facesse i bisogni sui vestiti.
Punto. Non sei proprietario dello spazio intorno a te, anche se ti comporti
come se lo fossi.
Rukawa continuava a guardare l'orizzonte. -Te lo dico per l'ultima volta,
vattene. Per il tuo bene.
Hanamichi lo ignorò. Era lì, steso a pancia in giù accanto a lui. La sua
schiena abbronzata si muoveva lentamente seguendo il suo respiro. La sua
faccia, appoggiata sulla sabbia, era girata verso di lui, occhi chiusi,
labbra semichiuse, Rukawa si immaginava il loro sapore salato, il calore del
suo fiato. La sua forza sopita gli stava facendo crescere in corpo una
voglia terribile di distruggerlo, di possederlo fino a renderlo incapace di
muoversi: lui sempre così forte, la sua spossatezza sdraiata accanto a lui
era di una sensualità ipnotica che lo stregava. Smise di guardarlo a viva
forza, appoggiò la testa sulle ginocchia, strizzando gli occhi e mordendosi
un labbro fino a farne uscire il sangue.
Hanamichi aprì gli occhi e lo guardò.
-Stai male?-gli chiese.
Rukawa non rispose; sollevò la testa: aveva uno strano sguardo cupo, che
Hanamichi non comprendeva.
-Va bene, Kitsune, ho capito.-Si alzò in piedi, scuotendosi la sabbia di
dosso per rivestirsi.
Kaede appoggiò la bottiglia di birra per terra.
Se fosse riuscito a non guardarlo, forse avrebbe vinto: l'avrebbe lasciato
andare, e tutto sarebbe rimasto com'era.
Ma, una frazione di secondo, quasi senza volere, si voltò.
Lo vide.
Alto, forte, bello, notturno e sensuale, senza quell'espressione da bambino
scemo in faccia. Serio, con gli occhi a guardare lontano, mentre si scuoteva
la sabbia dalle spalle, accarezzandosi.
Rukawa deglutì.
Il cuore gli martellava in petto. Sentiva la ragione abbandonarlo. Come in
trance, si alzò in piedi, si piantò davanti ad Hanamichi, guardandolo negli
occhi, con il viso vicino, vicinissimo a quello del compagno.
Hanamichi sussultò, quando se lo vide di fronte.
Guardava i suoi occhi, che avevano quello stesso strano sguardo di prima.
Continuava a non capire.
Rukawa non faceva niente. Stava, semplicemente, lì, a fissarlo.
Poi allungò la mano verso quelle di Hanamichi, in cui quest'ultimo stringeva
i suoi vestiti, glieli strappò via, e li buttò poco lontano. Fece due passi
e si portò alle spalle del ragazzo dai capelli rossi, il quale voltò la
faccia per seguirlo con lo sguardo, poi fece per girarsi per rimettersi di
fronte a lui, ma le mani di Rukawa sulle sue spalle lo fermarono. Erano
freddissime, lo fecero rabbrividire.
Quell'impercettibile fremere di pelle fu il punto di non ritorno. Rukawa
perse completamente il controllo di sé: ormai quello che contava era
soltanto sentire la voce di Hanamichi sospirare e gemere nelle sue orecchie.
Non gli importava nient'altro. Afferrò i suoi fianchi e gli baciò la
schiena.
Hanamichi diede uno strattone per liberarsi, con gli occhi sgranati si voltò
a guardare il suo rivale, sulla faccia dipinta la meraviglia. Rukawa afferrò
i suoi polsi prima di dargli tempo di divincolarsi o allontanarsi. Gli
allargò le braccia e gli si gettò contro con tutto il suo peso, facendolo
cadere sulla schiena, sotto di lui. Aveva una gamba tra quelle di Hana, i
suoi polsi stretti in mano, la bocca sul suo collo.
-Rukawa, che fai? Sei diventato pazzo?
Rukawa non diceva una parola. Continuava a mordergli e baciargli il collo e
il lobo dell'orecchio, tenendolo fermo in quella posizione.
Hanamichi era talmente sorpreso da non riuscire nemmeno a desiderare di
scrollarselo di dosso e pestarlo a sangue. Beh, diciamo la verità: la
sorpresa c'entrava, ma non era solo quello. Era come si sentiva sotto il
peso e sotto il tocco esperto della bocca, del corpo di Rukawa: i suoi baci
lo estenuavano, gli facevano perdere le forze, lo facevano sentire morbido,
abbandonato, sentiva torcerglisi lo stomaco e il sangue accelerare. Più
cercava di mettere a fuoco il pensiero, più percepiva la rabbia e la
sensualità felina di Rukawa, più se ne sentiva stregato. Quando Rukawa
risalendo lentamente cominciò a cospargergli di baci la mandibola, mentre i
suoi capelli gli accarezzavano la fronte, la sua gamba gli sfregava contro
l'interno della coscia, il suo profumo gelido e penetrante gli violava il
naso, quando Rukawa arrivò alla meta, alle sue labbra, quando cominciò a
leccarle, pianissimo, ad accarezzarle con la sua bocca, Hanamichi era già
privo di forze, intrappolato.
Le dischiuse lentamente, e con un sospiro chiese al compagno di liberargli i
polsi.
Rukawa lasciò la presa e scese con le mani fino a si suoi fianchi, fino
alle sue cosce, con carezze che sembravano volergli togliere la pelle, voler
dichiarare il possesso di quella carne, di quella forza. "Adesso basta,
lascialo, prima che sia tardi" si ripeteva. Ma il suo corpo non gli
obbediva. I suoi nervi vibravano insieme ai movimenti a e ai respiri sonori
di Hanamichi, e non rispondevano più ai suoi comandi. Sentiva la carne
fredda di Hanamichi sotto il suo tocco, la sentiva riscaldarsi, sentiva il
battito dei loro cuori correre all'impazzata. Lo mordeva fino a fargli male,
stringeva la sua pelle come se lo volesse ferire. Lo baciava in bocca.
Dentro la bocca.
Spingeva la lingua fin dove poteva, sentiva che Hanamichi rispondeva.
Sentiva le mani di Hanamichi tra i capelli, a spingere la sua testa contro
quella di lui.
Si staccò, fermandosi ansando leggermente sopra di lui, le mani appoggiate
per terra accanto alla sua testa, la sua ombra proiettata sopra il suo
volto. Lo guardò.
Si sedette sulle ginocchia. Divaricò le sue gambe lentamente, ci si mise in
mezzo.
Rukawa era irrefrenabile. Si era scatenato contro Hana con tutta la sua
forza, non riusciva ad essere delicato, non sapeva nemmeno se avrebbe
voluto, forse voleva davvero vederlo soffrire, forse davvero pensava che se
lo meritava, voleva fargli male, ne aveva il diritto, e spingeva forte e
veloce contro di lui, dentro di lui, sentendolo scuotersi sotto di sè, con
la testa rivoltata indietro, la schiena inarcata, la voce che si sollevava.
Non ricordava di aver mai provato un piacere totale come quello.
Uscì da lui dopo qualche istante, avvicinò il volto al suo come volesse
baciarlo ancora, ma si fermò.
Hanamichi lo fece al posto suo: si sporse verso di lui e appoggiò la bocca
sulla sua. Un bacio dolcissimo, ad occhi chiusi, abbandonato. Un bacio
di un istante. Poi si sdraiò, abbandonando le braccia aperte sulla sabbia,
respirando profondamente.
Rukawa si stese accanto a lui, si rannicchiò su un fianco, guardò il volto
del compagno, stanco, meravigliato, con ancora l'espressione distesa dal
piacere. Dopo qualche istante si addormentò.
Al suo risveglio, la mattina dopo, Hanamichi era sparito.
Per un attimo credette di averlo solo sognato. Ma aveva ancora i pantaloni
sbottonati e il suo sapore in gola, e tutto era stato troppo reale per
essere solo un sogno Lo aveva fatto davvero: lo aveva preso, ubriaco,
incapace di rendersi conto davvero di cosa succedesse. Aveva perso la testa
e se lo era scopato lì, sulla spiaggia.
Era stato.
...stupendo.
Era possibile, si chiedeva, che una cosa così terribile fosse stata così
bella?
Ma evidentemente lo era stato solo per lui. Hanamichi se n'era andato. Era
stato davvero un sogno, alla fine. Continuava a ripetersi che era più di
quanto avesse mai sperato. L'aveva avuto. Per una notte sola, senza nemmeno
poter avere le prove che fosse successo veramente. Ma l'aveva avuto.
Avrebbe dovuto esserne felice. E allora perché, perché questa rabbia? Perché
questo insopportabile senso di frustrazione, quando aveva aperto gli occhi e
lì, accanto a lui, non restava nemmeno l'impronta del suo corpo sulla
sabbia?
Se n'era andato. L'aveva rifiutato, alla fine. Aveva ceduto per un momento,
forse davvero perchè era sbronzo. Poi, recuperata la lucidità, si era
svegliato, e magari era corso via inorridito per quello che il suo nemico
giurato gli aveva fatto.
Rukawa arrivò a casa, si fece una doccia, si infilò la divisa e pedalò verso
la scuola.
Mentre si dirigeva verso la sua classe, incrociò Hanamichi. Si guardarono un
istante, poi ognuno stornò lo sguardo e continuò per la sua strada, non si
scambiarono nemmeno una parola. Rukawa accarezzava la speranza che
Hanamichi fosse così ubriaco da non ricordarsi niente. Ma gli bastò vederlo
nel corridoio, come spalancava gli occhi, arrossiva, girava lo sguardo e lo
oltrepassava, per capire che, com'era ovvio, Hanamichi fosse pienamente
cosciente di quello che era successo.
In classe, seduto al suo banco, Hanamichi guardava fuori dalla finestra.
"Che mi aspettavo, che mi corresse incontro abbracciandomi?" si diceva. "Era
ovvio, era solo una scopata. Chissà che gli è preso, forse gli piacciono gli
uomini, in fondo le ragazze non le degna di uno sguardo .mi ha visto lì, gli
è venuta voglia, e come sempre ha preso quello che voleva fregandosene di
tutto il resto. Ma che non si azzardi mai più, io lo odio comunque, anche
se...anche se è bravo a letto."
Hanamichi sentiva ancora lo stomaco che gli si contorceva al ricordo delle
carezze della sua lingua da volpe. Non riusciva a negare, per quanto avrebbe
voluto, che era stato bellissimo stare tra le mani di Rukawa. E questo lo
faceva incazzare ancora di più."Sì. Lo odio, l'ho sempre odiato, no? Sarà
facilissimo continuare a farlo. E che non si azzardi a dirlo in giro.
Facciamo finta di niente, che vuoi che sia. Per fortuna me ne sono andato
mentre dormiva, per una volta è stato un bene l'aver fatto una cosa solo
perché ero troppo confuso per farne qualunque altra, anche se lui era così
bello, steso sulla sabbia con la luce dell'alba che lo accarezzava...".
Scuoteva la testa e ripeteva "No. No. No. Smettila". Ma niente da fare.
L'immagine di Rukawa che lo guardava dentro gli occhi, la forza con cui
Rukawa gli aveva scatenato contro quella cascata di piacere lo
ossessionavano.
La mattina si concluse. Iniziava l'allenamento al club.
Hanamichi entrò in palestra, Rukawa era già lì. -Ciao- gli disse. E
trattenne il respiro un istante. Ma, com'era ovvio, Rukawa non rispose. Hana
pensava "Bene. Va benissimo. Era solo sesso. Voleva solo sesso, non è
cambiato niente. Benissimo, che mi frega?", mentre stringeva i pugni e le
mandibole per scacciare quel leggero fastidio, che intendiamoci era solo
umiliazione per averlo salutato, non era delusione, non era dolore,
figurarsi, dolore perché la Kitsune in realtà voleva solo una notte di
sesso? E che importava a lui? Non aveva pensato neppure un secondo, neppure
un istante che potesse essere altro, era ovvio, e per fortuna,
t'immagini, si diceva, Rukawa innamorato, la sola idea lo faceva.. vomitare,
sì, certo, lo disgustava, si ripeteva mentre stringeva i pugni fin quasi a
farsi male, era solo rabbia perché quel bastardo aveva fatto quello che gli
pareva. Voleva solo che non si sapesse, ecco, solo quello, doveva
parlargliene, ma solo per quello.
Rukawa quel giorno giocò in modo perfetto. Continuava a infilare un canestro
dopo l'altro, sembrava in preda a una strana frenesia che gli dava una
resistenza inumana, inusuale per lui, come una rabbia da smaltire, una
specie di dolore infuriato, qualcosa che gli rendeva necessario agire, e
vincere, e sudare, per non avere tempo e forza di pensare.
Finirono gli allenamenti.
Rukawa e Hanamichi rimasero per ultimi nello spogliatoio vuoto. Hanamichi
aveva aspettato apposta che tutti se ne andassero, per affrontarlo subito.
Kaede aveva appena finito di fare la doccia, aveva una tovaglietta attorno
ai fianchi e stava cercando qualcosa nel suo armadietto.
Hanamichi anche lui con solo la tovaglia addosso lo guardava da dietro,
cercando le parole per iniziare il discorso, per mettere in chiaro che se
spifferava una parola lo avrebbe ammazzato.
Eccole, si disse.
-Se spifferi una sola parola ti ammazzo.
Rukawa chiuse gli occhi un attimo, sospirando impercettibilmente. In fondo
ci sperava ancora. Voltò la testa per guardarlo.
-Non preoccuparti, non ci tengo proprio a far sapere che io e l'idiota della
scuola abbiamo.
Silenzio.
Glaciale.
-E'..è stato uno sbaglio.-Balbettò Hanamichi.
Rukawa non rispondeva.
Hanamichi si avvicinò alla sua schiena. Le goccioline d'acqua danzavano,
seguendo i movimenti dei muscoli sotto la pelle chiara del suo compagno. -Un
errore che non deve ripetersi.- Disse, deglutendo, mentre i riflessi della
luce sul pallore del suo compagno lo ipnotizzavano.
Rukawa si voltò di scatto e sussultò lievemente: non si aspettava di avere
Hanamichi così vicino. I loro visi erano uno di fronte all'altro,
esattamente come la sera prima, prima che cominciasse tutto.
Entrambi se ne ricordarono. Entrambi sentirono lo stesso identico brivido
lungo la schiena.
Rukawa lo stava fissando, di nuovo, ma stavolta negli occhi di entrambi non
c'era la morbidezza sensuale di una notte di luna e mare. C'era la
consapevolezza lucida di un bivio: la verità, o far finta di niente.
Rukawa scrutava dentro gli occhi di Hanamichi.
L'intenzione con cui si era voltato era di dirgli che poteva anche piantarla
con quel discorso patetico, che aveva solo voglia di scopare e si era
trovato davanti lui e l'aveva fatto, tutto lì. Pensò che ancora una volta se
non si fosse voltato a guardarlo sarebbe stato salvo. Ma adesso aveva i suoi
occhi negli occhi, e quello che ci vedeva era qualcosa di molto diverso da
quello che si aspettava. Era qualcosa che gli dava una forza disperata, di
tentare il tutto per tutto, di provarci almeno, e che fosse finita.
-D'accordo-, disse.-Non succederà mai più.-
Hanamichi balbettò ancora un -Bene, allora.-e voltò le spalle. Rukawa si
avvicinò e disse piano nelle sue orecchie:-Non succederà MAI PIU'.-Calcando
la voce sulle ultime due parole.
Hanamichi si voltò di scatto. Senza guardarlo in faccia, gridò: -Bene, ho
detto! BE-NE! Sono contento! Felice! Lo sapevo che per te era solo giocare!
Ne ero sicuro! Non ci riprovare, idiota di una volpe, altrimenti ti
sfracello quelle quattro ossa rachitiche che hai! Mi sono spiegato
chiaramente?
-Chiarissimamente.
-E allora che cazzo hai da guardarmi ancora così?
-Tu, piuttosto, di che hai paura?
-Che tu possa fare di nuovo quello che hai fatto, idiota! Non è ovvio?
-Non sembravi così contrario, ieri.
-M-ma..io..ero..ero..ubriaco! Ecco, sì, ero ubriaco! Avevo bevuto con Yohei
e gli altri e.
-Sei ubriaco, adesso?
-Kitsune, non ti avvicinare, sai.
Rukawa camminava verso di lui. Hanamichi indietreggiava. Arrivò a toccare
con la schiena il muro, era in trappola. -IO NON SONO UN GIOCATTOLO! NON MI
TOCCARE!- Gridò.
Rukawa schivò il pugno che Hana gli aveva sferrato contro, e riuscì a
rivoltarlo facendogli appoggiare la pancia sul muro, torcendogli un braccio
dietro la schiena e inchiodandogli l'altro alla parete tenendolo per il
polso.
Con le labbra gli sfiorava pianissimo il collo, accarezzandolo con il
respiro.
Hanamichi spalancò gli occhi.
-Rukawa, avevi.detto.. che non sarebbe..mai più..è stato un.
Rukawa aveva incominciato a mordergli la spalla.
-..un errore..non..-
Rukawa non si fermava. I suoi baci e le sue carezze, tutto come la notte
precedente. Hanamichi si sentiva venire meno. Sapeva di essere sul punto di
cedere.
-Fer..fermati. Rukawa.-
-Credi che io non ci abbia provato, idiota?- sussurrava Rukawa. E intanto
continuava a mordere e a stringere, accarezzandolo, baciandolo, dovunque.
Hanamichi sentiva quelle parole come lame sulla pelle.
Si chiedeva come fosse possibile che quel tono sprezzante uscisse da una
bocca che lo stava torturando con tutta quella passione. Si chiedeva perché
non riusciva a lasciarlo in pace, perché da quando l'aveva conosciuto quel
ragazzo che aveva l'oceano addormentato negli occhi era stato un continuo,
continuo tormento. Voleva resistere, avrebbe davvero voluto, ma le mani di
Rukawa sembravano essere parte della sua stessa pelle, arrivarono dove
volevano arrivare, dentro di lui, senza che lui riuscisse a fare niente, per
quanto si ripetesse che era solo il suo corpo che voleva, chissà perché, che
era solo il suo sangue a farlo agire così, non la sua anima, si sentiva
umiliato e debole, odiava se stesso e ogni singolo gemito, ogni singolo
sospiro con cui stava soddisfacendo l'ego di quel bastardo che gli si
muoveva dentro, eppure non riusciva a farne a meno, si mordeva le labbra, ma
il suo corpo parlava per lui, sapeva che Rukawa si rendeva conto di quanto
forte era il piacere che stava sentendo, e questo gli provocava il più
strano, profondo, paradossale dolore di cui avesse memoria.
Quando tutto fu finito, Hanamichi rimase disteso per terra, a pancia in su,
per qualche istante. Rukawa, seduto con la schiena appoggiata agli
armadietti, lo guardava con la sua solita espressione indifferente.
Hanamichi teneva gli occhi chiusi, il piacere lo faceva ancora ansimare
leggermente, nonostante le sue sopracciglia fossero aggrottate e la sua
faccia avesse un'espressione che era vicina a quella di una specie di
dolore.
-In fondo l'ho sempre saputo-disse a un certo punto.
-Non volevo crederci, ho sempre sperato che fosse solo apparenza, ma lo
sapevo. Tu non hai anima. A te non importa di nient'altro che di te stesso.
Ieri, come oggi, ti è venuta voglia di una cosa e te la sei presa. -
Hanamichi si sollevò a sedere. - Ma hai sbagliato persona, Rukawa. Toccami
un'altra volta-gli disse guardandolo con uno sguardo gelido che Rukawa
pensava i suoi occhi non avrebbero mai dovuto conoscere -E ti giuro che ti
ammazzo con le mie mani.-
Rukawa disse:-Quegli occhi non sono i tuoi. Non voglio vedere mai più quegli
occhi sulla tua faccia.-
Hanamichi aveva la voce rauca per la rabbia e per il dolore, quando
disse:-Tu non hai nessun diritto sui miei occhi.-
-Da adesso ce l'ho.- Disse Kaede, avvicinandosi. Le sue labbra cercavano
quelle di Hanamichi, il suo respiro lo accarezzava.
-No-, diceva Hanamichi mentre allontanava il viso.
Rukawa si avvicinava sempre più, era così bello, così bello che Hanamichi
ebbe paura.
-NO!-Gridò, spingendolo via.
Si sdraiò per terra, si coprì il volto con le braccia.
-Senti, Kitsune.- Disse. - Se vuoi solo scopare, ne trovi un migliaio, di
persone con cui farlo. Se è solo questo che vuoi da me, alzati e vattene. E'
l'unico favore che ti chiederò nella mia vita.-
Sentì Rukawa che si alzava. Tremava. Anche se sapeva che sarebbe successo.
Ma Rukawa non se ne andò. Si sedette accanto a lui, prese il suo mento tra
le dita, facendolo voltare verso di lui,e disse: -No.-
Hanamichi liberò il mento da quella minuscola presa.
Rukawa si sdraiò accanto a lui, puntellandosi su in gomito, e di nuovo con
la mano girò la sua testa verso di lui.
-Io ti voglio ancora. E ti vorrò ancora domani. E ancora, e ancora.
Te. Nessun altro. Te. - Rukawa parlava pianissimo, come parlasse con se
stesso. Si avvicinò, cominciò a baciarlo. Ma stavolta lentamente, come
leccando una ferita.
Hanamichi ancora non riusciva a capire. Perché parlava di "volere", quel
bastardo? Perché non riusciva a dirgli chiaro e tondo CHE COSA voleva?
-Dì che non mi vuoi, Sakuragi, e io smetto immediatamente.-La mano di Rukawa
scivolava sul torace del compagno, disegnando il contorno dei suoi muscoli,
sempre più giù, giocando con la pelle del suo ventre, con la radice delle
sue cosce.-Dì che non mi vuoi.
-Non...- Hanamichi afferrò la mano di Rukawa, immobilizzandola. Con l'altra
mano spinse sul suo torace, staccandolo da sé.
-Non ti voglio- Disse guardandolo negli occhi. Una mano scivolò fino alla
sua nuca, agguantando la seta nera dei suoi capelli. -Non ti
voglio-ripeteva, mentre avvicinava il viso a quello di lui, mentre la sua
bocca si appoggiava su quella di lui."Non ti voglio, mi spaccherai in mille
pezzettini quando avrai finito di divertirti" pensava mentre si strofinava
contro di lui, mentre conficcava i denti nella sua carne bianca; gli
ripeteva nelle orecchie -Non ti voglio, tu mi ucciderai-.
Rukawa ascoltava, incapace di fermare le mani che esploravano il corpo del
suo compagno.
-Mi avevi promesso di fermarti-diceva Hanamichi.
-Fermati allora, Kitsune. Fermati.- Ma non riusciva a scollarsi. Nessuno dei
due ci riusciva.
Rukawa prese il lobo dell'orecchio di Hanamichi tra le labbra. Sussurrò
dritto nelle sue orecchie: -No. Come fai a non capire, Do'Aho? Com'è
possibile che tu ancora non abbia capito? Com'è possibile che tu non ti sia
reso conto che sei mio, ormai, che non puoi più ribellarti, che tutto è
inutile? Te l'ho detto, te l'ho detto in cento modi diversi, come fai a non
capirlo ancora? Voglio te, ti voglio per intero, ti voglio per me soltanto,
come fai a dire che questo significa solo volerti scopare? Come devo
dirtelo? In che modo?
Hanamichi poggiò una mano sulla guancia di Rukawa, allontanandolo da sè. Lo
fissò negli occhi. E finalmente si sentì sicuro di aver capito.
Finalmente,sorrise.
-E se provassi a dirmelo con le parole, stupido sorbetto muto?
Rukawa rimase interdetto.
-Devi scusarmi - sussurrò mentre tornava ad abbracciarlo. -E' che a volte me
lo dimentico....
Hanamichi aveva ancora gli occhi spalancati dalla sorpresa nell'aver sentito
le parole "scusami" dalla voce della kitsune, quando sentì arrivare il
seguito della frase:
-..quanto sei IDIOTA!-
Hanamichi lo allontanò bruscamente. Voleva iniziare a litigarci, come
sempre, per rassicurare se stesso e lui, per ritrovare quello che comunque
loro due erano e sarebbero stati sempre e comunque.
"Ma in fondo", si disse, "per quello c'è tempo."
Scoppiò a ridere, lo abbracciò. -E' vero. Sono un idiota. Siamo una coppia
di idioti.-
Rukawa strofinò il volto contro il torace di Hanamichi.
-Una coppia. - mormorò.
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