Un altro
giorno
parte III
di
Soffio d'argento
Quando giunsero al quartier generale del
Ryonan, trovarono Fukuda, con la solita aria assonnata, ad aspettarli.
<< Bentornato a casa. >> disse ironico.
Hanamichi si limitò a sorpassarlo lanciandogli
un laconico “idiota”. Appena dentro, notò subito che nulla, almeno
all’apparenza, era cambiato. Taoka stava alla solita scrivania cercando di
farsi spazio tra la marea di scartoffie che raramente riusciva a sistemare.
Fukuda si sedette sulla sedia della sua scrivania, iniziando a dondolarsi,
senza mai spostare lo sguardo da Hanamichi. Non vi erano più persone di
quelle che ricordasse. C’era il solito Aida che cercava qualcosa
nell’archivio e sbraitava perché nessuno metteva mai in ordine; il capitano
Uozumi che osservava con cipiglio ogni membro della squadra. Mancava Koshino.
Sendo gli fece segno di aspettare lì, mentre lui affrontava le urla di Taoka.
Ritornare in quel posto dove aveva trascorso
gli anni più belli, e alla fine anche i più brutti, della sua vita, rendeva
Hanamichi nostalgico. Quando vide Fukuda alzarsi per avvicinarsi, pensò bene
di andare ad infastidire un po’ il povero Aida. Fukuda era quello della
squadra con il quale era sempre andato poco d’accordo. Aveva litigato
spesso, ma, nonostante tutto, era stato costretto più volte ad ammettere che
era stato, spesso, un buon aiuto. Era imprevedibile e il suo viso non
proprio rassicurante gli aveva sempre aperto le porte della malavita.
Infiltrarsi per lui era un gioco da ragazzi, dato anche il pessimo
carattere. Era grande amico di Koshino e Sendo e insieme formavano un trio
eccezionale. Un po’ come lui, Mitsui e Ryota, pensò tra sé.
<< Ehi Aida! Come va? >>
Quando Aida si voltò e vide il viso sorridente
di Hanamichi, fece per scappare, ma la ferrea presa del rosso gli impedì di
farlo. Si era quasi rassegnato a subire gli scherzi del rossino, quando
Akira uscì dall’ufficio del comandante per chiamarlo. Aida tirò un sospiro
di sollievo. Quando era alla speciale, il divertimento più grande di
Hanamichi era sempre stato quello di prendere in giro il tranquillo Aida,
lui e le sue manie. Non c’era momento, infatti, in cui si potesse trovare
Hikoichi senza il suo inseparabile blocchetto degli appunti. E per Hana era
uno spasso. Era la sua vittima preferita. Si ricordava di quando lo aveva
chiuso per due ore nell’obitorio della scientifica, o di quando aveva
versato nella sua tazza del caffè il sale al posto dello zucchero.
<< Finalmente sei arrivato Sakuragi. >>
Il diretto interessato fece un lieve cenno con
la testa. Quell’uomo non gli era mai piaciuto e lo stesso parlare con lui
gli dava molto fastidio. Fece uno sforzo enorme per non mandare a quel paese
il comandante ad ogni sua parola. Anche lui, sempre così istintivo, sapeva
che per catturare Faccia d’Angelo, le tre migliori squadre della prefettura
avrebbero dovuto collaborare. Non c’era altra soluzione. La volpe avrebbe
presto avuto il suo lacciolo al collo e Toshio sarebbe stato vendicato.
<< Quindi Sakuragi tu t’infiltrerai nel clan
dei Tashima. >>
Quando Hanamichi fu libero di andarsene, tirò
un sospiro di sollievo e ringraziò la sua buona stella per averlo aiutato a
sopportare le boriose parole di Taoka.
<< Sakuragi finalmente sei arrivato! >> gli
disse sorridendo Koshino.
In effetti, da quando quel porcospino maniaco aveva
accalappiato lo scorbutico più carino della speciale, così veniva definito
Koshino dalle colleghe, il suo carattere aveva subito grandi miglioramenti.
E non solo il suo. Hiro era diventato più socievole, nei limiti del
possibile considerando quanto odiasse la compagnia, e Akira era diventato un
po’ più responsabile e serio, anche questo nei limiti del possibile, per
Mister Smile.
Koshino detestava ancora sprecare le sue corde vocali, ma almeno adesso lo
si vedeva scambiare qualche parola con gli altri colleghi e sorridere. Beh
quello era di certo il cambiamento più visibile. Sendo aveva smesso di
correre dietro a tutte le ragazze della prefettura e la sua fama di playboy
stava svanendo, sotto le pesanti occhiate assassine del compagno. A quel
tempo c’era ancora lui. Ma era stato tanto tempo addietro.
<< Sono arrivato da poco. >> aveva risposto il
rosso.
<< Dalla tua faccia deduco che tu sia stato
già da Taoka. Allora come ti trovi? >>
<< E’ una strana sensazione… è come cancellare
gli ultimi due anni della mia vita. >>
<< Andiamo a prendere qualcosa da bere? Akira
ci seguirà dopo. >>
Il rossino seguì Hiro al bar della speciale. A
quell’ora del mattino vi erano poche persone e parlare sarebbe stato più
semplice. Hanamichi si girò parecchie volte a controllare e mettere a
confronto i suoi ricordi con la realtà. In quei due anni non sembrava
cambiato nulla, però tutto era diverso. Si sentiva come il figliol prodigo
di quella parabola che gli avevano raccontato quando era ancora bambino. La
madre era irlandese e lo avevo cresciuto secondo i canoni della religione
cattolica, ma col tempo, crescendo, li aveva abbandonati, diventando un
ibrido, di religione e di pensiero.
Sospirò leggermente sistemandosi sulla scomoda
sedia del tavolino. Prese un caffè lungo, mentre Hiro si limitò ad un succo
di frutta. Hanamichi sorrise e Hiro lo guardò in cagnesco.
<< Il caffè mi fa innervosire. >> rispose
lapidario.
Rimasero per un po’ in silenzio, fino a quando
fu Hanamichi stesso a prendere la parola. Iniziarono a ricordare avvenimenti
del loro passato in comune, vecchi colleghi, missioni pericolose, fino a
quando Hanamichi si decise a porgere la domanda che più lo pressava.
<< Akira mi ha raccontato dell’arresto del
Falco… >> e lasciò cadere lì l’argomento.
Hiro rimase un po’ ad osservare il bicchiere
sul tavolo, come stesse ripensando pure lui, poi di decise a parlare. Guardò
Hanamichi negli occhi e si scostò un ciuffo di capelli che ricadeva sul
viso.
<< Vuoi sapere della volpe, vero? >> e senza
attendere una risposta continuò: << La volpe… è un osso duro, merita proprio
l’appellativo di faccia d’angelo, te lo assicuro. Io l’ho conosciuto e la
sua fama è ben meritata. Avresti dovuto esserci, Hanamichi… ma forse è
meglio procedere per gradi. Dove eravate arrivati? >>
<< Akira mi ha raccontato di come Fuku-verme
abbia risolto la situazione. Un colpo di fortuna! >>
Hiro per poco non si strozzò con il succo di
frutta, poi con le lacrime agli occhi gli disse:
<< Intendi Kiccho? Non l’hai ancora perdonato
vero? >>
Hanamichi scosse il capo severamente, poi si
voltò ad osservare alcuni giovani colleghi entrare ridendo e scherzando
nella piccola sala del bar.
<< E’ più forte di me. Non lo perdonerà mai!
>>
<< Mai è una parola che indica tanto, troppo
tempo… >> gli rispose Hiro poi sospirò e continuò il resoconto:
Quando Koshino aveva riaperto gli occhi, aveva
visto il timer lampeggiare bloccato due secondi prima della fine. Aveva
tirato un grosso sospiro e si era voltato subito a cercare il compagno. La
paura che non fosse riuscito a farcela contro il Falco era purtroppo
fondata, ma quando si mise seduto lo trovò davanti a sé, sorridente. Non ci
pensò due volte prima di abbracciarlo, incurante di tutto e tutti. Aveva
stretto il suo ragazzo molto stretto per un tempo che era parso a tutti
infinito. Era stato Kiccho a risvegliarli. Imbarazzato aveva attirato la
loro attenzione con un leggero colpo di tosse. Hiro si era staccato da Akira
ancora più imbarazzato del dovuto e solo allora si era accorto del sangue
sparso sul volto e sugli abiti del compagno. Cercò sul viso eventuali
ferite, ma ben presto si accorse del corpo steso dietro di lui e si
tranquillizzò. Avrebbe voluto chiedere più spiegazioni, ma l’arrivo di
quella furia di Taoka aveva rimandato a dopo tutte le domande. La donna
della macchina era stata portata subito in ospedale e le era stato prestato
soccorso psicologico e fisico. Per giorni non fu, però, possibile parlarle.
Rimase per molto sotto sedativi, qualunque cosa avesse visto aveva avuto il
potere di terrorizzarla. Gli artificieri controllarono a tappeto tutte le
macchine e le strutture dell’aeroporto ma non fu ritrovato nessun ordigno.
Un pensiero occupava la mente dei tre
poliziotti e non riusciva ad andarsene, ma per il momento lo accantonarono.
Alla speciale ripresero subito i lavori. Nonostante tutte le minacce di
Taoka, i tre poliziotti ricevettero un meritato congedo di tre giorni. Akira
il primo giorno lo trascorse dormendo, riverso sul letto della camera,
mentre Hiro lo andava a controllare ogni trenta minuti, borbottando qualcosa
sul “porcospino hentai e dormiglione”, ma tutto sommato la situazione non
dispiaceva neanche a lui. Aveva bisogno di tempo per riflettere e lo fece a
suo modo: leggendo libri con la musica a tutto volume sparata direttamente
nelle orecchie. Era felice che tutto si fosse sistemato per il meglio, ma
sapeva pure che c’era qualcosa che non andava. Un presentimento che neppure
lui riusciva a capire. Akira gli aveva raccontato ogni attimo di quel
terribile giorno, però c’erano fin troppi punti oscuri. Pensando che, a
rifletterci da solo, non avrebbe raggiunto nessuno scopo, se non quello di
aumentare la sua emicrania, decise di accantonare quel pensiero e i suoi
dubbi fino al risveglio del ghiro. Fukuda decise invece di trascorrere i tre
giorni fuori da Kanagawa, a cavallo della sua moto. Sembrava a tutti la
quiete prima della tempesta, quando ancora il sole splende ma il freddo si
intrufola dentro le ossa.
<< Wow che sei poetico Kosh! >> esclamò il
rosso.
<< La pianti di fare lo sbruffone? Guarda che
ci sto un attimo a smettere di raccontare. >>
<< Ok ok! >> disse il rosso alzando le braccia
in segno di resa: << Continua…>>
Tre giorni dopo erano nuovamente alla
centrale. Taoka era, come al solito, nervoso. Aveva avuto un colloquio con
le alte sfere dell’Interpol e questo non era riuscito a rassicurarlo.
Purtroppo le informazioni che l’Interpol aveva immagazzinato, provenivano
tutte da terze fonti e rintracciarle era impossibile visto che erano state
fatte “sparire”. La donna della macchina aveva perso la parola per il forte
shock, e lui si sentiva con l’acqua alla gola. Quando entrò nel
commissariato tutti notarono che era più nero di una notte tempestosa.
Rimase un po’ a borbottare nel suo ufficio e quando vide il viso sorridente
d’Akira fare capolino nell’ufficio, cominciò a sbraitare come un ossesso.
Solo quando finì di dispensare a manca e dritta ogni compito noioso
possibile, si calmò accasciandosi sulla sedia. Un’ora dopo Aida venne ad
avvertire, gli altri componenti della squadra, che il comandante Taoka aveva
convocato tutti per una riunione urgente. Pianificarono ogni mossa e
decisero tutti i ruoli. Furono tutti d’accordo nel considerare impossibile
l’eventualità che qualcuno potesse prendere il posto del Falco. Chiunque
fosse in realtà sarebbe stato sciocco rischiare. L’uomo, che aveva piazzato
l’ordigno in quella macchina, era rimasto a guardare tutta la scena e sapeva
che il loro contatto era stato freddato. Non potevano neppure usare Sendo o
Fukuda, perché erano stati già avvistati, così Taoka optò per Koshino. Akira
cercò in tutti i modi di evitarlo, perché intuiva quanto potesse rivelarsi
pericolosa quella missione, ma alla fine cedette, per il buon esito della
missione. Koshino era un ottimo artigliere e fabbricatore d’ordigni. Era
senza dubbio l’uomo più adatto, l’unico che avrebbe potuto cavarsela
egregiamente. Sia Sendo che Fukuda non possedevano cognizioni simili,
Koshino era stato prelevato appositamente dalla squadra degli artiglieri,
era il migliore. Ora che il Falco era stato fatto fuori, di certo quel clan
avrebbe ricercato qualcun altro e questo qualcun altro sarebbe stato Shun
Tokegawa, detto il Bomberman. Di lui si sapeva ben poco. Era entrato nel
giro una decina d’anni prima. Era veloce e preciso. Non c’era nessuno in
tutto il Giappone e forse in tutta l’Asia orientale, che potesse eguagliare
la sua fama. Si sapeva che aveva militato in una delle più grandi famiglie
yakuza di Tokyo e che i suoi servigi venivano pagati a buon prezzo. Chi
aveva lavorato con lui, era a conoscenza del carattere impossibile e della
sua freddezza nell’escogitare piani infallibili. Ma non tutti sapevano che,
in realtà, dietro la maschera di ghiaccio e il carattere scorbutico di
Tokegawa si nascondeva un poliziotto sotto copertura: Hiroaki Koshino.
<< Hiro… >> aveva detto Akira cercando di
attirare la sua attenzione, ma il compagno sembrava troppo interessato ad
una rivista sportiva. In realtà Koshino sapeva già cosa voleva dirgli il suo
koi e aveva evitato il più possibile il contatto con Sendo.
<< Koshino maledizione! Vuoi posare quella
cazzo di rivista e ascoltarmi? >>
Hiroaki aveva gettato velocemente dietro di sé
il giornale, sconvolto dal tono innervosito del suo compagno. Sapeva quanto
fosse difficile far arrabbiare Mister Smile, come lo chiamavano in centrale,
ma sapeva pure che il suo carattere scorbutico riusciva, spesso, a far
uscire il peggio delle persone. Decise di starlo ad ascoltare, in fondo le
sue paure erano più che giustificate e, se i ruoli fossero stati opposti, si
sarebbe trovato lui al posto di Akira. A pensarci bene, si disse, era
capitato più di una volta.
<< Kosh devi rinunciare! >> disse Akira con
tono perentorio.
<< Prego? >>
<< E’ una missione troppo pericolosa… tu non
puoi affrontarla tutta da solo. >>
<< Ma non c’è altra scelta, Aki-kun. Vuoi per
caso che scoppi un caso nazionale? Se quella stupidissima banda yakuza
riuscisse ad uccidere il rappresentante di quel paese straniero, sarebbero
guai. Non devo ricordarti quanto già freddi siano i rapporti con il nostro
governo. Dopo anni di guerra fredda, finalmente i nostri rappresentanti si
sono decisi a sedersi attorno al tavolo delle trattative e noi che facciamo?
Mandiamo tutto all’aria? >>
<< Non è questo Hiro… >> rispose Akira
sedendogli accanto e stringendo le sue mani: << E’ solo che… qualcosa in
questa storia non mi quadra a cominciare dal Falco. E’ stato troppo facile
ucciderlo… e poi perché ricorrere ad un terrorista internazionale? Ci sono
troppi perché e nessuna risposta. Non riesco a stare tranquillo. E’ come se…
mi sento impotente in questo momento. >>
<< Aki… anche io sento ciò che ti affligge e
sono sicuro che anche Kiccho ci stia pensando, ma pensare non ci porterà da
nessuna parte. Purtroppo non abbiamo scelta. Dobbiamo agire e sperare per il
meglio. >>
Akira chiese al comandante Taoka di poter
guidare egli stesso la missione e lui glielo accordò. Fukuda fu richiamato
definitivamente in servizio e, benché odiasse lasciare un lavoro a metà,
accettò la situazione di buon grado.
Come immaginato, poco tempo dopo il
rappresentante di un clan mafioso chiese i servigi di Shun Tokegawa.
L’incontro era stato fissato al molo 17 del porto di Tokyo, tutto secondo i
piani di Koshino.
Kenji Fujima arrivò all’appuntamento in
perfetto orario, alle 22:00. Con sé vi era il fedele braccio destro Toru
Hanagata, mentre alla guida della nera merchedes (ehmm… non è pubblicità
occulta? NdH. Tu dici Hana? NdA. Già già. NdH. Beh per una volta possiamo
chiudere un occhio, no? NdA. -_-;;; NdH) c’era Hasegawa detto il Sanguinario
per la sua passione per l’esecuzione delle morti più sanguinolente dei suoi
nemici. Il clan mafioso dello Shoyo aveva la sua sede a Kanagawa ma le
diramazioni dei suoi affari illeciti, coprivano quasi l’intero Giappone.
Fujima, poi, era un capo molto amato dai suoi uomini e le sue strategie di
guerriglia mafiosa, erano considerate le più efficaci. Era un genio della
strategia e pare che, una volta, fosse persino riuscito a sconfiggere il
capitano della squadra del Kainan, Shinichi Maki, facendogli fare la figura
dello sciocco davanti ai suoi uomini.
<< Finalmente c’incontriamo Tokegawa. Lasci
che le presenti il mio braccio destro Hanagata. >> cominciò Fujima appena
gli si avvicinò.
Toru lo squadrò e gli si leggeva bene negli
occhi la sua diffidenza. Non si fidava di lui e questo avrebbe di certo
rallentato le sue mosse. Conquistare la fiducia di Fujima non sarebbe stato
facile, prima avrebbe dovuto conquistare quella di Hanagata. Tutti sapevano
che il piccolo boss dello Shoyo dipendeva in tutto e per tutto da Hanagata,
in lui riponeva una fiducia smisurata e non si muoveva senza aver sentito
prima la sua opinione. Era ben nota anche la pacatezza di quest’ultimo e la
capacità d’osservazione. Era sempre silenzioso e anch’egli riponeva una
fiducia smisurata nel suo capo. Fra loro c’era un rapporto quasi simbiotico
e se, sfortunatamente, non fosse riuscito a rendere inoffensivo quel
gigante, si sarebbe trovato davvero nei guai. Lui non aveva di certo
l’agilità di Sendo, né la forza fisica di Fukuda. Poteva agire d’astuzia,
solo quello. Gettò nell’acqua la sigaretta che stava fumando fino a pochi
attimi prima e si avvicinò a Fujima, conscio del suo ruolo.
<< Perché avete richiesto la mia
collaborazione? >>
<< E’ proprio vera la sua fama, va sempre
dritto al sodo. Mi piace questo. Ad ogni modo abbiamo bisogno delle sue
“qualità” perché il nostro falco è morto. >>
Hiroaki sorrise. Un sorriso amaro.
<< Le mie” qualità” costano care… >>
<< Sarà pagato fino all’ultimo filo… >>
vedendo l’espressione soddisfatta sul volto di Tokegawa, Fujima continuò: <<
spero che vorrà accettare il mio invito e trasferire la conversazione in un
luogo più… privato… lontano da eventuali occhi. >>
Hiroaki salì sulla macchina nera di Fujima e
insieme si diressero alla faraonica villa alla periferia di Tokyo. Era la
prima volta che Hiro entrava nella residenza del boss della famiglia Shoyo e
fu stupito dal lusso ostentato da quella residenza che pareva più un
castello reale. Le maniglie delle porte e delle finestre erano d’oro, il
pavimento era lastricato di marmo e dipinti di pittori famosi coloravano le
pareti. Tutto lì richiamava il lusso ma non l’eccesso, era stata arredata da
qualcuno con buon gusto e amante dei particolari. Notò molti quadri
scomparsi dai musei di mezzo mondo e persino una copia della “Gioconda” di
Leonardo.
<< I pittori italiani! Pensi che questo è
l’originale. >>
<< Ma non è quello conservato al Louvre? >>
<< Affatto! Quello è solo una copia ben fatta,
la teca è stata messa appositamente per non permettere a qualcuno di ficcare
il naso dove non dovrebbe. Diciamo che qualcuno mi doveva un favore. >>
Koshino seguì Fujima nel gran salotto che
avrebbe potuto benissimo ospitare una casa di modeste dimensioni. Secondo il
rituale del capo dello Shoyo, non gli fu rivelato lo scopo della sua
“missione”. Quella sera parlarono del Rinascimento italiano e delle bellezze
di quella bella penisola a forma di stivale. Non vi fu neppure un accenno al
Falco o alla missione per la quale era stato richiesto. Dopo una cena
sfarzosa e ricca (Fujima sapeva essere un ottimo ospite), Koshino fu
riaccompagnato al molo, dove prese la sua macchina e scomparve nel dedalo di
strade della periferia di Tokyo. Come per ogni missione, alloggiò all’hotel
Sharon (ma che razza di nome è? NdK. L’ho preso nel 5° volume di Jiraishin,
^^;;; NdA), un albergo tranquillo il cui proprietario non faceva mai domande
e ospitava tutti, purché pagassero. Prima di entrare in camera, scese al
supermercato vicino all’hotel e comprò una confezione di birra.
Steso sul letto, con le goccioline d’acqua che
ancora gli rigavano il viso, sorseggiava lentamente una lattina fresca di
birra. Fuori le luci della città sembravano degli occhi bramosi di sangue,
mentre la notte diveniva la pelliccia di una bellissima creatura nera. Il
suo pensiero corse ad Akira e si chiese cosa stesse facendo. Sorrise tra sé
e sé. In quel momento di sicuro stava sbraitando contro Taoka perché l’aveva
costretto a restare a Kanagawa. Per quel primo incontro era andato solo lui.
Trascorsero alcuni giorni noiosi, poi cinque
giorni dopo il primo incontro, Fujima si presentò all’hotel in cui
alloggiava e lo invitò a fare colazione a casa sua.
<< Allora signor Tokegawa, ha pensato alla
proposta che le ho fatto? >> disse Fujima sollevando le iridi verdi dalla
tazza fumante di the per posarli su di lui.
<< Purché venga pagato bene… >>
Fujima si alzò e gli sorrise:
<< Bene. Vorrà dire che ci vedremo domani alla
stessa ora a Kanagawa. Spero di vederla in piena forma. >> e detto questo
scomparve dentro casa.
Koshino fu accompagnato al grande cancello dal
braccio destro di Fujima, Hanagata. Prima che potesse salire sulla sua
macchina, questi gli si avvicinò:
<< Non mi fido di te, Tokegawa, perciò sta
bene attento: un passo falso e sei bello e morto. >>
Koshino si limitò a fissarlo negli occhi e
notò con piacere che anche Hanagata non sembrava disposto ad abbassare
facilmente lo sguardo. Quella missione si sarebbe rivelata più divertente
del previsto.
Tornato a Kanagawa evitò di incontrare i
compagni di squadra, conscio del fatto che Hanagata gli avesse sicuramente
messo alle costole dei segugi e si sistemò nella piccola casa quasi fuori
città, usata spesso come base per le sue missioni.
Il giorno dopo incontrò Fujima nella sua
residenza di Kanagawa e notò come fosse molto più sfarzosa di quella di
Tokyo. Lì presero gli accordi per il nuovo incarico e poiché Fujima
desiderava conversare in qualsiasi momento con i suoi “ospiti”, gli fu
imposto di trasferirsi in quella reggia. Questo fu il primo fuori programma
della missione. Koshino si vide costretto ad accettare, temeva che un suo
rifiuto avrebbe insospettito il padrone di casa, ma soprattutto il colosso
che lo proteggeva nell’ombra. Due metri di muscoli che non era consigliabile
far arrabbiare.
Secondo gli accordi avrebbe dovuto far saltare
in aria il rappresentante della corona di un Paese straniero in visita
diplomatica in Giappone, tutto secondo le informazioni ricevute. Il motivo,
però, non gli fu dato di sapere ma, da qualche informazione ricevuta dallo
stesso Fujima, pareva che la famiglia dello Shoyo avesse degli affari in
quel Paese. Indagare dall’interno fu più difficile del previsto. Lo stesso
Fujima, che pareva avere un’ammirazione particolare per Koshino, non si
faceva sfuggire nulla. Gli altri componenti della famiglia vivevano in
adorazione di quel ragazzo con il viso angelico e gli artigli di una tigre e
poco apprezzavano le continue attenzioni del loro capo verso quello
sconosciuto di cui non si sapeva nulla.
<< Sì sì va beh! Salta pure la noiosa pare
riguardante quell’inetto nanerottolo dello Shoyo. Io voglio sapere della
volpe. Quel cretino (Ehi! Come ti permetti? NdF offeso. Chiedo scusa. NdA)
di Fujima non m’interessa. >> sbottò Hanamichi.
Koshino scoppiò a ridere. Il ricordo di quei
giorni lo stava trascinando in un vortice dal quale aveva cercato con tutto
se stesso di uscire. Per fortuna Sakuragi lo aveva bruscamente allontanato
da quel gorgo nero. La notte sognava ancora quel periodo della sua vita e
solo la presenza del calore d’Akira e del suo respiro continuo e costante,
riusciva a rilassarlo. Quelle notti in cui non riusciva a dormire, restava a
fissare il suo ragazzo disteso sul letto e beandosi di quella visione. Akira
sembrava sempre accorgersene, perché prendeva un lembo della coperta, lo
copriva e lo stringeva a sé e così restavano tutta la notte. Chissà se Akira
ci pensa ancora, si chiedeva spesso, ma non aveva il coraggio di
chiederglielo. Quello era l’unico argomento che nessuno di loro due riusciva
ad affrontare senza un brivido. Quello che era accaduto doveva solo essere
dimenticato. Quello che era accaduto…. Scosse la testa con decisione e
cambiò l’argomento.
<< Come vuoi Sakuragi. L’incontro con Faccia
d’Angelo avvenne due settimane dopo. >>
Nonostante fosse lì da molto tempo, Fujima
sembrava non avere intenzione di apprestarsi a mettere in atto il suo piano.
Sembrava che stesse aspettando qualcosa o qualcuno. E quel giorno n’ebbe la
certezza. Si svegliò in preda all’agitazione. La casa era immersa nel
silenzio come sempre, ma c’era qualcosa d’anormale in quella tranquillità.
Quel giorno si sentiva più nervoso del solito. Il soggiorno in quella reggia
si stava rivelando più pericoloso del previsto. Aveva sempre gli occhi di
Hanagata alle sue spalle e Fujima gli riservava troppe attenzioni. Hasegawa
lo seguiva ovunque andasse appena varcava la soglia di casa. Si sentiva
sempre più nervoso e questo non gli piaceva. Non aveva contatti con la sua
squadra da parecchio tempo e comunicare con loro sarebbe stato un grosso
errore. Sembrava che Fujima si fidasse di lui, ma c’era qualcosa di sospetto
in tutto ciò che faceva. Quando, qualche giorno prima, gli aveva chiesto in
che momento desiderasse entrasse in azione, lui gli aveva sorriso e risposto
che sarebbe arrivato il tempo, nel frattempo avrebbe potuto godersi la sua
compagnia. Nonostante tutto la notte riusciva ad addormentarsi
tranquillamente e la mattina si svegliava riposato, ma non quella.
Sapeva che qualunque cosa o persona
aspettasse, quel giorno sarebbe arrivata. E non tardò ad avere conferma.
Verso le 10 del mattino, una grossa macchina nera, una limousine di svariati
metri, fece il suo ingresso nel giardino della famiglia. Dopo aver percorso
sinuosamente tutto il tragitto, come una bellissima pantera nera, si era
fermata davanti al portone di casa, dove ad aspettarlo c’era un Fujima più
che mai sorridente. Dalla macchina uscì prima un uomo dallo strano taglio di
capelli, quasi fosse un casco nero. Aveva lo sguardo truce, molto di più di
quello di Fukuda. Indossava un completo nero, come i suoi occhi. Osservò
attentamente tutti i presenti, quasi ad esaminarli, poi si spostò e lasciò
uscire un altro uomo, probabilmente il suo capo. Aveva i capelli del colore
della notte e la pelle chiara, innaturale per un giapponese. Aveva gli occhi
di un blu gelido. Guardò Fujima che gli fece l’incontro sorridente ed
entrarono in casa. Quando passò davanti a Koshino si fermò a guardarlo e il
suo sguardo di ghiaccio lo gelò. Hiroaki sentì una morsa gelata congelargli
le ossa ma sostenne lo sguardo, malgrado la fatica che gli costava. Fujima
lasciò il braccio di quell’uomo e si avvicinò a Koshino.
<< Signor Tokegawa, le presento Rukawa Kaede.
>>
Koshino si sentì gelare il sangue. Conosceva
già il nome di quell’uomo senza sorriso: era Faccia d’Angelo, detto anche la
Volpe. Era il più pericoloso criminale dell’Asia dell’Est e forse di gran
parte del mondo. Di lui si sapeva ben poco, ma la sua crudeltà era nota a
tutti. Cosa ci faceva Fujima con quell’uomo? Fece scorrere il suo sguardo
sull’uomo accanto a Rukawa, doveva essere senz’altro Minami, l’Ace-killer,
era l’uomo di fiducia di Rukawa. La situazione si stava complicando ancora
di più. Avrebbe voluto parlare con Akira, ma non poteva. Quell’uomo, Rukawa,
metteva i brividi, il suo sguardo sembrava oltrepassare le fragili barriere
del corpo e scrutarti dentro. Il contatto dei loro occhi durò poco, poi
Rukawa, senza dire neppure una parola, seguì Fujima nel gran salotto e lì
discussero a porte chiuse, solo lui e Fujima, persino i fedeli “braccio
destro” erano rimasti fuori. Koshino fu invitato ad entrare solo due ore
dopo. Fu fatto accomodare sulla poltrona di fronte Rukawa e iniziarono a
conversare. In realtà era solo Fujima a parlare, gli altri due continuavano
a guardarsi senza neppure parlare. Improvvisamente qualcosa spaventò Koshino.
Un sorriso, simile più a un ghigno di soddisfazione, increspò il viso di
Rukawa. Questi si alzò e si portò alle spalle di Koshino, il quale cominciò
a capire l’assurdità della situazione. Persino il sorriso sulla bocca di
Fujima si era fatto più ironico, mentre Hanagata e Minami lo osservavano
senza rivelare la benché minima espressione. Koshino in quel momento capì,
capì ogni cosa e gli tornarono alla mente le parole di Fukuda:
“… in quel momento mi sembrò di essere
trafitto da milioni di stalattiti. Sentivo qualcosa attorno a me, ma non
sapevo spiegarmi cosa o chi fosse… ad ogni modo ho avuto paura, per la prima
volta…”
E in quel momento l’aveva pure lui.
Si voltò e vide Rukawa sorseggiare un
bicchiere di vino rosso davanti alla finestra.
Nel frattempo il piano di Taoka procedeva come
secondo i piani. I contatti con Koshino erano pochi, ma sapevano che di lui
ci si poteva fidare e non era poi uno sprovveduto. Solo Akira si sentiva
poco tranquillo e il suo carattere solare era scomparso dopo la partenza di
Hiro.
<< Akira posso parlarti? >>
<< Sì capitano. Cosa volevi? >>
Uozumi fece segno ad Akira di seguirlo.
Passarono in mezzo alle nuove reclute della speciale e si diressero nel
terrazzo dell’alto palazzo.
<< Qualcosa non va? >> chiese Uozumi
accendendosi una sigaretta.
<< No capitano! >> aveva risposto Akira.
<< Mi prendi per un idiota? Sappiamo benissimo
tutti che c’è qualcosa in te che non va! >>
Akira alzò gli occhi al cielo e sorrise. In
quel momento passava sopra le loro teste un aereo la cui scia bianca segnava
il cielo come una cicatrice.
<< E’ per Koshino? >>
<< C’è qualcosa che non mi convince. Un
sentore fastidioso, come un ricordo che affiori alla mente un po’ per volta
lasciandoti l’amaro in bocca… magari sono solo paranoico. E’ solo che… Hiro
in questo momento potrebbe essere ovunque ad affrontare pericoli più grossi
di lui… e io sono qui. >>
<< Capisco. Io mi fido di te Akira e se tu
dici che c’è qualcosa che non va, anche io sono d’accordo. >>
<< E non solo tu capitano! >>
Si voltarono e videro Fukuda appoggiato alla
porta che dava sul terrazzo.
<< Qualcosa non convince anche me, ma non so
capire neppure io cosa. Possiamo solo aspettare. >>
Akira strinse i pugni fino a conficcarsi le
unghie nei palmi delle mani. Aspettare era proprio quello che non voleva
fare. Voleva fare irruzione nella villa della famiglia Shoyo e portare via
il suo koi. Al diavolo la missione! Al diavolo pure Taoka e il
rappresentante di quel dannatissimo Regno! Ma non poteva farlo e questo lo
sapeva fin troppo bene. Aspettare. Poteva solo aspettare.
Taoka iniziava ad innervosirsi, anche lui
sentiva il peso della missione. Koshino era da molto che non dava sue
notizie. Sentiva anche lui che qualcosa non andava, ma non poteva
assolutamente tirarsi indietro. E poi lui aveva fiducia nei suoi uomini.
<< Allora Mister Tokegawa spero che si sia
trovato molto bene con noi, perché credo che vi resterà parecchio qui. Kenji
le ha già illustrato il nostro piano vero? >> disse Rukawa.
<< Il signor Fujima è stato molto preciso. >>
gli rispose Koshino.
<< Lei dovrà costruire per noi un ordigno che
faccia brillare Kanagawa. >> e detto questo si riaccomodò sulla poltrona
davanti Koshino.
<< Il nostro scopo è quello di far scoppiare
una guerra fra il nostro Paese e quello del rappresentante che verrà qui in
visita. >> disse Fujima.
<< Ed ecco che entra in scena lei! Il nostro
Falco è stato sconfitto e… >> ma Rukawa non fece continuare il suo vice e
s’intromise nel discorso:
<< La polizia speciale di Kanagawa è molto in
gamba sa? Ne ha mai sentito parlare? >> chiese ironico.
<< Qualche volta. >> rispose Koshino.
Quando era in copertura Koshino lavorava per
lo più a Tokyo, per evitare che qualcuno potesse riconoscerlo in qualche
modo.
<< Avevo pensato di fare loro un regalino,
fabbricando per loro il mio primo ordigno, ma non solo hanno ucciso il mio
falco, ma hanno disinnescato la mia bomba, due secondi prima
dell’esplosione… >>
Koshino si sentì raggelare: come poteva sapere
a che secondo era stato bloccato l’ordigno? E poi perché tutto quel
discorso? A quel che ne sapeva la Volpe odiava parlare.
<< E’ stato un ragazzo… con delle gambe
sottili… >> e poi lo aveva guardato dritto negli occhi: << Quanto è alto
lei, Mister Tokegawa? >>
<< 1 metro e 74. >>
Rukawa era stato un po’ in silenzio, senza
però smettere di guardarlo, poi si era alzato e gli aveva voltato le spalle.
Prima di sparire alla sua vista gli aveva detto:
<< Spero che il nostro rapporto di lavoro
possa rivelarsi... utile… per tutti. >> ed era sparito dietro la porta.
Fujima lo aveva seguito subito dopo.
Koshino rimase sulla poltrona come folgorato.
Lo avevano scoperto, su questo non aveva dubbi, ma perché allora tenerlo
ancora fra loro? Lo consideravano così poco pericoloso o c’era
qualcos’altro? Volevano davvero fargli fabbricare una bomba? D’altronde lui
era il migliore fabbricatore d’ordigni di tutto il Sud-est asiatico. Qual’era
il loro scopo? Se davvero avevano scoperto tutto, e così era di sicuro, come
fare se no a spiegarsi tutto il discorso di Rukawa, perché facevano finta di
nulla? Fujima sapeva di lui e nonostante tutto aveva continuato a fingere….
Ancora una volta c’erano troppe domande senza risposta. Era chiaro, però,
quanto fosse furbo Rukawa, meritava davvero il soprannome che gli era stato
affibbiato.
<< E così ti avevano scoperto. >> aveva detto
Hanamichi ingurgitando un panino.
<< Già e quello fu solo l’inizio. >>
<< Cosa hai fatto? >>
<< Mi sono comportato come se nulla fosse mai
accaduto, come se non sospettassi nulla. Rukawa sapeva, con molta
probabilità era a conoscenza di tutto il nostro piano. >>
<< Una talpa? >> chiese incuriosito Hana.
<< Molto probabile, ma non abbiamo scoperto
ancora nulla. >> disse una voce dietro di lui.
Akira, con Uozumi e Fukuda a fianco, si stava
accomodando al tavolino di Hiro e Hana. Presero due caffè e una birra e
Akira continuò il racconto.
<< So cosa vuoi sapere, perciò lascerò perdere
i particolari della vita di Hiro a villa Shoyo. Ti parlerò della missione
conclusiva, quella che permise di vedere Faccia d’Angelo e credimi: merita
davvero tutto l’alone di terrore che gli ruota attorno. >>
<< Chi altri lo ha incontrato? >> chiese
Sakuragi.
<< Solo Fukuda. >> rispose Uozumi.
La situazione era sfuggita dalle mani e i
fatti si rincorrevano a velocità incredibili. Hiro aveva cercato di avere
più informazioni possibili per rispondere ai suoi quesiti, ma muoversi
diventava sempre più difficile. Hanagata, al quale si era aggiunto Minami,
spiava ogni sua mossa. Hiro non era sicuro che fosse al corrente di tutto,
ma il loro naturale sospetto si era rafforzato e Hanagata sembrava aver
trovato in Minami un ottimo “collega”. A casa della Famiglia Shoyo le
giornate scorrevano lente. Hiroaki era diventato sempre più nervoso, si
sentiva come una bambola nelle mani di malfattori e la sensazione
d’impotenza gli faceva perdere la lucidità. Koshino non era uno sprovveduto
e chiunque usciva dalla squadra del Ryonan si trovava ad uno scalino sopra
la media dei poliziotti. Al centro di comando intanto l’intera squadra era
in fermento, preparandosi ad ogni evenienza. E il momento di entrare in
azione accadde molto presto.
Era un venerdì pomeriggio di un’anonima
giornata d’autunno. Koshino si trovava nella sua camera, intento a costruire
un piccolo labirinto, tanto per tenersi in forma. Il tocco leggero della
mano di Kenji che sfiorava la porta, lo estraniò dal suo lavoro. Fujima era
da solo. Hanagata, la sua ombra, non lo aveva accompagnato. Dietro di lui
non vi era nessuno. Fujima si avvicinò al piccolo labirinto.
<< E’ suo questo lavoro? E’ magnifico! >>
<< Tanto per tenermi occupato. Non sono
abituato a stare in ozio. >>
<< Deve essere una scocciatura per lei, così
noto per la sua capacità d’azione, restare così tanto tempo inattivo. >>
aveva detto Fujima accarezzandogli un braccio.
Koshino rabbrividì a quel tocco e
istintivamente si spostò. Fujima notò con piacere la sua ritrosia e gli si
avvicinò sorridendo:
<< Qualcosa non va, signor Tokegawa? >>
<< Nulla. >> rispose con voce non tanto ferma
uno scosso Koshino.
<< Allora si prepari. Fra una settimana avremo
bisogno del suo ordigno per far brillare questa spenta città. Ha tempo fino
alle 23 del giorno X. >> e detto questo uscì.
Koshino restò a rifletterci. Aveva una
settimana di tempo.
Il giorno dopo, eludendo la sorveglianza,
riuscì ad avvisare i suoi compagni di squadra. Rukawa non c’era alla villa e
con lui era “scomparso” il suo braccio destro. Fujima rimase chiuso, nei
suoi appartamenti, tutto il giorno, insieme ad Hanagata. Hasegawa, invece,
era troppo impegnato a gestire le nuove reclute per sorvegliarlo da vicino e
così Koshino fu “libero” di avvisare la squadra dei nuovi progressi.
Al quartier generale Taoka stava parlando con
Uozumi della tranquillità preoccupante che si dipanava da Villa Shoyo.
<< Cosa ne pensi Jun? >>
<< Non mi convince… io penso che, alla prima
occasione, ci convenga uscire allo scoperto. Più tempo passa, più le
possibilità di vittoria diminuiscono. >>
<< Sono d’accordo con te. >>
In quel momento entrò Aida, seguito a ruota da
Sendo. Portava notizie di Koshino.
<< L’agente Koshino la informa che… >>
Aida continuò spiegando, nei particolari, ciò
che Koshino gli aveva riferito. Taoka fece passare lo sguardo sui suoi
uomini, Sendo sembrava il più nervoso e aveva ragione, pensava.
Probabilmente si trattava di una trappola e caderci sarebbe stato da
sciocchi, ma tanto valeva provarci. Sarebbe stato sciocco mandare a monte la
partita, proprio adesso che il giocatore più importante entrava in campo, e
tanto valeva correre dei rischi, poi, se la fortuna non lì abbandonava….
Chiamò in disparte Uozumi, mentre Sendo decideva i particolari della
missione. Uozumi era il capitano, ma sembrava che essere a capo di quella
missione riuscisse a tranquillizzare l’irrequieto Sendo, quindi lo lasciava
fare. Sendo era un ottimo stratega e, gli seccava ammetterlo, sarebbe
riuscito meglio di lui ad organizzare l’attacco finale.
<< Koshino! Sendo! Uozumi! Fukuda e Sakuragi!
Dove diavolo vi siete cacciati? >>
Taoka entrò nel piccolo bar sbraitando come
suo solito. Malgrado tutto, i cinque ragazzi furono costretti a lasciar
perdere il resoconto di Sendo sulla volpe e seguirono il comandante. Giunti
all’ufficio principale, Sakuragi distinse una figura conosciuta. Anche se
non riusciva a capire bene chi fosse, aveva la certezza di conoscere bene
quella persona.
<< Sakuragi c’è una visita per te, il tuo
nuovo collega. >> disse Taoka con voce atona.
Hanamichi aprì la porta dell’ufficio e quella
persona si voltò. Gli si avvicinò e gli strinse la mano con modi amichevoli.
<< Come va Hana-chan? >> chiese quella persona
a noi sconosciuta.
Tutta la squadra rimase a guardarli cercando
di capire chi fosse quella persona che si rivolgeva a Sakuragi in modo così
confidenziale. Sakuragi sorrise e l’abbracciò di slancio. Lui sapeva. Aveva
riconosciuto…
FINE TERZA PARTE
Ru: e allora dillo!
Autrice: cosa Ede?
Ru: dillo che vuoi morire!
Autrice finta innocente: ma Ede che dici!? Non
capisco…
Ru: io sì e molto bene! Spiegami perché ti
ostini ancora a far ricordare quei due decerebrati e a non farmi incontrare
il mio Hana!
Sen e Hiro arrabbiati: ehi tu!
Autrice: ma Ede se non fosse per loro tu non
saresti ancora apparso! E poi non so se continuare ancora la fase dei
ricordi, è per questo che ho inserito un nuovo personaggio.
Nuovo personaggio: buonaseeeeera.
Tutti: ma chi è?
Hana: io lo so, ma non posso dirlo. L’autrice
mi ha minacciato di morte! Sigh!
Autrice: pazientate… pazientate…
Ru: fosse semplice! Io voglio il mio koi!
Autrice: non ti preoccupare. Presto (massimo
altri due capitoli) e lo incontrerai.
Hana: ‘sta cosa sta diventando un polpettone!
Diventerà più lungo di Beautiful!
Hiro: per quello c’è “voglio tornare a
sorridere”.
Autrice: uffa quanto rompete! Ma perché vi
lamentate? E pensare che avevo intenzione di scrivere un’altra ff in serie…
con voi… ma cambierò programma!
Ru: tutto sommato posso aspettare! Ma vedi di
sbrigarti!
Hana: anche io, nel frattempo me ne vado con
Kaede! Ciao! ^_^
Sen e Hiro: beh è ora di andare… *__*
Autrice: sono rimasta sola…. Alè! Finalmente!
E ora: FESTA!
Declaimers: i personaggi non sono miei ma di
Inoue. Il carattere di Fujima risulta alquanto stravolto. Chiedo scusa alle
sue numerose fan, ma mi serviva ai fini della storia.
Un saluto particolare ad Ise che mi da sempre
ottimi consigli e mi sopporta! Un bacione!
ALLA PROX!!!
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