TITOLO: Una casa nel cuore- Guerra

AUTORE: Nuel

SERIE: originale

PARTE: 5/5

RATING: Fantasy/ emhhhh

NOTE: 1.la più importante: l’ autrice non è passabile di tortura o di morte

2.Lilith è uno dei pg con cui gioco ad A.D.&D. e Jair è pure un pg esistente. Idem per Grovrorus....


ARCHIVIO: Ysal


UNA CASA NEL CUORE
Di NUEL



GUERRA



Parte prima




Il fragore delle onde che s’ infrangono sullo scafo. Il riverbero del sole sull’ oceano. Non lo infastidivano più da molto tempo. Per quel che ne sapeva, lui era il primo elfo scuro a fare un viaggio del genere: sei mesi per arrivare in un altro continente, ma presto sarebbe tornato a casa, dopo tre lunghi anni. Aveva letto e riletto la lettera di suo padre infinite volte, ormai.

Aveva trascorso due anni con suo padre ed il suo compagno, un elfo di poco più grande di lui. Erano stati due anni meravigliosi, suo padre aveva fatto l’ impossibile per farlo vivere in pace, per fargli dimenticare gli anni passati accanto a Rautha. Aveva persino ridimensionato il lavoro, lasciando a Keira il compito di scegliere o rifiutare gli incarichi che gli venivano affidati. Keira ne era stato felice. Da quel momento suo padre non aveva più accettato incarichi da assassino, limitandosi a fare la guida, e solo in viaggi non troppo lunghi o pericolosi. Avevano addirittura finito per accettare la proposta di Booth di vivere in città. Keira era stato entusiasta di vivere in una vera casa, anche se in realtà si trattava di un paio di stanze nella caserma cittadina. Suo padre era stato ingaggiato come mercenario, ma essendo in pace il suo compito era semplicemente quello di addestrare le reclute. Il governatore della città aveva molta stima per lui e suo padre aveva finito per farsi una buona posizione in città. Poi, tre anni prima, lui e Booth l’ avevano lambito con le giuste parole, e lui era partito per portare un "importante" messaggio ad un vecchio amico di Booth, che viveva in un altro continente. Sei mesi per mare. Aveva creduto di dover restare lontano un anno, invece il messaggio chiedeva di tenerlo laggiù finché non l’ avessero richiamato. Il vecchio mago amico di Booth era risultato morto, aveva dovuto cercare il suo discepolo, che si trovava nell’ entroterra, non era stato un viaggio dei più semplici, ma aveva trovato dei buoni compagni in una coppia di amici del mago. Finalmente la lettera che lo richiamava era giunta. Scorse i fogli vergati con la scrittura sicura e rapida di suo padre per l’ ennesima volta, ma non aveva bisogno di leggerla, ormai conosceva il testo a memoria.

"Perdonami Nish per averti ingannato, ma non avevo alternativa. E’ arrivato il momento che tu conosca la verità sul motivo per cui ti feci partire mandandoti così lontano. Circa due mesi prima della tua partenza, tanto ci abbiamo messo Booth ed io ad organizzare ogni cosa, ricevetti alla locanda la visita di Kolkas. Era venuto per avvertirmi e salutarmi: Malek ha dato la tanto attesa erede a Rautha. Rautha ha chiesto di sancire il passaggio di proprietà del nostro clan con il sacrificio della prima famiglia del nostro clan. Come sai, secondo le nostre tradizioni, era suo diritto chiederlo. Malek non si è opposto. Samara, Kolkas e tutti i nostri familiari e schiavi sono stati sacrificati per salutare la figlia di nostro fratello. Io non volevo che tu fossi qui, col pericolo che venissero a cercare anche te e me per immolarci come il resto della nostra famiglia. Mi spiace, Nish. Non credo che tu abbia motivo per amare nostra madre, ma nemmeno per odiarla, e io non trovo altre parole per dirti che è morta. Kolkas venne da me per salutarmi e sapere come stessi tu. Era sereno pur sapendo cosa gli sarebbe accaduto di lì a poco. Ha conosciuto Keira, credo che abbia approvato la nostra unione, credo che abbia portato di noi le impressioni migliori a Samara. L’ ho capito dai suoi occhi, dalle sue parole. Non era mai uscito dall’ Under Dark, e l’ ha fatto solo perché Samara voleva essere certa che noi fossimo felici. Ora mi rendo conto che non avrei mai dovuto dubitare dell’ amore di nostra madre. Kolkas mi ha lasciato intuire di essere divenuto il suo compagno. Lui ha sempre amato Samara con una dedizione totale e priva di dubbi e credo che lei abbia ricambiato la sua devozione. Mentre Keira curava qualche ustione dovuta al sole non ho visto nessuna traccia di sofferenza sul suo corpo esile. Gli proposi di rimanere con noi, ma lui mi rispose sorridendo che Samara lo attendeva. Ho abbracciato mio fratello ed ho sentito sincero affetto nella sua risposta, Nish. Non avrei voluto nascondertelo, ma la sofferenza che provai in quei giorni, unita al ricordo del sorriso sereno di Kolkas che mi salutava mentre si dirigeva alla morte, mi ha impedito di parlare.

I miei timori si sono concretizzati a meno di un mese dalla tua partenza: Malek è venuto a cercarci. Ricordi che ci disse che voleva che assistessimo entrambi al suo trionfo? Ora che è il padre dell’ erede della matrona madre del clan gode di una posizione privilegiata. Ha attaccato la nostra città. Nel giro di una settimana si è scatenato l’ inferno, una vera guerra. La città fin’ ora ha resistito, ma non è ancora finita. Siamo asserragliati tra le mura mentre l’ esercito guidato da Malek ci assedia. Siamo riusciti a sopravvivere grazie ai poteri di Booth, che ci rifornisce di cibo ed armi facendoli giungere dall’ esterno. Mentre ti scrivo stiamo affrontando una tregua che spero duri abbastanza a lungo da permetterci di riorganizzare le nostre file. Abbiamo trovato alleati che non potresti mai immaginare, e la città che conoscevi è diventata una fortezza. Ora ho bisogno di te, Nish. La tua presenza mi è indispensabile per portare avanti delle trattative molto importanti. Il governatore è morto da due anni, da allora la guida della città è affidata a Booth ed a me. Qui sono cambiate molte cose, figlio mio. Torna prima che puoi, ti spiegherò tutto quando sarai qui.

tuo padre"


Nish strinse i fogli nel pugno. Non aveva lacrime da versare per Samara o per Kolkas. Aveva sofferto, si, nel’ apprendere della loro morte, aveva imprecato e urlato contro Malek distruggendo la sua camera in un impeto d’ ira che non aveva saputo controllare, ma non aveva pianto. Aveva rivisto per giorni il volto di sua madre, che gli sorrideva e gli diceva di aver amato suo padre, accarezzandogli la testa. Aveva rivisto il suo fragile fratello, assorto nella lettura in biblioteca, oppure addormentato serenamente nel letto di loro madre, il corpo nudo disteso morbidamente, con un braccio che circondava i fianchi di Samara, che si alzava, nuda e bellissima, prendendolo per mano e riaccompagnandolo nella sua stanza, dicendogli che era troppo piccolo per intrufolarsi nella sua camera. Li rivedeva nei volti delle persone che lo circondavano, nei gesti d’ affetto dei suoi ospiti. Finché aveva deciso di partire. I suoi amici si erano offerti di accompagnarlo, ma lui aveva rifiutato. Gli aveva detto addio ed era risalito sulla nave che due anni prima l’ aveva portato in quella terra lontana.

Sospirò. L’ indomani sarebbero giunti in vista della terra. Verso sera avrebbero attraccato e lui avrebbe dovuto cercare un cavallo per tornare a casa. Decise di tornare sotto coperta. Per quanto ci pensasse, gli sembrava che mancasse qualcosa. "Qui sono cambiate molte cose" Una guerra cambia sempre molte cose, è scontato. Allora perché la necessità di dirlo tanto apertamente? Non era da suo padre. Non per quello che lo conosceva lui, almeno. E poi, neanche un accenno a Keira, tranne che per un episodio avvenuto ormai tre anni prima. Neanche questo era normale. Da quando si erano trasferiti in città la loro vita si era semplificata molto e avevano preso a passare tutto il tempo libero in più assieme. Tra di loro c’ era sempre spazio per lui, ma la maggior parte delle volte lui si limitava ad osservarli senza intromettersi. Erano felici. Poteva capirlo benissimo anche lui. Il volto sereno di suo padre ogni volta che guardava Keira era la chiara manifestazione di quello stato.


La nave attraccò lentamente, scivolando sulle acque calme del porto. Uno scossone segnò la fine della catena che legava la nave alla pesante ancora di ferro che era stata calata poco prima. I marinai fecero scivolare la lunga passerella di legno fino al ponteggio, mentre dal molo si avvicinavano uomini pronti ad aiutare a scaricare le merci e curiosi che verificavano se quella grossa nave era la stessa partita tanti mesi prima. In molti stentavano ancora a credere che si potesse compiere un simile viaggio e scommettevano se la nave avrebbe fatto ritorno o sarebbe affondata nel suo percorso. Nish raccolse il suo bagaglio. In realtà si trattava di una sacca con le poche cose indispensabili per un viaggio, non si attaccava facilmente alle "cose" e quindi non aveva avuto nulla da portarsi via, una volta lasciata quella che, per due anni, era stata la sua casa. Salutò l’ equipaggio con cui aveva diviso il ponte e la coperta per sei mesi, lavorando con loro per interrompere la noia del viaggio, lasciando che il sole gli bruciasse gli occhi e la pelle scura, rendendola simile al quoio.

Guardando verso le casupole del porto dal parapetto della nave scorse una figura esile e bionda che attirò la sua attenzione. -Keira?- Mormorò, cercando di vederla meglio nonostante la scarsa luce della sera e la considerevole distanza.

La terra ferma rese i suoi prima passi malfermi, ormai abituato al placido e costante dondolio della nave. Si avviò verso la fila di costruzioni, magazzini, locande... facendosi largo tra la gente. Prima di tutto avrebbe dovuto cercare un luogo dove passare la notte e mettere qualcosa sotto i denti, ma il suo istinto lo faceva muovere tra gli edifici più interessato ai passanti che alle locande.

-Ho una camera in quella locanda laggiù, se vuoi, Nish.-

Sobbalzò. Allora non si era sbagliato, quella era la voce di Keira.

Si voltò verso l’ elfo, che sorrideva alle sue spalle.

Keira fece alcuni passi verso di lui aprendo le braccia in un gesto pieno d’ affetto.

-Keira.- Lo chiamò Nish prima di lanciarsi in quell’ abbraccio, lasciando cadere la sua sacca. Le braccia di Keira si strinsero intorno alle sue spalle e per qualche momento rimasero a godere di quel contatto a lungo negato.

-Sono così felice di vederti!- Gli disse in un soffio Nish raddrizzando la schiena.

-Non immagini quanto lo sono io!- Gli rispose con la voce un po’ arrochita. -Sei diventato alto! Direi che hai raggiunto tuo padre, ormai- Gli sorrise.

-Già!- Il sorriso gli scomparve dal volto intravedendo una piccola lacrima al bordo di un occhio dell’ elfo. Nei due anni che avevano trascorso assieme, aveva finito per considerare Keira una sorta di fratello, gli era affezionato quanto lo era a suo padre. In effetti se non fosse stato per lui, probabilmente, le cose, con suo padre, sarebbero andate assai diversamente. Ora poteva scrutare l’ elfo con più attenzione. Keira era visibilmente dimagrito. I capelli erano pettinati alla bell’e meglio, la pelle del viso e delle mani screpolata dal sole e dalla salsedine, gli abiti lisi.

-Da quanto mi stai aspettando?- Gli domandò chiedendosi cosa gli fosse successo.

-Andiamo alla locanda, lì parleremo meglio.-

Lo condusse ad una locanda piccola e fumosa, ma tranquilla, distanziata dalle altre. Si sedettero ad un tavolo ed ordinarono da mangiare. Keira si comportava con disinvoltura, doveva alloggiare lì da un po’.

-Com’è stato il viaggio?- Gli chiese battendolo sul tempo.

Nish fece spallucce. -Dopo un po’ ti adatti anche a stare su una barca.-

Gli occhi di Keira, alla luce della locanda lo colpirono: ora vi leggeva la gioia di rivederlo, ma c’era una lancinante tristezza radicata in profondità.

-Come stai?- Gli chiese con un tono basso ed allusivo, sperando che, al solito, la sua ingenuità gli facesse credere che già sapeva quello che, in realtà, ignorava totalmente.

-Bene.- Abbassò lo sguardo, con un sorriso amaro sulle labbra.

Evidentemente stavolta non bastava.

-E mio padre?- Lo scrutò attentamente. Un tremore appena percettibile delle labbra.

-E’ da un po’ che non lo vedo.- Gli rispose dopo un po’, sforzandosi di sorridere.

Una donna arrivò con i piatti colmi e fumanti. Keira estrasse qualche moneta e pagò, cominciando subito a mangiare.

-Un po’, quanto?- Gli chiese più cupo di quanto avrebbe voluto.

-Perché non mi racconti qualcosa del tuo viaggio, prima?-

-Keira! Non sei mai stato molto bravo a cambiare argomento, e come bugiardo fai schifo! Cos’ è successo a mio padre?-

Keira lasciò cadere il cucchiaio di legno nella brodaglia marrone e si portò le mani a nascondere gli occhi. -Penso che stia bene, non preoccuparti.- Riuscì a mormorare appena udibile, prima di ricomporsi e chiedergli scusa.

-Vuoi dirmi cosa è successo?- Cercò di mantenersi calmo, Keira tremava evidentemente scosso e non voleva rischiare di ferirlo inavvertitamente.

-E’ solo che non ci vediamo da un po’ e mi manca, tutto qui.- Gli sorrise e ricominciò a mangiare, evitando il suo sguardo.

-Da quanto sei qui?- Gli chiese fissando le screpolature sulle sue mani. Quei segni non comparivano in uno o due mesi, nemmeno su una pelle delicata come quella dell’ elfo. Erano le screpolature ed i calli di chi lavora giorno dopo giorno come scaricatore di porto da anni, quelli che gli rovinavano le mani. Li aveva visti sulle mani dei marinai, erano provocati dalle corde che graffiavano la pelle e dalle casse di legno degli imballaggi che si scheggiavano. Il sole e la salsedine li scurivano e li indurivano fortificando la pelle, in modo da renderla più resistente.

Keira non rispose.

-Ho bisogno di un cavallo, mio padre mi ha scritto di raggiungerlo il prima possibile e io voglio partire domattina.- Provò allora con un’ altra tattica.

-Troverai un buon cavallo già pagato per te. E’ giovane e ben ferrato, l’ ho scelto personalmente.-

-Se hai finito di mangiare possiamo andare a dormire? Sono stanco.- Era sconfortato dal non riuscire ad estrapolargli una parola.

Keira annuì e lo guidò su per una stretta scala a chiocciola, fino ad una stanza con due letti. L’ arredo era scarno, come era immaginabile, tuttavia si capiva che la stanza era abitata: un piccolo armadio semi aperto ed un cassettone con sopra una miriade di candele ormai consumate, un letto mezzo sfatto, con accanto rotoli di pergamena lasciati aperti, un vasetto d’ inchiostro incrostato ed una lunga piuma da scrittura malconcia e spuntata.

-Non ho avuto tempo di riordinare, scusa. Ma almeno è un tetto sulla testa.-

Nish si guardò in torno chiedendosi come proprio Keira potesse vivere in quel degrado.

Keira accese una candela, spense la lampada ad olio che aveva usato per illuminare il percorso, si sedette sul letto e si tolse gli stivali, prima di infilarsi così com’ era sotto la coperta e arrotolandocisi come in un bozzolo.

-Buona notte.- Gli disse dandogli le spalle.

-Buona notte a te.- Gli rispose Nish restando ad osservarlo. Quando si decise a coricarsi la luce della candela si faceva sempre più fioca. Rimase sveglio a fissare il soffitto, non riusciva proprio a dormire.

Dal porto giungevano rumori indistinti: voci, le onde... doveva concentrarsi sulle onde. Dopo che gli avevano tenuto compagnia per tante notti forse era la loro mancanza a non farlo dormire.

Un leggero singhiozzo lo fece distrarre. Keira cercava di non farsi sentire, ma stava piangendo. Forse pensava che stesse dormendo.

-Keira?- Provò a chiamarlo. Keira si fece silenzioso.

Nish si alzò, andando accanto al letto del suo amico e posandogli una mano sulla spalla.

-Scusa.- Gli singhiozzò piano.

-Basta scusarti. Dimmi cosa c’è.-

Niente. Nish pensò rapidamente a cosa avrebbe fatto suo padre. Si infilò nel letto e lo fece girare, abbracciandolo come aveva fatto solo poche ore prima.

Inaspettatamente Keira lo abbracciò stringendosi a lui e scoppiando a piangere.

Nish attese pazientemente. Lo sentì chiamare il nome di suo padre tra i singhiozzi.

-Cosa c’è Keira?- Gli chiese premurosamente.

Lo sentì muoversi nel suo abbraccio, smettendo di singhiozzare. La sua stretta si fece più leggera ed alzò la testa verso di lui.

Keira lo baciò.

Lo baciò come baciava suo padre. Nish si ritrasse stupito, senza capire.

Keira gli appoggiò di nuovo la testa contro il petto. -Scusami Nish. Lo so che non sei tuo padre, anche se gli assomigli tanto da farmi quasi impazzire. Non ho saputo trattenermi, scusa. Per favore, puoi dormire qui con me?-

Nish lo abbracciò di nuovo, senza rispondere.

La mattina giunse inesorabile con la sua luce a colpirgli gli occhi da una fessura degli scuri. Keira si era già alzato. Si stiracchiò nel letto rammaricandosi di non poter dormire ancora un po’, alla fine la stanchezza si era fatta sentire.

Mentre si alzava sentì i passi di Keira che si avvicinavano. L’ elfo aprì la porta e lo salutò, porgendogli un vassoio con la colazione. Nish mangiò in silenzio, aspettando che Keira dicesse qualcosa, invece l’ elfo si era limitato a sedergli accanto e fissare il pavimento. Quando ebbe finito Keira prese il vassoio e lo appoggiò sopra il cassettone.

-Se vuoi ti accompagno a prendere il cavallo.-

Nish assentì e si incamminò dietro di lui. Lo seguì per una ventina di minuti, fino ad un casolare dove Keira gli chiese di attenderlo. Dopo una decina di minuti l’ elfo ricomparve dalla porta del casolare e lo condusse nell’ aia retrostante. Vari recinti separavano animali diversi: galline, maiali, mucche, oche. Separata dai recinti c’ era una grande stalla, sormontata dal fienile. Un uomo stava distribuendo biada ai cavalli all’ interno. Vedendoli arrivare piantò a terra la grande forca e salutò Keira con molta familiarità. Si scambiarono poche rapide battute e poi andò a prendere un giovane cavallo dal mantello ramato, strigliato alla perfezione, con la lunga criniera che ondeggiava mollemente ad ogni passo. Keira lo ringraziò e prese la bestia per le redini, consegnandola a Nish.

-Come vedi è un buon cavallo, robusto e veloce. In una dozzina di giorni arriverai a destinazione. Se passi dalle colline troverai un passaggio vicino alla fonte minore, ti ricordi dov’é? Lì alcuni soldati proteggono un passaggio sotterraneo per entrare in città. E’ troppo lontano dalla città stessa perché l’ abbiano scoperto, inoltre è troppo piccolo per farci passare un esercito. Fa buon viaggio.-

-Tu non vieni con me?-

Keira scosse il capo. -Quando vedrai tuo padre... per favore, non dirgli che mi hai visto.-

Questo era troppo. -Non muoverò un passo di qui finché non mi avrai detto cosa è successo!- Lo fissò con occhi roventi, stavolta non gli avrebbe permesso di tergiversare.

-Ti prego, Nish....-

Nish lo afferrò per il collo della blusa, sollevandolo di un paio di centimetri. -Parla!-

La sua pazienza aveva un termine. Lo rilasciò.

-Tuo padre mi ha cacciato.-

Poche parole, semplici e chiare, eppure non potevano essere vere. Nish sentì qualcosa spezzarsi nella sua mente. I ricordi di suo padre che rideva, abbracciava, baciava quell’ elfo che aveva dato un nuovo senso alla sua vita solitaria, tutti quei ricordi vorticavano e s’ infrangevano in un solo istante nella sua testa.

-Come?- Sentì la sua voce giungere da distante, poi cercò di riprendersi. L’ espressione smarrita di Keira lo riportò velocemente alla realtà.

-Non è possibile! Quando? Cos’è successo?-

-Pochi giorni dopo la tua partenza. Mi chiese di seguirlo in camera nostra e mi disse che era finita. Che era stanco di me.- Singhiozzò, affranto dal ricordo. -Disse che dovevo andarmene. Io protestai, non capivo..... lui mi tirò dietro le prime cose mie che gli capitarono in mano, urlandomi di uscire dalla sua vita..... che per lui non contavo nulla..... di tornarmene a casa mia.....- Piangeva, coprendosi il viso con una mano, mentre con l’altra si sosteneva alla sella del cavallo. -Io sono scappato via..... ho cerato di ritornare da lui, ma non mi ha più permesso di parlargli..... mi ha fatto buttare fuori dalla città dai soldati, con un cavallo ed una borsa di monete..... poi è arrivato l’ esercito di Malek e io non sono più riuscito ad avvicinarmi alla città.... io....-

Nish lo abbracciò, non poteva credere che suo padre l’ avesse trattato a quel modo.

-Io sono venuto qui..... sperando che prima o poi tu tornassi. Volevo solo salutarti, ma è passato tanto tempo e credevo che non saresti più tornato. Dopo un anno gli ho scritto, dicendogli che ero tornato a casa e che avevo sposato Lunia.... che ero felice.... non volevo che si preoccupasse.... in realtà, avevo pensato di raggiungere i miei genitori.... ma sapevo che non sarebbe stata una buona idea: anche la Terra oltre le Nebbie senza tuo padre, per me, è come l’ Abisso. Se resto, invece, mi sono detto, forse un giorno, lo rivedrò.... Speravo che succedesse qualcosa, riuscire a dimenticarlo....-

-Andiamo da lui, adesso.- Gli disse continuando a stringerlo, la camicia ormai bagnata di lacrime. Keira alzò il volto di scatto, fissandolo incredulo.

-NO! Lui non vuole più vedermi! Mi manderà di nuovo via e io non potrei sopportarlo!-

-Vieni di tua volontà o devo legarti e caricarti a cavallo di peso?-

-Nish...- Protestò debolmente.

-Puoi ottenere un altro cavallo?-

Keira assentì con la testa. Si staccò da lui e si asciugò gli occhi con una manica. Sparì dentro la stalla e dopo alcuni minuti Nish temette che non lo avrebbe più rivisto. C’ era qualcosa che non quadrava nel racconto di Keira. Suo padre lo amava, non aveva dubbi su questo. Poteva averlo allontanato per non coinvolgerlo nella guerra, come aveva fatto con lui, aveva usato quel sistema perché Keira non avrebbe mai accettato di allontanarsi da lui. Ma si era reso conto del modo in cui lo aveva ferito? Di come aveva distrutto la sua vita? Doveva immaginarselo. Allora perché si era comportato così?

Keira comparve portandosi dietro un cavallo con lo stesso mantello ramato, sellato come il suo.

-Sei sicuro di volere che io venga?- Gli chiese mestamente.

-Certo. Dai, salta su-

Salirono in groppa e si lasciarono il porto alle spalle, senza più dare uno sguardo al mare.

Un temporale, una settimana dopo la loro partenza, li obbligò a fermarsi per tre giorni in un rifugio improvvisato. Nessuno dei due aveva con sè un bagaglio degno di questo nome, vivevano di quel che riuscivano a cacciare, ed in questo Keira era rimasto abile, e si scaldavano con piccoli fuochi che accendevano di notte, per tenere lontani il freddo e gli eventuali animali pericolosi.

Avvicinandosi alla loro meta dovettero fare attenzione: sentinelle degli elfi scuri perlustravano ampie zone di foresta, e dalle colline intorno alla valle dove sorgeva la città poterono scorgere il vasto formicaio di tende e soldati che accerchiavano la città.

-Malek fa le cose in grande!- Mormorò con rabbia Nish, pensando che tutto quello era dovuto alla volontà del fratello di uccidere lui e suo padre. La città era stata fortificata, alte torri e mura la circondavano. All’ interno si vedevano numerosi fuochi, evidentemente le fornaci delle botteghe lavoravano a pieno regime. Un’ area della città era stata abbandonata, vi ardevano piccoli fuochi. "Pire" Pensò subito Nish, immaginando che ci fosse la necessità di sbarazzarsi dei corpi. Un brivido gli percorse la schiena a quel pensiero. Lo ricacciò subito, dicendosi che portava male pensare alla morte.

-Muoviamoci a dirigerci a quel passaggio.- Disse strattonando Keira che guardava a bocca aperta la città che stentava a riconoscere.

Giunsero al passaggio di notte. Non era il momento migliore, considerando che qualunque elfo scuro si muovesse di notte, per quegli uomini era un potenziale nemico, ma non potevano perdere altro tempo.

Keira lo precedette, raggiungendo il passaggio e imitando il verso della civetta. Un verso simile giunse da un punto imprecisato del buio e Keira rispose ripetendo nuovamente il verso. Nish si chiese come avrebbe fatto, dal momento che Keira non gli aveva detto di questo segnale, in ogni caso, lui non sarebbe riuscito a riprodurlo.

Due uomini vennero avanti circospetti, armati di spada e scudo. -Chi va la?- Chiesero sottovoce.

-Amici. Sono Keira. E con me c’è Nish, il figlio di Akragas.-

Un uomo si avvicinò, alzando una piccola torcia per osservarli. -Si, ti riconosco.- Disse passando poi a scrutare Nish. -Lasciate qui i cavalli e passate, svelti!-

I due scesero da cavallo e si diressero verso le rocce coperte dalla vegetazione, oltre le quali si apriva uno stretto e basso cunicolo. Sentirono gli zoccoli dei cavalli, qualcuno doveva averli presi in consegna, mentre un uomo gli porgeva una torcia. -Il tunnel va sempre dritto. Passa sotto due colline, per ciò quando arriverete dall’ altra parte sarà già giorno. Quando arrivate battete sul soffitto tre volte, aspettate e poi battete altre tre volte e vi apriranno.-

-Hai conosciuto Kolkas.- Gli chiese dopo un po’ Nish per rompere il silenzio.

Keira annuì, il suo gesto poco più di un’ombra alla luce debole e traballante della torcia.

-Come stava?- Continuò, volendo distrarlo ad ogni costo.

Keira si girò a guardarlo come per capire cosa volesse realmente. -Bene. Era sereno. Mi ha dato l’ impressione di un uomo che dalla vita ha ottenuto ciò che voleva.-

-E’ così.- Rispose semplicemente Nish. Dopo un po’ riprese. -A Kolkas non era concesso di uscire di casa, così passava molto tempo a leggere, e molto anche con me. E’ sempre stato gentile con me...- Improvvisamente la voce gli morì in gola.

-Perché non poteva uscire?-

-L’hai visto, no? Non era un guerriero. Avrebbe potuto diventare vittima di chiunque, invece in casa era protetto da nostra madre... credo che lui l’ amasse. Un amore assoluto, come quello tuo e di mio padre...- Attese, gli era scappata quell’ ultima affermazione, ma, in fin dei conti, era quello che pensava.

Keira non ribatté in alcun modo. Il silenzio scese di nuovo e stavolta lo accettò, immaginando che Keira non avrebbe aperto bocca nemmeno se gli avesse fatto delle domande dirette.

Camminarono a lungo. In fine fu Keira a rivolgergli di nuovo la parola. -Mi fece una certa impressione vedere un’ espressione così docile e tranquilla su un viso tanto simile al suo... Avrei capito che era suo fratello anche se non me lo avesse detto. Anche se si somigliavano molto erano profondamente diversi.-

Nish annuì piano, ripensando al fratello, morto ormai da tre anni.

-Rimase solo poche ore, mi dispiacque, avrei voluto conoscerlo meglio. Poi tuo padre mi parlò a lungo di lui, dovevano essere molto uniti, una volta. Quando tuo padre mi spiegò che cosa gli sarebbe successo, non ci volevo credere, ero arrabbiato perché non aveva fatto nulla per trattenerlo... non mi piacciono le vostre leggi, Nish.-

Nish sorrise. Non piacevano neppure a lui.

Finalmente il tunnel cominciò a salire, i loro passi divennero più veloci, ansiosi di arrivare all’ uscita. Giunsero alla botola ed eseguirono il segnale convenuto. Dopo qualche momento la botola si aprì, lasciando penetrare la fioca luce di una baracca. Due uomini li aiutarono ad uscire e richiusero. Erano dentro una casa con le finestre semi sbarrate da assi di legno. Gli uomini si informarono su chi fossero e cosa volessero e li accompagnarono all’ esterno. La luce violenta del pomeriggio colpì i loro occhi. I rumori della città in fermento li circondarono, indifferenti alla loro venuta attraverso il passaggio sotterraneo dal silenzio ovattato e quasi innaturale. Fuori dalla casa c’ erano altri due uomini, armati di tutto punto, che squadrarono Nish come per memorizzare i suoi tratti, per non colpirlo in caso di un’ intrusione da parte di altri elfi scuri.

Uno dei due uomini li condusse fino ad una piazza dove, finalmente, videro Akragas. Dava loro le spalle, stava parlando con un altro uomo. Nish lo scrutò, senza badare che i passi di Keira erano rallentati fino a fermarsi, fissando ammutolito l’ uomo che amava.

"Pelle ambrata e capelli argentati." Pensò Nish scrutando l’ uomo che parlava con suo padre. "I segni inconfondibili di un mezzo sangue."

Sentendo i passi che si avvicinavano Akragas si girò e sorridendo andò incontro al figlio per abbracciarlo.

Si guardarono negli occhi, ormai alla stessa altezza, entrambi emozionati.

-Padre...- Mormorò appena Nish. Akragas gli circondò le spalle e si girò verso il mezzo sangue.

-Questo è mio figlio Nish - lo presentò- Nish, lui è Jair, mi auguro che diventerete ottimi amici!-

Il mezzo sangue gli porse la mano con un guizzo negli occhi viola. -Ci puoi giurare Akragas!-

Nish gli strinse la mano, interdetto. Non si era aspettato tanta perentorietà nella voce di suo padre. Osservò ancora il mezzo sangue, Jair. Era una simbiosi perfetta delle due razze: alto come un elfo chiaro, ma robusto come un elfo scuro. La pelle era di una calda tonalità dorata, i capelli di un grigio argento lucido, pettinati verso l’ alto sulla fronte, corti sui lati della testa e lunghi sulla nuca, a scendere in una sottile coda sulla schiena. Gli occhi erano due ametiste di furbizia, avrebbe dovuto guardarsi da quel tipo dai tratti sottili, quasi taglienti.

-Padre devo parlarti- Decise di pensare a Jair in un altro momento, ora c’ era un problema più urgente da risolvere.

-Cosa c’è?- Gli chiese suo padre solo per essere sopraffatto dalla voce di una donna che correva verso di loro con passo pesante.

-Benedetto figlio di un diavolo!- Lo apostrofò la dona abbracciandolo col fiato corto. -Quanto sei cresciuto! AAHH stai proprio bene Nish!-

-Mamma!- La chiamò piano, finalmente riconoscendola. La donna, completamente scarmigliata, aveva ormai i capelli bianchi, con striature grigie che si opponevano al trascorrere del tempo. Il viso presentava una serie di segni più o meno profondi che tradivano tuttavia la sua età e la vita poco facile che aveva fatto, il seno abbondante era cascante e non più pieno come negli anni in cui l’ aveva conosciuta.

-Che gioia rivederti!- Stava continuando lei.

-Anche per me è una bella sorpresa, Mamma. Ma cosa ci fai qui?-

-Bhe, quando c’è stato tutto quel finimondo qui, ho pensato che servisse qualcuno che si occupasse dei feriti! E poi io non servivo più nel bordello! Così sono corsa qui a prendermi cura di quella testa di rapa di tuo padre che ha avuto un brutto periodo, ma gli sta bene, così impara a fare lo stupido, ma ora non importa, sono troppo contenta di vederti, figliolo!- La donna parlava a ruota libera, ubriacandolo con il suo inesauribile entusiasmo.

-Lascialo almeno respirare, Mamma!- Intervenne Akragas. -Cosa volevi dirmi Nish?- La interruppe mentre si stava già mettendo a protestare.

Nish guardò nella direzione di Keira, che aveva assistito a tutta la scena come una statua. Akragas seguì il suo sguardo fino a posarsi sull’ elfo. I suoi occhi si spalancarono, mentre un fremito faceva contrarre ogni muscolo del suo corpo.

Mamma si fece scappare un grido di sorpresa.

Keira lo fissava come un bimbo smarrito.

-Lui cosa ci fa qui?- Chiese sprezzante suo padre. -Deve andarsene!-

Keira sentì il fiato mancargli, mentre il mondo cominciava a turbinargli intorno.

Nish lo raggiunse e lo strinse al petto, girando il volto a guardare suo padre con occhi di sfida. -Se tu non lo vuoi davvero più, allora me lo prendo io! Keira diventerà il mio amante!-

Keira lo fissò sorpreso, incapace di ragionare lucidamente.

-Non dire assurdità!- Tuonò suo padre. -Ti ho fatto tornare per un motivo preciso! Liberati di quell’ elfo, è un ordine!-

-Finitela!- Strillò Mamma, frapponendosi ai due e guardando Akragas con ferocia. -Adesso Keira viene con me, non è mica un giocattolo che vi potete litigare come se non avesse dei sentimenti! Io ho bisogno di una mano in infermeria, quindi Keira resta!- La donna prese la mano di Keira che piangeva silenziosamente contro il petto di Nish e lo trascinò via.

-Non prendo ordini da un uomo che rinnega i suoi sentimenti facendo soffrire a quel modo chi lo ama! Come puoi trattarlo così?- Sibilò Nish all’ indirizzo di suo padre.

Jair assistette a tutta la scena con un ghigno divertito.

Akragas pareva turbato, ma non c’ era traccia di insicurezza nella sua voce quando parlò.




Mamma portò Keira nella casa che usavano come infermeria. Alcuni feriti riposavano sui letti, assistiti da donne indaffarate e dai modi sbrigativi quanto quelli di Mamma.

-Su, su! Non fare così, vedrai che andrà tutto a posto!- Cercò di rincuorarlo la donna, cullandolo dolcemente tra le braccia.

Alle sue parole Keira scoppiò in singhiozzi, abbracciandola in cerca di conforto.

-Lui ti ama, Keira, credimi.- Si risolse a dirgli.

-Non è vero! Non vuole nemmeno vedermi!- Singhiozzò lui.

-Se non mi credi vai in camera vostra, guarda come tiene le tue cose. E’ tutto ordinato e spolverato, come se tu dovessi tornare ad usarle da un momento all’ altro.-

Keira alzò gli occhi a guardarla, un po’ più calmo.

-Non voleva coinvolgerti in questa guerra, figliolo. Tu non sai quanto ha sofferto. Lo sai quanto è cocciuto, non ammetterà mai di avere bisogno di te davanti ad altri, ma c’ ero io ad asciugare le sue lacrime, quando gli mancavi tanto che avrebbe voluto morire. Tutte le volte che tu hai cercato di tornare, e quando gli è arrivata la tua lettera...ah! credevo che sarebbe impazzito! Poi ha accettato l’ idea di averti perso, del resto era stato lui a mandarti via... ma c’è voluto tanto tempo, Keira! E ti giuro che da quando te ne sei andato non c’è stata anima viva che sia entrata nel suo letto, neanche per uno sfogo senza importanza. Quella camera è un mausoleo in tuo onore.-

-Mamma... cosa devo fare?-

Mamma gli asciugò gli occhi e gli accarezzò il viso. -Fatti valere, Keira. Fagli vedere che non intendi andartene senza prima avergli parlato!-


-Ora dobbiamo parlare di cose più importanti.- Cambiò argomento Akragas, come se le parole di Nish non lo toccassero minimamente.

-Keira non è importante?!- Ruggì rabbioso suo figlio, ma suo padre lo gelò con uno sguardo.

-Seguimi- Gli intimò mentre si dirigeva alla caserma, seguito da Jair.

Camminando dietro a loro Nish cominciò a guardarsi in torno. C’ erano diversi mezzo sangue che si muovevano a loro agio ed a testa alta, in città. Nish li osservava incredulo, chiedendosi da dove venissero.

Giunsero alla caserma. Suo padre si sedette a capotavola, nella sala delle riunioni e Jair prese posto accanto a lui. Non gli piaceva il suo atteggiamento. Prese una sedia al capo opposto del tavolo e si sedette.

-Hai visto certamente che ci sono diversi mezzo sangue in città.- Cominciò suo padre. -Sono fuggiti da vari clan e si sono uniti a noi per combattere contro Rautha. Parecchi di loro vengono dal clan di Jair, che li guida. Sono la nostra prima linea nelle incursioni in campo nemico-

-Ovvio.- Sbuffò Nish, senza nascondere il disprezzo che gli era stato insegnato a dimostrare per i bastardi nati, solitamente, da donne Drow e dai loro schiavi elfi. Generalmente i mezzo sangue venivano abbandonati alla nascita, o allevati come schiavi per essere venduti ai bordelli, o comunque per assolvere i ruoli più umilianti riservati agli schiavi. Nessuna delle due razze che li avevano generati li voleva, poiché nati dalla violazione di un tabù che proibiva l’ unione tra le due razze. Del resto la natura stessa aborriva la loro esistenza, rendendoli sterili. Era alquanto insolito, quindi, trovare uno di questi figli di nessuno che non portasse neppure un segno della comune opinione che si aveva di loro, sul corpo, ma per quanto lo guardasse Jair non presentava alcuna cicatrice evidente, aveva un atteggiamento sicuro, quasi sfrontato e parlava con Akragas da suo pari.

-La madre di Jair è la matrona del clan Berré-

Nish strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Il clan Berré era il più numeroso e potente dell’ Under Dark, famoso per la sua linea politica aperta verso le altre razze, con cui si era mischiato spesso, formando una certa tolleranza verso i sangue misto di tutte le razze. Tutti gli altri clan lo temevano e, in linea di massima, seguivano le sue direttive.

-Il clan Berré non può partecipare a questa guerra a faccia scoperta, perché Lilith ha qualche problema, al momento: una trentina d’ anni fa si è legata con un legame elfico ad un potente mago esiliato degli elfi...-

-Legata?- Chiese sempre più stupito Nish.

-Si, e il bello è che mia madre e mio padre sono ancora felicemente assieme!- Intervenne Jair.

-Ora il clan vorrebbe un’ erede, ma Lilith non intende avere figli che non siano del suo compagno. Inoltre la sorella maggiore di Jair ha da poco sposato l’ erede al trono degli elfi. E’ ancora un’ informazione riservata, ti prego di non dirlo a nessuno.-

Nish era sempre più stupefatto, la politica "matrimoniale" del clan Berré era infallibile, ma arrivare alla famiglia reale degli elfi... era quanto meno incredibile!

-Tuttavia il clan Berré potrebbe giungere in nostro aiuto se si creasse una parentela tra le nostre prime famiglie.-

Nish assottigliò gli occhi, mentre uno strano presentimento si faceva largo dentro di lui.

-Inoltre c’è un unico modo per salvare il nostro clan dalle grinfie di Rautha: ci serve un’ alternativa alla figlia di Malek.-

-Un’ erede nata dal clan Berré sarebbe molto più alettante per il vostro clan.- Intervenne Jair.

-Parla chiaro.- Scandì Nish.

-Se tu generassi una figlia da una donna del clan di Jair sua madre potrebbe far intervenire il suo esercito per sconfiggere Rautha e Malek. Una volta uccisa loro figlia, la tua diventerebbe la nuova matrona del nostro clan......-

Nish scattò in piedi, i pugni stretti e tremanti di rabbia.

-TU!- Era furente. -Ti comporti come mia madre! Sei uguale a lei! Mi dai ad un altro clan per... per...-

-No, Nish, non è come pensi...- Cercò di ammansirlo suo padre.

-A no? E in cosa sarebbe diverso?! Mia madre mi dette a Rautha per lo stesso motivo!-

Akragas gli si avvicinò.-Il mio non è un ordine. Lilith è pronta ad accoglierti come un figlio adottivo nel suo clan. Saresti libero, ma la scelta spetta a te, figlio mio.- Lo abbracciò con fare protettivo e Nish crollò tra le sue braccia, ricambiandolo, serrando gli occhi col viso nascosto contro il suo collo.

-Mi sei mancato, Nish.-

-C’è qualcun altro che aspetta queste parole.- Si staccò da lui. -La scelta è mia, hai detto?-

Akragas annuì.

-Bene, allora, io rifiuto.- Si girò e si diresse verso la porta.

-Il mio clan è diverso dagli altri. Avrai modo di accorgertene se starai con me.- Intervenne Jair poco prima che uscisse.

Aveva già accettato una proposta simile, anni prima, e ne era valsa la pena.

-Devo pensarci.- Rispose chiudendosi la porta alle spalle.

Ancora arrabbiato con suo padre, mentre camminava sulla ghiaia dello spiazzo davanti alla caserma, Nish si sentì chiamare.

-Booth!- Riconobbe subito il vecchio mago con una gamba di legno, che appoggiandosi ad un bastone contorto avanzava verso di lui con passo lento.

Il mago aveva ormai pochi capelli lunghi sulla testa rotonda, era grosso e con la pelle livida, gli occhi neri erano stanchi, ma vitali.

-C’è qualcosa che non va, ragazzo?-

-Ho avuto una discussione con mio padre.- Scrollò le spalle.

-Te l’ ha già detto allora.- Sbuffò il vecchio amico di suo padre. -Cosa pensi di fare?-

-Ho rifiutato.- Gli disse con tono sgarbato, pentendosene subito. -Credi che abbia sbagliato, Booth?-

-No, credo che tu sia ancora troppo giovane per una scelta del genere.-

-Mio padre era molto più giovane di me... lui ha cercato di darmi una vita diversa, libera... non mi aspettavo una richiesta simile da lui. Se un giorno avrò dei figli, voglio essere un buon padre per loro, non voglio che siano solo un mezzo.-

Il mago gli sorrise compiaciuto.

-Mi riterresti sciocco, Booth, se ti dicessi, che vorrei trovare qualcuno che dia un senso alla mia vita come è stato per mio padre e Keira?-

-Ritengo che sia un tuo diritto. E mi fa piacere sentirtelo dire, Nish.-

-Booth, scusa il ritardo, ma dovevo fare una cosa per Padron Akragas!- La voce di una giovane donna li raggiunse un attimo prima di lei.

"Un’ altra mezzo sangue!" pensò Nish scorgendola arrivare.

-Padron Nish! Siete voi!- Quasi urlò nel vederlo, con un leggero tremore nella voce.

Nish la guardò. Doveva essere bella prima che il viso le venisse sfregiato da due lunghi tagli che allargavano fino agli zigomi il suo sorriso. Gli occhi erano di una tonalità scura di rosso, i capelli argentei legati sulla nuca, un naso piccolo e tondo campeggiava sulle labbra dalla linea perfetta ed il piccolo mento aguzzo. Un’ infinità di piccole cicatrici sul collo, dove doveva essere stata tenuta al guinzaglio e sulle braccia. Lo guardava adorante, con le mani strette al petto. Le mancava l’ anulare sinistro.

-Glaushimar.- Mormorò piano ricordando la schiava che si era occupata di lui per un breve periodo quando stava da Rautha.

-Vi ricordate di me Padron Nish!- I suoi occhi le si erano illuminati.

Booth sorrise. -Glaushimar mi aiuta quando non c’è da combattere.- Spiegò.

-Combattere?- Chiese meravigliato.

-Si, Padron Nish. Faccio parte dell’ avanguardia guidata da Padron Jair. Con le armi me la cavo bene!- Rispose con un briciolo d’ orgoglio.

-Chiami padrone quel mezzo sangue?-

-Padron Jair è il figlio di Padrona Lilith!-

-Jair, a differenza dei suoi simili non ha mai conosciuto nessuna discriminazione. Sua madre e suo padre l’ hanno educato come qualunque figlio puro sangue avrebbero potuto avere.- Spiegò Booth, vedendo l’espressione di Nish.

-Il clan Berré è davvero particolare.-


Dopo aver mangiato il rancio che si poteva ottenere nella casa infermeria, Keira attese pazientemente che scendessero le tenebre.

-E’ il momento peggiore- gli spiegò Mamma- gli elfi scuri preferiscono combattere col buio.- Gli sorrise. -Vai a dormire.- Lo incitò.

-Non posso restare qui?- Le chiese supplichevole.

-Ora Akragas è sulle mura. Ogni notte fa il giro di tutto il perimetro della città, si siede lassù e quando ha finito il suo dialogo con le stelle va a dormire.- Lo mise alla porta con dolcezza. -Nella vostra camera.- Chiuse la porta.

Keira sospirò, sollevando gli occhi alle alte mura, ma scorse solo qualche soldato, male illuminato dai bracieri che rischiaravano le stelle. Doveva andare, doveva affrontare la loro camera. E lui.




La notte era silenziosa. Troppo. O forse lo sembrava a causa del martellare assordante del suo cuore. Non poteva passare tutta la notte a fissare la tenda di Malek. Sapeva che suo fratello lo fissava, da un punto impreciso dell’ accampamento, da una delle tende, anche se ora era nella sua Tana con Rautha. C’ erano le sue spie, le sue vedette, che lo informavano di tutto, gli avrebbero riferito anche che quella notte era rimasto sulle mura più a lungo del solito. Nish era tornato, ed aveva portato con sè Keira. Con Nish aveva fallito. Avrebbe dovuto aspettarselo, ma sperava... non era ancora detta l’ ultima parola, forse Jair lo avrebbe convinto. Jair era più Drow di molti elfi scuri che aveva conosciuto. Era un guerriero eccellente, un ottimo stratega, subdolo forse, ma quale elfo scuro non lo era. Ed era coetaneo di Nish. Forse lui poteva convincerlo. Il problema che lo assillava maggiormente era Keira. Come poteva combattere con lui così vicino? Come poteva rischiare tante vite, magari perdere la città, se c’ era lui? Keira doveva essere al sicuro, lontano da lì, come Nish, ma presto Nish sarebbe partito, Jair l’ avrebbe portato nella Tana dei Berré, e sarebbe stato in salvo. Doveva decidersi ad andare a riposare, forse Keira non sarebbe andato nella loro vecchia stanza.




La stanza illuminata appena dalla poca luce dei fuochi che ardevano nella piazza che filtrava dalle finestre lo fece rabbrividire, come se fosse infestata dagli spettri. Gli spettri del passato. Si guardò in torno. Mamma aveva ragione, era tutto esattamente come lo aveva lasciato, tre anni prima. Guardò il letto, rifatto alla perfezione, con la solita meticolosità di Akragas. Rimase immobile, pietrificato. Quante volte avevano fatto l’amore su quel letto? Aveva creduto che la sua felicità sarebbe durata per sempre. Rimase immobile forse per ore, due passi dopo la porta, come se fosse appena entrato.

Finché non sentì il passo stanco di Akragas che si avvicinava. Lo stomaco gli si chiuse in una morsa. Quanto avrebbe voluto scappare! La porta si aprì. Un passo. La porta si richiuse. Attese un attimo prima di girarsi, cercando il respiro di Akragas, per capire se era davvero lì, dietro da lui, ad un passo da lui. Si girò. Akragas era lì, e lo guardava.

Keira compì quella piccola, immensa distanza e si aggrappò alle sue braccia.

-Lasciami stare qui!- Scoppiò di nuovo a singhiozzare. -Non ti accorgerai nemmeno della mia presenza! Ti prego, fammi restare...- Aveva immaginato tante volte di essere di nuovo con lui, la gioia che avrebbe provato, ma quello che provava era solo dolore. Dolore perché lui lo ignorava.

Lentamente. Come se il più piccolo movimento richiedesse uno sforzo di volontà immane, come se gli procurasse un dolore insopportabile, le braccia di Akragas si sollevarono. Le sue dita tremanti si infilarono tra i capelli biondi, vicino alle orecchie.

I singhiozzi si calmarono.

-Keira...- Quant’ era roca quella voce. Il cuore gli si fermò nel petto mentre alzava gli occhi sul viso scuro e contratto in cui brillavano due fiamme vive.

-Keira.- Ripeté abbracciandolo possessivamente, mentre due piccole lacrime si andavano formando nei suoi occhi. -Mi dispiace.- Gli sussurrò mentre le piccole lacrime scendevano sulle guance. -Voglio che tu rimanga con me.-

Keira si sentì improvvisamente rinvigorito, lo abbracciò e lo spinse contro la porta con la foga del suo bacio.

"Non importa. Non fa niente. E’ passato." Continuava a gridare la sua mente mentre le sue mani artigliavano la stoffa sulla schiena di Akragas, aggrappandovisi spasmodicamente.

Incespicando, senza staccarsi se non per prendere fiato, senza nemmeno rendersene conto, si trovarono sul loro letto, continuando a baciarsi come se il desiderio delle loro bocche non conoscesse fine.

Keira non voleva che quel peso si sollevasse da lui, non voleva che quegli occhi si staccassero dai suoi, mentre continuava a baciarlo sentì il loro impeto diminuire, scemare nel bisogno di un contatto più completo, tra le loro anime. Doveva dirgli di Lunia, ma non voleva che quelle dolci carezze che si scambiavano le loro labbra smettessero. -Non mi sono legato a Lunia.- Riuscì ad ansimare tra un bacio e l’ altro. Akragas si interruppe solo un istante per fissarlo dritto negli occhi. Keira lo vide sorridere, prima che si abbassasse di nuovo a baciarlo, lentamente, con passione, accarezzando la sua anima prima che il suo corpo, l’ interno della sua bocca, dove la sua lingua avvolgeva e coccolava la sua, il suo fianco, dove una mano scivolava piano sotto la stoffa, tremante e calda da ustionarlo, eppure delicata. Si accorse appena dei vestiti che lentamente scivolavano via mentre Akragas continuava a baciarlo. Lo sentì sollevarsi e chiedergli di girarsi, dovette fargli capire che non intendeva farlo, perché gli sentì sussurrare un "Sicuro?" prima di abbracciarlo e stringerlo di nuovo a sè per l’ ennesimo bacio. Sollevò le ginocchia per dargli accesso al suo corpo, poco importava che il giorno dopo i muscoli dell’ addome gli dolessero da non farlo quasi camminare dritto, voleva i suoi occhi per sè.

Akragas ridisegnò i contorni di quel viso con le labbra, sentiva le sue mani accarezzargli la schiena, come erano rovinate, eppure non le apprezzava di meno per questo. Il silenzio vellutato rotto solo dai loro ansimi era una musica eccitante, il mondo avrebbe potuto scomparire in quel momento, purché non richiedesse la loro presenza, purché gli lasciasse il resto dell’ eternità per amarsi.

Gli occhi di Keira lo supplicavano di prenderlo, il suo corpo accaldato che si strusciava sempre di più contro di lui, le labbra socchiuse in un ininterrotto gemito di piacere, nemmeno lui voleva più aspettare, si fece largo dentro al suo ritrovato amante, con un movimento naturale, senza esitazioni, facendolo gridare di dolore.

Akragas si bloccò, il respiro corto. Tre anni. Non aveva pensato che in tre anni la sua abitudine a quella pratica era svanita, facendo perdere elasticità ai suoi muscoli.

Keira gli sorrise, ancora pallido e dolorante, accarezzandogli i capelli candidi.

-Continua.- Gli disse appena ed Akragas riprese a muoversi, lentamente, con delicatezza, baciandolo ed accarezzandolo, occupandosi di lui come aveva fatto tante volte, finché i loro sensi non furono appagati.

Keira lo abbracciò di nuovo, respirando profondamente quell’ aria satura del loro odore.

-Non uscire da me.- Gli chiese quando ebbero finito.

-Come vuoi tu.- Gli rispose dolcemente Akragas, stendendosi meglio che poteva su di lui e dandogli un ultimo, appassionato bacio prima che entrambi si addormentassero.




L’aria era il primo nemico per un bambino Drow. Quell’ aria satura di zolfo che brucia i polmoni. Eppure quante volte aveva desiderato respirare ancora l’ aria della sua terra. Gli pareva di non aver mai respirato prima. L’ aria era così buona. Più buona di qualunque altra avesse mai respirato. Si mosse appena nel letto, senza aprire gli occhi, ricordando improvvisamente la sera prima. Quello era il profumo dei capelli di Keira. Il suo piccolo elfo dormiva accanto a lui, con la testa conficcata nell’ incavo del suo collo, i capelli sparsi sul cuscino, un braccio proteso sul suo petto, in un fragile abbraccio. Respirò a fondo. Quanti baci si erano scambiati la notte prima? Troppo pochi per compensare gli anni che lui aveva buttato. Sorrise. Non sarebbe mai più stato così stupido. Avevano fatto l’ amore così lentamente che aveva creduto di poter andare avanti tutta la notte. Keira non aveva voluto che scendesse a prendersi cura della sua erezione, pretendendo l’ esclusiva delle sue labbra per le proprie. L’ aveva stretto nella sua mano e l’ aveva sentito fremere. Era entrato in lui senza pensare che avrebbe potuto fargli male. Si era sentito morire quando aveva gridato, oh, era così sretto che gli aveva ricordato la prima volta. Gli si era gelato il sangue, quella volta lo aveva violentato, lo aveva preso con la forza e contro la sua volontà, facendogli male. Ma la notte prima, invece, gli aveva chiesto di continuare, anche in quella posizione scomoda, per poter continuare a guardarsi, a baciarsi. "Digli quello che provi per lui." Era passato tanto tempo da quando Mamma glielo aveva detto, e lui non lo aveva mai fatto.

Keira si stiracchiò contro di lui, iniziando a svegliarsi. Aprì gli occhi perché fossero la prima cosa che vedesse non appena avesse aperto i suoi.

Keira si svegliò ed alzò il viso sorridente per guardarlo.

-Buon giorno amore mio.- Lo salutò Akragas.

Keira lo guardò sorpreso, non lo aveva mai chiamato il quel modo. -Sto ancora sognando?- Chiese quasi tra sè.

-No. Sei sveglio.- Gli appoggiò sulle labbra un bacio leggero. -Ti amo, Keira.-

-Cosa hai detto?- Saltò a sedersi sul letto, ancora incredulo. -Ridillo!-

-Adesso non esagerare! Non è mica facile dire una cosa del genere!- Lo ammonì Akragas ridendo ed attirandolo di nuovo su di sè.

-Guarda come sei dimagrito! Devi rimetterti... e le tue belle mani... cosa ti ho fatto, Keira?- Gli lambì lentamente la punta di un orecchio con la lingua, facendolo rabbrividire.

-Nulla a cui non si possa porre rimedio, amore.- Gli soffiò ad un centimetro dalle labbra, poi lo baciò ancora.

Akragas sospirò. -Devo andare...- Lo informò senza accennare a sciogliere il suo abbraccio.

-Allora... devo lasciarti andare?-

-Non voglio separarmi da te.-

-Posso farti arrivare in ritardo?-

Akragas sospirò di nuovo. -Per la prima volta in vita mia? Ci pensi a quello che potrebbero dire?-

Keira lo baciò alla base del collo, iniziando a sollevarsi, ma Akragas lo trattenne.

-Non c’è nulla di male se per una volta arrivo un po’ in ritardo.- Ribaltò le loro posizioni, trovandosi di nuovo sopra di lui. Keira gli sorrise emozionato e felice, almeno quanto lui.

-Non abbiamo tempo adesso, ma stanotte...-

-...Non mi farai dormire, vero?- Terminò per lui Keira.

Akragas sorrise. -E ti dirò ancora che- abbassò la voce, andando a baciargli un orecchio- ti amo.-

Keira lo abbracciò con gli occhi velati da lacrime di gioia.

Le loro effusioni durarono qualche altro minuto e un altro numero incalcolato di baci. Poi Akragas si decise ad alzarsi. Si lavò alla meno peggio con l’ acqua contenuta in un piccolo bacile in un angolo della stanza e con un panno ruvido. Keira lo guardò, anche lui era dimagrito. Era così bello nudo, con quel corpo scuro e scolpito.

Akragas si asciugò e prese il contenitore dell’ unguento con cui si cospargeva il corpo. Come gli era mancato quell’ odore fresco. Lo inspirò a pieni polmoni, prima di alzarsi e raggiungere il suo compagno per togliergli il contenitore di mano.

-Faccio io.- Gli disse intingendo le dita nella sostanza oleosa e cominciano ad accarezzare languidamente quel corpo che amava tanto, premendosi infine contro di lui, facendo aderire i loro petti. Quell’ aroma gli sarebbe rimasto addosso per tutto il giorno.




Nish si svegliò tra le braccia di Glaushimar. Rivolse qualche ingiuria a Jair che lo aveva fatto bere fino ad ubriacarsi, non ricordava nemmeno come avesse fatto a finire a letto con quella donna! Però doveva ammettere che gli dava una bella sensazione il suo faccino premuto contro il petto. Glaushimar si premette contro di lui prima di salutarlo rivolgendogli il sorriso più bello che avesse mai visto. Uscì senza far rumore dal letto e si rivestì, andandosene dopo averlo salutato. Se non fosse stato per il mal di testa del dopo sbronza l’ avrebbe trattenuta per fare un po’ di conversazione.

Quando scese trovò Jair a discutere con Booth sulla posizione di alcune crocette su una mappa della zona. Aveva bevuto più di lui, ma non pareva risentirne. Quasi un’ ora dopo furono raggiunti da suo padre. Lo chiamò da parte.

-Dimmi perché devo essere io a dare una figlia a questa donna.- Gli chiese senza mezze misure.

-Perché appartieni alla prima famiglia.-

-Anche tu-

-Io non posso.-

-Perché?-

-Nish...-

-Per non ferire Keira, vero? Per non tradire lui preferisci sacrificare tuo figlio!-

-Non è così.-

-Allora com’é? Non sai cosa inventarti, vero? Guarda che sono felice che tu e Keira siate tornati assieme, ma voglio la stessa possibilità di scelta che hai avuto tu. Se da qualche parte esiste una persona che può farmi provare quello che tu provi per Keira, la voglio trovare. Ormai del nostro clan resta poco, e poi, io cosa ho avuto dal clan per esserci così legato? Se avrò dei figli voglio essere un buon padre, quindi la mia risposta non cambia. Spero che tu lo capisca, padre.-

-Nish, sono orgoglioso di te. Qualunque decisione tu prenda, io ti appoggerò sempre.- Lo abbracciò. -Grazie per quello che hai fatto per Keira e per me.-

Nish lo abbracciò sorridendogli, anche il mal di testa gli stava passando.

In qualche modo Jair, nei giorni seguenti, divenne un compagno inseparabile per Nish. Era vivace, perennemente in movimento, un valido comandante per i suoi uomini, una ventina di mezzo sangue su cui si sarebbe potuto scrivere un compendio di mutilazioni e cicatrici. Non c’ era sera in cui Jair non lo facesse bere oltre il suo limite, ed alla mattina si ritrovava puntualmente nel letto di qualche donna, anche se si trattava quasi sempre di Glaushimar. Quella donna, in qualche modo lo attraeva. Un paio di volte la trattenne e fece l’amore con lei da sobrio. Aveva avuto altre amanti, ma quella donna sembrava completarlo. Anche in un paio di scaramucce se l’ era trovata al fianco, scoprendo che con la spada se la cavava davvero bene come aveva sostenuto. Nel giro di tre o quattro giorni, lui, Jair e Glaushimar presero a non spostarsi mai per la città da soli, chiacchierando, ridendo e Jair combinando scherzi e guai ovunque, mentre lui e la sua nuova amante sparivano qualche minuto dietro una casa per baciarsi o scambiarsi effusioni che spesso l’ alcool non dava modo di approfondire.




Ad una decina di giorni dall’ arrivo di Nish e Keira in città, Malek tornò nell’ accampamento nemico. Con lui c’ era Rautha. Verso l’ imbrunire Malek si avvicino alle mura della citta, il suo esercito schierato alle sue spalle.

-Akragas!- Chiamò a gran voce.

Akragas comparve in cima alle mura, certo che suo fratello l’ avrebbe visto immediatamente.

Malek sorrise vedendo il fratello rispondere al suo richiamo. -Questa guerra va avanti da troppo tempo! La mia signora, la grande Rautha, mi ha ordinato di porvi fine! Io ti sfido, Akragas! Domani, qui, sotto gli occhi di tutti, solo tu ed io. Accetti?- La sua voce rimbalzò sulle pareti e sulle armature, arrivando agli orecchi di tutti.

-Accetto, Malek. Domani, a mezzo giorno.-

Keira non fece in tempo a raggiungerlo prima che rispondesse. -Perché non hai rifiutato?- Gli chiese quasi isterico, ricordando che Malek l’ aveva quasi ucciso, cinque anni prima.

-Perché non potevo, Keira! Guarda questa gente: è stanca di combattere una guerra che non è neanche del tutto sua. Io devo farla finire. Stai tranquillo.-

Nella città si diffuse un grande senso d’ attesa, gli uomini che prima guardavano con reverenza Akragas ora non gli risparmiavano parole d’ incoraggiamento a cui lui rispondeva con sorrisi e risposte speranzose.

Nish era teso quanto Keira: conosceva bene suo fratello Malek.

Quella notte Keira percorse il passaggio sulle mura accanto ad Akragas, si sedettero vicino ad un fuoco stretti l’ uno all’ altro e trascorsero alcune ore a sussurrare di cosa avrebbero fatto una volta che l’ assedio fosse stato tolto alla città.



Malek si accoppiò con la sua signora, promettendole la testa di Akragas. Gli piaceva la luce che compariva negli occhi di lei quando toccavano quell’ argomento.

Poco prima dell’ ora stabilita per lo scontro Rautha gli offrì una coppa di vino.

-Brindiamo alla vittoria del mio campione!-

Malek gonfiò il petto, orgoglioso e sicuro della vittoria. Accettò la coppa e bevve.




Akragas si preparò meticolosamente, come sempre, ordinando e pulendo le sue armi. Keira gli stava accanto. Lungo la strada che lo separava da Malek raccolse parecchie persone.

-Mamma, porta Keira in infermeria, non voglio che guardi. Fuori dalle mura non voglio nessuno tranne Nish e Jair, intesi?- Chiese a gran voce, mentre un coro di mormorii si sollevava.

-Perché non posso venire con te?- Gli chiese aggrappandosi al suo braccio Keira.

-Perché non voglio che mi vedi uccidere mio fratello- Gli rispose semplicemente.

Keira lo vide dargli le spalle, seguito solo dai due secondi che si era scelto.

Le mura si aprirono e li fecero passare, richiudendosi dietro di loro.




L’ urlo si espanse tra l’ esercito Drow. Tutto era finito. Peccato per quel dolore che gli bruciava i visceri e la gola. A metà del duello con suo fratello aveva cominciato a tormentarlo sempre di più. Ora gli si appannava anche la vista. Aveva bisogno di bere.

-Che nessuno sollevi un’ arma contro questa città ed i suoi abitanti fino al mio ritorno!- Gridò ai suoi uomini. Perché l’ aveva fatto? Forse per punire Rautha. Così lei aveva ottenuto la vita di Akragas, ma non la città, ammesso che le interessasse davvero.

Si sedette accanto al tavolo, nella sua tenda, doveva avere ancora un po’ di pazienza. Alla fine aveva vinto lui, era lui il più forte tra i figli di Samara, ora tutti avrebbero dovuto riconoscerlo. Akragas era morto. Il suo perfetto fratello amato e desiderato da tutti, e lo aveva sconfitto lui. Se solo il veleno di Rautha si fosse sbrigato ad ucciderlo. Quel dolore era davvero insopportabile, ormai. Forse Rautha aveva già un nuovo amante. Colpa sua, avrebbe dovuto vincere prima quella guerra e tornare da lei.

Peccato. Peccato davvero.








PARTE SECONDA




"... Non avevo mai visto nessuno piangere in quel modo. Ancora adesso quel grido mi rimbomba nelle orecchie. Tutto quel sangue... Jair ed io corremmo subito in suo soccorso, ma non c’ era nulla che potessimo fare per mio padre. Lo presi tra le braccia e guardandomi mi lasciò il suo ultimo messaggio per Keira. Malek si allontanò tra il boato del suo esercito che gridava di gioia ed osannava il suo generale. Trascinammo il corpo di mio padre oltre la porta, che avevi ordinato di aprire. Ricordo vagamente che due uomini senza identità ci aiutarono a sollevarlo e lo portammo in infermeria. Era così pesante. Sentivo piangere, ma non vedevo nessuno in quel momento, Booth. C’erano solo il sangue che scivolava fuori dal petto squarciato di mio padre e la consapevolezza che lo stavo portando da Keira.

Keira dava le spalle alla porta, parlando con Mamma, lei impallidì appena entrammo. Keira si girò. Urlò. Corse verso di noi, che depositavamo mio padre su un letto, gli altri feriti che singhiozzavano mormorando che era la fine. Keira abbracciò mio padre. Lo scuoteva, lo chiamava. Pensai che non si rendesse conto che era morto. Piangeva. Non ho mai visto nessuno piangere tanto disperatamente. Le sue mani, il suo abito bianco, erano rossi del suo sangue.

Mamma, pallida come un fantasma, ordinò a due donne di lavarlo e richiudere lo squarcio, i due uomini cercarono di sollevarlo di nuovo per portarlo nella sala attigua, dove c’ era l’ acqua, ma Keira gli si aggrappava, allontanando tutti. L’ ho preso per le spalle e l’ ho sollevato di peso, abbracciandolo. Non so dove trovai la forza per parlargli, mentre gli uomini portavano via mio padre e lui si dibatteva tra le mia braccia con le poche forze che il dolore gli aveva lasciato. -Mi ha detto di dirti: "Dì a Keira che lo amo".- E’ buffo come lo ricordi chiaramente, in mezzo a tanta confusione. Non era vero, mio padre non aveva finito la frase, non ne aveva avuto il tempo, ma immaginai che frasi del genere tra loro non fossero inconsuete. Keira si calmò un po’ e Mamma riuscì a dargli qualcosa. Ci sedemmo su un letto e lo tenni abbracciato per ore. Mamma portò un bacile d’ acqua e ci lavò le mani, Keira era tranquillo, ma dai suoi occhi continuavano a scendere le lacrime. Io non riuscivo a piangere. Sentii la voce di Jair che mandava via qualcuno e poi ordinava che mio padre fosse portato nella sua stanza, mentre si preparava la pira.

Accompagnai Keira nella stanza che aveva occupato con lui per dargli l’ ultimo saluto. Sembrava addormentato. Mamma l’ aveva fatto lavare e ricomporre, l’ aveva cambiato e portato via gli abiti inzuppati di sangue. Per la prima volta Keira si staccò da me e gli andò vicino. Gli accarezzò dolcemente il viso e lo baciò, prese una sedia e si sedette accanto a lui. Mi avvicinai e Keira mi guardò con un sorriso strano prima di dirmi -Fai piano Nish, deve riposare, ma stai tranquillo, rimarrò qui a vegliarlo finché non si sveglierà.- Ricordo che caddi in ginocchio accanto a lui e gli dissi che era morto. Cominciai a piangere. -Keira, è morto!- Gli ripetei, ma capivo che lo stavo dicendo a me stesso. Nemmeno io lo avevo accettato, ma lo capii solo quando sentii Keira parlare in quel modo. Piansi finché Jair non venne a prendermi, dicendomi di lasciarli soli. Passai la notte con lui e con Glaushimar, senza parlare.

Rivedevo il duello come se si stesse svolgendo in quel momento. Sentivo tamburi che non c’ erano stati, ma quello scontro che si ripeteva nella mia testa si svolgeva in un’ arena delle nostre citta, dove ogni giorno campioni e schiavi versavano il loro sangue sulla sabbia. Rivedevo mio padre e Malek battersi come due leoni. Malek che non usava i suoi poteri. Capii che mio padre era stato davvero convinto di vincere. Malek sembrava divertirsi, le spade che continuavamo a sbattere, loro due che si studiavano e si attaccavano senza mai toccarsi, sentivo il sibilo delle lame. Poi Malek era cambiato. Aveva cominciato a stringere i tempi, facendo piovere i suoi attacchi. Mio padre era stato costretto a chiudersi in difesa, a parare i suoi fendenti veloci senza più riuscire ad attaccare. Mio padre fece un tentativo di portarsi in avanti, per sbilanciarlo, ma Malek non si fece sorprendere e riuscì a colpirlo. Un unico colpo. Mio padre cadde in ginocchio. Incredulo lo vidi abbandonare la spada che cadde con un rumore sordo. Guardò suo fratello che lo aveva sconfitto e sentii Malek ordinare ai suoi uomini di non attaccare la città fino al suo ritorno. Perché dette quell’ assurdo ordine non lo so, so che si allontanò e non pensai più a lui. Non ci pensai per giorni, dopo quello che accadde lui era diventato il mio ultimo pensiero. Ora so che è morto, ma allora non cercai di scoprire che fine avesse fatto. Stranamente, per lui piansi. Non avevo pianto per mia madre e per Kolkas, ma piansi per lui. Forse perché altro dolore si aggiungeva a quello che già provavo per le perdite che avevo subito, forse perché anche lui era stato ingannato e forse, alla fine lo aveva capito e per questo aveva dato ai suoi uomini quell’ ordine incomprensibile altrimenti. Forse piangevo per me stesso, perché il mio mondo non esisteva più e dovevo accettare nuove responsabilità che non ero pronto ad accettare.

Keira non permise a nessuno di portare via mio padre per due giorni. Io non ero più stato in grado di entrare in quella stanza, non ne avevo la forza, e lui non ne era più uscito. Tu e Mamma mi pregaste di fare qualcosa e dovetti farlo, sapevo che toccava a me sin dall’ inizio. Keira mi lasciò entrare. L’ odore della stanza stava diventando insopportabile. Era tutto chiuso, con il cadavere che era stato mio padre che iniziava a marcire, eppure Keira gli stava accanto, come se non se ne accorgesse. Gli dissi che doveva permetterci di portarlo via. Lui mi guardò, con gli occhi resi enormi dal dolore, dal digiuno, dalla follia. -Non portarmelo via, Nish.- Mi supplicò.

Avrei voluto morire pur di non dovergli dire che non potevo. Se avessi ucciso Keira mi sarei sentito meno in colpa. Portargli via quel corpo era come uccidere chi stava già morendo. Keira si chinò baciarlo. Distolsi lo sguardo. Il mio istinto di sopravvivenza mi urlava di bruciare tutto e di fuggire da quella tomba. Keira gli accarezzava i capelli e gli parlava piano, come se lui potesse udirlo. Gli dissi che sarei tornato per prendere mio padre vero sera ed uscii senza aspettare la sua risposta.

Quella sera tornai con altri uomini, ma li feci aspettare fuori dalla stanza. Aprii la finestra, Keira mi lasciò fare. Mi inginocchiai di fronte a lui e lo costrinsi ad ascoltarmi. Gli spiegai che dovevamo portarlo via, che doveva fidarsi di me. Keira mi ascoltò e si lasciò condurre fuori dalla camera. Gli uomini entrarono e poco dopo uscirono con lui avvolto nel lenzuolo. Aveva già iniziato ad imbrunire quando arrivammo alla pira, in quell’ angolo della città in cui i vivi non abitavano più. Depositarono il suo corpo sulla catasta di legna ed istintivamente mi trovai ad abbracciare più forte Keira, l’ unico con cui potessi condividere quel dolore. Jair mi chiese se poteva appiccare il fuoco. Esitai, Booth, in quel momento l’ irrazionale desiderio di non staccarmi da lui ebbe quasi il sopravvento, se non fosse stato per il peso della testa di Keira contro la mia spalla che mi costringeva a guardare in faccia la realtà, forse avrei cercato di strappare il corpo di mio padre al suo destino di decadenza. Feci cenno a Jair e lui appoggiò la torcia elle esche della pira. Keira non reagì. Mi chiesi se si rendesse conto che nel lenzuolo che era stato deposto davanti ai suoi occhi era racchiuso il corpo dell’ uomo che amava. C’era tanta gente, ma gli unici che riconobbi, nello sforzo di mantenere la mia mente concentrata foste tu, Mamma, Jair e Glaushimar, che mi stava accanto senza pretendere l’ attenzione che non potevo darle. Il fuoco consumò mio padre lentamente, il suo crepitare copriva i singhiozzi di quanti avevano meno motivi di noi per piangere la sua morte. Rimanemmo tutta la notte davanti a quello spettacolo di fuoco che rischiarava le tenebre intorno a noi, ma non dentro di noi, quella luce non raggiungeva il mio CUORE, il suo calore non mi riscaldava l’ anima. Keira guardava il fuoco come se lo vedesse per la prima volta, affascinato, per un attimo temetti che volesse buttarsi tra le fiamme, ma era saldamente ancorato al mio abbraccio, con lo sguardo perso, vuoto. Se solo avessi potuto immaginare che poco dopo sarebbe riemerso dal suo torpore non lo avrei lasciato solo. Poco alla volta la folla si disperse e restammo solo noi. Ricordo che Mamma ti accompagnò via quando l’ ultima favilla si spense, né tu né lei ci rivolgeste la parola. Capivo il vostro dolore, ma avevo bisogno anch’io di aggrapparmi a qualcosa. Jair forse lo intuì. Lui e Glaushimar ci aiutarono ad abbandonare quel luogo ed insieme ci avviammo verso i nostri alloggi. Allora mi accorsi del freddo della notte e rabbrividii. Glaushimar ci abbandonò poco dopo, dicendo che doveva fare una cosa. E’ da quella notte che non la vedo. Accompagnai Keira nella mia stanza, perché dormisse un po’. Lo misi a letto e lo lasciai. Lo lasciai solo per tornare da Jair. Non so come sia successo che Jair ed io passassimo la notte assieme, lo sai, ho sempre preferito le donne, ma forse solo il mio migliore amico poteva farmi superare qul momento. Jair è una testa calda, ma sa mantenere il sangue freddo quando serve, per questo i suoi uomini si fidano tanto di lui. Quella notte lo imparai anch’ io. Da allora non ho più messo in dubbio le sue qualità, e ti assicuro di non essermene mai pentito. A tutt’ oggi Jair è l’ unico uomo che sono disposto ad avere al mio fianco quando c’è da sguainare la spada. Non ho più condiviso il letto con lui, ma siamo diventati davvero inseparabili. Fu nel corso di quella notte che presi la mia decisione. Quando mi svegliai chiesi a Jair di portarmi da sua madre. Lui ne fu contento. Con la morte di mio padre le mie speranze erano andate perdute ed accettare la sua volontà mi parve inevitabile. Andai a salutare Keira. Il letto vuoto e freddo, la finestra spalancata... Ricordi come corsi da te? Lo cercammo inutilmente per tutta la mattina, ma Keira se ne era andato. Se pensassi che i meriti di mio padre avessero impedito alla sua anima di precipitare nell’ Abisso, o che l’ amore di Keira per lui permettesse alla sua anima di congiursi a quella di mio padre, pregherei perché fossero insieme, in qualunque luogo, ma so che non è così. So che è vivo, e non perdo la speranza di ritrovarlo. Jair dice che è inutile precipitarsi ad ogni asta di schiavi, ma finché sono qui non posso fare molto di più. Mi sembrò di aver tradito mio padre quella mattina, ma Jair mi fece rinsavire di nuovo. Non si può trovare un elfo che ha deciso di nascondersi. Salutai te e Mamma. Le tue occhiaie e i suoi singhiozzi, me li lasciai alle spalle per venire nella Tana del clan di Jair, come voleva mio padre. I suoi genitori mi hanno accolto come un figlio, niente a che vedere con l’ esperienza che avevo avuto con Rautha. Sono stato dato ad una cugina di Jair. Ho una figlia, Booth. Si chiama Sarka e, a giorni, compirà un anno. Sarka ed io viviamo nella casa di Jair, da quando Sarka è svezzata. Non ho nessun legame con sua madre e Lilith mi ha concesso la libertà. Le spie della Matrona stanno cercando il nascondiglio di Grovrorus, la figlia di Rautha e Malek. Jair dice che deve essere eliminata per la salvaguardia di Sarka, ma non credo che potrei uccidere una bambina. Jair vuole molto bene a Sarka, dice sempre che appena sarà grande riuscirà a sedurla! Intanto si diverte a sedurre le sue bambinaie. Io però voglio che Sarka cresca con una donna che possa chiamare "mamma", anche se non lo è. Vengo a riprendermi Glaushimar, Booth. Voglio lei al mio fianco quando scoppierà la guerra tra i nostri clan per insediare mia figlia o la figlia di mio fratello. Io continuo combattere. A presto,

Nish."




Guerra - Fine




POST SCRIPTUM


Non scriverò quanto accadde dopo questa lettera di Nish al vecchio Booth, ma, per chi lo volesse sapere, Nish tornò a prendere Glaushimar, che gli dette le ceneri di suo padre e l’ anello bruciacchiato che portava al dito, che era andata a raccogliere per lui quella notte. Riuscì a ritrovare Keira, alcuni anni dopo, ancora perduto nel suo mondo, dove non era costretto ad ammettere la morte di Akragas. Nish si prese cura di lui a lungo, gli affidò i resti di suo padre e, poco alla volta Keira si riprese e si affezionò moltissimo a Sarka. Quando fu individuato il nascondiglio della piccola Grovrorus, Jair e Nish si infiltrarono nel territorio di Rautha e rapirono la bambina, ma, nonostante le insistenze di Jair e di Glaushimar, Nish non riuscì ad ucciderla. Keira risolse la spinosa situazione proponendo di portare la bambina al suo villaggio, dove l’ avrebbe allevata lui. Glaushimar gli chiese "Sei sicuro di poter allevare la figlia dell’ uomo che ha ucciso Akragas?" Keira le sorrise mestamente, dicendole che le colpe dei genitori non ricadono sui figli. Nish accettò a malincuore la proposta, non volendo separarsi da lui, ma sapeva che raramente la vita va come noi la vorremmo. Jair continuò a combinare guai, ad ubriacarsi, a sedurre sventurate donne che abbandonava dopo una notte ed a svolgere incarichi talvolta pericolosi per i suoi genitori. Se i suoi propositi verso Sarka fossero seri o meno, non lo so, perché ora che la piccola è cresciuta, è troppo presa dalle manovre politiche in cui è coinvolta, per pensare ad una relazione, ma non credo che suo padre le darebbe carta bianca se davvero cedesse alla corte di Jair.

Mamma morì a cinquantaquattro anni, felice perché aveva incontrato un ciabattino che si era trasferito nella città finalmente libera dall’ assedio. Il giovane le aveva raccontato che la madre era una prostituta e che un uomo aveva pagato il proprietario della bottega perché lo allevasse e gli insegnasse il suo mestiere. Non sapeva nulla né della madre, né del suo benefattore, perché il vecchio ciabattino gli aveva detto che era un uomo talmente straordinario che se gli avesse dato il più piccolo indizio, l’ avrebbe rintracciato senza troppi problemi. Mamma pensò che quello fosse uno dei suoi figli, che Akragas aveva affidato a famiglie che gli dessero un futuro migliore di quello che avrebbe potuto garantire loro lei. Ringraziò il suo antico amante e quando morì lasciò le sue poche cose a quel ragazzo. Non era suo figlio, solo uno che aveva una storia simile, ma rese meno tristi i suoi ultimi anni di vita. Booth morì a sessanta cinque anni, prima di morire rivide, una volta Nish e Glaushimar, ed anche la piccola Sarka. Le raccontò di come fosse diventato amico di suo nonno, un uomo incredibile che aveva cambiato le vite delle persone che gli erano state accanto. La piccola aveva il suo stesso sorriso.


A D. per quella notte in cui mi ha fatto iniziare a scrivere.








FINE