Dalla
locanda usciva un miscuglio di voci e risa. Il comandante, un elfo
maturo e dallo sguardo un po’ spento dalle delusioni accumulate in tutta
una vita, legò il suo cavallo alla staccionata, ordinando ai due
sottoposti che lo accompagnavano di fare altrettanto. Entrarono. Nessuno
prestò loro attenzione, forse perché in una città di frontiera si è
abituati ad ogni genere di viaggiatore, bastava dare uno sguardo agli
avventori per rendersene conto. Il comandante raggiunse un tavolo libero
e si sedette, ordinando al più giovane dei due elfi che erano con lui di
andare al bancone dell’ oste a chiedere se la loro guida fosse già
arrivata. Incamminandosi si guardò in torno e nell’ ampia sala comune
non vide nessuno che potesse essere scambiato per la guida che dovevano
incontrare. Da alcuni buchi nelle assi del soffitto arrivavano i
gridolini di qualche prostituta impegnata con i clienti. Abbassò lo
sguardo istintivamente, non essendo abituato a cose del genere. Era
cresciuto in un piccolo villaggio, e quando aveva iniziato il servizio
militare era stato trasferito nella capitale, lì era stato scelto per
questa missione. Era molto emozionato all’ idea di un viaggio così
lontano dalle sue terre ed anche dalla responsabilità che un simile
compito comportava.
Arrivato al bancone richiamò l’ attenzione dell’ oste
e fece quanto gli era stato ordinato. Il comandante si era raccomandato
che aspettasse la guida al bancone e che poi la accompagnasse
personalmente al loro tavolo.
L’ oste lo squadrò dalla testa a dove il bancone
lasciava spaziare il suo sguardo. Aveva visto molte volte gli
avventurieri che cercavano quella guida, ma mai nessuno era stato così
giovane, ma non erano affari suoi e si limitò a rispondere, indicando
con l’ indice al piano di sopra: -E’ su a spassarsela.- disse senza
mezzi termini -Ma se avevate concordato un’ ora precisa, sarà puntuale.-
-Lo è sempre.- aggiunse dopo un attimo ridacchiando. Keira si sentì
avvampare in volto a sentire questi discorsi. Lui non aveva mai preso in
considerazione simili pratiche. Era un giovane elfo, in tutto e per
tutto simile a tanti altri della sua razza: con la carnagione chiara,
gli occhi azzurri ed i capelli biondi che gli scendevano in voluminose
onde appena sotto le spalle. Forse dimostrava un po’ meno dei suoi
diciassette anni, un po’ troppo basso per la sua età ed un fisico troppo
snello anche per un elfo. Tutto questo, però, era compensato da una
straordinaria agilità ed una muscolatura ancora acerba, ma che
prometteva assai bene.
Forse vedendo la sua espressione imbarazzata l’ oste
rise ancora più forte.
Dopo qualche manciata di minuti scese dalla scala che
dava al piano superiore un elfo scuro che doveva avere sui venticinque
anni.
Keira lo riconobbe subito. Non lo aveva mai visto, ma
aveva sentito parlare talmente tanto di lui, che non poteva sbagliarsi.
Era alto, con i muscoli scattanti sotto la sottilissima pelle scura. Gli
occhi rossi erano due fiamme vive ed i capelli candidi e spettinati gli
scendevano fino ai fianchi. Sulla fronte una fascia tratteneva a fatica
la chioma ribelle. Era inguainato negli abiti di pelle lucida come nel
più classico stereotipo di elfo scuro, ma nessuno avrebbe osato
paragonare lui ad altri elfi scuri. Mai. Lui era una leggenda vivente.
Aveva rifiutato la vita nel sottosuolo, non si era piegato alle leggi
tribali del suo popolo. Aveva abbandonato tutto il suo mondo per vivere
sotto il sole. Faceva la guida ed il mercenario, chiedeva compensi
altissimi per i suoi servigi, ma chi si affidava a lui non ne restava
mai deluso. Era astuto, scrupoloso e conosceva i luoghi più
impenetrabili. Come quello dove erano diretti loro.
L’ oste lo chiamò e gli indicò Keira. Akragas, l’
elfo scuro, lo guardò con un sorriso indecifrabile mentre si avvicinava.
-Ora mi mandano anche i bambini?- Chiese con tono
divertito.
Keira ribattè subito di non essere un bambino e
quello scoppiò a ridere rispondendogli che non aveva detto che i bambini
non gli piacessero.
Keira lo condusse al tavolo del suo comandante senza
aggiungere altro, un po’ mortifica to e confuso dall’ odore ancora forte
che il nuovo arrivato emanava, imbarazzato capendo di cosa si trattava.
Il comandante, vedendoli arrivare, si alzò in piedi e
gli porse la mano.
Akragas si sedette senza badare al gesto e chiese
subito il motivo della loro spedizione, asserendo che non gli piaceva
essere tenuto all’ oscuro dei motivi che spingevano determinate persone
a servirsi proprio di lui. Il comandante sapeva bene che con quel
"determinate persone" alludeva al consiglio degli elfi, che pochi giorni
prima aveva mandato dei messaggeri a cercarlo per commissionargli la
scorta di un gruppo di suoi soldati senza però dire molto sulla loro
missione. Ed ora che quei soldati erano giunti toccava a lui spiegare i
dettagli. Il comandante acconsentì col capo e si sporse in avanti
schiarendosi la voce.
-Dobbiamo recuperare una gemma che fu trafugata anni
fa dal tesoro della corona, i ladri furono inghiottiti dalle paludi ed i
precedenti sovrani rinunciarono al gioiello, ma ora senza un re....-
-Vogliono la gemma del potere.- Concluse Akragas, che aveva capito
immediatamente di cosa si trattava. Il comandante aprì sul tavolo un
sacchetto di monete d’ oro. Akragas prese il sacchetto rimettendoci
dentro le monete versate sul tavolo, tranne una, come pagamento per l’
oste. Si alzò e disse che era ora di partire. Presero i cavalli e si
diressero all’ accampamento dove li attendevano altri dodici elfi. Vi
giunsero verso sera e decisero di passare la notte lì, senza muovere le
tende.
Il comandante chiese a Keira di ospitare la loro
guida nella sua per quella notte. La tenda era piccola, ma due persone
ci stavano. Keira scorse la diffidenza negli sguardi dei suoi compagni,
la imputò al fatto che, a differenza sua, loro avevano già avuto a che
fare con gli elfi scuri. Forse era per questo che il comandante aveva
chiesto a lui di ospitarlo.
Una volta dentro, l’ elfo scuro si sdraiò sulla
stuoia della tenda e si stiracchiò. Poi si alzò e si sfilò la blusa,
restando a torso nudo. -Scusami per averti chiamato bambino. Vedrai che
mi farò perdonare.- Disse strizzandogli l’ occhio.
-Non mi sono offeso.- Rispose Keira sbirciando di
sottecchi il torace possente del suo ospite. Si alzava ed abbassava
lentamente, con regolarità. Si era già addormentato.
All’ indomani, quando Keira si svegliò, Akragas era
già uscito ed aveva già risellato il cavallo. Era stato il più
mattiniero dell’ accampamento. Poco più tardi ripartirono, Akragas ed il
comandante il testa. Il cavallo della guida era nero come la notte e
massiccio, si distingueva nettamente dai loro, bianchi e slanciati.
Pareva più adatto ad un campo di battaglia che a correre, eppure non
faceva il minimo sforzo a mantenere quell’ andatura. Galopparono tutto
il giorno, fermandosi solo per dare il tempo ai cavalli di riposarsi e
facendo coincidere le loro necessità con quelle delle cavalcature. Si
fermarono a piantare le tende solo a sera inoltrata, sollevarono i
cavalli dal peso dei bagagli e si disposero per la notte. Keira era
tutto dolorante, non aveva mai cavalcato così a lungo.
Akragas montò la sua tenda un po’ a distanza dagli
altri. Era una tenda piuttosto grande, ma la montò rapidamente e senza
alcuna difficoltà. Keira, ancora indaffarato con la propria, notò che l’
elfo scuro gli faceva cenno con la mano di avvicinarsi.
-Ti chiami Keira, vero?- Gli chiese quando fu vicino.
-Bene, lascia perdere la tua tenda e dormi qui con me.-
Keira avrebbe voluto obbiettare, ma il tono dell’
altro non ammetteva scuse, così riordinò i suoi bagagli ed entrò nella
tenda della guida.
Mangiarono lontano dal fuoco che avevano acceso gli
altri, Akragas sembrava non amare la compagnia degli altri elfi.
La tenda, all’ interno, sembrava quadruplicare lo
spazio. Keira rimase senza fiato.
-Comoda vero?- Chiese Akragas alle sue spalle. -Amo
le comodità, nonostante la vita che faccio: questa tenda, per esempio, è
il regalo di un mago. Qui dentro c’è spazio per quasi tutto.-
All’ interno c’ erano due letti, un tavolo, delle
sedie, un grande tino per lavarsi e quant’ altro poteva stare in una
tenda da comandante di un esercito in ferma per lungo tempo.
Mentre Keira si guardava ancora intorno,
disorientato, l’ elfo scuro si era già buttato sul suo letto,
completamente nudo. Quando Keira se ne accorse si sentì avvampare. Si
coricò in fretta, girato su un fianco per dare la schiena al suo ospite.
Dopo un po’ cominciò a sentire gli inconfondibili ansimi di un uomo che
si masturba. Tirò la coperta fin sopra la testa e cercò con tutte le sue
forze di addormentarsi.
Alla mattina si svegliò con la mano di Akragas che
gli scuoteva la spalla chiamandolo dormiglione e dicendogli di
svegliarsi. Dormire in un letto gli aveva fatto perdere la cognizione
del tempo.
-Forza, o non farai nemmeno in tempo a dargli il buon
giorno!- Scherzò lui.
Keira lo guardò con aria interrogativa.
-A lui, no!- Strizzò l’ occhio Akragas, puntandogli
un dito al bassoventre.
Finalmente capendo, Keira saltò giù dal letto in un
lampo, borbottando "io non faccio quelle cose!"
Sentì la voce di Akragas che gli diceva "Ma hai
dormito completamente vestito?" e si metteva a ridere, mentre usciva
dalla tenda.
Appena si avvicinò ai cavalli notò gli sguardi
sospettosi dei suoi compagni, non capiva il perché del loro
comportamento, ma smise di pensarci appena si accorse che la sacca del
suo bagaglio era sparita. Era sicuro di averla lasciata accanto al suo
cavallo, ma per quanto cercasse e chiedesse non riuscì a trovarla nel
poco tempo che li separava dalla partenza. Quella giornata era proprio
cominciata male.
Impiegarono due settimane a raggiungere la loro meta:
la palude detta Laghi Bui. Per quelle due settimane Keira dovette
dormire nella tenda di Akragas, cosa che non lo entusiasmava per nulla,
ma a cui fu costretto ad adattarsi. Arrivarono ad un compromesso che gli
permise di superare l’ imbarazzo della prima notte: Akragas avrebbe
dovuto dormire con i pantaloni ed astenersi da pratiche "sconvenienti"
in sua presenza. In cambio, Akragas, limitato nelle sue libertà, non gli
chiese nulla, riservandosi di fargli pagare il conto più in la. Per
Keira era stato imbarazzante affrontare l’ argomento, ma Akragas
sembrava aspettarselo e gli facilitò la cosa facendo quasi tutto il
discorso da solo.
Per due giorni si addentrarono nella palude, fino ad
arrivare in un luogo buio, che puzzava di marcio, pieno di insetti
fastidiosi. Erano arrivati. Gli elfi si guardarono intorno, sconsolati.
Non riuscivano nemmeno ad immaginare come avrebbero potuto trovare un
oggetto tanto piccolo in un luogo simile.
Akragas chiamò in disparte Keira e gli diede un
barattolo contenente una lozione dall’ odore fresco e pungente. -Dalla
pure anche agli altri, se vuoi, ma è la sola che ho e deve bastare
finché resteremo qui. Tiene alla larga questi schifosi insetti. Sbrigati
a mettertela o fra poco avrai tutto il tuo bel faccino coperto di
punture!- Disse in tono scherzoso.
Keira si affrettò a seguire il consiglio, grato di
non dover continuare a lottare con zanzare e moscerini, poi portò l’
unguento agli altri.
Per quel giorno cercarono di sistemare l’
accampamento dove il terreno sembrava abbastanza solido e meno
acquitrinoso. Il comandante radunò tutti intorno a sè per dare le
disposizioni per il giorno dopo.
-Ci divideremo in quattro gruppi da quattro e
cominceremo a perlustrare la zona...-
Aveva appena cominciato a parlare, quando Akragas lo
interruppe: -Keira ed io resteremo al campo, domani!- Sentenziò
guardando il comandante, che dopo qualche istante acconsentì col capo.
Keira assistette alla scena a bocca aperta, mentre Akragas già si
staccava dal gruppo.
-Allora faremo due gruppi da tre...- Riprese il
comandante, con voce più smorzata, poi ritrovando il tono autoritario di
prima continuò dividendoli in gruppi ed assegnando le zone da
perlustrare in cerca di tracce che potessero fargli capire per dove
fossero passati i ladri della gemma.
Keira raggiunse la guida nella sua tenda: -Perché
dobbiamo restare qui?- Gli chiese con tono affettato.
-Domani lo vedrai- Tagliò corto l’ elfo scuro, poi,
avvicinandosi e cambiando espressione, gli chiese se non pensava che
fosse arrivato il momento di iniziare a pagare il suo debito. Keira lo
guardò e gli chiese cosa volesse.
-Con questa umidità non ti si stanno appiccicando i
vestiti alla pelle?- Gli chiese l’ altro iniziando a spogliarsi. Keira
non gli rispose, indispettito dal suo atteggiamento. L’ elfo scuro era
andato in fondo alla tenda, lui non era mai andato oltre il bordo del
suo letto e guardò incuriosito in quella direzione, per scoprire cosa si
nascondesse dietro il tino da bagno e pile di bauli di legno che
nascondevano la vista di quella parte della tenda. Vide che l’ ambiente
era spoglio, c’ era solo un grande tappeto di lana riccia e morbida,
numerosi cuscini colorati di varie dimensioni e qualche attrezzo di cui
Keira non conosceva né il nome, né la funzione.
-Avvicinati.- Lo invitò la voce di Akragas, che si
era seduto sul tappeto giallognolo, dove si perdevano i contorni dei
suoi pantaloni di pelle nera. Keira ubbidì. Quando fu più vicino, rimase
a guardare il torso bruno e scolpito dell’ altro, che gli faceva cenno
di sedersi accanto a lui picchiettando con la punta delle dita il
tappeto. La luce era più soffusa in quella parte della tenda, ed Akragas
stava lì a gambe incrociate e lo guardava sorridendo. Keira lo raggiunse
e si sedette accanto a lui.
-Allora, cosa vuoi?- Tornò a chiedergli.
Akragas allungò le braccia e cominciò a slacciargli
la casacca con molta disinvoltura: -Prima di tutto, che ti metti
comodo.- Gli disse sfilandogliela di dosso.
Vedendo quelle mani così vicine al suo petto Keira si
sorprese a scoprire quanto fosse chiara la sua pelle.
-Parliamo un po’- Gli disse Akragas, distrattamente.
-Di cosa vuoi parlare?-
-Quello che vuoi tu, sentiamo.-
-Bhe... non so...- Keira si sentiva molto in
imbarazzo.
Akragas si stese, continuando a guardarlo con quella
sua espressione sicura e divertita, come se l’ imbarazzo del suo giovane
interlocutore fosse la cosa più spassosa che avesse mai visto.
-Dicono che tu sia nobile...- Iniziò Keira ricordando
un discorso che aveva sentito dai suoi compagni, alcuni giorni prima.
-Si, il mio casato è nobile.- Rispose un po’
annoiato.
-E allora perché vivi così?-
-Cosa sai della mia razza?-
Keira alzò le spalle. -Che vivete sotto terra, non
amate il sole, che i nostri popoli si odiano da sempre...-
-La nostra è una società matriarcale. In pratica i
maschi non hanno alcuna importanza sociale, anche i più forti od
importanti, che siano guerrieri o maghi, non contano nulla. Fai
arrabbiare una volta una donna e pregherai di essere morto!- Fece una
pausa. -Non mi andava di passare i migliori anni della mia vita nel
letto di una donna che avrebbe potuto tagliarmi la gola in qualsiasi
momento.- Staccò gli occhi da Keira per un istante, giusto il tempo per
poi tornare a fulminarlo con i suoi penetranti occhi rossi ed il suo
sorriso accattivante.
Keira sbatté le palpebre tre o quattro volte,
sorpreso e poco convinto.
-Non credere che solo perché apparteniamo alla stessa
razza le donne ci trattino molto meglio dei loro schiavi. La fortuna
maggiore è diventare l’amante di una donna influente e riuscire a
mantenere vivo il suo interesse, sperando che non incontri altri maschi
che la incapriccino più di te, e che quando decida di avere dei figli tu
sia in grado di darle delle femmine. Del resto è per questo che un
piccolo gruppo di elfi esiliati e maledetti hanno potuto diventare una
grande nazione. Una donna elfa quanti figli fa nella sua vita? Due? Tre?
Un’ elfa scura partorisce una dozzina di figli, da uomini diversi e solo
i più forti sopravvivono. Questa è la prima vendetta della mia razza per
essere stata esiliata dalla tua: essere diventati forti.-
Tornò a sedersi, e dopo una pausa riprese, cambiando
tono.
-E tu, invece? Hai avuto rapporti migliori con le
donne o ti sei arruolato per scappare a loro?- La punta di amarezza che
aveva nella voce fino a poco prima era scomparsa, ed ora piegava la
testa di lato, facendo cadere i capelli che gli scendevano morbidamente
sulle spalle.
-No, niente del genere- Riuscì a rispondere
solamente.
Improvvisamente Akragas si tuffò a schiena in giù,
con braccia e gambe aperte, socchiudendo gli occhi. -Prova!- Gli disse
sospirando. -Io adoro questo tappeto.- Aggiunse a voce bassa, quasi
parlasse tra sè.
Keira si sdraiò di fianco a lui. Sotto la sua schiena
il vello era morbido, caldo e asciutto, tanto che per un po’ riuscì a
dimenticare la palude. Non avrebbe saputo dire quanto tempo passò così,
incosciente, cullato dal tepore della lana. Quando riaprì gli occhi
Akragas era al suo fianco, appoggiato su un gomito, reggendosi il viso
con la mano chiusa. Lo guardava con un sorriso che non gli aveva mai
visto la testa: caldo e tranquillo, come se volesse dirgli che era al
sicuro. Solo dopo qualche istante si accorse che la mano libera di
Akragas era sul suo petto. Fece per alzarsi, ma lui lo tenne giù con
quella mano, cambiando posizione.
-Adesso devi pagare il tuo debito.- Gli disse con
voce vellutata mentre con movenze sinuose come quelle di un grosso
felino lo scavalcava con un ginocchio e gli afferrava entrambi i polsi
portandoglieli sopra la testa.
Keira lo guardò senza capire, con un istintivo senso
di soffocamento che gli schiacciava il petto.
-Non urlare. E’ notte fonda e sveglieresti i tuoi
compagni- Gli disse ancora Akragas, dopo averlo imprigionato sotto di sè.
L’ elfo scuro si abbassò a baciargli il collo. Keira
sentì il proprio respiro farsi sempre più rapido, avrebbe voluto
chiamare qualcuno, ma non gli usciva nessuno suono dalla gola . Akragas
lo baciava sul collo, gli mordeva delicatamente un orecchio, sentì le
sue mani staccarsi dai suoi polsi e pensò di potersi ribellare, ma
scoprì di essere legato.
Quando l’ aveva fatto? Non se ne era accorto. Le sue
mani scivolavano lungo i suoi fianchi, mentre i baci scendevano sul suo
petto. Sentì la lingua del suo... non sapeva nemmeno come chiamarlo.
Quella lingua dardeggiava un’ attimo sui suoi capezzoli per poi essere
sostituita dai denti che li serravano appena. Sentì una mano scivolare
tra i loro corpi e cercare la cintura dei suoi pantaloni. La trovò
subito ed iniziò a frugare al loro interno. Tutto il suo corpo era
scosso dai brividi.
-No- Mormorò appena mentre l’ altro trovava quello
che stava cercando. Si sentì morire mentre il cuore gli martellava
talmente forte nel petto da non riuscire a sentire altro.
I movimenti di Akragas erano lenti e decisi. Sentì la
sua mano muoversi mentre il suo corpo reagiva in un modo che sarebbe
stato normale in un una situazione diversa da quella .
Poi i baci finirono per qualche istante. Benché
avesse gli occhi chiusi, sapeva che Akragas lo stava guardando. Gli
sfuggì un gemito di cui si pentì subito quando sentì la bocca dell’
altro avvolgerlo, mentre con le braccia gli teneva ferme le gambe. La
bocca, calda ed umida, si muoveva su e giù con lentezza estenuante.
Tutti i suoi muscoli si contraevano e la sensazione pulsante che lo
invadeva aumentò fino ad esplodere, mentre lui si contorceva ed
inarcava. Un attimo dopo Akragas era di nuovo al suo fianco e gli
baciava un orecchio e gli parlava sussurrando parole che lui non voleva
sentire:
-Bravo, piccolo. Sei venuto senza opporre
resistenza.- Tornò a baciarlo ed a sussurrare. -Hai un buon sapore. Ora
dormi, che domani c’è da lavorare.-
Poi si alzò e cambiando tono aggiunse: -Per stanotte
ti lascio legato, non vorrei che facessi qualche sciocchezza.-
Keira era sconvolto, cercava di trattenere i
singhiozzi, con gli occhi incollati al soffitto vuoto della tenda. Poi,
senza nemmeno accorgersene, scivolò nel sonno.
Quando si svegliò, inconsapevole di essere riuscito a
dormire, Akragas era di nuovo lì, col viso sprofondato tra le sue gambe,
deciso a continuare finché lui non avesse ceduto, e anche stavolta, per
quanto cercasse di opporsi, ebbe la meglio.
Si sentiva completamente svuotato, come se fosse
stata la sua stessa vita a scivolargli via.
Akragas risalì lentamente, coprendolo di baci,
strusciando il petto contro il suo, fino ad avere di nuovo le labbra
vicino al suo orecchio.
-Ora ti libero. Stai buono, vedrai che lavorando non
ci penserai più-
Gli sciolse le mani e si spostò da sopra di lui, non
prima, però, di avergli baciato ancora molte volte l’ orecchio.
Keira si alzò. Sembrava completamente stranito.
Fuori, i suoi compagni si stavano dividendo in
gruppi. -Vengo anch’ io!- Disse aggregandosi ad un gruppo che si stava
allontanando dall’ accampamento, appena lo raggiunse.
Vagò tutto il giorno nalla palude, talvolta
sprofondando fino alle ginocchia nella melma. Avrebbe voluto prolungare
la ricerca all’ infinito, ma i suoi compagni insistettero per tornare al
campo quando la luce cominciò a diminuire. Come c’ era da immaginarsi,
le ricerche non avevano dato alcun frutto, quel primo giorno.
Keira mangiò davanti un piccolo fuoco che consumava
tristemente la poca legna secca che avevano trovato, in compagnia degli
altri.
Sentì la voce di Akragas chiamarlo, ma la ignorò. Lo
chiamò di nuovo, ma lui fece finta di nulla. Vide gli sguardi che si
scambiavano gli altri e sentì di nuovo le lacrime salirgli agli occhi,
ma le ricacciò in dietro.
Il comandante gli si avvicinò e gli ordinò di
rispondere alla chiamata.
-Ma signore..- Cercò di obbiettare.
-Niente "ma", Keira, tu obbedisci a lui, sei sotto il
suo comando.- Il comandante non aggiunse altro.
A malincuore si alzò ed andò verso la tenda,
lentamente. Si sentiva gli sguardi degli altri puntati contro la
schiena.
Akragas era dentro, seduto al tavolo.
-Hai orrore di quello che ti ho fatto- Esordì l’ elfo
scuro appena fu entrato.
-Te lo si legge in faccia. Come si legge "cosa" ti ho
fatto, ma non credere, lo sapevano già tutti.-
Keira sgranò gli occhi mentre l’ altro sorrideva
malignamente: -Tu sei la parte "in natura" del mio pagamento, e non
pregare che non succeda più, perché succederà ancora, e molte volte,
anche-
A Keira mancavano le gambe. Le labbra gli tremavano,
ma riuscì a gridargli "Menti!" e tutte le sue forze svanirono in quella
parola. Non voleva crederci, ma, in cuor suo, sapeva che era vero.
-Ora lavati- Gli disse Akragas con voce dura,
indicandogli il tino.
Lui girò la testa senza capire, Akragas si alzò di
scatto, facendo cadere la sedia, ed in un baleno gli fu addosso. Keira
d’ istinto chiuse gli occhi, abbassando la testa, come un bambino che ha
paura di essere punito.
Akragas, invece, iniziò delicatamente a spogliarlo e
lo condusse fino al tino, immergendolo nell’ acqua fino alla testa.
Keira singhiozzò un paio di volte, lavandosi come se
il fango della palude non volesse staccarsi dal suo corpo. Dopo molto
tempo Akragas decise che era ora di uscire e lo trascinò fuori dal tino,
buttandoci poi dentro i suoi abiti, sbattendoli per lavarli, mentre
Keira si asciugava con un panno soffice e caldo che Akragas gli aveva
appoggiato intorno alle spalle.
Quando ebbe steso i panni Akragas lo trascinò di
nuovo in fondo alla tenda, sul tappeto soffice di lana riccia e lo
spinse giù. Gli fu subito sopra, imprigionandolo come la sera prima. Il
suo sguardo era duro e minaccioso, ma gli lasciò subito le mani,
dicendogli di non muoversi di lì ed uscendo dalla tenda.
Keira cercò qualcosa per coprirsi, l’ altro gli aveva
portato via il panno umido con cui si era asciugato, ma non trovò nulla,
tranne il mantello nero di Akragas, e quello non voleva proprio usarlo.
Akragas aveva chiamato gli altri elfi ed aveva
comunicato loro di aver trovato un po’ dì acqua pulita con cui potevano
lavarsi. Mostrò loro una cisterna quasi piena e gliene furono tutti
grati. Raccomandò che non la bevessero, perché era comunque acqua di
palude e li lasciò prima che potessero chiedergli dove l’ avesse
trovata.
Quando tornò nella tenda, Keira era rannicchiato dove
lo aveva lasciato, gli si sdraiò alle spalle, abbracciandolo, ma il
ragazzo non voleva saperne e gli scostò il braccio bruscamente.
-Devo legarti di nuovo per avere quello che voglio?-
Gli chiese senza mezzi termini, con la voce tornata carezzevole.
Keira si rannicchiò ancora più strettamente.
Spazientito Akragas lo afferrò con forza e lo legò come la sera prima,
per ricominciare subito la serie infinita dei suoi baci e delle sue
carezze. Stavolta Keira non aveva addosso nemmeno una parvenza di
protezione ed Akragas ne approfittò subito.
Keira cercò di ribellarsi, ma non ne aveva la forza.
Era come se tutto il suo essere fosse concentrato in un unico punto del
suo corpo, e quel punto era nella bocca di Akragas, che lo avvolgeva
completamente.
Infine Keira dovette cedere. Il cuore gli batteva
all’ impazzata nel petto, talmente forte da fargli male. Sentì che
Akragas gli liberava le mani e gli abbassava le braccia. Gli baciò una
spalla stringendo con un braccio il suo corpo sudato, mentre si
sosteneva la testa con l’ altro.
-Tu non sai goderti la vita!- Sbottò dopo qualche
minuto. Keira, con ancora un po’ di fiatone, girò la testa a guardarlo,
doveva avere una espressione stravolta, pensò.
Akragas si ritrasse con un sorriso divertito sul viso
scuro. Quella notte, aveva deciso, non lo avrebbe lasciato dormire per
un solo momento.
Appena Keira respirò normalmente, Akragas tornò alla
carica. Più che eccitarlo, quel ragazzino lo divertiva. Lo divertiva il
modo in cui cercava di sfuggirgli e gli opponeva resistenza, lo
commuoveva quasi l’ ingenuità con cui aveva vissuto fino a quel giorno.
Non voleva fargli del male, almeno, nulla che non potesse riparare. Lo
considerava una preda succulenta, e a lui piaceva conquistarsi le sue
prede.
Keira cercava di sgusciare via dalla posizione in cui
lo aveva immobilizzato, ma non era abbastanza forte da opporsi a lui,
così mentre lo abbracciava ed accarezzava lascivamente, il poveretto non
poteva fare altro che scalciare e graffiargli le mani con le unghie
troppo corte per fargli male. Per fermarlo aveva finito con lo spingerlo
ventre a terra e salirgli sopra. Ora poteva divertirsi a sentirlo
frignare mentre gli baciava le spalle, il collo e quelle sue adorabili
orecchiette appuntite.
Gli infilò a forza una mano sotto il ventre che si
appiattiva sul tappeto per non farlo passare. Non poteva fare il minimo
movimento in quella posizione, ma voleva stringerlo in mano, sentirlo
gonfiarsi e pulsare, rispondendo ad un istinto che Keira non era
disposto a credere naturale. Per ora.
Lo avrebbe tenuto così finché non si fosse calmato di
nuovo, convinto che non gli avrebbe fatto altro, e poi gli avrebbe fatto
impazzire di nuovo il cuore. Voleva ubriacarlo tanto di piacere da farlo
smettere di ragionare, ed alla mattina sarebbe stato così esausto da
crollare addormentato tra le sue braccia.
Quando arrivò il momento, lentamente, lo fece girare
e gli legò di nuovo i polsi. Gli occhi azzurri lo fissavano sbarrati e
supplichevoli. Gli afferrò il mento con una mano per impedirgli di
negarsi al suo bacio. Era la prima volta che appoggiava le labbra sulle
sue. Lo baciò dolcemente, poi cominciò a mordicchiare e leccare quelle
labbra rosa e delicate, nel tentativo di fargliele aprire, ma dal
momento che era inutile, cambiò l’ obbiettivo delle sue attenzioni. Fece
scorrere la mano sul suo petto, dedicando qualche carezza insistente ai
capezzoli piccoli e non molto scuri, per farli inturgidire, e poi
riprese a scendere. Appoggiò le labbra al suo petto per ascoltare il
grido martellante del suo cuore. "Stavolta mi supplicherai!" Pensò
guardandolo di sottecchi. Keira già ansimava stringendo gli occhi.
Cominciò a masturbarlo lentamente, continuando a baciarlo e a
mordicchiargli i capezzoli duri come due sassolini. Quando sentì che
ormai l’ orgasmo stava sopraggiungendo, smise di masturbarlo. Staccò la
mano e cominciò ad accarezzargli l’ interno di una coscia,
strisciandogli ogni tanto un dito sui testicoli. Aspettò che Keira si
riprendesse un po’ e quasi distrattamente ricominciò a masturbarlo. Era
curioso di sapere quanto avrebbe resistito a questo gioco.
La gamba libera di Keira si muoveva convulsamente,
piegandosi e scivolando di nuovo giù. Di nuovo Akragas allontanò la mano
e cominciò ad accarezzargli i capelli con quella, sapeva che ormai era
intrisa del suo odore e che questo avrebbe fatto percepire al ragazzo
con ancora più urgenza la sua eccitazione. Keira arricciò il naso, non
era abituato all’ odore del suo stesso desiderio. "Questo ragazzino non
si è davvero mai masturbato?" Si ritrovò a pensare l’ elfo scuro mentre
lo guardava. Sorrise: al mercato degli schiavi della sua città uno come
lui sarebbe stato pagato a peso d’ oro!
-Basta.- Supplicò con un filo di voce. Akragas lo
portò di nuovo vicino all’ orgasmo, poi lo strinse forte solo per
allentare subito la presa, ma senza togliere la mano, limitandosi a
tenerla ferma. Se non si sbagliava, a questo punto, l’ istinto avrebbe
dovuto prevalere sulla razionalità del suo giovane "amante". E infatti
la sua esperienza non lo tradì, Keira, senza rendersene conto, cominciò
a muovere il bacino, cercando di strusciarsi contro la sua mano, alla
ricerca di quel piacere troppo a lungo negato.
-Cosa stai facendo, ragazzino?- Gli sussurrò all’
orecchio con voce calda e vellutata.
Keira spalancò gli occhi di colpo, con il respiro
corto, rendendosi conto solo allora del suo comportamento. Il suo viso
divenne paonazzo e poi di nuovo rosso, ma di imbarazzo, non di
eccitazione. Rimase immobile, incapace di reagire, finché Akragas non
riprese quello che aveva interrotto. Lo masturbò rudemente, questa
volta, mentre Keira cercava di piegarsi in due. Bastarono pochi colpi
per farlo venire. Un fiotto lungo e violento che gli ricadde sull’
addome. A quella vista Keira rimase sconvolto forse ancor più che per il
piacere intenso che lo aveva prodotto.
Akragas, senza esitazione, si abbassò sul suo ventre
a ripulirlo, leccandolo devotamente ed a lungo, cercando di fargli
rilassare i muscoli contratti.
-Va un po’ meglio, adesso?- Gli chiese quando gli fu
di nuovo accanto.
Forse per lui era stato troppo in una volta sola.
"Piccolo elfo ingenuo" Pensò Akragas liberandogli le
mani.
Keira cercò di spingerlo via, ma lui lo costrinse ad
accettare il suo abbraccio. Gli spinse un braccio sotto la nuca e lo
strinse al petto. Ora lo avrebbe lasciato dormire. L’ alba era vicina.
Quando Keira si risvegliò, l’ alba era sorta da un
pezzo ed il campo era vuoto. Sapeva che i suoi compagni erano di nuovo
in perlustrazione, ma non immaginava dove fosse andato l’ elfo scuro. La
tenda era vuota e dopo una breve esitazione decise di alzarsi. Cercò i
suoi abiti e si rivestì. Decise di uscire, aveva bisogno d’ aria, anche
se il fetore della palude non poteva definirsi esattamente così. Fuori
non c’ era nessuno, come aveva immaginato, solo un grande fuoco senza
legna dove stava un gran pentolone coperto da un telo cerato, collocato
in modo da pendere da un lato, dove poggiava su una canna di legno,
scavata, al cui interno scorrevano goccioline di acqua condensata. Il
lungo bastone correva in pendenza fino alla cisterna che lentamente si
riempiva. Mentre osservava incuriosito tutto questo, alle sue spalle
sentì giungere dei passi e si giro di scatto.
-Ti sei svegliato, finalmente!- Gli disse Akragas
appoggiando al terreno due pesanti secchi d’ acqua melmosa. -Bene, così
potrai darmi una mano. Vai a prendere due secchi e una pala piccola
nella tenda- Gli disse iniziando a scoprire il pentolone.
Keira, con il cuore che batteva a più non posso,
corse nella tenda, senza riuscire a proferire parola. Akragas l’ aveva
guardato solo per un attimo e lui aveva cominciato a tremare. Cominciò a
cercare i secchi e la pala, quando la luce aumentò nella tenda per un
istante, segno che qualcuno era entrato.
Si girò e vide Akragas avvicinarsi con qualcosa in
mano.
-Stenditi e metti questa sugli occhi, non voglio
vederli così rossi e gonfi.- Gli disse passandogli una pezza bagnata.
Alla fine, la sera prima era scoppiato a piangere ed aveva pianto fino
ad addormentarsi esausto e con la testa dolorante. Per tutto il tempo
Akragas lo aveva tenuto tra le braccia ed aveva la sensazione che avesse
continuato e tenerlo così fino al mattino. Ora stava tirando fuori gli
attrezzi e li metteva accanto al suo letto. -Portali fuori, dopo. E non
metterci tutta la giornata.-
Keira rispose di si con un cenno del capo mentre
sentiva i suoi passi allontanarsi.
Quando uscì trovò Akragas intento a togliere melma
bollente dal pentolone con un corto badile molto capiente. Appena lo
vide gli disse di sbrigarsi ad andare a dargli una mano e così in pochi
minuti finirono di ripulire il fondo del pentolone.
-Ora bisogna riempirlo di nuovo d’ acqua- Disse
versando il contenuto dei due secchi e ricoprendolo con il telo. -Prendi
i tuoi secchi ed andiamo a prenderne altra.- Disse cominciando ad
incamminarsi. Ad una decina di minuti di cammino da lì c’ era una polla
d’ acqua scura, con qualche segno di vita e molte alghe.
-E’ l’ acqua più pulita che ho trovato qui in torno,
per questo prendo questa. Senza acqua tu e i tuoi compagni finireste per
ammalarvi prima di quanto potreste scommettere. La faccio evaporare e la
condenso con quel telo in modo da depurarla il più possibile.- Spiegò
mentre era chinato a riempire i secchi. Keira fece altrettanto e lo
seguì di nuovo all’ accampamento. Per tutta la giornata non parlò più,
lavorando ininterrottamente: quando il pentolone era pieno d’ acqua
andava a cercare della legna da ardere perché gli elfi potessero
utilizzarla al loro ritorno, evidentemente non intendeva condividere con
loro quel fuoco senza legna con cui faceva bollire l’ acqua, poi
accudiva i cavalli, quando era il momento giusto svuotava il pentolone
dalla melma e tornava a riempirlo, senza fermarsi un attimo controllava
che le tende fossero solide... era instancabile. Keira dopo un po’ non
riuscì più a stargli dietro. Guardandolo lavorare così alacremente capì
perché era tanto apprezzato come guida.
-Pensi di farcela a stare dietro all’ acqua da solo?-
Gli chiese all’ improvviso.
-Si.- Balbettò con voce incerta il giovane elfo.
Senza aggiungere altro Akragas gli girò le spalle e
si allontanò tra i tronchi marci e scivolosi della palude.
Keira continuò ad occuparsi dell’ acqua fino al suo
ritorno, diverse ore più tardi. Akragas controllò il livello nella
cisterna e con un sorriso gli disse -Ottimo lavoro, continua così ancora
per un po’ e poi mettiamo via.- Era infangato fino ai fianchi, aveva
raccolto i capelli in una treccia, evidentemente per non sporcarli.
Prese un recipiente pulito e lo riempì d’acqua nella cisterna. La usò
per darsi una sommaria ripulita prima di entrare nella tenda, quindi ne
prese dell’ altra e la rovesciò dentro un secchio, cominciando a
scuotelro per pulirlo, quando fu soddisfatto, usò la stessa acqua per il
secondo secchio e quando anche quello fu abbastanza pulito ributtò l’
acqua nel pentolone. Riempì i due secchi nella cisterna e si diresse
verso la tenda. Keira immaginò che si sarebbe lavato, e, infatti, quando
uscì era pulito ed indossava degli abiti nuovi.
Si rimise al lavoro e poi disse a Keira di prendere
dell’ acqua ed andare a darsi una rinfrescata. Keira ubbidì di corsa,
sollevato di non dovergli stare vicino in quella veste, in cui non
riusciva a non ammirarlo. Quando tornò fuori tutto era sparito, la
cisterna era chiusa ed Akragas stava fumando un cilindro di erbe
puzzolenti arrotolate strettamente.
-Vuoi un tiro?- Gli chiese sentendo i suoi passi
avvicinarsi.
-No.- mormorò Keira che non sapeva neppure di cosa si
trattasse, non aveva l’ odore delle erbe che si sbriciolano per essere
fumate nella pipa. Akragas finì di fumare in silenzio e buttò il po’
d’erba bruciacchiata che gli era rimasta in mano a terra, pestandola con
lo stivale, proprio pochi minuti prima che arrivassero gli elfi,
esattamente dal lato dove lui guardava.
Keira si soffermò a guardarlo: indossava degli
stivali alti fino a metà coscia, finemente intarsiati con delle
sottilissime strisce di pelle rossa che appena si vedevano sul campo
nero, a formare elaborati ricami, pantaloni di pelle nera aderentissimi
con una alta cintura borchiata a cui era agganciato il fodero della
spada ed una camicia di pelle morbida ed attillata, anch’ essa nera, con
un’ ampia scollatura sul petto, che teneva in parte coperta con un
fazzoletto lucido legato in torno al collo. I capelli bianchi propri
della sua razza gli ricadevano morbidi sulla schiena, nel complesso dava
l’ impressione di una tranquilla notte d’ inverno, ovattata dalla neve.
Il contrasto con i suoi compagni che tornavano
stanchi e sporchi all’ accampamento era enorme, sembrava un dio in mezzo
a degli squallidi mortali, sempre forte, pulito e profumato, per via
degli oli con cui si cospargeva il corpo ogni giorno. Keira pensava che
fosse una pratica da donne, ed era rimasto stupito nel vedere quanta
cura Akragas avesse del suo corpo, a questo pensiero arrossì, ricordando
l’aroma della sua pelle morbida, tanto che preferì ritornare nella
tenda, anziché aspettare i suoi compagni. Sentì Akragas parlare con il
comandante, ma non rimase ad ascoltare, sapeva che lo attendeva un’
altra notte con quell’ uomo e non riusciva a trovare una via di fuga.
Akragas rientrò quasi un’ ora più tardi, si mise al
tavolo, dove erano appoggiati dei fogli e scrisse per una buona
mezz’ora. Infine li riordinò e li depose in una scatola collocata sotto
il suo letto.
-Hai fame?- Gli chiese senza guardarlo.
-Si- Si accorse Keira, che non aveva pensato alla
cena.
Akragas tirò fuori da un sacco appeso ad una delle
aste della tenda della carne secca e gliela offrì. Mangiarono in
silenzio, seduti sui loro letti, uno di fronte all’ altro. Quando ebbe
finito di mangiare Akragas cominciò a fissarlo e dopo un po’ si decise a
parlare.
-Sei stato bravo oggi, hai lavorato bene. Immagino
che adesso sarai stanco.-
Keira si limitò ad annuire, tenendo la testa bassa.
-Sarà meglio dormire, adesso.- Akragas si sdraiò sul
letto, dandogli le spalle.
Per qualche minuto Keira rimase sorpreso ad
osservarlo, sdraiato sopra le coperte, con le braccia strette al corpo
come se avesse freddo, non si era nemmeno tolto gli stivali.
Keira decise di mettersi a letto, ma quella notte gli
portò solo incubi, tanto che si svegliò più di una volta. Ad un certo
punto guardò verso il letto di Akragas, rimase allibito nel vedere che
lui non c’ era. Si alzò a sedere e si guardò in torno senza trovarlo,
decise di alzarsi e lo trovò nel retro della tenda, sul grande tappeto
riccio. Era lì, addormentato come un bambino, con le labbra socchiuse,
adagiato su un fianco, con i capelli scomposti, le gambe piegate e le
braccia protese in avanti, come ad abbracciare qualcuno.
Tornò a letto con una strana oppressione sul cuore,
vedendolo così non riusciva proprio ad odiarlo, anzi, doveva ammettere
che non riusciva ad odiarlo completamente nemmeno quando lo costringeva
a fare quelle cose.
L’ alba arrivò in fretta, ed Akragas era già in piedi
quando si svegliò.
-Buon giorno!- Lo salutò con un sorriso, e senza
nemmeno dargli il tempo di rispondere cominciò ad impartirgli gli ordini
per la giornata. Gli disse che visto che aveva imparato ad occuparsi
dell’ acqua avrebbe dovuto farlo lui, che da solo ci avrebbe impiegato
quasi tutto il giorno. Attese che gli elfi si allontanassero dal campo e
preparò il fuoco magico e tutto il resto. Ancora Keira rimase sorpreso
dalla velocità con cui lavorava. Quando ebbe ultimato i preparativi gli
augurò buon lavoro e lo lasciò senza aggiungere altro, dirigendosi nel
folto della palude.
Keira lavorò tutto il giorno, e verso sera vide
tornare Akragas, come il giorno precedente, poco prima del ritorno degli
altri. Era infangato allo stesso modo ed eseguì le stesse cose che aveva
fatto il giorno prima, con la stessa modalità, come se fosse un’
abitudine.
Quando gli altri tornarono andò nuovamente dal
comandante e parlarono un po’, poi si occupò di un paio di elfi che si
erano procurati delle piccole ferite. Li medicò e somministrò loro dei
medicinali che teneva nella tenda. Questa volta accese un piccolo fuoco
davanti alla tenda e mangiarono davanti ad esso, sempre separati dagli
altri. Quando ebbero finito Akragas afferrò Keira per un braccio e lo
trascinò nella tenda quasi di peso. Alla sorpresa dell’ elfo Akragas
rispose sorridendo che non doveva perdere le buone abitudini. Keira aprì
la bocca per dire qualcosa, ma non fece in tempo perché l’ altro si
avvinghiò a lui e gli infilò la lingua in bocca, baciandolo
appassionatamente. Keira si dibatté, con rinnovata forza dopo la notte
precedente, riuscì a divincolarsi ed a spingerlo via.
-Non sono il tuo giocattolo!- Gli ringhiò contro con
una violenza inaudita. -Ti diverti tanto a farmi del male per sfogare i
tuoi istinti perversi?!-
L’ espressione di Akragas passò dallo stupore alla
rabbia. Gli sferrò un pugno dritto in faccia che fece perdere l’
equilibrio all’ elfo e lo fece cadere a terra.
-Giocattolo? Tu non sai neppure cosa sia un
giocattolo!- Gli urlò con una faccia sconvolta dall’ ira. Keira pensò
che l’ avrebbe ucciso.
-Non ti ho mai fatto del male! Ti ho fatto divertire
e basta! Vuoi che sfoghi i miei istinti su di te piccolo elfo stupido?-
Ansimava, sembrava una creatura infernale, con le pupille ridotte a due
minuscoli puntini persi nell’ iride rossa e con la chioma leonina
arruffata. Akragas lo afferrò per i capelli e lo trascinò nel retro
della tenda, buttandolo a terra ed assestandogli un calcio nello stomaco
che lo fece piegare in due. Approfittò del momento per strappargli gli
abiti di dosso, riducendoli a brandelli e per legargli le mani dietro la
schiena. Adesso Keira aveva paura. Akragas prese un oggetto da una
cassa, era un cilindro scuro di un paio di centimetri di larghezza,
scanalato al centro. Lo fece mettere in ginocchio e gli forzò i denti
per inserirgli quell’ affare in bocca, costringendolo a tenerla aperta.
I denti si incastravano perfettamente nella scanalatura. Davanti a lui
si tolse la cintura e si aprì i pantaloni. Subito ne sbucò il sesso
ritto e duro, Keira trasalì, era all’altezza della sua faccia. Sentì l’
odore pungente, mentre Akragas lo afferrava di nuovo per i capelli e gli
spingeva il cazzo il bocca, soffocandogli un grido in gola. S’infilò
perfettamente nel cilindretto che aveva in bocca e che non gli
permetteva di morderlo. Sentì il suo sapore invadergli la bocca, era
grosso da non permettergli nemmeno di muovere la lingua, cominciò a
singhiozzare mentre sentiva lo stomaco torcersi violentemente. Akragas
cominciò a muoversi, scopando la sua bocca fino a venirci dentro. Quando
sentì il fiotto colpirgli la gola Keira cominciò a tossire. Akragas si
ritrasse e gli tolse il cilindretto dalla bocca appena prima che
vomitasse, tremante e col viso coperto di lacrime. Quando ebbe finito,
l’ elfo scuro gli immerse la testa in una bacinella d’ acqua per qualche
secondo, per ripulirlo.
-Non è stato affatto carino, io ho sempre ingoiato il
tuo sperma senza tante storie!-
Ironizzo spingendolo a pancia in giù sul tappeto.
-Non ho ancora finito con te!- Gli sibilò alle spalle alzandolo un po’
con un braccio sotto i fianchi. Allora Keira sentì un dolore acuto e
bruciante che gli tolse il fiato. Capì immediatamente e a nulla valsero
i suoi sforzi di sfuggire, il dolore continuava senza sosta, mentre il
suo aguzzino si muoveva velocemente nel suo sedere, slabbrandolo e
ferendolo ad ogni colpo. Pensava che sarebbe impazzito se avesse
continuato. Lo sentì premersi contro la sua schiena e grugnire come un
animale. Era venuto. Ansimando si allontanò da lui e dopo qualche minuto
gli slegò le mani. Keira non riusciva a muoversi, ancora sotto schok.
Akragas lo abbracciò dolcemente, attirandolo a se,
allora Keira scoppiò a piangere e singhiozzare violentemente.
-Perdonami.- Cominciò a dirgli piano Akragas, che a
forza di sentire il pianto disperato di quel ragazzino stava cominciando
ad avere un nodo in gola ed a sentirsi terribilmente in colpa. -Ti
prego, Keira! Non lo farò mai più, te lo giuro! Non volevo farti male,
volevo solo che capissi la differenza!-
Keira spinse via il suo braccio, ma Akragas tornò ad
abbracciarlo ancora più stretto, continuando a chiedergli di perdonarlo.
-D’ ora in poi fa il bravo e vedrai che non accadrà
più niente!- La sua voce aveva assunto un tono di supplica. Non capiva
bene perché, ma sentiva il bisogno di rincuorarlo e di sapere che lui lo
perdonava. Si era comportato allo stesso modo decine di volte, con
fanciulle e fanciulli che gli venivano dati in pagamento ad ogni
incarico, e non gliene era mai importato nulla, ci aveva giocato finché
non se ne era stancato e ne aveva dimenticato anche i volti, ma questa
volta era diverso. Dentro di sè sentiva che voleva proteggerlo, che
avrebbe continuato per tutta la vita, se gli avesse concesso di
continuare a vedere il suo musetto di elfo.
Nessuno dei due riuscì a dormire, stretti in silenzio
per tutta la notte, all’ alba Akragas lo baciò delicatamente sui capelli
e con un filo di voce gli disse di restare pure a letto, se voleva. Lo
lasciò raggomitolato su se stesso, e tornò subito con una coperta che
gli stese sopra. Rimase un momento ad osservarlo, come se volesse dirgli
qualcosa, ma andò via senza dire nulla. Per qualche minuto ancora Keira
sentì muoversi nella tenda, immaginò che Akragas stesse pulendo dove
aveva vomitato, la sera prima.
Dopo una rapida colazione, gli elfi si misero in
movimento come di consueto, ed anche l’ elfo scuro si dedicò al suo
compito. Impiegò meno tempo del solito, forse perché aveva ancora molta
tensione da scaricare, saltò anche il suo frugale pranzo: gli sembrava
di avere una pietra nello stomaco e non sarebbe riuscito a mandare giù
nianche un solo boccone. Prima di lasciare il campo, però, decise di
tornare a vedere come stava Keira. Lo trovò addormentato, nella stessa
posizione in cui lo aveva lasciato. Gli accarezzò il viso e gli ravviò
piano i capelli scomposti con le dita, gli rimboccò la coperta e si
allontanò silenziosamente come era venuto. Se avesse potuto pregare lo
avrebbe fatto, ma non credeva negli dei, sperava solo che il ragazzo si
riprendesse in fretta.
Come faceva ogni giorno, si diresse alla ricerca di
una eventuale pista, di una traccia del percorso che potevano aver fatto
i ladri, troppi anni prima perché fosse davvero possibile, ma credeva di
avere trovato qualcosa di interessante. Due giorni prima l’ aveva detto
al comandante degli elfi, ma lui aveva i suoi sistemi e preferiva
battere sistematicamente tutta la palude. Forse non si rendeva conto che
sarebbero serviti mesi e che le scorte di cibo a loro disposizione non
erano inesauribili, ma tutto sommato non gli dispiaceva: anche lui aveva
i suoi sistemi, e non gli piaceva avere gente tra i piedi quanto li
utilizzava.
Aveva trovato dei segni che avevano tutta l’ aria di
incisioni su alcuni tronchi di alberi morti e meno marci degli altri,
forse la palude si era espansa in quella direzione in un secondo momento
e forse vi era un sentiero che passava di lì, prima.
In ogni caso era l’ unica traccia del passaggio di
esseri umani che aveva trovato, quindi aveva concentrato lì le sue
ricerche.
Nel tardo pomeriggio Keira si svegliò, era ancora
indolenzito e al primo barlume di ricordo che si affiorò alla sua mente
sentì le lacrime salirgli di nuovo agli occhi. Mai avrebbe immaginato di
subire una simile violenza nella sua vita, e quell’ uomo che aveva
abusato di lui la notte prima non gli sembrava assolutamente l’ eroe
mercenario che aveva tanto sospirato di conoscere solo pochi giorni
prima. Come gli sembravano lontani, adesso, quei giorni, e la sua
casetta al limitare del bosco, dove era cresciuto con i suoi genitori,
due modesti agricoltori che non erano quasi mai usciti dal loro
villaggio. Come era diversa la vita, lontano da loro. "Mamma" mormorò
asciugando una lacrima che non era riuscito a trattenere. Si alzò e si
rivestì alla meno peggio per prendere dell’ acqua con cui lavarsi. Fuori
era tutto deserto, immerse un secchio nella cisterna e rientrò nella
tenda. Quando si rispogliò fu costretto a guardare il livido viola sul
suo ventre, immaginò di avere un segno simile anche sul viso, la
mascella gli doleva ancora.
Si lavò lentamente, notando qualche traccia di sangue
ormai rappreso che giustificava il dolore che non gli permetteva di
sedersi. Gli facevano male anche i polsi, Akragas non lo aveva mai
legato così strettamente, prima. Si asciugò in fretta e si rivestì,
accorgendosi che entro breve sarebbe tornato Akragas. Avrebbe voluto
nascondersi, ma sapeva di non poterlo fare, avrebbe dovuto abbandonare i
suoi compagni ed il capitano, che gli aveva detto che doveva ubbidire
alla loro guida, ma anche ammesso che potesse cavalcare, in quelle
condizioni, non avrebbe avuto la minima possibilità di trovare la via d’
uscita in quella palude. Era immerso in queste riflessioni quando
Akragas ritornò. Il cuore gli batteva forte nel petto, di paura e di
rabbia. La sua mente continuava a dirgli di scappare, ma il suo corpo
era pietrificato, in piedi, al centro della tenda, come se lo
attendesse. Akragas lo fissò con un’ espressione che esprimeva ansia e
sollievo allo stesso tempo, appoggiò i secchi d’ acqua che aveva preso
per lavarsi, e a passi malfermi gli andò vicino, lo abbracciò
stringendolo forte al petto.
-Ti sei svegliato...- Gli disse, come se non fossero
quelle le parole che voleva dire.
-Perdonami.- Gli ripeté ancora, guardandolo negli
occhi.
Guardando quegli occhi rossi annebbiati, Keira sentì
svanire tutta la rabbia e la paura, piegò appena la testa in avanti, e
vide il viso dell’ altro rischiararsi. Senza sapere perché, sentiva che
non era cattivo, era solo un elfo scuro, anche se aveva una vita
completamente diversa da quelli della sua razza.
-Ti fa male?- Gli chiese dopo un po’ che lo fissava.
Keira accennò un "no".
-Fammi dare un’ occhiata.- Di nuovo accennò di no.
-Usa questo.- Gli disse allora andando a prendere una
boccetta con una pomata maleodorante. -Anche per il calcio. E il pugno.
Fa miracoli, credimi.-
Keira accettò, sempre in silenzio ed andò al suo
letto. Dalle smorfie che faceva nel sedersi Akragas ebbe la conferma che
gli aveva mentito. Andò a riprendere i secchi e si lavò in silenzio.
Al termine delle operazioni uscì ad attendere il
ritorno degli altri. Accese un piccolo fuoco e ci mise a scaldare del
cibo che teneva nella tenda. Guardò con cipiglio il contenuto del baule
da cui aveva tolto il cibo e poi si allontanò di nuovo in direzione del
comandante. Parlarono animatamente per un po’, poi si diressero alla
tenda del comandante. Quando ne riemersero Akragas non tradiva alcun
sentimento sul viso scuro, il comandante, invece, aveva l’ aria
piuttosto preoccupata.
Keira si affacciò alla tenda, ma, appena scorse i
suoi compagni, non se la sentì di uscire. Guardò per un istante la
schiena di Akragas, con i capelli ancora umidi che scendevano
accuratamente annodati e si sentì avvampare con una stretta al petto.
Decise di rientrare, ma poco dopo l’ elfo scuro lo raggiunse con una
ciotola di metallo con dentro la cena. Mangiarono seduti sui letti, di
nuovo uno di fronte all’ altro. Keira fece uno sforzo per non alzare la
testa e guardare di fronte a sè. Aveva voglia di piangere, e la cosa
strana era che aveva voglia di essere consolato da quell’ uomo. Si
sentiva profondamente confuso, e si accorse del tremolio delle sue mani
solo quando Akragas lo fermò togliendogli la ciotola quasi vuota. Non
poteva immaginare cosa si potesse vedere nei suoi occhi, lui li sentiva
solo bruciare, ma Akragas gli si sedette accanto e lo abbracciò
dolcemente. Con impeto si premette contro di lui e le braccia di quello
gli si serrarono intorno con fare protettivo, dopo un po’ sentì i
familiari baci sul bordo del suo orecchio, ma questa volta non gli diede
fastidio, erano lenti, appena accennati, ed ebbero il potere di calmare
i suoi singhiozzi. Quando si fu calmato si scostò e l’ abbraccio si
sciolse senza accennare minimamente a trattenerlo. Akragas gli si
avvicinò di nuovo per baciarlo, Keira fece per scostarsi, allora l’altro
gli ricordò che doveva assecondarlo, e premette delicatamente le labbra
sulle sue. Quella velata minaccia fece tornare le lacrime agli occhi del
ragazzo, ma più si prolungava il bacio e più la sua angoscia scompariva
in uno stato d’ incoscienza. Una parte della sua mente si accorse
vagamente del peso del corpo di Akragas sul suo, e che le sue mani
scivolavano sul suo corpo dopo averlo messo a nudo, l’ indomani, di
quella notte, ricordò solo la sensazione gradevole dei capelli freschi e
setosi dell’ altro che gli ricadevano sulle spalle.
Per due giorni Keira si rifiutò di mettere il naso
fuori dalla tenda, almeno in presenza d’ altri. Akragas, due giorni
prima era uscito in perlustrazione da solo, come sempre, non prima di
averlo baciato sull’ ingresso della tenda, Keira si era ritirato
sconvolto dal timore che qualcuno potesse averli visti, ma naturalmente
non era possibile, poiché il campo era vuoto. Poi alla sera non era
tornato. Il comandante era entrato nella tenda e gli aveva chiesto dove
fosse la guida. Keira rispose che non lo sapeva. Aveva cercato di darsi
un contegno, ma sapeva benissimo di non esserci riuscito. Aspettò
sveglio per tutta la notte, ma Akragas non fece ritorno. Varie volte
aveva subito l’ assalto della disperazione ed aveva ceduto alle lacrime
per qualche momento, solo per asciugarsi gli occhi dicendosi che doveva
reagire, per ricominciare tutto pochi minuti dopo. All’ alba attendeva
all’ ingresso della tenda, colmo d’ angoscia, ma alle prime luci del
mattino, quando sentì i primi movimenti nelle altre tende, tornò a
nascondersi. Quando fu sicuro che il campo fosse vuoto ricominciò l’
attesa. Non aveva mangiato nulla, e si diceva che avrebbe dovuto
occuparsi di procurare l’acqua ai suoi compagni, ma si guardò in torno
disorientato, dicendosi che da solo non ci sarebbe riuscito. Alla fine
improvvisò un piccolo fuoco e cercò gli attrezzi che usava Akragas: il
pentolone, il telo e il lungo legno. Dopo un po’ trovò tutto il
necessario, ma alla sera aveva riempito la cisterna solo a metà, il
fuoco si era spento e lui aveva ricominciato a piangere. Il cielo si
stava rannuvolando ed in lontananza si vedevano lampi squarciare le nubi
scure. Scivolando nel sonno, seduto all’ ingresso della tenda, pensò che
sarebbe piovuto, quella notte.
Molte ore più tardi fu svegliato di soprassalto,
scosso per le spalle da Akragas. Negli occhi si rifletteva tutta la sua
urgenza, alla luce di un lampo vide che era coperto di fango dalla testa
ai piedi, diluviava, il rombo di un tuono sovrastò le sue parole, ma dal
suo gesticolare concitato capì che si doveva svegliare in fretta e
rimettere in piedi. I cavalli nitrivano e scalciavano, Akragas corse
verso le altre tende, svegliando gli elfi. Dagli schizzi che si
sollevavano intorno ai suoi stivali Keira capì che il livello dell’
acqua si era pericolosamente alzato. Istintivamente corse verso i
cavalli, cercando di trattenerli. A gesti più che a parole, per il
grande rumore, Akragas indicò a tutti di prendere il minimo
indispensabile e di dirigersi nella direzione in cui soffiava il vento.
Un rumore sordo ed indistinto si faceva sempre più vicino. In breve
tutti furono fuori dalle tende, Akragas era tornato nella tenda e ne era
corso fuori subito dopo, teneva in mano una coperta. Fece cenno di
seguirlo, assicurandosi che ci fossero tutti, corsero nella direzione da
lui indicata, intanto il rumore era sempre più forte. Akragas si fece
vicino a Keira e gli buttò la coperta sulla testa, l’aspetto smunto e le
occhiaie del ragazzo erano già abbastanza brutte senza che si inzuppasse
oltre. Prendendo le corde che tenevano i cavalli che scalciavano e
nitrivano sempre più nervosi, gli passò in mano un piccolo oggetto
dicendogli qualcosa che non capì, coperto dal fragore di un tuono.
Akragas tirò i cavalli e condusse gli altri verso una
collina. Tutti erano fradici fino alle ossa, ormai, ed inebetiti dal
frastuono e dall’ improvviso risveglio nella notte. Gli occhi ed i
capelli di Akragas, nella notte illuminata solo dai lampi che lo
facevano sembrare uno spettro.
Appena raggiunta la collina spazzata dal vento,
Akragas affidò nuovamente i cavalli alle cure degli elfi, in tre si
fecero avanti a prenderli, e poi altri li seguirono. Akragas si lanciò
di corsa giù per il fianco della collina, Keira lo vide ruzzolare per
alcuni metri nel terreno reso franoso dall’ acqua e mentre lo vedeva
sparire in direzione del campo sentì uno dei suoi compagni dire che
quello era il rumore di una frana. Con orrore si rese conto che avevano
piantato le tende in un avvallamento fra delle colline spoglie che si
erano tramutate in una valanga di fango. Cadde sulle ginocchia, sentendo
la gola diventare improvvisamente secca, si strinse la coperta intorno,
fissando con occhi sbarrati il punto in cui Akragas era scomparso.
La pioggia continuò ininterrottamente per tutta la
notte, il rumore della frana era finito da molte ore, l’ alba si faceva
attendere, ostacolata dalle nubi che sembrava non si assottigliassero
mai. Gli elfi si erano seduti sulla collina, stretti nel tentativo di
scaldarsi e con i cavalli che si erano calmati con la fine della frana
che li proteggevano dalle raffiche di vento. Quando un raggio di sole
riuscì a farsi strada tra le nubi che finalmente si diradavano Keira
abbassò lo sguardo sulla mano che teneva ancora l’ oggetto datogli la
notte prima. Trattenne il fiato: era la pietra del potere. Poteva essere
solo quella, i riflessi arancioni della pietra semi trasparente,
perfettamente ovale, incastonata in un cerchio d’oro con lo stemma della
famiglia reale che ancora si intravedeva sotto il fango, nonostante la
corrosione dovuta al tempo. Sbatté le palpebre alcune volte per cercare
di capacitarsene. La pietra era nelle sue mani, l’ aveva trovata Akragas,
e l’ aveva data a lui la notte prima. Con la bocca aperta ed ancora
incredulo tornò a guardare il vicino orizzonte. Si alzò di scatto,
dentro quel flebile raggio di luce camminava Akragas. Risaliva la
collina con passo lento, coperto di fango e di pioggia. Senza pensarci
nemmeno un attimo Keira si lanciò di corsa verso di lui, la coperta era
caduta a terra e gli sembrò che il respiro gli si fosse fermato finché
non abbracciò la guida, singhiozzando e stringendosi a lui con tutta la
forza che aveva. Akragas ricambiava il suo abbraccio, incurante degli
sguardi che si posavano su di loro e chiudendo gli occhi per la prima
volta dopo molte ore di veglia.
Continua.......