Per Ria, che ha approfittato di qualche mia battuta di troppo sulle mie visite dal dentista per esigere un piccolo raccontino sul tema; per Nausicaa e Calipso, per la loro simpatia e per l’appoggio che sempre mi danno.

Buona lettura.

 

 


L'Uomo dal Trapano d'Oro

di Greta

 

Come al solito spacco il minuto. 

Una cosa che odio è il ritardo, sia mio che delle persone con le quali stabilisco un appuntamento, ma se sono loro a farsi attendere, mi rimane almeno la soddisfazione di poter palesare, seppure non troppo apertamente, tutto il mio biasimo per tale mancanza di educazione.

Stranamente, considerando che è venerdì pomeriggio, che siamo sotto Natale e che tutti sembrano impazziti, ho trovato parcheggio proprio sotto lo studio, e così eccomi, impeccabile e inappuntabile, a suonare il campanello e ad aspettare che l’elegante portone di legno scuro si apra.

"Buonasera… lei deve essere Lombardi, Luca Lombardi…" mi dice la ragazza, un po’ incerta ma comunque sorridente.

Io annuisco, mostrando l’intera dentatura nello strano desiderio di tranquillizzarla.

Lei arrossisce leggermente, poi farfuglia:

"E’ il mio primo giorno, ancora non conosco tutti i clienti…"

Me lo aspettavo.

Mi fa accomodare nell’elegante sala d’aspetto, nella quale ci sono già una giovane donna nascosta in un severo tailleur, evidentemente venuta direttamente dall’ufficio, e un uomo con il naso infilato nelle pagine rosa di quello che avevo scambiato per la Gazzetta dello Sport, ma che si rivela essere il Sole24Ore.

"Il dottor Seldon la riceverà subito…" continua la ragazza, offrendomi contemporaneamente uno dei giornali appoggiati sul tavolino basso.

Io annuisco, ma non accetto la rivista. Invece faccio vagare lo sguardo sulle pareti dipinte di un giallino chiaro e coperte di quadri di cavalli e stampe delle mostre più recenti. Poi il mio sguardo viene catturato da quei manifesti che sembrano non poter mancare in nessuno studio di questo tipo: enormi primi piani di dentature, con quei prima e dopo che fanno sempre sorgere lo strano pensiero di appartenere alla categoria senza speranza del prima che non diventerà mai dopo, e poi le lunghe liste di consigli per mantenersi sani e felici, diventando i primi finanziatori della casa al mare, montagna o campagna del medico di turno.

Sollevo il sopracciglio di fronte ad una gengiva sanguinante… ritengo che queste siano immagini terroristiche, alla stessa stregua delle frasi profetiche stampate sui pacchetti delle sigarette. Ma è inutile, se facessi questo commento ad alta voce la giovane fanciulla rimarrebbe sconvolta, e riuscirebbe solo a rispondere con il sorriso incerto che si rivolge alle esternazioni dei levati di cervello.

Pochi minuti dopo, quando ormai ho potuto controllare lo stato di tutte le piante che rallegrano la stanza e sono giunto alla conclusione che il divano di pelle deve essere costato più della mia intera cucina, una delle porte si apre, rivelando una specie di mongolfiera vestita di azzurro che si profonde in ringraziamenti verso il salvatore delle sue protesi. Mi accorgo di continuare a fissare quel volto da luna piena senza riuscire a staccare gli occhi. Fortunatamente, però, mi riprendo appena prima di sembrare un assoluto maleducato… ho capito, il problema è quella bocca completamente storta, quel parlare strascicato non riconducibile ad una sana paresi, ma solo ad una dose equina di anestetico.

Mentre la nave ammiraglia veleggia felice, libretto degli assegni alla mano, verso il banco di rovere dietro il quale si scorge la faccia spaurita della segretaria, dalla porta aperta della stanza delle torture si sentono provenire strani rumori, e improvvisamente quel suono di metallo che raschia contro una superficie dura che fa accapponare la pelle. Come tutti, l’idea del cerusico con le tenaglie in mano atterrisce anche me.

Mentre il donnone continua a biascicare il resoconto dell’intervento appena subito, la giovane neoassunta risponde al telefono che ha appena intonato, con un geniale tocco di sadismo, una versione midi della Cavalcata delle Valchirie.

Poco dopo la voce imbarazzata, e di conseguenza quasi gracchiante, della ragazza mi si rivolge:

"Signor Lombardi… il dottor Seldon la aspetta".

E così mi preparo a coprire il miglio verde che mi separa dalla caverna del ciclope.

Potrei perdermi in particolari e descrivervi la stanza, gli attestati appesi alle pareti, il piccolo lavandino intonso, la libreria carica di libri, la finestra su una delle vie più ambite di Roma, ma sarebbe tempo perso, queste cose hanno solo distrattamente sfiorato la mia cornea… già, tutta la mia attenzione è infatti catalizzata dall’enorme sedia disposta quasi al centro della stanza, sul braccio bianco che termina in un vassoio carico di lucidi strumenti appuntiti, sulla luce già accesa e che presto mi verrà sparata dritta negli occhi, in un terzo grado di cui sento di non aver bisogno. E poi c’è LUI… ebbene sì, sono pronto a rivelare tutti i miei segreti più nascosti, a dichiarare qualsiasi falso, e rinnegare qualsiasi fede, ma per favore il trapano NO!!

Quasi sobbalzo quando sento quella voce dalla leggera intonazione straniera investirmi da dietro le spalle, più vicina di quanto mi aspettassi:

"Bene, bene, è arrivato il suo turno, allora…"

Annuisco, continuando a guardare il bicchiere colmo di acqua colorata di rosa. Quanto vorrei che adesso mi rivelasse che i miei denti sono perfetti, che devo lavarli dopo aver mangiato, che la prova mela mi vedrà sempre vincitore, e che poi mi desse una amichevole pacca sulla spalla, indicando le persone ancora nella sala d’aspetto, dicendo: "Quanto vorrei che anche gli altri miei pazienti fossero come lei"!

Eppure queste parole non arrivano, anzi, vedo il braccio del dottor Seldon farmi segno di accomodarmi sullo scranno delle torture. Avanzo lentamente, occhieggiando la porta e considerando la possibilità di darmi alla fuga e non mettere mai più piede in questo posto.

Ma non posso fuggire, la parte razionale, piccola ma esistente, del mio cervello mi dice di non fare il bambino, non sarà che un’ora; ho visto sull’agenda degli appuntamenti che il prossimo è alle 19.00, adesso sono le 18.03, solo 57 piccolissimi minuti.

Deglutisco a fatica e mi infilo sul seggiolone, appoggiando la nuca sul poggiatesta e abbandonandomi con gli occhi chiusi… NO! Meglio guardare in faccia il nemico… in faccia? Il mio sguardo è catturato dalle mani… si sta infilando i guanti da chirurgo, flettendo le dita per calzarli al meglio, in un movimento che ha qualcosa di ipnotico e terrorizzante, poi nasconde il viso dietro la mascherina bianca, e visibili rimangono solo i suoi occhi grigi, stranamente divertiti.

"Apra la bocca" mi ingiunge, e posso sentire il sorriso in quella voce.

Lo faccio, rassicurato dal lavaggio accurato fatto appena prima di venire e dalle venticinque gomme alla menta che mi sono masticato nel traffico cittadino.

Mi infila lo specchietto tondo fino in gola, chinandosi su di me. Ecco, ora mi dirà che la mia carie è sparita, ritirata, fuggita con l’amante…

"Aaaahhh!! Eccola qui…" mormora lui, continuando a scrutare senza pudore nell’intimo del mio cavo orale.

"Bene, bene, abbiamo questa piccola presenza inopportuna… non ci dà fastidio, ma ce ne darà, se non interveniamo" mi dice, rimettendosi dritto e appropriandosi di malattie non sue, come tutti i medici, usando con disinvoltura il plurale.

"Aveva detto che era piccola…" provo a mormorare. Meglio sminuire la cosa, forse lui si renderà conto che non è necessario intervenire, tutto sommato potrebbe essere anche decorativa.

Scuote la testa, impossessandosi contemporaneamente di un attrezzo che finisce con un piccolo ago. Deglutisco a vuoto: pur non avendo l’aspetto di una vera e propria siringa, questo è. E quell’ago si avvicina inesorabile alla mia bocca.

"Apra, facciamo un po’ di anestesia" mi spiega, chinandosi nuovamente.

"E’ necessario?" chiedo, gli occhi fissi sull’ago in avvicinamento a ore dodici.

"Preferisce fare senza? Dovrebbe sapere che è molto più doloroso…"

Non so perché, ma la cosa mi fa leggermente arrossire, comunque trovo il coraggio di reagire:

"Non pensavo fosse indispensabile…"

"Non lo è, dipende dalla sua soglia di sopportazione del dolore. Lei sopporta bene… il dolore?" mi replica, continuando ad agitare la mano guantata davanti ai miei occhi.

Vorrei raccontargli di quando persi una scommessa, al liceo, e fui obbligato a farmi la ceretta su un ginocchio, e di come non avessi lanciato neanche mezzo commento, nonostante le lacrime che mi uscivano dagli occhi, ma non vorrei che male interpretasse questa mia esperienza passata.

"Spari" gli dico, chiudendo gli occhi e aprendo la bocca. Già, come quando si deve prendere una medicina amara, un boccone succulento, un bacio… ok, meglio non pensare ai baci, in questo momento.

"Stia fermo, non sarà che un attimo".

Annuisco debolmente, poi sento che mi spruzza qualcosa delle gengive, e subito dopo avverto una leggera puntura. Devono essercene altre, ma la cosa bellissima è che non sento niente.

"Visto? Non è stato così drammatico…" mi sussurra, arrivandomi a pochi centimetri dal naso.

La sua voce mi culla, eppure, non appena afferra di nuovo lo specchietto, non posso che tornare a irrigidirmi.

"Si rilassi, non si accorgerà di nulla" mi promette. Promesse da marinaio, quante volte ho già sentito queste parole? Beh… oddio, ultimamente se mi dovessero essere rivolte in momenti topici non le prenderei molto bene, ok non sentire dolore, ma in certi frangenti non sentire nulla non mi sembrerebbe una prospettiva tanto incoraggiante…

Mentre continua la sua indagine, mi accorgo che il suo fianco spinge contro il mio braccio, ed è strano sentire il suo calore in questo momento di dolore. Mi chiede di voltare la testa, in modo che possa vedere meglio, e io mi ritrovo con la fronte affondata nel suo camice immacolato… ha un buon profumo, un profumo che conosco bene, che spesso capita anche a me di ritrovarmi sui vestiti.

"Bene, adesso cominciamo a pulire" mi annuncia, come se stessimo per cimentarci nel cartellone di gruppo dell’asilo.

Grugnisco, non posso fare altro con la bocca spalancata e metà gengiva insensibile a qualsiasi sollecitazione.

Ed eccolo, eccolo il mio incubo…

"Paura?" mi chiede, brandendo il trapano come se fosse un mitra pronto a lasciar partire una scarica verso l’alto.

Non riesco neanche a scuotere la testa, ci sono solo i miei occhi, improvvisamente enormi da ipertiroideo, che parlano per me.

Lui si china sul mio viso:

"Pensavo che fosse più entusiasta delle mie cure…" e con un movimento improvviso mi ritrovo con il seggiolone ribaltato all’indietro, i piedi in aria e lo schienale praticamente orizzontale. Avesse la mia macchina sedili come questi…

"Comodo? Non sono fantastiche, queste poltrone?"

Da qualche parte ho letto che Whitney Houston usa una poltrona da dentista quando si sottopone al lungo lavoro di restauro della sua schiera di truccatori, beh… deve essere deficiente, io non voglio più vedere una sedia come questa. E poi mi sento troppo esposto.

"Ha molte posizioni, non credo di averle sperimentate tutte…" continua lui, e io scorgo di nuovo un bagliore di divertimento in quegli occhi attenti. Per un momento mi distraggo, pensando che la mascherina gli nasconde mezzo viso, e che invece io vorrei vederlo tutto. Mi sembrerebbe più umano, però riesco a vedere i capelli castano chiaro che gli ricadono sulla fronte. No, non assomiglia a Lawrence Olivier, nel Maratoneta, ma l’immagine del dentista sadico ed ex nazista che tortura il povero Dustin Hoffman non riesce a cancellarsi dalla mia mente.

E poi quel rumore… perché questi attrezzi devono fare rumore?

"Apra di più" mi sussurra, chinandosi di nuovo. Mi ritrovo affondato nel suo petto, e penso che tutto sommato la situazione ha i suoi lati positivi. L’altro socio dello studio peserà trecento chili, e se fosse stato lui a fare l’intervento, in questo momento mi ritroverei affondato in un oceano di adipe gelatinoso.

Dopo aver armeggiato per qualche minuto con quello strumento, che fa il simpatico rumore di un gesso che graffia una lavagna, facendomi accapponare la pelle, si allontana di nuovo, indicandomi il bicchiere pieno dell’acqua rosa per sciacquarmi la bocca. Inavvertitamente la mia mano sfiora la sua gamba, e io mi volto di scatto, come per vedere la sua reazione, ma sembra che lui non ci abbia nemmeno fatto caso. Sputacchio l’acqua nel piccolo raccoglitore, accorgendomi ancora una volta dell’insensibilità di metà della mia bocca, che mi porta a sbavare come un neonato.

"Si sdrai, non abbiamo ancora finito" mi dice con quella voce bassa, facendomi correre un brivido di paura lungo la schiena. Non sembra anche a voi una frase minacciosa, soprattutto considerando che mi deve solo pulire una piccola carie sul dente del giudizio? E se mi risvegliassi sdentato, oppure con i canini al posto degli incisivi? Cerco di cancellare questa terribile immagine, e richiudo gli occhi.

"Stanco?" mi chiede, la prima parola che esuli dal trattamento della ‘nostra’ malattia.

Annuisco, e inavvertitamente, stavolta con la testa, finisco per strusciargli nuovamente contro.

Lui sorride:

"Non manca molto".

Il trapano ricomincia a raschiarmi in bocca, ed io continuo ad aver paura che finisca per bucarmi la lingua… insomma, può sempre succedere, no? C’è chi si risveglia con le forbici nello stomaco, e chi con un piercing per cavalli sulla lingua…

"Non riesco a vedere bene…" mormora quasi a se stesso.

Spalanco gli occhi. Lo sapevo, non vede bene e ora mi trapanerà denti sani, lingua e palato. Tutto per una piccola, insignificante, stupida carie!! Mannaggia alle caramelle, ai cioccolatini, a panettoni e pandori, e anche al torrone… mai, mai più! E mi laverò i denti cinquanta volte al giorno, però devo uscire vivo da qui, stasera!

E improvvisamente il braccio meccanico che mi pendeva sul petto viene spostato, e il ginocchio di Seldon mi sfiora la coscia. Oddio, si è appoggiato sulla poltrona per poter scolpire meglio!!

Armeggia per qualche altro istante, poi allontana lo strumento di tortura, invitandomi a sciacquarmi ancora, infine inserisce qualcosa all’interno del dente e mi dice di serrare la mandibola, in modo che la pasta si compatti come deve. Facile a dirsi, considerando che tutta quella parte è completamente insensibile!

Ok, comunque sono arrivato alla fine, e in meno tempo di quanto previsto. Do un’occhiata all’orologio tondo appeso al muro e mi stupisco che siano solo le 18.29. Insomma, manca ancora mezz’ora… eppure dovrebbe essere tutto finito. Rivolgo uno sguardo interrogativo al dottore, che, in risposta al mio appello disperato, allunga di nuovo le mani, ricominciando quel movimento ritmico di flessione e distensione delle dita:

"No, non abbiamo ancora finito… potendo osservare con più attenzione il suo caso, mi sono accorto che è necessario un altro intervento".

Porto uno sguardo disperato sul trapano che è stato appoggiato sul lindo tavolino basso, a far compagnia ad altri attrezzi altrettanto spaventevoli.

Lui annuisce:

"Già, sempre trapano" decide di rivelarmi, senza lasciarmi speranza, mentre si sfila la mascherina.

Il suo viso finalmente torna umano, ma non è una cosa che in questo momento serva a molto.

Afferra il trapano, poi, senza che quasi me ne accorga, armeggia con i pulsanti della poltrona, e io mi ritrovo completamente disteso, e più che una visita dentistica, questa acquista l’apparenza di un intervento a cuore aperto.

Di nuovo il suo ginocchio mi urta la gamba. Io chiudo gli occhi e apro la bocca, come un automa impostato per un solo movimento.

Nonostante l’insensibilità, però, mi accorgo che quello che mi ispeziona la bocca non è né il piccolo specchietto e nemmeno il trapano appuntito. E’ qualcosa di molto più morbido, di liscio…

Apro gli occhi, e non ho che una conferma… vorrei riuscire a scansarmi, ad opporre resistenza, ma la posizione non me lo consente, ed è poi piuttosto difficile respingere l’assalto, considerando tutta l’anestesia che mi ha fatto.

Mi correggo, adesso sembra Lawrence Olivier.

I suoi occhi si aprono, sembrano divertiti del mio sguardo sbarrato, e comunque non si ferma. Che sia un nuovo sistema di individuazione delle carie, l’indagine linguale? E metà della mia lingua, purtroppo proprio quella che ancora sente qualcosa, decide che questa pratica le è gradita, e comincia a muoversi per facilitare il lavoro del cerusico.

"No, forse mi sono sbagliato – mi dice lui, con quel leggero accento che mi fa venire i brividi – ma con le carie bisogna essere sicuri, come ben sa… prevenire è meglio che curare" spiega, tornando a dedicarsi all’analisi della mia situazione odontoiatrica.

Eppure non posso cedere così, è terribilmente degradante!!! E poi sulla sedia del dentista… direte che ho poca fantasia, ed è vero, ma ho sempre preferito la comodità di una superficie morbida, magari senza sconosciuti a distanza di una porta neanche chiusa a chiave…

Lui però non sembra farsi problemi, e il fatto che abbia il trapano ancora vicino mi impedisce qualsiasi reazione scomposta.

Ahhhh, mi sta slacciando la camicia, e improvvisamente sento qualcosa sul petto. Aggrotto le sopracciglia, il contatto non è esattamente piacevole, e impiego più di qualche secondo per capire che il problema è rappresentato dai guanti in lattice. Non ho mai amato i completini di cuoio, figuratevi il lattice!

Gli afferro la mano, e cerco di risalire al polso per sfilargli il guanto, ma lui si libera presto della mia presa. Sembra quasi volermi far capire che non ho diritti, questa poltrona lo rende l’unico autorizzato a condurre il gioco. La cosa non mi piace, però, viste le sorprese che mi sta preparando, chissà che l’evoluzione non si riveli soddisfacente…

"Per questo nuovo problema… - e la sua mano si insinua tra noi, rivelandosi piuttosto impudica – credo che dovrò ricorrere ad un altro tipo di trapano…"

"C’è gente, di là…" riesco a farfugliare, mordendomi inavvertitamente, scambiandolo per una cotoletta, il labbro insensibile.

"Se il problema è solo questo…" e mi bacia di nuovo.

Affondo nella poltrona-letto, tutto sommato non sta facendo altro che usare una versione aggiornata del bacetto per far passare la bua…

AAAHHHH!!!

Oddio, e se avessero sentito il rumore della zip dei pantaloni?! Beh, potrebbe sempre sembrare il portamonete, oppure la chiusura del sacchettino con il dentifricio, tanto per rimanere in tema. No, il beautycase no, io non lo uso.

"Forse stavolta potremmo fare senza anestesia" mi suggerisce il dottore, e io ripenso alla ceretta e annuisco.

Finalmente si decide a rimuovere quei guanti che lo facevano sembrare uno scienziato sadico, e decide di dare sollievo anche a se stesso, e così viene aperto un secondo sacchettino con il dentifricio. Che male c’è? Bisogna lavare spesso i denti, c’è scritto anche sui cartelloni nella sala d’aspetto…

E improvvisamente comincio a capire Whitney Houston; e poi, per essere diventata così ricca e famosa non deve essere completamente deficiente. Ok, si faceva picchiare dal marito, ma questo che c’entra?

Comunque, sfruttando gli anni di fedele frequentazione della piscina, nonché le mille posizioni di questo miracolo di elettronica, mi ritrovo nella giusta posizione per procedere con l’eliminazione di tutte le questioni rimaste in sospeso con la mia dentatura.

Mentre il mio sguardo un po’ offuscato si concentra sulla stampa del Giuramento di Ippocrate, che ondeggia davanti ai miei occhi, mi rendo conto che, nonostante l’assenza di anestesia, preferisco questo tipo di trattamento. E poi il suo trapano… ok, vi basti sapere che pur essendo molto più minaccioso dell’altro, come dimensioni, è infinitamente più gentile e meno rumoroso.

Mi mordo il labbro-cotoletta per non urlare, mentre le mani mi tremano, e le unghie si conficcano nelle spalle di Seldon, che sono riuscito a rinvenire sotto il camice e il maglione. Anche lui sembra un po’ provato, ma si sa che il suo è un lavoro faticoso e stressante. Si rialza, cercando di rimettersi in ordine. Io sorrido appena dei suoi capelli arruffati, e soprattutto dello sguardo che mi rivolge… capisco la sua dedizione alla professione, ma non è il caso che tenti un secondo check, pur considerando che la poltrona potrebbe consentirci di provare molte soluzioni, tutte sfidanti.

Pensate che forse non avrei dovuto seguire con tanta compiacenza il mio dentista sulla via della sperimentazione? Beh, io sono abituato a dare massima fiducia alle persone, nell’ambito nel quale sono esperte. O forse voi ritenete che un dentista non sia esperto di trapani?

Mi rialzo anche io, sfiorandomi le labbra, ora gonfie per somma di interventi, e poi cerco di rimettermi in ordine.

"Ora la carie è a posto – mi dice lui, nuovamente professionale – il controllo sarà fra sei mesi…"

"Per vedere che non siano necessari altri... interventi?" scherzo, allusivo.

Non risponde, ma scrive qualcosa sul blocchetto delle ricette, poi mi porge il foglio:

"Un antibiotico, per il dolore. E una pomata per quel labbro".

A sentir parlare di pomate, sollevo un sopracciglio, poi però mi volto per uscire. Devo ancora regolare con la ragazza della reception, e il pensiero mi fa venire in mente che mi sembra un’eternità da quando sono entrato nella sala d’aspetto.

"Un momento!" mi dice lui, raggiungendomi da dietro. Sento le sue labbra che mi si poggiano sul collo:

"Sono contento… grazie per essere venuto".

Battute a doppio senso non raggiungerebbero alcuno scopo, non conosce così bene la lingua per coglierle.

E così mi limito ad annuire, poi accenno con il mento verso la porta:

"La segretaria di prima era più sveglia" dico, sorridendo.

Lui scuote la testa, poi si stringe nelle spalle.

E stavolta sono io ad avvicinarmi. Gli stampo un bel bacio sulla guancia:

"Mi è sempre piaciuto il gioco del dottore, e stavolta ha unito l’utile al dilettevole" gli mormoro, e lo vedo arrossire leggermente. Eppure non ce ne è motivo, so che ha capito che ho apprezzato tutto il nostro pomeriggio, veramente. E così, mentre mi volto di nuovo per uscire, lo saluto al solito modo:

"Ci vediamo a casa, Pat. Non fare troppo tardi".

E anche lui risponde al solito modo, dimenticando il gioco che abbiamo portato avanti durante l’intera visita:

"A casa… Luca".

 

L’Uomo dal Trapano d’Oro – The End



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