AUGURIIIII!!!! Finalmente… dopo giorni.. mesi… ce l’ho fatta!!!

Carissima Ste, Capitano.. ma soprattutto BambinaMorta!!! Ebbene sì… senza di te, nulla sarebbe potuto accadere… questi due uomini, anzi, divinità, non si sarebbero mai incontrati… e forse per uno di loro sarebbe stato anche meglio… ma non lo potremmo mai sapere!!

Quindi… grazie cara Pampina!!! ^^ Il tuo sacrificio non è stato vano… e sarà per sempre ricordato. Amen!

Anche se il tuo compleanno è fuggito da tempo, non potevo dimenticarmi di te!!

 

Note: questo è il sequel di “Syoyuu –possesso”… e già iniziamo bene!

E’ una song-fic basata sulla canzone “Haunted” degli Evanescence (i diritti sul testo sono tutti loro, a me non torna una cippa).

I personaggi, i cui nomi sono ben risaputi, appartengono alle Clamp, che li usano a loro piacimento…. ma noi di più!! ^^

Tutto si concluderà nel terzo capitolo… forse!

 

So, now… enjoy the reading!

 

TORITSUKARETE IRU

di Hotaru

 

“…oggi ti lascerò andare…

… ti imprimerò un sigillo che indica che tu sei una preda dei Sakurazukamori…”

 

Long lost words whisper slowly to me

 

“…io, quell’uomo… lo uccido.”

 

Still can’t find what keeps me here

 

Hokuto. Seishiro. Morte. Vita.

Una stanza nera. Grande, vuota e, per questo, con ancora più spazio. Mi volto a destra e a sinistra, veloce e composto nei movimenti. Una sensazione di fastidio e nervoso mi morde l’anima. D’un tratto le pareti si fanno più vicine; le tocco:  la mia mano penetra senza difficoltà per qualche centimetro, quando la estraggo la vedo inzuppata di sangue.

Scappo verso la porta terrorizzato. Qualcuno mi guarda. Qualcuno mi insegue. Me lo sento addosso. Il mio corpo è teso, difficile da muovere: la mia mente vorrebbe scappare, ma le mie gambe mi rallentano la fuga.

Mi volto, scansando di lato una sedia abbandonata: niente. Non vedo nessuno. Eppure c’è. Non mi posso sbagliare, perché lui mi è sempre stato vicino. Ed ora pretende.

Me, che vorrei lasciarmi tutto alle spalle e sperare che il passato possa rimanere lì, fermo, al suo posto.

La mia anima, irrequieta e dannata, che reclama ed esige vendetta. Onore e orgoglio si mischiano a dare una fragranza inebriante che mi ha insidiato le membra e intorpidito il cervello da tempo.

Il mio corpo, ovvero tutto quello che mi tiene unito al mondo reale. Un sottile nastro bianco che mi abbraccia e mi obbliga a fissarlo in faccia e a mentire, gridando: ti odio.

 

When all this time I’ve been so hollow inside

I know you’re still there

 

Apro una porta e un altro corridoio si para di fronte a me. Rimango immobile, mentre posso sentire solo il mio respiro affannoso continuare la sua estenuante marcia.

“Calmo, devo restare calmo” continuo a pensare, ma nulla mi è più difficile. E poi… ancora quella presenza.

Cos’è? Chi è?

Sono sempre stato solo, mentre ora…

Lancio un grido acutissimo che fa rabbrividire anche me.

Non venire!! Non entrare… no, no!!! Lasciami!!

Mi copro la testa con le mani, aggrappandomi di prepotenza ai capelli: vattene, vattene, VATTENEEE!!!

 

Watching me, wanting me

I can feel you pull me down

 

Sono madido di sudore, le gocce scivolano lungo i miei contorni, ma io riprendo a scappare.  Le pareti ora sono bianche, limpide, lucide. Gli occhi sono completamente abbagliati da questa lucentezza inaspettata e mi copro la vista con una mano. Il mondo attorno  a me è stretto, le sue lunghe dita mi soffocano.

“No… no…” grido, mentre le mie braccia si fanno spazio nell’aria, con enormi bracciate.

Voglio starmene solo. Niente e nessuno deve entrarmi dentro. Smettila di guardarmi… i tuoi occhi mi fanno male.

Troppi ricordi… troppo dolore…

Un piccolo puntino nero che si allarga sempre di più. Una macchia deforme di fronte a me.

 

“…se l’ho fatto è perché non volevo vederti soffrire…”

 

Un’immagine: occhi sorridenti e occhi bagnati.

Occhi falsi e occhi insanguinati.

Il mio corpo è accasciato a terra, scosso da forti singhiozzi. Le lacrime mi conducono in dolci amarezze e  agognati rimpianti. Mi rannicchio sempre più a contatto col freddo pavimento, poi distendendo la testa all’indietro scopro che quella macchia altro non era che una porta chiusa.

Tendo una mano nella sua direzione, senza alzarmi, tant’è poca la forza dentro di me, e questa mi trascina dietro a sé.

 

Fearing you, loving you

I won’t let you pull me down

 

I miei occhi chiusi si aprono mostrandomi il mio riflesso sul pavimento coperto da specchi. Mi alzo con un movimento repentino, impaurito dalla mia stessa immagine: “Come posso essere io quello?!” esclamo inorridito.

I lineamenti sono gli stessi, il mio corpo è identico , ma non vi riconosco nulla di me: una qualsiasi altra persona potrebbe assomigliarmi di più.

I suoi occhi mi invitano a guardarlo. Le sue labbra sussurrano qualcosa. Le sue mani mi fanno cenno di avvicinarmi. Le sue dita si muovono lente e sensuali. Persino il suo corpo trasmette intensi brividi erotici.

Mentre scivolo verso di lui, il mio riflesso compie i medesimi movimenti e mi sorride diabolico, con un occhio.

L’altro infatti, non c’è. Sebbene veda solo la cornea bianca, continuo a pensare che mi possa vedere con entrambi gli occhi.

“Tu non sei me…”

“Oh, sì che lo sono!”

“Impossibile! Io… non ho perso nessun occhio…”

“Ah sì? Secondo  me stai mentendo…” e con un gesto rapido, sicuro  e completamente indipendente dalla mia volontà, si infila un dito nell’occhio sinistro.

Nel medesimo istante, il mio cervello viene attraversato da una fitta dolorosa e tutto quello che io riesco a fare è lanciare un grido disperato: “Che hai fatto? Che hai fatto??”

Di tutta risposta la mia immagine scoppia in una risata sguaiata: “Allora Subaru… cosa mi dici?”.

Dal suo viso non esce sangue, sembra che non si sia nemmeno sfiorato; solo la sua espressione è cambiata: ora un sorriso sardonico e grottesco gli dipinge la sottile bocca.

Porto di scatto le mie mani all’occhio dolorante: nemmeno io sto sanguinando, ma il dolore non accenna a scendere e anche il mio campo visivo si è ridotto.

“Rassegnati Subaru! Ormai sei nostro!! Abbandonati a noi…” le parole si fondono con le risa, mentre orrore e angoscia mi calpestano.

“No… no…” sussurro, alzandomi  in piedi, perdendo più volte l’equilibrio. Il mio sguardo vaga vacuo: il soffitto, le pareti, tutto è pieno di miei riflessi che mi scrutano con un solo occhio. Ovunque  mi giri vedo solo un me stesso falso, forse.

Qual è la vera copia?

Il loro riso mi sta sfidando, con la certezza di aver già la vittoria in pugno…

Dov’è il mio vero io? Possibile che l’abbia perso in me?

Ricomincio la mia corsa, scappando da me stesso e ritrovandomi sempre inseguito. Gli specchi non accennano a finire e così i miei riflessi mi accompagnano… sono sempre davanti  a me: ovunque vada, lui anticipa le mie mosse, come se sapesse tutto di me.

Perché lui è me. Ed io non sono nient’altro che lui.

E poi: acqua. Tantissima, di fronte a me.

Uno specchio riflette qualcosa di diverso dal mio corpo: un oceano blu notte, che mi fissa dal basso.

Troppo pesante… sono troppo pesante…mi sbilancio. Allungo la mano per fermare la caduta, ma trapasso da parte a parte lo specchio.

Vedo l’acqua farsi sempre più vicina, mentre il mio corpo scende velocissimo, fendendo l’aria, che a sua volta mi picchia sul viso, impedendomi  di tenere gli occhi aperti.

Lo schianto arriva improvviso e tagliente. Affondo per svariati metri sott’acqua, mentre a stento provo a non respirare. Non devo morire…

 

Hunting you I can smell you – alive

Your heart pounding in my head

 

Finalmente… aria! La mia testa riemerge dall’acqua salata e i miei polmoni riprendono energia  e vita. Tento di stare a galla, con fatica, perché le mie gambe sono lente nei movimenti.

Mi stropiccio gli occhi con le mani e sbatto le palpebre: riesco a veder con entrambi, ma ciò che mi si para di fronte è uno spettacolo freddo e vuoto: blu ovunque.

Acqua,terra,cielo… tutto si confonde in un unico opprimente colore. Nessun rumore, escluso il leggero ondeggiare del mare, placido e rilassante.

Nuoto, ma qualcosa offusca la mia vista. Tento di scostarlo con la mano, quando mi accorgo che è rossa. La riappoggio sulla fronte e sul sopracciglio e la fisso: sangue.

Ancora una volta.

Ancora su di me.

La mia disperazione riecheggia  fra le pareti, nel vuoto più assoluto

Non posso continuare così… non voglio!

E’ questo il mio destino? Sofferenza, dolore … solitudine?!

No, non era così, un tempo.

Inizio a sentirmi stanco di tutto questo: ho solo voglia di lasciarmi cadere negli abissi.

E poi un nome: “Seishiro”.

Spalanco di colpo gli occhi socchiusi e fisso un punto di fronte a me.

Ancora: “Seishiro”.

Nessuno ha parlato, eppure l’ho sentito chiaramente nella mia testa. Nel mio cuore.

“Seishiro…” rimbomba profondo questo nome. E’ severo. E’ cattivo. Ma mi piace.

“L’uomo che devo uccidere”.

Non ricordavo più quanto potesse essere esasperante e sensuale quel suono.

“Smettila! Smettila! Vattene!!” mi colpisco con i pugni la testa facendomi male, ma quella voce mi ferisce ancora di più.

“Perché io? Perché??” le mie lacrime prendono a sgorgare copiose e posso sentire il loro sapore: come quello del mare in cui mi trovo.

“Se piango ancora finirò per affogare dentro me stesso. Devo smetterla!”

 

Watching me, wanting me

I can feel you pull me down

 

Tossisco a più non posso quando sento l’acqua entrare nei miei polmoni.

Qualcuno… qualcosa, ha afferrato le mie caviglie con tutta l’intenzione di trascinarmi…

Provo a divincolarmi, ma la presa è salda.

Provo ad opporre resistenza e a tornare verso l’aria: ma il suo volere è più forte del mio.

La mia mano tesa verso l’alto è l’ultima immagine.

“Seishiro…” è tutto ciò che sussurro prima di svenire.

 

Saving me

 

Freddo…  tutto ciò che riesco a percepire. Un mio dito si muove e con l’unghia dell’indice gratto contro qualcosa, producendo un fruscio leggero.

Lentamente apro gli occhi, tentando di capire dove sono. Il buio mi accoglie e lascia che la mia vista si adatti all’ambiente.

“Mi hai chiamato?”.

La sua voce è come una freccia in pieno petto: mi volto alla mia sinistra e mi sta sorridendo.

Non riesco a distinguerlo perfettamente, ma il suo profilo mi basta per essere certo che sia lui.

La pallida luna da fuori lascia entrare alcuni raggi dalle finestre della mia stanza.

Il suo sguardo indagatore continua a penetrarmi con insistenza, quando mi sovviene che aspetta una risposta: “No… io non credo…” .

Mi blocco, sconvolto dalle mie stesse parole: è stato tutto un incubo. Un terribile, allucinante sogno, in cui ho rivissuto tutto quello che provai in quei giorni.

I giorni della sua morte.

Passo in rassegna tutto la spazio attorno a me: nulla è diverso dal solito. Solo lui. Perché è qui? Incrocio il suo viso: “ Mi era parso tu invocassi il mio nome…” sussurra, portandosi più vicino  a me, accarezzando col fiato il mio collo.

Un brivido attraversa la mia schiena, mentre mi irrigidisco con lo sguardo perso nel vuoto.

“Io..io… stavo per affogare” incomincio a parlare senza che lo voglia. La mia bocca si muove da sola e la mia voce la segue in un mutuo consenso.

Le mani sono abbandonate sul letto, mentre con le dita gioco con il lenzuolo bagnato.

Quando il mio cervello reagisce è già troppo tardi.

 

Raping me,

Watching me

 

“L’aria… mancava. Io volevo scappare, ma qualcuno mi voleva con sé…” parlo in un flusso di coscienza. Sconsolato e distrutto, mi passo una mano sul viso e uno strano aroma mi solletica il naso: è qualcosa che ho già sentito. Comune, risaputo e pungente. Sale.

Com’è possibile che le mie mani sappiano di sale? Le fisso interdetto, prima che egli me le avvolga con le sue, riscaldandole.

Sposto su di lui la mia attenzione, ma non faccio in tempo a sillabare nulla che le sue labbra iniziano a divorare le mie.

Col peso del suo corpo mi schiaccia verso il letto, sedendosi a cavalcioni su di me. Allontana le mie mani che teneva racchiuse fra le sue e le apre a croce, inchiodandomi con le sue unghie.

Lo sento mordermi e leccarmi con insistenza, quasi volesse nutrirsi della mia carne. Si allontana di qualche centimetro e mi fissa con l’unico suo occhio.

“Ormai sei mio! Abbandonati a me…” pronuncia ed il mio cervello trema quando riconosce la stessa voce del mio ego nello specchio.

Lo stesso sguardo. La stessa persona. Un altro me.

La mia espressione deve divertirlo parecchio, visto che  sorride, passandosi voluttuoso la lingua sulle labbra.

“Io non voglio”.

Inarca un sopracciglio e senza badare alle mie parole, si avventa famelico sul mio collo, stringendo la mia pelle fra i suoi denti.

“Lasciami. Lasciami!!” mi lamento, infuocando ancora di più in lui l’istinto del cacciatore.

Accarezza piano tutto il contorno con la sua punta della sua lingua, per poi soffermarsi dove ha inizio la spalla e succhiare violentemente.

Rabbrividisco ogni volta che sento i suoi denti lacerare la mia pelle, ma sebbene tenti una vaga protesta, egli ride sommessamente e mi fa urlare di più dal dolore, stringendo fra le labbra il mio sapore.

Sento le sue mani, percorrere la lunghezza delle mie braccia e giungere fino al petto. Il pensiero che ora potrò muovere almeno le mani per scansarlo, si fa strada dentro la mia mente, ma viene subito ucciso. Alla mia destra e sinistra vedo i palmi completamente irrorati di sangue e due pentacoli brillare soddisfatti.

“Attento, se ti muovi sentirai ancora più male” mi risponde, mentre sbottona con innata pazienza la mia camicia, lasciando scoperto il mio torace ansimante.

Chiudi gli occhi, in balia della sorte, mia acerrima nemica: “No, no Subaru! – mi ammonisce- Guardami. Guardaci.”

Sono conscio che in questo momento posso solo trasmettere disperazione e agonia, eppure… torno a fissarlo, rapito dalle sue movenze morbide e calibrate.

Sembra che tutto sia stato studiato apposta per me.

Scende lento con le sue dita sulla zip dei pantaloni e mi spoglia completamente : “Tu sei mio, stanotte. Domani. Sempre” pronuncia a pochi centimetri dal mio cuore, anche se io non lo sento più battere, forse perché lo sta facendo troppo in fretta e il suo ritmo si è insinuato nel mio sangue, trascinandomi in un vortice in cui non vedo possibilità d’uscita.

“Seishiro…” trema la mia voce, quando mi morde un capezzolo e il suo corpo si adagia sul mio, trasmettendomi tutto il suo calore e desiderio.

Serpeggia su tutto il mio torace fino ad arrivare all’ombelico, dove languido insinua la sua lingua e dalla mia bocca esce un gemito strozzato.

Per una, due, più volte gioca con me, cingendo i miei fianchi con forza, ed ogni volta ascolta il mio respiro crescere e farsi più intenso. Sa bene che il mio corpo vorrebbe di più, ma aspetta, ritarda, perché desidera che sia io ad implorarlo… come se già non fossi un burattino nelle sue mani!

Con due dita, solletica il mio sesso turgido e osserva compiaciuto il mio corpo vibrare e tendersi.

Ricordo ancora quella volta in cui, nella barriera, per le strade di Tokyo, mi spogliò completamente: fu come rinnovare il nostro patto di appartenenza reciproca.

Possesso sulla sua pelle.

E oggi, come ieri, voglio scappare da lui.

Da questo me stesso oscuro e pericoloso.

“No, non scapperai oggi…” lo sento dire, come se avesse letto nei miei pensieri, prima di affondare completamente in me con un’unica spinta.

Il mio corpo si lacera.

Il mio animo si tinge di rosso.

Il dolore è tale da farmi inarcare la schiena e staccare una mano dal materasso, gocciolando sangue ovunque: sulle lenzuola, sulla mia pelle e sulla sua.

Il viso si riga di lacrime e tutto il corpo è scosso da singhiozzi e fremiti.

Non riesco a guardarlo in faccia, perché è troppo grande la sconfitta che mi sta infliggendo.

Facendomi riabbassare, lo sento uscire , per poi subito rientrare in me, con la medesima forza di prima.

“Basta! Basta!! Ti supplico!!” mi trovo ad implorarlo.

Sarcasmo si tinge sulle sue labbra: “Ma se abbiamo appena iniziato…”  mi dice, prendendomi il mento fra le dita e costringendomi a guardarlo negli occhi.

  ‘…ancora più mio’… ricordi?” sigillando le sue parole con un bacio intenso e sensuale.

Accascio la testa all’indietro quando le sue labbra lasciano le mie e mi abbandono all’uomo che amo.

Una sua mano si artiglia con forza attorno al mio sesso, muovendosi al ritmo delle sue spinte.

Animalesco. Bestiale. Tutto quello che sto subendo mi ricorda solo un moto meccanico, vuoto e istintivo. Anche se il mio corpo sta accettando quest’uomo, anche se per anni ho pensato che l’unione fra due persone, fra me e Seishiro, potesse avere un significato maggiore rispetto a quello dell’edonismo fine a se stesso, ora mi sembra di essere solo una pecora.

Però…

I suoi movimenti, la sua passione… sono tutti tesi verso di me, dentro di me e mi tentano, mi seducono. Aumenta il ritmo di questa danza e i miei fianchi si muovono con lui. E poi un tuffo da una cascata: il piacere cresce in me, lo sento travolgermi e farmi compiere un volo senza ritorno.

 

Mi sto per addormentare. Sento il suo corpo accanto al mio: vorrei abbracciarlo, vorrei baciarlo, vorrei semplicemente dirgli quanto bene provi per lui.

Ma non ne ho il coraggio. E poi forse lui non mi ascolterebbe nemmeno.

Lo guardo in silenzio, ammirandolo, senza pensare a nulla. Perché anche un solo pensiero può essere talvolta più pesante o inopportuno di una parola.

E’ meglio dormire.

 

 

Note:

il titolo è la traduzione giapponese di “haunted”, ovvero “perseguitato”, ma anche “infestato da spettri”.